Paolo SEGNERI S. J.:
L’INCREDULO SENZA SCUSA
(Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884)
PARTE SECONDA
CAPO VI.
Si passa a difendere dalle imposture degli eretici i miracoli della Chiesa, con provar prima, che questi bastino a dimostrarla per vera.
I . Quanto il male è più vicino al cuore, tanto è più difficile a superarsi. Lieve impresa sarà però stata l’abbattere quei nemici che stan fuori del Cristianesimo, rispetto a quei che stan dentro. Gli eretici, e massimamente i moderni, trovandosi mal armati si aiutano ad ischivare colla scherma que’ colpi, che non possono ribattere colla lena. Che più miracoli? dicono ad ogni tratto; sono tutte favole dei Cattolici odierni, indettati insieme a vendere le finzioni per poco prezzo, ed a comperarle. I miracoli d’oggidì, o non bastano a provare la verità della religione, o non abbisognano. Non abbisognano, perché già la fede è confermata abbondantemente dai miracoli di Cristo, e da quelli dei suoi santi e dei suoi seguaci, fioriti sui primi secoli. Onde tuttoció che vi si aggiungesse sarebbe d’avanzo a farla comparir discesa dal cielo. Non bastano poi, perché anche gl’ingannatori operarono gran portenti là nell’Egitto, e sono per operarne sino alla fine del mondo; a segno che l’anticristo è per tirar con essi in errore, se tanto gli sia possibile, ancor gli eletti. Però chi giudicherà che tali opere possano, senz’altro esame renderne certi della vera religione, mentre esse medesime sono bisognose d’esame anche rigoroso? Così discorrono questi audaci, peggiori degli ebrei stessi, a provar che i miracoli siano non solo simulati ma ancor superflui: che era la seconda eccezione di sopra addotta. Onde converrà che da tale eccezione ancor li salviamo, a disinganno di quei fedeli più semplici che facilmente tengono le menzogne degli emoli per oracoli, sol perché da questi le sentono proferir con volto di bronzo.
II. E per cominciare da ciò che si asseriva in ultimo luogo: Come hanno cuore i meschini di pronunziare con tanta audacia, che i miracoli non bastino a confermare infallibilmente la verità della religione? Questo è un disprezzare a viso aperto il rimprovero fatto già da Cristo a’ giudei, quando loro disse: Si non fecissem in eis opera, quæ nemo alius fecit, peccatum non haberent. Nunc autem excusationem non habent de peccato suo (Ioannes xv.). Sicuramente non avrebbe Egli potuto tacciare d’inescusabili que’ protervi, i quali non accettavano una dottrina confermata da Lui con tanti miracoli, se i miracoli non avessero forza di confermarla quasi gran sigillo reale. Come pero quegli stessi, i quali professalidi credere all’evangelio possono arrivare anche a dargli sì gran mentita?
III. Tra i miracoli che si narrano dalla gente, ve ne ha probabilmente molti di falsi. Passi per concesso. Ma ciò che prova? Anche fra i racconti che si leggono nelle istorie, ve n’ha certamente molti di favolosi. Dunque alle istorie dovrà negarsi ogni fede, e porsi in lite se al mondo sia stata mai la città di Troia, se Annibale combattesse alle Canne, se Augusto sconfiggesse Cleopatra, se Cesare movesse guerra alle Gallie? Anzi i miracoli falsi che corron frammescolati in tali racconti arguiscono che ne sieno molti diveri, senza cui i falsi non potrebbero avere spaccio; come è delle monete adulterate che mai non correrebbero in sulla piazza, se di simil genere non fossero innumerabili le sincere; massimamente che v’è anche fra i prodigi il suo paragone da farne prova assai certa.
IV. Pertanto a pigliare la cosa da’ suoi principii, convien distinguere due generi d’operazioni miracolose, alcune miracolose assolutamente, altre non assolutamente, ma sol respettivamente. Il primo di questi due gèneri contiene effetti, i quali eccedono tutta la virtù naturale, qual più, qual meno: e dissi avvedutamente qual più, qual meno: perché alcuni la eccedono per la sostanza del fatto, come è che il sole a mezzo del suo corso ritorni indietro: cosa a cui la natura non può
mai giungere. E questi sono i miracol del primo ordine (S. Th. 1. p. b 105. art. 8. et contra gentes 1. 3. c. 101). Altri la eccedono, non per la sostanza del fatto, ma per la qualità del soggetto, nel quale accadono, come sarebbe render la vita a un cadavere, o restituir la vista ad un cieco. Atteso che può bene la natura arrivare a tanto di dar la vita, o di dar la vista, ma ad un corpo bene organizzato nel sen materno, non a chi in tutto ne sia rimasto già privo. E questi sono i miracoli del secondo ordine. Altri eccedono finalmente la forza della natura sol quanto al modo, com’è guarire alcun malato in istante. E questi sono i miracoli del terzo ordine. Il secondo genere poi di operazioni meravigliose contiene effetti, i quali sono miracoli, non in sé, perché non eccedono tutta la virtù naturale, ma solo alcuna. Sono in riguardo a noi, perché eccedono bene la virtù nostra, ma non una virtù molto superiore alla nostra, qual è l’angelica (S. Th. 1. p. q. 110. a. 2. ad 2).
V. Ora se si favelli del primo genere di prodigi, cioè di quelli i quali sormontano tutta la virtù di natura, non solo particolare, qual è la umana, ma universale; certo è che questi possono bene avere gli angeli per ministri, insegnandoci san Gregorio (Hom. 34. in Evang. dial. 1. 2. c. 31) che v’è un coro di angeli deputato per eseguirli; ma non possono avere per loro autore altri che Dio solamente, di cui sta scritto: Qui facit mirabilia magna solus (Ps. CXXXV). E però non può dubitarsi che non sieno testimoni irrefragabili delle verità da loro asserite, mentre sono un linguaggio proprio di Dio che per essi parla. Quindi è che avendo Cristo, non pure operati molti miracoli di tal guisa, ma operatili por testificare la propria divinità, bastavano essi a condannare totalmente dì rea quella sinagoga che negò contumace di riconoscerla.
VI. Ma se si favelli di quei del secondo genere, cioè di quei che non son prodigi assoluti, ma rispettivi, perché non sormontano la virtù naturale, ma la nostrale: questi non contengono tosto prova infallibile, senza qualche loro maggior giustificazione: potendo essi aver per cagione, non pure Dio, ma ancora il demonio: come l’ebbero le meraviglie dei maghi là nell’Egitto: e come l’avranno anche più quelle meraviglie con cui l’anticristo farà stupire il mondo al fine dei tempi. Ma certamente la provvidenza celeste non permetterebbe agli spiriti infernali una tale autorità di ridurre in atto quella virtù strana, che essi hanno di lor natura, se non ci avesse provveduti ad un tempo di chiarissima luce da ravvisare le operazioni divine, dalle diaboliche, che è quanto dire, la verità dalle larve.
VII. Lasciamo però stare che i prodigi bugiardi dell’anticristo sono già predetti tanti secoli innanzi nelle scritture, onde questo solo ai fedeli dovrà bastare a non farne caso. Miriamo puramente con attenzione l’opera, gli operanti, il fine che s’intende nell’operare, e la via che tiensi. E questi ci serviranno di tante faci a scoprir gl’inganni.
VIII. Quanto all’opera, le meraviglie di Simon Mago, e di altri suoi pari, sono per lo più mere illusioni di sensi, che duran poco: Phantasmata statim cessantia, come le nominò Ireneo (L. 2. c. 58): le meraviglie dei santi hanno fondo sodo.
IX. Quelle de’ maghi non superano le forze dellanatura superiore, ma solo della inferiore, cioè le umane, com’era levarsi a volo nell’aria, fare apparire improvvisamente giardini, palazzi, prospettive, boscaglie di piante annose, tagliar per mezzo una cote con un rasoio (come fe’ quell’augure celebrato di Cicerone) (De divin. 1. 1), rinvenir tesori sepolti, risaper trattari segreti, far latrare altamente un cane di sasso,e altre simili ciurmerie, ordinate ad un mero pascolo di curiosità popolare. Laddove i miracoli de’ santi, oltre al vincere che fanno bene spesso assolutamente, o nella sostanza, o nel soggetto, o nel modo ogni poter naturale: sono sempre tutti rivolti al bene dei popoli o corporale, o spirituale che apportano, senza un’ombra di proprio lucro.
X. E questo medesimo ci fa discernere appieno gli operatori di simili meraviglie, ed il loro fine. Conciossiachè gli stregoni, come sono istrumenti degli spiriti maligni, così sono anche tutti ribelli al cielo, impuri nelle loro persone, infesti alle altrui. Le loro arti hanno per unica mira distoglier tutti dal culto del vero Dio: immergerli nel fango di orribili laidezze; affliggerli con turbini, con tempeste, con malattie; che però sono intitolati malefici. E se talora rendono per un poco la sanità, non però possono intitolarsi benefici, perché se la rendono, è per abbatterla appresso più gravemente, come fa chi si ritira indietro ad urtar più forte: o non avendo il demonio lor assistente, quella gran facoltà che talun si crede, di applicare le cagioni naturali a proprio talento; o se l’ha, non valendosene ad altro che a sfogar l’odio che sino da’ primi secoli porta all’uomo: laddove i santi, uniti a Dio per amore, sono ancora a lui sempre somigliantissimi nel beneficare il genere umano, o con sottrarlo da’ pericoli, o con sollevarlo da’ pianti, o con renderlo colmo d’ogni virtù più gradita a Dio.
XI. Parimente il modo di operare è un distintivo grandissimo di tali opere. I fattucchieri operano le loro meraviglie con molto tempo, con molto contrasto, con molti circoli, con molte parole superstiziose, o anche sacrileghe. E i santi le operano col mezzo dell’orazione, coll’applicazione di cose sacre, di croci, di corone, di reliquie di uomini cari al cielo, o anche le operano con un assoluto comando, quali luogotenenti di quel Dio, che è padrone della natura. Né imitano gli stregoni, i quali primi si umiliano con mille prieghi vili a’ demoni, come a lor superiori, perché vengano ad aiutarli ; e poi, venuti che sono, comandano loro già come ad inferiori con fasto sommo. I santi invocano Dio, comandano alla natura soggetta a Dio.
XII. In ogni caso è certissimo che venendo al confronto un operatore di vere meraviglie in virtù divine, con un operatore di finte in virtù diaboliche, le vero vinceran sempre le finte, come i prodigi di Mosè vinsero quelli di tutti gli stregoni di Egitto. Né poteva avvenire in diversa guisa: mentre avendo la provvidenza ordinato che i miracoli vagliano a manifestare la vera fede, era d’uopo, che vi fosse anche un tal carattere proprio a distinguere i veri dagli apparenti con sicurezza: né poteva ella permettere, salve le leggi di buon governo, che gli spiriti dell’inferno abusassero tutte le loro forre ad esterminio della verità da loro combattuta. Poco pregiudica alla repubblica che vi sieno perle finte, metalli finti, marmi finti. Il pregiudizio sarebbe quando la finzione fosse impossibile a ravvisarsi. Ma ciò non accade mai, perché la falsità può emulare la verità, ma non può agguagliarla. Così, che seguano de’ miracoli falsi per opera de’ demoni, non è gran male; anzi spesso è bene, perché ridonda in gloria tanto maggiore di quei fedeli che li scoprono, come gli apostoli scopersero quelli del reo Simone, dementator di Samaria (Act. VIII). Il male sarebbe, ove fossero indiscernibili. Ma questo non pub avvenire, mercecchè se l’angelo delle tenebre non ha da uguagliare mai l’Angelo della luce, convien che sempre vi sia modo altresì da raffigurarlo, per quanto si trasfiguri (Il criterio per sincerare i miracoli veri ed effettivi dagli apparenti ed illusori, va attinto dal concetto medesimo del miracolo, superiormente stabilito. Vero miracolo è quello, che trascende la virtù di qualunque forza creata, ossia che è divino nella sua origine, santo nel suo fine).
XIII. E con ciò rimane già provato abbastanza che l’uno e l’altro genere di miracoli, osieno quei che trascendono la virtù naturale in qualunque grado, o sian quei che solo trascendono la nostrale, sono una sottoscrizione dell’Altissimo così propria, che non può venire falsificata mai tanto da tutte le arti degli incantatori, ministri di satanasso, che al fine non si ravvisi. E posto ciò, chi dirà che i miracoli non bastino a comprovare la verità della nostra fede, su delle altrui, mentre in esse ne appare così gran numero, in altre niuno? Deus miràbilibus operibus loquitur, dice santo Agostino (Ep. 45. q. 6). Potete però voi giudicar che la verità non sia piuttosto dove Dio parla in tanti modi a scoprirla, che dove tace?