LO SCUDO DELLA FEDE (230)
LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (4)
SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA
Mons., BELASIO ANTONIO MARIA
Ed. QUINTA
TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908
LA MESSA
PARTE I
LA PREPARAZIONE
CAPO II
Art. 1
SACRE VESTI.
L’Amitto
Segnasi col segno di croce per porsi, dirò, sotto la croce come sotto l’albero della salute, e venire protetto dall’ombra sua, come colui, che allo scoperto non reggerebbe di presentarsi alla Divinità. Poi impone l’amitto sopra il capo. Come gli antichi guerrieri mettevansi l’elmo in capo, e della gorgiera, di che l’elmo era fregiato, si coprivano a difesa il collo intorno, così dell’Amitto, scopresi il capo, il collo, e lo stende giù per le spalle e sul petto (Rub. Miss. Præp.). L’amitto è un misterioso velo, che significa il Sacerdote dovere solo per Dio riservare gli affetti del cuore, a Lui interamente consacrato, anzi coprirsi come d’un velo il capo, la bocca, il petto, perché niente di guasto, di vano, di falso abbia da offendere colui che è chiamato sul santo Monte a conversare con Dio (Bona, Trac. ant. de Missa., Bened. XIV, De sac. Missæ). L’uomo, così posto al sicuro dagli attacchi del mondo, alza il capo, il cuore, la voce, per combattere le battaglie del Signore, forte per l’armatura della fede, di che risplende terribile al nemico di Dio e degli uomini. Così il Sacerdote resta il capitano della crociata di Dio. Ecco ragione della guerra eterna dell’inferno e de’ suoi contro i Sacerdoti. Bene sta: quando si fa guerra al re, sono i guerrieri, che stan per lui, che ne ricevono i colpi della vita. Il Sacerdote dice perciò mettendosi l’amitto: « imponi, o Signore, al mio capo l’elmo della salute per combattere gli assalti diabolici. » Mai non è da dimenticarsi, che il Sacerdote non solo sacrifica in nome di Gesù Cristo, ma anche lo rappresenta; perché il suo sacerdozio è uno con quello del gran Pontefice eterno Gesù Cristo, il quale è pur la gran Vittima ad un tempo. Il perché il Sacerdote rappresenta Gesù come sacrificatore, e rende immagine di Gesù Cristo come vittima (Durandus Minut. Ep. Ration., div. off. lib. 3, cap. 4.). – Perciò giova qui avvisare, che dopo le altre significazioni simboliche e morali, noi toccheremo delle significazioni, che riguardano Gesù Cristo direttamente; fra le quali una è questa, che l’amitto significa il velo, col quale i Giudei bendarono gli occhi a Gesù, quando gli scaricarono sul volto benedetto quegli orrendi schiaffi, dicendo: « Indovina chi ti ha percosso, o Profeta da burla (Manzi loco cit.). » L’Amitto significa pure la corona di Spine, egualmente che la santa umanità, di che velò sulla terra la sua divina persona (Bona loc. cit. Manzi Del vero ecclesiastico).
Il Camice.
Ecco il bianchissimo camice (alba), simbolo dell’umana natura purificata nel Sangue dell’Agnello immacolato Gesù (Card. Bona trac. an. de Missa.). Il battesimo, la penitenza, poi le sante lagrime, la compunzione e tutti i mezzi di santificazione mirano qui, cioè a riparare i guasti fatti dal peccato nelle anime nostre, ed a restituirle nell’originale giustizia e santità; affinché, purificati per i meriti di Gesù Cristo, compiamo la nostra destinazione, che è questa, di poter giungere ad essere beati in seno a Dio. Dice perciò nell’atto di vestire il Camice: « Lavatemi, o Signore, e mondate il mio cuore, affinché, reso candido nel Sangue dell’Agnello, possa fruire dei gaudi sempiterni. » – Ecco adunque il Sacerdote vestito tutto di bianco, che significa l’uomo dover essere purificato delle braccia, perché si affretti a lavorare a gloria di Dio, e deporre della sua vita continue offerte sull’Altare, che arde in cielo innanzi al trono dell’Eccelso; purificato delle ginocchia, e fatto degno di prostrarsi innanzi all’altare, a presentare all’Altissimo ossequiosa adorazione; purificato dei piedi, affinché cammini diritto sul sentiero della legge divina, sull’orme segnate dall’Uomo-Dio; purificato del petto e di tutta la persona, perché, ricreato in santità, sia degno d’essere assorto in Dio (Idem. Amalarius Ben. XIV, loc. cit. Rupertus Abba. Tuil. de div. off. lib. I, cap. 20. De Alba Hug. Card. in Apocal. cap. 2, I. Durand. loc. cit.). – Il Camice significa anche la veste di Cristo, con che Erode lo vesti per ischerno per farsi trastullo di lui come d’uomo pazzo (Manzi loc. cit.). Bene sta; una vita monda che piace a Dio, è stoltezza agli occhi di coloro, che s’involgono nel fango d’ogni lordura, qui sulla terra. Ahì disgraziati! hanno bruttato in sé la santa immagine di Dio, perciò, senza pure volerlo, sentono ribrezzo di presentarsi a Dio, e per non sentire i lamenti della coscienza, che latra, gridano allegramente: « godiamo, godiamo l’istante presente; » e con brama infocata si ingolfano nei vizi, cercando furiosi nelle soddisfazioni della carne la felicità, che sola si trova in Dio; carnefici della propria pace, ché per andamenti sozzi di vita e mper opere dissolute, diventano feccia e scolatura d’ogni ribalderia, e sì gettano miseramente a disperazione!
Il Cingolo.
Poi il Sacerdote si stringe la vita col Cingolo, che significa l’angelica virtù della purità (Miss. Rubr. de præpar. Miss.), che rende la carne nostra degna di Dio: e, « cingetemi, o Signore, ei dice, col cingolo della purità ed estinguete nella mia carne l’umore della libidine, affinché rimanga in me la virtù della continenza e della castità. » Il voto della castità sposa a Dio il Sacerdote che ha giurato di volere i suoi affetti purificati (Bona Durand. Rutio div. off. lib. 3, cap. 3 De Alba Petrus Bles. Barhon Arcid. cit. 40.) tutti a Lui consacrare, e le sue delizie cercare in Lui solo; ed il Cingolo significa questo legame di caste nozze divine. Come i buoni fedeli appendono quei loro voti d’argento con belli nastri e gala intorno alle immagini care alla divozione dei popoli; così questo Cingolo appunto appende come un voto purissimo all’altare, a piè del Crocefisso, la persona devota e consacrata a Dio, e legata a Gesù unico oggetto delle sue tenerezze di Paradiso (Ben. XIV loc. cit.): e rappresenta pure i vincoli, che legarono Gesù nell’Orto. In tal modo il Sacerdote si lega, e va ad offrirsi con Gesù sull’Altare.
Il Manipolo.
Stende quindi il braccio sinistro a ricevere il Manipolo, e bacia sopra esso la croce. Questo era forse anticamente una pezzuola, di che i fervorosi nostri antichi Padri si asciugavano le lagrime, senza cui non potevano mai celebrare così santi Misteri. Sembra pure che il Manipolo servisse come di un pannolino per astergersi (Alcuinus De div. off. c. quid. signif. vestim.), e presentare con garbo e pulitezza sull’altare i santi vasi al Suddiacono affidati. Esso, colla croce che porta, significa la vita presente, in cui la nostra miglior porzione sono le lagrime ed i travagli, che Gesù ci comparte (Id. Rub. Miss. de præp.). La terra è un esilio per noi creati pel paradiso; la vita è un tempo di prova, e sono meriti di vita eterna le tribolazioni della vita presente. Verrà tempo, e non è lontano, quando sarà per noi gran fortuna l’aver avuto da soffrire con Gesù Crocifisso. Mieteremo allora in gaudio per l’eternità ciò che abbiam seminato lagrimando nel tempo (Duran. Ruper. ab Bona. Psal. CXXV.). Noi adunque, finché siam confinati qui sulla terra, siamo in bando, in pressura, in catene; ed il braccio sinistro, a cui si lega il Manipolo, significa la carne umana; che tiene legata la nostra persona colla terra, in cui dobbiamo espiare le nostre colpe coi patimenti (Ben. XIV loc. cit.). E siccome il Manipolo rappresenta anche la corda, che teneva avvinto alla colonna il benedetto Gesù, mentre Egli sopportava quella tempesta di battiture (Durandus, loc. cit.), ed eziandio la sua santa umanità, per cui restava Egli legato al mondo e soggetto ai patimenti; noi così con Gesù Cristo legati alla terra soffriamo, Lui fissando lassù in cielo dove godremo la vera libertà dei figliuoli di Dio, e diciam flagellati con Gesù Cristo, come il Sacerdote nello stendere il braccio, a cui si stringe il Manipolo: « fatemi degno, o Signore, di portare il Manipolo del pianto, e del dolore, perché con esultanza riceva la grande mercede eterna, che la vostra misericordia ai brevi travagli di questa povera vita apparecchia in paradiso; » e baciamo la mano, che ci manda le croci, e ci santifica i patimenti.
La Stola.
Così l’uom di Dio rinnovellato alla vita in Gesù Cristo, con Lui preparato a combattere la battaglia del Signore, e durarla da forte sotto il peso della tribolazione, pone sul collo segnato di croce la Stola. La Stola esprime il terzo vincolo, col quale fu legato Gesù, quando portava la croce. Essa è un dignitoso ornamento di autorità che si adopera nel presentarsi alle più importanti funzioni: significa la veste dell’immortalità, che, perduta pel peccato del primo Padre, riacquistiamo nei meriti di Gesù Cristo. Adunque, dove nell’anima nostra, spogliata della grazia che la rendeva degna di vita eterna, sovrabbondò il peccato, e del peccato fu stipendio la morte, ora la giustizia di Gesù Cristo, cancellando la nostra ingiustizia, fa che nell’anima nostra sovrabbondi la grazia (Ad Rom. V, 20.); e questa grazia è pegno di vita immortale. La Stola di color vario secondo il variare della solennità d’ogni dì, e splendida di oro e fino brillante di gemme, significa la veste dell’immortale gloria, che in cielo ricorda i vari meriti dei beati. Chi visse vita angelica in carne qui, vestirà il candor degli Angeli in cielo; e belli della luce del color di mite viola di paradiso saranno gli umili e i penitenti: splendidi i martiri dello splendor del Sangue divino: e le anime grandi in carità ricche in quella gloria della stola d’oro del regno dell’immortalità. Tutto questo viene significato dal nobile arredo, che è la ricca Stola, di che si adorna il Sacerdote dicendo: « rendetemi, o Signore, la Stola l’immortalità, affinché, quantunque indegno m’accosti al vostro santo Ministero, meriti pure il sempiterno gaudio ». Qui giova osservare il bel rito, con cui il Sacerdote compone la Stola sulla sua persona. Prende adunque egli questa, che significa la veste dell’immortalità infiorata di tutte virtù, che hanno da render risplendente l’anima nostra eternamente in paradiso, e la indossa formando con essa stretta sul petto una Croce, per farci intendere, che la virtù negli uomini è sincera e sicura solo, quando è saldata nella Croce di Gesù Cristo. Lo possiamo dire francamente: abbiamo diciotto secoli di prove, e sappiamo dalla storia di molte migliaia d’uomini che, chi guarda il Crocifisso, e lo medita, e vi si raccomanda, sotto la Croce di Gesù Cristo, si sente venire giù sull’anima da quelle piaghe santissime un balsamo, che guarisce le due piaghe eterne del cuore degli uomini; la piaga dell’orgoglio vile, e della voluttà schifosa; ma, chi volge le spalle al Crocifisso, con tutta la filosofia in corpo, resta pur sempre l’uomo dell’orgogli o vile e della voluttà schifosa. Non vi è adunque altro me a salvarci, fuorché unirci a portar la croce con Gesù Cristo, obbedienti insieme con Lui fino alla morte (Rub. Miss. praep. Bona, Durand. Ben. XIV loc. cit.) crocifiggendo la propria carne, serbarci immacolati dalle sozzure di questo secolo. Col cingolo ferma al fianco la Stola, il che pare voglia esprimere, che tutte virtù stanno in sesto, massime nei Sacerdoti, e risplendono come i più belli ornamenti agli occhi di Dio e degli uomini, finché campeggiano sopra di una vita monda. Che se d’una carne rinata nel Sangue di Gesù Cristo si fa vitupero di brutto peccato, allora si rompe il legame, che la unisce a Gesù e la compone a santità: e come nel vestimento sacerdotale, rotto il cingolo, cade giù a penzolone dalla persona in disonesto modo ogni adornamento, così, rotta al mal costume la vita, che deve essere santa, cade tutto in disordine vituperevole: lasciandosi poi andare l’uomo ai desideri d’una carne corrotta in fracido di snervamento dell’anima e del corpo, anche il lustro della virtù che sì possedeva, serve a rendere più disonorevoli e più deformi i disordini di una vita vituperata. Il Sacerdote velato dell’amitto, di candida veste interamente coperto, stretto dal cingolo al fianco, col manipolo legato al braccio, adorno della stola, colla croce sul petto, rappresenta l’uomo ricreato in Gesù Cristo, e rigenerato nello Spirito Santo alle opere di vita eterna.
La Pianeta.
Or ecco che veste la Pianeta; che significa la veste nuziale, colla quale solo è permesso comparire ad aver parte al gran convito per noi preparato da Dio (Innoc. INI, Ben. XIV, et Bona De Missa ei Durandus loc. cit.). E la veste nuziale è la carità, la quale colla sua forza e soavità rende leggiero il giogo di Dio (Rubrica Miss.). La Pianeta ha la croce dinanzi, che l’occupa tutta: perché, quando Gesù Cristo s’addossò la croce, coprì colla sua carità la moltitudine dei nostri peccati. La Pianeta significa anche la tunica inconsutile del Salvatore, che fu giocata ai dadi ai piè della Croce (Durand. loc. cit.). La bontà del Redentore per noi ha lasciato che gli giocassero fin l’ultimo de’ cenci che lo coprivano: così dava proprio tutto per noi! Ora il Sacerdote che rappresenta la Chiesa, la prende come il regal vestimento, che convien alla Sposa del Re divino, che ha dato per lei fino la vita (S. Laurentius Justin. lig. Visa de Car.). Perciò il Sacerdote, della Pianeta ricoperto nella persona, ci rappresenta Gesù Cristo, che porta nella Croce il peso delle nostre iniquità (Bona loc. cit.). Colla carità di Gesù Cristo confida di portare con costanza il peso del suo ministero, ed il caro giogo della legge di Dio; dice adunque in atto d’indossarsela, « O Signore, che avete detto: Il mio giogo è soave, ed il mio peso è leggero, fate che io così portar lo possa da meritarmi la vostra grazia. » Così il santo ministro, immediatamente a Cristo congiunto per l’unione dell’immortal Sacerdozio, che Gesù continua in Cielo, e cui esso Sacerdote come suo strumento esercita in terra, deve sempre ardere di quella carità, che in Dio sfavilla uguale ed eterna; la cui figura in terra nella legge antica si aveva in quel fuoco perpetuo, che doveva ardere sull’altare degli olocausti, per bruciarvi il grasso delle ostie pacifiche; il quale fuoco veniva mantenuto dal Sacerdote col porvi ogni mattina le legna (Lev. 6, 12, 13). Ora Cristo accese sulla terra la carità, fuoco spirituale, da quel materiale significato; e il Sacerdote ha da mantenerlo colle legna (chi nol vede?) della Santa Croce, di cui egli ha misticamente caricatala sua persona, e sulle quali rinnova egli ogni mattina il gran sacrificio dell’altare; il qual fuoco della carità donde ha da poter venire, se non dal cielo? Questo indicavano le fiamme, che, cadute nella legge antica di cielo, consumavano i sacrifizi. Ecco adunque il principio e la fonte inesauribile di quella vita di carità, che rende immortale, sempre attivo è più potente della morte, il Cattolicismo; voglio dire il sacrificio del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, che si consuma vero olocausto dal Sacerdote in un incendio di carità divina. Così egli è pronto all’azione tremenda, questo uomo di Dio. Ha il segno della corona di spine sul capo, la croce sul petto, la croce sulle spalle, la croce sul braccio; la croce sull’uno e sull’altro fianco, le mani piene di sacri crismi, che ricordano le mani piene di Sangue di Gesù Crocifisso, vero rappresentante di Cristo, il sacerdote misticamente con Lui crocifisso; come Gesù si avviava al Calvario portando la croce, egli, recando gli arredi, coì mezzi quali vuole compiere il gran sacrificio, va all’altare.