LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)
P- B. LAR – RUCHE
LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)
OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.
ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO
N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI
Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.
Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.
26. Se non vi farete come bambini…
Non vo asserirlo categoricamente: tuttavia mi sembra che da quanto ho detto fin qui, si dovrebbe facilmente capire quale debba essere la nostra preghiera per poter dire ch’essa è fatta bene. Per farmi però comprendere sempre meglio, mi servirò d’una similitudine che mi pare assai appropriata all’argomento che ho per mano. Come si diporta una buona bambina dai quattro ai sei anni, di fronte alla mamma, ch’è pur la sua provveditrice? — E’ presto detto. Ogni qualvolta essa ha bisogno di qualcosa, si presenta umilmente, sì, ma anche con tutta confidenza, semplicità e candore alla mamma; e con bella maniera e col cuore sulle labbra le chiede ciò di cui sente il bisogno. Ma quanti sono i bisogni d’una bambina? Essa ha sempre qualcosa da chiedere; e quindi tante son le preghiere, quanti sono i suoi più o meno reali bisogni. Una buona bambina poi non dubita nemmeno che la mamma possa darle un rifiuto. Essa sa che la mamma le vuol bene, e che, se anche pel momento non le dà ciò che essa chiede, gliela darà certamente a tempo opportuno, disposta a fare anche dei gravi sacrifici per procurarglielo. Perciò, quantunque a principio ne riceva un rifiuto, non s’imbroncia, non s’impermalisce, nè si perde d’animo; ma tanto prega, insiste, supplica e scongiura, finché riesce a strapparle ciò che desidera. E la mamma certamente, alla cara creaturina delle sue viscere, darà tutto ciò. che può darle, rifiutandole a mala pena quanta potesse recar danno alla sua salute ed incolumità. Se poi quella cara bambina avesse ad ammalarsi, oh, allora bisogna vedere ciò che sa fare una mamma per farla guarire e salvarla! (Mi piace vedere in Dio, « la cui natura è bontà », lo stesso contegno verso i grandi malati spirituali, che sono i poveri peccatori). Ma una buona bambina non ha solo lingua per domandare: essa ha anche cuore, e tanto cuore! Perciò procura di star vicina alla mamma; e lì, con tutta piacevolezza, sentimento e candore, le parla delle cose proprie, s’interessa delle cose di lei: dice e ripete tante e tante cosette! Se sa che un servizio torna gradito alla mamma, se può darle qualche aiuto, qualche conforto, qualche gioia, essa è pronta, essa lo fa, essa la dà, prevenendo spesso i di lei desideri. Se si accorge d’averla — anche senza volere — disgustata, ne sente subito gran pena, piange per dispiacere, le chiede perdono, promette di non far più così, e tutto si combina con un caldo bacio e con una reciproca stretta al cuore. Se poi viene a sapere che altri ha disgustata la sua buona mamma, essa ne prova una indicibile pena e ne sente immenso dolore; e corre tosto al suo seno per confortarla e consolarla colle sue buone parole, coi suoi vezzi amorosi, coi suoi amabili sorrisi, colle sue tenere carezze. – O cara ed amabile bambina, deh! insegnaci a trattare col nostro grande e buon Padre celeste e colla nostra amorosa Mamma che abbiamo in Paradiso, come tu sai trattare colla mamma del tuo cuore. Dicci però ancora che il Signore Iddio nostro è assai più buono e ricco di tua mamma, e che la gran Madre celeste ti vuole assai più bene, che non quella che hai quaggiù. Ed infine insinuaci pure che, di fronte a Dio ed alla Santissima Vergine, noi tutti — fossimo anche re e principi — siamo poveri bambini bisognosi di tutto, ma anche da loro tanto amati; ed allora noi saremo, convenientemente istruiti sulla preghiera. – Detto questo si vede chiaramente quale sia per tanti nostri uomini il più grande ostacolo che li trattiene dal pregare: l’orgoglio, la superbia. Pare incredibile che su questa terra piena di miserie, di debolezze, di malanni, di tranelli, di sofferenze, di languori, di disastri, di cataclismi, di malattie e di morti, possa tuttavia allignare la superbia e l’orgoglio! Eppure quanti di noi sono schiavi di questa, ch’io non esito a chiamare la più mostruosa di tutte le tendenze umane e la più vergognosa ed inconcepibile di tutte le passioni. Non per nulla però essa è la principessa di tutti i vizi! « Credo che la superbia sia un grande delitto — scrive S. Agostino. — E come no, se essa scacciò dal Paradiso l’Angelo per eccellenza, se di lui fece un diavolo, e lo bandì per tutta l’eternità dal regno de’ cieli? Grande delitto è la superbia e causa di tutti i delitti… Non è un piccolo male questo vizio, o fratelli. Esso fa che l’umiltà cristiana non sia gradita alle persone autorevoli e perbene. Per questo vizio esse sdegnano di sottomettere il collo al giogo di Cristo, e lo legano tanto più tenacemente a quello del peccato. Infatti, non possono non essergli soggette. Non vorrebbero esserlo, ma l’esserlo è loro utile. In quanto non vorrebbero essere soggette a nessuno, esse a non altro riescono che a non servire il Signore, che è buono, e non già a non servire affatto; poiché chi non vuol servire alla Carità (Dio è carità), serve necessariamente al peccato. Da questo che è il principio di tutti i vizi, poichè da esso son nati tutti gli altri, procede l’apostasia dal Signore » (Ennarr. 2, Ps. XVIII, n. 25). Questa deleteria disposizione dell’uomo pur di fronte al gran Dio, è assai vivamente ritratta, nel suo « Testamento di Gesù » (CP. I, med. III), dal ben noto P. Petazzi S. J., con queste parole: « Il Cristianesimo è la religione dell’umiltà, è la professione della propria impotenza a raggiungere Dio e della infinita degnazione di Lui che si abbassa per sollevare l’uomo consapevole della propria miseria. Qui è tutta la fede! Il riconoscere soltanto l’abbassamento di Dio verso l’uomo senza essere intimamente e praticamente convinti dell’abisso di miseria in cui l’uomo giace e giacerebbe sempre se Dio Salvatore non si chinasse sopra di lui, è rinnegare praticamente la fede. Questa è la vera ragione per cui molte anime sciagurate rifiutano il Cristianesimo: rifiutano il bacio e l’amplesso di Gesù Salvatore, non perché questo bacio non sia tenerissimo, ma perché per riceverlo bisogna cadere ai suoi piedi confessando di essere miserabili ». Perciò — aveva detto poco prima lo stesso Padre — « l’anima che crede in se stessa e fa assegnamento sulle sue forze, allorquando si trova ricaduta nelle antiche miserie, non trova più alcun punto di appoggio e se ne giace intorpidita, oppure tenta stoltamente di persuadere se stessa di non essere caduta davvero: non vuol dire quella parola che tanto schiaccia l’amor proprio: « Sono un miserabile! Abbi pietà di me! », e così ritarda e fors’anche impedisce l’amplesso misericordioso di Dio. L’anima (invece) che crede in Gesù, e solo in Lui, riconosce subito la propria miseria, lo chiama immantinente in soccorso; e Gesù la solleva con tanto amore che essa deve esclamare: « O Signore, Vi ringrazio d’avermi umiliata! » (Salmo CXVIII, 71). Dopo queste espressive parole del pio P. Petazzi, dovrebbero apparire in tutta la loro limpidezza anche queste poche e brevi sentenze, tratte dalla S. Scrittura e dagli scritti dei Santi: « Dio resiste ai superbi, e dà la grazia agli umili. Il Signore bada alle preghiere degli umili, e non disprezza le loro suppliche. Tu, o Dio, hai sempre mirato con buon occhio le preci degli umili. Se qualcuno crede d’esser qualcosa, mentre è nulla, si seduce » (Giac. IV, 6; Salmo CI, 18: Giud. 9, 16; Gal. VI, 3). — « In molti la presunzione d’esser fermi e stabili è di ostacolo alla loro fermezza e stabilità. Nessuno certamente sarà fermo, se non si crede debole ed infermo. Iddio dà della sua forza soltanto a chi sente e riconosce la propria debolezza » (Agostino). « Se alcuno dice di non aver timore, è segno che costui ha fiducia in se stesso e nei suoi propositi; ma questi con tal confidenza da se medesimo vien sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi al Signore; ed allora certamente cadrà » (S. Alfonso). Si sa: quanto dicono qui S. Agostino e S. Alfonso, sembrerà poco men che… arabo a tanti che leggeranno queste righe. Ma pure non è diversamente di così. Bisogna ben dire che la superbia e l’orgoglio fan venire le traveggole! – E’ poi forse questo il posto in cui riuscirà meno inopportuno che altrove, il rilievo che fa pure il Ramière « Dio, infinitamente liberale per natura — ei scrive — si compiace di proteggere i capi delle famiglie e quelli delle nazioni quando essi, con l’umiltà della preghiera, rispettano i diritti della sua gloria; ma senza venir meno a se stesso, non può loro concedere la sua protezione ove pretendano di bastare a se medesimi e far di sè il proprio nume ». – Del resto mi sembra che sia abbastanza ridicolo chi vuol farsi vedere grande perfino dinanzi a Dio: ridicolo, e nello stesso tempo orrendamente offensivo alla infinita Maestà di Dio. « Non per nulla nostro Signor Gesù Cristo ha dimostrato sempre uno speciale aborrimento e un’irriducibile avversione a questo peccato: Egli, la misericordia infinita, che si piega fino a terra per sollevare dal fango l’adultera; Egli il buon Pastore che non disdegna l’impuro contatto della peccatrice di Magdala, venuta dalle più spinose siepi; Egli il Padre tenerissimo che accoglie in un delirio d’amore il prodigo figliuolo, s’irrigidisce di fronte ai superbi e non ha per essi che parole di fuoco ed invettive sdegnose: Ipocriti, razza di vipere, sepolcri imbiancati! » (Cereda in « Rivista del Clero Italiano » 1939, pag. 438). – Quindi, se vogliamo veramente divenir grandi davanti a Dio e davanti a tutti, seguiamo il consiglio e l’esempio di quel Gesù che, dopo aver detto che « sarà esaltato chi si umilia », « umiliò se stesso fino alla morte, ed alla morte di croce » ( Luc. XIV, 11; Filip. II, 8). Eh, sì! Se vogliamo andare in Paradiso, bisogna che siamo umili, poiché sta scritto: « Se non vi farete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli » (Matt. XVIII, 3); e ciò anche perché il superbo non è in grado di adoperare bene « la chiave del cielo » S. Agostino) che è la preghiera. Infatti il Fariseo che andò al Tempio per « pregare », non riuscì ad altro che a vantare altezzosamente le sue benemerenze e a manifestare il suo disprezzo verso il prossimo; e fu da Gesù condannato senza remissione (Luc. XVIII, 10-14). Ah, no! Chi è superbo ed orgoglioso non può pregar bene; perciò non può essere esaudito nelle sue mire, e tanto meno può aspirare al Paradiso, dal quale fu espulso appunto il primo superbo, Lucifero, con tutti i suoi seguaci. Perciò non erra affatto il santo Curato d’Ars, quando, insieme ad altri, dice: « Un carro di buone opere trascinato dalla superbia, va sempre a finire nell’inferno; invece un carro di miserie trainato dall’umiltà, va in Paradiso ». Teniamolo bene a mente.
27. — Altre cose importanti a sapersi.
E’ troppo evidente che non ha buona disposizione per essere esaudito chi s’impermalisce o s’indispettisce se Dio non dà immediatamente corso favorevole alle istanze rivoltegli. Il nostro grande e buon Amico celeste si alzerà, sì, anche nottetempo, se ricorreremo a lui per chiedergli il pane di cui abbiamo bisogno. Ma se egli ci fa capire che, prima di venire ad accontentarci, vuole che gli scuotiamo ben bene la porta di casa e che disturbiamo anche gli Angeli ed i Santi del Paradiso, perchè staremo noi titubanti? Oh! diamo pur dentro con insistenza (Luc. XI, 5-8); tanto più che abbiamo anche qualche pezzo grosso che ci dà spalla. Infatti « S. Girolamo dice che le nostre preghiere, quanto più son perseveranti, tanto più sono accette a Dio » (S. Alfonso). E perciò « bisogna che continuamente facciamo, per così dire, violenza a Dio, affinché ci soccorra sempre; ma violenza che gli è cara » (S. Alfonso). – Proprio così. A te infatti convien credere che « Dio non ingannerà la tua fiducia. Se tarda a venire, aspettalo; poiché verrà certamente, e non tarderà » (Abac. II, 3). Anzi « sappi che chi umilmente persevera a chiedermi grazie — disse Gesù a S. Caterina — farà acquisto di tutte le virtù ». Eh, sì! « La preghiera è un’ambasciatrice assai nota presso il Re dei cieli; e come tale è abituata a penetrare fino nel gabinetto del Re, e colla sua importunità piega il suo cuore che è pieno di tenerezza » (S. Bernardino). – E se non ci vediamo tosto esauditi, riteniamo che la grazia da noi richiesta ci vien differita o commutata in altra migliore per il maggior bene delle anime nostre. Ma della perseveranza della preghiera si è già detto assai nel cap. 17 e 23; e quindi passo oltre, non senza aver però avvertito d’una cosa assai importante che è la seguente: Dalla perseveranza nella preghiera dipende la perseveranza del vivere in grazia di Dio, la perseveranza finale ed una buona morte seguita dal premio eterno del Paradiso: « Chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvo » (Matt. X, 22). – Ma altri ostacoli ancora possono impedire l’efficacia delle nostre preghiere; tra i quali, non ultimi, sono la scarsezza della nostra fede e la mancanza di fiducia. Che cosa infatti si dovrebbe dire di chi non credesse all’infinita potenza e bontà di Dio, ed alla buona disposizione ch’Egli ha di concederci i suoi favori? Ah! la preghiera (ma è poi preghiera questa?) di chi si trova in tale stato d’animo è già viziata in radice. È ben vero che il Signore ha già fatto delle grazie e talvolta dei veri miracoli perfino in favore di increduli e persone disperate, che non s’aspettavano certo da Dio, un tiro somigliante. Noi però non possiamo fare assegnamento su tali favori del tutto straordinari. Dobbiamo invece fare attenzione a quanto ci dicono in proposito le Ss. Scritture, i Ss. Padri e gli Uomini di Dio. Ecco qua, per esempio: « Se voi avrete fede e non vacillerete, non solo farete com’è stato fatto a questa ficaia (Gesù l’aveva fatta seccare sull’istante); ma se anche diceste a questo monte: Levati di là e gettati nel mare, sarà fatto. Ogni cosa che domanderete con fede, l’otterrete » (Matt. XXI, 21-22). « Chieda però con fede senza esitare affatto » (Giac. 1, 6), poiché « chiunque ha fede è certo della potenza di Dio e della sua misericordia » (S. Tom. d’Aq.); invece « Dio non vuole esaudirci, se non chiediamo con certezza di essere esauditi » (S. Alfonso). E se la nostra fede fosse scarsa? Ma « perché la fede è poca, debole, deficiente anche in anime che pretendono di vivere proprio cristianamente? Perché non pregano o non pregano bene! Nutrimento della fede è la preghiera umile, fiduciosa, perseverante » (Calvi. « Vita inter. I ed. pag. 126). Già! « Il fondamento della preghiera è la fede. Dunque crediamo per poter pregare, e preghiamo che questa fede che ci fa pregare, non ci manchi mai, nè s’intiepidisca » (S. Agostino). — Teniamo nel debito conto questi saggi avvertimenti. Riguardo poi alla fiducia, « guardate, o figliuoli, le umane generazioni, e sappiate che niuno sperò nel Signore e rimase confuso. Chi mai l’invocò, e ne fu disprezzato?… Poiché ha riposto in me la sua fiducia, Io lo libererò. Se c’è tra di voi chi ha bisogno di sapienza, la domandi a Dio che dà a tutti abbondantemente e non rimprovera, e gli sarà data » (Eccli. II, 11-12: Salmo XC, 14; Giac. 1, 5). Perciò « noi umiliamo le nostre preci davanti al tuo cospetto, Dio, non fidati nella giustizia delle nostre opere, ma pieni di fiducia nella tua grande misericordia » (Dan. IX, 18). Infatti « l’impetrare ciò che chiediamo non si fonda — come già dicemmo — sul nostro merito, ma sulla divina misericordia » (S. Tom. d’Aq.); e « la divina misericordia è una fonte immensa : chi vi porta il vaso più grande di confidenza, ne riporta maggior abbondanza di beni » (S. Bernardo). – Riteniamo pure che, se « i principi ascoltano pochi; Dio invece ascolta tutti quelli che voglion parlargli » (Crisostomo); anzi « quando Dio ci vede andare a Lui, inclina il suo cuore giù giù fino alla sua misera creatura, come un padre che s’inchina per ascoltare il suo bambino che gli parla » (Curato d’Ars). Ah, sì! « più vuole Iddio concedere, che noi ricevere; più vuole Egli aver di noi misericordia, che non desideriamo noi di esser liberati !dalle nostre miserie » (S. Agostino). Infatti « Dio è munifico per natura e liberalissimo per essenza; perciò a Lui costa più il ricusare che il dare » (Ramière). Quindi « il domandare con diffidenza i beni dell’ordine soprannaturale a Colui che si è mostrato così prodigo dell’aria, della luce, di tutte le cose necessarie ed anche superflue nell’ordine naturale, non sarebbe forse un supporre ch’Egli faccia meno conto della vita e della salvezza delle anime nostre che della vita e salute del nostro corpo? » (Ramière). Ma sì! Dio sa ciò che ci occorre, Dio può darci ciò che ci abbisogna, Dio è infinitamente buono e tutto inclinato a favorirci, Dio per giunta si è impegnato a darci tutto ciò che gli chiederemo; e noi saremo titubanti nelle nostre preghiere? Ah, se in passato « non hai ricevuto le grazie » che hai chieste, ritieni pure che ciò avvenne « perché non le hai chieste con confidenza » (S. Basilio). È pure interessante in argomento ciò che scrive il Ven. P. Luigi da Granata: « Vi sono molti servi di Dio – ei scrive — che sono abituati al digiuno, all’orazione, all’elemosina e ad altre virtù; ma molto pochi quelli che abbiano (pur nell’orazione) quella fiducia che aveva Susanna, che condannata a morte e già prossima al luogo dell’esecuzione, teneva — come dice la Scrittura — l’anima confidata in Dio. Chi vuol trarre argomenti autoritativi per indurre a questa fiducia, potrebbe copiare tutti i Libri santi, specialmente i Salmi ed i Profeti, poiché nulla vi è in essi maggiormente inculcato della speranza in Dio e della certezza del suo soccorso per quelli che sperano in Lui ». Convien credere a quanto dice, e seguire il suo implicito consiglio di leggere specialmente quelle parti della S. Scrittura ch’Egli nominativamente suggerisce. Gl’inviti che il Signore ci fa in esse di confidare illimitatamente in Lui infonderanno nel nostro cuore appunto quella fiduciosa confidenza nella sua bontà e misericordia, che deve distinguere le nostre preghiere, affinché esse siano infallibilmente esaudite. Ah, sì! « Accostiamoci con fiducia al trono della grazia per ottenere misericordia e per trovare grazia per l’opportuno aiuto » nel momento del bisogno (Ebr. IV, 16); e stiamo certi che non ne partiremo a mani vuote. Si, o Signore, concedimi la grazia ch’io possa sempre dirti: « Io vivo sperando in Te ». — Così si avvererà pure ch’« io non sarò confuso in eterno » (Salmo XXX, 2).