DOMENICA DI SESSAGESIMA (2022)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Stazione a S. Paolo fuori le mura.
Semidoppio Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.
Come l’ultima Domenica, e come le Domeniche seguenti, fino a quella della Passione, la Chiesa « ci insegna a celebrare il mistero pasquale, a traverso le pagine dell’uno e dell’altro Testamento ». Durante tutta questa settimana, il Breviario parla di Noè. Vedendo Iddio che la malizia degli uomini sulla terra era grande, gli disse: « Sterminerò l’uomo che ho creato… Costruisciti un’arca di legno resinoso. Farò alleanza con te e tu entrerai nell’arca ». E le acque si scatenarono allora sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. L’arca galleggiava sulle onde che si elevarono sopra le montagne, coprendole. Tutti gli uomini furono trasportati come festuche nel turbine dell’acqua » (Grad.). Non rimase che Noè e quelli che erano con lui nell’arca. Dio si ricordò di Noè e la pioggia cessò. Dopo qualche tempo Noè apri la finestra dell’arca e ne fece uscire una colomba che ritornò con un ramoscello freschissimo di ulivo. Noè comprese che le acque non coprivano più la terra. Dio gli disse: « Esci dall’arca e moltiplicati sulla terra ». Noè innalzò un altare e offri un sacrificio. E l’odore di questo sacrificio fu grato a Dio (Com.). L’arcobaleno apparve come un segno di riconciliazione fra Dio e gli uomini. – Questo racconto si riferisce al mistero pasquale poiché la Chiesa ne fa la lettura il Sabato Santo. Ecco come Essa l’applica, nella liturgia, a nostro Signore e alla sua Chiesa. « La giusta collera del Creatore sommerse il mondo colpevole nelle acque vendicatrici del diluvio, Noè solo fu salvo nell’arca; di poi l’ammirevole potenza dell’amore lavò l’universo nel sangue [Inno della festa del prezioso Sangue]. È il legno dell’arca che salvò il genere umano, e quello della croce, a sua volta, salvò il mondo. « Sola, dice la Chiesa, parlando della croce, sei stata trovata degna di essere l’arca che conduce al porto il mondo naufrago » [Inno della Passione]. La porta aperta nel fianco dell’arca, per la quale sarebbero entrati quelli che dovevano sfuggire al diluvio e che rappresentavano la Chiesa, è, come spiega la liturgia, una figura del mistero della redenzione, perché sulla croce Gesù ebbe il costato aperto e da questa porta di vita, uscirono i Sacramenti che donano la vera vita alle anime. Il sangue e l’acqua che ne uscirono sono i simboli dell’Eucaristia e del Battesimo » [7a lettura nella festa del prezioso Sangue]. « O Dio, che, lavando con le acque i delitti del mondo colpevole, facesti vedere nelle onde del diluvio una immagine della rigenerazione, affinché il mistero di un solo elemento fosse fine ai vizi e sorgente di virtù, volgi lo sguardo sulla tua Chiesa e moltiplica in essa i tuoi figli, aprendo su tutta la terra il fonte battesimale per rigenerarvi le nazioni » [Benedizione del fonte battesimale nel Sabato Santo]. Ai tempi di Noè dice S. Pietro, otto persone furono salvate dalle acque; a questa figura corrisponde il Battesimo che ci salva al presente » [Epistola del Venerdì di Pasqua]. — Quando il Vescovo benedice, nel Giovedì Santo, l’olio che si estrae dall’ulivo e che servirà per i Sacramenti, dice: « Allorché i delitti del mondo furono espiati mediante il diluvio, una colomba annunziò la pace alla terra per mezzo di un ramo di Ulivo che essa portava, simbolo dei favori che ci riservava l’avvenire. Questa figura si realizza oggi, quando, le acque del Battesimo avendo cancellati tutti i nostri peccati, l’unzione dell’olio dona alle nostre opere bellezza e serenità ». Il sangue di Gesù è « il sangue della nuova alleanza » che Dio concluse per mezzo del suo Figlio con gli uomini. «Tu hai voluto, dice la Chiesa, che una colomba annunziasse con un ramoscello di ulivo la pace alla terra ». Spesso nella Messa, che è il memoriale della Passione, si parla della pace: « Pax Domini sit semper vobiscum ». « Il sacramento pasquale, dirà l’orazione del Venerdì di Pasqua, suggella la riconciliazione degli uomini con Dio». Noè è in modo speciale il simbolo del Cristo a causa della missione affidatagli da Dio di essere « il padre di tutta la posterità » (Dom. di settuag., 6a lettura). Di fatti Noè fu il secondo padre del genere umano ed è il simbolo della vita rinascente. « I rami d’ulivo, dice la liturgia, figurano, per le loro fronde, la singolare fecondità da Dio accordata a Noè uscita dall’arca » (Benediz. Delle Palme). Per questo l’arca è stata chiamata da S. Ambrogio, nell’ufficio di questo giorno, « seminario » cioè il luogo che contiene il seme della vita che deve riempire il mondo. Ora, ancora più di Noè, Cristo fu il secondo Adamo che popolò il mondo di una generazione numerosa di anime credenti e fedeli a Dio. Ed è per questo che l’orazione dopo la 2a profezia, consacrata a Noè il Sabato Santo, domanda al Signore ch’Egli compia, nella pace, l’opera della salute dell’uomo decretata fin dall’eternità, in modo che il mondo intero esperimenti e veda rialzato tutto ciò che era stato abbattuto, rinnovato tutto ciò che era divenuto vecchio, e tutte le cose ristabilite nella loro primiera integrità per opera di colui dal quale prese principio ogni cosa, Gesù Cristo Signor nostro » Per i neofiti della Chiesa — dice la liturgia pasquale — (poiché è a Pasqua che si battezzava) la terra è rinnovellata e questa terra così rinnovellata germinat resurgentes, produce uomini risorti » (Lunedi di Pasqua. Mattutino monastico). In principio, è per mezzo del Verbo, cioè della sua parola, che Dio creò il mondo (ultimo Vangelo). Ed è con la predicazione del suo Vangelo che Gesù viene a rigenerare gli uomini. « Noi siamo stati rigenerati, dice S. Pietro, con un seme incorruttibile, con la parola di Dio che vive e rimane eternamente. E questa parola è quella per la quale ci è stata annunziata la buona novella (cioè il Vangelo) » (S. Pietro, I, 23). Questo ci spiega perché il Vangelo di questo giorno sia quello del Seminatore, ( « la semenza è la parola di Dio »). » Se ai tempi di Noè gli uomini perirono, ciò fu a causa della loro incredulità, dice S. Paolo, mentre mediante là sua fede Noè si fabbricò l’Arca, condannò il mondo e diventò erede della giustizia, che viene dalla fede» (Ebr. XI, 7). Così quelli che crederanno alla parola di Gesù saranno salvi. S. Paolo dimostra, nell’Epistola di questo giorno, tutto quello che ha fatto per predicare la fede alle nazioni. L’Apostolo delle genti è infatti il predicatore per eccellenza. Egli è il « ministro del Cristo » cioè colui che Dio scelse per annunziare a tutti i popoli la buona novella del Verbo Incarnato. « Chi mi concederà – dice S. Giovanni Crisostomo, – di andare presso la tomba di Paolo per baciare la polvere delle sue membra nelle quali l’Apostolo compì, con le sue sofferenze, la passione di Cristo, portò le stimmate del Salvatore, sparse dappertutto, come una semenza, la predicazione del Vangelo? » (Ottava dei SS. Apostoli Pietro e Paolo – 4 luglio). La Chiesa di Roma realizza questo desiderio per i suoi figli, celebrando, in questo giorno, la stazione nella Basilica di S. Paolo fuori le mura.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XLIII: 23-26
Exsúrge, quare obdórmis, Dómine? exsúrge, et ne repéllas in finem: quare fáciem tuam avértis, oblivísceris tribulatiónem nostram? adhæsit in terra venter noster: exsúrge, Dómine, ádjuva nos, et líbera nos.
[Risvégliati, perché dormi, o Signore? Déstati, e non rigettarci per sempre. Perché nascondi il tuo volto dimentico della nostra tribolazione? Giace a terra il nostro corpo: sorgi in nostro aiuto, o Signore, e líberaci.]
Ps XLIII: 2 – Deus, áuribus nostris audívimus: patres nostri annuntiavérunt nobis.
[O Dio, lo udimmo coi nostri orecchi: ce lo hanno raccontato i nostri padri.]
Oratio
Orémus.
Deus, qui cónspicis, quia ex nulla nostra actióne confídimus: concéde propítius; ut, contra advérsa ómnia, Doctóris géntium protectióne muniámur. – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.
[O Dio, che vedi come noi non confidiamo in alcuna òpera nostra, concédici propizio d’esser difesi da ogni avversità, per intercessione del Dottore delle genti. – Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. – Amen.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
2 Cor XI: 19-33; XII: 1-9.
“Fratres: Libénter suffértis insipiéntens: cum sitis ipsi sapiéntes. Sustinétis enim, si quis vos in servitútem rédigit, si quis dévorat, si quis áccipit, si quis extóllitur, si quis in fáciem vos cædit. Secúndum ignobilitátem dico, quasi nos infírmi fuérimus in hac parte. In quo quis audet, – in insipiéntia dico – áudeo et ego: Hebraei sunt, et ego: Israelítæ sunt, et ego: Semen Abrahæ sunt, et ego: Minístri Christi sunt, – ut minus sápiens dico – plus ego: in labóribus plúrimis, in carcéribus abundántius, in plagis supra modum, in mórtibus frequénter. A Judaeis quínquies quadragénas, una minus, accépi. Ter virgis cæsus sum, semel lapidátus sum, ter naufrágium feci, nocte et die in profúndo maris fui: in itinéribus sæpe, perículis fluminum, perículis latrónum, perículis ex génere, perículis ex géntibus, perículis in civitáte, perículis in solitúdine, perículis in mari, perículis in falsis frátribus: in labóre et ærúmna, in vigíliis multis, in fame et siti, in jejúniis multis, in frigóre et nuditáte: præter illa, quæ extrínsecus sunt, instántia mea cotidiána, sollicitúdo ómnium Ecclesiárum. Quis infirmátur, et ego non infírmor? quis scandalizátur, et ego non uror? Si gloriári opórtet: quæ infirmitátis meæ sunt, gloriábor. Deus et Pater Dómini nostri Jesu Christi, qui est benedíctus in saecula, scit quod non méntior. Damásci præpósitus gentis Arétæ regis, custodiébat civitátem Damascenórum, ut me comprehénderet: et per fenéstram in sporta dimíssus sum per murum, et sic effúgi manus ejus. Si gloriári opórtet – non éxpedit quidem, – véniam autem ad visiónes et revelatiónes Dómini. Scio hóminem in Christo ante annos quatuórdecim, – sive in córpore néscio, sive extra corpus néscio, Deus scit – raptum hujúsmodi usque ad tértium coelum. Et scio hujúsmodi hóminem, – sive in córpore, sive extra corpus néscio, Deus scit:- quóniam raptus est in paradisum: et audivit arcána verba, quæ non licet homini loqui. Pro hujúsmodi gloriábor: pro me autem nihil gloriábor nisi in infirmitátibus meis. Nam, et si volúero gloriári, non ero insípiens: veritátem enim dicam: parco autem, ne quis me exístimet supra id, quod videt in me, aut áliquid audit ex me. Et ne magnitúdo revelatiónem extóllat me, datus est mihi stímulus carnis meæ ángelus sátanæ, qui me colaphízet. Propter quod ter Dóminum rogávi, ut discéderet a me: et dixit mihi: Súfficit tibi grátia mea: nam virtus in infirmitáte perfícitur. Libénter ígitur gloriábor in infirmitátibus meis, ut inhábitet in me virtus Christi.”
[“Fratelli: Saggi come siete, tollerate volentieri gli stolti. Sopportate, infatti, che vi si renda schiavi, che vi si spolpi, che vi si raggiri, che vi si tratti con arroganza, che vi si percuota in viso. Lo dico per mia vergogna: davvero che siamo stati deboli su questo punto. Eppure di qualunque cosa altri imbaldanzisce (parlo da stolto) posso imbaldanzire anch’io. Sono Ebrei? anch’io: sono Israeliti? anch’io; discendenti d’Abramo? anch’io. Sono ministri di Cristo? (parlo da stolto) ancor più io. Di più nelle fatiche; di più nelle prigionie: molto di più nelle battiture; spesso in pericoli di morte. Dai Giudei cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno. Tre volte sono stato battuto con verghe, una volta lapidato. Tre volte ho fatto naufragio, ho passato un giorno e una notte nel profondo del mare. In viaggi continui tra pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli da parte dei mei connazionali, pericoli da parte dei gentili, pericoli nelle città, pericoli del deserto, pericoli sul mare, pericoli tra i falsi fratelli; nella fatica e nella pena; nelle veglie assidue; nella fame e nella sete; nei digiuni frequenti nel freddo e nella nudità. E oltre le sofferenze che vengono dal di fuori, la pressione che mi si fa ogni giorno, la sollecitudine di tutte le Chiese. Chi è debole, senza che io ancora non sia debole? Chi è scandalizzato, senza che io non arda? Se bisogna gloriarsi, mi glorierò della mia debolezza. E Dio e Padre del nostro Signor Gesù Cristo, che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco. A Damasco il governatore del re Areta, faceva custodire la città dei Damascesi per impadronirsi di me. E da una finestra fui calato in una cesta lungo il muro, e così gli sfuggii di mano. Se bisogna gloriarsi (certo non è utile) verrò, dunque, alle visioni e alle rivelazioni del Signore. Conosco un uomo in Cristo, il quale, or son quattordici anni, (se col corpo non so; se senza corpo non so; lo sa Dio) fu rapito in paradiso, e udì parole arcane, che a un uomo non è permesso di profferire. Rispetto a quest’uomo mi glorierò; quanto a me non mi glorierò che delle mie debolezze. Se volessi gloriarmi non sarei stolto, perché direi la verità; ma me ne astengo, affinché nessuno mi stimi più di quello che vede in me o che ode da me. E affinché l’eccellenza delle rivelazioni non mi facesse insuperbire, m’è stata messa una spina nella carne, un angelo di satana, che mi schiaffeggi. A questo proposito pregai tre volte il Signore che lo allontanasse da me. Ma egli mi disse: «Ti basta la mia grazia; poiché la mia potenza si dimostra intera nella debolezza». Mi glorierò, dunque, volentieri delle mie debolezze, affinché abiti in me la potenza di Cristo”]
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche,
Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
La lettura di questo lungo brano della seconda lettera di San Paolo ai Corinzi ci fa pensare alle orazioni più celebri del foro profano in difesa propria: Demostene, Cicerone. C’è tutto l’impeto di quei discorsi immortali. Nulla come un giusto amor di se stesso rende eloquente l’uomo. Ho detto giusto amor di sé, il che significa la fusione di due motivi della più singolare efficacia; l’egoismo, forza così pratica, e la giustizia, forza così ideale. Nella foga dell’autodifesa Paolo ricorda rapido, incisivo, travolgente i suoi martirii: « dall’abisso dei dolori di ogni genere che ho sofferto » si solleva ai doni celesti di che Dio lo ha letteralmente ricolmato. Quadro magnifico fatto di ombre e di luci ugualmente poderose. – Ma quando calmata la prima ammirazione che ci ha suggerito quel confronto con le pagine apologetiche anzi autoapologetiche più celebri della letteratura umana, ci si rifà a meditare il testo, si scopre una superiorità morale ineffabile dell’Apostolo sui profani oratori. Questi difendono, nelle loro arringhe fiammanti, ardenti i loro equi interessi. E l’equità toglie all’amor proprio ciò che da solo avrebbe di basso. Ma quando Paolo assume con un tono alto e sonoro, senza un’ombra di esitazione la sua difesa, egli difende una grande causa. Chiamato da Gesù Cristo a predicare il Vangelo nel mondo pagano, Paolo giudeo si gettò in questo apostolato a lui commesso con lo slancio della sua natura vulcanica; Paolo fu bersaglio immediato e poi via via crescente ai colpi di coloro che in quei giorni avrebbero voluto il Vangelo o tutto e solo o principalmente per i Giudei, e i Gentili o esclusi dal banchetto cristiano o ammessi ai secondi posti. Ire terribili come tutte le ire nazionali, che si scaldano per di più al fuoco delle religioni, roba incandescente. Per paralizzare un lavoro come quello di Paolo che essi credevano funesto, questi Cristiani rimasti più scribi e farisei che divenuti Cristiani veri, apponevano alla figura di Paolo, l’ultimo arrivato nel collegio apostolico, la figura veneranda dei veterani, dei compagni personali di Gesù Cristo, degli intemerati discepoli che non avevano come Paolo lordato mai di sangue le loro mani, sangue cristiano. Quelli erano apostoli, non costui; un aborto di apostolato. Colpivano l’uomo in apparenza; in realtà attentavano alla grande causa dell’apostolato cristiano, libero e universale. Un apostolato a scartamento ridotto essi volevano; un timido apostolato cristiano, schiavo del giudaismo, dal giudaismo tenuto alla catena. Non sentivano, né la vera grandezza della Sinagoga che era quella di mettersi tutta a servizio della Chiesa, né la vera grandezza della Chiesa ch’era quella di abbracciare il mondo. Tutto questo Paolo difende in realtà, difendendo, esaltando in apparenza se stesso. E perché tutto questo Egli difende, la sua apologia acquista un calore di eloquenza e una dignità di contenuto affatto nuovo. E perché d’orgoglio personale non rimanga neppure l’ombra, dopo che l’Apostolo ha parlato con un senso altissimo di dignità, rivendicando il suo giudaismo, dolori e glorie della sua attività apostolica, parla l’uomo. Un povero uomo egli è, e si sente, il grande Apostolo; pieno di miserie fisiche che si risolvono in umiliazioni morali. Quelle debolezze gli dicono ogni giorno ch’egli non è se non un debole strumento nelle mani del Forte, che lavora in lui per la santità interiore, per la sua apostolica propaganda, lavora la grazia di Gesù Cristo. Le sue maggiori glorie sono così le sue umiliazioni, documenti e prove del Cristo presente, « inhabitat in me virtus Christi».
Graduale
Ps LXXXII: 19; LXXXII: 14
Sciant gentes, quóniam nomen tibi Deus: tu solus Altíssimus super omnem terram.
[Riconòscano le genti, o Dio, che tu solo sei l’Altissimo, sovrano di tutta la terra.]
Deus meus, pone illos ut rotam, et sicut stípulam ante fáciem venti.
[V. Dio mio, ridúcili come grumolo rotante e paglia travolta dal vento.]
Ps LIX: 4; LIX: 6
Commovísti, Dómine, terram, et conturbásti eam. Sana contritiónes ejus, quia mota est. Ut fúgiant a fácie arcus: ut liberéntur elécti tui.
[Hai scosso la terra, o Signore, l’hai sconquassata. Risana le sue ferite, perché minaccia rovina. Affinché sfuggano al tiro dell’arco e siano liberati i tuoi eletti.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc VIII: 4-15
“In illo témpore: Cum turba plúrima convenírent, et de civitátibus properárent ad Jesum, dixit per similitúdinem: Exiit, qui séminat, semináre semen suum: et dum séminat, áliud cécidit secus viam, et conculcátum est, et vólucres cœli comedérunt illud. Et áliud cécidit supra petram: et natum áruit, quia non habébat humórem. Et áliud cécidit inter spinas, et simul exórtæ spinæ suffocavérunt illud. Et áliud cécidit in terram bonam: et ortum fecit fructum céntuplum. Hæc dicens, clamábat: Qui habet aures audiéndi, audiat. Interrogábant autem eum discípuli ejus, quæ esset hæc parábola. Quibus ipse dixit: Vobis datum est nosse mystérium regni Dei, céteris autem in parábolis: ut vidéntes non videant, et audientes non intéllegant. Est autem hæc parábola: Semen est verbum Dei. Qui autem secus viam, hi sunt qui áudiunt: déinde venit diábolus, et tollit verbum de corde eórum, ne credéntes salvi fiant. Nam qui supra petram: qui cum audierint, cum gáudio suscipiunt verbum: et hi radíces non habent: qui ad tempus credunt, et in témpore tentatiónis recédunt. Quod autem in spinas cécidit: hi sunt, qui audiérunt, et a sollicitudínibus et divítiis et voluptátibus vitæ eúntes, suffocántur, et non réferunt fructum. Quod autem in bonam terram: hi sunt, qui in corde bono et óptimo audiéntes verbum rétinent, et fructum áfferunt in patiéntia.”
[« In quel tempo radunandosi grandissima turba di popolo, e accorrendo a lui da questa e da quella città, disse questa parabola: Andò il seminatore a seminare la sua semenza: e nel seminarla, parte cadde lungo la strada, e fu calpestata, e gli uccelli dell’aria la divorarono. Parte cadde sopra le pietre; e nata che fu, seccò, perché non aveva umido. Parte cadde tra le spine; e le spine, che insieme nacquero, la soffocarono. Parte cadde in buona terra; e nacque, e fruttò cento per uno. Detto questo, esclamò: Chi ha orecchie da intendere, intenda. E i suoi discepoli gli domandavano, che parabola fosse questa. Ai quali egli disse: A voi è concesso d’intendere il mistero di Dio; ma a tutti gli altri (parlo) per via di parabole, perché vedendo non veggano, e udendo non intendano. La parabola adunque è questa. La semenza è la parola di Dio. Quelli che (sono) lungo la strada sono coloro che la ascoltano; e poi viene il diavolo, e porta via la parola dal loro cuore, perché non si salvino col credere. Quelli poi che la semenza han ricevuta sopra la pietra, (sono) coloro i quali, udita la parola, la accolgono con allegrezza; ma questi non hanno radice, i quali credono per un tempo, e al tempo della tentazione si tirano indietro. La semenza caduta tra le spine, denota coloro i quali hanno ascoltato; ma dalle sollecitudini, e dalle ricchezze, e dai piaceri della vita a lungo andare restano soffocati, e non conducono il frutto a maturità. Quella che (cade) in buona terra, denota coloro i quali in un cuore buono e perfetto ritengono la parola ascoltata, e portano frutto mediante la pazienza »]
OMELIA
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)
SEME E TERRENI: PAROLA DIVINA E CUORI
« Udite! Il seminatore uscì a seminare. Nell’ampio gesto della semina, una parte del grano cadde lungo la strada; gli uccelli lo beccarono. Un’altra parte cadde sopra un suolo roccioso appena ricoperto da un velo di terra: spuntò, ma non potendo metter radici, fu bruciato via dal sole. Una terza parte cadde tra le spine: e fu soffocato prima che mettesse spiga. Un’altra parte cadde in terreno buono: diede frutto, dove il trenta, dove il sessanta, dove il cento per uno. Chi ha orecchio per udire, oda ». -. Di questa parabola abbiamo la spiegazione dello stesso Gesù che l’ha detta. Infatti i più diligenti, i più intimi de’ suoi discepoli, in un momento in cui era solo, gli chiesero il significato: « Come? voi non avete compreso questa parabola? Il seme è la parola divina, i terreni diversi sono i diversi cuori che l’ascoltano ». Approfondiamo devotamente la spiegazione del Signore. – IL SEME CIOÈ LA DIVINA PAROLA. In due modi Gesù Cristo ha voluto rimanere in mezzo a noi: primo, nella verità della sua carne con la santa Eucaristia; secondo, nella verità della sua parola con la santa predicazione. E come noi crediamo che sotto le apparenze del pane e del vino c’è veramente presente vivo e reale il Corpo di Cristo nato da Maria Vergine, così dobbiamo credere che sotto le apparenze della voce e del gesto del sacerdote che predica è ancora la parola di Cristo che risuona. – a) Bisogna rinnovare la fede nella parola di Dio. — Quando Paolo, minacciando strage contro i Cristiani, fu vicino a Damasco, Gesù stesso gli apparve per convertirlo, e dopo averlo atterrato e accecato gli disse: « Io sono Gesù che tu perseguiti ». Ed egli, tutto tremante e stupefatto, chiese: « Signore; che vuoi che faccia? ». « Levati, entra in città, ove ti sarà detto da Anania quello che devi fare ». (Atti, IX, 1-6). – Al Signore sarebbe costato nulla insegnare direttamente a Paolo tutte le verità, dal momento che l’aveva creduto degno di quel miracoloso prodigio. Ma Dio volle servirsi del ministero sacerdotale di Anania, perché tutti sapessero che anche il dottore delle genti ricevette la parola di Dio dalle labbra di un sacerdote. « Chi ascolta voi, ascolta me! », disse ai discepoli il Figlio di Dio. E Paolo ascoltò e credette ad Anania come avrebbe ascoltato e creduto allo stesso Gesù. È con questa fede che ascoltiamo la divina parola? Se dopo tante prediche non ci siamo convertiti, né abbiamo migliorato, segno che a noi manca la fede di Paolo e che ascoltiamo la parola di Dio come fosse quella di un uomo. – b) Bisogna sentirne la necessità. — La Santa Chiesa ha imposto sotto pena di peccato mortale di ascoltare la Messa ogni domenica; ma non ha imposto sotto pena di peccato mortale di ascoltare ogni domenica la predica. Eppure osserva audacemente S. Bernardino di Siena: « Se di queste due cose tu non ne potessi fare che una, o udire la Messa o udire la predica, per la tua anima è assai più pericoloso tralasciare la predica. Infatti, crederesti tu nel santo Sacramento dell’altare se non fosse stata la predicazione che hai udito? Tutta la tua fede vien dall’udito ». Il santo non ha torto. Oggi ci sono moltissimi che vengono tardi alla Messa per eludere in tutto o in parte la predica. Che gioverà a loro udire la Messa, se non la capiscono più? Che gioverà a loro confessarsi e comunicarsi qualche volta all’anno, se non sanno più confessarsi e comunicarsi bene? D’altra parte, nessuno si creda istruito abbastanza da fare a meno della parola di Dio. Talete, quel gran sapientone che conosceva tutte le parti del cielo ma non il cortile di casa sua, una volta contemplando le stelle cadde in una fossa. Egli è l’immagine di chi, vantando una grande scienza, ignora le cose più elementari e finisce col cadere in ruzzoloni morali e magari nel baratro dell’inferno. Che vale saper tante cose, se ignori quella di non romperti l’osso del collo, cioè di salvare l’anima? – I Terreni, CIOÈ I CUORI. La parola di Dio è un seme meraviglioso. Creò il mondo, diede la vista ai ciechi, la salute ai malati, risuscitò i morti, convertì i peccatori. Se questo seme non produce frutto, colpa è del terreno cioè del cuore che lo riceve. Gesù distinse in quattro gruppi diversi gli ascoltatori: – a) Il primo raffigurato nella strada è di quelli che offrono alla parola divina un cuore calpestato e duro, dove il Vangelo non riesce a penetrare. Viene satana come un uccello di malaugurio e becca via la semente rimasta inerte a fior di suolo. Son quei fedeli che ascoltano la predica con un orecchio e la lasciano uscire dall’altro. Non tengon giù niente. Ma un ammalato che non ritiene il cibo non farà mai l’uomo; e così costoro non sapranno mai fare i Cristiani. – Nella Storia Sacra si racconta che il Re di Babilonia Nabucodonosor aveva fatto un sogno che lo mise nella più alta costernazione e nella più inaspettata sorpresa. Quel sogno gli rivelava l’avvenire del suo regno. Ma appena svegliato la visione dileguò dalla sua memoria, e non poteva ricordarsi di nulla (Dan., II, 3). E la parola di Dio com’è ascoltata da certi uditori è simile a un tal sogno? Hanno udito grandi verità; venne posto davanti ai loro occhi la visione del loro eterno avvenire, ma: appena usciti di chiesa, essi non vi pensano più, non ricordano più nulla. – b) Il secondo gruppo, raffigurato nel suolo roccioso velato da un esile strato di terra, dove il seme può germogliare ma non metter radici, così che alla prima dardeggiata di sole vien secco, è di quegli ascoltatori che si lasciano convincere dalla parola di Dio, e promettono di praticarla, e la praticano con entusiasmo finché non costa nulla. Ma alla prima difficoltà, al primo sacrificio; alla prima occasione, al primo rispetto umano, abbandonano la parola di Dio, e vanno verso il loro comodo o il loro piacere. Il regno dei cieli patisce violenza: ma costoro non sanno sostenerla; e la loro casa spirituale come quella ch’è costruita sulla sabbia senza profondità di fondamenta è destinata a sfasciarsi alle prime alluvioni. – c) Il terzo gruppo raffigurato nel terreno invaso dalle spine, è di quelli che sentendo le prediche vorrebbero convertirsi, ma sono assorbiti dagli affari, hanno l’anima invasa o dalla seduzione della ricchezza o dalla corruzione della lussuria. Quando Paolo era prigioniero a Cesarea, fu presentato dal procuratore romano a Re Agrippa e alla sua regale sorella Berenice. La gran sala delle udienze era gremita di illustri personalità civili e militari. L’Apostolo cominciò a parlare con tanto ardore del Figlio di Dio morto per noi e risorto, della giustizia e della purità che Egli esige per condurci alla salvezza nel regno dei cieli, che il Re commosso esclamò: «Paolo, quasi tu mi persuadi a diventar Cristiano ». Paolo col cuore gonfio di speranza rispose: « Quasi o senza quasi, volesse Iddio che non solo tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero Cristiani come son io ». Ma nessuno di quelli si convertì. Avevano tutti il cuore gravato dalle sollecitudini mondane, cominciando dal Re Agrippa che aveva nel cuore innominabili passioni. Perciò il seme della divina parola germogliava in loro, ma veniva soffocato prima di dar frutti. – d) Bisogna ricordare anche il quarto gruppo che è di quelli che la parola di Dio ascoltano, custodiscono in cuore, e fanno fruttificare. – In Listri trovavasi un uomo impotente nelle gambe, il quale non aveva mai saputo camminare. Ma stava a sentire i ragionamenti di Paolo con tanta fede e attenzione, che l’Apostolo miratolo negli occhi gli disse: « Alzati dritto sui tuoi piedi ». E saltò su e camminava. Se con quell’ardore di fede e di buona volontà sentissimo sempre la parola di Dio, anche noi salteremmo su dai nostri difetti e dalle peccaminose abitudini e cammineremmo dritti nella via del Signore. – Il Vangelo si ascolta in piedi. Così vuole la liturgia; ma dovete comprendere bene il significato di tale disposizione. Il Vangelo si ascolta in piedi: per mostrare con l’atteggiamento della nostra persona il rispetto e la fede nella parola di Dio. Il Vangelo si ascolta in piedi: per mostrarci nell’atteggiamento di chi, ascoltando ordini, è pronto a correre per eseguirli.
Questa del seminatore è la prima parabola raccontata da Gesù. Cristiani, ricavate subito una conclusione: la parola di Dio è sempre feconda e preziosa in sé; quando resta sterile, o non produce tutto quel frutto che dovrebbe, è colpa del cuore che ascolta, o perché duro come una strada, o perché ghiaioso, o perché rimboschito come una siepe. Dunque, ci sono cuori dove il seme resta seme, e cuori dove germoglia, ma non fa spiga. E cuori dove produce il suo frutto. – DOVE IL SEME RESTA SEMPRE SEME. C’era un figliuolo, — racconta Gesù nel Vangelo, — che a tutti gli ordini e gli avvisi di suo padre rispondeva di sì; ma poi non li eseguiva mai e faceva solo e sempre il suo talento. Purtroppo i discendenti di questo figliuolo si sono moltiplicati nella Chiesa. Sono gli innumerevoli Cristiani che accettano tutte le verità della loro fede, ascoltano le prediche, ma in pratica vivono come a loro piace. La parola di Dio, essi la leggono come la parola d’un romanzo, essi l’ascoltano come la parola d’una commedia: chiuso il libro, terminato lo spettacolo, ogni compito è esaurito. Sanno che nel Battesimo hanno ricevuto in sé una vita divina, soprannaturale: ma vivono come se fossero fatti solo di corpo e di anima, e non anche di Grazia. Sanno che c’è il paradiso, ma agiscono come se non dovessero mai morire, e il Cielo fosse l’isola immaginaria del tesoro. Sanno che c’è l’inferno: ma s’abbandonano alla lussuria e all’avarizia spassosamente quasi che non fossero i due binari della via di perdizione. A questo modo, il seme resta sterile seme; la parola, vana parola. Onde consegue un duplice male: Il male che fanno a se stessi, perché non s’avvedono di mettere insieme ciò che è inconciliabile: Dio e il mondo, le funzioni liturgiche e i divertimenti lussuriosi, i sacramenti e i vizi. Il male che fanno agli altri, perché, a cagione della loro condotta, la fede è screditata e derisa. Sono questi cattivi Cristiani che diffondono l’ateismo, impedendo a molti di vedere la luce di Dio. Garcia Moreno, nella sua giovinezza, amava la fede, ma lasciava alquanto a desiderare nella pratica. Trovandosi in esilio a Parigi, e passeggiando, con alcuni amici increduli, parlava loro con entusiasmo della Religione. Ma uno dei suoi ascoltatori l’interruppe bruscamente: « Ella parla molto bene. Ma la pratica corrisponde alla sua fede? Ma i fatti rispecchiano le parole? ». Garcia Moreno, incapace di fingere, abbassò gli occhi e tacque un momento. Poi riprese con voce sommessa ma risoluta: « Sono attaccato con un argomento personale che oggi può sembrare valido: domani, indubbiamente, non lo sarà più ». Appena a casa, si chiuse in camera a riflettere; pregò a lungo, e la sera uscì a cercare un confessore, Dal giorno dopo in poi, tutta la sua vita fu uno sforzo energico di lealtà, affinché la pratica coincidesse con la fede, i suoi atti corrispondessero alle sue parole. – Tutti noi abbiamo bisogno di raccoglierci un momento, di verificare le posizioni dell’anima nostra; tutti abbiamo bisogno di trovare la lealtà, il coraggio e la coerenza di Garcia Moreno. – DOVE IL SEME GERMOGLIA MA NON SI FA SPIGA. Un signore che possedeva molte ricchezze, ascoltando la parola di Gesù, si sentì commosso, e si mise alla sua sequela. Ad un tratto Gesù si voltò e gli disse: « Se vuoi essere perfetto, vendi quello che hai e distribuisci il ricavato ai poveri ». Quel giovane allora si fermò, si staccò dal gruppo dei discepoli, e se ne andò per un’altra strada tristemente. In lui sono raffigurati i Cristiani che accolgono e praticano la parola di Dio fin dove è possibile senza sacrifici e rinunce; che seguono Gesù fin dove la sua strada coincide con quella del loro interesse. Ma a questo modo, la parola divina che esige mortificazioni e distacchi non può far frutto nel cuore che glieli nega. Facciamo qualche caso concreto. Dice la parola di Dio: « Padre, sia fatta la tua volontà come in cielo, così in terra ». Bella e dolce parola, che il Cristiano sa ripetere fedelmente, fin quando insieme alla volontà del Padre può fare anche la propria: e intanto s’immagina di aver molta fede e molto amor di Dio. Niente di male fin qui. Ma giunge quel momento, in cui la volontà del Padre contrasta i suoi comodi. Ad esempio essa impone di prendere tutti i figli che crede mandare ed esige il rischio degli agi, della tranquillità, del vano decoro, forse anche della salute. Che avviene allora? Troppo spesso avviene che il Cristiano dica: « Padre, facciano gli Angeli in cielo la tua volontà, che io faccio il comodo mio ». – Dice la parola di Dio: « Con le ricchezze procuratevi degli amici che vi possano accogliere nelle case eterne quando la morte vi farà sloggiare da queste terrene » (Lc. XVI, 9). E non vuol già dire che sono obbligati a fare elemosina soltanto i ricchi, ma tutti, perché tutti, dovendo morire, hanno bisogno d’amici che li accolgano nelle dimore celesti. I ricchi e quelli che hanno in sovrabbondanza vi sono obbligati per i primi, ma i poveri non sono esentati, perché ci sono dei più poveri di loro a cui possono e devono portare aiuto e consolazione. Molti però non arrischiano mai, se non delle elemosine insignificanti; così credono di guadagnare il paradiso se c’è, e, d’altra parte, di non perderci molto, se non c’è. La loro fiducia nella parola divina è scarsa e irreale. Dice ancora la parola di Dio: « Beati quelli che piangono perché saranno consolati. Beati quelli che soffrono persecuzioni per causa della giustizia perché il regno dei cieli sarà per loro… ». È facile accogliere e ripetere questa parola quando gli occhi sono asciutti, c’è il sorriso sulle labbra, e la fortuna è prospera. Ma quando il cuore è oppresso davvero, e una dopo un’altra le sventure ci perseguitano, e forse siamo calunniati e conculcati innocentemente, allora molti sono quelli che si ribellano e negano la bontà e la giustizia di Dio, e invidiano coloro che se la godono a dispetto d’ogni comandamento del Signore, e invocano le consolazioni presenti e peccaminose del mondo. Cristiani, le consolazioni del mondo sono danaro falso e volgare, ma in contanti. La parola di Dio è un tesoro immenso e verace, ma in cambiali. Chi ha fede le accetta, e arrischia tutto per tutto! – DOVE PRODUCE CONSOLANTE FRUTTO. Dove produce consolante frutto la parola di Dio è proprio nel cuore che, fidando in essa, arrischia tutto per tutto. Ivi avvengono due mirabili effetti: i peccati spariscono, le virtù fioriscono. Racconta la leggenda che dovunque passava Gesù Bambino fuggendo verso l’Egitto, tutti gli idoli si frantumavano. Questa leggenda è una realtà per la parola di Dio. Dov’essa entra, ogni idolo si frantuma e dispare: l’idolo dell’orgoglio, dell’egoismo, della lussuria, dell’avarizia. Mano a mano che il cuore si libera da queste malvage schiavitù, la parola dì Dio vi accende un desiderio sempre più forte di conoscere intimamente il Signore, per amarlo più ardentemente e servirlo più fedelmente. Intanto anche la vita pratica si trasforma tutta, perché di ciascun vero Cristiano si può ripetere quello che fu scritto di S. Epifanio: « Illustrava coi suoi atti la parola di Dio che aveva letto o che aveva ascoltato ». Quelli poi che avvicinano uno di questi coerenti Cristiani, vedono un riflesso di luce divina, una trasparenza di Gesù Cristo. Pare a loro di entrare come in un tempio e di trovarsi alla presenza di Dio: sentono i pensieri sollevarsi a cose nobili, il cuore ardere di desideri puri, e tutto il loro essere sospira a diventar migliore. – S. Agostino asserisce di sua madre S. Monica che con la sua condotta faceva sentire Dio vicino: lo sentì per primo suo marito Patrizio, lo sentì poi il figlio che convertì e divenne santo, lo sentirono tutti quelli che la conobbero. In lei veramente la parola di Dio aveva trovato un cuore docile e produceva il cento per uno. – Quando i primi missionari di Roma arrivarono in Inghilterra a predicare la parola del Signore, il re d’una di quelle province, avendo ascoltato gli ardenti e convinti discorsi di Paulinus, sentì il desiderio di farsi Cristiano. Ma prima adunò l’assemblea dei notabili per prendere un consiglio. Uno di quei notabili si alzò in mezzo all’assemblea e prese a parlare con uno splendido paragone: « Immaginiamo, o re, di essere tutti raccolti nella tua sala per un banchetto. Fuori è una notte invernale: il vento urla tra le piante, e la neve mista a pioggia turbina e sbatte sulle finestre. Dentro è un dolce tepore e una bella luce: si mangia e si discorre allegramente. Ed ecco un uccello smarrito, entrato chi sa come da una finestra, attraversa la sala, sorvola la mensa e scompare per la finestra opposta. Uscito dal buio, di nuovo dal buio inghiottito: solo un momento di luce, un battito d’ali nel tepore. Così, ora è la vita dell’uomo, un attimo appare e poi dispare. Donde venga, dove vada, poi non sappiamo. Buio prima e buio dopo, noi sappiamo quell’attimo appena che la vita dura nella luce e nel calore del sole. Ora è arrivato al nostro paese uno che conosce con certezza il mistero, egli sa donde veniamo, dove andiamo, sa a che tende il nostro breve cammino sulla terra. La mia ragione mi dice che bisogna ascoltarlo e fare come ci insegna ». Cristiani, gli uomini, anche i più dotti, non hanno mai saputo spiegare il mistero della nostra vita. È venuto sulla terra Gesù Cristo a portarci la verità e la vita. Egli ha provato con miracoli e colla sua santità di essere Figlio di Dio, e ci ha rivelato infallibilmente donde veniamo e dove andiamo, e che cosa intanto dobbiamo fare. La sua parola divina risuonata due mila anni fa, non si è spenta, ma suona ancora di bocca, in bocca, sulle labbra dei sacerdoti, ci dice che bisogna ascoltare la parola di Dio, meditarla e praticarla.
Gesù terminò la parabola del seme e del seminatore con queste parole: « Chi vuol capire, capisca ». Ma anche quelli che erano più vicini, i discepoli, non avevano inteso il significato delle parole di Gesù e desideravano di capire. Per quanto cercassero di interpretarle tra di loro, non ci erano riusciti. Sapevano però che Gesù era tanto buono, sempre pronto a soddisfare il desiderio di verità e perciò gli si fecero attorno con tanta schiettezza a domandargli qualche spiegazione. Se i discepoli non l’avessero chiesto, Gesù non avrebbe spiegato nulla ed anch’essi sarebbero rimasti all’oscuro di cose tanto belle sul Regno di Dio. Ma perché dimostrarono il desiderio di imparare, Gesù parlò e capirono bene. Così dobbiamo fare anche noi. Se Gesù è il Maestro, noi dobbiamo essere i suoi alunni desiderosi di conoscere e di far conoscere la sua Verità. – CERCARE LA VERITÀ. Il Sabato Santo d’ogni anno, a Gerusalemme, il Vescovo scende nella cripta del Sepolcro di Cristo, ed ivi accende un fuoco benedetto. Allora la folla dei fedeli e dei pellegrini si affrettano ad accendere a quel fuoco le fiaccole, per portarle ciascun alle proprie case. Tutti quanti i Cristiani che sono a Gerusalemme, in quel giorno accorrono alla Basilica fin dalle prime ore per prendere il fuoco sacro. Cristiani, non a Gerusalemme soltanto, non nella sola Settimana Santa, ma oramai da secoli c’è una fiamma che arde nelle nostre Chiese e su tutti sparge la sua splendida luce. Non dico della S. Eucaristia in cui l’Amore infinito si è nascosto per stare sempre con noi, ma della luce della verità cristiana. – Gesù si è nascosto sotto le apparenze del pane e del vino per essere il cibo delle anime e si è nascosto anche sotto la parola del Sacerdote per essere il mistico nutrimento delle nostre intelligenze. – Prima di salire al cielo disse ai suoi: « Andate per tutto il mondo, ammaestrate tutte le genti. Quello che ho detto soltanto a voi, predicatelo ovunque, anche dall’alto dei tetti ». Ed i Vescovi, i Parroci, i Sacerdoti raccolgono questo divino comando e ripetono a noi quanto Cristo ha insegnato. – Non è dunque la parola dell’uomo che voi sentite in Chiesa, ma è proprio Gesù che sotto altre apparenze continua a predicare. È con questo pensiero, con questa persuasione che noi veniamo a sentir le prediche? Questa luce piena di amore è un uomo che a noi la trasmette, ma questo uomo, come il Vescovo di Gerusalemme, accende nel Sepolcro di Cristo, meglio ancora, la attinge dal Cuore stesso di Gesù. Domandiamoci allora qual sia mai la nostra frequenza alla dottrina Cristiana, alle sacre predicazioni. Si fanno tutti un obbligo di apprendere qualche mestiere onde procacciarsi il pane, di imparare a leggere, a scrivere, a fare dei conti e come mai tanta ignoranza anche dei primi elementi del sillabario del Cristiano? Si fa, e giustamente, tanta lotta contro l’analfabetismo, ma purtroppo, in fatto di Religione, gli analfabeti sono ancora molti. Eppure i misteri della nostra fede, la salvezza dell’anima, i doveri del nostro stato non sono cose meno necessarie di una professione che ci dia da vivere. C’è di mezzo Iddio e con Dio non si scherza. – DARE LA VERITÀ. Il rombo assordante dei cannoni, il fischiar delle palle era appena cessato: i soldati eran tornati alle loro trincee e le tenebre della notte, opprimenti come un manto funebre, coprivano quel teatro di tanto terrore. Qua e là, disseminati in disordine, cadaveri orribilmente deformi, membra staccate, armi in frantumi. Rompevano il silenzio i gemiti dei feriti, i rantoli dei morenti che chiamavano Dio e la mamma lontana. Ministro del Dio di pace, passava tra le miserie umane il Cappellano militare in cerca di anime, quando lo colpì un lamento lungo, che toccava il cuore. « Prete, aiutami a morire bene! » — S’affretta, accorre e trova un povero giovane, sfigurato, con sul volto il pallore della morte. « Prete! aiutami a morire bene; dammi Gesù! ». Il sacerdote, commosso, soffocato quasi dai singhiozzi lo confessa, gli dà il viatico, gli amministra l’olio santo. Il soldato era già in agonia ma ebbe ancora la forza di imprimere un bacio sulla mano del prete e dirgli: « Grazie! ». Fu l’ultima sua parola; poi le sue labbra si chiusero per sempre. – Mi pare che questa scena di guerra possa essere un simbolo di quanto avviene al mondo. La vita è una battaglia contro satana ed il suo regno. Ogni giorno si combatte non coi cannoni o le mitragliatrici ma colle tentazioni impure, coi pensieri di superbia, con l’attacco alla roba della terra. Ma benché tutti possano vincere e passare illesi tra il fuoco, purtroppo sono molti i feriti che nell’attacco perdono sangue e forse anche la vita. Sopra di questo campo di feriti e di morti cadono le tenebre dell’ignoranza che oscurano il sole e la luce di Dio. Ma tendete l’orecchio e sentirete da quei feriti sprigionarsi un grido di supplica che vi dice: « Dateci Gesù! insegnateci a morire bene! ». Così inconsciamente vi dicono tanti infelici che non hanno la pace del cuore perché nessuno ha saputo portar loro Gesù. Quel continuo non essere contenti, quel cercare sempre nuove forme di godere perché ci si sente presi da una indicibile noia non è forse una supplica muta, uno spasimo irrequieto verso il Dio della pace? Voi non siete cappellani di guerra, non siete sacerdoti ma, Cristiani, a tutti incombe il dovere di pensare anche all’anima dei nostri fratelli! Se non altro, almeno colla preghiera, tutti possono avere da noi quell’aiuto soprannaturale che è il solo di cui l’anima ha veramente bisogno. Se tutte le volte che recitiamo il Pater noster, dicessimo davvero col cuore le parole: Sanctificetur Nomen tuum, adveniat Regnum tuum, sarebbe già qualche cosa. Preghiamo e offriamo perché la verità sia conosciuta dai popoli ancora pagani: le Missioni e i Missionari sono dunque interessi nostri. Preghiamo e offriamo perché la verità non si oscuri in questa patria nostra, destinata da Dio a tenere alta nel mondo la fiaccola della vera civiltà: l’Università Cattolica del Sacro Cuore è pure interesse nostro. E poi ciascuno faccia tutto quello che può per dare al prossimo la Verità. Voi specialmente, o genitori, cui il Signore ha concesso dei figliuoli da educare, siate davvero i sacerdoti della vostra famiglia. Fate imparare le orazioni del mattino e della sera, anzi voi stessi recitatele insieme. Attenti se studiano il Catechismo, se imparano le verità della fede. La strada che per prima i figliuoli devono imparare, sia quella della chiesa dove si insegna a vivere bene. È Gesù che voi dovete dare. Avete tutto il dovere di allontanare dai vostri figliuoli l’influsso di satana. Accanto alla vostra casa, forse nello stesso cortile, allo stesso lavoro, avete ai fianchi persone che ignorano la fede o la mescolano malamente con mille superstizioni. Quando vediamo che una buona parola, un invito alla Chiesa può tornare opportuno, dopo di aver pregato, non lasciamo passare l’occasione di fare del bene. – Un Re ebbe, un giorno, desiderio di conoscere i suoi sudditi e di offrire a loro il dono del suo amore. Mandò il suo araldo a battere di porta in porta. Batté il primo portone che incontrò, e disse: « Ospite, è la parola del re ». Ma nessuno gli rispose. Batté a una seconda porta, e disse: « Aprite, è la parola del Re ». E gli fu risposto: Non voglio scomodarmi ad aprire, gridala, se vuoi, dal di fuori » L’araldo afflitto per la scortese accoglienza passò innanzi. E arrivò ad un’altra porta. Battè ancora: « Aprite, è la parola del Re ». Subito fu aperto e dal di dentro una voce supplicò: « Ch’io senta la benedetta parola del mio Re! ». Quest’uomo fu condotto alla reggia, ed ebbe lui solo il dono dell’eterno Amore del Re! – Cristiani, l’araldo che Iddio manda a noi, è il sacerdote che reca il messaggio della divina parola alla soglia del nostro cuore. Nessuno si è mai pentito d’avergli aperta la porta del cuore; nessuno si è mai pentito d’aver cercato la Verità del Vangelo, d’averla additata agli altri. – Chi apre il cuore alla parola di Dio, è chiamato alla reggia eterna del cielo a godere il dono dell’eterno Amore del Re.
Credo
Offertorium
Orémus Ps XVI: 5; XVI:6-7
Pérfice gressus meos in sémitis tuis, ut non moveántur vestígia mea: inclína aurem tuam, et exáudi verba mea: mirífica misericórdias tuas, qui salvos facis sperántes in te, Dómine.
[Rendi fermi i miei passi nei tuoi sentieri, affinché i miei piedi non vacillino. Inclina l’orecchio verso di me, e ascolta le mie parole. Fa risplendere la tua misericordia, tu che salvi chi spera in Te, o Signore.]
Secreta
Oblátum tibi, Dómine, sacrifícium, vivíficet nos semper et múniat.
[Il sacrificio a Te offerto, o Signore, sempre ci vivifichi e custodisca.]
Communio
Ps XLII:4
Introíbo ad altáre Dei, ad Deum, qui lætíficat juventútem meam.
Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza.]
Postcommunio
Orémus.
Súpplices te rogámus, omnípotens Deus: ut, quos tuis réficis sacraméntis, tibi étiam plácitis móribus dignánter deservíre concédas.
[Ti supplichiamo, o Dio onnipotente, affinché quelli che nutri coi tuoi sacramenti, Ti servano degnamente con una condotta a Te gradita.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)