I SERMONI DEL CURATO D’ARS:
(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. IV, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)
“Sull’ubriachezza”
Nolite inebriari vino, in quo est luxuria.
(EPHES. V, 18).
S. Paolo ci assicura che gli ubbriaconi non entreranno mai nel regno dei cieli (I Cor. VI, 10); bisogna dunque dire che l’ubriachezza sia un peccato molto grave. E ciò si capisce facilmente, poiché, sotto qualunque aspetto lo si consideri, questo peccato è disonorante anche per gli stessi pagani; devono dunque i Cristiani temerlo mille volte più della morte. Lo Spirito Santo ce lo dipinge in un modo pauroso; Egli ci dice: “Guai a voi che vi vantate di bere molto vino, e siete forti nell’inebriarvi… guai a colui che si alza al mattino col pensiero di darsi all’ubriachezza! „ (Prov. VI, 6). Ahimè! Fratelli miei, sono assai pochi quelli che, presi da questo vizio, procurano di correggersi. Alcuni non trovano alcun male nel bere ad ogni occasione; gli altri pensano che, purché non perdano la ragione, non commettono grave peccato; altri infine, si scusano perché i compagni ve li trascinano. Per disingannarli tutti di questi errori, io mostrerò loro:
1° che tutto condanna l’ubriachezza;
2° che tutti i pretesti che i bevitori tentano di addurre non riescono a giustificarli davanti a Dio.
I. — Per mostrarvi, F. M., l’enormità del peccato dell’ubriachezza, bisognerebbe poter farvi conoscere la grandezza dei mali che porta con sé per il tempo e per l’eternità: ciò che non sarà mai possibile ad un uomo mortale, perché Dio solo può conoscerlo. Quanto vi dirò dunque, sarà un nulla in confronto di ciò che è la realtà. Dapprima converrete con me, che una persona la quale ha ancora un po’ di buon senso e di religione, non può essere indifferente ed insensibile alla perdita della sua riputazione, della sanità e della salvezza dell’anima. Se devo spiegarmi meglio, vi dirò che l’ubbriacone, per il suo peccato, si rovina la salute, attira su di sé l’avversione degli uomini e la maledizione di Dio. Io credo, F. M., che questo solo potrebbe bastarvi per farvene concepire un vero orrore. Quale vergogna per una persona, ma specialmente per un Cristiano, immergersi in questo infame pantano! Lo Spirito Santo ci dice nella sacra Scrittura, che bisogna mandare il fannullone e l’ozioso dalla provvida formica, affinché da essa impari a lavorare (Prov. XX, 22); ma l’ubbriacone, dice che bisogna mandarlo dagli animali immondi, perché da essi impari la temperanza nel bere e nel mangiare. Quando si vuol indurre un peccatore ad uscire dal peccato gli si propongono gli esempi di Gesù Cristo e dei santi; ma per un ubbriacone bisogna cambiar linguaggio: bisogna proporgli l’esempio degli animali, senza temere di scendere ai più immondi. Gran Dio, che orrore! S. Basilio ci dice che non si dovrebbero tollerare gli ubbriaconi tra gli uomini; ma che bisognerebbe scacciarli, e relegarli tra le bestie selvagge in fondo alle foreste. – Questo peccato sembrava odioso anche agli stessi pagani. Si racconta nella storia che i magistrati di Sparta, i cui abitanti erano molto sobrii, per far bene comprendere ai giovani quanto questo vizio fosse indegno d’una creatura ragionevole, in un certo giorno facevano venire sulla pubblica piazza uno schiavo che prima era stato ubbriacato. I giovani vedendo quell’uomo trascinarsi nell’acqua o nel fango si stupivano e gridavano: O cielo, donde può venire un tal mostro? ha sembianze umane, ma è meno ragionevole d’un bruto. Vedete, F. M., che, sebbene pagani, non potevano comprendere come una persona ragionevole potesse abbandonarsi ad una passione che riduce l’uomo in uno stato così disonorante. Leggiamo pure che un giovane signore dabbene, aveva un servo il quale disgraziatamente di quando in quando si dava al vino. Un giorno lo trovò in questo stato mentre andava in chiesa, e gli domandò dove andasse. “Vado in chiesa a pregare Dio, rispose il servo.„ — “Tu vai in chiesa, soggiunse il padrone: come potrai pregare il buon Dio, mentre non saresti capace di dar da mangiare al cavallo? „ Non avviene di questo peccato come di molti altri che, col tempo e colla grazia, si correggono; occorre un miracolo della grazia, e non una grazia ordinaria. — Mi domandate perché gli ubbriaconi si convertono così raramente? Ecco: essi non hanno né fede, né religione, né pietà, né rispetto per le cose sante; nulla può commuoverli e far aprire ad essi gli occhi sul loro stato disgraziato. Se li minacciate colla morte, col giudizio, coll’inferno che li aspetta per abbruciarli; se li intrattenete sulla felicità che Dio riserva a quelli che l’amano; vi risponderanno con un piccolo sorriso sardonico, che significa: “Voi credete forse di farmi paura come si fa ai fanciulli; ma non sono ancora nel numero di coloro che si lasciano… per credere ciò.„ Ecco quanto ne ricaverete. Egli crede che dopo la morte tutto sia finito, Il suo Dio è il vino, e ne ha abbastanza. “Va, disgraziato, gli dice lo Spirito Santo, quel vino che bevi oltre misura è come un serpe che ti dà la morte. „ (Prov. XXIII, 22) Tu ora non credi nulla; ma nell’inferno conoscerai che oltre il tuo ventre vi è un altro Dio. Oltre il male che l’ubbriacone reca a sé stesso col suo peccato, a quali eccessi può giungere quando è immerso nella crapula! S. Agostino ce ne dà un esempio spaventoso. Nella città dove egli era vescovo, un giovane chiamato Cirillo aveva, come tanti altri, ahimè! la disgraziata abitudine di frequentare le bettole. Un giorno ritornando dal luogo de’ suoi stravizi, portò il furore della sua passione così oltre, che assalì la sua stessa madre da mesi incinta. Vedendosi ella nelle mani di questo figlio snaturato, si difese con tanti sforzi che fece morire il povero bambino che portava in seno. Dio mio, quale disgrazia! Un infante pel furore di quello sciagurato libertino non potrà mai vedere il cielo!… Quell’infame, vedendo che non riusciva a nulla con sua madre, andò in cerca d’una delle sorelle, la quale preferì lasciarsi pugnalare, piuttosto che acconsentire al suo infame desiderio. Il padre sentendo un gran rumore, accorse per liberare la figlia. Il disgraziato si getta sul padre, lo copre di coltellate e lo fa cadere ai suoi piedi. Un’altra delle sorelle corre in aiuto del padre che vedeva assassinare, e il disgraziato pugnala anche questa. Cielo! che orrore! Quale passione è simile a questa? S. Agostino, avendo fatto radunare i fedeli in chiesa per metterli a parte di questo avvenimento, ci dice che tutti si scioglievano in lagrime al racconto d’un tale delitto. Vedete, F. M., quale orrore per questo peccato vuole ispirarci lo Spirito Santo, quando ci dice “di non guardare il vino neppure quando brilla nel bicchiere. Se lo bevete senza moderazione, dice ancora, vi morderà come un serpente, vi avvelenerà come un basilisco.„ (Prov. XXIII, 31,32) Volete sapere, ci dice S. Basilio, che cos’è il ventre d’un ubbriaco? ecco: è un serbatoio ripieno di tutte le immondizie della bettola. Ordinariamente, dice egli, vedete che un ubbriacone conduce una vita snervata; non è capace che di rovinare la sua salute, di dar fondo alle sue sostanze, di gettare la famiglia in miseria: ecco ciò di cui è capace. Bisogna che questo vizio sia ben disonorante, poiché il mondo, corrotto com’è, non lascia di avere un sommo disprezzo per gli ubbriaconi, e di considerarli come pubblica peste. Ciò non è difficile a comprendersi: non vi è realmente in questo vizio tutto quanto può rendere un uomo infame ed odioso agli stessi pagani? Il beone non riesce odioso quando, per negligenza dei suoi affari, rovina la famiglia e la mette in miseria? Non è odioso per gli scandali che dà colla turpitudine della sua vita, e le ingiurie che lancia così contro i superiori come contro gli inferiori? giacché un ubbriacone non ha maggior rispetto per gli uni che per gli altri. Converrete con me, F. M., che non occorre tutto questo per rendere spregevole un uomo. Ascoltatemi ancora un momento, e lo comprenderete meglio. Dove troverete un padre che voglia dare sua figlia ad un ubbriacone, se lo conosce per tale? Appena glielo proponete vi risponde: “Se volessi far morire mia figlia di dispiaceri, lo farei; ma siccome amo i miei figli, preferisco tenerla con me per tutta la mia vita. „ Del resto, F. M., qual è quella giovane che acconsentirebbe di sposare un giovane che frequenta troppo le osterie? — “Proferisco, vi direbbe, passar la mia vita in un bosco piuttosto che sposare un abbrutito, che, proso dal vino, potrebbe uccidermi, come spesso si è visto. „ Ditemi, F. M., qual è quel proprietario che vorrebbe affidare la cura della sua sostanza ad un ubbriacone, incaricato di fare i suoi pagamenti, di riscuotere il suo denaro? Sopra cinque mila non ne troverete uno che vi acconsenta; e ben a ragione. Qual giudico vorrebbe accettare la deposizione d’un ubbriacone? Lo farebbe scacciare dall’udienza, ed ordinerebbe di condurlo nella sua scuderia insieme ai cavalli, o meglio co’ suoi porci, se ne avesse. Dove troverete una persona dabbene che voglia entrare in un albergo in compagnia d’un ubbriacone? Se nessuno la conosce, forse tollererà; ma se si crede riconosciuto da una persona onorata, fugge subito; o, se non può, cerca mille pretesti per far capire che s’è trovato in simil compagnia senza saperlo. – Se in una disputa volete inquietarlo, rimproverategli di averlo veduto in così bella compagnia; è lo stesso che dirgli che non vale gran fatto più di quell’ubbriacone: insomma ad un ubbriacone si attribuisce ogni sorta di cattive qualità! – S. Basilio ci dice che se le bestie potessero conoscere cos’è un ubbriacone, non lo tollererebbero in loro compagnia, credendo di disonorarsi. Un ubbriacone non si mette infatti al di sotto dell’animale più bruto? Infatti, una bestia, ha piedi per andare dove vuole, o dove è chiamata; ma l’ubbriacone non ne ha. Quante volte lo trovato steso in mezzo alla strada come un animale a cui siano state tagliate tutte quattro le zampe. Se, per un atto di carità lo rialzate, ricade subito, così che siete costretti o a lasciarlo nel fango od a prendervelo sulle spalle. Non è forse vero? — Sì, senza dubbio, pensate tra voi. — Una bestia ha occhi per vedere, per dirigersi, per andare a casa del suo padrone, e mettersi nella stalla al suo solito posto. Un ubbriacone non ha occhi per andare a casa, non sa se prendere la destra o la sinistra; e se siete un suo vicino non vi conoscerà nemmeno. Domandategli se è giorno o notte: non lo sa. Una bestia ha orecchie per sentire ciò che dice il suo padrone; non può rispondergli, ma lo guarda per mostrare che ha capito e che è pronta a fare tutto ciò ch’ei vuole. Un cane, al segno del padrone che ha perduto il fazzoletto od il bastone, va subito a cercarlo e lo riporta manifestando al padrone la gioia, il piacere che prova nel servirlo. Se trovate invece un ubbriacone sdraiato sulla via, cercate di parlargli per ore intere; non vi risponderà, tanto sono sorde le sue orecchie, tanto i suoi occhi sono annebbiati dal fumo del vino. Se l’ubriachezza gli lascia ancora la forza di aprire la bocca, vi risponderà una cosa per l’altra; e finirete per andarvene deplorando la sua disgraziata abitudine. Se poi, in questo stato, ha ancora un po’ di conoscenza, non v’ha trivialità ed infamia che non vomiti; lo vedrete commettere azioni che farebbero arrossire i pagani se fossero presenti, e tutto questo senza rimorso. Occorre dare un ultimo tratto di pennello per farvi meglio apprezzare il valore e le belle qualità d’un ubbriacone? aggiungo una sola parola: è un demonio d’impurità vestito di corpo, che l’inferno ha vomitato sulla terra; è il più sozzo, il più immondo degli animali. Toglietegli l’anima ed è l’ultima delle bestie che vivono sulla terra. – Credo che ora, F. M., potete farvi un’idea dell’enormità del peccato dell’ubriachezza. Noi lo troviamo stomachevole, eppure non abbiamo che una conoscenza assai limitata della malizia di questo peccato: vi lascio pensare come deve giudicarlo Iddio che perfettamente lo conosce! Se non fosse immortale, potrebbe, senza morir d’orrore, sopportare questo vizio che tanto lo disonora nelle sue creature, le quali sono, come dice S. Paolo, membra di Gesù Cristo? » (I Cor. VI, 15.).Ma, non andiamo più innanzi, F. M., ve n’è abbastanza. Vi dirò solo che un impudico, sebbene molto colpevole, può ancora nel suo peccato fare un atto di contrizione che lo riconcili col buon Dio; ma un ubbriacone è incapace del minimo segno di pentimento. Lungi dal conoscere lo stato della sua anima, non sa nemmeno se è al mondo; così Che morire nell’ubriachezza e morire da riprovato, F. M., è la stessa cosa. – Dico, inoltre, F. M., che un beone è del tutto incapace di lavorare per la sua salute, come vedrete. Per uscire dal suo stato, bisognerebbe che potesse sentirne tutto l’orrore. Ma, ahimè! egli non ha fede: o crede assai debolmente le verità che la Chiesa ci insegna. Dovrebbe ricorrere alla preghiera; ma non ne fa quasi mai, ovvero la fa vestendosi o spogliandosi, od anche si accontenterà di fare, bene o male, il segno della croce mentre si getta sul letto, come una bestia sullo strame. Dovrebbe frequentare i Sacramenti che, malgrado il disprezzo degli empi, sono i soli rimedi che la misericordia di Dio ci presenta per attirarci a sé. Ma ahimè! egli non conosce né le disposizioni necessarie per riceverli degnamente e nemmeno il più necessario di quanto bisogna sapere per salvarsi. Se l’interrogate sul suo stato, non capisce nulla, e vi risponde una cosa por l’altra. Se in tempo di giubileo, o durante le missioni vuol salvare le apparenze; si accontenterà di dire solo la metà dei peccati commessi; o, cogli altri sull’anima, va ad accostarsi alla sacra mensa, cioè va a commettere un sacrilegio; questo gli basta. Dio mio! quale stato è quello di un ubbriacone e quanto è difficile il poterne uscire! F. M., se volete darvi la pena di osservare il contegno d’un ubbriacone in chiesa credereste che egli sia un ateo, che non crede nulla; lo vedete venire per ultimo, oppure uscire per sollevarsi un poco, cercare qualcheduno de’ suoi amiconi che lo accompagni alla bettola, mentre gli altri stanno ad ascoltare la S. Messa. Il profeta Isaia ci dice che gli ubbriaconi sono creature inutili per il bene su questa terra, ma che sono però pericolosissime per il male Per convincervene, F. M., entrate in una bettola, che S. Giovanni Climaco chiama la bottega del demonio, la scuola dove l’inferno vende ed insegna la sua dottrina, il luogo dove si vendono le anime, dove si rovinano i matrimoni, si guasta la salute, cominciano gli alterchi e si commettono gli omicidi. Ahimè! tutte cose che fanno orrore a quelli che non hanno ancora perduta la fede. Che cosa vi si sente? Voi lo sapete meglio di me: bestemmie, spergiuri, imprecazioni, parole triviali. E quante azioni vergognose che non si farebbero altrove!… Vedete, F. M., quel povero ubbriaco! Egli è pieno di vino, mentre la sua borsa è vuota. Si getta bocconi su una panca o su di un tavolo: il domani, si stupisce di trovarsi in una bettola, mentre ei credeva d’essere a casa sua. Egli se ne va dopo avere sprecato tutto il denaro, e spesso è obbligato a lasciare in deposito il cappello o gli abiti con una polizza per poter portar via il suo corpo col vino che ha bevuto. Quando rientra in casa la povera moglie ed i figli, che ha lasciati senza pane, cogli occhi solo per piangere, sono costretti a fuggire por non essere maltrattati, come se essi fossero la causa della perdita del suo denaro, e dei suoi cattivi affari. Mio Dio, quanto è deplorevole lo stato d’un ubbriacone! Il Concilio di Magonza ha ragione di dirci che un ubbriacone trasgredisce i dieci comandamenti della legge di Dio. Se volete convincervene, esaminateli l’un dopo l’altro, e vedrete che un ubbriacone è capace di fare tutto ciò che i comandamenti ci proibiscono. Non voglio entrare in questi particolari che sarebbero troppo lunghi. S. Giovanni Crisostomo, parlando al popolo di Antiochia, dice: “Guardatevi bene, figli miei, di non darvi all’ubriachezza, poiché questo peccato degrada l’uomo in un modo così spaventoso da metterlo al di sotto del bruto privo di ragione. Sì, continua, gli ubbriaconi sono veramente gli amici del demonio: dove sono essi, sono i demoni in grande quantità. „ Ahimè! F. M., bisogna che questo peccato sia ben orribile agli occhi di Dio, se Egli lo punisce in modo così spaventoso anche in questo mondo! Eccone unchiaro esempio. Leggiamo nella S. Scrittura (Dan. V,) , che il re Baldassare, per ricevere i grandi della sua corte, aveva dato uno splendido banchetto, quale non aveva mai offerto durante il suo regno. Aveva fatto cercare per tutto il regno i vini più squisiti. Quando i convitati furono radunati, e, gloriandosi di bere a larghi sorsi, il sangue cominciò a scaldarsi e la lussuria ad infiammarsi (poiché ubriachezza e lussuria non vanno mai disgiunte): mentre ormai si tuffavano nelle voluttà, apparve ad un tratto davanti al re una mano senza corpo, la quale scrisse sul muro alcune parole che erano la condanna del re, senza che egli lo comprendesse. Ahimè! F. M., come l’uomo più fiero, più orgoglioso, più altero si fa piccolo piccolo davanti a simil caso, anzi al più lieve accidente! Baldassare ne fu così spaventato, e fu preso da un tremito così forte, che le giunture delle mani gli si rompevano e le ginocchia si urtavano l’un l’altro. Tutti i convitati furono presi da ugual terrore e sembravano mezzo morti. Il re s’affrettò a far cercare qualcuno che potesse spiegargli il significato di quelle parole; ma nessuno vi capiva nulla. Comandò allora di far venire tutti i suoi indovini, cioè i falsi profeti. Ciascuno voleva comprendere, ma non vi riusciva. Finalmente si disse al re che solo Daniele, il profeta del Signore, poteva darne la spiegazione. Siccome il re vivamente desiderava conoscere il significato di quelle parole misteriose, ordinò di farlo venire all’istante alla sua presenza. Il profeta, accondiscese tosto a comparire dinanzi al re, che lo ricevette con grande rispetto ed. offrendogli molti regali, gli domandò la spiegazione di quelle strane parole. Il profeta rifiutò i doni, poi: “Principe, disse, ascoltami. Ecco ciò che significano quelle tre parole Mane, Thecèl, Phares. La prima significa, che i tuoi giorni sono contati e che sei alla fine della tua vita e del tuo regno; la seconda che sei stato pesato e trovato troppo leggiero; la terza che il tuo regno sarà diviso tra i Medi ed i Persiani. „ Così il re dalla bocca stessa del profeta, udì la sentenza di condanna che gli annunciava la fine di tutti i suoi stravizi. Notatelo bene: ciò avveniva nel momento in cui questo disgraziato beveva coi convitati nei vasi sacri, rubati dal padre suo nel saccheggio del tempio di Gerusalemme; mentre si riempivano di vino e si tuffavano nelle più indegne voluttà. Dio mio! qual colpo di folgore della vostra collera! Ma la paura non lo salvò: tutto accadde come il profeta aveva predetto. Il re fu ucciso, ed il regno venne diviso fra i Medi ed i Persiani. Malgrado questo avvertimento che avrebbe convertito ogni altro peccatore, quel disgraziato vieppiù si ostinò; poiché non sembra che abbia dato segni di pentimento. Così, secondo tutte le apparenze, dalla sua orgia e dal suo spavento, discese nell’inferno. Questo ci mostra quanto sia difficile che un ubbriacone si converta. Vedete ancora Oloferne, il famoso superbo I che si vantava di riempirsi di vino fino a traboccarne, davanti alla bella Giuditta « (Judith XII, 20). Fu precisamente durante l’ubriachezza ch’ella gli tagliò il capo. Ah! F. M., quale funesta passione! chi potrebbe comprenderne la tirannia, ed abbandonarvisi? No, F. M., chi si dà all’ubriachezza non ha più alcun ritegno, nemmeno coi suoi genitori, come ho già detto. Ma, per ben imprimervelo nel cuore, ecco un esempio che non è meno spaventoso. Narra la storia che un padre aveva un figlio il quale, ancora giovanissimo, aveva l’abitudine di frequentare troppo le osterie. Un giorno vedendolo tornare da questo luogo sciagurato, ed accorgendosi che aveva bevuto un po’ troppo, il padre volle ricordargli che era cosa vergognosa per lui, ancora ragazzo, frequentare così le osterie dove non si commette che del male, mai del bene; che avrebbe fatto assai meglio a fuggire quei luoghi dove si perdeva la reputazione e l’onore, e che, se voleva continuare, lo caccerebbe di casa. Il giovane, sentendo queste parole, si accese di una tal collera che si slanciò sul padre, lo coprì di pugnalate e lo stese ucciso ai suoi piedi coperto di sangue. Ditemi, F. M., avreste mai pensato che l’ubriachezza potesse portare un uomo a simili eccessi? – Così l’ubbriacone non commette soltanto peccato di golosità; ma diventa capace per il suo peccato di abbandonarsi a tutti i delitti. Se non temessi di esser troppo lungo, ve lo mostrerei tanto chiaramente, che non potreste più dubitarne. Dopo questo, F. M., non è necessario dirvi quanto dovete temere l’ubriachezza, e fuggire quelli che vi si abbandonano. Ah! come è da temere che quelli che ne sono presi, non se ne correggano più! Pure, F. M., siccome la misericordia di Dio è infinita, ed Egli vuol salvare gli ubbriaconi, come tutti gli altri, quantunque la loro conversione sia molto difficile, se essi volessero corrispondere alla grazia, che è data loro por correggersi, riuscirebbero a trarsi da questo abisso. La prima cosa ch’essi devono fare, è di fuggire gli ubbriaconi e le osterie; questa condizione è ad essi assolutamente necessaria per tornare a Dio. La seconda è di ricorrere alla preghiera, per commuovere il cuore di Dio e riguadagnare la sua amicizia. La terza d’avere un gran rispetto per le cose sante; di non disprezzar nulla di ciò che si riferisce alla religione. La quarta di ricorrere ai Sacramenti, dove ci vengono accordate tante grazie: è questo il mezzo di cui tutti i peccatori si sono serviti per tornare a Dio tanto gli ubbriaconi quanto gli altri. – S. Agostino narra (Conf. lib. IX, cap. VIII, 18) . , conforme al racconto che aveva udito dalle labbra stesse di sua madre. che ella aveva corso pericolo di dannarsi mostrandosi golosetta del vino. Spiava il momento in cui nessuno la vedesse, e tosto cercava di soddisfare la sua gola. Ma una serva che qualche volta l’aveva vista, e colla quale un giorno ebbe a litigare, le disse che era una piccola bevitrice. Questa parola la offese talmente e ne provò tale confusione che, pentita, pianse per molto tempo. Andò subito a confessarsi di questo difetto che non aveva mai osato dire al suo confessore, tanto lo stimava brutto, pur avendo solo dodici anni, infame e vergognoso. E colla grazia di Dio se ne corresse così bene che non vi cadde più per tutta la sua vita, e visse in modo così esemplare che diventò una gran santa. Vediamo (Ibid., cap. IX) che Dio, per farle espiare il suo peccato, permise che ella sposasse un uomo ubbriacone e brutale, che le fece provare innumerevoli maltrattamenti. Il figlio Agostino, fino all’età di trentadue anni non fu meno beone del padre. S. Monica, riconoscendo che il buon Dio permetteva questo per soddisfare la sua giustizia, sopportò così bene questa prova che non fu mai sentita lamentarsi con alcuno. E finalmente ebbe la consolazione di vedere il marito ed il figlio Agostino convertirsi. Vedete, F. M., che Dio stende la mano, e dà la grazia a quelli che gliela domandano con vero desiderio di uscire dal peccato, e vivere solo per Lui. – Ma un altro esempio vi darà piacere, perché vi mostrerà che gli ubbriaconi, sebbene miserabili assai, pure possono salvarsi; e quelli che non cambiano le loro cattive abitudini, dicendo che non riusciranno mai a correggersi, s’ingannano di molto. Non sarebbe facile trovare un fatto che meglio convenga al nostro soggetto. In un villaggio presso Nimes, v’era un contadino chiamato Giovanni. Fin dalla sua gioventù si era talmente dato al vino, che era quasi continuamente ebbro e passava per il maggior ubbriacone del paese. Il curato della parrocchia avendo fatto venire dei missionari per istruire i suoi parrocchiani, pensò che bisognava far loro conoscere questo peccatore, per timore che li ingannasse. La saggia precauzione del pastore parve da principio inutile, poiché non solo il contadino non si presentò ad alcun missionario, ma non assistette neppure ad alcun esercizio della missione. Due giorni prima che la missione finisse, pensò d’andar a sentire il discorso sul Figliuol prodigo, o, meglio sulla misericordia di Dio, che era predicato dal Rev. Castel, sacerdote di Nimes, il missionario più bravo e zelante. Questo discorso scritto con nobile semplicità, ma pronunciato con molta forza ed unzione, fece vivissima impressione sul nuovo uditore. Egli riconobbe il suo ritratto nei disordini del Figliuol prodigo; vide nella bontà del padre un’immagine commovente di Dio, e ripieno, tutto ad un tratto, di pentimento e di confidenza, disse: Come il giovane Figliuol prodigo dell’Evangelo, uscirò finalmente dalla cattiva abitudine in cui marcisco da sì lungo tempo; mi getterò ai piedi di quel Dio di misericordia che mi vien presentato come il più amoroso di tutti i padri. La sua risoluzione non fu meno efficace che pronta. Il domani va a trovare quel medesimo Sac. Castel di cui aveva sentito il discorso, e avvicinandolo gli dice cogli occhi pieni di lagrime: “Vedete qui il più gran peccatore che vi sia sulla terra. Voi avete detto che la misericordia di Dio è ancor più grande dei nostri peccati; per attirarne su di me i salutari effetti, vi prego; fatemi la carità d’ascoltare la mia confessione. Ah! non rifiutatemela, Padre, ve ne scongiuro, questa grazia; mi fareste cadere nella disperazione. Non posso più sopportare il peso dei miei rimorsi, e non sarò tranquillo, se non quando m’avrete riconciliato con Dio che troppo ho offeso. „ Il missionario fu tanto più commosso e sorpreso da questo discorso, perché riconobbe nel suo interlocutore il famoso ubbriacone di cui gli aveva parlato il Curato. S’intenerì con lui, l’abbracciò amorosamente, e gli dimostrò gli stessi sentimenti che il padre del Figliuol prodigo aveva testimoniato al figliuol suo; ma nel medesimo tempo gli mostrò con bontà che era troppo tardi, che era alla vigilia della sua partenza e temeva di non potergli accordare ciò che gli domandava. “Ah! se è così, rispose il contadino singhiozzando, è finita: sono perduto. Quando mi conoscerete meglio, forse avrete pietà di me. Fatemi dunque la grazia di ascoltarmi, e che io abbia, almeno, la consolazione di confessarmi. „ Il missionario si arrese a questo desiderio, ed il contadino si confessò il meglio che gli fu possibile. Accompagnò l’accusa de’ suoi peccati con tante lagrime e con sì vivo pentimento; resisté con tanto coraggio ai prudenti consigli che gli si davano di non interamente rinunciare al vino per la sua salute, e di usarne solo più raramente e più sobriamente; protestò sì fortemente che non avrebbe giammai fatto la pace con questo crudele nemico, che aveva dato la morte alla sua anima, e che l’avrebbe tanto in orrore per tutta la sua vita, che il missionario, trovandolo così ben disposto, gli diede l’assoluzione, raccomandandogli fortemente di perseverare nei buoni sentimenti che Dio gli aveva ispirati. Questo grande peccatore glielo promise, e l’avvenire provò che il suo pentimento era stato sincero. Cinque o sei mesi dopo la missione, una delle sorelle di Giovanni fece un viaggio a Nimes. Incontrò il missionario che volle sapere se il suo famoso ubbriacone Giovanni aveva perseverato. “Voi venite, senza dubbio, dal vostro villaggio, dissele; potete darmi notizie del bravo Giovanni?„ — “Ah! signore, rispose la donna, quanto vi siamo obbligati! voi ne avete fatto un santo. Da quando avete lasciato il nostro paese, non solo i suoi amici non riuscirono a trascinarlo alle osterie: ma non ci è stato possibile largii bere una sola goccia di vino. No,dice quando gliene parliamo; è stato il vino il mio più grande nemico, e non mi riconcilierò mai più con lui; non parlatemene assolutamente.„ Il missionario non poté sentire queste parole senza piangere, tant’era la suagioia nel sapere che questo peccatore convertito aveva avuto la fortuna di perseverare. Tutte le volte che narrava questo fatto, aggiungeva sempre, che dopo una simile conversione, non si dovrebbe mai disperare dei più grandi peccatori, se il peccatore vuol corrispondere alla grazia che Dio dà a tutti perché possano salvarsi.
II. — Vedremo ora, F . M., che i peccatori, cioè gli ubbriaconi, non hanno alcun pretesto che possa giustificare i loro eccessi. S. Agostino ci dice che, quantunque l’ubriachezza sia condannata da tutti, pure ciascuno crede potersene scusare. Se domandate ad un uomo perché s’è lasciato vincere dal vino, vi risponderà senza turbarsi che un amico è venuto a trovarlo; sono andati assieme all’osteria e che, se han troppo bevuto non fu che per compiacenza. — Per compiacenza! ma, o quell’amico è un buon Cristiano, ovvero è un empio. Se è un buon Cristiano, l’avete scandalizzato in citandolo a bere e passando il vostro tempo nell’osteria: forse durante la S. Messa o durante i Vespri!… Ma che! fratel mio, siete entrati nell’osteria ambedue ragionevoli, e ne siete usciti meno ragionevoli che due bruti! Credetemi, amico, se aveste tenuto per un po’ il vostro amico in casa vostra e, non avendo vino, gli aveste offerto dell’acqua, gli avreste fatto molto più piacere che facendogli vendere l’anima al demonio. Se questo amico è un cattivo Cristiano od un empio senza religione, non dovete andare con lui, dovete fuggirlo. — Ma, mi direte, se non lo faccio bere, se non lo conduco all’osteria, mi vorrà male, mi tratterà d’avaro. — Amico, è una gran fortuna l’essere disprezzati dai cattivi. Questa è una prova che non somigliate ad essi. Voi dovete servir loro d’esempio. S. Agostino ci dice: Ah! miserabile, vi siete dato al vino per essere l’amico d’un ubbriacone, d’un empio, d’un libertino; ed intanto diventate il nemico di Dio! Ah! disgraziato! quale indegna preferenza! Vedete dunque, F. M., che non avete nulla che vi possa scusare: vi date al vino perché la vostra golosità vi trascina. Alcuni dicono che hanno l’abitudine d’andare all’osteria per bere in compagnia, ma che per quanto bevano, il vino non toglie loro la ragione. Amico mio, v’ingannate. Sebbene il vino non vi intorbidi la ragione, bevendone più del necessario, siete altrettanto colpevoli come se aveste perduta la ragione; non è che un piccolo scandalo di meno. E del resto, agli occhi del pubblico siete una colonna dell’osteria. Ascoltate ciò che dice il profeta Isaia: “Guai a voi che siete così forti che potete bere eccessivamente, che vi gloriate di ubriacare gli altri: voi ubbriacate voi stessi (Isa. V, 22). Altri dicono pure: E per fare un contratto, per dare o per ricevere denari. — Ahimè! amico, io non voglio dimostrarvi che quelli i quali si danno al vino fanno contratti rovinosi. Però, è un fatto, sì o no, che all’osteria i furbi fanno firmar quietanze, e poi, dato il denaro, cercano di ricuperarlo? Del resto, come volete conoscere ciò che fate? non conoscete nemmeno voi stessi.. – Quale conclusione dobbiamo trarre da tutto questo, F. M.? Eccola. Rientriamo seriamente in noi stessi, come ci dice il Signore per bocca del profeta Gioele: “Svegliatevi, dice, ubbriaconi, poiché v’attendono sciagure d’ogni sorta. Piangete e gridate, alla vista dei castighi che la giusta collera di Dio vi prepara nell’inferno in causa della vostra ubriachezza„(Joel. I, 5). Svegliatevi, disgraziati, ai lamenti di quella povera donna che avete maltrattata dopo averle mangiato il pane; svegliatevi, ubbriaconi, alle grida di quei poveri fanciulli che riducete alla miseria o che mettete in pericolo di morir di fame. Ascoltate, infame ubbriacone, quel vicino che vi domanda il denaro che v’ha prestato, e che avete sciupato negli stravizi e nelle osterie. Egli ne ha bisogno per sfamare la moglie ed i figli, i quali piangono la loro miseria causata dalla vostra ubriachezza. Ah! disgraziato peccatore, che cosa avete promesso a Dio quando vi ha ricevuto tra i suoi figli? Gli avete promesso di servirlo, di non ricadere più in questi disordini, Che avete fatto nella vostra ubriachezza? Ahimè! avete rivelati segreti a voi confidati, e che non dovevate mai dire. Avete commesso un numero infinito di turpitudini che fanno orrore a tutti. Che avete fatto dandovi all’ubriachezza? Avete rovinata la vostra riputazione, le vostre sostanze, la vostra salute, ed avete resa la vostra famiglia così miserabile che, forse per vivere, s’abbandonerà ad ogni sorta di disordini. Siete diventato un uomo da nulla, la favola e l’obbrobrio dei vostri vicini che, ora, vi guardano solo con disprezzo ed orrore.Che avete fatto della vostra anima, di quest’anima così bella, che Dio solo la supera in beltà? L’avete resa carnale, l’avete sfigurata coi vostri eccessi. – Che cosa avete perduto colla vostra ubbriachezza? Ahimè, amico, avete perduto il più grande di tutti i beni. avete perduto il cielo, la felicità eterna, beni infiniti; avete perduto la vostra anima redenta dal Sangue adorabile di Gesù Cristo. Ah! diciamo ancor più: Avete perduto il vostro Dio, quel tenero Salvatore, che ha vissuto solo per rendervi felice durante tutta l’eternità. Oh! quale perdita! Ohi potrà comprenderla ed esservi insensibile? Quale disgrazia si può paragonare a questa? Ma, che cosa avete guadagnato? Ahimè null’altro che l’inferno per esservi bruciato eternamente. Avete meritato, amico mio, d’esser collocato sulla mensa dei demoni, dove alimenterete il furore che essi hanno contro Gesù Cristo. Sarete la vittima sulla quale peserà la giusta collera di Dio per secoli senza fine!… Convenite con me, che forse non avete mai potuto formarvi un’idea dell’enormità del peccato dell’ubriachezza, dello stato a cui riduce chi lo commette, dei mali che attira su di lui durante la sua vita, e dei castighi che gli prepara per l’eternità. Chi non si commoverebbe davanti a tanta sciagura, F. M.? Piangete, o disgraziati ubbriaconi. le vostre sregolatezze e tutti i cattivi esempi che avete dato, invece di riderne come fate. Alzate la voce verso il cielo per domandare misericordia, per vedere se il Signore vuol ancora avere pietà di voi. Preghiamo il buon Dio che ci preservi da questo disgraziato vizio, che sembra metterci quasi nella impossibilità di salvarci. E perciò amiamo Dio solo: è la felicità che vi auguro…