LO SCUDO DELLA FEDE (242)
LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (11) SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA
Mons., BELASIO ANTONIO MARIA
Ed. QUINTA
TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908 »
Art. VII.
LE ORAZIONI SEGRETE ED IL SACERDOTE INTERPRETE DEI BISOGNI DI TUTTI
Poi nell’atto di serrare le braccia, pare che accolga i voti di tutti in cuore portandoli, si volga a trattar segretamente con Dio degli interessi di tutti. Il popolo gli risponde colla orazione:
Suscipiat.
« Riceva il Signore dalle vostre mani il Sacrificio a lode e gloria del Nome suo, anche a vantaggio di noi e di tutta la santa Chiesa. » Il Sacerdote, che recitò sotto voce col popolo la stessa preghiera, gli risponde: « amen, ben sia così. »
Il Sacerdote appiè della croce elevato tra il popolo e Dio alza le mani al crocifisso, e vuol avvisare che da noi soli non ci possiamo salvare e che per salire al Paradiso bisogna che qui in terra ci attacchiamo a Gesù Cristo. Egli Dio col Padre, Uomo con noi si abbandona al nostro amore nel Sacramento; e noi per farci da Dio ascoltare e tirarci salvi nella sua bontà dobbiamo mettere, massime quando preghiamo, col cuore le nostre teste sotto la sua Testa coronata di spine, le nostre mani sopra le sue Mani piene di Sangue, il nostro Cuore sul Cuore suo per noi ancora aperto. – Quindi il sacerdote è qui interprete di tutto il cuore della Chiesa, e il palpito del cuore di questa Sposa di Dio è la preghiera. Or tocca al Sacerdote dire tutto per Lei, e farle battere il cuore di questo palpito vicino al cuor di Dio. Stanno bene adunque sull’altare, a capo di tutti i fedeli preganti, i Sacerdoti consacrati a Dio, della cui vita la principale occupazione è la preghiera. Essi, dice s. Gregorio Magno (Pastor. par. 1.), sono come i profeti santi, che soliti a parlare con Dio, basta che comincino ad esclamare: « Signore, Signore, » perché il Signore debba loro rispondere: « ecco che sono presente ad ascoltarvi. » Qual consolazione per il popolo fedele aver alla testa uomini fidenti di ottener colle orazioni le grazie che chiedono a Dio. Per questo, prima che si assuma al sacerdozio un fedele, si fa esercitare nell’orazione; poi la Chiesa gli fa promettere solennemente di far continua preghiera presso che in tutte le ore della sua vita, obbligandolo all’ufficio divino, canonica orazione, che significa, il pregare essere l’uffizio, l’impegno il servizio continuo della vita sacerdotale. Fattosi promettere che pregherà, recitando l’ufficio tutti i giorni; crede poterlo mandare alla sua missione, affidato alla guardia della preghiera; sicura che dall’uomo che conversa con Dio almen un’ora ogni dì, tutto è a sperare di bene. Ecco perché s. Bernardo (S. Bernard. lib. 4, De Cons.) al pontefice Eugenio faceva questa raccomandazione: fa che tu assuma al santissimo ministero uomini dell’orazione zelanti, che nel ministero pongano fidanza ben più che nelle loro industrie. Incaricati degl’interessi del popolo innanzi a Dio, devono essere come quegli Angeli, che salivano e scendevano incessantemente per la scala di Giacobbe. Devono discendere per raccogliere i voti e i bisogni del popolo: salire (S. Jo. Chrys., Hom. 79, ad popul. Antioch.) colla preghiera, affine di recarli sino ai piedi del trono di Dio, ed aprire il seno delle sue misericordie sopra le miserie di tutti i fratelli. I loro voti sono i voti di un gran ministro mandato davanti a Dio dalla Chiesa a piangere sulle miserie umane, ad implorar grazie, e trattare della vita eterna de’ suoi figliuoli (Massillon, Conf. I.). In virtù del loro sacerdozio essendo immedesimati con Gesù Cristo; come il Verbo conversa con suo Padre, così essi con Dio, per mezzo di Gesù suo Figliuolo: sicché S. Gregorio Magno concludeva (Lib. 3, cap. 5 in s. Reg.), che l’anima del Sacerdote, più che un’anima pregante, si deve dire una continua preghiera. Imperocché, se l’anima è una potenza in atto, dell’animo del Sacerdote l’atto vitale deve essere uno slancio continuo verso del cielo, e l’orazione è il palpito del cuore sacerdotale. Perciò, quando egli si trova alla testa del popolo sopra l’altare a pregare Dio, allora, sì allora propriamente è nella sua atmosfera, e nel pregare sente di vivere veramente. Alto silenzio nel luogo santo: il popolo genuflesso sul pavimento, gemente in segreto per umiltà, i cuori aperti innanzi a Dio, gli sguardi di tutti all’altare sull’offerta santificata, il dono dei fedeli combattenti posato sulle reliquie dei trionfanti gloriosi a piè della croce, e sotto la croce il Sacerdote colle palme benedette e piene di sacri crismi al ciel alzate! (Fra le varie ragioni, per cui sì recitano le orazioni in secreto, noi accenneremo queste, recate dai diversi espositori. 1° Si vuole esprimere la secreta operazione dello Spirito Santo nell’augusto mistero (Martene, tom. 1, De antig. Eccl. nit.). 2° Si vuol eccitare ed alimentare nel popolo col segreto la maggior venerazione, e tenerlo più raccolto nella meditazione (Conc. Trid. sess. 22, cap. 5). 3° Col silenzio del Sacerdote si vuol esprimere il nascondimento del Salvatore quando non era ancora l’ora sua di patire (Inn. III, lib. 2, Mist. Miss. cap. 54). 4° Si muta poi la voce, massime nel Canone, per imitare quella di Gesù Cristo, il quale ora pregava ad alta voce, come: Padre, perdonate, ecc. Nelle vostre mani raccomando, ecc. Dio mio, Dio mio, ecc; ora favellava alla Madre, al discepolo, al ladro; ora taceva e pregava fra sé.). Ecco, egli è l’uomo di propiziazione, l’angelo del tempio della nuova legge, più che uomo e più che Angelo, è creatura divinizzata nella partecipazione dell’immortal sacerdozio, di cui lo investe dal cielo Gesù, e lo fa dito di Dio potente ad operare il prodigio, che i Cherubini adorano velati sull’altare. Con quel capo che ricorda la corona di spine, egli è il giglio del campo che tra le spine spiega al cielo la candidezza dei pensieri purificati: con quell’anima stanca delle fatiche dell’apostolato, amareggiata dai peccati, pascolata ben sovente d’ingratitudine, mandata dalla Chiesa per confidare a Dio i suoi dolori, è come un mazzetto di mirra, deposto dal petto della mistica sposa in seno a Dio: martire di privazioni, vittima d’amor divino, infiorata dalle più belle virtù, rappresenta al vivo tutta la Chiesa, che dalle sue angustie in terra si getta a trovare pace in braccio alla bontà del suo Iddio. Col cuore infiammato di carità egli si frammette ai Cherubini, che bruciano d’amore tra quei sette candelabri, che ardono eternamente innanzi al sommo Bene: viva immagine di Gesù, Sacerdote e Vittima con esso, si mette col cuore nel sacro suo Costato, e di là manda un grido, che sarà nel più alto de’ cieli ascoltato per la riverenza che gli merita l’essere immedesimato col divin Redentore. – Deh! in quel prego solenne che mai deve e potrà egli dire? Se egli da quell’altezza abbassa lo sguardo alla terra, vede una corona di figliuoli, e in essa vagheggia le sue speranze di averli seco in Cielo. Se guarda in Cielo, scorge sopra quel trono di luce inaccessibile Iddio, che dissipa colla sua mano stessa i baleni, di che sfolgora la sua Maestà, e in quell’oceano di gloria si lascia travedere nell’aspetto di Padre, e sorride amoroso alla famigliola sua diletta. Se guarda in terra, vede a sé d’intorno tutte quelle anime affamate di bene; quei cuori con tante piaghe aperte: e s’affretta di raccoglierle, e lagrime di un popolo sofferente nel calice di benedizione, che viene ad offrire. Se guarda al Cielo, vede il Padre delle misericordie, che a ciascun dei patimenti di un istante di rassegnazione prepara una gioia che non avrà fine. Se torna alla terra, ascolta tanti figliuoli pellegrini, che gridano: « dateci pane e forza per poter reggere nel viaggio insino a Voi. » Mentre in cielo ascolta Gesù che dice al Padre: « Sono essi i figli del mio Sangue!» e Maria che esclama: « anche del mio quei poverini sono figliuoli! » e i santi che esclamano: « e’ sono fratelli; » e vede gli Angeli che scuotono sul capo le palme e le corone nel dire: « coraggio, queste sono per voi! » Allora pieno di confidenza allarga le braccia e s’abbandona dell’animo coi beati comprensori del Paradiso, presenta i bisogni della Chiesa e le sue speranze, piange le sue angustie, e le sue perdite, sospira colle lacrime di tutti gli afflitti, anela coi gemiti dei moribondi, vuole, sì, vuole la vita eterna di tutti. Poi con le più accese preghiere chiede pei suoi figliuoli, e questa e quest’altra grazia.., poi quest’altra ancora… « O gran Monarca del bene, pare che esclami finalmente, no, non vi chiedo più grazie particolari! E che sappiamo noi, che buono sia per noi, bisognosi di tutto, come siamo, e poveri ciechi, che non vediamo ciò che per noi sia meglio? Per effetto della vostra bontà, che ai supplicanti, le desiderate cosa concede (Orat. Domin. IX post. Pent.), deh! fate che vi chiediamo tutto e solo quello che voi vedete essere bene per noi: Voi ispirate le dimande, e la nostra preghiera raddrizzate, correggete, purificate. Padre Santo! noi per tutto il bene nostro ci getteremo in braccio a Voi, e i nostri bisogni vi dica il vostro Amore divino: noi vi mettiamo dinanzi il cuore squarciato di Gesù a dirvi tutto tutto per noi!… Per Lui dateci tutte le grazie; ma la grazia più grande, che vi domandiamo, è di essere per Lui beati a darvi gloria in Paradiso. » – Qui cessa il silenzio, alza la voce e annunzia questo grido, questo sospiro all’eternità a nome di tutti esclamando: « Per omnia sæcula sæculorum » (Questo alzar la voce del Sacerdote e terminare le acclamazioni dell’Osanna, esprime le acclamazioni delle turbe a Gesù entrante in Gerusalemme. (S. Bonav. n. 3 în Expos. Miss. cap. 8, De offert.).
Art. IX.
IL PREFAZIO.
Sul finire delle preghiere secrete il Sacerdote alza la voce qui, come per fare appello ai fedeli che ha d’intorno, quasi loro dicesse: « Non è vero, o figliuoli, che tutti i nostri desideri alla per fine vanno a finir qui, che noi vogliamo essere beati col sommo Bene per sempre in Paradiso? Io credo d’interpretar per bene i voti di tutte le bisognose anime nostre col domandarvi, o gran Padre di tutti i beni, per Gesù nostro qui con noi, e con Voi in gloria, il Paradiso per tutti i secoli, per omnia sæcula sæculorum. » E il popolo. « Amen. Sì, sì è questo appunto, proprio questo, che al tutto noi desideriamo il Paradiso. »
Il sacerdote. « Dominus vobiscum. » Il Signore v’accompagni tutti al Paradiso!
Il popolo. « Et cum spiritu tuo. » O buon padre, sia pure con voi il Signore, ed accompagni l’anima vostra.
Il sacerdote. « Sursum corda. » Per pietà, non vi perdete adunque dietro all’ombra
dei beni, che vanno in dileguo colla fugace instabilità del tempo. Al cielo, al cielo i vostri cuori! – Il Sacerdote, diceva s. Cipriano (De orat. Dom.) fino dai primi secoli della Chiesa, a fine di dare principio alla grande preghiera; dispone i suoi figliuoli con questa prefazione: « elevate i cuori; » lungi i pensieri della carne e del secolo; elevate i cuori vostri, questi cuori, cui niente è atto a riempiere sulla terra da Dio in fuori. Così si avvertono i fedeli che si appressa il formidabile Sacrificio, e tutti i pensieri debbono distaccarsi dalla terra, per unirsi a Dio in cielo, in braccio alla sua bontà (S. Cir. Mystac. 5.).
Il popolo. « Habemus ad Dominum. » I cuori nostri abbiamo già con Dio.
Il Sacerdote. « Gratias agamus Domino Deo nostro. »Ah! sien grazie all’eterno Signore Dio nostro:perché, dice s. Cipriano, noi indegni così volle atanta sua grazia chiamare (Cip. loc. cit.).
Il popolo. « Dignum et justum est. » È troppo degno, è troppo giusto, che gli rendiamo grazie per sempre.
Il Sacerdote. Veramente è troppo degno, e troppo giusto il render sempre grazie al Signore. No, non conviene che solo il Sacerdote, ma il popol suo tutto render deve grazie al Signore (S. Jo. Chrys. Hom. 18, in 2 Cor.).
Perché la gratitudine è la migliore disposizione per prepararci alle maggiori misericordie, che Dio è pronto a donarci: poiché, siccome noi non abbiamo niente che buono sia del nostro; così le nostre orazioni dovrebbero sempre incominciare col rendere a Dio le più umili grazie per tutti i suoi benefizi: essendo che il rendere a Dio tutto il merito di ogni bene è la prima giustizia. Poiché la giustizia sta nella rettitudine della volontà, la quale suol rendere agli altri quello che a loro si deve. Ora, ogni bene viene da Dio, il primo dovere di giustizia è di rendere gloria e grazia a Dio di tutto il bene che ognora ci dona. Perciò così sublimato il Sacerdote, sostenuto dalle preghiere del popolo, di cui è interprete e rappresentante, mandato dalla Sposa di Dio diletta, nell’intuonare il cantico di grazie, si slancia dell’animo in Paradiso esclamando : « Sì, veramente è troppo degno e troppo giusto; giusto non solo, ma salutare che noi sempre ed in ogni luogo rendiamo grazie a voi, o Signore santo, Padre onnipotente: e tali grazie, che, incominciate nel tempo, vogliamo continuarvi nel cielo, o Dio dell’eternità, per mezzo di Gesù Cristo. – È perché il Sacerdote in quell’istante porta il cuor pieno della memoria massime del particolare mistero che si va celebrando; col suo cantico acclama festeggiando quella solennità, che dà pascolo alla devozione dei fedeli. Quindi varia il prefazio col variare delle solennità.
(Nella festa della Natività di Gesù Cristo esclama: « Sì, veramente è degno e giusto di ringraziarvi, perché per il mistero di questo Verbo incarnato, agli occhi della mente nostra splendette una nuova luce della vostra chiarezza, sicché mentre per esso conosciamo visibilmente Iddio, per questo pure siamo rapititi all’amore delle invisibili Cose. »
Nel dì dell’Epifania dice: «Vi dobbiamo ringraziare, perché quando apparve questo Unigenito vostro, allora ebbe noi ristorati della luce della sua immortalità »
Nella Quaresima dice: « O Sigore, che pei meriti di esso Gesù, col corporale digiuno comprimete i vizi, elevate la mente, donate la virtù ed i premi. »
Nelle feste della Croce e della Passione: « O Signore, esclama, che la salute dell’umano genere avete messa sul legno della croce, affinché donde usciva fuori la morte, di là risorgesse la vita, e colui che nel legno vinceva, nel legno pure restasse vinto per Cristo Signor nostro. »
Nella Pasqua poi esclama: « È degno e giusto e salutare in ogni tempo invero rendervi grazie, ma specialmente in questo con maggior gloria esaltarvi, quando appunto fu immolato il Cristo per nostra Pasqua: Egli si è il vero Agnello, che toglie i peccati dal mondo, che la morte col morir suo distrusse, e la vita col risorgere suo ebbe ai suoi riparato. »
Nell’Ascensione poi dice di ringraziarlo: « Per Cristo Signor nostro, il quale dopo la sua risurrezione a tutti i suoi discepoli manifestossi nelle apparizioni ed al loro cospetto elevossi in cielo, per fare della sua divinità noi stessi partecipi. »
Nella Pentecoste rende grazie a Dio « Per Gesù Cristo Signor nostro, che ascendendo sopra tutti i cieli e sedendo alla destra di Lui, lo Spirito Santo promesso diffuse in quel giorno nei figli dell’adozione. »
Nella festa della SS. Trinità e in tutte le domeniche, nelle quali si rende ossequio particolare a quest’augustissimo mistero, ringraziando l’Eterno Padre, adora e confessa le tre Persone in tal modo: « Voi, o Padre, che coll’unigenito Figlio vostro e collo Spirito Santo siete un Dio solo e solo Signore, non nella unità di una persona sola, ma nella Trinità di una sola sostanza; poiché ciò, che rivelando Voi della vostra gloria, abbiam creduto, l’istesso pure del vostro Figlio e dello Spirito Santo noi teniam senza differenza di discrezione. »
Finalmente, rammentando le feste della SS. Vergine, dice teneramente all’Eterno Padre: « E cosa degna, giusta, equa e salutare il ringraziarvi in questa festa (e nomina qui la festa particolare) della beata Maria sempre vergine, tutti insieme qui lodarvi, benedirvi ed esaltarvi. Essa è colei che per opera dello Spirito Santo concepì l’Unigenito vostro, e restandole la gloria della virginità, diffuse nel mondo il lume eterno, Gesù Cristo Signor nostro. »
Nelle feste degli Apostoli ed Evangelisti dice: « E cosa degna, ecc. il supplicare Voi, o Signore, affinché Pastor che siete, non abbandoniate il gregge vostro, ma pei vostri Apostoli con continua protezione lo custodiate. Affinché dai medesimi rettori sia governato, i quali come vicari dell’opera vostra alla medesima avete collocato a presiedere come pastori. »).
Ma il canto di esultanza sempre conchiude col rendere grazie nel più tenero modo per Cristo Signore nostro. Deh! Quanto è grande la confidenza, che lo rianima ad invocare il Divin Salvatore, come strettosi ed identificato col Redentore in tal sublime elevazione, egli si frammischia alle schiere degli spiriti celesti, che assistono indivisibilmente al trono di Dio, e loro congratulandosi annuncia esultante, che lo stesso Verbo, Splendor della gloria, che in loro effonde tanta beatitudine, fattosi uomo, sta ora per stendere la sua mano divina anche a noi sulla terra, per sollevarci al Paradiso. Onde già essendo colla speranza aggregati alla chiesa del cielo anche noi; associati all’immortale radunanza degli eletti di Dio; sortiti all’eterna cittadinanza della celeste Gerusalemme, dove l’eternità sarà per noi con essi il termine della beatitudine: deh! intanto ci lascino pur di qui gli Angeli con loro lodarlo, le Dominazioni adorarlo; e le Potestà stare con esse tremanti innanzi all’Eterno ad ossequiarlo; i cieli, le Virtù dei cieli, i Cherubini ed i Serafini arder con loro dell’incendio dell’Amore Sostanziale; ed in santa esultazione provare fin d’ora il cantico dell’immortalità, incominciando a compiere l’officio dell’eterna beatitudine. Anche noi, domestici di Dio, candidati del Paradiso, facciamo eco al coro dei beati comprensori coll’immortale trisagio:
« È Santo, è Santo, è Santo delle vittorie il Re! Dio, che di tutto ha vanto, Che fu, sarà, qual è. In terra, in ciel solenne Osanna suonerà: Benedetto nel Signore chi pel Verbo al ciel verrà. »
Così in quest’inno di esultanza cantasi la gloria di Dio in tre modi di lode, a cui si frammischia due volte il grido dell’umiltà, che chiede salute coll’Osanna, che vuol dire « salvateci » (Card. Bona, Trat. Ascet. de Missa.). Cioè in prima si esalta la santità, la potenza ed il dominio di Dio acclamandolo tre volte santo Dio in se stesso, nell’augustissima Trinità, Signore degli eserciti, Dominatore del tutto. Poi si dà lode a Dio, celebrando la sua gloria creature coll’escmare, « che della sua gloria sono pieni il cielo e la terra. » E poi infine all’Onnipotente, al Padre di tutti i beni si grida « Osanna; salvateci; » e si acclama « benedetto » al Redentore, che viene a salvare. – Il Sacerdote intanto va già coll’anima in cielo a prostrarsi dinanzi a Dio. Squilla il metallo scosso dal chierico tremante appiè dell’altare, e dà avviso, il Cielo si abbassa alla terra. Le campane echeggiano per l’aria, e proclamano nella regione delle nubi il trionfo del Dio della bontà, che ammette gli uomini a conversare con Lui. Prostesi sul suolo in questo terribile momento adoriamo tremanti il tremendo mistero! …. Il Cielo è aperto sopra la terra. Qui le cose divine alle umane si confondono; e noi frammischiati con gli Angioli, sull’altare come sulla porta del Paradiso, teniamoci stretti col Sacerdote; affrettiamoci di coprire le nostre miserie colla croce di Gesù Cristo (fa il segno di croce), ivi sotto la croce offriamo il tremendo Sacrificio. Qui il Sacerdote, lasciandosi andare col cuore a Dio, è tutto tra il benedirlo e supplicarlo. (Quì abbassa la voce). Oh! par che la sua voce si perda per la via del cielo; e l’anime con esso volino ad incontrare il Salvatore benedetto, e a gridargli innanzi: « Osanna, Osanna, o Signore del cielo, salvateci tutti!… » Silenzio!… Silenzio!…. il Sacerdote e il popolo si smarriscono in Dio!… Anticamente in questo istante si serravano le porte della chiesa: nel rito armeno si cala giù un gran velo, che copre il Sacerdote e l’altare: nel rito latino una nube d’incenso involge il nuovo Mosè, che è sul mistico monte a parlar con Dio, e rende più misterioso e più augusto questo luogo tremendo. L’organo ha cessato i suoi trilli, ma sospira sommessamente; e direste che si fa interprete dei trepidi pensieri, che s’alzano tremanti, ma pur s’ avvicinano a Dio, come tirati a forza dall’amor di Gesù Cristo; direste, che l’organo nostro sta in forse, se debba far sentire la pia armonia agli Angeli assuefatti ai concenti del Paradiso; direste che organo confuso anch’esso, non rende un suono da festeggiare Iddio, che si abbassa, e non sa far altro che gemere in umiltà, e sospirare soavemente! O direm meglio col gran maestro Rossini, con quella sua anima piena di melodie che lo elevano all’armonia del Paradiso; l’organo colla flebile voce umana soavemente penetra nei cuori, li indovina, si fa interprete de’ più delicati affetti, e solleva i palpiti del cuor umano ai rapimenti de’ Cherubini e de’ Serafini, che s’imparadisano col Divin Figliuolo in seno a Dio.