DOMENICA V DOPO PASQUA (2022)
Semidoppio. – Paramenti- bianchi.
La liturgia continua a cantare il Cristo risorto e ci invita, in questa settimana delle Rogazioni, ad unirci a quella preghiera con la quale il Salvatore ha chiesto a Dio di far partecipe, con l’Ascensione, la propria umanità di quella gloria che, come Dio, possiede fin dall’eternità (Off.). Anche noi possederemo un giorno questa gloria, poiché ci ha liberati dal peccato con la virtù del Suo Sangue (Intr., Comm.). Poiché Gesù Cristo partendosi da noi ci ha lasciato come consolazione « di poter pregare in nome suo, onde la nostra gioia sia perfetta », cosi domandiamo a Dio « per nostro Signore » di non rimanere senza frutto nella conoscenza di Gesù, affinché, credendo alla sua generazione da parte del Padre, (Vang.) noi meritiamo di entrare con lui nel Regno di suo Padre.
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Isa. XLVIII: 20
Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiate usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja.
[Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]
Ps LXV: 1-2
Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus.
[Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: dà a Lui lode di gloria].
Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiáte usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja
[Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]
Orémus.
Deus, a quo bona cuncta procédunt, largíre supplícibus tuis: ut cogitémus, te inspiránte, quæ recta sunt; et, te gubernánte, éadem faciámus.
[O Dio, da cui procede ogni bene, concedi a noi súpplici di pensare, per tua ispirazione, le cose che son giuste; e, sotto la tua direzione, di compierle.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli.
Jac. I: 22-27
Caríssimi: Estóte factóres verbi, et non auditóres tantum: falléntes vosmetípsos. Quia si quis audítor est verbi et non factor: hic comparábitur viro consideránti vultum nativitátis suæ in spéculo: considerávit enim se et ábiit, et statim oblítus est, qualis fúerit. Qui autem perspéxerit in legem perfectam libertátis et permánserit in ea, non audítor obliviósus factus, sed factor óperis: hic beátus in facto suo erit. Si quis autem putat se religiósum esse, non refrénans linguam suam, sed sedúcens cor suum, hujus vana est relígio. Relígio munda et immaculáta apud Deum et Patrem hæc est: Visitáre pupíllos et viduas in tribulatióne eórum, et immaculátum se custodíre ab hoc sæculo.
“Carissimi: Siate osservanti della parola, e non uditori soltanto, che ingannereste voi stessi. Perché se uno ascolta la parola e non l’osserva, egli rassomiglia a un uomo che contempla nello specchio il suo volto naturale. Contemplato, se ne va, e subito dimentica come era. Ma chi guarda attentamente nella legge perfetta della libertà, e persevera in essa, diventando non un uditore smemorato, ma un operatore di fatti, questi sarà felice nel suo operare. – Se alcuno crede d’essere religioso, e non frena la propria lingua, costui seduce il proprio cuore, e la sua religione è vana. Religione pura e senza macchia dinanzi a Dio e al Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni, e conservarsi incontaminati da questo mondo”.
STUDIO E CURIOSITA’.
L’esposizione cristiana — ed è il Cristianesimo che noi, sulle orme degli Apostoli veniamo esponendo in queste spiegazioni — oscilla tra le verità più alte, trascendenti addirittura ed i concetti più umili, più pratici. Qualche volta il pensiero apostolico vola, tal altra cammina per vie piane, quasi trite. Abbiamo volato con Paolo, camminiamo oggi con S. Giacomo. Il quale è molto preoccupato dei pericoli della speculazione pura, anche religiosa. È facile illudersi e credere, per illusione, che il parlare molto di una cosa, o il meditarla profondamente, lo specularvi d’intorno voglia dire amarla per davvero. Illusione funesta sempre; ma più funesta quando la materia della illusione, sia religiosa; quando si creda religiosità o religione perfetta la speculazione teologica la più sottile e più alta. La speculazione ci vuole, perché noi uomini, anche nel campo religioso siamo esseri intelligenti, razionali: vogliamo capire. È un bisogno ed un dovere, è un ossequio a Dio: l’ossequio dell’intelligenza. Ma non basta, ma non è la cosa più importante. Perciò l’Apostolo dice ai fedeli: siate osservanti della Legge, non solo curiosi di essa. Mettetela in pratica, non appagatevi di conoscerla a perfezione. E continua osservando che il fare diversamente, il preferire la speculazione curiosa all’osservanza pratica, il guardare e sentire al fare, ancora il separare quello da questo, è un’illusione, un auto inganno. – E dopo avere insistito su questo concetto fondamentale, non con l’abilità del sofista, ma collo zelo dell’apostolo, conclude in un modo e con una formula anche più severamente e modestamente pratica, che per le sue qualità apparenti, può anche scandalizzare, ma che importa rammentare sempre per fare del buon Cristianesimo, fare della religione autentica. La quale consiste, dice l’Apostolo (e adopera la parola « religione pura ed immacolata presso Dio e il Padre ») nel « visitare i pupilli e le vedove tribolate ed oppresse, custodendo il proprio cuore senza macchia fra la corruttela del nostro secolo ». Visitare i pupilli e le vedove tribolate, oppresse; notoriamente i deboli sono stati il bersaglio della perversità vile. E nessuno è così tipicamente debole come la vedova coi suoi orfanelli. Le anime pagane approfittano di queste debolezze per opprimerle e spogliarle ed angariarle: prendono quel poco che c’è, spogliano di quel nulla che è rimasto. Le anime pagane… le quali proprio così, proprio in questo assalto ostile, cupido avido al poco benessere di questi deboli, si rivelano tali: pagane. Ed è inutile che ostentino così facendo, così trattando il prossimo, sentimenti buoni di adorazione, di amore per il loro Dio, per Iddio. L’abito religioso su queste anime egoistiche è una maschera, che non inganna nessuno, certo non inganna Dio. La pietà verso di Lui si rivela e traduce in modo irrefragabile solo nella carità operosa, benefica verso i poveri, anzi verso quei poveri che non sono più poveri, verso quelli dei quali chi fa il bene non ha nulla da umanamente ripromettersi, tanto sono poveri e miseri! I pupilli e le vedove, bersagliati, oppressi. Il linguaggio apostolico è di una singolare chiarezza. Senza questa carità o attuata, o almeno sinceramente voluta, non c’è religione, c’è una lustra di Cristianesimo. Ma basta questa carità, perché si possa dire religiosa un’anima? Basta? Delicato problema, ma a cui si può sicuramente rispondere: Se c’è in un’anima carità sincera, senza secondi fini, senza alterazioni innaturali, c’è la religione, almeno embrionalmente. Non c’è ancora la pienezza, c’è già il principio: non c’è ancora l’albero, c’è già il germe. Non siamo all’arrivo; siamo alla partenza per… verso la religione, verso Dio. Ecco perché noi possiamo predicare a tutti i nostri uditori, a quelli che hanno ancora la fede e a quelli che non l’hanno forse mai avuta, che forse l’hanno disgraziatamente perduta: siate caritatevoli, cioè fate la carità, e avrete nell’anima l’aurora e il meriggio di Dio.
(G. Semeria: Epistole della Domenica – Milano – 1939)
Alleluja
Allelúja, allelúja.
Surréxit Christus, et illúxit nobis, quos rédemit sánguine suo. Allelúja.
[Il Cristo è risuscitato e ha fatto sorgere la sua luce su di noi, che siamo redenti dal suo sangue. Allelúia.]
Joannes XVI: 28
Exívi a Patre, et veni in mundum: íterum relínquo mundum, et vado ad Patrem. Allelúja.
[Uscii dal Padre e venni nel mondo: ora lascio il mondo e ritorno al Padre. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XVI:23-30
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum jam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli ejus: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.
[“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: In verità in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve lo concederà. Fino adesso non avete chiesto cosa nel nome mio: chiedete, e otterrete, affinché il vostro gaudio sia compito. Ho detto a voi queste cose per via di proverbi. Ma viene il tempo che non vi parlerò più per via di proverbi, ma apertamente vi favellerò intorno al Padre. In quel giorno chiederete nel nome mio: e non vi dico che pregherò io il Padre per voi; imperocché lo stesso Padre vi ama, perché avete amato me, e avete creduto che sono uscito dal Padre. Uscii dal Padre, e venni al mondo: abbandono di nuovo il mondo, e vo al Padre. Gli dissero i suoi discepoli: Ecco che ora parli chiaramente, e non fai uso d’alcun proverbio. Adesso conosciamo che tu sai tutto, e non hai bisogno che alcuno t’interroghi: per questo noi crediamo che tu sei venuto da Dio”].
Omelia
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.
LA PREGHIERA E LA VITA ETERNA
Lontano dalla casa paterna, in cammino verso una terra ignota, Giacobbe giunse sul finir del giorno in una landa solinga e brulla. Era stanco; e, presa una delle pietre che erano colà, se la mise sotto il capo e si addormentò. In sogno vide una scala drizzata in alto, il cui piede poggiava sul deserto e la cui cima toccava il firmamento. Dio stesso era seduto sul gradino supremo, e due lunghe teorie d’Angeli, l’una che discendeva l’altra che ascendeva, percorrevano la scala misteriosa, recando messaggi. Quando il patriarca si svegliò dal suo sonno, disse: « Veramente il Signore abita in questo luogo, ed io non lo sapevo » (Gen., XXVIII, 16). Di questa scala misteriosa, oggi, vi voglio parlare. Non crediate cercarla lontano da voi, perché il luogo donde essa s’innalza è il vostro cuore. Questa scala è la preghiera. Per essa gli Angeli, messaggeri di amore, salgono e scendono: salgono portando a Dio i bisogni, le necessità, i desideri degli uomini e scendono portando agli uomini le grazie, i doni, i favori di Dio. E il Signore noi lo troviamo sempre in cima a questa scala, sempre pronto a tendere l’orecchio misericordioso per raccogliere il gemito e il sospiro che sale dal basso. Che mirabile cosa è la preghiera! Una volta Dio adirato sta per lanciare lo sterminio contro il popolo d’Israele. Mosè prega: e Dio ritira la sua vendetta. Un’altra volta il popolo eletto, dopo una giornata di battaglia, è sorpreso dalla sera senza aver potuto dare il colpo decisivo; eppure era necessario che il nemico non avesse una notte in mezzo da potersi rifare. Allora Giosuè prega: ed ecco il sole arrestarsi sull’orizzonte e prolungare la giornata di qualche ora. Tre fanciulli innocenti son cacciati per ordine d’un re iniquo nella fornace ardente. Nel fuoco pregano: e la fiamma perde la sua natura distruggitrice e li accarezza senza bruciarli. Daniele è calato in una caverna piena di leoni, affamati. Il profeta prega e le belve accovacciate a’ suoi piedi gli fanno una fedele compagnia. La terra di Palestina è tormentata dall’arsura; ogni erba è morta, e i campi gemono, screpolandosi per il secco. Elia prega: e il cielo in poco tempo si annuvola e piove. Ma perché dovrò io contare altri esempi? Udite tutti la parola che Gesù Cristo ci grida oggi dal suo Vangelo: Amen, Amen! In verità, in verità! « Qualunque cosa chiederete al padre in mio nome, l’otterrete: ve lo dico Io! Su dunque, domandate, perché il Padre vi ama ed è contento se gli chiedete grazie Domandate! Petite, ut gaudium vestrum sit plenum. Da soli, con le nostre forze soltanto, non siamo capaci che di fare il male. Ogni nostro dovere, anche il più piccolo è superiore alle nostre energie: è necessario per compiere salutarmente che Dio ci aiuti con la sua grazia. Ma, di solito, non si ottiene grazia se non per la preghiera. Tanto meno poi si può entrare in Paradiso, senza di essa: si entrerà senza il battesimo di acqua, ma senza la preghiera, no! Domandate, se volete la vostra allegrezza ». Ma perché allora un dovere tanto essenziale è così trascurato? Perché nel mondo non si prega più? La preghiera è indispensabile agli uomini. Eppure non si prega. Ecco la contraddizione che dobbiamo meditare per ricavarne un proposito di salvezza. – LA PREGHIERA È INDISPENSABILE. A Roma, Daria la santa sposa di Crisanto fu imprigionata, perché era cristiana ed aveva convertito una folla di donne dall’idolatria alla vera religione. Ogni tormento fu escogitato per lei; ogni seduzione diabolica fu messa in opera per rovesciare la sua virtù. Da ultimo fu condotta in luoghi infami, ma Daria levati gli occhi e le mani al cielo pregò. Ed ecco vicino a lei apparire un leone fulvo e maestoso, pronto ad azzannare chiunque osasse molestarla ancora. Dum in oratione fixa est, leonis tutela a contumelia divinitus defenditur (Brev. Ambr., Die XXI Oct.). O Cristiani, e la nostra anima in questa vita non è circondata da terribili nemici come santa Daria? Quanti tormenti il demonio non escogita anche per noi! Quante tentazioni non mette in opera! Anzi il mondo intiero, in mezzo al quale viviamo, è una tentazione continua, esasperante. Tutte le condizioni della vita, tutte le cose che ci attorniano, sembrano d’accordo in una lega infernale per tramare la nostra perdita. Se siamo ricchi, le ricchezze ci fanno dimenticare l’anima inclinandoci verso i sedimenti sensuali. Se siamo poveri, la povertà ci inasprisce, e ci fa maledire la Provvidenza divina. Quando gli affari vanno bene ci abbandoniamo all’allegria mondana. Quando vanno male, ci lasciamo abbattere dalla disperazione. Quando ci troviamo onorati e collocati in alto, subito la superbia ci gonfia. Quando siamo calunniati e disprezzati, l’odio e la vendetta mordono il nostro cuore. Se siamo giovani e sani, ci sono le passioni gagliarde dei sensi. Se siamo vecchi e malati, ci sono i malumori e le mormorazioni. Nel fondo di miseria in cui è costretto a vivere, quale speranza di salute resta ancora all’uomo? la preghiera. Essa è il leone della nostra forza. Non c’è salvezza, senza la preghiera! Non siete Cristiani, senza la preghiera! a) Ecco un’anima che trovasi alle prese con una tentazione sensuale che la domina, con una abitudine di peccato dalla quale è tiranneggiata: di giorno e di notte, in solitudine e in compagnia. Essa si lamenta, vorrebbe liberarsene, e la forza le manca. C’è un rimedio solo: la preghiera. Come la lucerna trema se l’olio scarseggia, e si spegne se l’olio le manca, così la fede è incerta quando si prega poco, ed è morta quando non si prega più. « Signore! — gridava S. Pietro — aiuta la mia fede, ché io temo ». b) Ecco infine altre anime: accasciate sotto il peso delle tribolazioni, sono stanche di patire, sono stanche di piangere. Eppure, nuove disgrazie, altri dispiaceri costringono a patire ancora, a piangere ancora. Anche per queste c’è un rimedio, ed uno solo: la preghiera. Come i polmoni sofferenti hanno bisogno di un largo e fresco respiro, così il loro cuore ambasciato ha bisogno di tanta preghiera. « C’è qualcuno di voi in tristezza? — scrive S. Giacomo — Preghi e gli passerà » (Giac., V, 13). E Gesù buono dice: «Voi che faticate e sopportate venite a me per ristorarvi ». Per andare a Gesù bisogna salire la scala dell’orazione. – EPPURE NON SI PREGA. La fanteria e la cavalleria numerosissima di Oloferne assediò un giorno la città di Betulia. Alcune spie si presentarono al capitano sanguinario e gli dissero: « Oloferne! se vuoi vincere gli Israeliti senza combattere, togli a loro l’acqua e metti guardie a tutte le fontane, sicché non vi possano attingere senza perire a fil di spada ». Oloferne tagliò l’acquedotto che dava da bere alla città; e poiché vide che non lungi dalle mura v’erano delle fonti, a cui di sfuggita gli assediati correvano a bere, ordinò che fossero custodite in ogni momento. Passati venti giorni in cui al popolo di Betulia si distribuiva l’acqua a dosi sempre più scarse, la città non ebbe più goccia da bere. Allora uomini e donne, giovani e fanciulle, si radunarono a piangere e ad urlare. « Noi moriamo di sete davanti agli occhi del nostro nemico. Arrendiamoci tutti spontaneamente all’arbitrio di Oloferne » (Giud., VII). Oloferne, o Cristiani, è il demonio ed il suo antico stratagemma non l’ha dimenticato. Far morire le anime di sete! Togliete la preghiera dal mondo, e tutto il mondo assetato si abbandonerà a discrezione nelle mani dell’eterno nemico. Volgete lo sguardo intorno: perché il mal costume e l’incredulità dilagano? Perché tanta rovina di anime? Perché non si prega più! Io parlo di tante famiglie dove non solo si è dimenticato l’Angelus Domini a mezzogiorno, ma anche il Rosario alla sera. Io parlo di tanti e di tante che passano tutte le mattine e le sere senza pregare Dio, ed è molto per loro farsi un segno della croce mentre si spogliano o si vestono. Parlo di tutti quelli che non hanno provato ad ascoltare altra Messa, fuor di quella di precetto, che non hanno provato a ricevere la santa Comunione se non in tempo pasquale. Parlo di quelli che hanno l’abitudine di mormorare o di bestemmiare, ma non quella di ripetere ferventi giaculatorie. Povera gente, come farà a salvare l’anima? Ma io non sono capace di pregare. Non immaginate che per pregare sia necessario un lume speciale, una secreta conoscenza dei misteri della fede, un metodo scientifico. Niente di tutto questo: la preghiera è il sospiro che si leva dall’anima commossa davanti alla sua miseria. L’anima parla a Dio, come un amico all’amico; s’affligge d’averlo offeso; si sforza di piacere a Lui, e a Lui solo. Quando parlate con vostro padre, quando gli narrate i vostri crucci e gli chiedete aiuto, forse che andate rimuginando le parole, e almanaccate le cose che gli dovete dire? No: ognuno dice quello che dal suo cuore trabocca. Così dobbiamo fare con Dio, ch’è nostro Padre, quando preghiamo. – Ma io non ho tempo di pregare, sono troppo occupato dagli affari. O Cristiani, chi dice così non ha capito niente di quello che è la preghiera. Senza la preghiera non potete salvare l’anima; e salvar l’anima è l’affare più vero e più necessario. Ma io m’annoio a pregare e mi distraggo continuamente. È perché il vostro cuore è immerso nelle vanità del mondo: voi amate le creature, le ricchezze, le passioni e non volete bene al Signore. Anche gli Israeliti quando cominciarono a riempire il loro ventre coi frutti della terra, perdettero il gusto della manna che scendeva dal cielo (Gios., V, 12). Ma io non prego più perché non ottengo niente. O non pregate bene, o non pregate abbastanza, oppure v’ingannate. Anche quando sembrerà a voi di non essere esauditi, ricordatevi che Dio nella sua bontà sta preparandovi grazie molto più grandi di quelle che gli chiedete. – Il convento di S. Francesco da Paola in Calabria era aggrappato alla costa d’un monte. Forse per lo sgelo, e forse per altro, un mattino di primavera si staccò dalla vetta un macigno colossale che rotolando di balza in balza devastava le foreste ed ogni cosa sul suo cammino. All’orrendo rimbombo i frati escono in cortile e vedono: fu un urlo di terrore. Ma S. Francesco, ch’era in mezzo a loro, sollevò le mani e pregò. Ecco il macigno balzare un’ultima volta e poi fermarsi miracolosamente, non molto sopra al convento. Qual forza misteriosa lo aveva arrestato nella discesa irrefrenabile? La preghiera. Nella vita, ci sono dei giorni in cui sopra il nostro capo sta per cadere un macigno e schiacciarci: forse è una sciagura materiale e più spesso è una sciagura spirituale. Talvolta è sopra la nostra famiglia che gravita la sventura, talvolta è sopra un’intera nazione. Oh se non ci fosse la preghiera ad arrestare la valanga della vendetta di Dio? Oh se non ci fossero tante anime nei conventi e nelle clausure e nelle famiglie stesse che pregano per i peccati del mondo, quanti si troverebbero addosso la morte, improvvisa come un macigno che rotoli dall’alto, e dalla morte sarebbero già stati travolti nell’eterna rovina!
I DIFETTI DELLA PREGHIERA. « Come si spiega allora, — pensano alcuni, — che molte volte ho pregato ed il Signore ha fatto il sordo con me? » Non diamo la colpa al Signore quando la colpa è tutta nostra: se non abbiamo ottenuto è perché abbiamo pregato male. Non accipitis eo quod male petatis (Giac. IV, 3). E S. Agostino spiega: « Non ricevete o perché voi siete cattivi, o perché domandate cose cattive, o perché pregate malamente ». Non accipitis eo quod mali, mala, male petatis. Consideriamo, ad uno ad uno, questi difetti che rendono vana la nostra preghiera. – EO QUOD MALI. Il re Antico si vide perduto (II Macc., IX). Era stato scacciato da Persepoli vergognosamente; ed anche i suoi generali, Nicanore e Timoteo, erano stati sconfitti dai Giudei. Il Signore poi, che tutto vede, lo faceva spasimare con un lancinante dolore di visceri. E quasi non bastasse, mentre spingeva a corsa impetuosa il suo cocchio, il cavallo impennatosi lo sbalzò sulla strada, ammaccandolo in tutte le membra. Quando quest’uomo perfido, che aveva sognato di comandare alle onde del mare e di pesare sulla sua stadera le cime dei monti, si vide sbattuto a terra, quando vide la sua carne sfasciarsi e marcire viva in un fetore a cui egli stesso non sapeva più resistere, allora rivolse a Dio la sua preghiera. « È giusto ch’io mi sottometta al Signore… ». E pregandolo, promise che avrebbe dato libertà a Gerusalemme che poco prima aveva pensato di ridurre a cimitero; promise di restituire l’oro e l’argento che aveva sacrilegamente rubato nel tempio; promise di rispettare quei Giudei che non reputava degni neppur di sepoltura ma che avrebbe voluto sterminare e lasciarli in preda agli avvoltoi e alle belve; promise perfino di farsi circoncidere e diventare anch’egli uno del popolo di Dio. Quante promesse! E quale fervore in questa preghiera! Eppure i dolori non cessarono, eppure non guarì. Tra le montagne selvagge e rocciose, lungi dal suo paese, abbandonato da tutti, come l’ultimo miserabile del mondo, disperatamente moriva Antioco, il re. Perché Dio, che è sì buono, non ha esaudito la sua preghiera? Orabat hic autem scelestus (Macc. IX, 13). Con cuore iniquo e senza aver rinnegato alla sua malizia, costui pregava Dio, a quo non esset misericordiam consecuturus, dal quale non avrebbe giammai ottenuto grazia. Pensiamo un poco: noi, che spesso ci lamentiamo di non essere esauditi nella preghiera, come stiamo di coscienza? Come pretendere che Dio ci ascolti se siamo in peccato? Il peccato ci fa servi del demonio: e noi dopo aver servito il demonio, abbiamo il coraggio di domandare la paga al Signore? Il peccato ci fa nemici di Dio: e noi pretendiamo che Egli aiuti i suoi nemici i quali si beffano in Lui, e saranno peggio che prima? Il Signore non è come gli uomini che vedono appena la vernice esterna, ne scruta nel cuore. Possono essere belle e buone le parole che gli diciamo, ma se il nostro animo è cattivo non saremo esauditi; bensì riceveremo il rimprovero che Gesù lanciò in faccia agli ipocriti farisei: « Questa gente mi onora con la bocca, ma il loro cuore è lontano da me. Vi dico che mi onora inutilmente ». (Mt. XV, 8). Quante volte ancor noi abbiamo pregato con la bocca mentre il nostro cuore era lontano: con una creatura, con un divertimento, con una passione, col demonio. Perciò non fummo esauditi. – EO QUOD MALA. « Finora, — diceva Gesù, — non avete chiesto cosa alcuna nel mio nome: domandatela e la riceverete ». Che cosa significa domandare nel Nome del Salvatore? Significa chiedere cose che riguardano la nostra eterna salvezza. A quanti Gesù potrebbe rispondere la parola che disse ai figli di Zebedeo: « Voi non sapete cosa domandate » (Mt. XX, 22). Purtroppo la nostra debolezza ci china verso terra e ci mette la benda sugli occhi circa l’ultimo fine della vita. Infatti, che cosa si domanda da tanti? Forse la luce della verità, forse l’amore della virtù, l’aumento della grazia? No, non è così. Si domanda una vita senza croci, piena di ricchezze, di onori, si domanda che questa terra che è valle d’esilio diventi un paradiso. E spesso questi beni sono la rovina di molte anime. Quanti se non fossero stati ricchi ora sarebbero in Paradiso; quanti se non fossero saliti tanto in alto tra gli uomini, ora non sarebbero discesi tanto in basso tra i demoni; quanti, se a tempo opportuno avessero avuto una croce, una malattia, la morte, ora non gemerebbero per sempre nel fuoco eterno! Ecco perché Iddio, che ha la vista più lunga della nostra, non sempre ci esaudisce quando gli chiediamo i beni del mondo. Chi è quella madre che darebbe a suo figlio per giocare un rasoio, le forbici, gli aghi? E voi pensate che Dio non faccia per le anime nostre quello che anche noi sappiamo fare con i nostri figliuoli? Il Signore disse un giorno a Salomone: « Domandami quel che vuoi e l’avrai ». Oh se facesse a noi questa domanda! Chiederemmo subito una vita lunga come quella di Matusalem, una forza terribile come quella di Sansone; chiederemmo ricchezze infinite. Invece Salomone rispose: « Dammi, o Signore, lo spirito della sapienza che guidi i miei passi sulla retta strada, e non ti abbia ad offendere mai ». E Dio fu commosso da questa risposta e aggiunse: « Giacché non mi hai domandato un bene fugace del mondo, ma un bene eterno, abbiti non solo la sapienza, ma anche un regno florido e ricchezze, e onori, tutto ». Ricordiamo anche noi, quando preghiamo, la parola di Gesù: « Cercate soprattutto il regno di Dio e la sua giustizia; il resto vi sarà dato per giunta ». – EO QUOD MALE PETATIS. La preghiera talvolta non è esaudita perché fatta male: senza umiltà, senza sostanza, senza fiducia. a) Senza umiltà: Due uomini entrano nel tempio a pregare. Uno è un fariseo, l’altro è un pubblicano. Il fariseo, dritto davanti a Dio, non fa che esaltare se stesso e umiliare gli altri: « Grazie, o Signore, che non m’hai fatto un ladro, un ingiusto, un disonesto come gli altri, come quel pubblicano là in fondo ». Il pubblicano invece, là in fondo, non osava neppure levare gli occhi dal suolo e si batteva il petto e singhiozzava: « Signore, sii buono anche con me che son peccatore ». « Guardate — concluse Gesù, narrando la Parabola, — guardate che dal tempio uscì giustificato solo il povero ed umile pubblicano (Lc., XVIII, 14). b) Senza costanza: Un uomo, a mezzanotte in punto, batte alla porta d’un suo amico. « Amico, prestami tre pani. M’è capitata gente che ha fame in casa, ed io non ne ho più, nemmeno una briciola ». L’amico non viene neppure alla finestra e di dentro gli risponde: « Senti, mi dispiace, ma ho già chiuso tutta la casa. Io sono a letto, i miei figli anche: non vorrai farci alzare per darti del pane!… ». L’altro in piedi davanti alla porta chiusa non si scoraggia e comincia a battere. Batte una volta, due, tre… L’amico non può più dormire. Se non per amicizia, ameno per levarsi quella seccatura, si alza e lo esaudisce (Lc., XI, 5). Dunque bisogna pregare, senza scoraggiarsi, fin quando si ottiene quel che si domanda. Oportet semper orare et numquam deficere. Non lasciamoci vincere dal silenzio del Signore: più tarda la grazia e più bella sarà. Trenta anni ha pregato santa Monica per il suo figliuolo, ma poi quale grazia! Suo figlio fu un santo. c) Senza fiducia: Una donna vien dalla terra di Chanaan per far la sua preghiera a Gesù: « Signore! Figliuolo di Davide, pietà di me, che ho una figlia indemoniata! ». Gesù non la guarda, non le risponde nemmeno una parola. Non respondit ei verbum. Ma essa vuol essere esaudita. Gli va dietro, e non guardata piange, e non ascoltata prega, tanto che gli Apostoli ne sentono compassione: « Maestro — dicono — lasciala andare, non vedi come grida? — Gesù allora si volge e le dice burberamente: « Io son venuto per i Giudei e non per i Cananei ». La povera donna non è vinta da questo reciso rifiuto: vuole essere esaudita e va dietro sempre e non guardata piange e non ascoltata prega. Non capisci, — la rimprovera Gesù, — ch’io non posso strappare il pane di bocca ai figli per darlo ai cani? ». E quella donna accetta d’essere come un cane, anzi si chiama cagnolino; e nell’impeto della sua fede, risponde: « Sì, è vero, ma i cagnolini hanno le briciole che cadono dalla mensa del padrone. Anche per me, dunque una briciola, anche per mia figlia indemoniata una briciola… ». Gesù allora non poté più resistere e le rispose: « La tua fede è grande; sia fatto come tu vuoi ». In quel momento sua figlia guariva. È questa la fiducia delle nostre preghiere? – Quando il re Demetrio mandò contro i Giudei un esercito poderoso, un capitano espertissimo, Giuda Maccabeo, raccolse i suoi soldati impauriti, e raccontò loro una visione che li rallegrò tutti. « Non temete! — disse; — nel cuor della notte m’è apparso un personaggio venerando per età e gloria e circonfuso di una magnifica maestà. A me che meravigliato guardavo, una voce disse: « Questi è l’amico dei fratelli e del popolo d’Israele, questi è colui che molto prega per noi e per la città santa: Geremia è, il profeta di Dio ». Allora Geremia, stendendo la destra, mi consegnò una spada d’oro, dicendomi: « Ricevi la spada santa dono di Dio, con la quale abbatterai i nemici d’Israele mio popolo ». Confortati da queste parole, i valorosi attaccarono battaglia, pregando. La vittoria fu compiutamente splendida: ritornando giubilanti attraverso i campi insanguinati s’accorsero che il capitano dei nemici era tra i morti. Allora, alzato un grido di trionfo, benedissero il Signore onnipotente (II Macc., XV). Cristiani, che siete impauriti davanti agli assalti continui delle tentazioni e del mondo, Cristiani che siete oppressi dalle tribolazioni, Cristiani che soffrite stanchi e aggravati, alzate gli occhi al cielo: nella gloria di Dio Padre v’è Uno sempre intento a pregare per noi. Semper vivens ad interpellandum pro nobis (Ebr., VII, 25). Assai più fortunati noi siamo dei guerrieri di Giuda, perché chi intercede senza posa per noi, non è un profeta, non è un semplice uomo, ma è lo stesso Figlio di Dio, Gesù Cristo. Ecco perché Egli stesso, nel suo Vangelo, ha promesso che la nostra preghiera sarà sempre esaudita: « Se voi domandaste qualsiasi cosa al Padre, in mio Nome, non vi sarà negata. Ma finora non avete mai pregato in mio Nome: su! Domandate e avrete; chiedete ed ogni vostra brama sarà compiuta ». La preghiera è la spada d’oro che Cristo consegna a ciascuno di noi: solo con essa supereremo ogni lotta della vita e abbatteremo il nostro nemico d’inferno. Solo con essa si sono formati i santi: noi ci meravigliamo davanti alla purezza di S. Luigi Gonzaga, all’umiltà di S. Carlo Borromeo, alla carità di S. Filippo Neri, come di cose favolose e impossibili. Sì, sarebbero state davvero cose favolose e impossibili, se questi uomini avessero pregato così poco e così male come noi. – Questa volta non è della preghiera in generale che vi voglio parlare. Già tutti avete sentito e siete convinti che la preghiera è necessaria all’anima, come al corpo il respiro; che chi prega si salva e chi non prega si danna. Oggi invece vi parlerò di un dovere quotidiano, dovere indispensabile che distingue il Cristiano di fede viva, dal Cristiano di fede morta. Nell’Antico Testamento, v’era una legge che obbligava gli Ebrei ad offrire due sacrifici al giorno: uno all’alba, l’altro al tramonto. Unum offeretis mane et alterum ad vesperum (Num., XXVIII, 4). Nel Nuovo Testamento, noi pure dobbiamo innalzare, al principio e alla fine di ogni giorno, un sacrificio di lodi che appunto si chiama preghiera del mattino e della sera. – LA PREGHIERA DEL MATTINO. Milton, nel suo poema Il Paradiso perduto, descrive Adamo che, appena creato, apre gli occhi a contemplare le meraviglie del mondo. Vede i fiori coloriti, il verde dei boschi, vede l’azzurro del firmamento disteso sulla sua testa, e rapito in estasi manda un grido. « Mi slanciai e saltai verso il cielo come per toccarlo!» fa dire il poeta al primo uomo. Spontaneo come quello di Adamo deve essere, tutte le mattine appena apriamo gli occhi, lo slancio del nostro cuore impaziente di elevarsi a Dio. Comincia un altro giorno: un’altra pagina del libro di nostra vita. Oh se tutte le pagine cominciassero col santo Nome di Dio, di Gesù Salvatore, di Maria madre amorosissima, del nostro Santo protettore, del nostro Angelo custode, come ci troveremmo lieti quando, finita l’ultima pagina, dovremo consegnare il libro nelle mani della Giustizia Divina!… Tutto prega alla mattina. Ecco ad oriente il cielo si sbianca: non sentite in questo momento come un invito universale a pregare? Venite adoremus Dominum, qui fecit nos! È la voce dei monti che si districano dalle tenebre; è la voce delle valli che come cappe smeraldine, si riempiono di luce; è la voce delle acque vicine o lontane, è la voce dei campi delle piante dei fiori; è la voce dei passeri che garriscono insieme sulla gronda del vostro tetto; è la voce del sole levante, del sole bello radioso, del sole, immagine di Dio nel suo grande splendore. Questi milioni di voci, che sorgono da ogni parte della terra, sono voci di adorazione e di ringraziamento: ma è una musica senza parole. Ci vogliono le parole: ma queste non le può dire che l’uomo. Non le potete dire che voi. E non le direte? Iddio ha sempre avuto un gran desiderio delle primizie. Dalla storia sacra conosciamo che i primi frutti del campo erano per Lui; i primi agnelli del gregge; le prime bestie dell’armento; il primo figliuolo d’ogni famiglia era per Lui. Questo suo amore per le cose prime, incontaminate, Dio lo conserva ancora ed esige da noi la primizia di ogni giorno. Il mondano quando si sveglia pensa ai piaceri, perché suo dio è la passione ed a lei offre le sue primizie. L’uomo avaro e affarista pensa all’interesse, perché suo dio è il danaro, e a lui offre le sue primizie. L’uomo superbo è smanioso d’emergere pensa agli onori, perché suo dio è l’ambizione e a lei offre le sue primizie. Ma noi, che siamo Cristiani di nome e di fatto, noi che per Dio abbiamo il Signore del cielo e della terra, il Creatore delle visibili cose e delle invisibili, doniamo a Lui le primizie di ogni nostra giornata. Ci sono alcuni che, per pigrizia o per occupazioni, spesse volte cedono alla tentazione di rimandare le preghiere: « Le dirò. dopo; prima devo far questa o quella osa; prima devo mangiare… ». L’esperienza insegna che orazioni tramandate sono orazioni tralasciate. E poi, se anche avessimo a dirle più tardi, non sarebbero primizie e perderebbero molto di valore. Nella santa scrittura Dio si paragona ad un viaggiatore mattutino che sta in piedi vicino alla porta, e batte perché gli sia aperto. Ecce sto ad ostium et pulso. Cristiani, non siate maleducati con Dio! Non fatelo attendere in anticamera! Ma la prima parola di ogni giorno sia: « avanti, Signor mio e Dio mio ». Per fortuna a questo mondo ci sono cuori generosi. Non solo si accontentano al mattino delle preghiere comuni, ma vogliono offrire a Dio una grande primizia: la S. Messa. Beate queste anime, a cui è dato di capire quello che altri non capiscono. Nel primo scampanio esse ascoltano la squilla del Gran Re e accorrono in Chiesa. Se è vero che il lavoro impedisce a molti d’ascoltare la S. Messa ogni giorno, è non meno vero che altri la trascurano per la sola pigrizia di alzarsi per tempo. Segno è che non riescono a comprendere che tesoro si gettano dietro le spalle. Io ripeterò le parole che S. Ambrogio diceva ai Milanesi: « È una vergogna che il primo raggio del sole vi trovi inerti nel letto, e che la luce venga a colpire occhi ancora imbambolati da una sonnolenta spossatezza; questo raggio ci rimprovera il lungo tempo perduto per i meriti e l’oblazione del sacrificio spirituale. Prevenite dunque l’aurora!… » (In Ps., CXVIII, n. 22). Si legge nel Vangelo che, essendosi Gesù avvicinato al letto di una fanciulla di dodici anni per risuscitarla, la prese per mano dicendo: « Fanciulla, alzati ». Ecco ciò che vi dice la mattina Gesù: vi comanda d’alzarvi e vi porge la mano. È una mano divina: stringetela, adoratela, baciatela con le vostre preghiere. Così trascorreranno i giorni e gli anni: alla fine dei secoli sentirete ancora la medesima voce, e vedrete la medesima mano: « Alzati! ». Sarà il risveglio di un giorno senza tramonto. – LA PREGHIERA DELLA SERA. Una sera, uno dei più grandi ingegni del medioevo, il celebre Lanfranco, allora studente e più tardi Vescovo di Cantorbery, camminava verso Roano. Nel traversare una foresta, fu assalito e derubato dai ladri che poi lo legarono, mani e piedi, ad un albero e, tiratogli il cappuccio sugli occhi, lo abbandonarono. Tremante di spavento, umido di rugiada notturna, immobile, con gli occhi sotto il nero del cappuccio, comprese d’essere esposto a certa morte. Lontano s’udiva l’urlo di qualche belva randagia… Perduta ogni speranza umana, si ricordò di Dio, si ricordò ch’era sera e che era bene pregarlo. Cominciò le orazioni che fanciulletto tante volte aveva recitate, giunte le manine, a piè del letto; ma dopo le prime parole non seppe proseguire: non le ricordava più. Confuso e vergognoso di se stesso, si rivolse a Dio singhiozzando così: « Come, o Signore, da tanto tempo studio nelle università, e non so a memoria neppure la maniera d’invocarvi e di pregare ». Allora fece voto di consacrarsi a Dio, se fosse potuto scampare da quel pericolo. E così fu, poiché all’alba seguente alcuni viandanti lo liberarono. Lanfranco corse tosto nel convento più vicino e si fece monaco. Ed al tramonto d’ogni sera, quando la campanella invitava a preghiera, egli arrossendo s’inginocchiava. Anche ai nostri tempi, e più numerosi che mai ci sono uomini a cui si può applicare questo racconto in tutta la sua estensione. Anche essi sono in viaggio, devono attraversare la foresta del mondo anch’essi, e nemmeno mancano assassini e bestie feroci. Anch’essi alla fine della loro giornata sono forse caduti nelle mani del nemico delle anime; sono stati presi, legati col legame del peccato… Una cosa sola potrebbe liberarli: la preghiera. Ma essi non sanno più pregare; ne hanno perduta l’abitudine, hanno dimenticato perfino le parole. Da mesi e da anni, alla sera, si gettano stanchi ed infelici a dormire senza mai levare il cuore a Dio, senza neppure un segno di croce forse, così come le bestie sopra il loro strame. Ah, Cristiani, nessuno di noi rimanga in questo povero stato! Alla sera ricordiamoci dell’obbligo di ringraziare Dio che un altro giorno ha concesso alla nostra vita, un giorno pieno talvolta di gioie e talvolta di dolori, e sempre di grazie e di benedizioni. Ricordiamoci dell’obbligo di domandare perdono a Dio di tante offese nuove aggiunte alla grave somma delle vecchie. Infine, ricordiamoci di supplicarlo perché la notte passi tranquilla e il giorno veniente ci trovi migliori. – Tra le orazioni della sera, due pratiche non si possono trascurare: il santo Rosario e l’Esame di coscienza. L’una è una dolce catena di rose mistiche che lega i figli coi genitori e tutta la famiglia con la Vergine Maria; l’altro è un piccolo conto delle perdite e dei guadagni spirituali. « Sentite; — diceva ai primi Cristiani S. Giovanni Crisostomo, — voi tutti avete un registro in cui scrivete ogni giorno le entrate e le uscite; certamente non andrete mai a dormire prima d’aver fatto i vostri conti; ma la vostra coscienza non è anch’essa un libro aperto in cui dovete notare ogni sera il guadagno e la perdita, l’amore e l’ingratitudine? Ogni sera quindi, prima d’addormentarvi, prendete a tu per tu la vostra anima e ditele: « Su anima mia, su facciamo i conti: che bene hai fatto? che male hai fatto? ». Allora vi sorgerà spontaneo l’atto di ringraziamento per l’aiuto ricevuto dal Cielo, l’atto di dolore per la nostra cattiveria, e il sincero proposito di un migliore domani.- Infelici le case ove discende la notte senza preghiera! Intorno ad esse invano s’aggirano gli Angeli invisibili, invano aspettano nella malinconia. Infelici le famiglie dove la madre trascura questo suo dovere, dove il padre manca per divertirsi nelle osterie, dove i figliuoli cresciuti nell’età e nel male sono in giro, chi sa dove… chi sa dove… E ritorneranno a notte alta, sotto le stelle numerose nel cielo: ma nessuna stella è accesa nell’anima loro. – « Diciamo le preghiere della sera »disse alla sua donna un padre di famiglia sofferente da anni di una seria malattia. Da un pezzo nella casa si era dimenticato di pregare, ma dopo che il Signore aveva mandato quella prova, un barlume di fede era ritornato. Appena la madre incominciò le orazioni, rientrarono i figliuoli adulti dai loro divertimenti serali e rimasero a bocca chiusa, distratti. Il povero padre li sogguardava, e lagrime silenziose gli rigavano la faccia patita. «Che hai da piangere? », gli chiese la donna sottovoce. «Io morrò: — rispose amaramente, — e quando sarò sotterra nemmeno un suffragio riceverò dai miei figliuoli: essi hanno dimenticato le preghiere; non sanno pregare più ». La madre allibì, e tremò tutta. Il cuore le diceva ch’ella senza colpa non era della cattiva educazione religiosa dei figli. Oh quanti genitori, sentendosi morire, usciranno in quel grido straziante! « Quando sarò sotterra non un suffragio avrò dai miei figliuoli: essi non pregano, né sanno pregare più! ». E la colpa di chi sarà stata?..
Offertorium
Orémus Ps LXV: 8-9; LXV: 20
Benedícite, gentes, Dóminum, Deum nostrum, et obœdíte vocem laudis ejus: qui pósuit ánimam meam ad vitam, et non dedit commovéri pedes meos: benedíctus Dóminus, qui non amóvit deprecatiónem meam et misericórdiam suam a me, allelúja.
[Popoli, benedite il Signore Dio nostro, e fate risuonare le sue lodi: Egli che pose in salvo la mia vita e non ha permesso che il mio piede vacillasse. Benedetto sia il Signore che non ha respinto la mia preghiera, né ritirato da me la sua misericordia, allelúia].
Secreta
Súscipe, Dómine, fidélium preces cum oblatiónibus hostiárum: ut, per hæc piæ devotiónis offícia, ad cœléstem glóriam transeámus.
[Accogli, o Signore, le preghiere dei fedeli, in uno con l’offerta delle ostie, affinché, mediante la pratica della nostra pia devozione, perveniamo alla gloria celeste].
Communio
Ps XCV: 2
Cantáte Dómino, allelúja: cantáte Dómino et benedícite nomen ejus: bene nuntiáte de die in diem salutáre ejus, allelúja, allelúja.
[Cantate al Signore, allelúia: cantate al Signore e benedite il suo nome: di giorno in giorno proclamate la salvezza da Lui operata, allelúia, allelúia].
Postcommunio
Orémus.
Tríbue nobis, Dómine, cæléstis mensæ virtúte satiátis: et desideráre, quæ recta sunt, et desideráta percípere.
[Concedici, o Signore, che, saziati dalla forza di questa mensa celeste, desideriamo le cose giuste e conseguiamo le desiderate.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)