DOMENICA VII dopo PENTECOSTE (2021)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semidoppio. – Paramenti verdi.
In questa settimana non si poteva scegliere una lettura migliore nel Breviario, del doppio racconto degli ultimi giorni di David — poiché, dice S. Girolamo, « tutte le energie del corpo si indeboliscono nei vecchi, mentre solo la sapienza aumenta in essi » (2° nott.) — e della storia di suo figlio Salomone, che fu celebre fra tutti i re per la sapienza. – David, sentendo avvicinarsi il momento della morte, designò come suo successore, fra i suoi figli, Salomone, il diletto da Dio. E Natan profeta, condusse Salomone a Gihon, ove il sacerdote Sadoc prese dal tabernacolo l’ampolla d’olio e unse Salomone; si suonò la tromba e tutto il popolo disse: « Viva il Re Salomone! ». David disse a suo figlio: «Sarai tu a innalzare il tempio del Signore. Mostrati forte e sii uomo! Osserva fedelmente i comandamenti del Signore, affinché si compia la parola che pronunciò su me: « Il tuo nome si è affermato e i tuoi discendenti regneranno per sempre! Tu agirai secondo la tua sapienza, poiché sei un uomo saggio ». E David s’addormentò coi suoi padri e fu sepolto nella città che porta il suo nome dopo aver regnato sette anni a Ebron e trentatré anni a Gerusalemme, la fortezza inespugnabile che egli aveva preso ai Filistei. E Salomone si assise sul trono di suo padre, ed il suo regno fu ben sicuro. Era un giovane di diciassette anni, amava il Signore e gli offriva olocausti. – Iddio apparve in sogno a Salomone e gli disse. «Chiedi tutto quello che vuoi e io te lo darò ». Salomone gli rispose: « Signore, io non sono che un fanciullo per regnare al posto di David, mio padre; accordami la sapienza affinché io possa discernere il bene dal male e conduca il tuo popolo sulle tue vie ». E Dio aggiunse: « Ecco io ti dono un cuore saggio e intelligente, tale che tu supererai tutti i sapienti che furono e quelli che verranno, e ciò che tu non mi hai chiesto (lunga vita, ricchezza, trionfi) te lo darò in più ». Secondo la promessa del Signore, Salomone non solo fu il più sapiente, ma il più splendido e possente re d’Israele. Tutti i re gli apportavano i loro doni e tutte le nazioni che fino allora avevano disprezzato Israele, ne ricercavano l’alleanza. La regina di Saba venne a consultarlo e rimase piena di ammirazione per tutti quello che vide e intese da lui. Il Faraone, re d’Egitto, gli dette la figlia in isposa; Hiram, re di Tiro, fece con lui alleanza e un trattato, pel quale, in compenso del grano, dell’orzo, del vino, dell’olio, che le campagne della Palestina producevano abbondantemente, gli forniva legni preziosi delle foreste del Libano, e operai per la costruzione del tempio. Salomone insegnò al popolo il timor di Dio e questi lo protesse in tutte le imprese e lo aiutò quando il suo fratello maggiore avrebbe voluto regnare in sua vece. Così si realizzarono le parole che Salomone medesimo pronunciò e che S. Girolamo ci ricorda nell’ufficio di oggi: « Non disprezzare la sapienza e questa ti difenderà. Mettiti in possesso delia sapienza e acquista la prudenza; impadronisciti di essa ed essa ti esalterà, tu sarai glorificato da essa e, quando l’avrai abbracciata, ti metterà sul capo splendori di grazia e ti coprirà di una gloriosa corona ». « Infatti colui che giorno e notte, commenta S. Girolamo, medita la legge del Signore, diventa più docile con gli anni, più gentile, più saggio col progresso del tempo e negli ultimi giorni raccoglie i più dolci frutti dei suoi lavori d’altri tempi » (2° Nott.). – Laddove, « Quale frutto, chiede l’Apostolo, avete tratto dal peccato, se non la vergogna e la morte eterna? », mentre « ricevendo Dio voi producete frutti di santità e guadagnate la vita eterna » (Ep.). E nostro Signore dice nel Vangelo: « Si riconosce l’albero dai suoi frutti. Ogni albero buono porta frutti buoni e ogni albero cattivo porta frutti cattivi ». E aggiunge: « Non sono già quelli che mi dicono: Signore, Signore, che entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fan la volontà del Padre mio che è nei cieli • Cosi, commentando l’Introito di questo giorno, S. Agostino dice « È necessario che le mani e la lingua siano d’accordo: che l’una glorifichi Dio e che le altre agiscano ». La vera sapienza non consiste solamente nell’intendere le parole di Dio, ma nel realizzarle; né pregare Dio, ma anche nel mostrargli con le opere che lo amiamo ». « Il Vangelo – dice S. Ilario – ci avverte che le parole dolci e gli atteggiamenti mansueti debbono essere valutati dai frutti delle opere e che bisogna apprezzare qualcuno non secondo quello egli si mostra a parole, ma secondo quello che si mostra ai fatti, perché spesso la veste dell’agnello serve a nascondere la ferocità dei lupi. Dunque, attraverso la nostra maniera di vivere noi dobbiamo meritare la beatitudine eterna, di modo che noi dobbiamo volere il bene, evitare il male e obbedire di tutto cuore ai precetti divini per essere gli amici di Dio mediante il compimento di questi propositi » (3° Nott.). – Salomone, il re pacifico, non è che una figura del Cristo: il suo segno che tutti acclamano (Intr., Alt.) annuncia quello del Messia che è il vero Re della pace; Salomone, il più saggio dei re, presagisce il Figlio di Dio del quale il Padre disse sul Tabor: « Ascoltatelo » (Grad.). Egli presagisce la Sapienza incarnata che ci insegnerà il timor di Dio (id.) e il modo per distinguere il bene dal male (Vang.). Gli olocausti, fatti al tempo della consacrazione del Tempio di Salomone (Off.) sono, come quello di Abele (Secr.), ombra dell’unico sacrificio cruento, che Cristo offrì sul Calvario; che coronò in cielo, ove entrò dopo aver ottenuta la vittoria su tutti i suoi nemici. Questo dichiara il Salmo XLVI (Intr.), nel quale i Padri hanno visto, sotto il simbolo dell’Arca dell’alleanza che il popolo di Dio fa passare, in mezzo alle acclamazioni, dai campi di battaglia sulla montagna di Sion, una figura dell’Ascensione di Gesù nel regno celeste.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XLVI:2. Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]
Ps XLVI: 3 Quóniam Dóminus excélsus, terríbilis: Rex magnus super omnem terram.
[Poiché il Signore è l’Altissimo, il Terribile, il sommo Re, potente su tutta la terra.]
Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis.
[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo.]
Oratio
Orémus.
Deus, cujus providéntia in sui dispositióne non fállitur: te súpplices exorámus; ut nóxia cuncta submóveas, et ómnia nobis profutúra concédas.
[O Dio, la cui provvidenza non fallisce mai nelle sue disposizioni, Ti supplichiamo di allontanare da noi quanto ci nuoce, e di concederci quanto ci giova.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom VI: 19-23
“Fratres: Humánum dico, propter infirmitátem carnis vestræ: sicut enim exhibuístis membra vestra servíre immundítiæ et iniquitáti ad iniquitátem, ita nunc exhibéte membra vestra servíre justítiæ in sanctificatiónem. Cum enim servi essétis peccáti, líberi fuístis justítiæ. Quem ergo fructum habuístis tunc in illis, in quibus nunc erubéscitis? Nam finis illórum mors est. Nunc vero liberáti a peccáto, servi autem facti Deo, habétis fructum vestrum in sanctificatiónem, finem vero vitam ætérnam. Stipéndia enim peccáti mors. Grátia autem Dei vita ætérna, in Christo Jesu, Dómino nostro”.
“Fratelli: Parlo in modo umano, a motivo della debolezza della vostra carne. Come deste le vostre membra al servizio dell’immondezza e dell’iniquità per commettere l’iniquità; così ora date le vostre membra al servizio della giustizia per la santificazione. Perché quando eravate servi del peccato, eravate liberi rispetto alla giustizia. Ma qual frutto aveste allora da quelle cose, delle quali adesso arrossite? Giacché il loro termine è la morte. Ma adesso, affrancati dal peccato e fatti servi di Dio, avete per vostro frutto la santificazione e per termine la vita eterna. Perché la paga del peccato è la morte, ma il dono grazioso di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore…”.
DUE LIBERTA’.
C’è un giudice nel vocabolario. Il vocabolario nostro dispone di una sola parola, per la realtà vera e per il suo surrogato: così ad esempio, ci si chiama caffè tanto il moca o il portorico, caffè vero e proprio, come il caffè maltus miserabile surrogato. Monete si chiamano le vere e le false. E libertà si chiama la falsa e la vera, la libertà liberale e la libertà cristiana. San Paolo con una genialità stupenda definisce nel brano della lettera sua ai Romani che oggi si legge alla S. Messa, la libertà falsa, la pagana d’allora, la liberale d’adesso, che è poi la libertà pagana rediviva. Una volta dice ai Cristiani, alludendo ai giorni ormai passati e superati del loro paganesimo, una volta (quando non eravate ancora Cristiani, ma pagani), voi eravate « liberi dalla giustizia e servi del peccato ». Parole testuali d’un sapore evidentemente ironico nella prima parte ai Romani: « Eravate liberi dalla giustizia ». Bella libertà! La libertà di uno spiantato che dicesse: eccomi qua, mi sono liberato dai danari: la libertà di un malato che dicesse anche lui con una falsa soddisfazione: mi sono liberato dalla salute. Liberazione equivoca, o, piuttosto, uso equivoco della parola « liberazione », la quale suona uno svincolarsi da un peso, da una disgrazia, non da una fortuna o di una grazia. – Ebbene, è proprio sullo stesso equivoco che giuocano i liberali vecchi e nuovi, quando parlano di libertà, e intendono con tal parola il liberarsi, l’affrancarsi dalla legge, l’esserne emancipati. Si gloriano i liberali della loro libertà, come di una cosa bella, buona, onorifica, gloriosa; ma la loro libertà non è altro che emancipazione dalla legge. I pagani antichi, quelli di cui San Paolo parla direttamente, erano fuori dalla legge, liberi da essa, perché non la conoscevano o la conoscevano poco; i moderni liberali, perché l’hanno calpestata e dimenticata. Paolo però nota subito molto bene l’equivoco di quella libertà, osservando che i fautori, i glorificatori di essa, erano perciò stesso schiavi del peccato: del male! Ed è proprio così. Automaticamente chi si sottrae alla luce, entra nel regno delle tenebre. Automaticamente chi si sottrae alla legge del bene, cade sotto il giogo della legge del male. E qui è proprio il caso di parlare di giogo. Giogo pesante, obbrobrioso quello del male, del peccato. Catena del peccatore il peccato, vischio in cui rimane impigliato chi una volta ci casca dentro. « Qui facit peccatum servus est peccati: » servo del vino l’ubriacone, servo della donna, schiavo di essa l’uomo, corrotto. – A questa pseudo libertà di quando erano ancora pagani, S. Paolo contrappone il quadro della libertà di cui veramente godono ora che sono Cristiani. – I termini sono letteralmente invertiti. Allora liberi (per modo di dire; anzi per antifrasi liberi) dall’onestà, dal bene e schiavi del male, oggi liberi dal peccato, dal male e schiavi della giustizia. Ah, questa è libertà vera! La libertà del male, da malvagi istinti, dalle ree consuetudini, è questa è servitù nobile e degna; la servitù del bene, della giustizia, della legge. Sì, perché — e lo dice equivalentemente S. Paolo — servire alla giustizia; alla verità, alla bontà, significa ed importa servire a Dio. S. Paolo, l’Apostolo, sente la grandezza, la poesia di tale servizio divino. Un servizio, nel quale c’è un segreto di vita e di gioia e di gloria, mentre nel servizio del male c’è un segreto opposto d’ignominia e di morte. Il male uccide. « Stipendium peccati mors: » uccide in tutti i sensi, perché uccide in senso pieno. E potremmo dire che: « Stipendium legis vita,» vita del tempo, vita nell’eternità.
P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.
(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Graduale
Ps XXXIII: 12; XXXIII: 6
Veníte, fílii, audíte me: timórem Dómini docébo vos. – V. Accédite ad eum, et illuminámini: et fácies vestræ non confundéntur.
[Venite, o figli, e ascoltatemi: vi insegnerò il timore di Dio. V. Accostatevi a Lui e sarete illuminati: e le vostre facce non saranno confuse.]
Alleluja
Allelúja, allelúja
Ps XLVI: 2 Omnes gentes, pláudite mánibus: jubiláte Deo in voce exsultatiónis. Allelúja.
[O popoli tutti, applaudite: lodate Iddio con voce di giubilo. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt VII: 15-21
“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Atténdite a falsis prophétis, qui véniunt ad vos in vestiméntis óvium, intrínsecus autem sunt lupi rapáces: a frúctibus eórum cognoscétis eos. Numquid cólligunt de spinis uvas, aut de tríbulis ficus? Sic omnis arbor bona fructus bonos facit: mala autem arbor malos fructus facit. Non potest arbor bona malos fructus fácere: neque arbor mala bonos fructus fácere. Omnis arbor, quæ non facit fructum bonum, excidétur et in ignem mittétur. Igitur ex frúctibus eórum cognoscétis eos. Non omnis, qui dicit mihi, Dómine, Dómine, intrábit in regnum coelórum: sed qui facit voluntátem Patris mei, qui in cœlis est, ipse intrábit in regnum cœlórum.”
[“In quel tempo disse Gesù a’ suoi discepoli: Guardatevi dai falsi profeti, che vengono da voi vestiti da pecore, ma al di dentro son lupi rapaci: li riconoscerete dai loro frutti. Si coglie forse uva dalle spine, o fichi dai triboli? Così ogni buon albero porta buoni frutti; e ogni albero cattivo fa frutti cattivi. Non può un buon albero far frutti cattivi; né un albero cattivo far dei frutti buoni. Qualunque pianta che non porti buon frutto, si taglia, e si getta nel fuoco. Voi li riconoscerete adunque dai frutti loro. Non tutti quelli che a me dicono: Signore, Signore, entreranno nel regno de’ cieli; ma colui che fa la volontà del Padre mio che è ne’ cieli, questi entrerà nel regno de’ cieli”]
Omelia
DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS
(Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933)
[Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.
Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.
Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]
La virtù falsa e la virtù vera.
A fructibus eorum cognoscetis eos.
(MATTIH. VII, 16).
Miei Fratelli, poteva Gesù Cristo indicarci una prova più chiara e più sicura per farci conoscere e distinguere i buoni dai cattivi Cristiani, che insegnandoci a discernerli non dalle loro parole, ma dalle loro opere? “Un albero buono – disse Egli – non può dare frutti cattivi, come un albero cattivo non può dare frutti buoni. „ Sì, M. F., un Cristiano, il quale non abbia che una devozione falsa, una virtù affettata e tutta esteriore; malgrado tutte le precauzioni che prenderà per contraffarsi, non tarderà molto a lasciar trasparire le sregolatezze del suo cuore, sia nelle parole, sia nelle azioni. M. F., nulla vi è di più comune che queste virtù apparenti, cioè nulla è così frequente come questa ipocrisia. E ciò è tanto più deplorevole, perché quasi nessuno vuol riconoscerlo. Bisognerà dunque lasciarli in uno stato così infelice, stato che senza dubbio li conduce all’inferno? No, no, miei cari, tentiamo almeno di farne loro comprendere qualche cosa. Ma, mio Dio! chi vorrà riconoscersi colpevole? Ahimè! quasi nessuno! Quest’istruzione non servirà adunque che ad accecarli di più? Tuttavia, M. F., io vi parlerò come se doveste approfittarne tutti. Per farvi ben conoscere il misero stato di quei poveri Cristiani che forse si dannano facendo il bene, perché non conoscono il modo di farlo, vi mostrerò:
1° quali sono le condizioni per avere una virtù vera;
2° quali sono i difetti di quella che non è che apparente.
Ascoltate bene questa istruzione, la quale potrà giovarvi assai in tutto ciò che farete riguardo a Dio. Se mi domandate perché mai sono sì pochi i Cristiani che operano unicamente per piacere a Dio, eccovene, M. F., la ragione vera: è perché i Cristiani nel maggior numero sono sepolti nell’ignoranza più spaventosa; è perché fanno tutte le loro azioni con fini meramente umani. Di modo che, se paragonaste le loro intenzioni con quelle dei pagani, non vi trovereste differenza alcuna. Ah, mio Dio! quante opere buone perdute per il cielo! — Altri, che hanno qualche cognizione di più, non cercano che la stima degli uomini e fingono più che possono: il loro esterno pare buono, mentre “il loro interno è pieno di lordura e di doppiezza (Matth. XXIII, 27, 28). Sì, M. F., al giudizio vedremo che la maggior parte dei Cristiani non avranno avuto che una religione di capriccio o di simpatia, vale a dire, d’inclinazione, e che troppo pochi avranno cercato Dio solo nelle loro azioni. E dico, anzitutto che un Cristiano, il quale voglia lavorare davvero alla sua salvezza, non deve accontentarsi di fare opere buone; egli deve anche sapere per chi le fa e come deve farle. Dico poi, in secondo luogo, che non basta mostrarsi virtuosi agli occhi del mondo; ma bisogna anche esserlo nell’intimo del cuore. Che se mi domandate come potremo conoscere che una virtù è vera e ci conduce al cielo, eccolo, M. F.: ascoltatelo bene, imprimetevelo bene in cuore, affinché, di ogni vostra azione, possiate sapere se sarà ricompensata per il cielo. Perché un’azione possa piacere a Dio, deve avere tre condizioni: prima, essere interiore e perfetta; seconda, umile e senza alcun risalto per chi la compie; terza, costante e perseverante. Se, in tutto ciò che fate, trovate queste condizioni, siete sicuri di lavorare per il cielo.
I. — Anzitutto la virtù deve essere interiore; non basta adunque che apparisca al di fuori. No, bisogna, F. M., ch’essa nasca dal cuore, e che la carità sola ne sia l’anima e il principio; poiché S. Gregorio ci dice, che tutto ciò che Dio domanda da noi deve essere fondato sull’amore che gli dobbiamo. Il nostro esterno non deve adunque essere che uno strumento per manifestare ciò che passa dentro di noi. Cosicché, M. F., tutte le volte che le nostre parole o le nostre azioni non sono prodotte da un movimento del nostro cuore, dinanzi a Dio noi non siamo altro che ipocriti. Inoltre, la nostra virtù deve essere perfetta; non basta, cioè, che ci attacchiamo a qualche virtù, cui ci porta la nostra inclinazione; ma dobbiamo abbracciarle tutte, voglio dire tutte quelle che si confanno al nostro stato. San Paolo ci dice che dobbiamo provvederci abbondantemente di ogni sorta d’opere buone per la nostra santificazione. Andiamo un poco più innanzi, e vedremo, M. F., quanti s’ingannano facendo il bene, e camminano sull’orlo dell’inferno. Ci sono alcuni che si rassicurano su qualche virtù che praticano, solo perché vi sono portati dalle loro inclinazioni. Una madre, p. es., si terrà sicura della sua virtù, perché fa qualche elemosina, è assidua alle preghiere, frequenta i Sacramenti, fa anche qualche pia lettura; ma ella vede, senza inquietarsi, che i suoi figli s’allontanano dai Sacramenti. I suoi figli non fanno Pasqua; ma questa madre dà loro di tempo in tempo il permesso d’andare ai piaceri, alle danze, a feste di nozze, e qualche volta anche alle veglie; ama mettere in mostra le sue figliuole, e crede che, se non frequentano certi luoghi, resteranno ignorate e non riusciranno a collocarsi. Sì, senza dubbio, esse resteranno ignorate, ma dai libertini; sì, esse non riusciranno a collocarsi che con persone che le maltratteranno come vili schiave. Quella madre ama vederle ben abbigliate; quella madre ama vederle in compagnia di giovani più ricchi di loro. Ciò non ostante, per un po’ di preghiera e per qualche buona opera che farà, si crede sulla via del cielo. Andate, povera madre; voi non siete che una cieca ed un’ipocrita, la vostra virtù non è che apparente. Vi tenete sicura perché fate qualche visita al Ss. Sacramento: ciò sta bene, senza dubbio; ma intanto vostra figlia è alla danza; ma intanto vostro figlio è alla bettola coi libertini, i quali non c’è laidezza che non vomitino; ma intanto vostra figlia, di notte, va in luoghi dove non dovrebbe andare. Andate, madre cieca e riprovata, uscite di chiesa, lasciate la vostra preghiera; non vedete che somigliate ai Giudei, i quali piegavano i ginocchi dinanzi a Cristo per far mostra di adorarlo? E che? voi venite ad adorare il buon Dio, mentre i vostri figli stanno crocifiggendolo? Povera cieca! voi non sapete né ciò che dite, né ciò che fate: la vostra preghiera non è che un’ingiuria che fate a Dio. Cominciate ad andare in cerca di vostra figlia, che perde l’anima sua; e poi tornerete a domandare a Dio la vostra conversione. – Un padre crederà che basti mantenere il buon ordine in casa sua; non permetterà che si bestemmii, né che si pronuncino parole sconce: ciò va benissimo; ma intanto non si fa scrupolo di lasciare i suoi ragazzi ai giuochi, alle fiere, ai divertimenti. Ma questo signor padre lascia lavorare i suoi operai alla domenica, col minimo pretesto, o anche solo per non contrariare i suoi mietitori o i suoi battitori. Con tutto ciò, voi lo vedete alla chiesa adorare il buon Dio, prostrato al suolo: mentre si dà gran premura di cacciare ogni minima distrazione. Ma ditemi, amico mio, con qual occhio pensate voi che Dio possa guardare costoro? Andate, amico, voi siete cieco; andate a istruirvi nei vostri doveri, e poi verrete a presentare a Dio le vostre preghiere. Ma non vedete che non fate altro che ripetere la commedia di Pilato, il quale riconosceva Gesù Cristo e lo condannava al tempo stesso? Il vostro vicino sarà caritatevole, farà elemosina, si commoverà alle miserie del prossimo: benissimo; ma intanto lascia vivere i suoi figli nella più grande ignoranza: forse non sanno neppure che cosa occorra per salvarsi. Andate, amico : voi siete cieco; le vostre elemosine, la vostra sensibilità non faranno che condurvi a grandi passi verso l’inferno. — Questi avrà abbastanza buone qualità, amerà far piaceri a tutti; ma intanto non può soffrire la sua povera moglie, né i suoi figliuoli, che carica d’ingiurie e forse di mali trattamenti. Andate, amico; la vostra religione non vale niente. — Quegli si crederà abbastanza buono perché non è un bestemmiatore, un ladro, e neppure un impudico; ma intanto non si dà pena di quei suoi pensieri di odio, di vendetta, d’invidia, di gelosia, che lo rodono quasi ogni giorno. Amico mio, la vostra religione non varrà che a perdervi. — Ne vedremo altri, carichi di pratiche di pietà, farsi scrupolo di tralasciare una preghiera che son soliti dire, credersi perduti se non si comunicano in quei dati giorni in cui sono soliti comunicarsi; ma intanto un nonnulla li impazienta, li fa mormorare, una parola non detta come avrebbero voluto, è per loro motivo di freddezza: stentano a veder di buon occhio il prossimo; amano di non aver nulla a che fare con voi; con vari pretesti evitano la vostra compagnia; e troveranno sempre che si manca loro di riguardo. Andate, poveri ipocriti, andate a convertirvi; dopo ricorrerete ai Sacramenti, che, in questo stato, senza saperlo, profanate con la vostra pietà malintesa. Merita certamente lode un padre che corregge i suoi figliuoli quando offendono Dio; ma chi potrà lodarlo del suo non correggersi mai egli stesso dei vizi che riprende nei suoi figliuoli? Nessuno, senza dubbio. No, questo padre non ha che una religione falsa, che lo getta nell’accecamento. Certo, non si può che lodare un padrone il quale riprenda i suoi domestici dei loro vizi; ma si potrà per questo lodarlo quando lo si sente egli stesso imprecare e bestemmiare quando qualche cosa gli capita di contrario? No, no, F. M., costui non ha mai conosciuto né la sua religione, né i suoi doveri. — Uno poserà da saggio, da illuminato, e riprenderà i difetti che scorgerà nel suo vicino: sta bene; ma che pensarne quando si vedessero più difetti in lui che in quegli ch’ei riprende. « Donde proviene questa condotta – domanda S. Agostino – se non da ciò ch’egli è un ipocrita, il quale non conosce affatto la sua religione? » Andate, amico, voi non siete che un fariseo, tutte le vostre virtù non sono che virtù false; tutto ciò che fate e che voi credete bene, non serve ad altro che ad ingannarvi. — Quel giovine lo vedremo frequentare la chiesa e fors’anche i Sacramenti: ma, nel tempo stesso, le bettole e i giuochi. — Quella figliuola si presenterà sì, di tempo in tempo alla sacra Mensa; ma si presenterà anche alle danze e a certi ritrovi in cui i buoni Cristiani non si trovano mai. Andate, povera ipocrita; andate, larva di cristiana; verrà un giorno in cui vi accorgerete di non aver lavorato che per perdervi. — M. F., un Cristiano che vuol salvarsi davvero non si accontenta di osservare un comandamento, di adempiere uno o due de’ suoi doveri; ma tutti osserva i comandamenti di Dio, tutti adempie i doveri del proprio stato.
II. — In secondo luogo la nostra virtù deve essere umile e senza alcun risalto per chi la compie. Gesù Cristo ci avverte di – non far mai le nostre azioni per esser lodati dagli uomini ;„ (Matth. IV, 1)se vogliamo riceverne la ricompensa, dobbiamo nascondere, quanto è possibile, il bene ch’Egli ha messo in noi, per timore che il demone dell’orgoglio non ci rapisca il merito del bene che facciamo. — Ma, forse pensate voi, il bene che facciamo, lo facciamo appunto per il buon Dio, non già per il mondo. — Io non lo so, amico; so che ce ne sono molti che s’ingannano in questo; e credo che non mi sarebbe difficile mostrarvi che voi non avete che una religione esteriore, e non una religione che sia nell’intimo dell’anima. Ditemi: provereste maggior pena sesi sapesse che non digiunate nei giorni prescritti dalla Chiesa, o se si sapesse che digiunate? Provereste maggior dispiacere se vi si sorprendesse a rubar qualche cosa al vostro vicino, o a far l’elemosina? Prescindiamo dallo scandalo Non è forse vero che preferireste esser visto a pregare, che sentito bestemmiare (dato che abbiate fatto l’una e l’altra cosa)? Non è forse vero che preferireste vi si vedesse insegnar le orazioni o dar buoni consigli ai vostri figliuoli, che non vi si sentisse consigliarli a vendicarsi dei loro nemici? — Sì, senza dubbio, direte voi, questo mi spiacerebbe di più. — E perché ciò? Se non perché avete una religione falsa, se non perché siete ipocriti e null’altro? Eppure noi vediamo che i santi facevano tutto l’opposto. E perché? Perché conoscevano la loro religione, e perciò non cercavano che di umiliarsi per attirare sopra di sé le misericordie del Signore. Ahimè! quanti Cristiani non hanno che una pietà d’inclinazione, di capriccio, d’abitudine, e nient’altro! — Ma, direte voi, questo è davvero un po’ troppo. —Sì, senza dubbio, è un po’ troppo; ma non per questo cessa d’essere la verità. — Per inspirarvi un orrore infinito di questa maledetta ipocrisia, vi mostrerò dove conduce questo sciagurato peccato con un esempio, che merita davvero di restar ben impresso nei vostri cuori. Leggiamo nella storia che S. Palemone e S. Pacomio vivevano molto santamente. Una notte ch’essi vegliavano e avevano acceso il fuoco, sopravvenne un solitario che voleva restar con loro. Accoltolo tra loro per unirsi e pregare insieme il buon Dio, lungo il discorso, egli disse loro: “Se avete fede, avanzatevi arditamente, e, tenendovi in piedi su questi carboni ardenti, recitate adagio l’orazione domenicale. „ I due santi, udendo una tal proposta del solitario, e pensando che non avrebbe potuto farla che un orgoglioso o un ipocrita, “Fratel mio, gli disse S. Palemone, pregate il Signore; voi siete tentato: guardatevi bene dal commetter simil follia e dal ripeterci tale proposta. Il nostro Salvatore non ci ha detto che non bisogna mai tentar Dio? Ed è un vero tentarlo il domandargli simile miracolo.„ Quel povero cieco, quel povero ipocrita, invece di approfittare del buon consiglio, s’inorgoglì ancor più per la vanità delle sue pretese opere buone; e, senz’altro, s’avanzò arditamente e si mise in piedi sul fuoco, senza che alcuno glielo comandasse, ma spintovi dal demonio, il nemico degli uomini … Il buon Dio, costretto dal suo orgoglio a ritirarsi da lui, per giudizio secreto e terribile, permise al demonio di difenderlo dal fuoco;ciò che l’accecò maggiormente, facendogli credere d’esser già perfetto e gran santo. Il mattino dopo lasciò i due solitari rimproverando ad essi la loro poca fede. “Avete visto,diceva, che cosa può fare colui che ha fede. „Ma aihmè! poco dopo, il demonio, vedendo che quest’uomo era suo e temendo di perderlo, volle assicurarsi la sua vittima e imprimergli il sigillo della riprovazione. Egli prese la forma d’una donna riccamente vestita e andò a battere alla sua cella. dicendogli che era perseguitata da’ suoi creditori, e che temeva di cadere in qualche sciagura non avendo di che pagarli; per questo ricorreva a lui come molto caritatevole. “Deh! Vi supplico, diceva, ricevetemi nella vostra cella, affinché possa esser salva da questo pericolo. „ Quel povero uomo, abbandonato dal Signore, accecato nell’anima dal demonio, non vide il pericolo cui s’esponeva: e la ricevette nella sua cella. Un momento dopo si sentì orribilmente tentato contro la santa virtù della purità e si fermò su questi pensieri. Osò anche accostarsi alla pretesa donna, la quale non era che il demonio in persona, per parlarle più familiarmente, e giunse fino a toccarla. Ma il demonio all’istante gli piomba addosso, lo prende, lo trascina fuori sulla soglia e ve lo sbatte con tanta forza che il suo corpo ne resta tutto ammaccato, e lo lascia disteso al suolo, dove rimane lungo tempo quasi morto. Alcuni giorni dopo, ripreso un po’ di forza e pentendosi del suo peccato, tornò a trovare i due santi, per metterli a parte della sciagura che gli era toccata. Dopo aver loro raccontato tutto con abbondanza di lagrime: “Ah! Padri miei, disse loro, confesso sinceramente che tutto m’è avvenuto per il mio peccato; io stesso fui causa della mia rovina, perché non ero che un orgoglioso e un ipocrita, che volevo passare per più santo di quel ch’io era. Deh! vi prego, assistetemi, di grazia, col soccorso delle vostre preghiere, poiché temo che, se il demonio mi riprende di nuovo, non mi faccia a pezzi.„ Mentre piangono tutti e tre assieme, ecco d’un colpo il demonio impadronirsi di lui, portarlo via con una rapidità spaventosa attraverso alle foreste fino alla città di Panoplia, dove era una fornace. Ve lo precipitò dentro, e là abbruciò in un istante — Ebbene, F . M., perché gli venne questo castigo sì terribile? Ahimè! perché il suo cuore mancava d’umiltà, sì; ma anche perché egli era un ipocrita e non conosceva la sua religione. Ahimè! quanti fanno molte opere buone, e tuttavia vanno perduti, perché non conoscono bene la loro religione! Molti faranno lunghe preghiere, frequenteranno anche i Sacramenti, ma conservano sempre le stesse cattive abitudini e finiscono per familiarizzarsi e con Dio e col peccato. Ed oh! quanto grande ne è il numero! Vedete quell’uomo? Pare un buon Cristiano. Ma provatevi a fargli capire ch’egli ha offeso qualcuno; provatevi a fargli notare i suoi difetti, o qualche peccato di cui s’è reso colpevole nel suo cuore. Subito s’adira e non può più vedervi. Al rancore tien dietro l’odio… Eccone un altro. Voi giudicherete ch’egli non debba accostarsi alla sacra Mensa. E lui vi risponderà villanamente e vi porterà odio, come se foste stato voi la causa del male che ha commesso. Altri, appena capiti loro qualche dispiacere, subito lasciano la chiesa e i Sacramenti. Uno avrà qualche difficoltà col suo parroco, il quale, gli avrà detto qualcosa per il bene dell’anima sua: ebbene, ecco l’odio! Egli ne parlerà male, gusterà sentirne dir male, volgerà in male tutto ciò che gli si dirà. Perché tutto questo, F. M.? Semplicemente perché ha una religione falsa e nient’altro. Un’altra volta negherete a uno l’assoluzione o la santa Comunione; e lo vedrete subito rivoltarsi contro di voi e considerarvi peggiore del demonio. In tempo di quiete, invece, lo vedete servire il Signore con fervore, e vi parlerà di Dio, come un angelo in corpo umano. Perché quest’incostanza? Ahimè! perché egli è un ipocrita, che non conosce se stesso, che forse non si conoscerà mai, e che non vuole neppure lo si riguardi come tale. — Se ne vedono altri che hanno qualche vera apparenza di virtù; e se avviene che qualcuno si raccomandi a loro per ottenere qualche grazia, dopo le prime preghiere, gli domandano subito se abbia ottenuto ciò che chiedeva. Se sì, eccoli raddoppiare le loro preghiere: chissà che possano ottenere anche un miracolo!? … Se invece non sono stati esauditi, li vedete subito scoraggiarsi e perdere il gusto della preghiera. Andate, poveri ciechi; voi non vi siete mai conosciuti, voi non siete che ipocriti. — Un altro vi parlerà con interesse del buon Dio; se voi ne lo lodate, vedrete cadergli persino le lagrime dagli occhi; ma se gli dite anche solo una parola che l’urti un poco, eccolo subito scaldarsi la fantasia; però teme di mostrarsi qual è, e vi porterà un odio celato in fondo al cuore, e per lungo tempo. Perché ciò, se non perché la sua è una religione di capriccio e di puro temperamento? Ebbene: voi ingannate il mondo, e ingannate persino voi stessi; ma Dio non l’ingannerete certo, e un giorno Egli vi mostrerà chiaro che non siete altro che ipocriti. Volete sapere che cos’è una virtù falsa? Eccone u n bell’esempio. Leggiamo nella storia che un solitario venne a trovare S. Serapione per raccomandarsi alle sue preghiere; il santo a sua volta si raccomandò alle sue; ma l’altro, con parole che parevano dettate dall’umiltà più profonda, gli disse ch’egli non meritava una sì grande fortuna, che era troppo peccatore. Il santo gli disse di sedersi accanto a lui; ma l’altro rispose che non ne era degno. Allora il santo, per conoscere se questo solitario era davvero ciò che voleva far credere, si provò a dirgli: “Mi pare, amico, che fareste molto meglio a starvene nella vostra solitudine, anziché correre il deserto. „ Bastò ciò per metterlo in una collera spaventosa. “Ma, amico, riprese allora il santo, voi mi dicevate or ora d’essere un sì gran peccatore, che non volevate neppur sedervi accanto a me; e ora, perché v’ho detto una parola piena di carità, andate in collera. Andate, amico, voi non avete che una virtù falsa, o piuttosto non ne avete alcuna„ (Vita de1 Padri del deserto, t. II, p. 417). Ahimè, F. M., quanti ce ne sono di costoro, che sembrano santi a chiacchiere, e, alla minima parola che li urti un pochino, s’adirano e si fanno conoscere per quel che sono nell’interno del cuore. Ma, se questo peccato è sì grave, osserviamo anche che Dio, pur sì buono, lo castiga assai rigorosamente. Vedetelo da questo esempio. Leggiamo nella santa Scrittura (III Re. XIV) che il re Geroboamo, mandò sua moglie dal profeta Ahia per consultarlo sulla malattia di suo figlio, dopo averla però travestita in modo da offrir tutta l’apparenza d’una donna di pietà.Usava quest’artificio per timore che il popolo non s’accorgesse ch’egli consultava il vero Dio, e notasse la poca confidenza che aveva nei suoi idoli. Ma, sa riusciamo qualche volta a ingannare il prossimo, non riusciremo mai a ingannare Dio. Quando la donna entrò nell’abitazione del profeta, questi, senza neppur vederla, gridò: “Moglie di Geroboamo, perché fingete d’essere diversa da quella che siete? Venite, ipocrita, io vi annunzierò una terribile notizia da parte di Dio. Sì, una notizia terribile; uditela: Il Signore mi ha comandato di dirvi ch’Egli farà cadere ogni sorta di mali sulla casa di Geroboamo; ne farà perire perfino gli animali; quelli di casa sua che moriranno nei campi saranno mangiati dagli uccelli; e quelli che morranno in città saranno divorati dai cani. Andate, moglie di Geroboamo, andate ad annunziarlo a vostro marito.E nel momento stesso che metterete piede in città, vostro figlio morrà.„ E tutto avvenne come il profeta aveva predetto: neppur uno sfuggì alla vendetta del Signore. Voi vedete, M. F., come il Signore punisce questo maledetto peccato dell’ipocrisia. Ahimè! quanti poverelli si lasciano su ciò ingannare dal demonio, e non solo perdono il merito del bene che fanno, ma le loro azioni diventano per essi argomento di condanna. Tuttavia vi dirò, F . M., che non è già la grandezza delle azioni ciò che dà loro il merito, ma la purità d’intenzione con cui le facciamo. Ce ne dà un bell’esempio l’Evangelo. Narra S. Marco (Cap. XII, 41-44) che Gesù Cristo, entrato nel tempio, si assise presso la cassetta in cui si gettavano le elemosine per i poveri, (Il danaro messo nella cassetta era destinato alla conservazione del tempio, piuttosto che al sollievo dei poveri) e stette osservando in che modo il popolo vi gettava il danaro. Vide che parecchi ricchi vi gettavano molto, e nello stesso tempo, vide una povera vedova che s’accostò umilmente alla cassetta e vi mise soltanto due pezzi di moneta. Allora Gesù chiamò i suoi apostoli e disse loro: “Ecco, molti hanno messo elemosine considerevoli in quella cassetta; invece una povera vedova non vi ha messo che due oboli: voi che ne pensate di questa differenza? A giudicar dalle apparenze, crederete forse che abbiano maggior merito i ricchi; io invece vi dico che quella vedova ha dato più di loro, perché i ricchi non hanno dato che un po’ della loro abbondanza e del loro superfluo, mentre la vedova ha dato parte di ciò che le era necessario; la maggior parte di quei ricchi non hanno cercato che la stima degli uomini, per farsi credere migliori di quel che sono invece, la vedova non ha cercato che di piacere a Dio. „ Bell’esempio, M. F., il quale c’insegna con quanta purità d’intenzione e con quanta umiltà dobbiamo compiere le nostre azioni, se vogliamo riceverne la ricompensa. È vero che Dio non ci proibisce di fare le nostre azioni davanti agli uomini; ma vuole che il mondo non v’entri per nulla e Dio solo ne sia il motivo. D’altra parte, F. M., perché voler mostrarci migliori di quel che siamo, ostentando quel bene che non è in noi? Ahimè, M. F., è perché amiamo esser lodati di ciò che facciamo; siamo gelosi di questa forma d’orgoglio, e per procurarcela, sacrifichiamo tutto, il nostro Dio, l’anima nostra, la nostra eterna felicità. Quale accecamento, mio Dio! Ah, maledetta ipocrisia, quante anime trascini all’inferno con azioni che, se fossero fatte bene, le condurrebbero diritte al cielo! Ahimè! una buona parte dei Cristiani non si conosce e non cerca neppure di conoscersi; continua a seguire le proprie abitudini, e non vuol intender ragioni. Sono ciechi e camminano da ciechi. Se, un sacerdote vuol far conoscere ad essi il loro stato, non lo ascoltano, o, se pur fingono d’ascoltarlo, non ne fanno nulla. Ecco, M. F., lo stato più infelice che si possa immaginare e fors’anche il più pericoloso.
III. — La terza condizione necessaria alla virtù vera è la perseveranza nel bene. Non bisogna dunque accontentarsi di far il bene per qualche tempo; vale a dire, pregare, mortificarsi, rinunciare alla propria volontà, sopportare i difetti di quelli con cui viviamo, combattere le tentazioni del demonio, soffrire il disprezzo, le calunnie, vegliare su tutti i movimenti del proprio cuore; no, no, M. F., bisogna continuare fino alla morte, se vogliamo andar salvi. S. Paolo dice che dobbiamo essere fermi e irremovibili nel servizio di Dio e che dobbiamo lavorare tutti i giorni della nostra vita alla santificazione dell’anima nostra, sapendo benissimo che il nostro lavoro non sarà ricompensato se non persevereremo fino alla fine. “Bisogna, ci dice egli, che né le ricchezze, né la povertà, né la sanità, né le malattie, sieno capaci di farci abbandonare la salvezza dell’anima nostra e di separarci da Dio: poiché siamo sicuri che Dio non coronerà se non le virtù che saranno state perseveranti fino alla morte. „ (Rom. VIII, 38). E ciò che vediamo in modo ammirabile nell’Apocalisse e nella persona di un vescovo che pareva sì santo, che Dio stesso ne fa l’elogio. – Io conosco, gli dice Iddio, tutte le buone opere che tu fai, tutte le pene che hai sofferto, la pazienza che hai avuta; sì, lo so che non puoi sopportare i malvagi, e che hai sofferto ogni cosa per la gloria del mio nome; so tutto questo, eppure ho un rimprovero da farti, ed è che, invece di perseverare in tutte le tue opere buone, in tutte le tue virtù, ti sei rilassato, hai abbandonato il primitivo fervore, non sei più quello di prima. Ricordati donde sei caduto, riprendi il tuo primo fervore con una pronta penitenza, altrimenti sarò costretto a rigettarti ed a punirti„ Dite, F. M., di qual timore non dobbiamo esser compresi noi vedendo le minacce che Dio stesso fa a questo vescovo, perché s’era un pochino rilassato? (Apoc. II, 1-5) Ah! F. M.! che cosa siamo noi diventati, anche dopo la nostra conversione? Invece d’andar sempre aumentando, quale fiacchezza, quale indifferenza! No, Dio non può tollerare questa perpetua incostanza, con cui passiamo dalla virtù al vizio, dal vizio alla virtù. Ditemi, F. M., non è forse questa la vostra condotta, il vostro modo di vivere? La vostra povera vita è forse qualche altra cosa che un susseguirsi di peccati e di virtù? Non è forse vero che oggi vi confessate e domani, o forse oggi stesso, cadete di nuovo? Non è forse vero che avete promesso di non trovarvi più con certe persone, che vi hanno spinto al male, e invece alla prima occasione le avete accolte ancora? Non è forse vero che vi siete confessati d’aver lavorato la domenica, e poi avete ripetuto lo stesso fallo? Non è forse vero che avete promesso a Dio di non tornar più alle danze, ai giuochi, alle osterie, e poi siete ricaduti in tutti questi peccati? E perché questo, M. F., se non perché avete una pietà falsa, una pietà d’abitudine e di temperamento, e non la pietà vera del cuore? Andate, amico, voi non siete che un incostante. Andate, fratello, voi non avete che una divozione falsa; in tutto ciò che fate voi siete un ipocrita e nient’altro: Dio non ha il primo posto nel vostro cuore, ma il mondo eil demonio. Ahimè, M. F.! quanti, per un certo tempo, sembrano amar Dio con tutta schiettezza, e poi l’abbandonano. Che cosa trovate adunque di sì duro e penoso nel servizio di Dio, che vi offenda tanto e vi faccia ritornare al mondo? Eppure, quando Dio v’ha fatto conoscere il vostro stato, voi avete pianto e avete riconosciuto quanto vi eravate ingannato. Ahimè! se avete perseverato poco, è perché il demonio era troppo contristato d’avervi perduto, ed ha fatto tanto che vi ha riguadagnato e spera ora di tenervi assolutamente. Ahimè! quanti apostati! quanti che hanno rinunciato alla loro Religione, e non sono più Cristiani che di nome. Ma, domanderete voi, come possiamo conoscere se abbiamo la religione del cuore, quella religione che non si smentisce mai? — Eccolo, M. F., ascoltatelo bene e voi potrete comprendere se questa pietà l’avete quale Dio la vuole per condurvi al cielo. — Nulla è capace di smuovere chi possiede una virtù vera, egli è come una roccia in mezzo all’oceano flagellata dalla tempesta. Che vi si disprezzi, vi si calunnii, vi si dileggi, vi si tratti da ipocriti, da falsi bigotti, tutto ciò non deve togliervi per nulla la pace dell’anima; voi dovete amarli quelli che vi trattano così, come li amereste se di voi dicessero bene: non dovete tralasciare di beneficarli e soccorrerli, quand’anche dicano male, e continuare le vostre preghiere, le vostre confessioni e comunioni, la vostra Messa, come se nulla fosse. Per farvelo comprendere meglio, eccone un esempio. Si racconta che in una parrocchia c’era un giovine, vero modello di virtù. Quasi in tutti i giorni assisteva alla S. Messa, e si comunicava spesso. Avvenne che un altro, geloso della stima che si aveva di lui, un giorno che si trovavano tutti e due in compagnia di un vicino che aveva una bella tabacchiera d’oro, il geloso la prese dalla tasca di questi e la mise in quelle del giovine, senza che se n’avvedesse. Dopo questo bel colpo, non facendo mostra di nulla, domanda al vicino di vedere la sua tabacchiera. L’altro crede di averla in tasca, e con grande stupore non la trova. Nessuno può uscire dalla stanza prima che si sia frugato in tasca a tutti. Ed ecco che la tabacchiera si trova nella tasca del giovine. All’istante tutti si mettono a gridare al ladro, e a scagliarsi contro la sua religione; a trattarlo da ipocrita, da falso bigotto. Il giovine non può difendersi, date le circostanze del fatto; perciò tace e tutto soffre come se venisse dalla mano di Dio. Quando tornava dalla chiesa, dalla Messa o dalla comunione, tutti quelli che lo vedevano passare per via lo coprivano di beffe e d’insulti chiamandolo ipocrita, falso bigotto e ladro. Così durò molto tempo. Malgrado tutto, egli continuò sempre i suoi esercizi di pietà, le sue confessioni, le sue comunioni, tutte le sue preghiere, come se tutti gli avessero sempre portato il più grande rispetto. Dopo qualche anno, colui ch’era stato causa di tutto, essendo caduto ammalato, confessò che era stato lui la causa di tutto il male che s’era detto di quel giovine virtuoso e che per gelosia, affine di farlo disprezzare, gli aveva messo lui la tabacchiera nella tasca. Ebbene. M. F., ecco una religione vera, una religione che ha messo radice nel cuore. Ditemi, se tutti quei poveri Cristiani che fanno professione di pietà fossero messi a tali prove, avrebbero essi la forza di imitare quel santo giovine? Ahimè, F. M.! quante mormorazioni, quanti rancori, quanti pensieri di vendetta! E la maldicenza e la calunnia e fors’anche i tribunali! … Si infuria contro la religione, la si deride, la si disprezza, se ne dice male, non si può più pregare, non più ascoltar la Messa, non si sa più quel che si faccia, se ne parla a tutti, si ha premura di dir tutto ciò che potrebbe giustificarci, si accumula e rinvanga tutto il male di quella persona, lo si dice ad altri, lo si ripete a tutti quelli che si conoscono per farli passare quali bugiardi e calunniatori. Perchè questa condotta, M. F . , se non perché non abbiamo che una religione di capriccio, di temperamento e d’abitudine o, per dir meglio, se non perché noi non siamo che ipocriti, i quali servono Dio sol quando tutto va a loro talento? Ahimè, F. M.! tutte queste virtù che vediamo nella maggior parte dei Cristiani non sono che fiori di primavera che il primo soffio di vento caldo fa appassire. Diciamo inoltre che la nostra virtù, per essere vera, dev’esser costante; dobbiamo cioè essere attaccati a Dio e ferventi così nelle croci e nel disprezzo, come quando tutto ci va a seconda. E ciò che hanno fatto tutti i santi. Vedete tutte quelle folle di martiri che hanno sopportato tutto ciò che la rabbia dei tiranni ha saputo inventare e che, non lungi dal rilassarsi, si univano sempre più a Dio. Nulla, né i tormenti, né il disprezzo di che venivano coperti potevano smuoverli. Ma il più bell’esempio ch’io possa darvi credo sia quello del santo Giobbe, nelle prove che il Signore gli mandò. Un giorno il Signore domanda a satana: “Donde vieni? — Dal fare il giro del mondo, gli risponde il demonio. — Non hai tu visto il mio buon servo Giobbe? egli non ha l’eguale sulla terra per la sua semplicità e la sua rettitudine di cuore. — Bella fatica, gli risponde il demonio, ad amarvi e a servirvi” così !… Lo colmate d’ogni sorta di benedizioni… Ma provatelo un poco, o vedrete se vi sarà sempre fedele. — Ebbene, soggiunse il Signore, io ti do ogni potere sopra di lui; non però quello di togliergli la vita.„ — Il demonio, pieno di gioia, nella speranza di portarlo a mormorare contro Dio, cominciò a fargli perdere tutti i suoi beni immensi. Poi per strappargli qualche bestemmia o almeno qualche lamento, gli suscitò contro, di mano in mano, ogni sorta di noie, di disgrazie, di sventure, tanto che il poveretto infine non poteva più respirare. Un giorno, mentr’era tutto tranquillo in casa sua, improvvisamente arriva tutto spaventato un suo domestico, e “Signore, gli dice, vengo ad annunziarti una grande sciagura. Tutte le tue bestie da soma e tutti gli animali adoperati nell’aratura furon rapiti dai briganti, i quali uccisero anche tutti i tuoi servi. Io solo ho potuto sfuggire per venire ad annunciartelo.„ Parlava ancora, quand’ecco un nuovo messaggero più spaventato del primo. “Ah! Signore, esclama, un uragano terribile si è scagliato sopra di noi ; il fulmine del cielo ha distrutto tutte le tue gregge, abbruciato tutti i tuoi pastori: io solo fui risparmiato per venirtelo ad annunciare.„ Non ha ancor finito, che ne arriva un terzo, — poiché il demonio non voleva dargli tempo di respirare e di raccapezzarsi — e, tutto costernato “siamo stati assaliti dai ladri, gli dice, i quali ci hanno rapito tutti i tuoi cammelli e tutti i tuoi servitori; la fuga m’ha sottratto solo alla strage per venirtelo ad annunciare. „ A queste parole eccone un quarto tutto in pianto “Ah, Signore! gli dice, tu non hai più figliuoli !… mentr’essi mangiavano insieme, improvvisamente una furiosa tempesta ha rovesciato la casa, schiacciandoli tutti sotto le rovine: così pure tutti i tuoi servi: io solo fui salvo per miracolo. „ — Durante il racconto di tutti questi che il mondo giudica mali, senza dubbio l’anima sua fu commossa di compassione per la morte dei suoi cari figliuoli. Subito tutti gli amici gli voltano le spalle e l’abbandonano: ciascuno se ne fugge, sicché l’infelice resta tutto solo col demonio, fiducioso d’indurlo, con tanti mali, alla disperazione, o, almeno, a qualche lamento, a qualche impazienza; poiché bisogna ben confessare che la virtù, per quanto solida. non rende per nulla insensibili ai mali che ci travagliano: — i santi, non ebbero, diversamente da noi, un cuor di marmo. Questo santo, riceve, in un solo istante, tutti i colpi più sensibili a un grande del mondo, a un ricco, a un buon padre di famiglia. In un sol giorno, da principe e. per conseguenza, da uno dei più felici fra gli uomini, diviene il più sventurato, ricolmo d’infortuni, privo di tutto ciò che aveva di più caro al mondo. A calde lagrime prosterna la sua faccia a terra, ma per far che? per lamentarsi o mormorare? No, M. F., no. La santa Scrittura ci dice ch’egli adora e bacia la mano che lo percuote; fa a Dio il sacrificio delle sue ricchezze e della sua famiglia, e lo fa con la rassegnazione più generosa, più perfetta, più intera, dicendo: “Il Signore è il padrone di tutti i miei beni, poiché ne è l’autore: tutto ciò è avvenuto perché Egli lo ha voluto: sia benedetto in tutto il suo santo Nome.„ (Job 1). Che pensate, F . M . , di quest’esempio? Non è questa una virtù solida, costante, perseverante? E crederemo ancora d’aver qualche virtù, noi quando, alla prima prova, diamo in mormorazioni e spesso abbandoniamo anche il servizio di Dio? Ma ciò non è tutto. Il demonio vedendo che non aveva guadagnato nulla, attaccò la sua stessa persona: il suo corpo diventò una piaga sola, la sua carne cadeva a brandelli. — Vedete ancora, se vi piace, S. Eustachio, come fu costante in tutto ciò che Dio gli mandò per provarlo. Ahimè, M. F.! quanto pochi sarebbero i Cristiani che non si lascerebbero andare alla tristezza, alla mormorazione, e fors’anche alla disperazione, maledicendo la loro sorte, nutrendo odio contro Dio. e pensando: “Ma che cosa ho fatto adunque, per esser trattato in questo modo? . Ahimè. M. F! quante virtù non hanno che l’apparenza! quante virtù non sono che esteriori e, alla minima prova, si smentiscono!… Concludiamo, M. F., dicendo che la nostra virtù, per essere solida e accetta a Dio, deve radicarsi nel cuore, attribuire tutto a Lui, nascondere quanto è possibile le sue buone opere. Bisogna guardarsi bene dal rilassarsi nel servizio di Dio; dobbiamo anzi andar sempre aumentando. E così che i santi si sono assicurati la felicità eterna. Ed è ciò ch’io vi auguro di cuore.
Offertorium
Orémus
Dan III: 40
“Sicut in holocáustis aríetum et taurórum, et sicut in mílibus agnórum pínguium: sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi: quia non est confúsio confidéntibus in te, Dómine”.
[Il nostro sacrificio, o Signore, Ti torni oggi gradito come l’olocausto di arieti, di tori e di migliaia di pingui agnelli; perché non vi è confusione per quelli che confidano in Te.]
Secreta
Deus, qui legálium differéntiam hostiárum unius sacrifícii perfectione sanxísti: accipe sacrifícium a devótis tibi fámulis, et pari benedictióne, sicut múnera Abel, sanctífica; ut, quod sínguli obtulérunt ad majestátis tuæ honórem, cunctis profíciat ad salútem.
[O Dio, che hai perfezionato i molti sacrifici dell’antica legge con l’istituzione del solo sacrificio, gradisci l’offerta dei tuoi servi devoti e benedicila non meno che i doni di Abele; affinché, ciò che i singoli offrono in tuo onore, a tutti giovi a salvezza.]
Communio
Ps XXX: 3. Inclína aurem tuam, accélera, ut erípias me.
[Porgi a me il tuo orecchio, e affrettati a liberarmi.]
Postcommunio
Orémus. Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et ad ea, quæ sunt recta, perdúcat.
[O Signore, l’opera medicinale (del tuo sacramento), ci liberi misericordiosamente dalle nostre perversità e ci conduca a tutto ciò che è retto.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)