[P. Alfonso RODRIGUEZ S. J.: Esercizio di perfezione e di virtù cristiane – S. E. I. Torino; rist. 1948]
TRATTATO II.
DELLA PERFEZIONE DELLE OPERAZIONI ORDINARIE (3)
CAPO VII.
D’un altro mezzo, che è assuefarsi uno a far bene le opere proprie.
1. Come praticare questo mezzo. — 2. Ci viene insegnato dalla
S. Scrittura, — 3. Efficacia del buon abito.
1. Quel grande ed antichissimo filosofo, Pitagora, dava un consiglio molto buono ai suoi discepoli e ai suoi amici per diventar virtuosi e per rendersi loro facile e soave la virtù. Diceva loro così: Eleggasi ciascuno un modo di vivere molto buono, e non si sgomenti, per parergli da principio faticoso e difficile; perché di poi, con la consuetudine, gli riuscirà molto facile e molto gustoso. Questo è un mezzo molto principale, e del quale ci abbiamo da valere, non tanto per essere di quel filosofo, quanto perché è dello Spirito Santo, siccome or ora vedremo; e perché è mezzo molto valevole pel fine che pretendiamo. Già noi abbiamo eletto il buon modo di vivere, o per dir meglio, già il Signore ci ha eletti per questo: « Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi » (Joan. XV, 16). Siane egli eternamente benedetto e glorificato. Ma in questa vita e in questo stato, nel quale il Signore ci ha posti, vi può essere il più e il meno: perché puoi esser perfetto, e puoi essere imperfetto e tiepido, secondo che andrai operando. Ora se vuoi far profitto e acquistare la perfezione in questo stato e nelle tue operazioni, procura di avvezzarti a far le opere e gli esercizi della religione ben fatti e con perfezione. Avvezzati a far bene l’orazione e gli altri esercizi spirituali; avvezzati ad esseremolto puntuale nell’ubbidienza e nell’osservanza delle regole e a far conto delle cose piccole; avvezzati al ritiramento, alla mortificazione e penitenza, alla modestia e al silenzio. Non dubitare; se nel principio sentirai in ciò qualche difficolta, dopo, con la consuetudine, ti si renderà non pur facile, ma soave e gustoso, e non ti sazierai di render grazie a Dio dell’esserti a ciò assuefatto.
2. Questa dottrina ci viene insegnata dallo Spirito Santo in molti luoghi della sacra Scrittura. Dicesi nei Proverbi: « Ti indirizzerò per la via della Sapienza » (Prov. IV, 11). Io t’insegnerò a prender sapore nella cognizione di Dio; che tanto appunto, per detto di S. Bernardo e di S. Bonaventura, vuol dire nella sacra Scrittura la parola sapienza, una « saporita cognizione di Dio ». – Or io t’insegnerò, dice lo Spirito Santo, la strada, per la quale tu venga ad aver sapore e gusto in conoscere, amare e servir Dio. « Ti condurrò nei sentieri della giustizia; e quando in essi sarai entrato, non troverai angustia ai tuoi passi, né inciampo al tuo corso » (Prov. IV, 11-12). Ti condurrò prima per i sentieri stretti della virtù, i quali chiama così, perché la virtù nei principi ci si rende difficile, per la nostra mala inclinazione, e ci pare uno stretto sentiero; ma passate che avrai quelle prime strettezze camminerai alla larga molto gustosamente e a piacer tuo; ed anche correrai senza inciampare, né troverai difficoltà in cosa alcuna. Lo Spirito Santo c’insegna elegantemente con questa metafora che, quantunque nei principi sentiamo difficoltà in questa strada della virtù e della perfezione, non abbiamo per questo da perderci d’animo; perché di poi, camminando avanti in questa strada, non solo non avremo difficoltà, ma vi troveremo molto gusto e grande contentezza ed allegrezza, e verremo a dire: « Io faticai per un poco ed ho trovato molto riposo » (Eccli. LI, 35). Lo stesso si replica nel capo sesto dell’Ecclesiastico: « Con un po’ di lavoro nella sua cultura ben presto ne godrai i frutti » (Eccli. VI, 20). E il glorioso Apostolo S. Paolo c’insegna anch’egli questo medesimo: « Ora qualunque disciplina sembra pel presente apportatrice non di gaudio, ma di tristezza: dopo però rende un tranquillo frutto di giustizia a coloro che in essa si sono esercitati » (Hebr. XII, 11). E così vediamo in tutte le arti e scienze. Quanto difficile non si rende ad un giovinetto lo studio nel principio! Molte volte bisogna condurvelo per forza, e si suol dire che l’apprender le lettere costa sangue; ma dopo con l’esercizio, quando va facendo profitto e imparando qualche cosa, gusta tanto dello studio, che alle volte tutto il suo trattenimento e la sua ricreazione è lo starsene studiando. Or così avviene ancora nella via della virtù e della perfezione.
3. S. Bernardo va dichiarando molto bene questa cosa sopra quelle parole di Giobbe: « Quelle cose che io per l’avanti non avrei voluto toccare, sono adesso nelle mie strettezze mio cibo » (Iob. VI, 7) . Vuoi tu sapere, dice egli, quanto fa l’esercizio e la consuetudine, e quanta forza ha! Al principio ti parrà una cosa molto difficile e insopportabile; ma se ti assuefai ad essa, coll’andar del tempo non ti parrà tanto difficile né tanto pesante: da lì a poco ti parrà cosa leggiera e facile; indi ad un altro poco non la sentirai più affatto: e in breve non solo non la sentirai più, ma ti darà ella tanto gusto e tanta contentezza, che potrai dire con Giobbe: Quello che prima l’anima mia aborriva, e non lo poteva vedere, ma mi cagionava orrore, adesso è mio cibo e nutrimento molto dolce e saporito (S. Bern. De cons. ad Eug. L. 1, c. 2)- Di maniera che ogni cosa riesce secondo che la persona si assuefà ad essa. Perciò a te riesce difficile l’osservar le addizioni e gl’indirizzi dell’orazione e dell’esame, perché vi sei poco assuefatto: perciò hai tanta difficoltà nel fissare e tener raccolta la tua immaginativa, acciocché non se ne scorra ove vuole subito che ti svegli e nel tempo dell’orazione, perché non hai fatto mai sforzo, né ti sei avvezzo a fissarla e a tenerla a freno, affinché non trascorra a pensar in altro che in quello che hai da meditare. Per questo ti cagiona tristezza e malinconia il silenzio e il ritiramento, perché poco l’usi. « La cella, dice il devoto Tomaso da Kempis, se ci si abita di continuo, riesce dolce; se male la si custodisce, ingenera noia » (De Imit. Chr. l. I, c. 20, 5) . Avvezzati tu adunque a startene in essa continuamente, che ti diventerà soave e gioconda. Per questo riescono difficili al secolare l’orazione e il digiuno, perché non vi si è assuefatto. E re Saul vestì Davide delle sue proprie armi, perché con quelle andasse a combattere col Filisteo; ma perché quegli non era avvezzo, non si poteva muovere con esse, e le lasciò: si assuefece poi alle armi, e con esse combatteva molto bene. – E quel che dico della virtù e del bene, dico anche del vizio e del male. Che se ti lasci trasportare dalla cattiva consuetudine, crescerà il male e piglierà forze maggiori; onde sarà poi più difficile il rimedio, e così te ne resterai tutta la tua vita. Oh se da principio tu ti fossi assuefatto a fare le cose bene, quanto ricco ti troveresti adesso e quanto contento, vedendo la virtù e il bene esserti ornai divenuti cotanto facili e soavi! Comincia ora ad assuefarti bene; che è sempre meglio tardi, che mai. Piglia a petto il far bene coteste cose ordinarie che fai, poiché tanto importa il farle bene, ed applica a questo, se sarà di bisogno, l’esame particolare, che sarà dei buoni esami che tu possa fare; e in questa maniera ti si andrà rendendo facile e soave il farle e il farle bene.
CAPO VIII.
Quanto importi al religioso il non allentare nella virtù.
1. Difficile dalla tiepidezza tornare al fervore. 2. Stato infelicedel tiepido. — 3. Diventa infermo con quello onde dovrebbeconservarsi sano. — 4. Rimedio.
1. Da quello che si è detto si verrà a conoscere assai bene, quanto importi al religioso il conservarsi nella devozione, l’aver sempre fervore negli esercizi della religione e il non lasciarsi cadere in tiepidezza, in lentezza e in rilassatezza; perché gli sarà di poi molto difficile l’uscire da essa. Potrà ben fare Iddio che ritorni dopo a vita infervorata e perfetta; ma questo sarà quasi come un miracolo. Dice questa cosa molto bene S. Bernardo, scrivendo ad un certo Riccardo, abate Fontanense, e ai suoi religiosi, coi quali aveva Dio fatto questo miracolo, che, avendo quelli menata sino a quell’ora una qualità di vita tiepida, lenta e rilassata, li aveva cangiati e trasferiti ad una molto infervorata e perfetta. Maravigliandosene e rallegrandosene assai, e congratulandosene con essi il Santo, dice cosi: « Qui vi è il dito di Dio: chi mi concederà che io colà mi trasferisca e veda, come un altro Mosè, questa prodigiosa visione? » Perché non è cosa meno meravigliosa questa che quella che vide Mosè nel roveto che bruciava e non si consumava. « È cosararissima e molto straordinaria il veder passar uno avanti e trascendere quel grado nel quale una volta si è fissato nella religione. Più facil cosa sarà ritrovare molti secolari, i quali dalla mala vita si convertano alla buona, che incontrarsi in un religioso, il quale da vita tiepida, lenta e rimessa passi a vita migliore » (S. Bern. Ep. 96; M. PL. V. 182, col. 22). E la ragione di ciò è perché i secolari non hanno i rimedi tanto continui quanto i religiosi; e così quando odono una buona predica, o vedono la repentina e disgraziata morte di un qualche vicino od amico, quella novità cagiona in essi spavento ed ammirazione, e li muove a mutare e ad emendare la loro vita. Ma il religioso, che ha questi rimedi tanto famigliari, tanta frequenza di Sacramenti, tante esortazioni spirituali, tanto esercizio di meditar le cose di Dio e di trattar della morte, del giudizio, dell’inferno, della gloria; se con tutto ciò se ne sta tiepido, lento e rimesso, che speranza si può avere che sia per mutar vita, essendo che già ha fatto l’orecchio a queste cose? E così quello che avrebbe da aiutarlo e muoverlo, e quello che suol muovere altri, non muove lui, né gli fa impressione alcuna.
2. Questa è anche la ragione di quella sentenza tanto celebre del glorioso S. Agostino: « Da che cominciai a servir Dio, siccome non ho conosciuti altri migliori di quelli che hanno fatto profitto nella religione; così non ho conosciuti altri peggiori di quelli che in essa sono caduti ». – S. Bernardo dice che di costoro, che sono caduti e che hanno mancato nella religione, molto pochi ritornano allo stato e grado di prima; ma più tosto vanno peggiorando (S. Aug. Ep. ad Cler. Et pleb. Hipon n. 9). Sopra dei quali, dice egli, piange il profeta Geremia: « Come mai si è oscurato l’oro! il suo bel colore si è cangiato? Quelli che erano stati allevati nella porpora, hanno brancicato lo sterco » (S. Bern. Serm. 3 in fest. App. Petri et Pauli, n. 2). Quelli cioè che erano tanto favoriti e accarezzati da Dio nell’orazione, e dei quali tutto il trattare e conversare era in cielo, si sono ridotti ad abbracciare lo sterco e a sguazzare nel fango e nelle pozzanghere.
3. Sicché, parlando secondo quello che ordinariamente accade, poco buona speranza si può avere di quelli che cominciano a dar indietro e a diventar cattivi nella religione. Cosa che ci dovrebbe cagionare grandissimo terrore. E la ragione di ciò è quella che abbiamo toccata; perché questi tali cadono infermi con le stesse medicine e rimedi, coi quali dovrebbero migliorare e guarire. Or se con quello con cui altri migliorano e guariscono, essi ammalano e peggiorano, che speranza si può avere della loro salute? L’infermo, nel quale non fanno operazione alcuna le medicine, ma più tosto si sente star peggio con esse, si può ben dare per disperato e spedito. Perciò facciamo tanto caso del peccato e della caduta di un religioso, e ne abbiamo tanta paura; mentre nei secolari non ne concepiamo tanto orrore. Quando il medico vede in una persona infermicela e debole uno svenimento, ovvero una gran debolezza di polso, non se ne piglia molto fastidio; perché quella cosa non è stravagante rispetto all’ordinaria disposizione di colui: ma quando vede una cosa simile in una persona molto sana e robusta, lo tiene per molto mal segno; perché tale accidente non può procedere se non da qualche umor maligno predominante, pronostico di morte o d’infermità molto grave. Così avviene nel caso nostro. Se un secolare cade in peccati, questi non sono casi molto disusati ed insoliti in quella vita tanto trascurata di chi si confessa una volta l’anno e di chi sta in mezzo a tante occasioni, che a tal vita lo portano; ma nel religioso, sostenuto da tanta frequenza di Sacramenti, da tanta orazione e da tanti santi esercizi, quando viene a cadere, è segno di virtù molto scaduta e d’infermità grave; onde v’è ragione di temere assai.
4. Non dico però questo, dice S. Bernardo (S. Bern. loc. cit. n. 3), perché nella disgrazia di qualche caduta ti abbia da disperare, specialmente se pensi a subito rialzarti; poiché quanto più lo differirai, tanto più si renderà difficile; ma lo dico acciocché non pecchi, acciocché non cada e acciocché non ti rallenti. Ma se alcuno cadesse, abbiamo un buono avvocato in Gesù Cristo, il quale può quello che non possiamo noi. «Figliuolini miei, scrivo a voi queste cose affinchè non picchiate. Che se alcuno avrà peccato, abbiamo nostro avvocato presso del Padre Gesù Cristo giusto » (1Joan., II, 1). Perciò nessuno si disperi, perché se si converte a Dio di cuore, senza dubbio conseguirà misericordia. Se l’Apostolo S. Pietro, dopo aver seguitato tanto tempo la scuola di Cristo ed essere stato tanto suo favorito, cadde sì gravemente, e dopo così grave caduta, come fu negare il suo Signore e Maestro, ritornò a tanto alto ed eminente stato; chi si dispererà? Peccasti tu colà nel secolo, dice S. Bernardo, più forse che 8. Paolo? Hai tu peccato qui nella religione più forse che S. Pietro? Or questi, perché si pentirono e fecero penitenza, non solo ottennero perdono, ma anche una santità e perfezione molto alta. Fa tu ancora cosi, e potrai ritornare non solo allo stato di prima, ma anche a perfezione molto maggiore.
CAPO IX.
Quanto importi ai novizi il valersi del tempo del noviziato e l’assuefarsi in esso a far bene; e come debbono esser fatti gli esercizi della religione.
1. Due ragioni di questa importanza. — 2. Quale in noviziato tale di poi. — 3. Difficile a vincere una passione invecchiata. — 4. Inganno di chi differisce l’emenda. — 5. Dalla buona educazione dei novizi dipende tutto il bene della religione. — 6. Vantaggio di chi si dà alla virtù da giovane. — 7. Esempio.
1. Da quello che si è detto possiamo raccogliere per i novizi quanto importi a loro di valersi bene del tempo del noviziato e l’assuefarsi in esso a far gli esercizi della religione ben fatti: e questo potrà ancora servire per tutti quelli che cominciano a camminare per la via della virtù. La prima regola del Maestro dei novizi, che abbiamo nella Compagnia, ce lo dichiara molto bene e con poche parole, le quali non solo parlano a noi altri, ma anche a tutti i religiosi. « Persuadasi il Maestro dei novizi essergli stata commessa una cosa di molto grande importanza », dice detta regola, e ne rende due ragioni molto sostanziali, acciocché un tal Maestro apra gli occhi e conosca di quanto peso e momento è quel carico che ha sulle spalle. La prima è « perché da questa istituzione e prima educazione dei novizi dipende in maggior parte tutto il loro profitto per l’avvenire » : la seconda, perché in questa sta riposto il maggior capitale, essendo in essa « fondata tutta la speranza della Compagnia », e quindi dipende il benessere della religione (Reg. I Mag. Nov.). E per discendere a dichiarare più in particolare queste due ragioni, dico primieramente, che da questa prima instituzione e dalla positura nella quale uno si metterà nel noviziato, dipende, comunemente parlando, ogni suo o guadagno o scapito per l’avvenire. Se nel tempo del noviziato, come dicevamo nel capo antecedente, cammina uno tiepidamente e negligentemente nel suo profitto spirituale, tiepido se ne resterà sempre, senza far maggior frutto. Non occorre pensare che dopo, generalmente parlando, sia per camminare con maggior diligenza e fervore; perché v’è poca ragione per credere che dopo vi sia per essere questa mutazione e questo miglioramento; mentre ve ne sono molte per temere che non vi sarà.
2. Acciocché si possa veder meglio quello che dico, andiamo un poco parlando particolarmente col novizio, ponderando le ragioni e convincendolo con esse. Ora che è il tempo del noviziato, hai molto tempo per attendere al solo tuo profitto spirituale, e hai molti mezzi che in esso ti aiutano, perché a questo solamente attendono i Superiori, e questo è il principale ufficio loro. Ora hai molti esempi di tanti i quali non si occupano in altro che in questo; ed è cosa che dà grande animo e grande lena lo stare fra persone che non trattano d’altro, e il vedere che gli altri camminano avanti; sicché per pigro che uno sia, è come necessitato ad uscir di pigrizia. Ora hai il cuore sgombrato e libero da ogni altra cosa, e che pare desideroso della virtù; non hai occasione alcuna che ti dia disturbo né impedimento, ma molte che ti aiutano. Ora, se adesso che stai qui solamente per questo e non hai altro che fare, non attendi a far profitto e a stabilire per tuo capitale la virtù; che sarà, quando il tuo cuore si trovi imbarazzato e diviso in mille parti? Se adesso che stai tanto disoccupato e hai tante comodità e aiuti, non fai bene la tua orazione e i tuoi esami, né usi diligenza in osservare le tue addizioni e in far bene gli altri esercizi spirituali; che sarà quando ti trovi, con mille pensieri e sollecitudini di studi, e poi di negozi, di confessioni e di prediche? Se adesso con tanti ragionamenti ed esortazioni spirituali e con tanti esempi e stimoli non fai profitto; che sarà quando abbia occasioni e impedimenti che ti disturbino? Se adesso, nel principio della tua conversione, quando la novità delle cose dovrebbe cagionare in te maggiore divozione e fervore, te ne stai tiepido; che sarà poi quando ti trovi aver già fatto l’orecchio a tutto quello che ti potesse muovere ed aiutare? Di più, se adesso che la passione comincia appena a germogliare e la mala inclinazione non ha ancor forza, per essere nei suoi principi, non ti basta l’animo di farle resistenza, per la difficoltà che vi senti; come resisterai ad essa e la vincerai dopo, quando essa si sia fortemente radicata e abbia prese forze colla consuetudine?
3. Dichiarava S. Doroteo questa cosa con un esempio, che era solito raccontare di uno di quei Padri antichi. Stava questi coi suoi discepoli in una campagna piena di cipressi d’ogni sorta, alcuni grandi, altri piccoli, altri mezzani; e comandò ad uno dei suoi discepoli che sradicasse uno di quei cipressi; il quale, avendolo tirato, si svelse subito, perché era piccolo. Indi gli disse: Sradica ancora quell’altro, il quale era un po’ più grandicello; e lo sradicò, ma con maggior sforzo e fatica e con ambedue le mani. Per il terzo ebbe necessità di compagno: ma il quarto non lo poterono svellere tutti insieme. Allora il vecchio disse loro: Così sono le nostre passioni: nel principio, quando non sono ancora radicate, è facile estirparle; basta per farlo ogni poca forza che vi si metta: ma se mai avvenga che gettino profonde radici col lasciarle invecchiare, allora l’estirparle sarà molto difficile: gran forza sarete in necessità di mettervi, e ancora non so se vi riuscirete. (S. Doroth. Doct. 11, n.3)
4. Si vedrà quindi quanto grande inganno e quanto grave tentazione è il differire uno il suo profitto, e pensare che dopo si mortificherà e si vincerà in quelle cose, nelle quali adesso non gli basta l’animo di mortificarsi e di vincersi per la difficoltà che vi sente. Se quando la difficoltà è minore non ti basta l’animo di combattere contro di essa, come ti basterà quando sia maggiore? Se adesso, mentre la tua passione è un piccolo leoncino, contro esso sei sì codardo; che sarà quando sia cresciuta e fatta una grande e fiera bestia? Resta dunque persuaso che se adesso sarai tiepido e lento, tale sarai ancor dopo. Se adesso non sarai buon novizio e buono scolaro devoto e spirituale, non sarai dopo né buon veterano né buon operaio nella vigna del Signore. Se adesso sarai negligente nell’ubbidienza, o nell’osservanza delle regole, molto più negligente sarai per l’avvenire. Se adesso sarai trascurato negli esercizi spirituali e li farai malamente e a rappezzi, rappezzatore te ne resterai tutta la tua vita. Tutto il punto sta nella forma la quale adesso tu prendi. – Dicesi che nel mischiar l’acqua colla farina sta la facilità o la difficoltà del maneggiare e far bene la pasta. – Per questo S. Bonaventura dice: « Quella formazione, che uno prende da principio, a stento la smette. Chi sul bel principio della nuova maniera di vivere trascura la disciplina, difficilmente in seguito vi si adatta » (S. Bonav. In spec. disc. prol. N. 1). È proverbio questo, ed è proverbio dello Spirito Santo. « Il giovinetto, dice egli per bocca di Salomone, presa che ha la sua strada, non se ne allontanerà nemmeno quando sarà invecchiato » (Prov. XXII, 5). E perciò venne a dire S. Giovanni Climaco, che è cosa molto pericolosa e molto da temere che uno cominci tiepidamente e lentamente; perché, dice, è indizio manifesto della futura caduta (S. Io. Clim.: Scal. Parad. Grad. 1) . Per questo dunque è di somma importanza l’assuefarsi uno da principio alla virtù e a far bene gli esercizi spirituali. E così ce ne avverte lo Spirito Santo per mezzo del profeta Geremia: « Buona cosa è per l’uomo l’aver portato il giogo fin dalla sua adolescenza » (Ger., Thr. III, 27) perché sotto questo durerà poi sempre e gli sarà facile la virtù ed il bene: e quando no, la cosa gli riuscirà molto difficile, «Quello che tu non radunasti nella tua gioventù, come lo troverai nella tua vecchiezza? » ci domanda ancora lo stesso Spirito Santo nell’Ecclesiastico (Eccli. XXV, 5).
5. Da questa prima ragione viene in conseguenza la seconda: perché se tutto il profitto del religioso pel tempo avvenire dipende dalla prima sua istituzione, tutto il benessere della religione dipende altresì da essa. Poiché la religione non consiste nelle mura delle case o delle chiese, ma nell’adunanza dei religiosi: e quelli che stanno nel noviziato sono quelli che hanno successivamente a formare tutta la religione. Per questo la Compagnia non si contentò d’istituire i Seminari dei Collegi, nei quali si allevano i nostri in lettere e in virtù insieme; ma istituì a parte i Seminari di sola virtù, nei quali si attende solamente all’annegazione e mortificazione di se stessi, e all’esercizio delle virtù vere e sode, come a fondamento di più importanza che non sono le lettere. A questo servono le Case di Probazione, le quali, come dice il nostro Padre S. Francesco Borgia, sono per i novizi come una Betlemme, che s’interpreta « casa di pane »; perché quivi si fanno i biscotti e le provvigioni per la navigazione e per i pericoli grandi, incontro ai quali dobbiamo andare (S. Fr. Borgia. Epist. ad Soc.). Questo è il nostro agosto, questo è il tempo dell’abbondanza, questi sono gli anni della fertilità, nei quali avete da fare la provvigione delle vettovaglie e metter da parte per gli anni della carestia e della sterilità, come fece Giuseppe. Oh se quelli d’Egitto l’avessero preveduto e, con accorgersi della cosa, vi avessero fatta riflessione; di sicuro non avrebbero così facilmente lasciato uscire dalle case loro quello che Giuseppe radunava e riponeva nei granai Oh se ti accorgessi quanto t’importa l’uscire ben provveduto di vettovaglia dal noviziato, al certo non avresti desiderio d’uscire sì presto da esso, ma bensì dolore quando n’esci, considerando quanto poco provveduto vai di virtù e di mortificazione! E così il nostro Padre s. Francesco dice, che quelli i quali desiderano, o gustano d’uscire presto dal noviziato, mostrano difetto di cognizione e di non esser bene capacitati della necessità che hanno d’andare ben provveduti; e stimano poco la battaglia, poiché tanto poco temono l’uscire ad essa mal premuniti ed armati. – Oh quanto ricchi ed abbondanti di virtù si persuase il nostro Santo Padre che saremmo noi usciti dal noviziato. Così certamente lo presuppone egli nelle Costituzioni (Const. P. 4, c. 4, 1).Assegna due anni di prova e di esperimenti per questo, acciocché un novizio per tutto un tal tempo attenda al suo profitto, senza veder altri libri e senza far altro studio, che in quello che l’aiuta ad annegarsi maggiormente e a vieppiù crescere in virtù e perfezione. E poi, supponendo che il novizio esca dal noviziato tanto spirituale e infervorato, tanto amico della mortificazione e del ritiramento e tanto affezionato all’orazione e alle cose spirituali, che sia di bisogno ritenerlo; dà per avvertimento ai novizi, quando passano nei Collegi, che temprino i loro fervori durante il tempo degli studi, e che non facciano tante orazioni né tante mortificazioni; perché presuppone che la persona esca dal noviziato con tanto lume, con tanta cognizione di Dio e con tanto disprezzo del mondo, con tanta tenerezza di cuore e devozione, e tanto dal suo interno portata alle cose spirituali, che sia necessario andarla temperando con sì fatti avvertimenti. Procura tu dunque d’uscirne tale. Cava frutto da questo tempo tanto prezioso, che forse non ne avrai un altro tale in tutta la tua vita pel tuo profitto e per acquistare e radunare ricchezze spirituali. Non lo lasciar passare in vano e non ne perdere un punto. « Non ti privare di un buon giorno, e del buon dono non perdere nessuna parte » (Eccli. XIV, 14).
6. Una delle singolari grazie che il Signore fa a quelli che tira alla religione nella loro tenera età, e per la quale sono obbligati a ringraziarlo infinitamente, è perché allora è molto facile l’assuefarsi alla virtù e alla disciplina religiosa. L’albero, quando al principio è tenero, facilmente può essere raddrizzato, per farsi molto alto e bello; ma se si lascia crescere storto, più tosto che raddrizzarsi si romperà, e così se ne resterà per sempre. Nello stesso modo, quando uno tuttavia trovasi in età tenera, è facilmente raddrizzato e facilmente egli si applica al bene: e assuefacendosi a ciò da piccolo, vi va del continuo acquistando maggiore facilità, e così vi dura e persevera sempre. È gran vantaggio per una tintura l’essere fatta in lana, perché mai non smonta in colore. S. Girolamo dice: chi potrà mai rimettere nella sua bianchezza un panno tinto in porpora? Ed è del poeta Orazio quel detto che vaso uscito di fresco dalle mani del vasaio conserverà a lungo l’odore di quel liquore che per primo vi si pose dentro La divina Scrittura loda il re Giosia perché cominciò a servir Dio da fanciullo. « Essendo tuttora giovinetto cominciò a cercare il Dio di Davide suo padre » (II Paral.XXXIV, 2).
7. Racconta Umberto, uomo insigne e Maestro Generale dell’Ordine dei Predicatori, che un religioso dopo la sua morte apparve per alcune volte di notte molto bello e risplendente ad un altro religioso suo compagno, e che in una di queste, menandolo fuori della sua cella, gli mostrò un gran numero d’uomini vestiti di vesti bianche e molto risplendenti, i quali portando su le spalle alcune croci molto belle, con esse andavano processionalmente verso il cielo. Poco dopo gli fece vedere un’altra processione più vistosa e più risplendente della prima, nella quale ciascuno portava in mano, e non su le spalle come i precedenti, una croce molto ricca e molto bella. Poco appresso gli fece vedere un’altra terza processione, senza comparazione più vistosa delle precedenti, e le croci di quelli che andavano in questa processione superavano di gran lunga in bellezza quelle degli altri; e non le portavano essi su le spalle, né in mano, ma a ciascuno portava la sua croce un Angelo, che andava loro innanzi, acciocché essi allegri e gioiosi lo seguissero. Meravigliato il religioso di questa visione, ricercò il compagno, da cui gli era stata mostrata, che gliela dichiarasse; ed esso gliela dichiarò dicendo, che quelli che aveva veduti portare le croci su le spalle, erano quelli che già d’età matura erano entrati in religione; i secondi che le portavano in mano, erano quelli che vi erano entrati nell’adolescenza; e gli ultimi che andavano tanto allegri e leggiadri, erano quelli che da piccoli avevano abbracciata la vita religiosa.
(Fine.)