LA FESTA DI CRISTO-RE (3)
R. P. Edouard HUGON, o. P.
MAESTRO DI TEOLOGIA PROFESSORE DI DOGMATICA AL COLLEGIO PONTIFICIO « ANGELICUS » DI ROMA E MEMBRO DELL’ACCADEMIA ROMANA DI S. TOMMASO D’AQUINO
LA FESTA SPECIALE di GESÙ-CRISTO RE
QUINTA EDIZIONE Rivista ed accresciuta
PARIS (VIe) PIERRE TÉQUI, LIBRAIRE-ÉDITEUR 8a, RUE BONAPARTE, 83 1938
APPROBATIONS
Visto e approvato:
Rome, Angelico, le 10 aprile 1927. Fr. Ceslas PABAN-SEGOND, O. P. Maître en S. Théologie.
Fr. Réginald GARRIGOU-LAGRANGE, O. P. Maître en S. Théologie.
PERMIS D’IMPRIMER :
17 aprile 1927. Bonaventura GARCIA DE PAREDES. Mag. Gen. Ord. Frnt. Prædic.
IMPRIMATUR :
Parisiis, die 5 a decembris it>27. V. DUPIN, v. g.
CAPITOLO V
UNA DELLE MANIERE PIU EFFICACI DI PROCLAMARE QUESTA REGALITÀ, È L’ISTITUZIONE D’UNA FESTA SPECIALE DI GESÙ-CRISTO RE UNIVERSALE.
Era certamente necessario che un’enciclica papale esponesse questa dottrina con tutta la solennità del Magistero Supremo. Ma è questo sufficiente per il popolo sul quale lo spirituale fa poca impressione, a meno che non sia presentato in modo visibile, palpabile e che parli alla sua natura intera? Dal momento che anche Dio si serve di sacramenti sensibili per condurre l’uomo alla conoscenza dei misteri soprannaturali, è quindi opportuno istruire i credenti con delle feste esteriori, che scuotano le anime colpendo i sensi, che traducano la verità divina col linguaggio efficace delle realtà concrete e sottomettano tutto l’uomo a Dio con il suo corpo ed il suo spirito (Cf. S. THOM., III a., q. 60, a. 4). Si possono qui applicare le parole con cui il Concilio di Trento dimostra la necessità di una celebrazione speciale del Santissimo Sacramento: “È giusto e opportuno che i Cristiani riservino alcuni giorni per testimoniare con un significato più accentuato e più straordinario quanto siano riconoscenti al loro comune Signore e Redentore per questo ineffabile e divino beneficio. Occorreva che la verità, anch’essa vittoriosa, celebrasse il suo trionfo sulla menzogna e l’eresia, cosicché i suoi avversari, alla presenza di tale splendore e in un così grande gioia della Chiesa universale, si fermasse come distrutta ed annientata, o che, almeno coperto da vergogna e confusione, tornasse a resipiscenza (Conc. Trid., sess. XIII, cap. 5. — Cf. can. 6). “Così, ai nostri giorni, la verità apparirà in tutto il suo splendore, Gesù Cristo sarà compensato dell’ingratitudine e degli oltraggi, i suoi diritti rivendicati, se la sua assoluta regalità è celebrata con una festa solenne. – Ecco ciò che ben comprendono sia i prelati o capi di Ordini religiosi, che hanno chiesto al Sommo Pontefice una Messa e un ufficio in onore della Regalità Sociale di Gesù Cristo. Già una petizione firmata dal Cardinal Sarto, il futuro Pio X, e da altri rappresentanti del Sacro Collegio, era stata indirizzata a Leone XIII, che si degnò di farne buona accoglienza. Da allora, il movimento si è sviluppato in tutto il mondo, più di settecento membri della gerarchia hanno insistito presso la Santa Sede per l’istituzione di una festa speciale di Gesù Cristo Re universale delle società (Le suppliche rivolte al Santo Padre, sono state firmate da 40 cardinali, 703 Arcivescovi o Vescovi, 102 superiori degli Ordini religiosi, 12 Università, tra le quali la Gregoriana e l’Angelico) per dimostrare che è necessario una proclamazione eclatante, stabilendo abbagliante annuncio, come necessario, una festa speciale. –
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L’obiezione spontanea, ripetuta tante volte, è che bisogna diffidare di feste nuove, come di devozioni nuove. – Tutta la questione, risponderemo, è sapere se ne risulti una nuova gloria per Nostro Signore! In questo caso, non abbiamo che da gioire, poiché noi dobbiamo trovare le nostre gioie migliori in ciò che glorifica Dio. E, proprio come la scienza medica non può che fare buona accoglienza ad un nuovo rimedio, se è questo davvero efficace, quindi la teologia e la pietà non potranno che trarre beneficio dall’uso di un rimedio appositamente adattato al male più terribile della nostra epoca, questo laicismo di cui abbiamo parlato. – Una festa speciale, si aggiunge, deve essere riportata ad un fatto storico o ad uno di quei misteri esterni che ricordano la vita, la passione, la resurrezione e l’ascensione di Nostro-Signore, o la discesa visibile dello Spirito Santo sugli Apostoli, e non riferirsi ad un’idea, un concetto o ad un oggetto invisibile, come la dignità regale di Cristo. – La risposta viene da se stessa: poiché la liturgia è l’espressione vivente del dogma e che la legge della preghiera esterna è anche la legge della fede interiore, una festa visibile, può riferirsi ad un oggetto, può riferirsi ad un oggetto invisibile, purché questo oggetto non rimanga vago ed astratto, ma sia ben determinato e definito, e si affermi con qualche manifestazione sensibile, e che ci sia un motivo speciale per giustificare un culto speciale. È così che la Chiesa ha potuto istituire la festa della Santissima Trinità e la festa del sacerdozio di Nostro Signore. Ora, in questo caso, l’oggetto è tutto di fatto preciso e concreto, Gesù Cristo, Re universale delle nazioni e delle società, con quelle qualità e attribuzioni molto nette che la Scrittura e la Tradizione gli hanno dato in termini propri. Sottolineiamo che questa regalità non rimane astratta; essa si è irradiata e si è affermata, non solo nell’Epifania, ma anche nella maggior parte dei misteri della vita di Nostro Signore. – Ma allora, si dirà, essa è sufficientemente onorata negli altri misteri, e quindi non c’è bisogno di una nuova festa. – No, rispondiamo noi. Essa si afferma tra le altre per non rimanere puramente invisibile; essa non è espressamente onorata con questo oggetto e motivo speciale che deve caratterizzarla. A Natale, il Salvatore appare in tutto il suo essere, con la sua bontà e dignità, apparuit humanitas, apparuit benignitas, come dice la liturgia citando San Paolo, non è questo il Re che si impone al mondo. All’Epifania, Nostro Signore si rivela ai Gentili buoni, che lo riconoscono come re; ma queste non sono ancora le nazioni organizzate in società che proclamano i propri diritti, e, se questa è già la festa della manifestazione di Gesù Cristo, non è ancora la festa della sua sovranità sulle società stesse. Inoltre, all’Epifania, Egli non ha ancora tutti i suoi titoli di re: se Egli è sovrano per diritto di nascita fin dall’inizio, la sua regalità per diritto di conquista si completa con la sua morte sulla croce. Nella solennità della Domenica delle Palme, si intende bene che i Giudei acclamano il figlio di Davide, ma non si scorge con sufficienza il suo impero sulle società umane. La Resurrezione mostra il suo potere sulla morte e sull’inferno; l’Ascensione, il Trionfatore che si innalza sopra tutti i cieli; resta da celebrare in maniera più caratteristica il Re delle nazioni da quaggiù. Nell’ufficio del Santissimo Sacramento adoriamo il Cristo sovrano delle nazioni, Christum Regem dominantem gentibus, da un punto di vista particolare, che ci ricorda gli effetti del cibo eucaristico qui se manducantibus dat spiritus pinguedinem. La festa del Sacro Cuore esalta certamente Gesù Re, ma l’oggetto non è il medesimo della festa progettata. Nel culto del Sacro Cuore l’oggetto specialmente considerato è l’amore, il termine è Gesù tutto amante e tutto amabile, e dunque il Re d’amore; qui l’oggetto è la sovranità regale in se stessa, il termine è Gesù Re in assoluto, su tutti gli uomini e su tutte le creature, e che deve imporre il suo impero, anche là dove il suo amore è respinto. Così dunque, poiché l’oggetto è diverso, c’è bisogno di una festa nuova e speciale. – Ma le anime veramente pie, che cercano soprattutto gli interessi dell’unico Maestro, non hanno da temere che la nuova festa possa nuocere alla devozione del Sacro Cuore; questa devozione, al contrario, non può che avvantaggiarsene, perché il Re dell’Amore è onorato per il fatto che si proclama il Re Universale e la solennità che esalta la regalità senza restrizioni lascia intendere che Gesù regna soprattutto attraverso la carità (Su questo soggetto si veda il bel libro di Mons. SINIBALDI, Segretario della sacra Congr. dell’Università: il Regno del Sacro Cuore, Milano 1922 – Nel libro citato il Vescovo Sinibaldi espone i seguenti argomenti: Gesù è Re. – Gesù è Re d’amore. – Gesù è Re con il suo Cuore. – Gesù governa con l’amore. – Gesù chiede solo amore). La portata della festa è perfettamente caratterizzata dalla liturgia, di cui stiamo per riassumere i principali insegnamenti.
CAPITOLO VI
GLI INSEGNAMENTI DELLA LITURGIA NELLA FESTA DI DI GESÙ – CRISTO RE
Una festa liturgica è più efficace anche di un documento pontificio solenne. Il documento è rivolto soprattutto allo spirito; la liturgia, all’uomo intero, perché grazie alle cerimonie e ai riti esteriori, alle parole e ai canti, la si comprende con l’aiuto del corpo e delle diverse facoltà, i propri sensi e l’immaginazione, il cuore e la volontà, non meno che con l’intelligenza. – Il documento di per sé ha solo un effetto passeggero; la celebrazione, che si rinnova periodicamente, ne moltiplica e perpetua i risultati. Il documento è l’espressione scientifica della fede; la festa ne è il linguaggio e l’azione, come un dramma vivente, che traduce con energia il sacro dogma. Un rapido studio della liturgia di questa nuova festa ci mostrerà come sono tutti gli insegnamenti così profondi di quella gloriosa solennità sono riassunti nell’Ufficio e nella Messa. Insisteremo sul Prefatio, che è uno splendido poema, che celebra con magnificenza i nostri più alti misteri.
I.
L’Ufficio e la Messa.
Fermiamoci innanzitutto al titolo: « Ultima domenica di ottobre, festa di Gesù Cristo Re ». Bisognava evitare che vi fosse confusione con altre feste del Salvatore e, quindi, celebrarlo a una data abbastanza lontana dalle feste del Santissimo Sacramento e del Sacro Cuore. Si poteva scegliere solo una domenica perché il popolo cristiano potesse restituire al suo Re il più splendido tributo pubblico. Siccome la liturgia delle domeniche dopo la Pentecoste ricorda il regno di Cristo sulla terra, che si completa con il trionfo dei suoi servi e dei suoi soldati associati alla sua felicità, la festa è giustamente collocata nell’ultima domenica di ottobre, seguita, molto opportunamente, della solennità di Ognissanti. – Erano stati espressi desideri per un titolo più esplicito, ad es. re delle nazioni, re dei secoli. Aggiungere questa o qualsiasi altra cosa sarebbe stato restringere la regalità assoluta. Tutto l’insieme della festa dimostra con certezza che Cristo è il re delle nazioni e delle società, e fin dai primi Vespri, l’Inno lo saluta Regem gentium, il Re che l’intera società deve onorare, i governanti, i magistrati, i padroni, i legislatori. Ma c’è ancor di più, perché Egli è il Re dell’intera creazione, universorum rege, come dice la colletta della Messa, e, secondo l’espressione dell’Inno, il Principe di tutti i secoli. Conviene, senza dubbio, esaltare il regno sociale del Cristo, e noi comprendiamo che le riviste ed i Congresso pongono particolare enfasi su questo tema e ne fanno risaltare questo aspetto. Ma, mi diceva un giorno Pio XI, possiamo concepire un regno che non sia sociale? È questo e molto di più, è sia all’interiore che esteriore, invisibile e visibile, spirituale e temporale, senza limiti e senza riserve e senza fine. – Diciamo dunque semplicemente con la liturgia: il Cristo Re, e, come consiglia il Papa: il regno di Cristo, senza l’amplificazione dei pleonasmi e senza la restrizione degli epiteti. – L’oggetto della festa è la dignità regale o l’impero assoluto: mentre nel Sacro Cuore noi Consideriamo l’amore e Gesù che regna attraverso l’amore,qui è la regalità in se stessa, è Gesù che deve regnare anche là dove il suo amore è respinto. L’ufficio mette in piena evidenza questo regno eterno, al quale tutte le nazioni devono sottomettersi, sotto pena di condannarsi altrimenti alla rovina ed alla distruzione; perché ogni regno che non riconoscerà questo Sovrano perirà o sarà colpito da sterilità. Tale è il riassunto dei Mattutini e delle Lodi. Gli Inni cantano il Monarca che tiene lo scettro dell’universo, e la Messa, il Re di tutte le cose, sotto lo stendardo del quale abbiamo la gloria di combattere e di trionfare. – Ma, se l’oggetto della nostra festa non è lo stesso della festa del Sacro Cuore, lo scopo è necessariamente identico, le due solennità devono concludersi nell’amore; ed è per questo che Pio XI, istituendo una nuova e distinta festa, ha voluto che la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore sia fatta nello stesso giorno, come risposta efficace della terra e come degno coronamento di tutti gli atti liturgici. – I fondamenti di questa regalità possono essere fatte risalire ai due capitoli che l’enciclica di Pio XI sviluppa magistralmente: per diritto di eredità, in virtù dell’unione ipostatica, e per diritto di conquista, in virtù della Redenzione, come il nostro opuscolo ha già esposto. Il Cristo, come Dio, ha un impero universale allo stesso titolo del Padre; come Dio e uomo, o come Verbo incarnato, è erede del Padre ed associato a tutto il suo impero. Dal primo istante dell’Incarnazione, la Persona divina ha unito la sua Umanità santa, l’ha penetrata, l’ha imbalsamata e questa sostanziale unzione è l’unzione di gioia che ha consacrato Gesù Re e Pontefice per l’eternità. – In virtù di questa consacrazione, egli merita un tale onore per cui gli Angeli e gli uomini devono adorarlo non solo come Dio, ma anche con la sua umanità santa, e possiede una potenza tale che tutte le creature devono assolutamente sottomettersi al suo impero anche come uomo (Act. Apost. Sed., XVII, 58, 599.). Ecco perché San Paolo ci dice che quando Dio introduce il suo Figlio nel nostro universo, comanda ai suoi Angeli di adorarlo: Et adorent eum omnes angeli Dei (Hebr. I, 6). Questa è stata la prima intronizzazione di Gesù Cristo Re nella creazione, quando gli Angeli lo hanno adorato ed acclamato per primi come loro Capo. Per noi umani, come abbiamo già spiegato, Egli è Re per un titolo particolarmente dolce; noi siamo chiamati populus acquisitionis, il popolo della sua conquista, proprio come Lui ha acquisito la sua Chiesa a prezzo del suo sangue, e per il fatto che ci riscattato a un tale prezzo, noi non siamo più nostri, non possiamo più venderci o farci schiavi degli uomini (1 Petr., II. 9; Act. XX, 28; 1. Cor, VI, 19, 20; 1, Petr., I, 18.3). – Tutto l’insieme dell’officio della Messa fa emergere questi due titoli. La Colletta afferma questo diritto di nascita, in virtù dell’unione ipostatica. Così come già San Paolo diceva: hæredem universorum, la liturgia canta: universorum Regem. I Mattutini celebrano il Messia che si è affermato Re come Dio stesso, che riceve in eredità le nazioni della terra, alle quali l’Onnipotente sottomette tutte le creature, alle quali i re di quaggiù vengono a rendere omaggio, e il cui trono deve durare tanto quanto l’astro del giorno e l’astro della notte. Le lezioni del secondo notturno, tratte dall’enciclica, insistono su questo titolo di unione sostanziale, e l’omelia, tratta da Sant’Agostino, ci mostra in Gesù il vero sovrano, che è Re e dei Giudei e dei Gentili, perché è Figlio di Dio, perché il Signore gli ha detto: “Oggi Ti ho generato, chiedimi, ed io ti consegnerò le nazioni e come dominio l’universo intero. L’Introito della Messa considera in particolare il diritto di conquista e di redenzione: Egli merita di ricevere tutti gli onori della regalità dell’Agnello che è stato immolato. Ma ben presto riappare il diritto di nascita, sia nell’epistola, in cui San Paolo glorifica il regno ed il potere del Figlio diletto di Dio, di Colui che ha il primato assoluto, perché è l’immagine del Dio invisibile; sia nel Vangelo, dove Nostro Signore, interrogato da Pilato, afferma chiaramente di essere Re; sia nel prefatio, in cui il Cristo è chiamato sacerdote e re in virtù della sostanziale unzione dell’Incarnazione. Una lettura sommaria dei testi è sufficiente per constatare che la liturgia mette in rilievo sia il diritto di nascita, come l’antifona dei primi Vespri, al Magnificat, ricorda che Gesù riceve da Dio il trono di Davide; sia il diritto di conquista, parlando del Signore che ci ha lavati nel suo sangue; sia il diritto e quasi abitualmente i due titoli insieme, come l’antifona dei secondi Vespri, al Magnificat, esalta il Sovrano che porta il mantello della natura umana e che ha la virtù divina, il Re dei Re, il Signore dei Signori. È quindi ben vero che la liturgia è la teologia vivente della festa. Ci resta da dimostrare come il poema del Prefatio traduce e glorifica tutto il dogma dell’Incarnazione.
II
Il Prefatio della nuova Messa.
È con tutto lo slancio del lirismo biblico e con tutta la magnificenza di un poema che il Prefatio solleva i cuori, delizia gli spiriti: « È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigenito, Gesù Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi Egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacifica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine … » Il Prefatio unisce in Cristo il sacerdozio e la regalità e mostra che entrambi tendono allo stesso termine e hanno gli stessi effetti. Bellissima e profonda associazione, che è già contenuta nel canto immortale del profeta salmista (Ps. CIX). Sotto l’ispirazione dell’Altissimo, David esclama: « Il Signore ha detto al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché non ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi » Questa è la dignità regale del vero Signore, che deve regnare in mezzo ai suoi nemici, perché è il Figlio di Dio, generato prima dell’aurora. Subito dopo il veggente celebra il mistero del sacerdozio: “Il Signore ha giurato e non si pentirà: Tu sei un sacerdote in eterno secondo l’ordine de Melchisédech “. Poi il salmo ritorna alla regalità del Sovrano che giudicherà le nazioni, distruggerà la testa dei malvagi, per stabilire il regno della giustizia. È molto interessante che David unisca, come inseparabili, nel Messia, i due titoli di Re e Sacerdote, e che sottolinei con tanta enfasi la maestà del giuramento: « Sì, il Signore ha giurato: Juravit Dominus; ha giurato, e non si pente Juravit et non peœnitebit eum; Egli ha giurato a te, mio Gesù, a te suo Figlio, a te fratello dell’umanità, ha giurato che tu sarai Sacerdote per sempre, sempre, sempre: tu es sacerdos in æternum. Gesù è Sacerdote in virtù del giuramento di Dio. Capisci che un atto così solenne non può avere come scopo il conferire un titolo che è puramente onorifico (Padre MONSABRÊ, XLII conferenza, Quaresima del 1879.). » Di per sé, la regalità, che comprende i poteri legislativo, giudiziario ed esecutivo (L’enciclica di Pio XI sul Cristo Re fa ben emergere questo triplice carattere della sua regalità. Act. Apost. sed., XVII,599.), è ben distinta dal Sacerdozio, il cui ruolo è quello di pregare, sacrificare, santificare; ma in Cristo la triplice potenza del Re si conduce al fine del Sacerdozio, che è la salvezza del mondo. Per mostrare quanto sia teologico questo bel Prefatio, vi spiegheremo che una stessa unzione sostanziale consacra il Cristo allo stesso tempo Re e Pontefice e quanto siano inseparabili in Nostro Signore i poteri e gli effetti della regalità e del sacerdozio. Abbiamo già detto che la sostanziale unzione della Persona divina stabilisce il Cristo Re, perché, in virtù di tale unione, Egli merita di essere venerato dagli Angeli e dagli uomini e ha il diritto a che tutte le creature siano soggette al suo impero. Vediamo come lo consacra pontefice. Il sacerdote è essenzialmente mediatore, posto tra la terra ed il cielo per far salire verso Dio i doni dell’uomo – la preghiera ufficiale ed il sacrificio, che sono il nostro obbligo fondamentale – e far discendere i doni di Dio sull’uomo, la grazia ed il perdono, che dovrebbero condurci alla salvezza. Ne consegue quindi che il triplice buon ruolo del sacerdote, come abbiamo detto, è quello di pregare e sacrificare, in nome dell’umanità, e di santificare gli uomini, in nome di Dio. In virtù della grazia d’unione, il Cristo è mediatore, perché se la natura divina si unisce alla natura umana in una sola Persona, abbiamo immediatamente un intermediario tra Dio e gli uomini. Da quel momento in poi, Egli può stabilire la corrente dalla terra al cielo, pregare a nome di tutti gli esseri umani, di cui è rappresentante ufficiale, sacrificare o immolarsi Egli stesso come vittima per tutti i suoi membri, e far discendere la corrente dal cielo alla terra, santificare comunicando agli uomini la scienza del soprannaturale e della grazia che li fanno vivere (Encicl. di Pio XI, lectio V della Festa di Gesù-Cristo Re). – Pertanto, il Cristo è sacerdote, necessariamente, essenzialmente, per la stessa Incarnazione stessa: la sua vocazione al sacerdozio è inclusa nell’atto stesso che ne ha decretato l’Incarnazione. San Paolo, che insiste sulla necessità della chiamata divina onde costituire sacerdote, dichiara che Cristo è stabilito pontefice da Colui che gli ha detto: “Tu sei mio Figlio, Io oggi ti ho generato. (Hebr. V) Così il Salvatore è Sacerdote sacro nello stesso momento in cui è stabilito re sul Monte Sion. – Comprendiamo allora, come Pio XI, il 28 dicembre 1925, nell’allocuzione solenne a conclusione delle feste per il centenario di Nicea, abbia potuto dire: « Nel Cristo si diffuse e si diffonde inesauribile ed infinita, questa Unzione sostanziale, che lo ha consacrato Sacerdote in eterno (Civiltà Cattolica, 1926, p. 182, e Bollettino per la commemorazione del XVI centenario del concilio di Nicea, n° 6, p. 195). » Si vede ora di quale serena e profonda chiarezza si illuminano le parole del nostro Prefatio: « O Dio, che hai unto con l’olio di esultanza Sacerdote eterno Sacerdote e Re dell’universo Gesù Cristo, tuo Figlio unigenito e nostro Signore… » Non è meno chiaro che gli effetti della regalità e del sacerdozio in Gesù Cristo sono inseparabili; poiché la sua regalità tende alla salvezza delle anime ed il suo sacerdozio, santificando e redimendo il mondo, riesce a stabilire il regno universale ed eterno. – Il potere legislativo in Gesù Cristo è veramente sacerdotale, perché promulga questa legge della vita divina, questa scienza del soprannaturale, che le labbra del sacerdote devono dare alle anime (Questa è stata infatti la concezione che si aveva del ruolo del sacerdote nell’antico Testamento, conservare e dare la scienza o la dottrina rivelata: « Labia sacerdotis custodient scientiam et legem ex éjus ore requirent. » MALACH., II, 7); questo codice evangelico che comprende la santità comune attraverso la pratica dei comandamenti, la santità perfetta attraverso la pratica dei precetti e dei consigli, la santità suprema, che giunge fino all’eroismo permanente. Infine il potere giudiziario in Lui è ugualmente sacerdotale, perché Egli deve cacciare il principe di questo mondo (S. Giov. XVI, 11) castigare il peccato, vendicare i diritti misconosciuti e con ciò procacciare questo regno di giustizia che il sacerdote deve annunciare e promuovere. Infine, il potere esecutivo in Lui è sacerdotale, perché Egli deve mettere in opera e condurre a buon termine questi mezzi di salvezza la cui economia è affidata al ministero sacro del Sacerdozio. D’altra parte, tutto l’officio sacerdotale di Gesù-Cristo deve servire al suo regno, perché si riporta alla redenzione e la redenzione è uno dei titoli della sua regalità soprannaturale. Ecco ancora ciò che il Prefatio fa emergere pienamente, celebrando nel contempo e gli effetti del sacerdozio, sia gli effetti della sua regalità: immolandosi come vittima, Gesù compie i misteri della redenzione umana; dopo aver sottomesso tutte le creature al suo impero, Egli offre il regno universale all’immensa maestà di Dio. Occorreva certo che la medesima unzione di esultanza consacrasse Sacerdote e Re il Figlio di Dio incarnato per la nostra salvezza: se fosse stato solo un Re, non potevasi offrire e immolare come vittima per la nostra redenzione; se fosse stato solo un sacerdote non avrebbe potuto rimettere a Dio un regno. Ma, poiché Egli è nel contempo pontefice e re, il seguito del Prefatio appare piena di armonia e bellezza: Egli compie la grande opera della nostra redenzione e rimette al Padre il regno eterno ed universale di giustizia, di amore e pace! – Ecco come la meditazione dei testi liturgici di questa bella festa ci insegnerà a penetrare nelle sante profondità del Cristo Re e Pontefice e ci introdurrà così alle fonti della grazia, della santità e della vera e duratura felicità.
CAPITOLO VII
LE FELICI CONSEGUENZE DI QUESTA FESTA
L’enciclica sottolinea energicamente le felici conseguenze che devono derivare dall’istituzione di questa festa. In relazione alla Chiesa. Questa festa dimostrerà che la Chiesa, la società perfetta, istituita da Gesù Cristo, ha diritti imperscrittibili, che gli Stati devono garantire la sua piena indipendenza e libertà di azione in tutte le questioni relative alla sua missione divina, che è proprio quella di promuovere questo regno benedetto del Cristo, procurando la salvezza delle anime. Bisogna che questa Chiesa debba poter governare liberamente attraverso il suo Capo visibile, il Romano Pontefice, Vicario di Nostro Signore, con la gerarchia composta dai Vescovi, dai sacerdoti e dai ministri, e anche con gli Ordini e gli Istituti che sono la prova vivente della sua meravigliosa fecondità. – In relazione allo Stato religioso. Questo stato deve assicurare il regno del Salvatore, combattendo le tre grandi concupiscenze attraverso la pratica dei voti, e facendo risplendere nella Chiesa la nota o l’aureola della perfetta santità. Questo è il magnifico insegnamento che San Tommaso aveva così ben formulato (S. TOMMASO, IIa IIæ q. 164) e che l’enciclica consacra solennemente. Il Papa indica il posto e il ruolo degli Ordini e degli Istituti religiosi nella società del soprannaturale: essi costituiscono lo stato di perfezione. « Essi fanno sì che la santità donata alla Chiesa dal suo divino Fondatore, come carattere e segno distintivo, risplenda sempre con maggiore splendore davanti allo sguardo dell’universo. » Questa è una splendida apologia degli Ordini e delle Congregazioni: i religiosi hanno diritto alla libertà stessa di cui debba godere la Chiesa società perfetta, perché Cristo è Re! – Sì, se Cristo è Re nella società, Egli chiede che la sua Chiesa e lo stato religioso, che appartiene all’integrità di questa Chiesa, godano della libertà indispensabile alla loro missione, che è quella di espandere il suo regno benedetto … In relazione alla società civile. Bisogna che essa debba essere governata secondo i principi del diritto cristiano. Cristo Re deve essere rappresentato nel tribunale, dove si fa giustizia; nella scuola, dove si insegna. Egli merita il culto pubblico nella città; e i capi di Stato saranno giudicati per aver violato questo diritto sovrano di Nostro Signore o per aver voluto rimanere neutrali. Questo è il grave monito del Sommo Pontefice alle Nazioni! Nella direzione interiore delle anime. Riassumiamo ciò che abbiamo detto in precedenza. Gesù eserciterà il suo dominio su tutte le nostre facoltà: sullo Spirito e sulla volontà, che deve essere conforme ai giudizi ed alla volontà dell’unico Re; sul cuore e sugli affetti, per realizzare l’ideale che San Tommaso esprime in poche parole, cioè amare nulla e nessuno più di Dio, tanto quanto Dio, a malgrado Dio (S. THOM., IIa IIæ, q. 184, a. 3, ad 3); finanche sui nostri corpi e sulle nostre membra, che devono cooperare come strumenti nell’opera della giustizia e della santità, arma justitiæ Deo (Rom. VI, 18). – Il vero Cristiano si ricorderà che servire Cristo è regnare; e così come santa Teresa provò una sorta di brivido quando sentì cantare le parole del Credo: Cujus regni non erit finis, anche noi saremo consolati dal pensiero che Cristo è per sempre nella gloria del Padre e che, se rimarremo legati a Lui senza riserve e senza ritorno, sarà vero il dire della nostra felicità e del nostro regno, come quello della sua beatitudine e del suo regno a Lui: non erit finis, non vi sarà fine! Abbiamo appena assistito ad una doppia proclamazione della regalità di Gesù Cristo; 1 un dottrinale, con questa magnifica enciclica, in cui tutta la dottrina è stata esposta con ampiezza; l’altro liturgica, con questa solenne festa, in cui la legge della preghiera esteriore è venuta a glorificare la legge della fede e del dogma. Sarà possibile desiderarne una terza, sia dottrinale che liturgico, se i vescovi e i cardinali e il Papa, in una parola, tutti i membri della Gerarchia, riuniti in un concilio ecumenico, definissero questo regno universale e celebrassero insieme davanti a tutto il mondo, di cui sono i rappresentanti spirituali, la solenne festa di Gesù Cristo Re delle nazioni, delle società, dell’intero universo. – Se questo trionfo completo è ancora lontano, i veri credenti possono prepararlo e con la loro vita veramente cristiana dire già: Cristo è vittorioso, Cristo regna, Cristo ha un impero assoluto. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat… Non bisogna dimenticare che, secondo le parole della Prefazio, la ragione per cui Gesù è Sacerdote sacro e Re, e proprio per questo è voluta l’Incarnazione, è la redenzione umana. L’unzione sostanziale che è l’unione ipostatica avviene affinché Cristo si offra Egli stesso sull’altare della croce. – Nostro Signore appare anche essenzialmente vittima così come Sacerdote e Re. La sua liturgia canta sempre di un’incarnazione redentrice, di un Uomo-Dio che è il Salvatore, e così ci invita ad andare fino al sacrificio di noi stessi per andare al fine all’amore….
FINE