QUARESIMALE (V)
DI FULVIO FONTANA
Sacerdote e Missionario
DELLA COMPAGNIA DI GESÙ
Venezia, 1711. – Imprim. Michel ANGELUS Præp. Gen. S. J. – Roma 23 Aprile 1709)
IN VENEZIA, MDCCXI (1711)
PREDICA QUINTA
Nella Feria feconda della Domenica prima
La terribilità dell’Universale Giudizio; per gl’orrori che precedono; per la severità dell’esame; per la sentenza, che sovrasta.
Cùm veneris Filius Hominis in majestate sua et omnes Angeli cu meo, tunc sedebit super sedem majestatis suæ, et congregabuntur ante eum omnes gentes, et separabit eos ad invicem.
Così con quel che segue, descrive San Matteo la venuta di Cristo per giudicare il mondo.
Io per me son fuori di me; ne so con quali parole, con quai periodi abbozzar lo spavento di quella tremenda giornata, in cui saranno giudicati i vivi e i morti. So che sarà dies Domini, che vale a dire, dies irae, dies calamitatis et miseriae, giorno di sdegno, di furori, di stragi. Padre amato, Padre San Francesco Saverio; voi, che sì bene imprimeste nella mente de’ vostri UU. il terrore di questo giorno; Voi Vergine Santissima, che ben lo comprendete, avvalorate lo spirito mio abbattuto; il mio cuore, che palpita, la mia lingua che trema mentre io senz’altro principio, do principio. Preparate pure R. A. il vostro cuore ai terrori, agli spasimi: mentre io procurerò mettervi sotto gl’occhi la spaventosa giornata dell’Universal Giudizio. Girolamo ne’ suoi volumi, e Iddio si nell’Apocalisse, come nell’Ecclesiastico ce lo descrive così: ecco, che in un subito si vedrà ricoperto di densissime nuvole il cielo; finché, dalla serenità di un giorno allegro si passerà alle tenebre d’una oscurissima notte, la quale altro lume non riceverà, che dalla luna grondante vivo sangue, da’ lampi spaventosi che atterreranno da’ fulmini spietati che inceneriranno. A’ terrori del cielo corrisponderanno gli spettacoli del mare, il quale tutto tumido e fluttuante s’alzerà per quaranta cubiti sopra l’altezza de’ monti più rilevati, indi abbassandosi si profonderà fino a perdersi di veduta, mutando in tanto le acque in color di sangue, e sangue putrefatto; li pesci e mostri marini, ancorché mutoli per natura, unitisi a gran schiere insieme, assorderanno d’insoliti clamori, e cielo e terra e in questa, ancor essa moribonda, ogni fiera, perché senza cibo, e senza riposo si stannerà da’ suoi covili gemendo e urlando, ogni erba de’ prati gronderà vivo sangue, ed in solite locuste, simili nella faccia all’uomo, ne’ denti al leone, nella coda agli scorpioni; s’avventeranno con fieri morsi ai peccatori, e ne faranno scempio crudele. Né qui finiscono gli orrori, poiché una grande aquila volando per l’aria griderà con voci di tuono, veæ veæ hominibus in terra, guai, guai a’ peccatori! Indi ferite da un Angelo più stelle ne cadranno pezzi a sterminio della terra. Dopo, scesi sopra di essi due milioni di Angeli sterminatori, guarniti di corazze impenetrabili di giacinto, scorrendo qua e là, su mostruosi cavalli a guisa di leoni di fuoco, faranno strage d’una gran parte degli uomini. – Ed è pur vero che questi preludi d’una giornata così tremenda, non son soli, v’è di peggio, perché unitamente à questi portenti armerà Iddio tutte le creature a danni del peccatore, pugnabit omnis creatura contra insensatos. Alle armi, alle armi dunque … orsi, tigri, pantere alle armi, non siete più soggette all’uomo. Fuori dalle vostre foreste, sfogate le vostre crudeltà sopra de’ peccatori. Leopardi, lupi, leoni alle armi, alle armi. Fuori delle selve, andate in traccia de’ scellerati. Sfogate la vostra ferocia, uccideteli, sbranateli, divorateli, serpenti, vipere, draghi, rospi, basilischi, alle armi contro degli iniqui. Fuori de’ vostri covili, infondete pestiferi veleni nelle carni ammorbate de’ perversi, ribelli al vostro Creatore. E voi terremoti non siate contenti delle stragi di Ragusa, delle rovine di Rimini, dello sterminio di Catania, ma smuovete da’ fondamenti ogni città, ogni terra, ogni castello; e fate che restino estinti e sepolti in un medesimo tempo tutti i peccatori. Voi fiere pestilenze non vi contentate degli spettacoli che cagionaste nella città di Napoli e di Genova a nostri tempi; mentre ne consegnaste alla morte fino a trenta mila in un sol dì; uccidete in ogni città, in ogni castello, in ogni contrada, quanti vivono nemici di Dio. O che orrori, o che miserie! veder tutte le creature sì irragionevoli, come insensate, armarsi contro del genere umano, e farne strage. Pensieri miei disperati io non so dove mi sia. – E pure non ho detto nulla, a paragone di quello che mi resta, poiché vi rimane la strage del fuoco divoratore. – Sono ormai scorsi sessanta e più anni, da che quel monte sì celebre, perché sì spaventoso del Regno di Napoli, detto il Vesuvio, aperta un’ampia bocca, vomitò un torrente di fuoco, che misto di zolfo, pece e bitume, durò ad ardere per dodici giorni nelle acque del mare vicino. Avereste veduto scagliarsi all’insù da quella accesa fornace nembi di grosse pietre, che con strepito di tuoni, e con violenza di fulmini, cadendo poi giù abbattevano case, uccidevano bestie e stritolavano uomini. Ah che prima di restare inceneriti e sepolti gli avreste sentiti esclamar: misericordia, è venuto il Giudizio, misericordia! Ma, se io fossi stato presente a queste dolorose esclamazioni, gli avrei con rimprovero, schiacciate le parole in bocca: sciocchi, che dite, il giorno del Giudizio? Eh mi meraviglio di voi, altro orrore, altro incendio sarà quello del giorno estremo. Questo fuoco che vomita il Vesuvio è fuoco prodotto dalla natura; ma quello del dì del Giudizio verrà dall’ira giusta di Dio implacabile. Questo esce da un sol monte; ma quello, secondo Alberto Magno, cadrà giù per ogni parte, scatenato dal cielo, sboccherà vomitato all’insù da mille voragini dell’Inferno. Il Giudizio eh, è venuto il Giudizio? Sciocchi tacete. Questo fuoco del Vesuvio scaglia ceneri, e sassi; ma quello assai più impetuoso sbalzerà in aria le stesse montagne. Questo riduce in cenere poche terre, e con esse gli abitatori, ma quello con mordacissima rabbia diramandoli in mille torrenti divorerà tutti gli uomini; incenerirà tutti i Regni; struggerà tutto il mondo. E voi dite: è venuto il giorno del Giudizio? Qua, qua miei UU. se così è, come è verissimo, che sarà allora delle vostre ville de’ vostri palazzi, de’ vostri poderi? Cenere, cenere! Che sarà de’ vostri magnifici sepolcri, delle gloriose inscrizioni, degli ameni giardini? O Dio, cenere, cenere! Che sarà, o dotti, de’ vostri libri, delle vostre statue, o eroi; delle vostre città, o principi? Cenere, cenere! Cenere dunque saranno, o donne, o dame, quelle camere, ove si giocava con tanta soddisfazione; quelle sale ove si ballava con tanto brio? Cenere dunque saranno quelle carrozze seguite da cavalieri! Cenere quelle vesti si pompose e alla moda; cenere, cenere insomma quei lisci, quegli ornamenti quelle gioje, quelle vanità, tutto sarà cenere, perché tutto prima fu fuoco: erunt omnes superbi, et omnes facientes iniquitatem stipula. (Malac. 4). Iddio farà appunto come suol farsi nelle guerre più fiere e più sanguinose; ove nè pur si perdona agli alloggiamenti nemici per dare à divedere la strage, che poi si farà degli avversari. Si abbrucci, dirà, la terra; ardano i cieli; tutto s’incenerisca; ma dico: e perché la terra? che ci ha da fare per se medesima? Che male commisero i cieli? Servirono, sento rispondermi, materialmente di agio, d’ajuto e d’instrumento agli uomini per peccare. Ardono i cieli, perché mandarono le loro influenze amorevoli sopra de’ peccatori. Arda la luna, si abbrucci il sole perché somministrarono luce agli empi. Arda la terra, perché gli somministrò le vettovaglie. Cælum novum, terra nova; qui si fa a guerra finita; si brucino tutti gli alloggiamenti, tutto s’incenerisca. Le leggi umane vogliono che, allorché si commettono delitti enormi, non potendosi avere il delinquente, si confischi la casa. In questo giorno terribile, quantunque il delinquente sia già tra i ceppi, e catene per esser condannato, la sua casa non farà confiscata, ma bruciata. Io per me son fuori di me; e se qui non cessano i preludi di giornata sì spaventosa, non so che dirmi di più. Non sai che dire di più? E non senti ciò, che si conclude dalle sacre carte, che tutti questi orrori, questi portenti, questi spaventi sono principio della funestissima tragedia? Hæc autem sunt initia dolorum. Dunque, preludio delle miserie d’un mondo, sono spettacoli spaventosissimi, scatenamento di creature, un fuoco divoratore? Così è. Date d’orecchio, e ne sentirete l’intimazione. Olà, che strepito è quello che sento? Dite, chi dà fiato à quelle trombe che mi spaventano? Gli Spiriti Angelici, sento rispondermi, che posti a’ quattro angoli del mondo rimbombano alle porte di N. e intimano ai mortali il risorgere, a tutti il comparire al divino tribunale: Surgite mortui, venite ad Judicium. Alzatevi su voi, che tenete i piedi sopra di quei Sepolcri, non sentite colaggiù lo strepito delle ossa, che si vogliono unire insieme? Ecco che la cenere s’ammassa in carne: ecco stesi sulla testa i capelli: eccoli in quella forma che vissero: o come si affrettano per andare al Divino Giudizio! vedete: parte ne vanno a mano dritta, e sono gli eletti: parte a mano manca, e sono i reprobi. Chi è quella che tutta scarmigliata nel crine, tutta piangente negl’occhi, tutta sospiri e singulti se ne va al Tribunale? chi è? È quella che entrava nelle Chiese tutta brio, tutta fasto, e vi veniva per esser vagheggiata, tutta ornata nel capo, tutta scoperta nel seno e braccia, appunto, non può essere, non può essere! E io vi dico , che è essa. O se io potessi essergli vicino, le direi: eh non credevi signora, che dovesse mai giungere questo giorno? Io ve lo dissi; peggio per voi. Se quando entraste in Chiesa, allor che io predicavo del Giudizio, invece di dar mente a tanti saluti che v’insuperbivano, invece di tante cerimonie superflue, voi vi foste messa ad udirmi di proposito, non vi trovereste in questo stato. E quell’altra chi è? Ella è quella che si faceva precedere i servitori à capo scoperto ne’ tempi più rigidi del verno, volendo più rispetto à sé che a Dio. Ma dove sono quei Sacerdoti, da’ quali si faceva servire con tanta temerità? fino à farsi dare e di braccio, e da bere? Dove quel cavaliere che da per tutto l’accompagnavano? Non vi è niuno; se ne va sola soletta al divino tribunale. Su fido cameriere, correte ad acconciare la vostra signora; non vedete come ella è lurida, lercia? su portate le vesti più belle; prendete le gioie più preziose, deve andare avanti non d’un monarca terreno ma d’un Dio: Che vesti, che gioje? sento rispondermi non vi è più tempo; non fervono più a nulla. E quello, che tutto tremante e pieno di paura se ne va al tribunale, chi sarà mai? Egli è quel cavaliere à cui il dono della nobiltà non servi che per accrescere superbia; non intendendo, che l’obbligo di cavaliere è d’esser cortese. E quell’altro, che tanto ricco nel mondo, or del tutto è spogliato, qual sentenza riceverà? Pessima, perché nega ai poveri un piccolo sussidio; e quel ch’è peggio, non ha il capitale d’un’opera buona. Fermatevi dove vi ponete! Non è questo il vostro luogo. Andate a mano sinistra tra i reprobi, tra i dannati; e perché? Io fui fedele al mio consorte: così è, ma infedele al vostro sangue, permetteste alle vostre figlie non solo gli amori, ma le cadute ancora. Olà voi a mano manca nel numero de’ presciti? Padre fui fedele alla consorte, sì, ma posta sotto de’ piedi la reputazione del mondo, vi metteste ancora la legge di Dio, contentandovi delle leggerezze peccaminose della vostra consorte, e che talora servisse ad altro letto. E voi dove andate? Son Sacerdote! bene, ma maneggiate Cristo con mani sacrileghe, e con cuore immondo. Ma ohime, che vedo? Ecco, ecco schiere d’Angeli guerriere, che precedono al grande Iddio, millia millium ministrabant Ei, et decies centena millia assistebant Ei. O Dio! quale sarà l’orrore, quale la confusione, e lo spavento del peccatore, non in vedersi schierato a fronte un esercito d’uomini vili, ma d’Angeli così potenti, che un solo in breve ora uccise più di settanta mila Assiri, ed in tanto numero che, secondo una sentenza di San Tommaso, potriano dividersi in trenta mila milioni d’Eserciti, ognuno de’ quali fosse composto di trenta mila milioni di Combattenti e poi così nemici de’ peccatori, che se Iddio loro il permettesse, scenderebbero fin giù nell’Inferno per lacerar quanti vi sono quivi dannati. Angeli, Angeli ho gran timore di voi, non lo nego; ma troppo , ahi troppo mi fa gelare il sangue nelle vene il Dio degli Angeli. Eccolo, eccolo in nubibus Cæli in potestate magna, et majestate; eccolo, eccolo con la gran guardia di tuoni, di fiamme, di turbini, di fulmini, e di tempeste … circuitu ejus tempestas valida: già risuona con Eco funestissima la Valle destinata al Giudizio: già gemono gli Abissi, già si scuote la Terra e tremano i Cieli. Che farete, miseri, allorché vedrete quell’istesso Signore, che oltraggiaste, comparire per esser vostro Giudice severo? Ah, che se voi poteste, per non vederlo, vi cavereste gli occhi di propria mano. – Il Re Saule, essendo vinto in battaglia da’ Filistei, contro de’ quali si ricordava d’aver tante volte mossa la guerra, temé sì altamente di andar vivo nelle loro mani, che si appoggiò col petto sopra la punta della sua spada per far più tosto una morte da disperato. Ma voi infelici non solamente non potrete darvi la morte; non potrete cavarvi gli occhi; ma neppur calarli per non veder la faccia fulgorante dello stesso Dio, contro del quale avete mossa guerra fierissima d’amori, d’odii, d’interessi, … videbunt, in quem transfixerunt; non accadde altro, il trono è innalzato posuit in Judicium Tronum suum. – Quà dunque tutti a render conto. Non occorre o miserabili, che inorriditi voltiate le spalle, né che invochiate i monti, ché vi ricoprino. Già Dio si è dichiarato per Amos, che si absconditi fuerint in vertice caunelli, inde scrutans auferam eos. Qua, qua dunque tutti, ove severamente s’intima un’inevitabile redde rationem villicationis tuæ. Redde rationem o Ecclesiastico: rendete conto di quelle Chiese alla vostra cura commesse, di quelle entrate lasciatevi per ornamento degli altari, per aiuto de’ poveri; come dispensaste il Sangue di Cristo nelle Confessioni; con che purità lo maneggiaste all’altare; con che carità lo distribuiste a’ popoli; con che zelo toglieste gli abusi, emendaste i peccatori, assisteste a’ moribondi, ajutaste le anime ricomprate da Cristo e a voi raccomandate? Redde rationem, rendete conto di quell’offizio, che tante volte lasciaste, che con tanta irriverenza diceste; di quel coro, a cui assisteste con tante risa, con tante ciarle, con tante immodestie; rendete conto. Redde rationem o religioso: vi chiamai alla sicurezza del chiostro, e voi sempre desideraste d’uscirne; vi levai dalle occasioni di peccare, e voi sempre ne andaste in cerca. Rendete conto di quella obbedienza che prometteste, e sì male osservaste; di quella povertà contro la vostra professione abborrita; di quella castità oltraggiata con sacrilegi. Qua, qua padri di famiglia, rendete conto di quei figli male allevati, di quelle sostanze dissipate, di quella moglie strapazzata, di quel servitore non pagato, perché insegnaste ai figli più le bestemmie, che le orazioni? Perché impediste a quel figlio l’ingresso alla Religione; riafferraste per forza nel monastero quella figliuola? Perché non pagaste quel legato; dissipando più tosto il danaro in giochi, in bettole, in capricci? rendete conto. Madri, eccovi al tribunale! Rispondete, perché insegnaste à quella figlia più ad esser bella che buona, più vana che modesta? Perché l’allevaste più per il mondo, anzi per l’inferno tra gli amori, che per Dio alla pietà. Al tribunale, al tribunale o figli, rendete conto di quella età più innocente macchiata con sordidezze; di quelle parole di oltraggio a’ maggiori; di quelle sostanze prese senza licenza, dissipate non solo senza utile, ma con precipizio dell’anima ne’ vizi: Rendete conto di quelle scelleraggini insegnate a’ compagni, di quel tempo perduto con tanto vostro danno ne’ carnevali, tra i giochi, tra gli amori, tra i peccati. Qua, qua tutti … – Redde rationem o superiore, de’ tuoi sudditi; o suddito di quelle irriverenze; donna, di quelle vanità; conontadino, di quei poderi; bestemmiatore, mormoratore, di quella lingua sacrilega. Ebbene; cosa dite? che rispondete a queste interrogazioni? Bisogna pure che tutti si palesino i vostri peccati. Voi adesso potete nascondere, potete celare le vostre iniquità; ma in quella tremenda giornata tutte si hanno da manifestare. Eh Padre, non è possibile che si abbia da sapere ogni mia azione peccaminosa. Non vi lusingate, peccatori, perché delle vostre iniquità non se ne ha da perdere il conto, fallire il numero, d’imbrogliare le circostanze; tutte ad una ad una farà la Divina Sapienza comparire le vostre colpe ne’ libri con ogni aggiustatezza tenuti, ne’ registri con ogni fedeltà custoditi. E quando anche questi mancassero in quel giorno di tutta giustizia, accuseranno i vostri delitti gli Angeli, che sempre vi custodirono, e mai riconosceste; il confessore, che per troppo rigido fuggiste; quel compagno sì buono di cui vi burlaste: vi accuseranno, sì, v’accuseranno le mura stesse delle Chiese profanate con irriverenze; sarebbe, quasi dissi, poco male; diciamola, interdette con laidezze; v’accuseranno i sassi di quelle piazze passeggiate con tanto scandalo; quelle camere, quelle segretissime stanze, ove occultamente peccaste. Ma quando ben altri non v’accusasse, v’accuserà la vostra propria coscienza, testimonio fedele de’ vostri misfatti: si publica fama te non damnat, propria conscientia te condemnat. Peccavimus direte, o peccatori, accusando voi stessi; peccavimus dai primi giorni della fanciullezza fino agli ultimi della vecchiaia: e a far bene il conto abbiamo commesso più colpe che non sono i giorni, e forse l’ore del nostro vivere: peccavimus in ogni luogo, senza riguardo a Chiese, a piazze a strade, a monasteri di cacre vergini: peccavimus con ogni sesso, con ogni condizione di persone, in tutti i tempi, nelle feste, ne’ lavori, di giorno, di notte, dopo correzioni infinite, dopo ispirazioni incessanti, dopo rimorsi amarissimi, dopo aver tante volte promesso l’emendazione, il tutto disprezzando iteratamente: peccavimus… Che farò io miserabile in mezzo di tante accuse; se tremarono al pensiero di questi ultimati processi le colonne più stabili della Chiesa? Miro attonito, un Benedetto, senza colore un Bernardo, atterrito un’Ignazio, ricoperto di sacco e di cenere con un David, un Francesco d’Assisi: Hi qui oderunt adventum Judicis, quid facient? Esclama Gregorio, si terrore tanti Judicis, etiam qui diligunt, contremiscunt. Olà, cheti, silenzio. Io per rivelazione di Dio ho da pubblicare in presenza di questo popolo il più orrendo peccato, che abbia mai commesso in vita sua uno di voi, che state ad udirmi? Che dite? udite: Un giorno, dirò meglio; di mezza notte il Signore: ma no, che non è questo luogo da giudicare, ma da compungere. Or se Dio veramente me lo rivelasse, dirò col Crisostomo, e volesse, che io qui dicessi: il signor tale, la signora tale nel tal giorno, commise il tal delitto; e ciascuno di voi sa quello potrei dire. Ditemi, che fareste al solo sentirlo pronunziare? certo, che fuggireste a seppelirvi in uno di questi sepolcri, almeno per l’eccessiva vergogna prendereste bando da tutti per sempre. Or qual sarà la vostra confusione in quel giorno; quando, non uno, ma tutti i vostri peccati, non in presenza di poco popolo, ma dell’intero universo, in faccia degli amici, de’ cittadini, de’ nobili, de’ cavalieri, de’ parenti, del marito, del padre, de’ superiori, di tutti insomma, a suono di trombe infernali, a grida de’ diavoli, dalla voce stessa di Dio, quante mai commetteste scelleraggini, tante ne saranno pubblicate? Un certo giovane si era dato si dissolutamente à piaceri impuri, che all’anima nulla più pensava, come se anima non avesse; per farlo risolvere à cambiar vita niente giovavano, né le correzioni de’ parenti, né le ammonizioni degli amici, né le riprensioni de’ confessori; non vi restava per tanto altro rimedio che dal cielo: questo vi adoprò Iddio. Comparve al giovane dissoluto il Signore una notte, quando egli più profondamente dormiva, e fattosi vedere accompagnato da schiere Angeliche, in majestate sua. E che fa, disse rivolto agli Angeli, questo audace, che vive ostinato nel peccato? O muti vita, o si citi subito a questo mio tribunale per riportarne il dovuto castigo; così disse, e disparve la visione. Si destò il giovine, ma tanto atterrito, che
levatosi dal letto, si vide incanutito per lo spavento. Col pelo mutò il vizio, poi che confessatosi visse santamente. Argomentate or voi da questo racconto quanto sarà terribile quel giorno, mentre la sola immagine compilata in sogno poté rendere dentro una notte d’un giovine un vecchio canuto. Su, dunque, si muti vita: si lascino i traffici illeciti, gli odi bestiali, le amicizie indegne, e non s’indugi, se non si vogliono provare i rigori funestissimi di quella estrema giornata, nella quale non vi è speranza di dovere essere aiutato da chi che sia. Se voi speraste, o miei UU. di poter trovare in quel giorno terribile rifugio, o aiuto, v’ingannate. E chi volete, pazzi che siete, che vi soccorra in die furoris Domini? non vi saran per voi né Santi, né avvocati, né protettori; tutti contro di voi saran la causa di Dio. Spererete forse nell’Angelo custode; ma come? se esso terrà in quella giornata la spada per eseguire la sentenza; forse ricorrerete alla Vergine? Non già; perch’Ella nasconderà bellissima Luna i suoi raggi, ed in quel dì funesto … non dabit lumen suum: forse da questo Cristo cercherete pietà; ma come? Se Egli severissimo Giudice vi rimirerà più che torbido; e sarà quello che, per uffizio griderà redde rationem! Non vi sarà dunque soccorso: sarà finita per voi: e voi a questa verità non temete, non tremate? non vi risolvete ad abbandonare i peccati, a dare di bando a’ vizi, à ben confessarvi? Avvertite, che se indugiate, verrà, così non fosse! verrà tempo, che vorrete pentirvi, e non vi pentirete, e non pentendovi, proverete i rigori del Divino Giudizio, che porta seco una irreparabile sentenza di dannazione … Dio non lo voglia.
LIMOSINA.
Negli umani Giudizi è proibito al Giudice da tutte le leggi il prender regali, per il pericolo che si corre di dar la sentenza più a favore del regalo che della giustizia. Nel supremo Tribunale del Giudice eterno le cose vanno al contrario; perché la volontà del Giudice è legge d’ogni rettitudine. Si dichiara Cristo che in quel giorno la sentenza favorevole si darà solo a chi regala secondo la sua possibilità: quod uni ex minimis meis fecistis, mihi fecistis. Fate dunque a gara di regalare il Giudice Cristo nella Persona de’ poverelli, se volete poter sperar la sentenza in favore.
PARTE SECONDA
Il processo è finito, il reo è convinto; resta la formidabil sentenza, da cui dipenderà l’eternità o di pene, o di premio: Venite benedicti;… discedite a me maledicti; queste due cose finiranno i tempi, stabiliranno l’eternità. Se così è, come potrà cadere in mente de’ miei UU. di più peccare? Tumanama Satrapo nativo delle Indie Occidentali, dove la gente usa scimitarre di legno, accusato di non so qual delitto a Vasco Nugnez, uno de’ Conquistatori di quei Paesi, si pose avanti ad esso ginocchioni, e dopo aver detto le sue ragioni, messa la mano sul pomo della Spada del Nugnez, proruppe, piangendo, in queste parole: E potete voi credere, che a me sia neppur caduto in mente d’offendervi; mentre so, che portate qui al fianco una spada, che divide in un sol colpo un uomo da capo a piedi? Ah miei UU., chi ben considera questa spada terribile, che metterà divisione tra gli eletti ed i reprobi, questo Cortello ex utraque parte acutus, che uscirà dalla bocca d’un Dio fulminante; come è possibile, che possa indursi a peccare? Sì, sì udiamone la pronunzia, perché ci rimanga ben fissa nel cuore. Su, su, dirà Iddio; vengano al possesso del Paradiso quel sacri Pastori, che presiederono vigilantissimi al mio gregge, e con essi, su venga quel sacro Clero che con vita ecclesiastica edificò le città. Su, su, al cielo o religiosi che viveste penitenti nelle celle, astinenti ne’ refettori, salmeggianti ne’ chori, che imitatori del vostro gran Padre, foste indefessi ne’ studj Santi, abbatteste eresie, e confutaste i nemici della Chiesa. Su, su, voi, che predicatori evangelici propagaste la mia gloria. Su, su, Servi di Maria mia Madre, che con pietà animaste i popoli alla di Lei devozione. Al Cielo, o dame, che viveste senza vanità . Al Cielo o cavalieri che viveste senza fasto. Al Cielo mercanti, artisti, che senza frodi trafficaste. Al Cielo in somma voi tutti che viveste osservanti de ‘ miei precetti: su, su, Venite Benedicti Patris mei; possidete paratum vobis Regnum; risponderanno i giusti a questo con un volo, che gli porterà dietro a Cristo verso l’Empireo. Venite, venite, ripiglierà il Redentore, voi, che chiamati obbediste, e dietro a me portaste la croce; venite liberi dal mare delle tribolazioni, vestiti di stole bianche lavate nel bagno del mio salutifero Sangue. Venite alla vita o Martiri, voi, che per me sopportaste la morte: venite al possesso de’ miei beni, voi, che per me vi spogliaste di tutto il mondo. Venite alla corona o Vergini, che per me immacolate vi conservaste, al premio, al premio per la battaglia, che sosteneste, al riposo, per le fatiche che tolleraste. Al Cielo, per la terra che calpestaste, o miei Santi: venite a benedire in eterno il mio Padre, che ab eterno v’ha benedetti. Venite Benedicti Patris mei; possidete paratum vobis Regnum. O Dio, che feste, che trionfi, che giubili saranno allora nel cuore de’ beati! – Non così per voi ribelli ecco la vostra sentenza: Discedite a me, partitevi da me vostro Dio, vostro Principio, vostro ultimo Fine; partitevi da me vostro Redentore; da me, che per voi mi feci Uomo, né mai cessai di piangere, e penare per vostro amore; da me, che per salvarvi m’esposi a croce, a morte; Discedite dal mio regno, da’ miei beni, dal mio Paradiso: Discedite, partitevi dal cospetto di questi Santi, che mi circondano, di questi Martiri miei soldati, di queste vergini mie spose: Discedite partitevi dalla faccia della mia Madre che adirata non può vedervi. Discedite a me maledicti, partitevi da me, maledetti da me, maledetti dal mio Padre, maledetti nell’anima, maledetti nel corpo, maledetti nell’intelletto, nella volontà maledetti ne’ vostri compagni, maledetti nel tempo, maledetti per sempre; avete amata la maledizione, eccola: Discedite a me maledicti, e dove? In ignem æternum. Non vi caccio da me, perché viviate a capriccio, come avete fatto finora, ma per rinchiudervi in una prigione; non vi scaccio da me, perché vi portiate a quelle veglie, a quei balli, a quelle feste: ma in ignem, al fuoco, in una prigione ove il tetto, le mura, il pavimento farà di fuoco: né qui finisco in ignem æternum nel fuoco eterno, eterno, eterno, che non avrà mai fine, e appena proferitasi dalla bocca di Dio quella parola æternum, appena fulminata questa sentenza, punto non di tarderà ad eseguirla. Voi ben sapete che appena Mosè ebbe finito di parlare contro i due ribelli di Dio Datan e Abiron; e subito si aprì sotto de’ piedi la terra, e vivi vivi se l’inghiottì. Così avverrà in quell’istante. Appena Cristo avrà finite di sentenziare contro i reprobi, che verrà subito a spalancarsi per mezzo la gran valle di Giosafatte, e gli assorbirà subito nel suo fondo, ibunt hi in fupplicium æternum. – Miei UU. unum de duobus, grida il Crisostomo, ha da toccare a voi, a me; o la salute, o la perdizione, o il Cielo o l’inferno, l’esser benedetti, o l’esser maledetti in eterno, e a noi sta l’eleggere: pensate a’ casi vostri, che io per me ho pensato ai miei, ed andate in pace.