S. S. Gregorio XVII
Omelia del S. NATALE – S. Messa nella Notte (1975)
Era notte, come è notte ora. E siamo certi che era notte, perché il testo stesso parla dei pastori sollecitati ad accorrere ad adorare il Bambino, mentre vegliavano di notte il gregge. Era notte. Vorrei che riflettesse su questo fatto: non c’era luce. Possiamo credere che l’unica luce in una fredda notte invernale fosse soltanto quella delle stelle. Non c’era nessuno: alcun conforto, alcun sussidio alcuna assistenza, alcun consenso, alcun amico. Non c’era splendore, non c’era gloria, non c’erano applausi. Nessuno in terra. E questo il punto: era notte. Si direbbe che una mano divina nel fatto allora e nella narrazione oggi separi i due campi: è questo che dobbiamo imparare. Venendo al mondo il Figlio di Dio a questo modo ci richiama a una verità, o meglio, a una distinzione semplice e fondamentale per la saggezza di tutta la vita umana: tra quello che conta e quello che non conta, quello di cui non possiamo fare a meno e quello del quale possiamo fare a meno, restando pienamente quello che siamo. – Che cosa c’era quella notte? Un bimbo che nasceva: era il Figlio di Dio. C’era una Madre, che è anche Madre nostra. C’era un uomo custode di entrambi: S. Giuseppe. Non sappiamo che ci fossero altri. Sì, la leggenda – è leggenda -, che ha interpretato assai male un testo di Isaia, ha messo accanto al presepio un asino e un bue. Poveretti, ci sarebbero stati bene, e non è detto che non ci fossero, ma non lo sappiamo. Comunque, a fare a meno di un asino e di un bue occorre poco. C’era una grandezza divina che non ha bisogno di vestirsi di nessuna pompa umana, c’era un’umiltà profonda, quasi scalpellata nella stessa roccia della grotta che ancora esiste, c’era l’atto di obbedienza. Nella Lettera agli Ebrei S. Paolo ci ricorda che Cristo, entrando nel mondo, ha detto e ha scritto in capo alla sua vita allora: “Sono qui, o Padre, per fare la tua volontà” (cfr. Eb X, 9). È questo quello che conta: quello che vien da Dio, quello che può appartenere a Dio, quello che può non essere rifiutato da Dio, quello che è nella verità, perché l’umiltà non è altro che la verità della nostra condizione, quello che è la saggezza, perché non c’è altra saggezza che quella dell’obbedienza verso Chi ha il diritto di imporci la norma, e nessuno questo diritto lo può contestare a Dio che è il Creatore. La distinzione tra quello che conta e quello che non conta: perché gli uomini imparassero, perché gli uomini sapessero quello che è una priorità della loro estimazione e quello che può essere confinato al secondo, al terzo, al decimo posto. La notte ha la sua eloquenza, perché la notte toglie le apparenze, come se quella notte dovesse insegnare all’umanità di non credere mai troppo e spesse volte nulla alle apparenze. Questa è la saggezza di questa santa notte.- Noi sappiamo che poi intervennero gli Angeli e cantarono il cantico che abbiamo udito poc’anzi. Ma questo non appartiene più alla storia degli uomini, questo appartiene soltanto a quell’ordine soprannaturale del quale solo l’umiltà e l’obbedienza del Figlio di Dio ha potuto darci notizia e certezza. – Penso che il miglior augurio che io vi possa fare, cari, per Natale sia quello di distinguere bene tra quello che conta e quello che non conta, tra quello che è sostanza e quello che è apparenza, tra quello che può valere di fronte al cielo e quello che a lungo andare vale niente anche di fronte alla terra.