–18 giugno 1968
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Continuiamo a discutere con le idee un po’ più chiare, circa l’Invalidità intrinseca del rito del “Pontificalis Romani”, per quanto concerne la consacrazione vescovile. Ricordiamo in quali termini San Tommaso d’Aquino pone la questione: “Dio è il solo a realizzare l’effetto interno al Sacramento? Risposta: «Ci sono due modi di realizzare un effetto: in qualità di agente principale o in qualità di strumento. Secondo la prima maniera, è Dio solo che realizza l’effetto del Sacramento. Ecco perché Dio solo penetra nelle anime ove risiede l’effetto del Sacramento, e un essere non può agire direttamente la dove Egli non c’è. Anche perché appartiene solo a Dio il produrre la “grazia”, che è l’effetto interiore del Sacramento ( Sum. Theol. I-II, Q.112, a. 1). Inoltre, il carattere, effetto interiore di certi Sacramenti, è una virtù strumentale derivante dall’agente principale, che è qui Dio. Ma, nella seconda maniera, cioè agendo in qualità di ministro, l’uomo può realizzare l’effetto interiore del Sacramento; perché il ministro e lo strumento hanno la stessa definizione: l’azione dell’uno conduce ad un effetto interiore sotto la mozione dell’Agente principale che è Dio. » (Summa theologiae III, Q.64, 1). In poche parole, l’uomo non è che il ministro, lo strumento dell’azione di Dio in un Sacramento. E qui sorge la domanda: “Chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che Dio agisce al meglio in un rito creato nel 1968”? Seguiamo ancora San Tommaso, che si chiede: “L’istituzione dei sacramenti ha solo Dio per autore? – « È a titolo di strumento, lo si è visto, che i Sacramenti realizzano degli effetti spirituali. Ora lo strumento trae la sua virtù dall’Agente principale. Vi sono due agenti, nel caso di un Sacramento: Colui che lo istituisce, e colui che usa del Sacramento già instituito applicandolo quanto a produrre il suo effetto. Ma la virtù del Sacramento non può venire da colui che non fa che usarne, perché non si tratta così se non al modo di un ministro. Rimane dunque che la virtù del Sacramento gli viene da Colui che l’ha instituito. La virtù del Sacramento non venendo che da Dio, ne risulta che Dio solo ha istituito i Sacramenti. » Summa theologiae (III, Q.64, 1). Dio solo ha istituito i sacramenti, e allora: Chi ci assicura in modo assolutamente certo che un rito creato nel 1968 trasmette la “virtù” di un Sacramento che ha solo Dio come autore? – “Gli elementi necessari istituiti dal Cristo secondo San Tommaso d’Aquino: L’istituzione dei sacramenti ha Dio solo per autore? – « Obiezione n°1: Non sembra, perché è la Santa Scrittura che ci fa conoscere le istituzioni divine. Ma ci sono alcuni elementi dei riti sacramentali che non si ritrovano menzionati nella Santa Scrittura, come la santa Cresima, con la quale si da’ la confermazione, e l’olio con cui si ungono i sacerdoti, e certe altre parole e gesti che sono in uso nei Sacramenti. Risposta all’obiezione n° 1: Gli elementi del rito sacramentale che sono d’istituzione umana non sono necessari al Sacramento, ma contribuiscono alla solennità di cui lo si circonda per eccitare devozione e rispetto in quelli che lo ricevono. Quanto agli elementi necessari ai Sacramenti, essi sono stati istituiti dal Cristo stesso, che è nello stesso tempo Dio ed uomo; e se essi non ci sono tutti rivelati nelle Scritture, la Chiesa comunque li ha ricevuti dall’insegnamento ordinario degli Apostoli [la tradizione – ndr. – ]; è così che San Paolo scrive (1 Co XI, 34) : «Per gli altri punti, io li regolerò alla mia venuta». Summa theologiae (III, Q.64, 1). Se gli elementi del rito “necessari” al Sacramento sono stati istituiti dal Cristo stesso, chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che gli elementi del rito creato (… nientemeno che da dom B. Botte su commissione di Buan 1365/75!?!) nel 1968 contengano effettivamente gli elementi necessari al Sacramento istituito dallo stesso N.S. Gesù Cristo? Ricordando, al proposito, il giudizio di San Pio X « … allorché si sappia bene che la Chiesa non ha il diritto di innovare nulla che tocchi la sostanza del sacramento » [San Pio X, 26 dicembre 1910, “Ex quo nono”]. Quindi veniamo alle “1+3” condizioni di validità del Sacramento di consacrazione: 1) Perché una consacrazione episcopale sia valida, si richiede innanzitutto che il consacratore abbia egli stesso il potere d’ordine, cioè che egli sia validamente (ed ontologicamente) Vescovo. Successivamente, sono necessarie 3 condizioni all’esistenza del Sacramento della consacrazione episcopale (vale a dire alla sua validità) : • la materia e la forma: « I sacramenti della nuova legge devono significare la grazia che essi producono e produrre la grazia che essi significano. Questo significato deve ritrovarsi … in tutto il rito essenziale, e cioè nella materia e nella forma; ma esso appartiene particolarmente alla “forma”, perché la materia è una forma indeterminata per se stessa, ed è la “forma che la determina” ». [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. • l’intenzione del consacratore: «la forma e l’intenzione sono egualmente necessarie all’esistenza del Sacramento », «Il pensiero o l’intenzione, dal momento che è una cosa interiore, non cade sotto il giudizio della Chiesa; ma Essa deve giudicarne la manifestazione esteriore » [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. E il Santo Padre Pio XII sottolinea efficacemente la questione alla Conclusione dei lavori del 1° congresso internazionale della liturgia pastorale d’Assisi, il 22 settembre 1956: «Ricordiamo a questo proposito ciò che Noi diciamo nella Nostra Constituzione Apostolica “Episcopalis Consecrationis” del 30 novembre 1944 (Acta Ap. Sedis, a. 37, 1945, p. 131-132). Noi vi determiniamo che nella consacrazione episcopale i due Vescovi che accompagnano il Consacratore, devono avere l’intenzione di consacrare l’Eletto, e che essi devono per conseguenza compiere i gesti esteriori e pronunciare le parole, per mezzo delle quali il potere e la grazia da trasmettere siano significate e trasmesse. Non è dunque sufficiente che essi uniscano la loro volontà a quella del Consacratore principale e dichiarino che essi fanno proprie le sue parole e le sue azioni. Essi stessi devono compiere quelle azioni e pronunziare le parole essenziali. »! E allora, quali sono state le modifiche o le soppressioni “sospette” (per usare un eufemismo) del rito montiniano. Ecco cosa è stato soppresso: – 1) Il giuramento del futuro vescovo che promette a Dio «di promuovere i diritti, gli onori, i privilegi dell’autorità della santa Chiesa romana… d’osservare con tutte le sue forze, e di farle osservare agli altri, le leggi dei santi Padri, i decreti, le ordinanze, le consegne ed i mandati apostolici … di combattere e di perseguire secondo il suo potere gli eretici [una delle principali funzioni del vescovo!!!], gli scismatici ed i ribelli verso il nostro San Pietro: il Papa ed i suoi successori». – 2) L’esame attento del candidato sulla sua fede, comprendente la domanda di confermare ciascuno degli articoli del credo. – 3) L’istruzione del vescovo: « Un vescovo deve giudicare, interpretare, consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e confermare». In nessuna parte quindi, il nuovo rito menziona che la funzione del vescovo sia quella di ordinare, di confermare e di giudicare (di slegare e legare). -.4) La preghiera che precisa le funzioni del vescovo, dopo la preghiera consacratoria. Nel Pontificalis Romani, si definisce quindi una forma essenziale insufficiente. Per Pio XII, la forma deve significare in modo univoco l’intenzione del rito di fare un Vescovo per ordinare dei preti: «allo stesso modo, la sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in un modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali» [Pio XII, Sacramentum Ordinis, 1947]. –
[la vera formula consacratoria di sempre in uso nella Chiesa Cattolica]
La forma designata come “essenziale” da Paolo VI non indica il potere d’ordine, né la grazia dello Spirito-Santo come grazia del Sacramento: « La forma consiste nelle parole di questa preghiera consacratoria; tra di esse, ecco quelle che appartengono alla natura “essenziale”, sicché sono quelle esatte perché l’azione sia valida: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui» [ed ora effondi su questo eletto quella virtù che viene da Te, lo Spirito “principale”, che desti al Figlio tuo diletto, e che Egli donò ai suoi Apostoli, perché si costituisse la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode del tuo Nome …]. (Inoltre non è specificato di quale spirito si tratti! “Principalem”, in latino, significa pure: “del principe” [si consulti un normale vocabolario della lingua latina]… quindi non è per caso che ci si riferisca, viste le referenze degli autori, allo spirito del “principe … di questo mondo”?) – (Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968.]. I termini supposti per definire il Vescovo figurano in un’altra parte del prefazio: «ut distribuát múnera secúndum præcéptum tuum » [Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968). Alla maniera degli anglicani, i difensori del rito montiniano devono allora invocare l’“unità morale” del rito. Nel Pontificalis Romani, la forma essenziale è senza dubbio, insufficiente. Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa!!! « La sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere d’ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tale». [Pio XII, Sacramentum ordinis, 1947]. Le parole del prefazio del Pontificalis romani “non” significano affatto il potere d’ordine: “Ut distribuant munera secundum praeceptum tuum”. [Che essi distribuiscano dei “doni” (!?! forse come santa Claus o la befana !?) secondo il tuo comandamento]. Il termine adottato “distribuant munera” è equivoco, esso esprime dei doni, dei carichi, delle funzioni (vedere il diz. Gaffiot per “munus”), si tratta di un termine profano che non esprime nemmeno lontanamente il potere d’ordine. Dom Botte traduce il greco κλήρους (Klerous) con ‘carichi’ (La Tradition apostolique, Ed. Sources chrétiennes, maggio 1968). Ora un “carico” ecclesiastico non è un ordine. Un anglicano può accettare l’espressione di distribuzione di carichi, un luterano ugualmente. Questa ambiguïtà è voluta … siamo ben lontani dalle parole essenziali del rito latino (comple sacerdote tuo). Queste parole esprimono in modo univoco il potere d’ordine (Episcopum oportet … ordinare – il vescovo deve ordinare!). Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa e quindi la forma è da considerarsi “difettosa” A questo punto, a differenza di tutti i riti precedentemente adottati, è patente la “contro-intenzione” del rito, quella di “non” significare il potere di ordinazione dei preti, e quindi la volontà di non ordinare! Si mette dunque in evidenza una contro-intenzione a livello della forma del rito, contro-intenzione che appare in un contesto ecumenico che fornisce la “chiave” per la comprensione della messa in atto di questo rito. Non a caso Jean Guitton, scriveva: «Questa Chiesa ha cessato di chiamarsi cattolica per chiamarsi ecumenica», ed il massone Bugnini (col nome d’arte BUAN, sempre lui, quello della messa del baphomet “signore dell’universo”!) dichiarava sull’Osservatore Romano del 19 marzo del 1965: “Noi dobbiamo spogliare le nostre preghiere Cattoliche e la liturgia Cattolica da tutto ciò che potrebbe rappresentare l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri “fratelli” separati (quelli che la “vera” Chiesa ha sempre chiamato “eretici” e “scismatici”, vale a dire i Protestanti.”). Un caso simile, a proposito delle false ordinazioni anglicane, fu inesorabilmente ed infallibilmente stroncato da un Papa “vero”, Leone XIII nella sua famosa lettera Enciclica del 1896(oggi occultata con ogni mezzo dagli apostati modernisti conciliari!), la già più volte citata “Apostolicae curae” nella quale si dimostravano 4 punti: – 1) La forma del sacramento è stata rimpiazzata da una forma ambigua che non significa precisamente la grazia che produce il sacramento [appunto come l’attuale -ndr. -]. –2) Il rito anglicano è stato composto e pubblicato in circostanze di odio del cattolicesimo e in uno spirito settario ed eterodosso (come quello ecumenico e neoterico della setta modernista, ampiamente scomunicato da Papi di felice memoria, uno tra tutti: Pio II –ndr. – ); – 3) Le espressioni del rito anglicano non possono avere un senso cattolico (esattamente come quello esaminato –ndr. – ).– 4) L’intenzione del rito anglicano è contraria a ciò che fa la Chiesa • Una conclusione infallibile e senza appello!!!. Tale conclusione, viste le premesse, può essere tranquillamente e serenamente applicata, con identica fermezza, a quella del rito di Montini e del “trio” dei blasfemi. Si tratta come si vede, di una ulteriore impostura sacrilega a-canonica ed a-cattolica introdotta a devastazione della gerarchia, completata di li a poco (1972) dall’abolizione indebita della tonsura ecclesiastica, e che ha “confezionato”, come vedremo, dei laici mai consacrati, dei prelati-zombi, ridicoli travestiti ed usurpanti ignobilmente titoli e giurisdizione!