S. JOSEPH OPIFICIS
La Chiesa, madre provvidentissima di tutti, consacra massima cura nel difendere e promuovere la classe operaia, istituendo associazioni di lavoratori e sostenendole con il suo favore. Negli anni passati, inoltre, il sommo pontefice Pio XII volle che esse venissero poste sotto il validissimo patrocinio di san Giuseppe. San Giuseppe infatti, essendo padre putativo di Cristo – il quale fu pure lavoratore, anzi si tenne onorato di venir chiamato «figlio del falegname» – per i molteplici vincoli d’affetto mediante i quali era unito a Gesù, poté attingere abbondantemente quello spirito, in forza del quale il lavoro viene nobilitato ed elevato. Tutte le associazioni di lavoratori, ad imitazione di lui, devono sforzarsi perché Cristo sia sempre presente in esse, in ogni loro membro, in ogni loro famiglia, in ogni raggruppamento di operai. Precipuo fine, infatti, di queste associazioni è quello di conservare e alimentare la vita cristiana nei loro membri e di propagare più largamente il regno di Dio, soprattutto fra i componenti dello stesso ambiente di lavoro. Lo stesso Pontefice ebbe una nuova occasione di mostrare la sollecitudine della Chiesa verso gli operai: gli fu offerta dal raduno degli operai il 1° maggio 1955, organizzato a Roma. Parlando alla folla radunata in piazza san Pietro, incoraggiò quell’associazione operaia che in questo tempo si assume il compito di difendere i lavoratori, attraverso un’adeguata formazione cristiana, dal contagio di alcune dottrine errate, che trattano argomenti sociali ed economici. Essa si impegna pure di far conoscere agli operai l’ordine prescritto da Dio, esposto ed interpretato dalla Chiesa, che riguarda i diritti e i doveri del lavoratore, affinché collaborino attivamente al bene dell’impresa, della quale devono avere la partecipazione. Prima Cristo e poi la Chiesa diffusero nel mondo quei principi operativi che servono per sempre a risolvere la questione operaia. Pio XII, per rendere più incisivi la dignità del lavoro umano e i princìpi che la sostengono, istituì la festa di san Giuseppe artigiano, affinché fosse di esempio e di protezione a tutto il mondo del lavoro. Dal suo esempio i lavoratori devono apprendere in che modo e con quale spirito devono esercitare il loro mestiere. E così obbediranno al più antico comando di Dio, quello che ordina di sottomettere la terra, riuscendo così a ricavarne il benessere economico e i meriti per la vita eterna. Inoltre, l’oculato capofamiglia di Nazareth non mancherà nemmeno di proteggere i suoi compagni di lavoro e di rendere felici le loro famiglie. – Il Papa volutamente istituì questa solennità il 1° maggio, perché questo è un giorno dedicato ai lavoratori. E si spera che un tale giorno, dedicato a san Giuseppe artigiano, da ora in poi non fomenti odio e lotte, ma, ripresentandosi ogni anno, sproni tutti ad attuare quei provvedimenti che ancora mancano alla prosperità dei cittadini; anzi, stimoli anche i governi ad amministrare ciò che è richiesto dalle giuste esigenze della vita civile.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
Sap. 10:17
Sapiéntia réddidit justis mercédem labórum suórum, et dedúxit illos in via mirábili, et fuit illis in velaménto diéi et in luce stellárum per noctem, allelúja, allelúja.
Ps 126:1
Nisi Dóminus ædificáverit domum, in vanum labórant qui ædíficant eam.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Sapiéntia réddidit justis mercédem labórum suórum, et dedúxit illos in via mirábili, et fuit illis in velaménto diéi et in luce stellárum per noctem, allelúja, allelúja.
Ap. 10:17
[La sapienza ai santi ha pagato la ricompensa delle loro fatiche: li ha guidati per una via stupenda; diviene per essi riparo di giorno e luce di stelle durante la notte, alleluia, alleluia.
Ps 126:1
Se non fabbrica la casa il Signore, vi faticano invano i costruttori.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.
La sapienza ai santi ha pagato la ricompensa delle loro fatiche: li ha guidati per una via stupenda; diviene per essi riparo di giorno e luce di stelle durante la notte, alleluia, alleluia.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Rerum cónditor Deus, qui legem labóris humáno géneri statuísti: concéde propítius; ut, sancti Joseph exémplo et patrocínio, ópera perficiámus quæ præcipis, et præmia consequámur quæ promíttis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.
[O Dio, creatore del mondo, che hai dato al genere umano la legge del lavoro; concedi benigno, per l’esempio e il patrocinio di san Giuseppe, di compiere le opere che comandi e di ottenere la ricompensa che prometti. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. Amen.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col. 3:14-15, 17, 23-24
Fratres: Caritátem habéte, quod est vínculum perfectiónis, et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore, et grati estóte. Omne quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per ipsum. Quodcúmque fácitis, ex ánimo operámini sicut Dómino, et non homínibus, sciéntes quod a Dómino accipiétis retributiónem hereditátis. Dómino Christo servíte.
R. Deo grátias.
Col. 3:14-15, 17, 23-24
[Fratelli, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. Trionfi nei vostri cuori la pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati nell’unità di un sol corpo: e vivete in azione di grazie! Qualunque cosa facciate, in parole od in opere, tutto fate in nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre, per mezzo di lui. Qualunque lavoro facciate, lavorate di buon animo, come chi opera per il Signore e non per gli uomini: sapendo che dal Signore riceverete in ricompensa l’eredità. Servite a Cristo Signore
R. Grazie a Dio.]
Alleluja
Allelúja, allelúja.
De quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos, et ero protéctor eórum semper. Allelúja.
V. Fac nos innócuam, Joseph, decúrrere vitam: sitque tuo semper tuta patrocínio. Allelúja.
[In qualsiasi tribolazione mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò sempre il loro protettore. Alleluia.
V. O Giuseppe, concedici di vivere senza colpe. e di godere sempre la tua protezione. Alleluia.]
Evangelium
Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt 13:54-58
In illo témpore: Véniens Jesus in pátriam suam, docébat eos in synagógis eórum, ita ut miraréntur et dícerent: Unde huic sapiéntia hæc et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater ejus dícitur María, et fratres ejus Jacóbus et Joseph et Simon et Judas? Et soróres ejus nonne omnes apud nos sunt? Unde ergo huic ómnia ista? Et scandalizabántur in eo. Jesus autem dixit eis: Non est prophéta sine honóre nisi in pátria sua et in domo sua. Et non fecit ibi virtútes multas propter incredulitátem illórum.
[In quel tempo, Gesù giunto nel suo paese, insegnava loro nella sinagoga, così che meravigliati si chiedevano: «Di dove gli vengono questa sapienza e i miracoli? Non è costui il figlio del falegname? Sua madre non si chiama Maria, e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove, dunque, gli viene tutto questo?». Ed erano scandalizzati riguardo a lui. Ma Gesù disse loro: «Non c’è profeta senza onore, se non nella sua patria e nella sua casa». E non fece là molti miracoli, a causa della loro incredulità.]
OMELIA
Omelia di s. Alberto Magno Vescovo
Sul Vangelo di Luca, cap. 4
Gesù entrò un sabato nella sinagoga, dove tutti si recano ad imparare. Tutti lo guardavano. Chi lo guardava per affetto, chi per curiosità e chi per spiarlo e coglierlo in errore. Gli scribi e i farisei dicevano alla gente che già credeva ed era affezionata a Gesù: « Ma questo tale non è il figlio di Giuseppe?». È segno di disprezzo il non voler chiamare Gesù per nome. « Figlio di Giuseppe», nota qui in breve l’evangelista, mentre Matteo e Marco scrivono addirittura, con maggiori particolari: «Non è questo il figlio del falegname? Non è lui stesso un falegname?, Lui, il figlio di Maria?». In queste frasi si nota un vero disprezzo. Si sa che Giuseppe era falegname. Viveva del suo lavoro, e non perdeva il tempo nell’ozio e nei bagordi, come facevano gli scribi ed i farisei. Anche Maria si procurava da vivere attendendo alla filatura e servendosi dell’opera delle sue mani. Il senso della frase dei farisei è chiaro: « Non può essere il Signore messia, l’inviato da Dio, questo tale che è di origine vile e plebea. Perciò non si può avere fede in un tipo così rozzo e disprezzabile ». Anche il Signore era falegname: il profeta di lui dice: « Tu hai costruito l’aurora e il sole ». Un modo di disprezzare, analogo a quello usato dai farisei contro Gesù, lo troviamo anche nel libro dei Re, quando di Saul, elevato alla dignità di re, si diceva: « Che cosa mai è capitato al figlio di Cis? Che anche Saul sia un profeta? ». Una breve frase avvelenata da immisurabile alterigia. Il Signore risponde: « Veramente nessun profeta è accolto dai propri familiari ». Con questa frase il Signore si proclama profeta. Lui ebbe l’illuminazione profetica non attraverso una rivelazione, ma attraverso la sua stessa divinità. Per «familiari» qui vuol indicare il paese della sua nascita e della sua fanciullezza. Or dunque è chiaro che non era stato accolto dai suoi compaesani, che erano attizzati contro di lui soltanto per invidia.
Il Vangelo chiama Giuseppe « tékton », che possiamo tradurre per il senso con « falegname » e anche « legnaiuolo ». Essendo di tale professione, egli faceva aratri, gioghi, rastrelli e quegli altri arnesi di maggior uso nell’agricoltura, che a quell’epoca era certamente ancor molto semplice. Egli forniva quanto occorreva per la casa e il focolare: le travi per il tetto, le porte con i loro catenacci, i recinti e gli oggetti di legno necessari per la cucina. Non sono certo da accogliere le ciarle che a questo proposito leggiamo in uno scritto apocrifo: Giuseppe avrebbe costruito nientemeno che il trono del re Erode, veramente poi riuscito male, e questo lo si comprenderebbe psicologicamente. Alcuni antichi scrittori ecclesiastici tentarono fare di lui, semplice carpentiere, un ingegnere o addirittura un architetto; dobbiamo però respingere questa opinione, anche perché in Palestina le case non sono mai fabbricate in legno, ma in pietra o con mattoni cotti. Giuseppe al contrario, date le condizioni primitive del suo tempo, che ancor non conosceva né si valeva della meticolosa divisione e distinzione dei vari mestieri, dovette senza dubbio eseguire anche quei lavori, che in qualche modo si ricollegano con la professione del falegname; in quel tempo ancora non si doveva chiamare successivamente per un semplice telaio il muratore, il falegname, il fabbro e infine anche il pittore, come oggi; tutto questo poté apprestare da solo il buon Giuseppe. Il Vangelo di Matteo chiama Gesù « il figlio del falegname », il Vangelo di Marco lo dice semplicemente « il falegname; le due indicazioni non si contraddicono, ma si completano; perché dopo la morte di Giuseppe Gesù dovette continuare a esercitare, ormai da solo, il mestiere del padre e appreso da lui, come ancor oggi è in uso spesso anche presso di noi. Colui, che qual Figlio di Dio ha fatto l’universo e, secondo una bella espressione della Scrittura, ha ordinato « tutto in misura, in numero e peso », qual Figlio dell’uomo lavorò con la squadra, la sega e l’accetta; Egli è qui come lassù « fabri filius »: lassù Figlio dell’Architetto divino, quaggiù il Figlio del falegname. Nella storia dell’umanità, il legno ha un senso quasi magico: cresciuto all’aria libera, diviene il silenzioso servitore dell’uomo dalla culla alla tomba; nel legno l’umanità trovò rovina, sul legno l’umanità trovò risurrezione. È significativo che già prima della redenzione Gesù abbia avuto a che fare, per la sua professione, col legno; così la creatura del legno fu da Lui liberata prima d’ogni altra dal gemito di quella cattività, della quale con misteriose parole scrive una volta S. Paolo. La professione del falegname ebbe una risonanza anche nella predicazione di Gesù, meno intensa veramente di quello che ci saremmo aspettata. Nel Vangelo Gesù dice della «porta stretta », chiama se stesso « la porta », parla della «casa fabbricata» solidamente e non solidamente, dell’« aratro », del suo « giogo », che è leggero, della «siepe e dello strettoio »: immagini tolte dalla conoscenza e dall’esperienza d’un falegname; esse però sono di gran lunga superate dalle parabole di Gesù desunte dall’agricoltura, dalla pesca e dalla vita pastorizia. Per Maria, l’augusta e cara Signora, il mestiere di falegname del Figlio e del suo sposo importava non infrequentemente una pena nascosta. Gesù e Giuseppe non poche sere, dopo essere stati esposti per un lavoro pressante al sole ardente, erano tanto stanchi, tanto stanchi; e la Benigna li circondava delle sue premure; padre e Figlio Le sorridevano riconoscenti, tutti e due però non sentivano che il bisogno dì dormire; Maria risentiva nel suo cuore tutto il dolore — modello a tutte le donne, in questo campo così importante della vita domestica! — che ai suoi Due fosse imposto un lavoro così duro. Maggior pena ancora soffriva quando doveva constatare che tutti e due, a motivo della loro modesta professione, erano stimati poco dai benestanti e dai superiori. Lo sprezzo velenoso si insinua anche nel Vangelo: « Non è costui il figlio del falegname, il falegname! »; essi non contavano nulla. Ella dovette provare tutta l’asprezza d’una condizione sociale povera anche nel governo della casa. Quanto volentieri la Benedetta avrebbe voluto mettere in tavola per i suoi Due pietanze migliori! Come avrebbe avuto bisogno Gesù, già dall’ultima Pasqua, d’un vestito nuovo… il Giovane era così cresciuto! Ma il guadagno non lo consentiva. Giuseppe doveva fare i suoi calcoli, dividere, risparmiare. Le tasse, che i ricchi principotti elevavano, erano ingiuste e senz’altro pazzesche ai tempi di Erode, che per le sue millantate splendide costruzioni aveva bisogno di somme favolose. Le parole tanto dure di Gesù contro i ricchi — « Guai a voi, o ricchi! » — riflettono anche le privazioni della sua giovinezza. Non pochi poveri contadinelli, cui Giuseppe aveva preparato aratro e giogo, non potevano pagare il buon uomo per interi mesi; ne seguiva che egli stesso veniva a trovarsi in angustie, perché anche a lui, come al contadino, veniva senz’altro confiscato in valori reali: tavoli, banchi, brocche della sua bottega, quanto doveva per tasse e tributi. E così spesso era ospite della casa di Nazaret donna preoccupazione, e donna povertà era la direttrice di cucina… Anche Giuseppe fu chiamato ad aver parte nel mistero dell’Incarnazione, non parte essenziale come Maria, e però una parte marginale; e Giuseppe pure era pronto per l’imminente miracolo con la sua verginità. Egli fu vergine per mezzo di Maria, la Vergine, e a causa di Maria, la Vergine. Il suo amore per Lei dovette essere ben intenso e tenero, se diede il suo consenso a tanto sacrificio. Egli era giovane — un Giuseppe ” vecchio ” non spiega la virtù della sua purezza, ma la indebolisce semplicemente! — e anche in lui scorreva il sangue caldo; anche in lui pulsava l’esigenza della natura all’ultima realizzazione nella Sposa e alla più intima felicità d’un proprio figlio. Per amore rinunciò all’amore. Il suo e l’amore di Maria, come un fiume che abbia accolto due torrenti, scorsero gorgogliando nel mare dell’amore di Dio. Giuseppe aveva offerto questo sacrificio della natura ancor prima che Gesù avesse annunziato l’ideale dei « celibi per il regno dei Cieli », quasi santamente lo presentisse; ma già egli era sempre immerso in sogni e presagi divini. E rimase fedele alla sua immolazione — « O Giuseppe fedelissimo! » lo invocano le Litanie —, e dopo i miracoli del Natale il senso ultimo del suo sacrificio si dischiuse al suo sguardo sempre più chiaramente. « Giuseppe, capo della Sacra Famiglia ». Ma a quale felicità non s’accompagnò quella sua rinuncia! Maria era la sua sposa e Gesù era il suo piccolo. Anche la Sacra Scrittura celebra la felicità dell’uomo, cui è toccata una buona sposa: « Felice l’uomo che ha una brava sposa! Il numero dei suoi giorni si raddoppia… Una buona sposa è una buona porzione. Essa è destinata a chi teme il Signore». Giuseppe aveva una Sposa, che starà dinanzi a tutti gli uomini della terra come l’ideale irraggiungibile della perfetta femminilità. Nessun marito è a conoscenza di tutto quello che passa nell’animo della sposa; tanto meno poteva Giuseppe abbracciare col suo sguardo le grandezze pure e incommensurabili dell’anima di Maria. Neppure si parlavano di quello che parola umana non può esprimere, Maria anzi tacque persino la sua divina Maternità. Giuseppe però sapeva del miracolo del suo ventre, che cioè « era dallo Spirito Santo quello ch’era in Lei concepito ». Molte volte andava riflettendo anche a quell’altra parola, che « una spada avrebbe trapassata l’anima » di Maria, perché era presente quando a Maria era stata fatta questa dura profezia e L’aveva vista tremare come un albero di primavera dinanzi alla prima tempesta. Spesso, quand’Ella gli sedeva vicina, La contemplava con venerazione e amore e timido stupore, perchè quel Fiore grazioso e puro era stato affidato a lui, proprio a lui. Sentiva che Le era tanto più vicino quanto più vicino era a Dio; e così Maria divenne per lui la scala di Giacobbe che di gradino in gradino lo conduceva sempre più in alto verso il Signore, il quale aveva preso il loro matrimonio a suo servizio. E là stava pure il secondo e più mirabile miracolo, quel Fanciullo divino, che osservava Giuseppe amabilmente sino in fondo, quasi dall’eternità e con la bontà di Dio, tanto che egli rabbrividiva per il Mistero e per la felicità. Donde veniva quel Fanciullo? chi era quel Fanciullo? « Libererà il suo popolo dai peccati », gli aveva svelato nel sogno l’Angelo; porta « la gloria a Dio e la pace agli uomini », avevan raccontato i pastori nella felicità della Notte Santa. E più incomprensibili ancora erano state le parole profetiche di Simeone nel Tempio, che quel Bambino sarebbe « la salvezza di tutti i popoli », « una luce per illuminare i pagani », « e una gloria per il popolo d’Israele ». Non ci meravigliamo ch’egli e persino Maria « stupissero » a queste sublimi parole “, poiché accanto c’erano la stalla e la fuga e la perfetta povertà. Che mistero è un figlio! che mistero è questo Figlio! La Chiesa in una sua preghiera a Giuseppe esclama ammirata: « O felicem virum, beatum Joseph! — o uomo felice, San Giuseppe! A te fu concesso non solo di vedere e sentire, ma anche di portare, baciare, vestire e custodire Iddio, che molti re vollero vedere e non videro, vollero sentire e non sentirono ». Quale sorte! Giuseppe vide Iddio fatto uomo qual neonato impotente, qual incantevole bambino, qual fanciullo in fiore. Giuseppe sentì il suo gemito sulla greppia, il suo balbettio sorridente e il suo primo “papà “. Giuseppe Lo portò nella stalla qual oggetto prezioso ma fragile, Lo portò nella fuga come un gioiello cui s’insidia, e alla sera, quando era stanco e felice d’aver compiuto l’opera del giorno, come un delicatissimo tesoro. Giuseppe Lo vestì del piccolo e bell’abito a vari colori, come il patriarca Giacobbe il suo prediletto Giuseppe, e Lo avvolse talmente col profumo d’amore e col vigore dell’autorità paterna, che Gesù se ne sentiva riscaldato e rassicurato. E Giuseppe Lo baciò con timore come si bacia una cosa sacra, e con affetto, come si bacia una cosa propria; e allora anche il Fanciullo gettava le sue braccia snelle al collo di Giuseppe e anch’Egli lo baciava, e tutto questo era beatificante come il bacio di Dio stesso. Oh sì, felice uomo San Giuseppe! [Otto Hophan: Maria, Marietti ed. Torini, 1953].
Offertorium
Orémus.
Ps 89:17
Bónitas Dómini Dei nostri sit super nos, et opus mánuum nostrárum secúnda nobis, et opus mánuum nostrárum secúnda, allelúja.
E’ con noi la grazia del Signore Dio nostro: essa conferma su di noi l’opera delle nostre mani, conferma l’opera delle nostre mani, alleluia.
Secreta
Quas tibi, Dómine, de opéribus mánuum nostrárum offérimus hóstias, sancti Joseph interpósito suffrágio, pignus fácias nobis unitátis et pacis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
[O Signore, questa offerta che è frutto del lavoro delle nostre mani, per l’intercessione di san Giuseppe ci sia pegno di unità e di pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen. Amen.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de S. Joseph
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Solemnitáte beáti Joseph débitis magnificáre præcóniis, benedícere et prædicáre. Qui et vir justus, a te Deíparæ Vírgini Sponsus est datus: et fidélis servus ac prudens, super Famíliam tuam est constitútus: ut Unigénitum tuum, Sancti Spíritus obumbratióne concéptum, paterna vice custodíret, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti júbeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:
[E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e dovunque a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno: noi ti glorifichiamo, ti benediciamo e solennemente ti lodiamo di S. Giuseppe. Egli, uomo giusto, da te fu prescelto come Sposo della Vergine Madre di Dio, e servo saggio e fedele fu posto a capo della tua famiglia, per custodire, come padre, il tuo unico Figlio, concepito per opera dello Spirito Santo, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini, uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
Matt 13:54-55
Unde huic sapiéntia hæc et virtútes? Nonne hic est fabri fílius? Nonne mater ejus dícitur María? Allelúja.
[Da dove vengono a lui tanta sapienza e sì grandi portenti? Non è forse lui il figlio dell’operaio? Non è forse sua madre Maria? alleluia.]
Postcommunio
Orémus.
Hæc sancta quæ súmpsimus, Dómine, per intercessiónem beáti Joseph; et operatiónem nostram cómpleant, et prǽmia confírment.
[O Signore, per l’intercessione di san Giuseppe, questo sacramento che abbiamo ricevuto renda perfetto il nostro lavoro e ci assicuri la ricompensa.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)