DOMENICA XIX DOPO PENTECOSTE (2019)D
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum [Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.]
Ps LXXVII: 1
Attendite, pópule meus, legem meam: inclináte aurem vestram in verba oris mei.
[Ascolta, o popolo mio, la mia legge: porgi orecchio alle parole della mia bocca.]
Salus pópuli ego sum, dicit Dóminus: de quacúmque tribulatióne clamáverint ad me, exáudiam eos: et ero illórum Dóminus in perpétuum [Io sono la salvezza dei popoli, dice il Signore: in qualunque calamità mi invocheranno, io li esaudirò, e sarò il loro Signore in perpetuo.].
Oratio
Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, univérsa nobis adversántia propitiátus exclúde: ut mente et córpore páriter expedíti, quæ tua sunt, líberis méntibus exsequámur. [Onnipotente e misericordioso Iddio, allontana propizio da noi quanto ci avversa: affinché, ugualmente spediti d’anima e di corpo, compiamo con libero cuore i tuoi comandi.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes IV: 23-28
“Fratres: Renovámini spíritu mentis vestræ, et indúite novum hóminem, qui secúndum Deum creátus est in justítia et sanctitáte veritátis. Propter quod deponéntes mendácium, loquímini veritátem unusquísque cum próximo suo: quóniam sumus ínvicem membra. Irascímini, et nolíte peccáre: sol non occídat super iracúndiam vestram. Nolíte locum dare diábolo: qui furabátur, jam non furétur; magis autem labóret, operándo mánibus suis, quod bonum est, ut hábeat, unde tríbuat necessitátem patiénti.”
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,
I CARATTERI DELL’UOMO NUOVO
“Fratelli: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo, che è creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità. Perciò, deposta la menzogna, ciascuno parli al suo prossimo con verità: poiché siamo membri gli uni degli altri. Nell’ira siate senza peccato: il sole non tramonti sul vostro sdegno. Non lasciate adito al diavolo. Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno.” (Ef. IV, 23-28).
L’epistola è tolta dalla lettera di San Paolo agli Efesini. Nei versetti precedenti l’Apostolo aveva scongiurato gli Efesini a non imitare la vita dei pagani, tra i quali essi vivevano; ma a conformare la loro condotta alla santità inculcata da Gesù Cristo. Perciò, come segue a dire nell’epistola riportata, bisogna deporre il vecchio uomo con tutte le sue inclinazioni, come si depone un vecchio vestito; e bisogna, invece, come si indossa un nuovo vestito, rivestirsi dell’uomo nuovo, rigenerato dalla grazia nella verità e nella giustizia, non più deturpato dagli errori e dalle brutture di prima. Accenna ad alcuni peccati che devono deporsi e ad alcune virtù di cui bisogna rivestirsi: devono rinunciare alla menzogna per praticare la verità; rinunciare alla collera per praticare la dolcezza; rinunciare al furto per praticare il lavoro e l’elemosina. Da quanto è detto nell’epistola possiamo dedurre chi i caratteri dell’uomo nuovo sono:
1. Il bando alle cattive abitudini,
2. La pratica del bene,
3. La riparazione.
1.
Rinnovatevi nello spirito della vostra mente, e rivestitevi dell’uomo nuovo.
Nessuno vorrà farsi la domanda che S. Agostino pone in bocca a coloro che vogliono esimersi dal praticare ciò che dall’Apostolo viene inculcato. « Come mi spoglierò dell’uomo vecchio, e mi rivestirò dell’uomo nuovo? Forse io, come terzo uomo, deporrò l’uomo vecchio che possedevo, e prenderò l’uomo nuovo che non possedevo, e così si debbano intendere tre uomini?…» (En. in Ps. XXV, 1). Io dico: Rivestitevi dell’uomo nuovo, è lo stesso che dire « Rivestitevi di Gesù Cristo » (Rom. XIII, 14), chiamato anche: « Il secondo uomo», in opposizione ad Adamo «primo uomo» (1 Cor. XV, 47). Ma per rivestirci di Gesù Cristo, cioè, delle sue virtù, del suo spirito, della sua grazia, è necessario spogliarci dell’uomo vecchio, dell’uomo terreno. – Dopo la caduta di Adamo l’uomo andò attaccandosi sempre più alla terra. Alla terra sono rivolti i suoi pensieri, il suo cuore, le sue inclinazioni. I suoi discorsi, le sue opere non si staccano mai, o si staccano ben poco, dalla terra. Nella sua mente c’è l’errore, nel suo cuore ci sono le passioni, nelle sue opere c’è il disordine. In una parola, egli è l’uomo del peccato, è l’uomo che serve al peccato. – Perché possa piacere a Dio, rivestendosi di virtù, è necessario togliere il peccato. Le piante delle virtù non nascono dai semi dei vizio. Per innalzare un edificio nuovo, si toglie dal terreno ogni ingombro, in modo che il costruttore abbia la più ampia libertà di movimenti nell’seguire i suoi lavori. Per innalzare l’edificio d’una vita virtuosa, bisogna innanzi tutto sgombrare l’anima nostra dal peccato e dalle sue radici. Le abitudini d’una volta devono cessare: il modo di vivere d’una volta va cambiato, i gusti devono essere nuovi; gli idoli delle nostre passioni vanno abbattuti, e abbattuti generosamente. – Il voler rimanere attaccati anche solamente a una sola delle vecchie abitudini cattive è come rimanere attaccati a tutte. Il cuore andrebbe diviso tra la virtù e il vizio; tra Dio e l’idolo della propria passione, e questo è assolutamente inammissibile. « Chi non è con me, contro di me » (Matt. XII, 30), dichiara il Signore. Se tu avessi il cuore attaccato a un solo peccato grave, saresti sempre rivestito dell’uomo vecchio, privo della grazia, nemico di Dio.
2.
Per rivestirsi dell’uomo nuovo non basta deporre l’uomo vecchio col dare il bando alle cattive abitudini! L’astenersi dalle opere cattive non merita gran lode se non si praticano opere buone. « Infatti — nota il Crisostomo — non si è soliti lodare, anzi neppur menzionare alcuno per questo che non commette delitti… Poiché noi usiamo mai attribuire a lode la semplice astensione dalle cattive azioni; in vero ciò sarebbe ridicolo » (In Epist. ad Philipp. Hom. VI, 1). L’odiare il male è cosa assolutamente necessaria per praticare bene, poiché, « se non odiamo il male non possiamo amare il bene » (S. Gerolamo Epist. 125, 14 ad Eust.); ma questo non è tutto. – Il campo non si dissoda e non si libera dalle male piante pel semplice gusto di lavorare; ma per farvi una nuova piantagione, che ripaghi coi suoi frutti abbondanti il valore del terreno e la fatica. “Dimmi un po’, che giova — osserva ancora il Crisostomo — che si siano tolte tutte le spine se non vi si è sparso il buon seme? Se il tuo lavoro sarà rimasto imperfetto si finirà nello stesso danno di prima”. Perciò, anche il nostro S. Paolo, prendendosi cura di noi, non limita i suoi precetti alla amputazione ed alla estirpazione dei mali, ma esorta a far tosto la piantagione del bene (in Epist. ad Eph. Hom. 16, 2). E fa l’enumerazione delle buone opere che dobbiam coltivare, cominciando dalla semplicità, dalla schiettezza. Perciò, deposta la menzogna, ciascun parli al suo prossimo con verità, e continua, insegnandoci come dobbiamo usare della nostra lingua, guidare i moti del nostro cuore, diportarci nelle azioni esteriori. Sono insegnamenti che possono comprendersi tutti in uno: fuggite ogni vizio, e praticate ogni virtù. – La vita nuova, insomma, si riassume in questa norma, fare tutto l’opposto di quel che si faceva prima. San Agostino così commenta l’esortazione dell’Apostolo: Rivestitevi dell’uomo nuovo. « Ha voluto dir questo: Cambiate costumi. Prima amavate il secolo, adesso amate Dio » (Serm. 9, 8). Di questo mutamento di costumi ci dà un mirabile esempio Zaccheo. Zaccheo, capo dei doganieri incaricati di riscuotere le imposte a Gerico, ha la fortuna di ricevere in casa Gesù. Quella visita cangia totalmente il cuore del capo gabelliere. Prima era attaccato alle ricchezze che accumulava con angherie: ora se ne spoglia per prodigarne la metà ai poveri. Prima non badava tanto pel sottile, in fatto di giustizia: ora decide di restituire il quadruplo a chi avesse potuto recare qualche danno. Chi vuol condurre una vita nuova deve precisamente imitare Zaccheo. Se prima era bestemmiatore, ora lodi Dio; se era avaro, ora sia generoso; se era superbo, ora sia umile; se vendicativo, ora sia largo nel perdonare; se impudico, ora coltivi la castità. Pensieri, desideri, inclinazioni, discorsi, opere siano ispirate agli esempi dell’uomo nuovo, Gesù Cristo.
3.
L’Apostolo, parlando della condotta che deve tenere, chi, prima della conversione, rubava, così si esprime: Colui che rubava non rubi più: piuttosto s’affatichi attendendo con le proprie mani a qualche cosa di onesto, per aver da far parte a chi è nel bisogno. Èchiaro da queste parole che S. Paolo non solo richiede che l’uomo nuovo, invece di rubare lavori e renda quel che ha preso ingiustamente; ma accenna al dovere di mettersi in grado di espiare, con l’elemosina, il male che ha fatto, togliendo ai legittimi possessori ciò che a loro apparteneva. Il pensiero di riparare il mal fatto, di dare buono esempio là dove si era dato scandalo, di dare gloria a Dio in cambio delle offese a Lui recate, fu sempre il segreto dal grande progresso nella via della santità da parte dei convertiti. Una vera riforma di noi stessi comincia col riconoscere la nostra miseria, e confessare con tutta schiettezza al cospetto di Dio: « Eccoci dinanzi a te col nostro peccato » (1 Esd. 9, 15). Poi prosegue, distruggendo in noi il regno del peccato, per mezzo delle buone opere; ma non si ferma qui. Cerca, non fosse che per riconoscenza a Dio, che con la sua grazia l’ha tratto dalla via della perdizione, di distruggere il peccato anche negli altri. Così ha fatto Davide. Alla parola del profeta Natan si scuote: riconosce la propria colpa: «Io conosco la mia prevaricazione, e il mio peccato mi sta sempre dinanzi»; e la confessa sinceramente davanti a Dio: « Contro di te solo ho peccato e ho fatto il male al tuo cospetto »; poi, domanda al Signore la grazia di divenire un uomo completamente nuovo: « Crea in me, o Signore, un cuor puro, e rinnova dentro di me uno spirito retto »; inoltre protesta di voler insegnare ai peccatori a rimettersi, come lui, sulle vie del Signore: « Insegnerò ai peccatori le tue vie, e i peccatori si convertiranno a te » (Salm. L, 4… 5… 11… 14). Chi ha rubato beni materiali, procuri per spirito dì riparazione di mettersi in grado di far l’elemosina ai bisognosi. Chi con i suoi discorsi, con le sue azioni, con la propaganda ha tolto o indebolito la fede, ha prodotto il rilassamento dei costumi, deve fare il possibile per ricondurre a Dio quelli che se ne sono allontanati. E se non gli sarà possibile ricondurre a Dio quegli stessi che furono allontanati da lui, glie ne riconduca degli altri. E cerchi di ricondurgli specialmente quelli che se ne sono allontanati maggiormente. Davide si propone di ricondurre a Dio gli iniqui e gli empi. Quanto più uno è avvolto nelle tenebre, tanto più ha bisogno di chi lo indirizzi pel retto sentiero; quanto più uno è immerso nel pantano, tanto più ha bisogno dell’opera di chi l’aiuti a uscirne. – E se non potrà fare quanto il suo cuore brama per riparare la vita passata, procuri di fare quel che può; e se non gli è possibile di riparare direttamente, ripari indirettamente con la preghiera, coi patimenti, con le mortificazioni accettati e offerti a Dio con l’intenzione di riparare le mancanze della vita passata.
Graduale
Ps CXV: 2
Dirigátur orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo, Dómine. [Si innalzi la mia preghiera come l’incenso al tuo cospetto, o Signore.]
V. Elevatio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Allelúja, allelúja [L’’elevazione delle mie mani sia come il sacrificio della sera. Allelúia, allelúia]
Ps CIV: 1
Alleluja
Alleluja, Alleluja
Confitémini Dómino, et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus. Allelúja. [Date lode al Signore, e invocate il suo nome, fate conoscere tra le genti le sue opere.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XXII: 1-14
“In illo témpore: Loquebátur Jesus princípibus sacerdótum et pharisaeis in parábolis, dicens: Símile factum est regnum cœlórum hómini regi, qui fecit núptias fílio suo. Et misit servos suos vocáre invitátos ad nuptias, et nolébant veníre. Iterum misit álios servos, dicens: Dícite invitátis: Ecce, prándium meum parávi, tauri mei et altília occísa sunt, et ómnia paráta: veníte ad núptias. Illi autem neglexérunt: et abiérunt, álius in villam suam, álius vero ad negotiatiónem suam: réliqui vero tenuérunt servos ejus, et contuméliis afféctos occidérunt. Rex autem cum audísset, iratus est: et, missis exercítibus suis, pérdidit homicídas illos et civitátem illórum succéndit. Tunc ait servis suis: Núptiæ quidem parátæ sunt, sed, qui invitáti erant, non fuérunt digni. Ite ergo ad exitus viárum et, quoscúmque invenéritis, vocáte ad núptias. Et egréssi servi ejus in vias, congregavérunt omnes, quos invenérunt, malos et bonos: et implétæ sunt núptiæ discumbéntium. Intrávit autem rex, ut vidéret discumbéntes, et vidit ibi hóminem non vestítum veste nuptiáli. Et ait illi: Amíce, quómodo huc intrásti non habens vestem nuptiálem? At ille obmútuit. Tunc dixit rex minístris: Ligátis mánibus et pédibus ejus, míttite eum in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.”
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
SPIEGAZIONE XLVII.
“In quel tempo Gesù ricominciò a parlare a’ principi dei Sacerdoti ed ai Farisei per via di parabole dicendo: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gl’invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agl’invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e trattaronli ignominiosamente, e gli uccisero. Udito ciò il re si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi e diede alle fiamme le loro città. Allora disse a’ suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate dunque ai capi delle strade e quanti riscontrerete chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovarono, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito da nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi, e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridor di denti. Imperocché molti sono i chiamati e pochi gli eletti” (Matth. XXII, 1-14).
L’ora solenne, in cui Gesù Cristo avrebbe offerto il sacrifizio di se stesso al suo divin Padre, era già assai vicina. Non vi mancavano che quattro giorni. Ed Egli che era già entrato trionfante in Gerusalemme e in tale circostanza aveva rinfiammate le ire dei suoi nemici, continuava tuttavia con una maestà e serenità ammirabili a predicare agli uomini le grandi verità del Vangelo. Anzi poiché i principi dei Sacerdoti ed i Farisei, sempre però con un cattivo animo, venivano ancor essi ad ascoltarlo, ad essi medesimi, come si nota nel Vangelo di questa domenica, prese a parlare per via di parabole, studiandosi ogni modo di scuoterli se fosse stato possibile dalla loro malvagità, indurli a conoscere i loro errori e a ravvedersene. Ma pur troppo quegli uomini pieni di orgoglio e di malizia non volevano capire quelle preziose verità, che tanto li interessavano ed, anzicché dall’annunzio delle medesime trarre argomento per il loro bene, ne ricavavano pretesto per invelenire sempre più contro Gesù Cristo. Noi, per la grazia di Dio, vogliamo agire ben diversamente; epperò ascolteremo stamattina con grande attenzione la parabola del Santo Vangelo di oggi e vi faremo sopra salutari riflessi.
1. Disse adunque Gesù: Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece lo sposalizio del suo figliuolo. E mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, e non volevano andare. Mandò di nuovo altri servi, dicendo: Dite agli invitati: Il mio desinare è già in ordine, si sono ammazzati i buoi e gli animali di serbatoio, e tutto è pronto, venite alle nozze. Ma quelli misero ciò in non cale, e se ne andarono chi alla sua villa, chi al suo negozio: altri poi presero i servi di lui, e trattaronli ignominiosamente, e gli uccisero. – E qui cominciamo adosservare che il re, di cui trattasi in questa parabola, non ò altri che Dio medesimo; lo sposo è il Figliuol suo Gesù, il quale si unì in mistiche nozze con la Chiesa; e il banchetto, a cui sono invitati dei commensali senza numero sono la dottrina di Gesù Cristo, i suoi Sacramenti, le sue grazie infinite. Dopo il peccato originale Iddio nella sua misericordia aveva promesso questo misterioso banchetto, lo aveva rivelato primieramente ai nostri colpevoli progenitori, invitandoli egli medesimo a rendersene degni coi travagli della loro penitenza e con le lagrime del loro pentimento. Tutti quelli poi, che hanno preceduto la venuta del Messia, erano chiamati a parteciparvi mercé la fede, la speranza e l’amore a Dio e al Redentore promesso. Ed affinché non lo dimenticassero, il Signore mandava loro a ricordarlo i suoi servi. Erano i patriarchi, coi quali Iddio degnavasi comunicare se stesso. Dopo le divine comunicazioni che ad essi venivano fatte, eglino radunavano i numerosi loro figliuoli intorno alla loro tenda e sotto i palmizi del deserto, ed ivi con voce solenne ripetevano le speranze dell’avvenire. Erano i profeti, uomini ispirati, che penetravano l’oscurità dei secoli. Iddio li collocava in certa guisa in faccia al suo divin Figliuolo incarnato. Essi lo vedevano pieno di bontà e di grazia, in tutti i particolari della sua nascita e della sua vita privata e pubblica. E poi lo scorgevano come l’uomo dei dolori e in tono lamentevole cantavano la sanguinosa sua passione ed il suo generoso sacrificio. E poi alzavano un grido di letizia, intonavano l’alleluia del trionfo; avevano veduto il Cristo risorto uscir dal sepolcro, divenuto glorioso. Questo vedevano i profeti suscitati da Dio, e quanto vedevano essi, tanto comunicavano agli uomini del loro tempo. E tutti quelli, che udivano l’inspirata loro voce, potevano eccitarsi al desiderio, alla speranza ed all’amor del prossimo Messia. In seguito Iddio, questo gran Re dell’universo, dopo di avere invitato gli uomini al banchetto della verità e delle grazie celesti per mezzo dei suoi servi, i patriarchi ed i profeti, li invitò parlando ad essi per mezzo dello stesso suo divin Figliuolo, e dopo la sua morte, la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, continuò e continua tuttora ad invitarli per mezzo degli apostoli, dei Sacerdoti e dei missionari, i quali se ne vanno sino agli estremi confini della terra per fare a tutti da parte di Dio questo invito: Venite, venite, o uomini tutti, al banchetto della grazia, dei Sacramenti, della dottrina celeste, che Iddio ha apparecchiato per tutti nella Chiesa Cattolica. E benché vi siano tanti fra gli uomini, i quali non ascoltino quegli inviti, che loro vengono fatti, Iddio continua sempre a mandare altri servi, altri apostoli, altri predicatori della sua divina parola a ripetere quegli insistenti inviti. Or bene, o miei cari, questa condotta di Dio verso gli uomini non è sommamente ammirabile per la sua bontà, per la sua misericordia e per la sua pazienza? Allorquando noi offriamo un benefìcio che è disconosciuto, non sentiamo forse nel nostro animo del disgusto per l’ingrato, che ci respinge? In questo caso non potendo punirlo, noi lo abbandoniamo almeno alla sua ingratitudine ed alla sua indifferenza, non vogliam più sentirne parlare, e cerchiamo altri cuori, che sappiano comprenderci ed apprezzarci meglio. Eppure Dio non agisce così. Disconosciuto, respinto, ingiuriato, non domanda alla sua giustizia quanto essa ha di più terribile. Potrebbe per lo meno abbandonare gl’ingrati, lasciarli in preda alla loro bassezza, aspettando il giorno del giudizio e dei suoi rigori. No, Ei non si allontana; ritorna, incalza, supplica, scongiura; direbbesi esser Lui obbligato; Lui che da tutta l’eternità è sovranamente beato nel soggiorno della sua gloria. Leggete la storia del popolo ebreo, e riconoscerete essere dessa la storia della pazienza, della misericordia, della longanimità di un Dio sempre tradito, sempre ingiuriato da un popolo sempre ingrato, sempre ribelle. Niente risparmiò: promesse, benefizi, perdono; ed anche allora quando era costretto a punire, uno era il suo pensiero: ricondur quel popolo sul sentiero del dovere e sulla strada della felicità. Con tutto ciò Iddio non vi riuscì, anzi gli Ebrei arrivarono all’eccesso di mettere in croce il Messia, di dare la morte ai servi di Dio, come a Santo Stefano e a S. Giacomo, e di perseguitare tutti gli altri Apostoli. Quale ingratitudine! Ma sgraziatamente non furono i soli Ebrei a trattare così coi servi inviati da Dio ad invitare gli uomini alla sua Chiesa. Per tre secoli continui gli imperatori romani si scagliarono massimamente contro gli inviati di Dio, e senza contare i Vescovi, i Sacerdoti, furono ben circa trenta i Sommi Pontefici, che essi misero a morte. Ed anche oggidì in alcuni paesi, persino Paesi cattolici, si continua a perseguitare, a massacrare i messi del Vangelo. Ma se Iddio è infinitamente paziente, non lascia di essere pure infinitamente giusto. Epperò che cosa fa egli?
2. Gesù continuando la parabola disse che il re, come ebbe udito la sorte a cui erano stati assoggettati i suoi servi, si sdegnò; e mandate le sue milizie, sterminò quegli omicidi, e diede alle fiamme le loro città. Or ecco quello che ha fatto e farà Iddio con tutti coloro, i quali oltre il non aver accettati i suoi inviti di entrar nella sua Chiesa, si fecero ancor a perseguitare coloro che, a nome di Dio facevano tali inviti. Si sdegna contro di essi, e levandosi nel suo furore li stermina. Contro di Gerusalemme e di tutti gli Ebrei mandò le milizie romane, che incendiarono e che rovinarono al suolo quella loro città, dopo di aver fatto patire agli stessi tutti gli orrori del più lungo e terribile assedio. Per riguardo poi agli imperatori Romani il celebre scrittore cristiano Lattanzio ha potuto scrivere un libro, nel quale appunto si dimostra, che tutti per aver perseguitato i servi di Dio, perirono miseramente. Difatti Nerone, che oltre a tanti Cristiani mise pure a morte S. Pietro e S. Paolo, alla fine perseguitato da tutto il popolo romano si rifuggì in una villa suburbana, dove sentendo avvicinarsi i soldati che lo cercavano, finì per cacciarsi un pugnale nella gola. Domiziano ricevette una pugnalata nel ventre. Settimio Severo morì di malinconia o di veleno. Massimino fu trucidato dai suoi soldati. Valeriano, fatto schiavo di Sapore, re della Persia, doveva servir come di staffa a questo re, quando montava sul cavallo ed alla fine per ordine del medesimo venne scorticato vivo. Massimiano da se stesso si impiccò. Diocleziano perì di fame e Galerio morì roso dai vermi. Che dire poi della fine miseranda della maggior parte degli eretici, i quali ancor essi così astutamente perseguitarono i servi di Dio? Quell’Ario che era riuscito a fare un danno così grande alla Chiesa co’ suoi errori, alla fine, proprio allora che egli credeva di aver ottenuto un completo trionfo su di Essa, e andava tutto glorioso per le strade di Costantinopoli, fu colpito da sì terribile malore, per cui nel modo più orrendo e disperato perdette tosto la vita. E Lutero e Calvino, gli autori scellerati del Protestantesimo e i nemici più accanititi dei Romani Pontefici come finirono? Alcuni dicono che il primo morisse fra i più acuti dolori di stomaco dopo un’enorme indigestione ed altri ultimamente dimostrano che egli siasi impiccato: del secondo poi si sa che morì chiamando i demonii, maledicendo a se stesso e mandando puzza insoffribile dalle sue piaghe. E finalmente, per tacere di ogni altro, come finì l’empio Voltaire? Venuto all’estremo della vita, chiese di un prete per confessarsi, ma poiché i suoi amici e seguaci erano là alla porta della sua stanza per non lasciarvi entrare il prete che desiderava, Voltaire preso dalla rabbia, urlando e bestemmiando…, morì disperato. – Ecco in qual modo il gran Re del Cielo e della terra si sdegna e si vendica contro di coloro che, oltre a non ascoltare i suoi ministri, si fanno a perseguitarli. Egli li castiga e terribilmente: anzi è lì dove manifesta in tutto il suo fulgore, la sua giustizia e dove fa gravare tutto quanto il peso delle sue tremende vendette. Impariamo di qui ad avere noi sempre il massimo rispetto per i servi del Signore, quali sono presentemente per noi il Santo Romano Pontefice, i Vescovi, i Parroci e tutti i Sacerdoti. Che se pur qualche volta tra questi ministri del Signore, se ne presentasse dinanzi a noi qualcuno indegno, compatiamolo anzi tutto col ricordare che il carattere sacerdotale se impone al Sacerdote il dovere di vivere santamente e il Sacramento dell’ordine glie ne conferisce la grazia, non gli tolgono però il suo essere di uomo, epperò lasciano ancor lui nel pericolo di cadere; e poi imitiamo l’esempio del gran Costantino, il quale diceva: Un tal sacerdote vorrei coprirlo col mio manto, perché nessuno lo vedesse e nessuno ne parlasse male. Rispettiamoli, i servi di Dio, con l’obbedire ai loro comandi, col praticare i loro consigli e le loro esortazioni, con l’assecondare i loro affettuosi inviti. Rispettiamoli col credere fermamente tutte quelle verità, che a nome di Dio essi ci propongono a credere e con l’osservare quella santa legge che essi ci predicano; rispettiamoli infine con l’evitare ogni discorso, ogni insulto contro di essi, temendo sempre che mancando noi di rispetto ai ministri di Dio, Iddio faccia sentire anche su di noi il peso delle sue vendette. Ma più ancora che per timore rispettiamoli per amore, pensando che sono essi, questi servi del Signore, che col loro ministero, non solo ci hanno invitato, ma ci hanno accolti nella Chiesa e ci fanno godere del banchetto delle verità e dello grazie celesti.
3. Venendo il divin Redentore a narrare l’ultima parte della parabola soggiungeva: « Allora il re disse ai suoi servi: Le nozze erano all’ordine, ma quelli che erano stati invitati, non furono degni. Andate adunque ai capi delle strade, e quanti riscontrerete, chiamate tutti alle nozze. E andati i servitori di lui per le strade, radunarono quanti trovavano, e buoni e cattivi; e il banchetto fu pieno di convitati. Ma entrato il re per vedere i convitati, vi osservò un uomo che non era in abito di nozze. E dissegli: Amico, come sei tu entrato qua, non avendo la veste nuziale? Ma quegli ammutolì. Allora il re disse ai suoi ministri: Legatelo per le mani e pei piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori: ivi sarà pianto e stridore di denti. Imperocché molti sono i chiamati, e pochi gli eletti. – Or bene, o miei cari, che cosa indica questa seconda parte della parabola? Indica una verità assai terribile. Gesù Cristo vuol farci intendere che se per la sua immensa bontà sono senza numero coloro che sono ammessi in seno alla Chiesa, non per questo tutti costoro potranno un giorno partecipare al banchetto dell’eterna felicità del paradiso. Vi parteciperanno soltanto coloro che, nella visita che Egli farà di ciascuno nel giorno del giudizio, saranno trovati avere indosso la veste nuziale della fede animata dalla carità, vale a dire dalle buone opere. Imperciocché in quel dì del giudizio Egli farà passare quanto abbiamo fatto in vita nostra per vedere appunto se essendo stati chiamati per sua bontà nella sua Chiesa ad essere Cristiani, avremo pur vestito con la fuga del peccato e con l’adempimento delle buone opere l’abito della carità e della grazia. Chi sei tu, allora domanderà, chi sei tu? Cristiano, si risponderà. Se tu sei Cristiano, vediamo se hai portata indosso la veste del vero Cristiano, osservando la mia legge. Indi comincerà a rammentarci le promesse fatte nel santo Battesimo, con le quali rinunciammo al demonio, al mondo, alla carne; ci rammenterà le grazie concesse, i Sacramenti frequentati, le prediche, le istruzioni, le correzioni dei parenti e dei superiori, ogni cosa ci verrà schierata innanzi. Ma tu, dirà il Giudice, a dispetto di tanti doni, di tante grazie, quanto male corrispondesti alla professione di Cristiano. Appena hai cominciato a conoscermi, tosto hai cominciato ad offendermi. Crescendo poi in età, aumentasti il disprezzo della mia legge. Messe perdute, profanazione dei giorni festivi, bestemmie, confessioni mal fatte, Comunioni senza frutto e talvolta sacrileghe, ecco quanto facesti invece di servirmi. Si volterà poi il divin Giudice tutto pieno di sdegno verso lo scandaloso dicendogli: Vedi quell’anima che cammina per la strada del peccato? Sei tu che con i tuoi discorsi le insinuasti la malizia. Vedi quell’altra che è laggiù nell’inferno? sei tu che coi perfidi tuoi consigli la togliesti a me, la consegnasti al demonio e fosti causa della sua perdizione. E tu senza la veste nuziale, avendola anzi strappata di dosso ad altri, pretendi aver parte al banchetto dell’eterna felicità? Ma no, sciagurato! E poiché il misero a queste parole del divin Giudice, come quello della parabola, resterà muto, non trovando scusa alcuna per difendersi davanti alla realtà del male, che in tutta la sua schiettezza gli si farà innanzi; Iddio allora si volgerà agli Angeli suoi ministri e darà loro ordine, che preso il disgraziato lo piombino nel fondo dell’inferno. Dite, o miei cari, il pensare a questo caso non mette forse spavento? Eppure non c’è da tremare considerando come tanti Cristiani, chiamati da Dio a far parte della sua Chiesa, vi appartengano proprio unicamente pel Battesimo, ma non già per la grazia, per la carità, per le buone opere? Ah! miei cari, che nessuno di noi si trovi nel numero di questi sventurati. Iddio, senza che in noi vi fosse alcun merito, ci ha chiamati ad entrar nella sua Chiesa a preferenza di tanti altri. Corrispondiamo a questo sì grande benefizio; epperò procuriamo mai sempre di conservare candida quella veste di grazia, con la quale Iddio stesso ci ha rivestiti il dì del Battesimo: che se l’abbiamo macchiata, laviamola prontamente nel Sacramento della penitenza, e poi studiamoci di non lordarla più mai, affinché al termine della nostra vita, possiamo presentarci al tribunale di Dio con questa bella veste, ed essere perciò da Lui affettuosamente ammessi a godere per sempre del celeste banchetto.
Credo …
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus
Ps CXXXVII: 7
Si ambulávero in médio tribulatiónis, vivificábis me, Dómine: et super iram inimicórum meórum exténdes manum tuam, et salvum me fáciet déxtera tua. [Se cammino in mezzo alla tribolazione, Tu mi dai la vita, o Signore: contro l’ira dei miei nemici stendi la tua mano, e la tua destra mi salverà.]
Secreta
Hæc múnera, quǽsumus, Dómine, quæ óculis tuæ majestátis offérimus, salutária nobis esse concéde. [Concedi, o Signore, Te ne preghiamo, che questi doni, da noi offerti in onore della tua maestà, ci siano salutari.]
Comunione spirituale:
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/
Communio
Ps CXVIII: 4-5
Tu mandásti mandáta tua custodíri nimis: útinam dirigántur viæ meæ, ad custodiéndas justificatiónes tuas. [Tu hai ordinato che i tuoi comandamenti siano osservati con grande diligenza: fai che i miei passi siano diretti all’osservanza dei tuoi precetti.]
Postcommunio
Orémus.
Tua nos, Dómine, medicinális operátio, et a nostris perversitátibus cleménter expédiat, et tuis semper fáciat inhærére mandátis. [O Signore, l’opera medicinale del tuo sacramento ci liberi benignamente dalle nostre perversità, e ci faccia vivere sempre sinceramente fedeli ai tuoi precetti.]
Preghiere leonine:
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/
Per l’Ordinario vedi:
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/