DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2020)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semìdoppio. – Paramenti verdi.
Questa Domenica, inserita nel Messale dopo il Sabato delle Quattro-Tempora, era anticamente libera. La liturgia della vigilia si prolungava, infatti, fino alla Domenica mattina, e quindi queste giorno non aveva Messa propria. La lezione del Breviario nella Domenica che segue le Quattro Tempora (4a Domenica di settembre) è quella del libro di Giuditta, che S. Ambrogio, nel 2° Notturno riporta a questo tempo di penitenza, attribuendo al digiuni e all’astinenza di quest’eroina la sua miracolosa vittoria. Per continuare il riavvicinamento che abbiamo stabilito fra il Messale e il Breviario, possiamo anche studiare la Messa del Sabato delle Quattro Tempora, che era anticamente quella di questa Domenica in rapporto con la storia di Giuditta. – Nabuchodonosor, re degli Assiri, mandò Oloferne, generale del suo esercito, a conquistare la terra di Canaan. Quest’ufficiale assediò la fortezza di Betulia. Ridotti agli estremi, gli assediati decisero di arrendersi nello spazio di cinque giorni. Viveva allora in questa città una vedova chiamata Giuditta, che godeva grande riputazione. « Facciamo penitenza per i nostri peccati disse ella, e imploriamo il perdono da Dio con molte lacrime! Umiliamo le anime nostre davanti a Lui e preghiamolo di farci sperimentare la sua misericordia. Crediamo che questi flagelli, con i quali Dio ci castiga, ci sono mandati per correggerci e non per rovinarci ». E questa santa donna entrò allora nel suo oratorio rivestita di cilicio e con la testa cosparsa di cenere si prostrò a terra davanti al Signore. Compiuta la sua preghiera, mise le sue vesti più belle ed uscì dalla città con la sua ancella. Sul far del giorno giunse agli avamposti dei Caldei e dichiarò che era venuta per dare i suoi nelle mani di Oloferne. I soldati la condussero dal generale che fu colpito dalla sua grande bellezza « che Dio si compiacque di rendere ancor più abbagliante, poiché aveva per scopo non la passione, ma la virtù ». Oloferne credette alle parole di Giuditta e offrì in suo onore un gran banchetto. Nel trasporto della gioia bevve con intemperanza maggiore del solito e oppresso del vino si distese sul letto e si addormentò. Tutti si ritirarono allora e Giuditta restò sola presso di lui. Ella pregò il Signore di dar forza al suo braccio per per la salvezza di Israele; poi, staccata la spada appesa al capo del letto, tagliò coraggiosamente la testa di Oloferne, la consegnò all’ancella ordinandole di nasconderla nella borsa da viaggio e ambedue rientrarono a Betulia quella notte medesima. Quando gli Anziani della città appresero quello che Giuditta aveva fatto, esclamarono: « Benedetto sia il Signore, che ha creato il cielo e la terra! ». L’indomani la testa sanguinante di Oloferne venne esposta sulle mura della fortezza. I Caldei gridarono al tradimento ma, inseguiti dagli Israeliti, furono massacrati o messi in fuga. Quando il Sommo Sacerdote venne da Gerusalemme con gli Anziani per festeggiare la vittoria, tutti acclamarono Giuditta, dicendo: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la letizia di Israele, tu l’onore del nostro popolo ». S. Ambrogio, nel 2° Notturno della IV Domenica di Settembre commenta questa pagina della Bibbia dicendo: « Giuditta tagliò la testa ad Oloferne in forza della sua sobrietà ». Armata del digiuno, essa penetrò arditamente nel campo nemico. Il digiuno di una sola donna ha vinto le innumerevoli schiere degli Assiri ». La Messa del Sabato delle Quattro Tempora è piena di sentimenti analoghi. Le Orazioni implorano il soccorso della misericordia divina, appoggiandosi sul digiuno e sull’astinenza che ci rendono più forti dei nostri nemici. Perdonaci le nostre colpe, Signore, dice il l° Graduale. Vieni in nostro aiuto, o Dio nostro Salvatore; liberaci, per l’onore dei nome tuo ». « O Signore, Dio degli eserciti, continua il 2° Graduale, presta l’orecchio alle preghiere dei tuoi servi ». « Volgi il tuo sguardo, o Signore; sino a quando volti da noi la tua faccia? aggiunge il 3° Graduale, abbi pietà dei tuoi servi ». — Le Lezioni fanno tutte allusioni alla misericordia di Dio verso il popolo, che ha fatto penitenza. Così parla il Signore degli eserciti: «Come ebbi l’intenzione di far del male ai vostri padri quando essi provocarono la mia collera, cosi in questi giorni ho avuto l’intenzione di fare del bene alla casa di Gerusalemme ». – Il racconto della liberazione del popolo ebreo dalla servitù assira per mezzo di Giuditta (nome che è il femminile di Giuda) dopo che essa ebbe digiunato è un’immagine della liberazione del popolo di Dio alla Pasqua, per mezzo di Gesù (della stirpe di Giuda) dopo la Quaresima. – Più tardi, allorché non si attese più la sera per celebrare il santo Sacrificio il Sabato delle Quattro Tempora, si prese per la 18° Domenica dopo Pentecoste, la Messa che era stata composta al VI secolo per la Dedicazione della Chiesa di San Michele a Roma e che fu celebrata il 29 settembre; infatti tutto il canto si riferisce alla consacrazione di una Chiesa. « Mi rallegrai quando mi dissero Andremo nella casa del Signore (Versetto All’Introito e Graduale). Mosè consacrò un altare al Signore, dice l’Offertorio. « Entrate nell’atrio del Signore e adoratelo nel Tempio Suo santo », aggiunge al Communio, e questa è una immagine del cielo ove affluiranno tutte le nazioni quando verrà la fine dei tempi indicata da questa Domenica e dalle seguenti che vengono alla fine del Ciclo. L’Alleluia è infatti quello delle Domeniche dopo l’Epifania, che annunziava l’ingresso dei Gentili nel regno dei cieli. L’Epistola parla di coloro che attendono la rivelazione di Nostro Signore al suo ultimo avvento; allora essi godranno eternamente, nella casa del Signore, la pace che, come dissero i Profeti, Egli accorderà a quelli che lo attendono (Intr., Graduale). Questa pace Gesù ce l’ha assicurata morendo sulla croce, che è il sacrificio vespertino. Questa pace e questo perdono noi lo godiamo già nella Chiesa, in grazia del potere accordato da Gesù ai suoi sacerdoti. Questa Messa, che segue il sabato delle Ordinazioni fa infatti allusione anche al sacerdozio. Come il Salvatore, che esercitò il suo ministero e guarì l’anima del paralitico guarendone il corpo, quelli che sono ora stati ordinati sacerdoti predicano la parola di Cristo (Epistola), celebrano il santo Sacrifizio (Offert.) e rimettono i peccati (Vangelo). E cosi preparano gli uomini a ricevere irreprensibili il loro divin Giudice (Epistola).
La predicazione evangelica è una testimonianza resa a Gesù Cristo. Quelli che l’accettano ricevono doni celesti in sovrabbondanza e possono attendere con fiducia l’avvento glorioso di Gesù alla fine dei tempi.
Giovanni Crisost. così commenta la risposta data da Gesù agli Scribi che non gli riconoscevano la facoltà di perdonare i peccati: « Se non credete la potestà di rimettere le colpe, credete la facoltà di conoscere i pensieri, credete la virtù del sanare da malattie incurabili i corpi. Più facile sanare il corpo; ma giacché non credete alla maggiore meraviglia, ve ne mostrerò una minore ma aperta ai sensi. »
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Eccli XXXVI: 18
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël.
[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]
Ps CXXI: 1
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.
[Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore].
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël
[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]
Oratio
Orémus.
Dírigat corda nostra, quǽsumus, Dómine, tuæ miseratiónis operátio: quia tibi sine te placére non póssumus.
[Te ne preghiamo, o Signore, l’azione della tua misericordia diriga i nostri cuori: poiché senza di Te non possiamo piacerti.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor 1: 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Jesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo et in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis: ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Jesu Christi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Jesu Christi.
[“Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di scienza, essendosi stabilita solidamente in mezzo a voi la testimonianza di Cristo, in modo che nulla vi manca rispetto a qualsiasi grazia; mentre aspettate la manifestazione di nostro Signor Gesù Cristo, il quale vi manterrà pure saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo”.]
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920
LA GRATITUDINE VERSO DIO
Questo brano è tolto dall’introduzione alla prima lettera di San Paolo a quei di Corinto. Nei primi versetti, saluta i Corinti nella sua qualità di Apostolo, e augura loro da Dio la grazia e la pace. Poi — come vediamo dalle parole riportate — assicura che ringrazia continuamente Dio per la grazia concessa a quei di Corinto per mezzo di Gesù Cristo. Grazia che non fu senza frutto; perché, mediante la loro unione con Gesù Cristo, i Corinti ebbero grande abbondanza di doni spirituali; in modo particolare ebbero la rivelazione delle verità del Vangelo, e la loro profonda intelligenza. Spera, poi, che Dio li assista per tutta la vita, così che si trovino con la coscienza monda nel giorno del giudizio. Il ringraziamento che l’Apostolo fa a Dio per l’abbondanza dei doni fatti ai Corinti ci ricorda il dovere della gratitudine verso Dio.
1. Dobbiamo esser grati a Dio per i benefici ricevuti;
2. Non a fior di labbra solamente;
3. Ci disporremo così a ricevere maggiori favori.
1.
Fratelli : lo rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù. L’apostolo fa tanto conto della gratitudine che si deve a Dio per i doni di cui ricolma gli uomini che ringrazia senza interruzione Dio, per l’abbondanza di grazie di cui ha favorito i Corinti. L’obbligo di ringraziare debitamente chi è largo dei suoi doni spetta in modo particolare a coloro stessi che hanno ricevuto il dono. E nessuno mette in dubbio che, venendo meno a questo obbligo, si fa cosa biasimevole. Sarà meno biasimevole l’ingratitudine se riguarda i benefici ricevuti da Dio? Eppure, nessuno è più pagato d’ingratitudine che nostro Signore. Chi può enumerare i benefìci da Lui ricevuti e apprezzarli in tutta la loro grandezza! La nostra esistenza, la conservazione, l’intelligenza, la santità, il cibo che mangiamo, l’acqua che beviamo, l’aria che respiriamo, la terra che ci porta, tutto quanto ricrea e ci solleva sono dono di Dio. Se parliamo delle grazie e dei doni spirituali, con i quali ci ricolma per i meriti di Gesù Cristo, non troviamo parole sufficienti a celebrare la sua larghezza verso di noi. Cerchi l’uomo, se può, qualche cosa che non abbia ricevuto da Dio: cercherà invano. Una cosa sola troverà che non abbia ricevuto da Dio: il peccato. E troverà che, nonostante i suoi peccati, Dio lo ha sopportato. Egli ha abbandonato il Signore, ma il Signore, non ha abbandonato lui. “Se pensassi a ciò, ti sentiresti certamente obbligato al tuo Dio, dal quale tieni tutto quello che possiedi di buono; e dalla cui misericordia ti vien rimesso tutto quello che hai di cattivo” (S. Agostino, in En. in Ps. XLIX, 21). Non solo è un beneficio di Dio la remissione dei peccati, che abbiamo commessi, ma anche la preservazione da più numerose cadute. « Se ci sentiamo in dovere di mostrare il nostro grato animo agli amici, quando ci aiutano a liberarci da qualche noia, da qualche condizione scabrosa o da qualche pericolo che si sovrasta, molto più dobbiamo esser pronti all’ossequio quando vediamo i molti pericoli cui siamo sfuggiti, perché Dio ce ne ha liberati » (S. Giov. Crisostomo. In Epist. ad Tit. I, 1). È più ancora dobbiamo esser spinti all’ossequio e a dimostrare il nostro grato animo a Dio, se pensiamo che i suoi benefici non sono una retribuzione o una ricompensa, ma effetto di pura generosità. «Che cosa fece l’uomo in precedenza, se non peccare?» (S. Agostino. En. In Ps. CXV, 4). Egli si era meritati castighi e non doni. E neppure Dio ci ha largito i suoi doni, perché avesse bisogno di qualche cosa| da parte nostra. « Come potrebbe aver bisogno delle cose nostre quegli, per il quale esiste tutto ciò che è nostro »(S. Ilario, De Trin. L. 3, 7). E d’altronde noi non potremmo mai rendere a Dio la ricompensa dovuta per i suoi doni. Questo però non ci dispensa dall’obbligo della gratitudine: anzi, deve risvegliarne maggiormente i sentimenti nei nostri cuori. Davide si domanda: « Che renderò al Signore per tutti i benefici da lui ricevuti? Prenderò il calice di salute invocando il nome del Signore » (Salm. CXV, 12-13). Questo dobbiamo fare anche noi: rendere a Dio il sacrificio del ringraziamento e della lode. –
2.
Se l’Apostolo ringrazia Dio per i doni elargiti ai Corinti, questi non rimangono inerti. Ringraziano Dio coi fatti, non lasciando infruttuose le grazie ricevute. Mediante la fede e la carità essi si mantengono in intima unione con Gesù Cristo, e in questa unione sono arricchiti d’ogni cosa. Nulla vi manca — dice l’Apostolo — rispetto a qualsiasi grazia; rispetto alle grazie necessarie alla salute propria, e rispetto alle grazie che rendono utile agli altri chi le possiede. I Corinti sapevano usar bene delle grazie ricevute, e il buon uso delle grazie è già un ringraziamento; è un ringraziamento che si dimostra con le opere. Noi ringraziamo il Signore con le opere, mostrandogli la nostra gratitudine, quando diamo a Lui quanto gli aspetta. A lui dobbiamo dare il nostro tempo, impiegandolo nel suo servizio almeno i giorni stabiliti; a Lui dobbiamo dare la nostra intelligenza, sottomettendola docilmente alle verità della nostra santa fede; dobbiamo dare la nostra volontà conformandola alla sua legge; a Lui dobbiamo dare il nostro corpo, con una vita lontana dalle impudicizie, dalle crapule, dalle ubriachezze; a Lui dobbiamo dare la nostra lingua, non imbrattandola con discorsi meno belli, con mormorazioni, con bestemmie. – Si mostra a Dio la nostra gratitudine, servendolo senza tristezza. Siamo tristi perché giudichiamo che altri siano più favoriti che noi. Con questa nostra tristezza veniamo a giudicare l’operato del Signore. Crediamo di non esser trattati bene come gli altri, e non ci sentiamo di accettare la misura da Lui stabilita nella distribuzione dei suoi favori. Gli operai chiamati per primi a lavorare nella vigna, come è detto nella parabola del Vangelo, invece di ringraziare il padrone, quando alla fine della giornata fa distribuire la paga convenuta, brontolano come fossero trattati ingiustamente, perché il padrone ha creduto bene di abbondare con quelli venuti a lavorare per ultimi. Così facciamo anche noi, quando giudichiamo di essere trattati meno generosamente degli altri. Siamo tristi perché ci consideriamo retribuiti al di sotto dei nostri meriti. Quanto abbiamo da Dio, sia tanto, sia poco, è tutto dono di Lui: e dobbiamo in ogni tempo e in ogni luogo mostrarci lieti e contenti della sua generosità. Si mostra pure gratitudine a Dio accettando con animo tranquillo, sottomesso alla sua volontà, i dolori con cui ci purifica. L’uomo che nutre sentimenti di gratitudine verso Dio, datore di ogni bene, in queste circostanze pensa: I miei peccati meritano forse una ricompensa? È vero, Dio mi prova; ma le mie mancanze meritano ancor di più: Dio è pur buono con me. Con questi dolori mi dà modo di espiare i miei peccati: io gli devo esser grato.
3.
I Corinti, finché saranno su questa terra avranno, come tutti i Cristiani, da combattere contro nemici d’ogni genere, ma l’Apostolo spera che Dio li fortificherà con la sua assistenza, mantenendoli saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo. Senza l’assistenza di Dio nessuno potrà perseverare sino all’ultimo. Il mostrarsi grati dei benefici ricevuti è un mezzo efficace per assicurasi questa assistenza. Dopo un luogo periodo di pioggia si invoca un vento di tramontana, che spazzi via le nubi e riconduca il sereno. Ma se il vento è troppo forte e duri a lungo, distrugge presto i benefici della pioggia disseccando il terreno. L’ingratitudine è precisamente come un vento impetuoso che asciuga la sorgente dei benefici. « Perciò è un grave pericolo per gli uomini mostrarsi ingrati a Dio, obliarne i benefici, non far penitenza dopo il castigo, e non rallegrarsi del perdono» (S. Leone Magno: Serm. 84, 1). – Al contrario, la gratitudine predispone il benefattore a concedere nuovi benefici. La gratitudine è lo sprone dei benefìzi, dice un proverbio tedesco. Fermiamoci nel campo della gratitudine verso Dio. Apriamo il Vangelo. Un giorno Gesù, nel recarsi a Gerusalemme attraverso la Samaria e la Galilea, è incontrato da dieci lebbrosi, che da lontano alzano la voce dicendo: «Gesù Maestro, abbi pietà di noi». E Gesù, mosso a pietà, li guarisce. Di questi dieci, uno solo, un Samaritano, si mostra grato del beneficio ricevuto, prostrandosi ai piedi di Gesù, e ringraziandolo. Gesù, che biasima il contegno dei nove lebbrosi i quali non hanno sentito il dovere della gratitudine, apprezza la dimostrazione di riconoscenza di questo estraneo. Il guarito è un Samaritano, cioè appartiene a gente odiatissima dai Giudei, e Gesù ne fa l’elogio: «Non si è trovato chi tornasse a dar gloria a Dio, salvo questo straniero». Gli richiama alla mente quale fu la causa della sua guarigione: «La tua fede ti ha salvato»; e gli apre la via anche alla salvezza dell’anima, mediante la fede in Gesù Cristo (Luc. XVII,11-19). – Come l’ingratitudine ha per base la superbia, perché l’ingrato stima che tutto quello che ha gli sia dovuto, così la gratitudine ha per base l’umiltà, poiché tutto quanto si possiede è riconosciuto come dono della bontà di Dio, a cui da parte nostra non si ha alcun diritto. E Dio predilige in modo particolare gli umili, come attesta la S. Scrittura: «Dio resiste ai superbi, ma agli umili dà grazia» (Giac. IV, 6). Il ringraziamento, fatto non a fior di labbra soltanto, ma accompagnato da umili sentimenti interni, è come un soave fumo d’incenso che, salendo a Dio, si trasforma in pioggia di nuovi benefici. Assuefiamoci a ringraziar Dio tutti i giorni, assuefiamoci a ringraziarlo fin dai primi anni della vita. Quando il Card. Mercier, sottraendosi per qualche giorno ai profondi studi e alle gravi cure amministrative, si ritirava in campagna a Braine-D’Alleud, incontrava tal volta, nella passeggiata serale attraverso i campi, qualche gruppo di bambini di ritorno dalla scuola. Egli li fermava additando loro le colline rivestite d’oro e di porpora sotto i raggi del sole morente, e diceva: «Guardate, piccini, che bellezza! Chi ha fatto tutto questo? — Il buon Dio. — Si, bambini; ma bisogna ringraziarlo d’avervi fatto così bei doni, e soprattutto bisogna amarlo » (Mgr. Laveille, Le Cardinal Mercier, Paris 1927, p. 116-117). – L a Chiesa, in certe circostanze dell’anno, specialmente nell’ultimo giorno, ci chiama a ringraziar Dio per i benefici ricevuti. Chi sente l’obbligo della gratitudine, non aspetta queste circostanze: lo ringrazia ogni giorno e in ogni luogo, perché in ogni giorno e in ogni luogo trova da ammirare i benefici di Dio. È un dovere di giustizia ed è nostro interesse. Perciò la Chiesa va ripetendo ogni giorno: «E’ veramente cosa degna e giusta, conveniente e salutare, che sempre e in ogni luogo noi ti rendiamo grazie, Padre Onnipotente, Eterno Iddio, per Cristo Signor nostro» (Prefazio com. della Messa).
Graduale
Ps CXXI: 1; 7
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.
[Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore.]
Alleluja
V. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Allelúja, allelúja
[V. Regni la pace nelle tue mura e la sicurezza nelle tue torri. Allelúja, allelúja]
Ps CI: 16
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. Allelúja.
[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: e tutti i re della terra la tua gloria. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. IX: 1-8
“In illo témpore: Ascéndens Jesus in navículam, transfretávit et venit in civitátem suam. Et ecce, offerébant ei paralýticum jacéntem in lecto. Et videns Jesus fidem illórum, dixit paralýtico: Confíde, fili, remittúntur tibi peccáta tua. Et ecce, quidam de scribis dixérunt intra se: Hic blasphémat. Et cum vidísset Jesus cogitatiónes eórum, dixit: Ut quid cogitátis mala in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta tua; an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta, tunc ait paralýtico: Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Et surréxit et ábiit in domum suam. Vidéntes autem turbæ timuérunt, et glorificavérunt Deum, qui dedit potestátem talem homínibus”.
[“In quel tempo Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Quand’ecco gli presentarono un paralitico giacente nel letto. E veduta Gesù la loro fede, disse al paralitico; Figliuolo, confida: ti son perdonati i tuoi peccati. E subito alcuni Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia. E avendo Gesù veduti i loro pensieri, disse: Perché pensate male in cuor vostro? Che è più facile, di dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati; o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la podestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse Egli allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Ciò udendo le turbe s’intimorirono e glorificarono Dio che tanta potestà diede ad uomini].
Omelia II
[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]
Sopra la bestemmia ed il giuramento.
“Quidam de scribis dixerunt intra se: Hic Blasphemat”.
Matth. VI.
Siccome presentavasi a Gesù Cristo un paralitico per esserne guarito, il Salvatore disse a quell’uomo: Confida, o figliuolo, i tuoi peccati ti sono rimessi. Dal che gli scribi prendettero occasione di accusar Gesù Cristo di bestemmia, perché, dissero essi, si attribuiva il potere di rimettere i peccati, il quale non appartiene che a Dio. Hic blasphemat. Ma non eran forse piuttosto i dottori della legge che bestemmiavano essi medesimi trattando Gesù Cristo da bestemmiatore, poiché aveva dato loro con i suoi miracoli prove convincenti della sua divinità, e per conseguenza del potere che aveva di rimettere i peccati? Fu altresì per vieppiù convincerli e confonderli che fece in quella occasione un nuovo miracolo, risanando il paralitico. Che cosa è più facile, disse loro, dire a quell’uomo: i tuoi peccati ti sono perdonati, ovvero, sorgi, porta via il tuo letto o cammina? Or, affinché sappiate che il Figliuolo dell’uomo ha la potestà di rimettere i peccati: “sorgi disse al paralitico, porta via il tuo letto e cammina”.
Il paralitico ubbidì all’istante e i testimoni della sua guarigione glorificarono Dio di aver dato un tal potere agli uomini. Così i dottori della legge rimasero confusi, ma non furono convertiti né desistettero di continuar la guerra contro il Salvatore, d’intentare contro di Lui false accuse e di bestemmiare contro la sua divinità. – Peccato orribile la bestemmia, che regna ancora tra i Cristiani e che merita tutta la nostra avversione! Si è per inspirarcene orrore che imprendo quest’oggi a combatterlo, e con lui le imprecazioni e le maledizioni, perché questi peccati, sebbene diversi tra essi, hanno nulladimeno qualche cosa di somigliante nel carattere di malizia che debbo dipingervi nella bestemmia. Ah! perché non posso io, fratelli miei, distruggere questi mostri fra voi! Sono essi così comuni in tutti gli stati che mi stimerei felice di sminuirne il numero. Si bestemmia, si giura, si lanciano maledizioni: le città, le campagne ne rimbombano; i poveri ed i ricchi, i grandi ed i piccoli, i vecchi ed i giovani ne sono colpevoli; appena i fanciulli sanno parlare, che è questo, per così dire il primo linguaggio che esce dalla loro bocca. Qual bene non farei io dunque se potesse mettere un argine a questo torrente che fa tanti danni nel mondo? Per riuscirvi, procurerò di farvene conoscere l’enormità ed i castighi. Quanto le bestemmie e le imprecazioni oltraggiano Dio, voi lo vedrete nel primo punto. Come punisce questi peccati, voi lo vedrete nel secondo punto.
I. Punto. Prima di presentarvi, fratelli miei, la grandezza dell’oltraggio che il bestemmiar fa a Dio, bisogna spiegarvi la natura di questo peccato coi diversi gradi di malizia che lo rendono più grave a cagione delle diverse guise con cui si commette. Giurare, si è prender il santo Nome di Dio in testimonio, che quanto si dice è vero; il che non è giammai permesso di fare che con queste tre modificazioni, che il Signore medesimo ci apprende per uno de suoi profeti; voi non giurerete, dice Egli, che per la verità, la giustizia e la necessità: Jurabis in veritate, iustitia et iudicio (Jerem. IV). Non è giammai permesso di giurare, che per una cosa vera, giusta e necessaria. Chi sono dunque coloro che pigliano invano il santo Nome di Dio? Sono 1. Coloro che giurano per una cosa falsa o che dubitano esser vera; che giurano di fare una cosa che non hanno intenzione di adempiere; e questi sono spergiuri. 2. Si piglia invano il santo Nome di Dio allorché taluno si obbliga con giuramento di fare qualche cosa peccaminosa, la quale non è giammai permesso di eseguire quand’anche siasi giurato di farla. 3. Finalmente peccano contro questo comandamento coloro che giurano per una cosa vera e buona in se stessa, ma senza necessità, senza discrezione, senza esservi obbligati da legittima autorità. Ecco, fratelli miei, ciò che Dio ci proibisce quando ci dice di non prender invano il suo santo Nome; ci vieta ancora di giurare per le creature, perché le creature avendo rapporto a Dio, di cui sono opera, assicurare una cosa sulla verità delle creature si è assicurarla sulla testimonianza della Verità increata. Per la qual cosa ci dice Gesù Cristo nel Vangelo di non giurare né per il cielo né per la terra; ma dire semplicemente: questo è, questo non è: Est, est, non, non (Matth.V). Ma se uno è colpevole nel servirsi del santo Nome di Dio per accertare qualche cosa falsa o anche vera, che sarà poi, fratelli miei, attribuire una falsità a questo santo Nome stesso, come fassi con la bestemmia? Mentre la bestemmia, secondo s. Agostino e s. Tommaso, è una parola ingiuriosa a Dio con cui gli si attribuisce ciò che non gli conviene, o con cui gli si toglie quello che ha; peccato ordinario a coloro che mormorano contro la divina Provvidenza. Io rinchiudo ancora nella specie del peccato di bestemmia le maledizioni, le imprecazioni che si proferiscono contro alle creature o a se stesso, perché in queste maledizioni gli uomini invocano il Nome e la possanza di Dio per farla servire alla loro collera; al loro furore, e perché queste imprecazioni contro le creature ricadono in qualche modo sul Creatore, di cui esse sono opera. Or la bestemmia, di qualunque natura ella sia, come ho spiegato, è uno dei peccati che offendono Dio più gravemente. E perché? Perché egli combatte una delle più nobili virtù, che ci porta a Dio; cioè, la virtù della religione, con cui noi gli rendiamo la gloria e l’omaggio che sono dovuti alla sua infinita maestà. Quindi la bestemmia è differente dagli altri peccati, in quanto che questi non attaccano Dio che indirettamente e solo nelle sue creature: laddove quella se la prende contro Dio medesimo, e l’attacca nel suo essere e nelle sue perfezioni. Sì, il bestemmiatore è un reo di lesa maestà divina per l’oltraggio che fa alla grandezza, alla bontà, alla provvidenza di Dio. Egli oltraggia la sua grandezza disonorando il suo santo Nome, avvilendolo coll’uso profano che ne fa, attribuendogli quel che non gli conviene. Egli oltraggia la bontà e la provvidenza di Dio pel dispregio che fa de’ suoi doni e delle sue opere nelle maledizioni che dà a se stesso o agli altri. Giudichiamo da tutti questi tratti dell’enormità di questo peccato, e non temiamo di dire che un bestemmiatore è un uomo senza religione, senza rispetto per Dio, senza carità pel prossimo e per se stesso. Il mio Nome è grande, dice il Signore, tra le nazioni della terra; dal nascer del sole, sino all’occaso si deve rispettare: Magnum est nomen meum in gentibus, a solis ortu usque ad occasum (Malach. 1). Nome di grandezza e di possanza che non si ardiva neppure pronunciare presso il popolo di Dio; Nome di maestà, cui il Re Profeta non credeva poter dare lodi bastanti; Nome rispettabile, innanzi a cui tutto quello che è nel cielo, nella terra e nell’inferno deve piegare le ginocchia; Nome santo per eccellenza, come dice lo Spirito Santo per bocca della più pura delle Vergini: Et sanctum nomen eius (Luc. I), Nome che gli Angeli non cessano di lodare e di benedire nel cielo. Si è ancora per glorificare questo santo Nome che Dio ci ha dato l’uso della parola: si è la prima cosa che Gesù Cristo c’insegna a domandare nell’orazione domenicale: che il vostro Nome, o Signore, sia conosciuto, rispettato, adorato da tutta la terra, come merita, almeno quanto può esserlo da deboli lodare e benedire questo venerabile Nome che la Chiesa mette nella bocca dei suoi ministri dei cantici di lode negli offici che li obbliga a recitare a gloria dell’Altissimo. – Qual oltraggio non fate dunque a questo Nome sì santo e sì rispettabile, o voi bestemmiatori, che l’impiegate indifferentemente in usi profani; che vi servite della sua autorità per far credere quel che vi piace; che osate misurare la certezza delle vostre cognizioni limitate con la sovrana infallibilità delle cognizioni di Dio; voi che pronunciate ad ogni poco questo santo Nome nelle vostre conversazioni, sovente in facezie, talvolta anche in discorsi osceni. Voi non osereste abusare del nome del vostro re o di una persona per cui aveste qualche considerazione; perché dunque rispettate voi sì poco il Nome del Signore vostro Dio sì degno dei vostri omaggi? Ma qual ingiuria non gli fate allorché ve ne servite per attestare la menzogna e l’impostura! Dio è la verità medesima: Deus verax est (Rom.3). Egli è nemico d’ogni bugia, d’ogni simulazione; e voi pretendete giurando per una cosa falsa che Dio ne sia il testimonio; cioè volete, per quanto è in voi, rendere Dio mallevadore ed autore di una falsità; volete per conseguenza togliergli un attributo essenziale, poiché Egli non può attestare né rendersi mallevadore di una falsità, senza cessar d’essere infallibile verità. Qual oltraggio, ripeto, non gli fate voi dunque, spergiuri? E di qual delitto non vi rendete colpevoli? Mentre questo soggetto non ammette parvità di materia, tosto che l’azione è volontaria; e fosse anche solo per affermare una leggiera menzogna, il vostro peccato è sempre mortale. Quanto a voi, bestemmiatori, portate ancora l’oltraggio molto più lungi; poiché osate attaccare Dio medesimo nella sua natura, attribuendogli quello che non gli conviene o pretendendo togliergli quel che gli appartiene. Se nella società si riguarda come indegno di vivere un uomo che si fa lecito caricare di delitti supposti la riputazione del prossimo, che penseremo, fratelli miei, di colui che attribuisce a Dio difetti incompatibili con le sue adorabili perfezioni ? Ecco nulladimeno l’opera vostra, empi bestemmiatori, che nei trasporti di un cieco furore date alla divinità certi nomi odiosi che non possono convenire che ad un uomo appassionato; che parlate di Dio come di un essere finito e limitato, composto di membri come gli uomini, soggetto a debolezze, alla morte come gli uomini? Non è questo un voler avvilire, annientare, per dir così, la divinità medesima? Il che ha fatto dire a S. Agostino che la bestemmia è una calunnia contro Dio, una specie di maledizione contro di Lui proferita. Qual orrore! una creatura maledire l’Autore del suo essere! Vi si può pensare senza fremere? Ed in vero, qual nome può darsi a questi peccati e come chiamarli? Sacrilegio, empietà? Non basta, egli è una specie di deicidio, egli è il più alto grado di malizia cui possan giungere gli uomini; mentre il bestemmiatore non si contenta di attribuire a Dio ciò che non gli conviene, ma gli toglie ancora, per quanto può, quello che gli appartiene. Sapienza, possanza, bontà, giustizia, provvidenza, questi sono gli attributi inseparabili dal suo Essere. Or la malizia sola dei demoni può misurare la grandezza di questo delitto, mentre il bestemmiatore non la riconosce: ingrato verso il suo Dio, egli annienta la sua bontà; pieno di dispregio per i suoi giudizi, non può paventare la sua giustizia; mormorando continuamente contro i disegni della sua provvidenza, vuole sbandirne la sapienza, finalmente egli fa tutti gli sforzi per indebolire la sua possanza, ricusando di sottomettersi a Lui, come a suo Signore, suo Padre, l’Autore di tutti i suoi beni: diciamo tutto in una parola, egli rinnega il suo Dio. L’unico pensiero dei demoni e dei reprobi nell’inferno è di vomitare contro Dio le più orribili bestemmie, di maledirlo, di detestarlo. Che pensate ancora di quelle maledizioni sì sovente reiterate tra noi? Sono esse forse una piccola ingiuria fatta alla bontà di Dio? Rinunciare al posto che Egli vi ha preparato nel cielo: non volere giammai veder Dio, cioè non godere giammai del suo possesso nel regno eterno; sono questi desideri degni di un Cristiano? Voi appartenete a Dio per un’infinità di titoli, e con le vostre imprecazioni vi abbandonate alla possanza del demonio, cui avete rinunciato nel santo Battesimo; non è questo forse un dispregio formale delle auguste prerogative di cui foste rivestiti in quel giorno fortunato, in cui la Chiesa vi adottò per suo figliuolo? Si può dire, all’udirvi, che voi siete un membro di Gesù Cristo, divino Spirito abita in voi? O piuttosto non è forse il demonio che fa la sua dimora nel vostro cuore, perché voi avete sempre il suo Nome in bocca, e la parola non è che l’interprete dei sentimenti del cuore? Cosa strana che i Cristiani, la cui lingua tante volte bagnata del sangue di Gesù Cristo nella santa Comunione, non dovrebbe essere impiegata che a benedire il suo santo Nome, sia sì sovente profanata con l’abbominevole nome del principe delle tenebre; che Cristiani incorporati a Gesù Cristo si mettano in società col demonio, invochino la sua possanza contro chiunque diventa l’oggetto del loro odio, del loro furore! Non è forse una indegnità di udire questi Cristiani lasciarsi uscir di bocca ad ogni poco contro tutto ciò che loro dispiace, queste parole esecrande, che il demonio porti via, che stermini tutto quello che non possono essi vedere o soffrire? Non si direbbe egli che il demonio ha acquistato su i Cristiani lo stesso impero che altre volte aveva sopra gli idolatri? Poiché questo spirito di menzogna, non potendo più spiegarsi per mezzo delle statue di quei popoli infedeli, ha ritrovato il segreto di parlare per la bocca dei Cristiani, di mettere il suo nome in tutti i loro discorsi, di servirsi della loro lingua per bestemmiare Dio nelle sue creature. Ecco, o Cristiani, le funeste conseguenze che la vostra facilità a bestemmiare, a maledire, a pronunciar ad ogni momento il nome del demonio, ci induce a tirare contro di voi. – Sì, fratelli miei, le imprecazioni che voi pronunciate contro le creature ricadono sul Creatore. La santa Scrittura ci dice che Dio, dopo aver creato il cielo e la terra, le piante, gli animali, trovava buone le sue opere, che le benediva, perché vi vedeva una effusione, una rassomiglianza delle sue divine perfezioni. Le creature infatti ci rappresentano nel loro modo la bellezza, la bontà, la possanza del Creatore, ne sono le immagini e l’espressione. Or si è contro queste immagini che voi vomitate delle imprecazioni; voi maledite a quelle creature che Dio ha benedette: dunque voi ve la pigliate contro Dio medesimo; e non deve Egli forse tenersene altrettanto offeso, come lo sarebbe un re di cui voi trattaste l’immagine col medesimo disprezzo? All’udirvi maledire gli animali, le stagioni, la pioggia, le creature anche ragionevoli, non fate voi conoscere che disapprovate quel che Dio ha fatto e che la sua provvidenza è ingiusta? Le vostre maledizioni sono dunque bestemmie contro Dio; e non dite, per scusarvi, che siete ben lontani dal desiderare che le vostre maledizioni si adempiano sulle persone, o sulle cose che ne sono gli oggetti, o pure che esse sono l’effetto dell’ira che vi trasporta, dell’impazienza che vi assale, dell’abito che vi toglie la libertà. Io voglio benissimo accordare primieramente che tra coloro, i quali lanciano delle maledizioni molti ve ne sono che non vorrebbero vederle effettuare; ma ve ne sono altresì un gran numero che lo vorrebbero; tali sono coloro che le pronunciano per odio, per vendetta contro un loro nemico, contro quelli che han fatto loro qualche dispiacere. Quegli ancora che non ne desiderano l’esecuzione debbono queste disposizioni a certe riflessioni che correggono le prime, mentre molto spesso essi lo vorrebbero nel tempo che le profferiscono, il che basta per renderli colpevoli di peccato, poiché non si richiede che un momento per consentirvi. Ma io suppongo ancora che non abbiano alcun desiderio che il male accada; egli è sempre un male lasciarsi uscire di bocca maledizioni contro qualunque siasi creatura o a motivo dell’ira che ne è il principio, o a cagione dello scandalo che si dà, o finalmente per lo pericolo cui uno si espone di lanciare queste maledizioni determinatamente contro le creature ragionevoli. – Invano ancora pretendete scusare le vostre imprecazioni sull’ira, l’impazienza, l’abito che ne sono la cagione; si è voler giustificarvi di un peccato con un altro. Ma quand’anche l’ira non fosse da se stessa una colpa, i funesti effetti che essa in voi produce, v’imporrebbero la necessità di non seguire giammai i suoi movimenti. Non crediate neppure che l’abito sminuisca la malizia del vostro peccato, poiché esso ne è ad uno stesso tempo e la cagione e l’effetto. Donde viene questo abito, che voi avete di bestemmiare, di maledire ? Non è forse da un difetto di precauzione che accompagna tutti i vostri discorsi, dalla poco buona volontà che precede i vostri proponimenti? Perciò l’abito essendo volontario, voi avete un bel dire che non fate attenzione alcuna alle imprecazioni, alle maledizioni che profferite; esse sono abbastanza libere nella causa che voi non volete distruggere. Il che indurre vi deve a prender le dovute misure per correggervi, perché non v’è abito alcuno che si contragga così facilmente, e di cui uno sì difficilmente si corregga. – Ma ciò che accresce la malizia di questo peccato si è il motivo per cui vi si cade; negli altri peccati che si commettono, il bene, i piaceri servono di allettamento alla passione: così un avaro è allettato dallo splendore delle ricchezze e dai vantaggi che ne riceve: l’impudico dalle lusinghe d’un piacere sensuale: ma il bestemmiatore è molto più colpevole, poiché, non trovando nel suo peccato né bene né piacere capaci di allettarlo, egli oltraggia Dio per pura malizia, non ha altra soddisfazione che di fargli ingiuria: e perché mai oltraggia egli in tal modo il suo Dio? Sovente per un nulla, per accertare una bagattella, per un vile interesse, per servire una creatura a spese della fedeltà che si deve al Creatore. Si bestemmia, si esce in maledizioni per una leggiera perdita di beni, per un giuoco che non riesce per una parola che offende, per un tratto che dispiace; voi udirete dei padri, delle madri profferire maledizioni esecrabili contro figliuoli colpevoli di qualche leggerezza, padroni e padrone contro dei servi per qualche negligenza nel servigio. Voi udirete operai, artigiani, agricoltori prorompere ad ogni poco in maledizioni contro lo strumento di un lavoro o contro di un nulla che li contraria, che loro dispiace. Essi se la prendono contro Dio, vomitano contro di Lui atroci ingiurie, come se Egli fosse l’autore della loro disgrazia, come se le bestemmie, le maledizioni potessero apportar rimedio ai loro disgusti. Qual ingiustizia! Qual ingratitudine verso un Dio che non ci fa che del bene! Come, o peccatori, Dio vi ricolma ad ogni momento de’ suoi benefizi, Egli vi ha dato una bocca per benedirlo, fate voi attenzione, oltraggiandolo in tal modo, ai terribili castighi che Egli riserba a coloro che non se ne servono che per maledirlo ? Si è il soggetto del secondo punto.
II. Punto. Non si fa impunemente la guerra a Dio; tosto o tardi Egli sa vendicarsi del delitto: Egli è un giudice troppo potente per lasciarlo impunito; e più l’oltraggio che gli si fa è grande, più la vendetta che ne trae è severa. Infatti se la giustizia degli uomini punisce con maggior severità i delitti di lesa maestà che gli altri, perché attaccano direttamente la persona del principe, si può forse credere che la giustizia di Dio non eserciti i suoi diritti con ugual rigore contro un peccato che se la prende contro Dio medesimo, che gli rapisce la sua gloria ed il suo onore? Egli lo castiga con perdite temporali in questa vita e con perdite eterne nell’altra. – Pene temporali del peccato di bestemmia. – Noi ne abbiamo parecchi esempi nella scrittura. Iddio aveva proibito al suo popolo questo peccato sotto pena di morte. Questa legge era sì rigorosamente osservata che ai tempi di Mosè, un uomo che altercando con un altro aveva bestemmiato il santo Nome di Dio fu condannato per comando di Dio medesimo ad essere cacciato fuori del campo e lapidato. La bestemmia attirò sulla casa di Davide le più terribili vendette del Signore. Perché tu sei stato cagione, gli disse il profeta Natan, che si è bestemmiato il nome di Dio, il tuo figliuolo morrà, e i castighi del cielo non cesseranno di affliggere la tua casa durante il corso di tua vita. Sennacherib re degli Assiri bestemmiò contro la possanza del Dio d’Israele, dicendo che non era potente abbastanza per liberare il suo popolo dalle sue mani; il Signore, per punire questa bestemmia, mandò il suo Angelo sterminatore, che mise a morte in una sola notte centottantacinquemila soldati dell’armata Assira. Donde pensate voi, diceva altre volte s. Giovanni Crisostomo al popolo di Antiochia, che vengano i terremoti e le calamità che vi affliggono, se non dalle bestemmie che hanno regnato nella vostra città? – Non ne dubitate, fratelli miei; i flagelli terribili con cui la giustizia di Dio affligge gli uomini, vengono altresì in parte dalle imprecazioni, dalle bestemmie che si vomitano contro il suo santo Nome. Se le vostre campagne sono devastate da tempeste, desolate da siccità; se voi soffrite perdite di beni ed altri sinistri accidenti, sono le vostre imprecazioni, le vostre maledizioni che vi attirano tutte queste sciagure. Non si odono nel vostro ordinario linguaggio che imprecazioni or contro le stagioni, i venti, le piogge, la terra, or contro gli animali che vi servono; le case rimbombano delle vostre parole esecrande, che s’innalzano come neri vapori sino al trono di Dio; convien forse stupirsi se esse ne fanno discendere i fulmini che abbruciano le vostre case, tempeste che portano via le vostre raccolte, se i vostri animali periscono, se i vostri lavori, i vostri affari hanno cattivi successi? Si vede in voi verificarsi quella terribile predizione del profeta: voi avete amata la maledizione, essa cadrà su di voi: Dilexit maledictionem , et veniet ei. Voi avete rinunciato alle benedizioni del cielo, voi ne sarete privi: Noluit benedictionem, elongabitur ab eo (Psal. CVIII). Voi vi siete rivestiti della maledizione, come di un vestimento, continua il profeta, voi ne avete fatto il soggetto dei vostri discorsi; essa penetrerà dentro di voi nello stesso modo che l’acqua s’insinua nella terra; essa entrerà come l’olio nelle vostre ossa: Fiat eì sicut vestimentum quo operitur, et sicut zona qua semper præcingitur. Espressioni, fratelli miei, che dovrebbe farvi tremare ogniqualvolta voi date maledizioni e a voi medesimi o ad altri; poiché queste maledizioni si verificano sovente in una maniera terribile, permettendolo Iddio per vostro danno in giusto castigo del vostro peccato. E noi dite voi spesse volte che sembra che la maledizione di Dio sia nella vostra casa, che lavorate molto, che tollerate molte fatiche, e che nulladimeno tutte le vostre intraprese non riescono, le calamità si accumulano su di voi e su tutto ciò che vi appartiene? Voi dite il vero, fratelli miei, e parlate ancora più giusto, se dite che la maledizione è veramente nella vostra casa; essa effettivamente vi è: ma che cosa l’attira? Sono le maledizioni che profferite voi medesimi contro tutto ciò che si presenta: voi, o mariti, contro le mogli; voi, o mogli contro i mariti; voi, padri e madri, contro dei figliuoli: prendetevela contro di voi medesimi delle inquietudini che risentite dalla parte degli uni e degli altri; prendetevela contro di voi medesimi, padri e madri, degli affanni che vi cagionano i vostri figliuoli coi loro cattivi costumi, coi disordini in cui s’immergono, col disonore che attirano sulle vostre famiglie; voi non avete che parole di maledizione a dare a questi figliuoli: or li consegnate al demonio, or desiderate loro la morte e quanto poco vi manca che facciate tutto il male che loro desiderate? Invece di attrarre su di essi la benedizione del Signore con le vostre orazioni e con i vostri buoni esempi, voi li abbandonate alla possanza di satanasso, che esercita su di essi il suo impero, che li porta al male, che gli intrattiene in una vita licenziosa, che gl’induce a bestemmiare, a maledire; come voi pervertiti dai vostri cattivi esempi ripetono le imprecazioni, le maledizioni che odono, e Dio voglia che vicendevolmente non ve ne diano ancora! Così questi figliuoli maledetti da voi medesimi, assuefatti e maledire, attirano sopra di essi e su di voi le maledizioni dei Signore, e vi danno tutti gli affanni e le inquietudini che meritate. – Facevasi altre volte tanta stima delle benedizione dei padri e delle madri che si riguardava come la sorgente della felicità della vita; ecco perché il patriarca Giacobbe usò tanta industria per avere la benedizione di suo padre Isacco, e perché Esaù fu si celebre per esserne stato privo. Qual disgrazia non attirò su di Cam figliuolo di Noè la maledizione che suo padre gli diede! S. Agostino riferisce un esempio memorabile di una donna carica di figliuoli, contro cui essa lanciò la sua maledizione per qualche disgusto che ne aveva ricevuto. Questi figliuoli furono tutti colpiti da un orribile tremore in tutte le parti del corpo che li fece andar vagando per tutta la terra e ne fece perire miserabilmente la più gran parte. Temete dunque di proferire alcuna maledizione contro chicchessia, perché tosto o tardi essa cadrà su di voi; e se Dio non vi punisce in questo mondo, Egli vi punirà nell’altro in una maniera più terribile. Sì, fratelli miei, si è nell’inferno che Dio eserciterà le sue vendette su i bestemmiatori. – Hanno essi fatto durante la vita quel che fanno i demoni e i reprobi in quel luogo di orrore; egli è dunque giusto che siano durante l’eternità i compagni del loro supplicio: essi continueranno la maledetta occupazione che hanno imparata; non hanno lodato e glorificato sulla terra il Signore, che li aveva per un tale nobil fine creati, non è giusto dunque che siano in compagnia coi beati, che lo loderanno nel cielo durante l’eternità. La loro lingua e la loro bocca, dice la Scrittura, sono state come sepolcri, da cui sono uscite che esalazioni infette; egli è giusto che questa lingua sia bruciata da un fuoco eterno! Che questa bocca sia abbeverata del fiele dei dragoni, del veleno degli aspidi! Fel draconum , vinum eorum (Deut. 32). Con la loro condotta hanno essi abbandonato Dio, Iddio pure li abbandonerà, e li maledirà durante tutta l’eternità: Ite maledicti in ignem æternum (Matth. XXV). Ahi fratelli miei, per poco che vi resti fede, potete voi non temere di essere del numero di quegli sgraziati che sono eternamente maledetti da Dio? E se voi lo temete, perché vivere schiavi del peccato. che vi attirerà sì grandi disgrazie? Ecco alcuni mezzi che vi suggerisco per correggervi.
Pratiche. Non pronunciate giammai il santo Nome di Dio che con grande rispetto: non ve ne servite mai che per attestare la verità e solamente quando vi siete obbligati per autorità legittima e per qualche motivo d’importanza. Mentre se vi assuefate a giurare senza necessità, anche per cose vere, voi cadrete facilmente nello spergiuro, e dallo spergiuro nella bestemmia. – Per correggervi da ogni bestemmia, di qualunque specie ella sia, andate alla sorgente del male. Questi peccati sono per l’ordinario gli effetti dell’ira, dell’iniquità. Moderate i vostri trasporti, non desiderate al prossimo il male che non desiderereste a voi medesimi; tosto che sentirete qualche moto d’impazienza sollevarsi dentro di voi, mettete un freno alla vostra lingua per condannarla al silenzio. E se vi esce di bocca qualche parola di bestemmia o d’imprecazione, imponetevi una penitenza la quale voi continuerete sintantoché non vi cadiate più, come di fare in quel momento un atto di contrizione, di pronunciare qualche buona parola: il Nome del Signore sia benedetto; ovvero i santi nomi di Gesù, Maria e Giuseppe; oppure di fare qualche limosina ai poveri. Se ogni qualvolta voi bestemmiate, foste obbligati di pagare una somma, benché modica ella fosse, voi sareste ben presto corretti del vostro cattivo abito. Quando vi accade qualche sinistro accidente, in vece di prorompere in imprecazioni, entrate nei sentimenti di Giobbe, quell’uomo sì paziente nelle tribolazioni: il Signore mi aveva dati questi beni, egli me li ha tolti; sia benedetto il suo santo Nome. Sit nomen Domini benedictum. Esaminate ogni sera quante volte sarete caduti in questo peccato, per domandarne altrettante volte perdono a Dio con un atto di contrizione e baciando altrettante volte la terra; non lasciate punto la vostra penitenza se non siate corretti. Non basta distruggere in voi questo peccato, voi dovete ancora distruggerlo negli altri, per quanto dipende da voi, principalmente in quelli che sono soggetti, come i genitori nei figli, i padroni nei servi. Convien servirvi della vostra autorità per imporre loro silenzio e castigarli quando profferiscono simili parole; ma guardatevi sopra tutto di darne loro l’esempio; altrimenti le vostre correzioni sarebbero inutili. Se voi non avete verun’autorità su coloro che udite profferir bestemmie, domandate a Dio perdono per quelli che l’offendono, ripetendo sovente quelle parole dell’orazione domenicale: Sanctificetur nomen tuum (Matth. VI). Perché non posso io, o mio Dio, dovete voi dire nel vostro cuore, risarcirvi con le mie lodi degli oltraggi che gli uomini fanno al vostro santo nome! Evitate la compagnia dei bestemmiatori, perché frequentandoli imparerete ben tosto a parlare il loro linguaggio. Domandate ogni giorno a Dio la grazia di far un santo uso della vostra lingua. Formate ogni mattina la risoluzione di non pronunciare alcuna cattiva parola; io farò in modo quest’oggi di non bestemmiare; l’indomani fate lo stesso, e a poco a poco vi correggerete. Ah! piuttosto, o mio Dio, la mia lingua si attacchi al mio palato che servirmene per oltraggiare il vostro santo nome! Voi me l’avete data per glorificarvi, ed io non me ne servirò che per questo fine, affinché, dopo avere benedetto il vostro santo Nome e cantate le vostre lodi sopra la terra, io abbia la bella sorte di lodarvi per sempre nel cielo. Così sia.
Credo …
Offertorium
Orémus
Exod. XXIV: 4; 5
Sanctificávit Móyses altáre Dómino, ófferens super illud holocáusta et ímmolans víctimas: fecit sacrifícium vespertínum in odórem suavitátis Dómino Deo, in conspéctu filiórum Israël.
[Mosè edificò un altare al Signore, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime: fece un sacrificio della sera, gradevole al Signore Iddio, alla presenza dei figli di Israele.]
Secreta
Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes éfficis: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.
[O Dio, che per mezzo dei venerandi scambii di questo sacrificio, ci rendi partecipi della tua sovrana e unica divinità, concedi, Te ne preghiamo, che, come conosciamo la verità, cosí la conseguiamo con degna condotta.]
Communio
Ps XCV: 8-9
Tóllite hóstias, et introíte in átria ejus: adoráte Dóminum in aula sancta ejus.
[Prendete le vittime ed entrate nel suo atrio: adorate il Signore nel suo santo tempio.]
Postcommunio
Orémus.
Grátias tibi reférimus, Dómine, sacro múnere vegetáti: tuam misericórdiam deprecántes; ut dignos nos ejus participatióne perfícias.
[Nutriti del tuo sacro dono, o Signore, Te ne rendiamo grazie, supplicando la Tua misericordia di renderci degni di raccoglierne il frutto.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)