DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2019)
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ. [In tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]
Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini. [Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ. [In tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]
Oratio
Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem:
ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.
[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai
tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con
tranquilla coscienza.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes V: 15-21
Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]
LA PRUDENZA
“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo. (Ef. V, 15-21).”
S. Paolo aveva esortato gli Efesini a vivere come figli della luce, nella pratica delle buone opere, e a non seguire, anzi a riprovare le opere delle tenebre. Ora li esorta a diportarsi con prudenza, approfittando del tempo che ci è concesso per fare la volontà di Dio. Non devono provare altra ebbrezza che quella che viene dallo Spirito Santo: si radunino tutti assieme a lodare il Signore con i cantici sacri, rendendo grazie al Padre, nel nome di Gesù. L’ammonimento dell’Apostolo agli Efesini vale anche per noi, che dobbiamo, mediante la prudenza, virtù «che da pochi si osserva»,
1. Riflettere sulle nostre azioni,
2. Approfittare d’ogni circostanza per arricchirci di meriti
3. Allontanarci dalle occasioni.
1.
Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti.
Qui è raccomandata la prudenza cristiana; la prudenza virtù cardinale, cioè una delle quattrovirtù su cui si basano tutte le altre. «La prudenza ci fadistinguere il bene dal male» (S. Agost. En. in Ps. LXXXIII, 11). È, quindi, la regola delle nostre azioni, o, come dice il Catechismo: È la virtù che dirige gli atti al debito fine e fa discernere e usare i mezzi buoni. Il fine del Cristiano è la vita eterna, e la prudenza ci fa riflettere come dobbiamo diportarci per arrivarvi. Nelle cose importanti noi non ci fidiamo del solo nostro modo di vedere; domandiamo i suggerimenti e i consigli degli altri. Così, il Cristiano prudente prega il Signore che lo illumini sullo stato di vita a cui lo chiama, perché possa raggiungere il suo ultimo fine. Messosi in questo stato prega costantemente Dio «Padre dei lumi» (Giac. 1, 17) perché illumini i suoi passi nella via intrapresa, avendo sempre di mira il maggior bene spirituale, anziché l’accontentamento dei propri gusti. Quando un esploratore vuol raggiungere mete assai lontane, sa benissimo che lo attendono incognite di ogni genere. Ed egli riflette a lungo, prima di mettersi in viaggio. Calcola tutti gli incidenti che gli possono capitare da parte della natura del luogo, da parte degli elementi, da parte delle fiere, da parte degli uomini, e prende tutte le precauzioni necessarie per non essere impedito di raggiungere la meta. – Tra le precauzioni che prende, importantissima è quella del rifornimento dei viveri. Il Cristiano, che ha considerato tutta l’importanza della via spirituale che ha da percorrere, vede che tra le precauzioni più necessarie c’è quella di nutrirsi del cibo spirituale, affinché non venga meno per via. A questo scopo frequenta i Sacramenti. La prudenza gli suggerisce di nutrirsi spesso del pane dei forti; e di risorgere subito col mezzo della Confessione, se lungo la via fosse caduto nel peccato. La prudenza insegna a non aspettar tutto dagli altri, « Poiché se noi saremo vigilanti non avremo bisogno dell’aiuto altrui. Se, al contrario, dormiamo a nulla ci giova l’aiuto degli altri» (S. Giov. Grisost. In Epist. 1 ad Thess. Hom. 1, 3). Alla meta cui siamo avviati dobbiamo arrivare con l’opera nostra, guidata e sostenuta dalla grazia del Signore. Pretendere di arrivare in paradiso dolcemente, dormendo, sulle spalle degli altri, sarebbe un vero assurdo. Non si va in paradiso a dispetto dei Santi. Le vergini prudenti della parabola evangelica si danno cura di provvedere da sé la scorta d’olio per la lampada. Le vergini stolte non si scomodano di procurarsi la scorta d’olio. E quando viene lo sposo non possono prender parte al banchetto. Ricorrono alle vergini prudenti per avere parte della loro scorta, ma non l’ottengono. Le loro lampade rimangono spente, ed esse sono escluse dal banchetto (S. Matt. XXV, 1-13). Se vogliamo arrivare al banchetto celeste dobbiamo cercare d’arrivarvi, aiutati da Dio, con le opere nostre e non con le opere degli altri; se non vogliamo correre il pericolo di rimanerne esclusi.
2.
L’Apostolo vuole che gli Efesini camminino da prudenti utilizzando il tempo. La prudenza non solo ci deve far distinguere quel che si deve fare o non fare; ma ci spinge all’opera. Essa ci fa essere buoni economi del tempo, facendoci cercare e trovare l’opportunità di fare il bene. Un industriale avveduto non tralascia viaggi, ricerche; non si stanca di assumere informazioni e di darne; di mettersi al corrente di tutte quelle innovazioni, che adottate migliorerebbero e accrescerebbero la produzione delle sue industrie. E un Cristiano prudente non deve lasciarsi sfuggire circostanza alcuna, senza usarne per arricchirsi di meriti. – Colui che prudentemente spera di venire a capo dell’opera da lui intrapresa, non si lascia abbattere dal nessuna difficoltà. Quanto più esse sono numerose, tanto più si sente spinto ad operare per vincerle. Noi diciamo che le circostanze sono troppo difficili per poter fare il bene, che gli ostacoli sono troppo forti; ma ci dimentichiamo d’una cosa: «che tutto coopera a bene per quelli che amano Dio» (Rom. VIII, 28). E il tempo delle difficoltà da superare è appunto il tempo più opportuno per ammassare meriti che ci accompagnino in paradiso. Una fatica sopportata per amor di Dio, un sollievo recato a chi soffre, la difesa di un perseguitato, l’appoggio dato a un oppresso, una persecuzione sostenuta, un offesa perdonata, un’umiliazione accettata sono tutte azioni preziose all’occhio di Dio, son tutti mezzi che ci fanno percorrere a gran passi sicuri la via che conduce al paradiso. Una vecchia mendica, la quale era stata più volte beneficata da S. Elisabetta d’Ungheria, che l’aveva assistita inferma e medicata con le proprie mani, vedendo un giorno la sua antica benefattrice avanzare guardinga lungo una sottile striscia di pietre che attraversava un fangoso ruscello, invece di tirarsi in disparte e lasciarla passare, la urtò brutalmente facendola cadere nella fanghiglia, poi aggiunse beffandola: «Tu non hai voluto vivere da duchessa; eccoti ora povera e nel fango; ma io non verrò a tirartene fuori». Con le vesti inzuppate, le mani infangate, contuse e sanguinanti, la Santa si alza e dice con gran calma: «Questo per le acconciature e gli ornamenti e le gioie che portavo un tempo» (Emilio Horn. S. Elisabetta d’Ungheria Trad. ital. di Bice Facchinetti. Milano 1924 p. 157). Ecco, come si può utilizzare qualsiasi circostanza per arrichire di beni spirituali. La prudenza c’insegna non solo a metterci con impegno nell’esercizio del bene, ma vuole che vi ci mettiamo subito. L’uomo d’affari se può conchiudere un buon affari oggi, non aspetta domani: domani potrebbe mancare l’occasione che oggi è ottima. Domani si potrebbe non essere più in tempo. La prudenza cristiana c’insegna a non rimandare in avvenire l’adempimento dei nostri doveri, l’esercizio delle virtù, la rinuncia al peccato, il ritorno a Dio. Sappiamo noi qualche cosa del nostro avvenire? Il futuro è nelle mani di Dio. Generalmente i nostri calcoli sull’avvenire hanno la sorte di quelli del ricco del Vangelo, il quale non avendo più posto da riporvi il raccolto disse: « Ecco quel che farò; demolirò i miei granai, ne fabbricherò dei più vasti e quivi raccoglierò tutti i miei prodotti e i miei beni, e dirò alla mia anima: O anima mia, tu hai messo in serbo molti beni per parecchi anni; riposati, mangia, bevi e godi. Ma Dio gli disse: — Stolto, questa stessa notte l’anima tua ti sarà ridomandata, e quanto hai preparato di chi sarà? — Così è di chi tesoreggia per sé e non arricchisce presso Dio» (Luc. XII, 18-21). Altrettanto stolto è chi cerca di vivere quest’oggi tranquillamente in ozio, e rimanda all’avvenire il tesoreggiare per il cielo. Sarà in tempo?
3.
Non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza
… dice S. Paolo, e a ragione. Si cerca l’ebbrezza nel vino e, attraverso la stoltezza e la sfacciataggine, si finisce nella libidine. È quello che avviene di tutte le occasioni. Si finisce dove non si credeva d’arrivare. Sansone non avrebbe mai pensato che l’eccessiva confidenza con Dalila l’avrebbe condotto alla perdita della sua forza prodigiosa, degli occhi, della libertà. Davide non si sarebbe mai immaginato che uno sguardo imprudente l’avrebbe condotto all’adulterio, all’omicidio, all’indurimento nel peccato. L’uomo prudente non si mette mai nelle occasioni prossime libere; non diffida mai abbastanza di certe compagnie, di certi ritrovi, di certi divertimenti, di certi giornali, di certi libri. – Il viandante prudente schiva tutte quelle vie lungole quali potrebbe trovare degli intoppi o dei pericoli. Seuna via è interrotta da una frana, da una valanga, dalla caduta d’un ponte, da un’alluvione, si rassegna a fare un giro un po’ più lungo, passando alla larga, pur di arrivare alla meta. Se sa che qualche punto della via è pericoloso, perché battuto dai grassatori, cerca di passarlo in pienogiorno, senza indugiarvisi. Nel cammino della vita spirituale non mancano degli ostacoli che cercano di fermarci, delle occasione che vorrebbero farci interrompere ilcammino. Giriamo alla larga, se non vogliamo dimenticarci del nostro fine; se non vogliamo lasciarci cogliere dalle passioni che, depredandoci della grazia, ci facciano cadere nel peccato. «Non è un timor vano né una precauzione inutile questa, che provvede alla via della nostra salvezza» (S. Cipriano. Lib. de hab. Virg. 4). – Certi strappi sono dolorosi, certi distacchi costano, l’abbandono di certe abitudini ci sembra impossibile. Eppure la prudenza insegna che tra due mali bisogna scegliere il minore. Chi ha una mano o un piede incancrenito sceglie la loro amputazione, anziché lasciar incancrenire tutto il corpo. Il navigante che vede la nave affondare per troppo peso, è pronto a gettar la sua merce in mare, anziché lasciarsi ingoiar lui dalle onde. Tra la perdita di Dio e la perdita dell’amicizia degli uomini; tra il sacrificio di certe abitudini e la perdita del paradiso; tra i piaceri terreni e i godimenti eterni la scelta non dovrebbe lasciare un istante di titubanza. Lasciamo, dunque, l’ebbrezza che viene dai piaceri, e scegliamo l’ebbrezza che viene dallo Spirito Santo. È un’ebbrezza senza rimorsi, senza turbamenti. Manifestiamo questa ebbrezza con salmi e inni e cantici spirituali; manifestiamola, prendendo parte con assiduità e fervore alle funzioni sacre; manifestiamola ovunque, non fosse altro, salmeggiando al Signore nei nostri cuori ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo.
Graduale
Ps CXLIV:15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.
Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne. [Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno. V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]
Allelúja.
Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória
mea. Allelúja. [Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è
pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
SPIEGAZIONE XLVIII.
“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figlinolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa” (Jo. IV, 46-53)
Quando Gesù con la sua predicazione e co’ suoi miracoli si andava facendo nella Giudea un gran numero di discepoli, i farisei cominciarono a sentire e dispiegare verso di Lui una grande invidia e gelosia. E sapendolo Gesù, che era tanto mansueto, per non irritare troppo i suoi nemici lasciò la Giudea e s’avviò verso la Galilea, Per istrada passando per la Samaria, andò ad assidersi presso al pozzo di Giacobbe, dove convertì la Samaritana. Quindi fermatosi due giorni in Sichem, pregato dai concittadini di quella donna, dove molti credettero in Lui per averlo udito a parlare, prosegui il suo viaggio per la Galilea. Ma invece di recarsi a Nazaret, ben sapendo il poco rispetto che gli avrebbero usato i suoi compatrioti, si recò nella Galilea superiore, dove fu accolto con grande gioia. E percorrendo questa regione andò in Cana, dove aveva operato il suo primo miracolo convertendo l’acqua in vino. E fu in questa piccola città che operò il nuovo miracolo narrato dal Vangelo di questa domenica.
1. Eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo quegli sentito a dire, che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Gliinterpreti non sono d’accordo nel dirci chi fossequesto regolo: alcuni vedono in lui un principedella reale famiglia di Erode Antipa, tetrarcadella Galilea, altri vogliono che fosse soltanto unuffiziale della corte, ed altri pretendono che fosse un piccolo re. Ma comunque sia la cosa, voi vedete come anche i grandi e i potenti della terra, quando sono travagliati da qualche sventura, allora pensano a Gesù, riconoscono chi Egli sia, ed a Lui si rivolgono per essere consolati. Difatti quel regolo ha un figlio, oggetto della più cara sua speranza, e questo figlio è prossimo a morire: i medici disperano, l’umana scienza è impotente; l’infelice padre vede la morte che si avanza, che sta per varcare le soglie della sua casa e colpire nel fior degli anni il diletto suo figliuolo. Egli ha udito a parlare di un personaggio straordinario che opera dei prodigi; sa che quel personaggio è a Cana: da Cafarnao a questa città vi ha più d’una giornata di cammino…. Che importa?…. L’uffiziale si mette in viaggio. Purché incontri quel Gesù ed ottenga da lui il compimento de’ più cari suoi voti: ecco tutto il pensiero del suo cuore. Senza dubbio se costui non fosse stato minacciato nelle sue più care speranze, non si sarebbe dato pensiero del Salvatore e l’avrebbe lasciato pacificamente continuare il corso delle sue mirabili predicazioni. Così, o miei cari, lo sprone della sventura ridesta sovente un’anima addormentata, e la spinge ad indirizzarsi a Colui che solo può sollevarla e guidarla. Voi, vi lagnate d’una croce che sopravviene, d’una prova che vi accade. E Dio non ha permesso quella pena passeggera che per ricondurvi a sentimenti migliori, e darvi occasione di meritare la felicità dell’eterna vita. Oh come il dolore serve efficacemente ad illuminare le nostre anime! Vi è una moltitudine di cose, che l’uomo, che non ha patito non conosce, ed un’altra moltitudine che non sarà mai capace di conoscere, se per impossibile continuasse a vivere senza patire. Al contrario non vi ha alcun uomo il quale, nell’ora che soffre, voglia o non voglia, non sia condotto alla conoscenza della verità. La nostra vita sopra la terra è tutta piena di fantastiche illusioni, le quali tanto più si moltiplicano ed hanno forza per sedurci, quanto più siamo allegri e viviamo nella prosperità. Oh quante vane sicurezze e quanta presunzione nell’uomo, dal momento che non sente più nulla che lo molesti o lo affligga! quante cose dimentica! quante altre ne immagina! qual compiacenza prende nel suo stato! Ah! se egli sgraziatamente rimane così, senza alcuna sofferenza né fisica, né morale, anche solo per qualche anno, la terra avrà per lui tali incanti da fargli impallidire e persino eclissare quelli del Paradiso. Quest’uomo insomma diventerà del tutto cieco non vedendo più né il suo fine, né la strada che vi conduce. Ma viene il dolore, ed allora che succede? Ecco, i fantasmi svaniscono, ricompaiono le realtà e ripigliano sulla sua mente l’imperio loro dovuto. Vedete quel povero giovane? Novello prodigo abbandonò la casa paterna per gettarsi tra le braccia dei falsi amici, sognando nella loro compagnia una felicità sconosciuta. Stoltamente seguì i loro consigli, accontentò i loro desideri, dissipò con loro i suoi averi, il suo onore, la sua vita; ma quando rimasto a mani vuote credette di appoggiarsi sopra la loro amicizia, essi erano scomparsi dal suo fianco per non comparirgli innanzi mai più. Il dolore della sua miseria gli rischiarò allora la mente e al baglior di quella luce divina egli conobbe quanto è vera la parola del Savio: che nulla vi ha di più raro che un vero amico; che assai meglio si sta l’ultimo nella casa paterna sotto l’obbedienza dei genitori, che il cuore non si appaga tra le creature, che solo è beato riposando in Dio. – Ed oh quanti altri ancora, i quali non brancicando che nelle tenebre degli onori, dei piaceri e delle ricchezze se ne vivevano lontani affatto da Dio, perseguitati al fine dalla passione, colpiti dalla calunnia, spogliati d’un tratto d’ogni loro avere, sopraffatti dal dolore, apersero gli occhi alla luce della verità ed esclamarono compunti: Ci siamo ingannati: Erravimus a via veritatis (Sap. V. 6): Bisogna ritornare sul retto sentiero. Miei cari, il dolore illumina. Esso fa toccar con mano la vanità del mondo, il nulla dei beni temporali, la stoltezza di ogni vita che non ha Iddio per fine, ed illuminandoci in sulla vanità delle cose terrene ci conduce a quel Dio, a quel caro Gesù, che solo può confortarci e far paghi i nostri cuori. Quando perciò le afflizioni verranno a travagliare l’anima nostra, seguiamo pure l’esempio del regolo di Cafarnao: non esitiamo un istante di recarci ai piedi di Gesù Cristo, di aprirgli il nostro cuore e di invocare il suo soavissimo conforto.
2. Se non che alla preghiera, che quel regolo venne a fare a Gesù di recarsi a casa sua per guarirgli il figliuolo infermo, Gesù benedetto rispose: Voi se non vedete miracoli e prodigi, non credete. E ben a ragione. Imperciocché, come nota S. Gregorio, bisognava ben che quel regolo avesse una certa fede, giacché veniva a trovare Gesù e a domandargli la guarigione di suo figlio; ma tale fede doveva essere ben imperfetta giacché stimava necessario che il Salvatore si recasse a Cafarnao per guarire il malato, non pensando che egli lo poteva fare anche da lungi. Se infatti costui avesse avuto una fede perfetta, avrebbe saputo, che essendo Iddio dappertutto non ha bisogno di trasferirsi da un luogo all’altro per far quel che gli piace, e non si sarebbe così stranamente ingannato, attribuendo alla corporale presenza del Salvatore una virtù, che apparteneva alla sua divinità. Era ben altrimenti viva la fede del centurione, che con umiltà sì profonda domandava la guarigione del suo servo. Ora a quello il Salvatore proponeva di portarsi a trovar l’infermo, ed il centurione rispondeva: Signore, io non son degno che entriate nella mia casa, ma dite una parola delle vostre labbra, e il mio servo sarà guarito. Il regolo adunque non credeva ancora alla divinità del Salvatore; lo riguardava come un profeta, che coll’imporre le mani o con la recita di qualche preghiera potesse restituire la sanità al suo figlio. Quindi il divin Redentore ben a ragione gli rivolse quel rimprovero affine di dar alla sua fede quell’energico stimolo, di cui abbisognava affine di perfezionarsi. Ai nostri giorni, o miei cari, quanti Cristiani meriterebbero il rimprovero che Gesù rivolse a quel regolo! Ancora essi chiedono dei prodigi: se vedessi, se comprendessi, allora sì crederei, ci ripetono del continuo, e rimangono intanto nella loro indifferenza e nel loro induramento. Ma il Salvatore risponde loro: « Beati coloro che non han veduto, e credettero » E noi potremmo ancor soggiungere: Pigliate il Vangelo, e vedete ciò che accadeva, son ormai diciannove secoli; la verità non invecchia. Voi domandate dei miracoli! Eccone di quelli che furono operati in presenza d’una nube di testimoni, e di testimoni che han versato il loro sangue e dato la loro vita per confermare la sincerità della loro testimonianza. Non sono essi numerosi assai ed assai forti per convincervi? Mirate anche questo perpetuo miracolo d’una Religione sempre combattuta, sempre perseguitata, sempre maledetta dalle potenze infernali; eppure sempre giovane, sempre bella, invincibile sempre, sempre segnata in fronte col suggello dell’immortalità. Non domandate dunque dei nuovi prodigi. I soli che restano a farsi, che voi dovete desiderare, che dovete sollecitare, eccoli: sono i miracoli dell’ordine spirituale, che possono cangiare e convertire le anime vostre. Udite S. Gio. Grisostomo: « Se da avaro ch’eravate, divenite generoso, avete guarito una mano inaridita, che non si poteva stendere per dare l’elemosina. Se rinunziate al teatro, al divertimento, alla festa mondana per intervenire alle nostre chiese, avete guarito uno zoppo e l’avete fatto dirittamente camminare. Se ritirate i vostri sguardi da tutti gli oggetti pericolosi per non aver più in avvenire che sguardi casti, avete reso la vista ad un cieco. Se detestate le infami canzoni per non cantare in avvenire che dei cantici spirituali, avete fatto parlare un mutolo. Ecco le meraviglie che sono veramente stimabili; ecco i miracoli che vi auguro. Questi, o miei cari, non solo vi permetto di domandare, ma ve ne consiglio e v’invito. Né chiedeteli una volta soltanto, ma chiedeteli con perseveranza, direi quasi con importunità, somiglianti al regolo che senza fermarsi alla risposta del Signore, si affrettò a dirgli: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia ».
3. Allora Gesù gli disse: va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi in che ora avesse cominciato a star meglio. E quegli risposero: Ieri all’ora settima lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padrone che quella era la stessa ora in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliuolo vive; e credette egli e tutta la sua casa.. E qui ponderiamo bene, o mieicari; quello che Gesù si degnò di rispondere a quelregolo: Va, il tuo figliuolo vive: che fu come un dirgli: Va, che non è necessario che Io venga con te. Esaudirò la tua preghiera, ma non nel modo che tu chiedi. S’Io ti accompagnassi alla tua casa, la tua fede non diverrebbe già più viva: senza dubbio si raddoppierà quando saprai che da lontano ho potuto sanare il figliuol tuo. Vedete, omiei cari, come nostro Signore tratta le anime giusta i bisogni di ciascuna di esse. Il centurione chiede la guarigione del suo servo; e per far risaltare la sua fede e la sua umiltà, il Salvatore gli dice: Andrò e lo sanerò. No, no, Signore, questo non è necessario, ed io non lo merito; dite una parola e il mio servo sarà guarito. Qui all’opposto l’uffiziale gli dice: Venite, Signore, affrettatevi. Ed il Salvatore vedendo questa fede così debole, la fortifica, la perfeziona, ricusando un viaggio inutile pel compimento del prodigio. Di fatti, dice il venerabile Beda, la fede che in quel regolo aveva cominciato, quando andò a trovare Gesù per domandargli la guarigione del figlio, crebbe poi quando credette alla parola di colui che gli disse: Il tuo figlio vive; ma fu perfetta quando alla relazione che gli fecero i suoi servi conobbe ch’era stato guarito all’ora stessa che Gesù aveagli detto: Filius tuus invit.Ecco adunque come il medico celeste dà a ciascun’anima ciò che le torna meglio per la sua eterna salute. Questo pertanto deve essere lo spirito, che animi le nostre preghiere: domandare a Dio le grazie di cui abbisogniamo, ma disposti interamente a rimetterci alla sua santa volontà, la quale è sempre il meglio per noi. Anzi, non solo le nostre preghiere devono essere animate da un tale spirito, ma tutta quanta la nostra vita. Tutta la perfezione dell’amor verso Dio consiste nell’uniformar la nostra alla divina volontà; ciò venne principalmente ad insegnarci dal cielo col suo esempio il nostro Salvatore. Ecco quelch’Egli disse in entrare nel mondo, come scrive l’Apostolo: « Voi, Padre mio, avete rifiutate le vittime degli uomini, volete ch’Io vi sacrifichi con la morte questo corpo, che mi avete dato, eccomi pronto a far la vostra volontà ».E ciò più volte dichiarò, dicendo ch’Egli non era venuto in terra, se non per fare la volontà del suo Padre. Quindi poi aggiunge ch’Egli riconosceva per suoi solamente coloro che facessero la divina volontà. – Oh quanto vale un atto di perfetta rassegnazione alla volontà di Dio! basta per fare un santo. Mentre S. Paolo perseguitava la Chiesa, Gesù gli apparve, l’illuminò e lo convertì. Il Santo allora altro non fece, che offrirsi a fare il voler divino: Signore, che volete ch’io faccia? Ed ecco che Gesù Cristo subito lo dichiarò vaso d’elezione, e Apostolo delle genti! Chi fa digiuni, fa limosine, chi si mortifica per Iddio, dona a Dio parte di sé; ma chi gli dona la sua volontà, gli dona tutto. E questo è quel tutto che Dio ci domanda, il cuore, cioè la volontà. Questa insomma ha da essere la mira di tutti i nostri desideri, delle nostre divozioni, meditazioni, comunioni e di tutte le altre buone opere, l’adempiere la divina volontà. Questo ha da essere lo scopo di tutte le nostre preghiere, l’impetrare la grazia di eseguire non quello che piace a noi, ma quello che Iddio vuole da noi. Ma bisogna uniformarci non solo nelle cose prospere, ma anche in quelle avverse, e non solo nelle avverse che ci vengono direttamente da Dio, come sono le infermità, le desolazioni di spirito, le perdite di robe o di parenti; ma anche in quelle che ci vengono anche da Dio, ma indirettamente, cioè per mezzo degli uomini come le infamie, i dispregi, le ingiustizie, e tutte le altre sorta di persecuzioni. Ed avvertiamo che quando siamo offesi da taluno nella roba o nell’onore, non vuole già Dio il peccato di colui che ci offende, ma ben vuole la nostra povertà e la nostra umiliazione. È certo che quanto succede, tutto avviene per divina volontà. Narra Cesario che un certo monaco, con tutto che non facesse vita più austera degli altri non di meno faceva molti miracoli. Di ciò meravigliandosi l’abbate, gli domandò un giorno quali divozioni egli praticasse. Rispose, che egli era più imperfetto degli altri, ma che solo a questo era tutto intento, ad uniformarsi in ogni cosa alla divina volontà. E di quel danno, ripigliò il superiore, che giorni or sono ci fece quel nemico nel nostro podere, voi non ne aveste alcun dispiacere? No, padre mio, disse, anzi ne ringraziai il Signore, mentr’Egli tutto fa o permette per nostro bene. E da ciò L’abbate conobbe la santità di questo buon religioso. Lo stesso dobbiamo far noi quando ci accadono le cose avverse; accettiamole tutte dalle divine mani non solo con pazienza, ma persino con allegrezza. Ed in vero che maggior contento dovremmo avere che soffrire qualche croce, e sapere che abbracciandola noi diamo gusto aDio? Se vogliamo dunque vivere con una continua pace, procuriamo da oggi innanzi di abbracciarci col divino volere, con dir sempre intutto ciò che ci avviene: Signore, cosi è piaciuto a voi, cosi sia fatto. A questo fine indirizziamo tutte quante le opere nostre, e del continuo offriamo noi stessi al Signore sempre dicendo: Mio Dio, eccomi, fate di me quello che vi piace. E così sarà certo che se non sempre Iddio disporrà della nostra vita in quel modo che piace a noi, ne disporrà sempre tuttavia nel modo più giovevole per il bene dell’anima nostra e per la nostra eterna salute.
Credo …https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion. [Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]
Secreta
Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent. [O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/
Communio
Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea. [Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]
Postcommunio
Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis. [O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/