VITA E VIRTÙ CRISTIANE (8)
GIOVANNI G. OLIER
Mediolani 27-11 – 1935, Nihil obstat quominus imprimetur. Can. F. LONGONI
IMPRIMATUR: In Curia Arch.Mediolani die 27 – II – 1935, F. MOZZANICA V. G.
CAPITOLO VII
Della virtù di penitenza
Spirito di Gesù. — Davide e San Paolo animati da tale spirito. — Si ottiene con la preghiera; modo di ottenerlo.
La virtù di penitenza è interiore ed esteriore. La penitenza interiore, che è la principale e dà alla penitenza esterna il suo valore, comprende tre disposizioni necessarie: l’umiliazione, la contrizione e l’oblazione di sé stesso alla divina giustizia per subire tutti gli effetti della vendetta che le piacerà d’infliggerci. – Lo spirito di penitenza è lo spirito medesimo di Dio, che è stato infuso dapprima in Gesù Cristo, e in seguito da Gesù Cristo diffuso nella sua Chiesa; esso opera nelle anime vari sentimenti e vi imprime specialmente i sentimenti di penitenza. Ciò si osserva nella persona di Davide, che in anticipazione, come figura del Figlio di di Dio penitente, aveva ricevuto l’abbondanza di tale spirito. Si vede che l’anima di Davide, per l’azione dello spirito di penitenza, era rivestita di quei sentimenti e di quelle disposizioni di cui abbiamo l’espressione nei Salmi che vennero dati alla Chiesa per sollievo e consolazione dei veri penitenti. Questi restano oltremodo consolati nel vedersi animati da sentimenti conformi a quelli che sono espressi nella Scrittura; perché la Scrittura è la regola della loro condotta e della loro vita. Essa esprime la vita interiore di Gesù nelle anime, vita che deve essere la medesima in esse come in Gesù; e questo si è verificato nei suoi membri, sia in quelli che lo hanno preceduto, come in quelli che lo hanno seguito nella Chiesa. S. Paolo nel nuovo Testamento, e Davide nell’antico, esprimono l’interiore penitente di Gesù Cristo. Dalla identità delle espressioni che adoperano l’uno e l’altro, si riconosce chiaramente che furono ispirati dal medesimo Spirito, il quale in Davide prima della venuta di Gesù Cristo, e in San Paolo dopo il ritorno di Lui al Padre, ha operato i medesimi effetti. Davide dice che è stato compreso di timore, di terrore e di spavento alla vista dei giudizi di Dio: Timor et tremor (Ps. CXVIII, 120). S. Paolo ci fa sapere che il timore e le ansie interne non gli causavano minori angosce che le calunnie e le persecuzioni che gli provenivano dai suoi nemici. (II. Cor. VII, 5). Davide nella sua qualità di penitente ci attesta che era disposto a subire nel suo corpo tutto quanto un delinquente deve soffrire (Ps. XXXVII, 18); Paolo ci dice che trattava il proprio corpo come uno schiavo, castigandolo severamente (I. Cor. IV, 27). L’uno e l’altro ci attestano così, con l’espressione dei loro sentimenti, la conformità che esiste tra i penitenti, sie dell’antico come del nuovo Testamento, con Gesù Cristo penitente, il quale, nel suo interiore, era pieno di timore e di terrore alla vista dei giudizi e dei rigori del Padre suo corrucciato contro di Lui, mentre eternamente era colpito dall’odio e dalla persecuzione dei Giudei che lo cercavano per metterlo in croce. In questo stato Gesù continuamente offriva sé stesso al Padre suo per sopportare, nel suo ardente desiderio di dargli soddisfazione, tutti i tormenti che avrebbe sofferto da parte dei Giudei, in penitenza dei nostri peccati. Nel leggere i Salmi, bisogna dunque onorare in Davide lo spirito di penitenza di Gesù Cristo, e con grande religione e raccoglimento venerare le disposizioni dello spirito interiore di Gesù Cristo, fonte di ogni penitenza, che era diffusa nel santo Salmista; bisogna inoltre, con un cuore umiliato, implorare con insistenza, fervore e costanza, ma sopra tutto con umile confidenza, che quello spirito ci venga pure comunicato.
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Se dopo di aver implorato l’effusione di questo Santo Spirito di cui vediamo gli effetti nell’anima del santo re Davide, non sentiamo in noi in modo sensibile, le medesime disposizioni; non dobbiamo tuttavia rattristarci. Perché dobbiamo sapere che, nella preghiera animata dallo Spirito, non vi sarà da parte nostra il minimo sospiro, che da Dio non attiri qualche bene sopra di noi e in noi: Dio non rifiuta nulla allo Spirito che prega in noi, ma sempre lo esaudisce, come sempre esaudisce Nostro Signore a motivo della sua riverenza (Hebr. V., 71). Sta scritto ancora che nessuna parola interiore si innalzerà a Dio, che non venga esaudita e non ritorni a noi col suo frutto (Ps. CXVIII, 131; Isai, LV, 11). Dio con la sua parola si è impegnato a concedere alla preghiera dell’uomo il dono di questo Spirito che è il cibo dell’anima. Lo dà alla sua Chiesa secondo il bisogno dei suoi figliuoli; a ciascuno dei pargoli che lo domandano Egli distribuisce questo pane. Ma questo divino Spirito, a motivo della sua purezza, è insensibile nella sua azione; quando si dà all’anima come cibo e alimento, lo fa in modo impercettibile. L’anima realmente lo riceve in sé stessa e cresce nella virtù di esso, ma senza averne coscienza. Così, non si vede, né si sente l’aumento di questo spirito, perché consiste in una grazia insensibile, ricevuta nel fondo dell’anima dove non c’è sensibilità. Non si vede crescere il corpo dell’uomo, benché nutrito da una sostanza sensibile; non si vede muoversi la sfera di un orologio, benché il movimento ne sia sensibile; non è quindi da meravigliarsi se non si possono percepire coi sensi le azioni di quel divino Spirito; ma soltanto bisogna aver fede e fidarsi della parola di Dio, il quale concede tutto alla preghiera; e pregare con umiltà, ma con fiducia in Dio, tenendo l’anima nostra aperta davanti a Lui per ricerverne le operazioni. – Potrà darsi che mentre leggiamo i salmi, la bontà di Dio produca nel nostro cuore disposizioni e sentimenti in conformità con ciò che leggiamo, e che proviamo quindi nel cuore una certa operazione di spirito che ci farà gustare ciò che meditiamo e seguire con attenzione, con intelligenza, con compiacenza le parole di Davide: in tal caso non dovremo interrompere questa operazione per continuare le nostre suppliche; bisognerà fermarci lì perché così saremmo esauditi prima di pregare; la meditazione otterrebbe il suo fine nel suo inizio medesimo; le nostre preghiere sarebbero in tal modo prevenute e noi riceveremmo così gratuitamente ciò che i fedeli servitori e le anime forti ottengono dopo molte preghiere e molte umiliazioni. – Daremo un esempio; se nel leggere questo versetto: Domine ne in furore tuo arguas me, neque in ira tua corripias me,Signore, non mi riprendere nel tuo furore e non mi castigare nell’ira tua (Ps. VI, 2), avvenisseche ci fosse data l’intelligenza di questeparole, e che esse facessero sorgere nelpiù intimo di noi stessi una prece e undesiderio conformi a quel di Davide; seavvenisse che ci sentissimo umiliati davantia Dio, domandandogli che nel suo fervore non ci condanni, né ci giudichi nella sua ira, e che questo sentimento tenesse la nostra anima tutta impegnata in un santo fervore al cospetto della divina Maestà, non bisognerebbe cercare nessun’altra occupazione, perché qui vi sarebbe un segno della operazione di Dio; bisognerebbe stare in pace in questo stato, e lasciare operare lo Spirito, cibandoci di questa disposizione. – Che se lo Spirito cesserà di nutrirci o di tenerci occupati in quel modo, allora potremmo passare ai versetti che seguono: ché se infine Dio ritirasse la sua operazione sensibile dall’anima nostra, lasciandocinell’aridità della pura fede, potremmo metterci a pregare in altro modo, servendoci di altro metodo com’è quello che abbiamo esposto più sopra.
I.
Varie sorta di penitenze interiori.
Abbandono a Dio per subire la pena interiore dei nostri peccati. — Gesù Cristo penitente: quanto ha patito. — La penitenza interiore è la più necessaria. — Esempio di Gesù che si assoggetta a San Giovanni.
Dobbiamo abbandonarci a Dio, pronti a sopportare ogni aridità e desolazione, ogni timore, ogni tristezza e ogni dolore, tutti effetti questi di quella penitenza interiore che viene da Dio e non è conosciuta che da Lui solo, e da quelli che la esercitano. Bisogna abbandonarci alla divina giustizia per subire i terrori dei suoi santi giudizi, le ripulse interiori ch’essa ci fa sentire delle nostre anime e di tutte le opere nostre, per sopportare i rigori dei suoi rimproveri e delle sue riprensioni.
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Era questo lo stato di penitenza interiore in Gesù Cristo, e le sue pene interiori sorpassavano infinitamente i dolori esterni. Gesù fin dal primo momento dell’incarnazione si era abbandonato a Dio per subire questi stati di penitenza, e li ha sempre portati durante la sua vita mortale, perché era venuto in questo mondo per fare la penitenza interiore ed esterna dovuta ai peccatori (Psalm., XXI, 11; XXXVII, 18; Isai, I, 6.). – Gesù Cristo non solamente ha sopportato ogni pena e ogni dolore nelle sue membra per soffrire in tutto il suo corpo, perché i peccatori si prendono soddisfazioni peccaminose in tutte le parti del loro corpo; ma inoltre, ha subìto la massima delle pene corporali dovute al peccato, ossia la morte. Si è fatto obbediente sino alla morte e sino alla morte della Croce che è la più estrema delle pene corporali; questa pena Gesù ha voluto tenersela sempre davanti agli occhi. Durante tutta la sua vita; nell’orto degli ulivi poi ha voluto sentire tutta l’amarezza e l’acerbità nella sua dolorosa agonia. Non solamente ha sofferto le pene esteriori nel massimo grado, ma ancora le pene interiori in tutta la violenza delle passioni alle quali lasciava ogni libertà, perché insorgessero in Lui e lo affliggessero in ogni modo nella parte inferiore dell’anima sua. – Ha sopportato nel suo spirito la vista del disprezzo, della ripulsa, dell’abbandono e dei rigori dell’Eterno Padre che l’aveva caricato della vergogna e della confusione meritata da quei peccati che pur non aveva commessi (Improperia improperantium tibi ceciderunt super me. Ps. LXVIII. 10). Gesù sottostava al rimprovero obbrobrioso che Dio fa ai peccatori nel giudicarli e condannarli, e ciò gli faceva esclamare: Dio mio!… la voce dei miei delitti mi allontana dalla salute (Ps. XXI 2). – Non solo si vedeva circondato da tutti i peccati degli uomini, i quali, di loro natura, insorgono con audacia contro Dio: per Gesù era questo un peso insopportabile; non solo Egli era oppresso dalle grida e dalle bestemmie che tutti questi peccati vomitano contro la divina Maestà, ma ancora dalla bocca del Padre riceveva le invettive e gli obbrobri dovuti al peccato di cui portava il carico, ed erano questi come altrettanti colpi di tuono che lo schiacciavano e con un giudizio severo e terribile lo respingevano dal Padre.
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Bisogna che un’anima si offra a portare in sé medesima la penitenza interiore nella quale Dio Padre talora da sé medesimo e per la sua propria giustizia mette le anime, penitenza che Lui solo sa operare in noi; è questo l’estremo abbandono cui l’anima possa venir ridotta. Di questa pena parlava Nostro Signore soprattutto nella descrizione delle pene della sua morte. Di questa diceva dapprima, facendo poi un cenno anche alle altre pene esterne. Il salmo Deus, Deus meus, ut qui dereliquisti me? si riferisce soprattutto alle pene interne, in confronto delle quali dolori esterni erano un nulla.Così in confronto della penitenza interiore,ha ben poco valore l’esercizio esterno della penitenza, come il digiuno, la mortificazione corporale, l’astinenza dai piaceri sensibili. Un solo istante di penitenza interna vale più di tutto il resto senza di essa (È da ammirarsi la moderazione con cui, in questo tratto, il servo di Dio parla della mortificazione corporale, soprattutto se si riflette che a quel tempo le macerazioni erano molto in uso ed egli stesso trattava il suo corpo con grande durezza. I santi mentre sono crudeli, si passi la parola, con sé medesimi, sono miti con gli altri. Ci si permetta di ricordar qui un aneddoto della vita del servo di Dio. Padre Yvan, oratoriano di grande austerità, ma rude anche con gli altri, venne un giorno a far visita a Giov. Olier e lo trovò a pranzo coi suoi sacerdoti; la tavola era servita senza lusso, ma pure senza ostentata austerità, trattandosi di preti che seguivano la via comune e dovevano faticar molto. Il Padre Yvan ne restò scandalizzato, e con franchezza eccessiva ma che si doveva compatire per la sua età avanzata, ne mosse rimproveri severi e quasi offensivi al servo di Dio; questo accettò la correzione con sincera umiltà ringraziando il Signore di aver trovato infine una persona che lo avvisasse dei suoi difetti, e se ne dimostrò gratissimo con tutta naturalezza. Padre Yvan durante tutto il colloquio, tenne l’occhio fisso sopra Giov. Olier, e vedendo la dolcezza con cui accettava la rude correzione, ne restò tutto stupito e riconobbe che, pur prendendo il suo cibo secondo il suo bisogno, era mortificato come i più austeri penitenti; e da quel momento lo tenne in una stima particolare, a segno che andava dicendo in ogni occasione: « Il Sig. Olier è veramente un santo, è morto, in lui la natura è spenta»; e si mise a lavorare anche lui al servizio del Seminario fondato di Olier e della Parrocchia di San Sulpizio. La grazia dei santi, non essendo la medesima in tutti, la durezza apparente del Padre Yvan non toglieva nulla alla grande stima che da ogni parte si professava della sua persona e dei suoi consigli. – Cfr. Faillon, Vita di Olier. II, pag. 114). – Questo stato di penitenza interiore opera d’un colpo nell’anima le disposizioni lella penitenza vera e reale, ossia della penitenza essenziale dello spirito. Perché le sue impressioni producono in noi un profondo annientamento e una grandissima confusione, la condanna, l’orrore e la contrizione del peccato, l’umiliazione dell’anima e la sottomissione agli effetti della santa giustizia di Dio sopra di noi. – Beata l’anima che raggiunge uno stato di purezza interiore tale da renderla adatta a subire gli effetti della giustizia divina. Ché se Dio per la nostra infermità o per le nostre disposizioni particolari, non ce ne giudica degni, dobbiamo abbandonarci a Lui per sopportare almeno tutto quanto Egli si degnerà di disporre a nostro riguardo, sia direttamente con la sua divina mano che si estende anche al nostro interiore, sia per mezzo delle creature, come pure talora per mezzo dei demoni. Dio infatti impiega anche i demoni per darci il mezzo di far penitenza; essi ci opprimono quindi con tentazioni oltremodo veementi, dolorose, odiose e spaventose, come quelle di bestemmia, di impurità, di disperazione, d’infedeltà, di gelosia e di tristezza, le quali sono più penose dei patimenti naturali ordinari. – Dio inoltre si serve anche degli uomini per castigarci ed esercitare sopra di noi le vendette della sua giustizia; così, i servi ed i domestici ci saranno molesti, perché pigri, negligenti e infedeli; gli estranei ci saranno di peso e di noia per il loro carattere antipatico, ci daranno incomodo con le loro visite importune, e forse lasceranno capire il foro desiderio di soppiantarci, di tradirci e di burlarsi di noi. Anche il nostro confessore sarà per noi strumento di penitenza, perché ci imporrà delle mortificazioni in nome di Dio e secondo ciò che Dio gli ispirerà; ma questo ci dà minor fastidio, perché noi gli siamo sottoposti per nostra volontà ed accettiamo con amore ciò che ci impone.
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In tal modo Nostro Signore si sottomise a S. Giovanni Battista che teneva il posto dell’Eterno Padre dal quale era stato mandato. Dalla mano di Giovanni Egli ricevette il battesimo che significava l’obbligo della penitenza; così da Giovanni venne pure caricato dei peccati di tutto il popolo. Il capro emissario dal Sommo Pontefice veniva caricato di tutti i peccati d’Israele e poi scacciato nel deserto; di questo rito figurativo san Giovanni realizzò il significato: notiamo che il Battista era figlio di Zaccaria e quindi apparteneva alla stirpe sacerdotale, benché non ne esercitasse la funzione esterna a motivo che era riservato per un’opera più santa di quella della Legge, opera che dava il suo compimento a tutta la penitenza della Legge. Da Lui Gesù Cristo venne, da parte di Dio Padre, caricato anche esteriormente dei peccati di tutto il mondo. Dopo di ché lo Spirito Santo lo cacciò nel deserto come il capro emissario, come la vittima pubblica del peccato, per dare soddisfazione a Dio. Con questo spirito dobbiamo ritirarci nel deserto con Gesù Cristo, lasciando che lo Spirito vi ci conduca e ci separi dal consorzio del mondo, dalla società dei fedeli ed anche dalla gente per bene, per metterci, in ispirito, fuori di quella vita alla quale dobbiamo morire interiormente.
Il.
Dello spirito di penitenza
Lo spirito di penitenza di Gesù Cristo, principio della sua penitenza – Gesù Cristo penitente pubblico e universale, vuole continuare la sua penitenza nel suo Corpo mistico e in ciascuno di noi. – Sete di patimenti in Gesù. – La sua penitenza esteriore è più estesa. — Perfezione dei sentimenti e delle minime azioni di Gesù. – Per essere veri penitenti dobbiamo unirci al divino interiore di Gesù, abbandonarci al suo spirito, accettando quella misura di penitenza che vuole da noi.
Nostro Signore è la pienezza della penitenza; Egli ne porta in sé stesso lo spirito e ne riveste tutta la Chiesa; dimodoché tutta la penitenza che compare al di fuori e all’esterno, se è vera e reale, emana dallo spirito interiore di penitenza che trovasi in Gesù Cristo, donde si diffonde in noi. – Ogni penitenza esterna che non derivi dallo Spirito di Gesù Cristo, non è penitenza vera e reale: Potremmo praticare mortificazioni rigorose ed anche acerbissime, ma se non emanano da Nostro Signore penitente in noi, saranno penitenze cristiane. Unicamente per mezzo di Gesù si fa penitenza; Egli ha incominciato la penitenza quaggiù su la terra nella propria Persona, e la continua in noi, dilatando nei suoi membri ciò che aveva compendiato in sé medesimo. – Non dico soltanto che la penitenza deve farsi per mezzo di Gesù, vale a dire, per i suoi meriti e per la sua grazia; ma dico che la dobbiamo fare realmente in Lui, vale a dire, che Egli, nel suo Spirito, deve esserne il principio. Gesù deve investire l’anima nostra delle disposizioni interiori di annientamento, di confusione, di dolore, di contrizione, di zelo contro di noi medesimi e di forza per esercitare sopra di noi la soddisfazione, in quella misura di pena che Dio Padre vuole ricevere da Gesù Cristo nella nostra carne. – Gesù Cristo è il Penitente pubblico ed anche il Penitente universale (Bourdelou: « O profondità ed abisso dei disegni di Dio! Tale è la qualità (di Penitente) che il Salvatore del mondo ha voluto assumere ed ha tanto santamente quanto costantemente sostenuta in tutto il corso della sua adorabile passione … Siccome, secondo la Scrittura, la vera penitenza consiste soprattutto in due cose: la contrizione che ci fa detestare il peccato, e la soddisfazione che lo deve espiare; così, quando dico un Dio Penitente, intendo un Dio compreso dalla più viva contrizione alla vista del peccato dell’uomo, un Dio che ha sacrificato sé medesimo, soddisfa in pieno il vigore della giustizia, re della giustizia, per il peccato dell’uomo: due obbligazioni che Gesù Cristo aveva prese sopra di sé sino dal primo istante della sua vita e che adempì esattamente nel giorno della sua Passione ». Sermone sulla Passione.); Lui, Lui solo, fa penitenza in noi. Gesù Cristo carica il corpo della Chiesa di strumenti di penitenza e li porta Egli stesso nei Cristiani che sono le sue membra; come avrebbe voluto usarne sulla terra e portarli, Lui solo, nel suo corpo reale, se questo non fosse stato troppo debole e troppo piccolo. Per questo, Gesù Cristo ha voluto, per mezzo della sua Chiesa, dilatare e allargare il suo corpo (Ecclesia quæ est corpus ipsius, et plenitudo ejus. – Eph. I, 23); con la diffusione del suo Spirito, Egli riveste la Chiesa delle industrie della sua penitenza, e così Egli dà soddisfazione a Dio suo Padre nel suo corpo mistico come in un supplemento di sé stesso; Egli soddisfa lo zelo interiore ed i desideri che il suo spirito avea di soffrire, desiderio che non ha potuto saziare nella sua sola Persona. Egli ha preso per sé una parte soltanto della penitenza esteriore, e l’altra la distribuisce fra i singoli suoi membri (Adimpleo era quæ desunt passionum Christi. Col., I, 24); ma per se stesso ha riservato fa pienezza dello Spirito interiore, dal quale in tutti i suoi membri vengono compiute tutte le operazioni esterne. – L’interiore di Nostro Signore è più esteso del suo esterno; perché nel suo proprio Spirito Egli contiene l’interiore di tutti i fedeli; mentre nel suo corpo non ebbe che quella penitenza esterna che era ordinata dal Padre suo e che Egli accettò. Orbene, siccome quest’interiore di Gesù Cristo era nascosto, il Padre ha voluto fosse manifestato; ha voluto che la sete ardente che Gesù provava su la Croce, quella sete che gli strappava quell’esclamazione: « Ho sete » (Joan. XIX, 28), fosse conosciuta e che gli uomini ne avessero la spiegazione. Era quella una di soffrire per il Padre suo e per la Chiesa, sete che indicava l’ardore della sua penitenza e il fuoco che infiammava il suo cuore di zelo contro sé medesimo, per distruggere il peccato. – Egli dava ad intendere, con quella esclamazione, che un corpo, benché sia oppresso, consumato e distrutto, benché sia ridotto agli estremi dell’agonia, come era il suo corpo sulla Croce, deve nondimeno vivere nello spirito di penitenza; e che il desiderio di soffrire per i nostri peccati e per tutti coloro che nella Chiesa hanno offeso e offendono ancora la Maestà di Dio, deve sempre rimaner acceso nel nostro cuore. Da qui noi veniamo a conoscere quel comune spirito di penitenza del quale debbono investirsi tutti i membri di Gesù Cristo, col darsi interiormente allo spirito di penitenza della Chiesa. Questo Spirito di penitenza della Chiesa è lo Spirito medesimo di Gesù Cristo ch’Egli diffonde e dilata nei suoi membri, onde avere un amore e uno zelo universale di soddisfare al Padre suo, nella propria sua Persona, per tutti i peccati del mondo. Così Gesù Cristo, con questo Spirito universale, mediante questo Spirito e in questo Spirito, vuole essere presente in tutti i suoi membri per dare, in tutti e in ciascuno, soddisfazione e compiacenza alla divina Maestà.
***
Ed è questa la seconda unione di penitenza che dobbiamo avere con Gesù Cristo. Dobbiamo in primo luogo renderci partecipi della penitenza di Gesù Cristo, facendo penitenza in Lui medesimo. In secondo luogo, dobbiamo unirci pure con Gesù Cristo penitente nei suoi membri, onde investirci di tutti i sentimenti della penitenza interiore, e questa non deve avere limiti in noi, ma deve oltrepassare infinitamente la misura di quella penitenza esterna che dobbiamo esercitare sui nostri corpi. Dio tutto pesa con la misura dello spirito: Egli vede quanto nelle nostre opere vi è dello Spirito divino, e le stima secondo tale misura; perché nelle opere nostre non v’è nulla che meriti stima, se non ciò che viene da Lui mediante il suo Spirito. Donde avviene che in Gesù Cristo ogni minima azione sorpassava tutte le fatiche dei Santi Apostoli e di tutta intera la Chiesa; a motivo della pienezza dello Spirito, della scienza, della luce e dell’amore, ogni minima azione era, in Lui, animata da sentimenti, intenzioni e disposizioni tutte divine, per onorare Iddio. – Infatti, la pienezza dello zelo, della forza, della purezza, che riempiva le opere di Gesù, dava ad esse davanti a Dio, maggior valore e maggior efficacia di tutto quanto dalla Chiesa intera viene meritato o potrebbe essere meritato. Benché animata dal medesimo Spirito, la Chiesa non opera con l’immensità della divinità, con la quale quel divino Spirito operava in Gesù Cristo. In tal modo, benché la Chiesa esprima all’esterno una parte dei pensieri che l’amore della penitenza eccitava in Gesù, per dare soddisfazione al Padre suo; non abbiamo nulla, tuttavia, nella Chiesa medesima che esprima perfettamente l’intensità dei desideri e la forza degli atti interiori di Gesù; non abbiamo nulla che esprima il peso immenso dell’amore del suo Cuore, e l’infinità del suo zelo per dare soddisfazione e compiacimento al Padre suo. Qualche cosa, è vero, se ne può conoscere per la gravezza dei rigori che il suo Spirito opera nella Chiesa, e per la diversità delle pene e sofferenze che Egli stesso porta nei suoi membri, i quali gli servono a compiere e terminare la sua penitenza, ma l’intensità e la perfezione dei suoi sentimenti, soltanto l’eternità ce le potrà svelare. Nulla ce le può manifestare in questa vita, come dice S. Ambrogio: Nessuno quaggiù potrà mai intendere perfettamente l’interiore di Gesù. (Dei consilium humana vota non capiunt, nec quisquam interiorum potest esse particeps Christi).
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Dobbiamo unirci a questi divini sentimenti di Gesù Cristo, per essere rivestiti di Lui nell’intimo dell’anima nostra. Una tale unione con Gesù Cristo, questa partecipazione al suo spirito è ciò che dobbiamo soprattutto ricercare, perché è ciò che vi ha di più prezioso nella penitenza ed è anche il fondo ogni virtù. Dobbiamo essere penitenti in Gesù Cristo e inebriati in Lui dello Spirito delia vera penitenza: questo Spirito opera dapprima in noi e sopra di noi tutta la penitenza esteriore, la quale non è che una dipendenza, un getto tenuissimo, e come un segno e un’espressione della penitenza interiore; ma poi produce in noi questa penitenza interiore in proporzione della pienezza e dell’abbondanza dello Spirito. Secondo la dottrina di S. Paolo, lo Spirito nei Santi opera insieme e supplica secondo i disegni di Dio, (1 Cor, XII, 6, 11), perciò nel suo zelo ci porta a castigarci noi stessi, e a prestare soddisfazione a Dio; e noi dobbiamo obbedire a questo divino Operaio dei misteri di Dio, come a Colui che assiste ai consigli divini e penetra nel più profondo dei segreti di Dio (I Cor. II, 34). – Egli conosce la misura delle soddisfazioni che Dio esige da noi, e che noi ignoriamo: dobbiamo quindi abbandonarci a questo Spirito interiore, che è un mare e in oceano di penitenza interiore e divina, e protestargli che siamo, con intero abbandono, pronti e disposti a tutto, e che non rifiutiamo nessun castigo e nessun effetto della sua giustizia. Dobbiamo protestargli che siamo universalmente sottomessi a tutti gli ordini di Dio; e che, quando pure dovessimo perdere mille volte la vita nella penitenza, noi siamo pienamente disposti a tutto; che non vogliamo limiti nelle nostre sofferenze, poiché lo Spirito di Gesù Cristo, nel suo zelo, non può aver nessun limite riguardo a Dio suo Padre; che perciò noi abbracciamo in ispirito ogni sorta di pene, onde sopportare tutto quanto Dio desidererà di imporci, o direttamente per sé stesso, o per bocca e per ordine di colui che tiene per noi il suo posto sulla terra, ossia del nostro confessore in cui veneriamo la sua Maestà. In tal modo, bisogna essere uniti a Gesù Cristo penitente su la terra; e come Egli, quando dallo Spirito fu inviato e cacciato nel deserto per fare penitenza, si sottometteva agli ordini di Dio suo Padre, così dobbiamo accettare, in unione col suo Spirito e con le sue disposizioni, le penitenze, che ci verranno imposte. Bisogna accettarle rinunciando completamente al nostro spirito proprio, al nostro proprio giudizio ed alla nostra volontà propria, senza discutere né mormorare, abbandonandoci a tutto, ma senza far mai più di quanto ci sarà comandato.