IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (14).

VII COMANDAMENTO.

1. CON IL 7° COMANDAMENTO DIO CI PROIBISCE DI DANNEGGIARE LA PROPRIETÀ DEL NOSTRO PROSSIMO.

La proprietà è tutto ciò che un uomo ha giustamente acquisito per mantenere la propria vita: denaro, cibo, vestiti, abitazioni, campi, diritti d’uso, ecc.

I. Il diritto di proprietà.

1. Ogni uomo ha il diritto di acquisire la proprietà personale. Egli è obbligato a provvedere a se stesso in caso di vecchiaia, infortunio o morte; ai bisogni della sua famiglia. Senza la proprietà personale, la situazione dell’uomo sarebbe assolutamente intollerabile: sarebbe un regno di discordia e di pigrizia che non cercherebbe nessun progresso, nessuna invenzione. Sarebbe inoltre ingiusto togliere all’uomo ciò che ha risparmiato o prodotto con il sudore della sua fronte.

Inoltre, Dio vuole che l’uomo sia in grado di possedere una proprietà, dal momento che gli ha dato il settimo comandamento per proteggerla. Già in Paradiso Dio.disse all’uomo: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen. I, 28). Troviamo la proprietà anche in Caino e Abele: ognuno possedeva beni diversi e ne disponeva a piacimento per il sacrificio. Tutte le tradizioni della più remota antichità menzionano il diritto di proprietà, le leggi che lo tutelano ed una procedura per i casi di controversia. Dal momento che l’uomo ha un diritto naturale all’autoconservazione, deve anche avere il diritto di acquisire e possedere i beni esterni necessari alla sua esistenza. E se questo diritto fosse limitato in ogni momento, particolare, l’uomo cadrebbe in estrema povertà in caso di malattia o di incidente. Il diritto naturale lo spinge a provvedere a questi casi. L’uomo è anche obbligato a provvedere alla sua famiglia; e questo sarebbe assolutamente impossibile se il diritto di acquistare e disporre della proprietà fosse solo transitorio. La stessa salvezza eterna sarebbe impossibile se l’uomo fosse obbligato ad occuparsi in ogni momento della sua esistenza terrena. – Dopo la caduta, il diritto di proprietà divenne ancora più necessario a causa delle passioni umane, che avrebbero completamente distrutto l’armonia della razza umana. Ancora oggi vediamo fratelli con fratelli litigare per la divisione della proprietà, o i vicini per l’uso di un pozzo, cosa sarebbe se, essendo tutte le proprietà in comune, ci fosse ogni momento bisogno di rivendicarle? (Mons. Ketteler). Senza proprietà, non c’è alcun incentivo al lavoro. La proprietà è quindi una questione di diritto naturale tanto quanto il matrimonio e l’autorità. Non si può dire, però, che tuttavia, Dio abbia voluto la divisione della proprietà così come esiste in una determinata epoca, ad esempio la nostra: Dio non può volere che una parte dell’umanità viva in uno stato di scandalosa opulenza, mentre la maggior parte dei suoi figli soffre l’estrema povertà. Questa eccessiva disuguaglianza può derivare solo da un principio malvagio, il peccato.

2. I modi giusti di acquisire la proprietà sono il lavoro, l’acquisto, il dono e l’eredità.

Per legge naturale, nessun uomo ha diritto a determinati beni, egli deve prima acquisirli. Il primo modo per acquisire la proprietà è il lavoro. Dio ha disposto le cose in modo tale che la terra produca i beni necessari per l’esistenza solo se viene lavorata. Togliere alla persona che lavora la terra ciò che ha fatto produrre alla terra con il sudore della fronte, sarebbe contro ogni giustizia. (Leone Xlll). Se la terra ed i suoi abitanti sono chiamati proprietà di Dio (Sal. XXIII, 1), perché sono il frutto delle sue mani, anche il lavoro dell’uomo deve essere di sua proprietà. “Il frutto del lavoro è proprietà legittima di chi l’ha fatto” (Leone XIII); esso è quindi generalmente solo il risultato di un duro lavoro. – La proprietà può anche essere acquisita per dono. Così Dio diede ad Abramo ed ai suoi discendenti la terra di Canaan (Gen. XII, 7), che i Patriarchi passarono in proprietà al figlio maggiore con una solenne benedizione. L’usanza di fare donazioni e di fare testamento è sopravvissuta da tempo immemorabile. Chiunque abbia una fortuna deve fare testamento in tempo, per evitare controversie in caso di morte improvvisa. Chi trascura questa precauzione la espierà nella vita futura. – In passato si acquisivano proprietà anche con la semplice occupazione di un bene che non apparteneva ancora a nessuno; è così anche oggi. Chiunque trovi pietre preziose, perle, ecc. su cui nessuno ha diritto, ne diventa proprietario, così come i posti a sedere in un teatro, in una carrozza o in un ristorante appartengono al primo occupante. – Chiunque acquisisca una proprietà ingiustamente con furto o frode è obbligato a restituirla.

3. Lo Stato stesso non ha il diritto di interferire con la proprietà privata; …

ha però il diritto, per ragioni di interesse generale, di emanare leggi che regolino l’acquisto e l’uso della proprietà. Lo Stato non è il proprietario sovrano della proprietà. Ha solo un diritto di supervisione, ma non il diritto di disporre della proprietà personale. Non i cittadini esistono per lo Stato, ma lo Stato per i cittadini. Non deve perciò ledere i soggetti, ma al contrario procurare il vantaggio per ognuno. Quando lo Stato costringe i cittadini a consegnargli i loro beni, cioè quando li espropria nell’interesse pubblico, è obbligato a risarcirli. Lo Stato ha altrettanto poco diritto di confiscare e secolarizzare i beni della Chiesa; sarebbe un’ingiustizia clamorosa. Derubare un uomo è un furto, derubare la Chiesa è un sacrilegio. (S. Ger.). La Chiesa colpisce con la scomunica tutti coloro che attaccano i beni ecclesiastici, e il Papa li solleva solo quando li hanno restituiti (Conc. Tr. 22, 11). – Ma come lo Stato, gli organi della società sono istituiti da Dio per il bene comune, ed hanno il diritto di fare leggi che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza per l’avvenire. Nella nostra epoca la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre la massa di proletari aumenta di giorno in giorno. Nel Parlamento inglese si constatò nel 1895 che quasi 4 milioni di persone appartenenti alla classe operaia erano indigenti, senza contare i miserabili tra i domestici, gli impiegati, artigiani, ecc. Altri Paesi si trovano nella stessa situazione deplorevole, e non si può negare allo Stato il diritto o il dovere di porvi rimedio. – Lo Stato può anche imporre ai suoi sudditi, nella misura in cui possono, i contributi necessari per il bene comune; può anche aumentare le tasse sul capitale superfluo per provvedere alla miseria pubblica, e questo è giusto, perché la protezione di questo capitale richiede anche maggiori sacrifici. Ma c’è anche un’altra ragione. I beni temporali hanno come destinazione la preservazione della vita umana, e la loro destinazione non cambia col fatto che siano già stati condivisi, ed è per questo che ognuno è obbligato a usare il suo suprrfluo per aiutare chi è nel bisogno. (S. Th. Aq.). Il superfluo dei ricchi è la riserva dei poveri; e conservare il superfluo, dice Sant’Agostino, è conservare il bene degli altri. Lo Stato, che ha il diritto di sovranità sulla proprietà, può dunque obbligare i suoi sudditi ad un giusto uso del loro superfluo.

II. Peccati contro il 7° Comandamento.

Il 7° COMANDAMENTO PROIBISCE IN PARTICOLARE:

.1. IL FURTO, LA RAPINA, LA FRODE, L’USURA, IL DANNEGGIAMENTO DELLA PROPRIETÀ ALTRUI, TRATTENERE BENI TROVATI O DEPOSITATI. IL TRASCURARE DI PAGARE I PROPRI DEBITI.

1 . Il furto o latrocinio è la sottrazione segreta di un oggetto contro la ragionevole volontà del suo proprietario.

La gazza, che ruba e poi nasconde tutti gli oggetti luccicanti, è l’immagine del ladro.

Giuda era un ladro; portava la borsa e ne prendeva il denaro (S. Giovanni XII, 6). Nessun peccato è così comune come il furto, da un lato perché gli uomini sono molto avidi e invidiosi, dall’altro perché l’occasione è eccessivamente frequente (S. Giov. Cris.), e l’occasione fa il ladro. Tuttavia, la.estrema necessità, cioè quella che mette in pericolo di morte, libera dal peccato la persona che ruba per salvare la propria vita, e che è pronto a restituire quando ha i mezzi per farlo (Prov. VI, 30); l’opposizione del proprietario in tal caso non sarebbe ragionevole. È per questo che Cristo ha scusato i suoi Apostoli, che per placare la loro fame, presero alcune spighe di segale da un campo (S. Matth. XII, 1). La stessa ragione spiega perché non sarebbe un peccato sottrarre l’arma a qualcuno che vuole suicidarsi, a meno che non si intenda tenerla. – È un furto anche chiedere l’elemosina senza necessità. – Lo stesso vale per l’acquisto e la ricettazione di beni rubati. Chi riceve vale quanto il ladro.

2. La rapina è la sottrazione violenta di beni altrui.

La rapina è molto spesso accompagnata da omicidio o lesioni. Questo fu il crimine commesso contro il viaggiatore della parabola che andava da Gerusalemme a Gerico. (Luca X, 30). Il ricatto è un tipo di rapina.

3. La frode consiste nell’utilizzare uno stratagemma per ingannare il prossimo nei contratti.

Questo peccato si commette utilizzando misure o pesi falsi, falsificando derrate alimentari (peccato contro il 5° Comandamento), documenti, emettendo denaro falso, cambiando i punti di riferimento, contrabbandando, incendiando la propria casa per riscuotere l’assicurazione, ecc. Ma è volontà di Dio che nessuno inganni il proprio fratello nel commercio. (1 Tess. IV, 6).

4. L’usura consiste nell’approfittare delle necessità del prossimo. (Es. XXII, 25).

L’usura è la pratica di far pagare interessi illegali su un prestito di denaro. L’usura si chiama accaparramento quando si comprano beni per creare un’artificiale carenza e rivenderli quando i prezzi sono aumentati (Prov. XI, 26). Con una mano l’usuraio tira fuori dai guai il suo prossimo, e con l’altra lo fa sprofondare nella miseria; sotto l’ipocrita vestita di un servizio, accresce la disgrazia del suo prossimo (San Giovanni Crisostomo). Un falso medico invece di curare il malato, gli toglie le forze che gli sono rimaste (S. Bas.); è un ragno che avvolge e succhia la mosca presa nella sua tela. L’usuraio è l'”assassino dei poveri”; sottraendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, toglie loro la vita stessa (S. Bernardino).

5. È un peccato danneggiare i beni altrui, trattenere gli oggetti trovati, presi in prestito o affidati, non pagare i propri debiti.

È peccato danneggiare la proprietà altrui, ad esempio incendiando, devastando un campo seminato o coperto di frutti, scarabocchiando sui muri o sulle panchine, sporcando i vestiti, lanciando pietre contro gli alberi, pescare o cacciare in un’area riservata, ecc., ecc. – È un’ingiustizia trattenere oggetti trovati o presi in prestito; essi devono essere restituiti al proprietario, come fecero i fratelli di Giuseppe quando restituirono il denaro trovato nelle loro borse. “Ciò che avete trovato senza restituirlo è un furto” (S. Aug.). L’obbligo di restituzione è proporzionale al valore dell’oggetto ritrovato; se il proprietario non è noto, è necessario usare la dovuta diligenza per trovarlo, ad esempio facendo una dichiarazione alle autorità. Se non è possibile trovare il proprietario, l’oggetto può essere conservato. Va da sé che non siete obbligati a consegnare l’oggetto alla prima persona che dichiara di possederlo, e che si agisca con prudenza nell’esaminare i propri diritti, sia per non essere ingannati, ma anche per non arrecare danno al vero proprietario. Chi trova qualcosa ha diritto ad una ricompensa. – Molte persone trovano libri, attrezzi e simili, e non li restituiscono mai; alcuni sono addirittura impertinenti quando la loro proprietà viene reclamata: sono dei veri e propri ladri. Siate prudenti nel prestare e nel restituire ciò che avete preso in prestito. Trascurare di pagare i propri debiti è colpevole; è “persino un peccato” farlo con leggerezza. Una persona che deve del denaro è come un uomo che non si regge più sulle proprie gambe, ma si trascina con le stampelle. La maggior parte degli uomini contraggono debiti per amore del piacere, del lusso, per soddisfare le proprie passioni, e non se ne preoccupano nemmeno. È un peccato grave per gli uomini d’affari dichiarare bancarotta per arricchirsi; ma è un peccato ancora più grave, un peccato che grida a Dio vendetta, rifiutare il salario agli artigiani o ai servi che sono obbligati a guadagnarsi il pane con il lavoro. È un furto e un omicidio trattenere pochi centesimi ad un artigiano, che fa affidamento su di esso per procurarsi il necessario per vivere. “Il salario dell’operaio non deve rimanere in casa tua fino al mattino” (Lev. XIX, 13); deve essere dato a lui prima del tramonto.” (Deut. XXIV, 15) e “non essere in debito con nessuno se non con la carità.”(Rom. XIII,8 ).

2. L’ATTENTATO ALLA PROPRIETÀ ALTRUI È UN GRAVE PECCATO

quando si priva il prossimo di un valore pari a quello di cui ha bisogno per il suo mantenimento quotidiano, tenendo conto della sua situazione sociale.

La gravità del peccato dipende sempre dal danno causato al prossimo. (S. Th. Aq. ). Rubare qualche centesimo a un mendicante o ad un artigiano, qualche franco ad un ricco, è un peccato grave. Il furto consecutivo di piccole somme diventa grave non appena la somma totale diventa considerevole, a meno che non ci sia un notevole intervallo tra i furti.

Noi dobbiamo rispettare la proprietà altrui, anche se piccola, perché dobbiamo essere fedeli anche nelle cose più piccole, perché Dio punisce severamente ipeccati più lievi, e le colpe lievi portano a poco a poco alla dannazione eterna. Si comincia con i piccoli furti e si finisce con il grande furto; più di un criminale è finito sul patibolo perché ha iniziato con un piccolo furto.

III. Restituzione.

1. UNA PERSONA CHE HA RUBATO LA PROPRIETÀ DI UN’ALTRA O CHE LE HA FATTO UN TORTO, È OBBLIGATO A RESTITUIRE IL MAL TOLTO OD A RIPARARE IL DANNO CAUSATO (Lev. VI, 1-5).

Questa restituzione non deve necessariamente avvenire tramite un approccio personale alla parte lesa. La restituzione può essere fatta, ad esempio, da un Sacerdote che è tenuto al segreto e fornirà una ricevuta del pagamento effettuato. Il Sacerdote insisterà anche affinché la parte lesa accetti la restituzione. – Il B. Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, si rifiutò di accettare: “Attenzione – rispose – non si devono dare il bene rubato al peccatore pentito, altrimenti finirà per immaginare che non si trattasse di un peccato così grave, e ci ricadrà”.

Ecco i principi relativi alla restituzione:

1. Se il proprietario non è più in vita, la restituzione deve essere fatta ai suoi eredi.; se non ci sono, i guadagni illeciti devono essere utilizzati per l’elemosina o per altre opere buone.

2. Se non non può restituire tutto, deve restituire almeno in parte.

3. Una persona che, a causa della povertà o di qualche altro impedimento non sia in grado di effettuare la restituzione immediatamente, deve almeno essere disposto a restituire quando sarà in grado di farlo, ed è obbligato a mettersi in condizione di farlo.

4. Una persona che non sia in grado di restituire affatto è obbligata almeno a pregare per la persona a cui ha fatto un torto.

2. ANCHE IL DETENTORE DI BENI IN BUONA FEDE È OBBLIGATO A RESTITUIRE I BENI ALTRUI, NON APPENA ABBIA RICONOSCIUTO IL PROPRIO ERRORE.

Una cosa rubata, acquistata o ricevuta in dono, deve essere restituita. Una persona che non sa che sia rubata è detto possessore o detentore in buona fede; colui che lo sa è detto possessore in malafede. Il possessore in buona fede è obbligato a restituire tutto ciò con cui si è arricchito grazie a questo stesso possesso. – Il possessore in malafede è anche obbligato a restituire tutto ciò per cui il proprietario è stato impoverito. – Il possessore in buona fede può conservare la cosa solo quando il proprietario e i suoi eredi siano morti. Nella maggior parte dei casi, la cosa più semplice da fare è consultare il confessore, cheè il rappresentante di Dio.

3. COLUI CHE NON È SINCERAMENTE DISPOSTO A RIPRISTINARE O RIPARARE IL DANNO, NON PUÒ RICEVERE IL PERDONO DI DIO, NÉ DI CONSEGUENZA L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE.

Chi non è disposto a fare la restituzione sarà dannato (Ezechiele, XXXIII, 15); Gesù Cristo ha concesso a Zaccheo la qualità di figlio di Abramo solo quando ha manifestato il desiderio di restituire (S. Luc. XIX, 8). Né le preghiere, né le torri d’armi, né gli anni digiuno austero riuscirebbero ad ottenere la remissione del peccato prima della sincera volontà di restituzione. Senza di essa, dice Sant’Agostino, non si fa penitenza, la si finge, cioè si recita una specie di commedia, e così aggiunge: il peccato non è perdonato finché non si restituisca la cosa rubata. – S. Alfonso racconta la seguente storia: “Un uomo ricco, affetto da cancrena al braccio ed in procinto di morire, rifiutava di restituire: “Se io restituisco – diceva – rovinerò i miei figli”. Il Sacerdote ricorse allora al seguente metodo: tornò dal malato per dirgli che conosceva un rimedio efficace, ma che non era riuscito a trovarlo perché sarebbe costato diverse migliaia di scudi. Il paziente si dichiarò pronto a spenderne 5000. Il Sacerdote gli assicurò che, per guarire, qualcuno avrebbe dovuto bruciare la carne viva della mano in modo che qualche goccia di grasso cadesse sulla mano. Poi vennero portati i tre figli del malato, nessuno dei quali voleva sottoporsi a. questo trattamento. “Vedete – disse il sacerdote – i vostri figli non vogliono soffrire per voi nemmeno per un quarto d’ora, e voi, per loro, vorreste gettarvi a capofitto nel fuoco eterno? – “Mi avete aperto gli occhi – rispose il malato – mi confesserò e farò ammenda”.

IV. Le ragioni per non trasgredire il 7° comandamento.

I pagani stessi consideravano il furto un reato grave e lo punivano severamente (La legge anglosassone del VI secolo puniva il furto con la mutilazione delle mani o dei piedi; tra gli Ungari, anche sotto Stefano il Santo, il ladro veniva venduto come schiavo). A Anche gli Ebrei hanno annunciato punizioni molto severe contro di esso: alla presa di Gerico, Giosuè aveva proibito di fare bottino. Un uomo che aveva preso dei vestiti vecchi e li aveva nascosti, fu scoperto e lapidato per ordine del Signore. (Giosuè VII). Anche la Chiesa primitiva ha emanato punizioni rigorose contro i ladri; il minimo furto, anche dopo la restituzione, doveva essere espiato con un anno di digiuno a pane ed acqua. Ma è soprattutto Dio a punire severamente l’ingiustizia, indipendentemente dalla scusa che i guadagni illeciti siano di poco valore, perché si presta più attenzione alla volontà ingiusta che all’oggetto dell’ingiustizia. (S. Ger.).

Chi commette ingiustizia perde la propria reputazione, i propri beni, spesso muore di una morte miserabile ed è in perenne pericolo di dannazione.

Il disonore è la sorte del ladro (Ecclesiastico V, 17), perché il furto è la via della prigione e non quella dell’onore. È così raro che un ladro non venga catturato prima o poi come un topo in una trappola per topi; e tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe, perché non c’è un filo abbastanza sottile da essere invisibile. – La storia che segue mostrerà quali conseguenze disastrose può avere il nascondere una cosa trovata. Un muratore che stava riparando una casa trovò una cassetta contenente anelli d’oro ed un orologio prezioso. Invece di restituirla, la tenne; ma qualche tempo dopo si recò in una città lontana per vendere il suo tesoro, e il gioielliere lo fece arrestare, perché questi oggetti erano stati rubati ad un operaio che era stato assassinato e derubato. Fu egli condannato come colpevole di questo omicidio a diversi anni di lavori forzati. È quindi nello stesso interesse proprio restituire gli oggetti ritrovati. – Il furto spesso porta alla povertà. I beni illeciti non sono redditizi, perché il ladro spesso perde i suoi stessi beni, come il fuoco non si accontenta di produrre fumo, ma divora tutto ciò che raggiunge. (S. Greg. di Naz.). Chi ha mangiato cibo indigesto è obbligato a restituire anche il cibo sano, allo stesso modo in cui i guadagni illeciti portano alla rovina dei beni legittimi. Una mela marcia può rovinare tutte le altre, allo stesso modo un guadagno illecito può lanciare una maledizione su mille altri acquisiti legittimamente. (S. Vinc. Fer.). – Conosco due vie per la povertà, diceva il Curato d’Ars, il lavoro domenicale e l’ingiustizia. Quando gli Ebrei tornarono dalla cattività babilonese, ci fu una grande carestia di cui molti approfittarono per arricchirsi. Neemia, al suo ritorno, criticò molto duramente questo sfruttamento, prese le sue vesti e le scosse violentemente davanti al popolo dicendo che Dio avrebbe scosso la fortuna degli usurai e che sarebbe stata spazzata via come polvere (II. Esd. V, 1-13). Chi semina ingiustizia raccoglierà disgrazie. (Prov. XXII, 8); i beni dell’uomo ingiusto scorrono come l’acqua del torrente (Eccli. XL, 13); guai a colui che accumula ciò che non sia suo (Hab. II, 6). L’ingiustizia causa persino la rovina dei popoli. (Eccli. X, 8). Gli antichi imperi, così potenti, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Romani e dei Greci sono tutti scomparsi, perché si erano espansi a spese della giustizia. – Gli uomini ingiusti molto spesso muoiono di una morte miserabile. Un giorno, un contadino spostò la pietra di confine del suo campo per ingrandirlo. Di poi salì su di un melo, raccolse dei frutti, cadde e si ruppe il cranio sulla pietra di confine: se l’avesse lasciata al suo posto, gli sarebbe stata risparmiata questa disgrazia. Quale orribile rimorso precedette la morte ancora più orribile di Giuda! È molto raro, anche sul letto di morte, che chi detenga beni altrui si converta, a causa della restituzione da fare. – Se un giudizio senza misericordia attende colui che non si è preoccupato del suo prossimo nel bisogno, quanto più severo sarà per colui che gli ha la sua proprietà! (S. Aug.). Gli ingiusti ed i ladri non avranno il regno di Dio. (1. Cor, VI, 10). Anche i maomettani insegnano che il furto di un solo chicco di grano in un campo è una cosa vergognosa e porterà il ladro all’inferno. – Il pensiero dell’inferno è molto efficace per allontanare le persone dell’ingiustizia. – Un uomo ricco ed avaro aveva derubato una povera vedova del suo campo. Lei tornò e chiese al suo nemico il favore di portare con sé un cesto di terra; egli lo accordò con un sorriso ironico. Ma il cesto era troppo pesante e la vedova pregò l’avaro di aiutarla a sollevarlo; poiché non poteva sollevare il peso, la vedova gli disse: “Vedete, un solo cesto di questa terra è troppo pesante per voi da portare; cosa sarà nell’eternità quando dovrete portare il peso dell’intero campo? – Che follia sacrificare il cielo per un bene temporaneo; perché … “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?” (Matteo XVI, 26). Ciò che si guadagna con la frode è metallo vile, ciò che si perde con l’ingiustizia, è Dio; pensate al guadagno, pensate anche alla perdita. (S. Aug.).

L’onestà è spesso premiata in questa vita. (Sal. XXXVI, 25).

Tobia era un modello di onestà: benché cieco e povero, aveva alcuni scrupoli nel tenere in casa sua un agnellino che una volta aveva sentito belare: “Fate attenzione – disse alla gente di casa – che non sia rubato; riportatelo al suo padrone, perché non dobbiamo né tenere né mangiare la proprietà altrui”. (Tob. II, 21), Dio gli restituì la vista e lo lasciò vivere per altri 42 anni (Tob. XIV). L’uomo onesto non soffrirà mai la fame (Prov. X, 3) e le sue preghiere saranno prontamente esaudite. (Sal. XXXIII, 16). Anche la giustizia porta felicità ai popoli (Prov. XIV, 34).

VII COMANDAMENTO.

1. CON IL 7° COMANDAMENTO DIO CI PROIBISCE DI DANNEGGIARE LA PROPRIETÀ DEL NOSTRO PROSSIMO.

La proprietà è tutto ciò che un uomo ha giustamente acquisito per mantenere la propria vita: denaro, cibo, vestiti, abitazioni, campi, diritti d’uso, ecc.

I. Il diritto di proprietà.

1. Ogni uomo ha il diritto di acquisire la proprietà personale. Egli è obbligato a provvedere a se stesso in caso di vecchiaia, infortunio o morte; ai bisogni della sua famiglia. Senza la proprietà personale, la situazione dell’uomo sarebbe assolutamente intollerabile: sarebbe un regno di discordia e di pigrizia che non cercherebbe nessun nessun progresso, nessuna invenzione. Sarebbe inoltre ingiusto togliere all’uomo ciò che ha risparmiato o prodotto con il sudore della sua fronte.

Inoltre, Dio vuole che l’uomo sia in grado di possedere una proprietà, dal momento che gli ha dato il settimo comandamento per proteggerla. Già in Paradiso Dio.disse all’uomo: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen. I, 28). Troviamo la proprietà anche in Caino e Abele: ognuno possedeva beni diversi e ne disponeva a piacimento per il sacrificio. Tutte le tradizioni della più remota antichità menzionano il diritto di proprietà, le leggi che lo tutelano ed una procedura per i casi di controversia. Dal momento che l’uomo ha un diritto naturale all’autoconservazione, deve anche avere il diritto di acquisire e possedere i beni esterni necessari alla sua esistenza. E se questo diritto fosse limitato in ogni momento, particolare, l’uomo cadrebbe in estrema povertà in caso di malattia o di incidente. Il diritto naturale lo spinge a provvedere a questi casi. L’uomo è anche obbligato a provvedere alla sua famiglia; e questo sarebbe assolutamente impossibile se il diritto di acquistare e disporre della proprietà fosse solo transitorio. La stessa salvezza eterna sarebbe impossibile se l’uomo fosse obbligato ad occuparsi in ogni momento della sua esistenza terrena. – Dopo la caduta, il diritto di proprietà divenne ancora più necessario a causa delle passioni umane, che avrebbero completamente distrutto l’armonia della razza umana. Ancora oggi vediamo fratelli con fratelli litigare per la divisione della proprietà, o i vicini per l’uso di un pozzo, cosa sarebbe se, essendo tutte le proprietà in comune, ci fosse ogni momento bisogno di rivendicarle? (Mons. Ketteler). Senza proprietà, non c’è alcun incentivo al lavoro. La proprietà è quindi una questione di diritto naturale tanto quanto il matrimonio e l’autorità. Non si può dire, però, che tuttavia, Dio abbia voluto la divisione della proprietà così come esiste in una determinata epoca ad esempio la nostra: Dio non può volere che una parte dell’umanità viva in uno stato di scandalosa opulenza, mentre la maggior parte dei suoi figli soffre l’estrema povertà. Questa eccessiva disuguaglianza può derivare solo da un principio malvagio, il peccato.

2. I modi giusti di acquisire la proprietà sono il lavoro, l’acquisto, il dono e l’eredità.

Per legge naturale, nessun uomo ha diritto a determinati beni, egli deve prima acquisirli. Il primo modo per acquisire la proprietà è il lavoro. Dio ha disposto le cose in modo tale che la terra produca i beni necessari per l’esistenza solo se viene lavorata. Togliere alla persona che lavora la terra ciò che ha fatto produrre alla terra con il sudore della fronte, sarebbe contro ogni giustizia. (Leone Xlll). Se la terra ed i suoi abitanti sono chiamati proprietà di Dio (Sal. XXIII, 1), perché sono il frutto delle sue mani, anche il lavoro dell’uomo deve essere di sua proprietà. “Il frutto del lavoro è proprietà legittima di chi l’ha fatto” (Leone XIII); esso è quindi generalmente solo il risultato di un duro lavoro. – La proprietà può anche essere acquisita per dono. Così Dio diede ad Abramo ed ai suoi discendenti la terra di Canaan (Gen. XII, 7), che i Patriarchi passarono in proprietà al figlio maggiore con una solenne benedizione. L’usanza di fare donazioni e di fare testamento è sopravvissuta da tempo immemorabile. Chiunque abbia una fortuna deve fare testamento in tempo, per evitare controversie in caso di morte improvvisa. Chi trascura questa precauzione la espierà nella vita futura. – In passato si acquisivano proprietà anche con la semplice occupazione di un bene che non apparteneva ancora a nessuno; è così anche oggi. Chiunque trovi pietre preziose, perle, ecc. su cui nessuno ha diritto, ne diventa proprietario, così come i posti a sedere in un teatro, in una carrozza o in un ristorante appartengono al primo occupante. – Chiunque acquisisca una proprietà ingiustamente con furto o frode è obbligato a restituirla.

3. Lo Stato stesso non ha il diritto di interferire con la proprietà privata; ha però il diritto, per ragioni di interesse generale, di emanare leggi che regolino l’acquisto e l’uso della proprietà.

Lo Stato non è il proprietario sovranodellaproprietà. Ha solo un diritto di supervisione, ma non il diritto di disporre della proprietà personale.

Non i cittadini non esistono per lo Stato, ma lo Stato per i cittadini. Non deve perciò ledere i soggetti, ma al contrario procurare il vantaggio per ognuno.

Quando lo Stato costringe i cittadini a consegnargli i loro beni, cioè quando li espropria nell’interesse pubblico, è obbligato a risarcirli. Lo Stato ha altrettanto poco diritto di confiscare e secolarizzare i beni della Chiesa; sarebbe un’ingiustizia clamorosa. Derubare un uomo è un furto, derubare la Chiesa è un sacrilegio. (S. Ger.). La Chiesa colpisce con la scomunica tutti coloro che attaccano i beni ecclesiastici, e il Papa li solleva solo quando li hanno restituiti (Conc. Tr. 22, 11). – Ma come lo Stato, gli organi della società sono istituiti da Dio per il bene comune, ed hanno il diritto di fare leggi che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza per l’avvenire. Nella nostra epoca la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre la massa di proletari aumenta di giorno in giorno. Nel Parlamento inglese si constatò nel 1895 che quasi 4 milioni di persone appartenenti alla classe operaia erano indigenti, senza contare i miserabili tra i domestici, gli impiegati, artigiani, ecc. Altri Paesi si trovano nella stessa situazione deplorevole, e non si può negare allo Stato il diritto o il dovere di porvi rimedio. – Lo Stato può anche imporre ai suoi sudditi, nella misura in cui possono, i contributi necessari per il bene comune; può anche aumentare le tasse sul capitale superfluo per provvedere alla miseria pubblica, e questo è giusto, perché la protezione di questo capitale richiede anche maggiori sacrifici. Ma c’è anche un’altra ragione. I beni temporali hanno come destinazione la preservazione della vita umana, e la loro destinazione non cambia col fatto che siano già stati condivisi, ed è per questo che ognuno è obbligato a usare il suo suprrfluo per aiutare chi è nel bisogno. (S. Th. Aq.). Il superfluo dei ricchi è la riserva dei poveri; e conservare il superfluo, dice Sant’Agostino, è conservare il bene degli altri. Lo Stato, che ha il diritto di sovranità sulla proprietà, può dunque obbligare i suoi sudditi ad un giusto uso del loro superfluo.

II. Peccati contro il 7° Comandamento.

Il 7° COMANDAMENTO PROIBISCE IN PARTICOLARE:

.1. IL FURTO, LA RAPINA, LA FRODE, L’USURA, IL DANNEGGIAMENTO DELLA PROPRIETÀ ALTRUI, TRATTENERE BENI TROVATI O DEPOSITATI. IL TRASCURARE DI PAGARE I PROPRI DEBITI.

.1. Il furto o latrocinio è la sottrazione segreta di un oggetto contro la ragionevole volontà del suo proprietario.

La gazza, che ruba e poi nasconde tutti gli oggetti luccicanti, è l’immagine del ladro.

Giuda era un ladro; portava la borsa e ne prendeva il denaro (S. Giovanni XII, 6). Nessun peccato è così comune come il furto, da un lato perché gli uomini sono molto avidi e invidiosi, dall’altro perché l’occasione è eccessivamente frequente (S. Giov. Cris.), e l’occasione fa il ladro. Tuttavia, l’estrema necessità, cioè quella che mette in pericolo di morte, libera dal peccato la persona che ruba per salvare la propria vita, e che è pronto a restituire quando ha i mezzi per farlo (Prov. VI, 30); l’opposizione del proprietario in tal caso non sarebbe ragionevole. È per questo che Cristo ha scusato i suoi Apostoli, che per placare la loro fame, presero alcune spighe di segale da un campo (S. Matth. XII, 1). La stessa ragione spiega perché non sarebbe un peccato sottrarre l’arma a qualcuno che vuole suicidarsi, a meno che non si intenda tenerla. – È un furto anche chiedere l’elemosina senza necessità. – Lo stesso vale per l’acquisto e la ricettazione di beni rubati. Chi riceve vale quanto il ladro.

2. La rapina è la sottrazione violenta di beni altrui..

La rapina è molto spesso accompagnata da omicidio o lesioni. Questo fu il crimine commesso contro il viaggiatore della parabola che andava da Gerusalemme a Gerico. (Luca X, 30). Il ricatto è un tipo di rapina.

3. La frode consiste nell’utilizzare uno stratagemma per ingannare il prossimo nei contratti.

Questo peccato si commette utilizzando misure o pesi falsi, falsificando derrate alimentari (peccato contro il 5° Comandamento), documenti, emettendo denaro falso, cambiando i punti di riferimento, contrabbandando, incendiando la propria casa per riscuotere l’assicurazione, ecc. Ma è volontà di Dio che nessuno inganni il proprio fratello nel commercio. (1 Tess. IV, 6).

4. L’usura consiste nell’approfittare delle necessità del prossimo. (Es. XXII, 25).

L’usura è la pratica di far pagare interessi illegali su un prestito di denaro. L’usura si chiama accaparramento quando si comprano beni per creare un’artificiale carenza e rivenderli quando i prezzi sono aumentati (Prov. XI, 26). Con una mano l’usuraio tira fuori dai guai il suo prossimo, e con l’altra lo fa sprofondare nella miseria; sotto l’ipocrita vestita di un servizio, accresce la disgrazia del suo prossimo (San Giovanni Crisostomo). Un falso medico invece di curare il malato, gli toglie le forze che gli sono rimaste (S. Bas.); è un ragno che avvolge e succhia la mosca presa nella sua tela. L’usuraio è l'”assassino dei poveri”; sottraendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, toglie loro la vita stessa (S. Bernardino).

5. È un peccato danneggiare i beni altrui, trattenere gli oggetti trovati, presi in prestito o affidati, non pagare i propri debiti.

È peccato danneggiare la proprietà altrui, ad esempio incendiando, devastando un campo seminato o coperto di frutti, scarabocchiando sui muri o sulle panchine, sporcando i vestiti, lanciando pietre contro gli alberi, pescare o cacciare in un’area riservata, ecc., ecc. – È un’ingiustizia trattenere oggetti trovati o presi in prestito; essi devono essere restituiti al proprietario, come fecero i fratelli di Giuseppe quando restituirono il denaro trovato nelle loro borse. “Ciò che avete trovato senza restituirlo è un furto” (S. Aug.). L’obbligo di restituzione è proporzionale al valore dell’oggetto ritrovato; se il proprietario non è noto, è necessario usare la dovuta diligenza per trovarlo, ad esempio facendo una dichiarazione alle autorità. Se non è possibile trovare il proprietario, l’oggetto può essere conservato. Va da sé che non siete obbligati a consegnare l’oggetto alla prima persona che dichiara di possederlo, e che si agisca con prudenza nell’esaminare i propri diritti, sia per non essere ingannati, ma anche per non arrecare danno al vero proprietario. Chi trova qualcosa ha diritto ad una ricompensa. – Molte persone trovano libri, attrezzi e simili, e non li restituiscono mai; alcuni sono addirittura impertinenti quando la loro proprietà viene reclamata: sono dei veri e propri ladri. Siate prudenti nel prestare e nel restituire ciò che avete preso in prestito. Trascurare di pagare i propri debiti è colpevole; è “persino un peccato” farlo con leggerezza. Una persona che deve del denaro è come un uomo che non si regge più sulle proprie gambe, ma si trascina con le stampelle. La maggior parte degli uomini contraggono debiti per amore del piacere, del lusso, per soddisfare le proprie passioni, e non se ne preoccupano nemmeno. È un peccato grave per gli uomini d’affari dichiarare bancarotta per arricchirsi; ma è un peccato ancora più grave, un peccato che grida a Dio vendetta, rifiutare il salario agli artigiani o ai servi che sono obbligati a guadagnarsi il pane con il lavoro. È un furto e un omicidio trattenere pochi centesimi ad un artigiano, che fa affidamento su di esso per procurarsi il necessario per vivere. “Il salario dell’operaio non deve rimanere in casa tua fino al mattino” (Lev. XIX, 13); deve essere dato a lui prima del tramonto.” (Deut. XXIV, 15) e “non essere in debito con nessuno se non con la carità.”(Rom. XIII,8 ).

2. L’ATTENTATO ALLA PROPRIETÀ ALTRUI È UN GRAVE PECCATO

quando si priva il prossimo di un valore pari a quello di cui ha bisogno per il suo mantenimento quotidiano, tenendo conto della sua situazione sociale.

La gravità del peccato dipende sempre dal danno causato al prossimo. (S. Th. Aq. ). Rubare qualche centesimo a un mendicante o ad un artigiano, qualche franco ad un ricco, è un peccato grave. Il furto consecutivo di piccole somme diventa grave non appena la somma totale diventa considerevole, a meno che non ci sia un notevole intervallo tra i furti.

Noi dobbiamo rispettare la proprietà altrui, anche se piccola, perché dobbiamo essere fedeli anche nelle cose più piccole, perché Dio punisce severamente ipeccati più lievi, e le colpe lievi portano a poco a poco alla dannazione eterna. Si comincia con i piccoli furti e si finisce con il grande furto; più di un criminale è finito sul patibolo perché ha iniziato con un piccolo furto.

III. Restituzione.

1. UNA PERSONA CHE HA RUBATO LA PROPRIETÀ DI UN’ALTRA O CHE LE HA FATTO UN TORTO, È OBBLIGATO A RESTITUIRE IL MAL TOLTO OD A RIPARARE IL DANNO CAUSATO (Lev. VI, 1-5).

Questa restituzione non deve necessariamente avvenire tramite un approccio personale alla parte lesa. La restituzione può essere fatta, ad esempio, da un Sacerdote che è tenuto al segreto e fornirà una ricevuta del pagamento effettuato. Il Sacerdote insisterà anche affinché la parte lesa accetti la restituzione. – Il B. Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, si rifiutò di accettare: “Attenzione – rispose – non si devono dare il bene rubato al peccatore pentito, altrimenti finirà per immaginare che non si trattasse di un peccato così grave, e ci ricadrà”.

Ecco i principi relativi alla restituzione:

1. Se il proprietario non è più in vita, la restituzione deve essere fatta ai suoi eredi.; se non ci sono, i guadagni illeciti devono essere utilizzati per l’elemosina o per altre opere buone.

2. Se non non può restituire tutto, deve restituire almeno in parte.

3. Una persona che, a causa della povertà o di qualche altro impedimento non sia in grado di effettuare la restituzione immediatamente, deve almeno essere disposto a restituire quando sarà in grado di farlo, ed è obbligato a mettersi in condizione di farlo.

4. Una persona che non sia in grado di restituire affatto è obbligata almeno a pregare per la persona a cui ha fatto un torto.

2. ANCHE IL DETENTORE DI BENI IN BUONA FEDE È OBBLIGATO A RESTITUIRE I BENI ALTRUI, NON APPENA ABBIA RICONOSCIUTO IL PROPRIO ERRORE.

Una cosa rubata, acquistata o ricevuta in dono, deve essere restituita. Una persona che non sa che sia rubata è detto possessore o detentore in buona fede; colui che lo sa è detto possessore in malafede. Il possessore in buona fede è obbligato a restituire tutto ciò con cui si è arricchito grazie a questo stesso possesso. – Il possessore in malafede è anche obbligato a restituire tutto ciò per cui il proprietario è stato impoverito. – Il possessore in buona fede può conservare la cosa solo quando il proprietario e i suoi eredi siano morti. Nella maggior parte dei casi, la cosa più semplice da fare è consultare il confessore, cheè il rappresentante di Dio.

3. COLUI CHE NON È SINCERAMENTE DISPOSTO A RIPRISTINARE O RIPARARE IL DANNO, NON PUÒ RICEVERE IL PERDONO DI DIO, NÉ DI CONSEGUENZA L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE.

Chi non è disposto a fare la restituzione sarà dannato (Ezechiele, XXXIII, 15); Gesù Cristo ha concesso a Zaccheo la qualità di figlio di Abramo solo quando ha manifestato il desiderio di restituire (S. Luc. XIX, 8). Né le preghiere, né le torri d’armi, né gli anni digiuno austero riuscirebbero ad ottenere la remissione del peccato prima della sincera volontà di restituzione. Senza di essa, dice Sant’Agostino, non si fa penitenza, la si finge, cioè si recita una specie di commedia, e così aggiunge: il peccato non è perdonato finché non si restituisca la cosa rubata. – S. Alfonso racconta la seguente storia: “Un uomo ricco, affetto da cancrena al braccio ed in procinto di morire, rifiutava di restituire: “Se io restituisco – diceva – rovinerò i miei figli”. Il Sacerdote ricorse allora al seguente metodo: tornò dal malato per dirgli che conosceva un rimedio efficace, ma che non era riuscito a trovarlo perché sarebbe costato diverse migliaia di scudi. Il paziente si dichiarò pronto a spenderne 5000. Il Sacerdote gli assicurò che, per guarire, qualcuno avrebbe dovuto bruciare la carne viva della mano in modo che qualche goccia di grasso cadesse sulla mano. Poi vennero portati i tre figli del malato, nessuno dei quali voleva sottoporsi a. questo trattamento. “Vedete – disse il sacerdote – i vostri figli non vogliono soffrire per voi nemmeno per un quarto d’ora, e voi, per loro, vorreste gettarvi a capofitto nel fuoco eterno?” – “Mi avete aperto gli occhi – rispose il malato – mi confesserò e farò ammenda”.

IV. Le ragioni per non trasgredire il 7° comandamento.

I pagani stessi consideravano il furto un reato grave e lo punivano severamente (La legge anglosassone del VI secolo puniva il furto con la mutilazione delle mani o dei piedi; tra gli Ungari, anche sotto Stefano il Santo, il ladro veniva venduto come schiavo). A Anche gli Ebrei hanno annunciato punizioni molto severe contro di esso: alla presa di Gerico, Giosuè aveva proibito di fare bottino. Un uomo che aveva preso dei vestiti vecchi e li aveva nascosti, fu scoperto e lapidato per ordine del Signore. (Giosuè VII). Anche la Chiesa primitiva ha emanato punizioni rigorose contro i ladri; il minimo furto, anche dopo la restituzione, doveva essere espiato con un anno di digiuno a pane ed acqua. Ma è soprattutto Dio a punire severamente l’ingiustizia, indipendentemente dalla scusa che i guadagni illeciti siano di poco valore, perché si presta più attenzione alla volontà ingiusta che all’oggetto dell’ingiustizia. (S. Ger.).

Chi commette ingiustizia perde la propria reputazione, i propri beni, spesso muore di una morte miserabile ed è in perenne pericolo di dannazione.

Il disonore è la sorte del ladro (Ecclesiastico V, 17), perché il furto è la via della prigione e non quella dell’onore. È così raro che un ladro non venga catturato prima o poi come un topo in una trappola per topi; e tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe, perché non c’è un filo abbastanza sottile da essere invisibile. – La storia che segue mostrerà quali conseguenze disastrose può avere il nascondere una cosa trovata. Un muratore che stava riparando una casa trovò una cassetta contenente anelli d’oro ed un orologio prezioso. Invece di restituirla, la tenne; ma qualche tempo dopo si recò in una città lontana per vendere il suo tesoro, e il gioielliere lo fece arrestare, perché questi oggetti erano stati rubati ad un operaio che era stato assassinato e derubato. Fu egli condannato come colpevole di questo omicidio a diversi anni di lavori forzati. È quindi nello stesso interesse proprio restituire gli oggetti ritrovati. – Il furto spesso porta alla povertà. I beni illeciti non sono redditizi, perché il ladro spesso perde i suoi stessi beni, come il fuoco non si accontenta di ptodurre fumo, ma divora tutto ciò che raggiunge. (S. Greg. di Naz.). Chi ha mangiato cibo indigesto è obbligato a restituire anche il cibo sano, allo stesso modo in cui i guadagni illeciti portano alla rovina dei beni legittimi. Una mela marcia può rovinare tutte le altre, allo stesso modo un guadagno illecito può lanciare una maledizione su mille altri acquisiti legittimamente. (S. Vinc. Fer.). – Conosco due vie per la povertà, diceva il Curato d’Ars, il lavoro domenicale e l’ingiustizia. Quando gli Ebrei tornarono dalla cattività babilonese, ci fu una grande carestia di cui molti approfittarono per arricchirsi. Neemia, al suo ritorno, criticò molto duramente questo sfruttamento, prese le sue vesti e le scosse violentemente davanti al popolo dicendo che Dio avrebbe scosso la fortuna degli usurai e che sarebbe stata spazzata via come polvere (II. Esd. V, 1-13). Chi semina ingiustizia raccoglierà disgrazie. (Prov. XXII, 8); i beni dell’uomo ingiusto scorrono come l’acqua del torrente (Eccli. XL, 13); guai a colui che accumula ciò che non sia suo (Hab. II, 6). L’ingiustizia causa persino la rovina dei popoli. (Eccli. X, 8). Gli antichi imperi, così potenti, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Romani e dei Greci sono tutti scomparsi, perché si erano espansi a spese della giustizia. – Gli uomini ingiusti molto spesso muoiono di una morte miserabile. Un giorno, un contadino spostò la pietra di confine del suo campo per ingrandirlo. Di poi salì su di un melo, raccolse dei frutti, cadde e si ruppe il cranio sulla pietra di confine: se l’avesse lasciata al suo posto, gli sarebbe stata risparmiata questa disgrazia. Quale orribile rimorso precedette la morte ancora più orribile di Giuda! È molto raro, anche sul letto di morte, che chi detenga beni altrui si converta, a causa della restituzione da fare. – Se un giudizio senza misericordia attende colui che non si è preoccupato del suo prossimo nel bisogno, quanto più severo sarà per colui che gli ha la sua proprietà! (S. Aug.). Gli ingiusti ed i ladri non avranno il regno di Dio. (1. Cor, VI, 10). Anche i maomettani insegnano che il furto di un solo chicco di grano in un campo è una cosa vergognosa e porterà il ladro all’inferno. – Il pensiero dell’inferno è molto efficace per allontanare le persone dell’ingiustizia. – Un uomo ricco ed avaro aveva derubato una povera vedova del suo campo. Lei tornò e chiese al suo nemico il favore di portare con sé un cesto di terra; egli lo accordò con un sorriso ironico. Ma il cesto era troppo pesante e la vedova pregò l’avaro di aiutarla a sollevarlo; poiché non poteva sollevare il peso, la vedova gli disse: “Vedete, un solo cesto di questa terra è troppo pesante per voi da portare; cosa sarà nell’eternità quando dovrete portare il peso dell’intero campo? – Che follia sacrificare il cielo per un bene temporaneo; perché … “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?” (Matteo XVI, 26). Ciò che si guadagna con la frode è metallo vile, ciò che si perde con l’ingiustizia, è Dio; pensate al guadagno, pensate anche alla perdita. (S. Aug.).

L’onestà è spesso premiata in questa vita. (Sal. XXXVI, 25).

Tobia era un modello di onestà: benché cieco e povero, aveva alcuni scrupoli nel tenere in casa sua un agnellino che una volta aveva sentito belare: “Fate attenzione – disse alla gente di casa – che non sia rubato; riportatelo al suo padrone, perché non dobbiamo né tenere né mangiare la proprietà altrui”. (Tob. II, 21), Dio gli restituì la vista e lo lasciò vivere per altri 42 anni (Tob. XIV). L’uomo onesto non soffrirà mai la fame (Prov. X, 3) e le sue preghiere saranno prontamente esaudite. (Sal. XXXIII, 16). Anche la giustizia porta felicità ai popoli (Prov. XIV, 34).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

Non vo asserirlo categoricamente: tuttavia mi sembra che da quanto ho detto fin qui, si dovrebbe facilmente capire quale debba essere la nostra preghiera per poter dire ch’essa è fatta bene. Per farmi però comprendere sempre meglio, mi servirò d’una similitudine che mi pare assai appropriata all’argomento che ho per mano. Come si diporta una buona bambina dai quattro ai sei anni, di fronte alla mamma, ch’è pur la sua provveditrice? — E’ presto detto. Ogni qualvolta essa ha bisogno di qualcosa, si presenta umilmente, sì, ma anche con tutta confidenza, semplicità e candore alla mamma; e con bella maniera e col cuore sulle labbra le chiede ciò di cui sente il bisogno. Ma quanti sono i bisogni d’una bambina? Essa ha sempre qualcosa da chiedere; e quindi tante son le preghiere, quanti sono i suoi più o meno reali bisogni. Una buona bambina poi non dubita nemmeno che la mamma possa darle un rifiuto. Essa sa che la mamma le vuol bene, e che, se anche pel momento non le dà ciò che essa chiede, gliela darà certamente a tempo opportuno, disposta a fare anche dei gravi sacrifici per procurarglielo. Perciò, quantunque a principio ne riceva un rifiuto, non s’imbroncia, non s’impermalisce, nè si perde d’animo; ma tanto prega, insiste, supplica e scongiura, finché riesce a strapparle ciò che desidera. E la mamma certamente, alla cara creaturina delle sue viscere, darà tutto ciò. che può darle, rifiutandole a mala pena quanta potesse recar danno alla sua salute ed incolumità. Se poi quella cara bambina avesse ad ammalarsi, oh, allora bisogna vedere ciò che sa fare una mamma per farla guarire e salvarla! (Mi piace vedere in Dio, « la cui natura è bontà », lo stesso contegno verso i grandi malati spirituali, che sono i poveri peccatori). Ma una buona bambina non ha solo lingua per domandare: essa ha anche cuore, e tanto cuore! Perciò procura di star vicina alla mamma; e lì, con tutta piacevolezza, sentimento e candore, le parla delle cose proprie, s’interessa delle cose di lei: dice e ripete tante e tante cosette! Se sa che un servizio torna gradito alla mamma, se può darle qualche aiuto, qualche conforto, qualche gioia, essa è pronta, essa lo fa, essa la dà, prevenendo spesso i di lei desideri. Se si accorge d’averla — anche senza volere — disgustata, ne sente subito gran pena, piange per dispiacere, le chiede perdono, promette di non far più così, e tutto si combina con un caldo bacio e con una reciproca stretta al cuore. Se poi viene a sapere che altri ha disgustata la sua buona mamma, essa ne prova una indicibile pena e ne sente immenso dolore; e corre tosto al suo seno per confortarla e consolarla colle sue buone parole, coi suoi vezzi amorosi, coi suoi amabili sorrisi, colle sue tenere carezze. – O cara ed amabile bambina, deh! insegnaci a trattare col nostro grande e buon Padre celeste e colla nostra amorosa Mamma che abbiamo in Paradiso, come tu sai trattare colla mamma del tuo cuore. Dicci però ancora che il Signore Iddio nostro è assai più buono e ricco di tua mamma, e che la gran Madre celeste ti vuole assai più bene, che non quella che hai quaggiù. Ed infine insinuaci pure che, di fronte a Dio ed alla Santissima Vergine, noi tutti — fossimo anche re e principi — siamo poveri bambini bisognosi di tutto, ma anche da loro tanto amati; ed allora noi saremo, convenientemente istruiti sulla preghiera. – Detto questo si vede chiaramente quale sia per tanti nostri uomini il più grande ostacolo che li trattiene dal pregare: l’orgoglio, la superbia. Pare incredibile che su questa terra piena di miserie, di debolezze, di malanni, di tranelli, di sofferenze, di languori, di disastri, di cataclismi, di malattie e di morti, possa tuttavia allignare la superbia e l’orgoglio! Eppure quanti di noi sono schiavi di questa, ch’io non esito a chiamare la più mostruosa di tutte le tendenze umane e la più vergognosa ed inconcepibile di tutte le passioni. Non per nulla però essa è la principessa di tutti i vizi! « Credo che la superbia sia un grande delitto — scrive S. Agostino. — E come no, se essa scacciò dal Paradiso l’Angelo per eccellenza, se di lui fece un diavolo, e lo bandì per tutta l’eternità dal regno de’ cieli? Grande delitto è la superbia e causa di tutti i delitti… Non è un piccolo male questo vizio, o fratelli. Esso fa che l’umiltà cristiana non sia gradita alle persone autorevoli e perbene. Per questo vizio esse sdegnano di sottomettere il collo al giogo di Cristo, e lo legano tanto più tenacemente a quello del peccato. Infatti, non possono non essergli soggette. Non vorrebbero esserlo, ma l’esserlo è loro utile. In quanto non vorrebbero essere soggette a nessuno, esse a non altro riescono che a non servire il Signore, che è buono, e non già a non servire affatto; poiché chi non vuol servire alla Carità (Dio è carità), serve necessariamente al peccato. Da questo che è il principio di tutti i vizi, poichè da esso son nati tutti gli altri, procede l’apostasia dal Signore » (Ennarr. 2, Ps. XVIII, n. 25). Questa deleteria disposizione dell’uomo pur di fronte al gran Dio, è assai vivamente ritratta, nel suo « Testamento di Gesù » (CP. I, med. III), dal ben noto P. Petazzi S. J., con queste parole: « Il Cristianesimo è la religione dell’umiltà, è la professione della propria impotenza a raggiungere Dio e della infinita degnazione di Lui che si abbassa per sollevare l’uomo consapevole della propria miseria. Qui è tutta la fede! Il riconoscere soltanto l’abbassamento di Dio verso l’uomo senza essere intimamente e praticamente convinti dell’abisso di miseria in cui l’uomo giace e giacerebbe sempre se Dio Salvatore non si chinasse sopra di lui, è rinnegare praticamente la fede. Questa è la vera ragione per cui molte anime sciagurate rifiutano il Cristianesimo: rifiutano il bacio e l’amplesso di Gesù Salvatore, non perché questo bacio non sia tenerissimo, ma perché per riceverlo bisogna cadere ai suoi piedi confessando di essere miserabili ». Perciò — aveva detto poco prima lo stesso Padre — « l’anima che crede in se stessa e fa assegnamento sulle sue forze, allorquando si trova ricaduta nelle antiche miserie, non trova più alcun punto di appoggio e se ne giace intorpidita, oppure tenta stoltamente di persuadere se stessa di non essere caduta davvero: non vuol dire quella parola che tanto schiaccia l’amor proprio: « Sono un miserabile! Abbi pietà di me! », e così ritarda e fors’anche impedisce l’amplesso misericordioso di Dio. L’anima (invece) che crede in Gesù, e solo in Lui, riconosce subito la propria miseria, lo chiama immantinente in soccorso; e Gesù la solleva con tanto amore che essa deve esclamare: « O Signore, Vi ringrazio d’avermi umiliata! » (Salmo CXVIII, 71). Dopo queste espressive parole del pio P. Petazzi, dovrebbero apparire in tutta la loro limpidezza anche queste poche e brevi sentenze, tratte dalla S. Scrittura e dagli scritti dei Santi: « Dio resiste ai superbi, e dà la grazia agli umili. Il Signore bada alle preghiere degli umili, e non disprezza le loro suppliche. Tu, o Dio, hai sempre mirato con buon occhio le preci degli umili. Se qualcuno crede d’esser qualcosa, mentre è nulla, si seduce » (Giac. IV, 6; Salmo CI, 18: Giud. 9, 16; Gal. VI, 3). — « In molti la presunzione d’esser fermi e stabili è di ostacolo alla loro fermezza e stabilità. Nessuno certamente sarà fermo, se non si crede debole ed infermo. Iddio dà della sua forza soltanto a chi sente e riconosce la propria debolezza » (Agostino). « Se alcuno dice di non aver timore, è segno che costui ha fiducia in se stesso e nei suoi propositi; ma questi con tal confidenza da se medesimo vien sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi al Signore; ed allora certamente cadrà » (S. Alfonso). Si sa: quanto dicono qui S. Agostino e S. Alfonso, sembrerà poco men che… arabo a tanti che leggeranno queste righe. Ma pure non è diversamente di così. Bisogna ben dire che la superbia e l’orgoglio fan venire le traveggole! – E’ poi forse questo il posto in cui riuscirà meno inopportuno che altrove, il rilievo che fa pure il Ramière « Dio, infinitamente liberale per natura — ei scrive — si compiace di proteggere i capi delle famiglie e quelli delle nazioni quando essi, con l’umiltà della preghiera, rispettano i diritti della sua gloria; ma senza venir meno a se stesso, non può loro concedere la sua protezione ove pretendano di bastare a se medesimi e far di sè il proprio nume ». – Del resto mi sembra che sia abbastanza ridicolo chi vuol farsi vedere grande perfino dinanzi a Dio: ridicolo, e nello stesso tempo orrendamente offensivo alla infinita Maestà di Dio. « Non per nulla nostro Signor Gesù Cristo ha dimostrato sempre uno speciale aborrimento e un’irriducibile avversione a questo peccato: Egli, la misericordia infinita, che si piega fino a terra per sollevare dal fango l’adultera; Egli il buon Pastore che non disdegna l’impuro contatto della peccatrice di Magdala, venuta dalle più spinose siepi; Egli il Padre tenerissimo che accoglie in un delirio d’amore il prodigo figliuolo, s’irrigidisce di fronte ai superbi e non ha per essi che parole di fuoco ed invettive sdegnose: Ipocriti, razza di vipere, sepolcri imbiancati! » (Cereda in « Rivista del Clero Italiano » 1939, pag. 438). – Quindi, se vogliamo veramente divenir grandi davanti a Dio e davanti a tutti, seguiamo il consiglio e l’esempio di quel Gesù che, dopo aver detto che « sarà esaltato chi si umilia », « umiliò se stesso fino alla morte, ed alla morte di croce » ( Luc. XIV, 11; Filip. II, 8). Eh, sì! Se vogliamo andare in Paradiso, bisogna che siamo umili, poiché sta scritto: « Se non vi farete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli » (Matt. XVIII, 3); e ciò anche perché il superbo non è in grado di adoperare bene « la chiave del cielo » S. Agostino) che è la preghiera. Infatti il Fariseo che andò al Tempio per « pregare », non riuscì ad altro che a vantare altezzosamente le sue benemerenze e a manifestare il suo disprezzo verso il prossimo; e fu da Gesù condannato senza remissione (Luc. XVIII, 10-14). Ah, no! Chi è superbo ed orgoglioso non può pregar bene; perciò non può essere esaudito nelle sue mire, e tanto meno può aspirare al Paradiso, dal quale fu espulso appunto il primo superbo, Lucifero, con tutti i suoi seguaci. Perciò non erra affatto il santo Curato d’Ars, quando, insieme ad altri, dice: « Un carro di buone opere trascinato dalla superbia, va sempre a finire nell’inferno; invece un carro di miserie trainato dall’umiltà, va in Paradiso ». Teniamolo bene a mente.

27. — Altre cose importanti a sapersi.

E’ troppo evidente che non ha buona disposizione per essere esaudito chi s’impermalisce o s’indispettisce se Dio non dà immediatamente corso favorevole alle istanze rivoltegli. Il nostro grande e buon Amico celeste si alzerà, sì, anche nottetempo, se ricorreremo a lui per chiedergli il pane di cui abbiamo bisogno. Ma se egli ci fa capire che, prima di venire ad accontentarci, vuole che gli scuotiamo ben bene la porta di casa e che disturbiamo anche gli Angeli ed i Santi del Paradiso, perchè staremo noi titubanti? Oh! diamo pur dentro con insistenza (Luc. XI, 5-8); tanto più che abbiamo anche qualche pezzo grosso che ci dà spalla. Infatti « S. Girolamo dice che le nostre preghiere, quanto più son perseveranti, tanto più sono accette a Dio » (S. Alfonso). E perciò « bisogna che continuamente facciamo, per così dire, violenza a Dio, affinché ci soccorra sempre; ma violenza che gli è cara » (S. Alfonso). – Proprio così. A te infatti convien credere che « Dio non ingannerà la tua fiducia. Se tarda a venire, aspettalo; poiché verrà certamente, e non tarderà » (Abac. II, 3). Anzi « sappi che chi umilmente persevera a chiedermi grazie — disse Gesù a S. Caterina — farà acquisto di tutte le virtù ». Eh, sì! « La preghiera è un’ambasciatrice assai nota presso il Re dei cieli; e come tale è abituata a penetrare fino nel gabinetto del Re, e colla sua importunità piega il suo cuore che è pieno di tenerezza » (S. Bernardino). – E se non ci vediamo tosto esauditi, riteniamo che la grazia da noi richiesta ci vien differita o commutata in altra migliore per il maggior bene delle anime nostre. Ma della perseveranza della preghiera si è già detto assai nel cap. 17 e 23; e quindi passo oltre, non senza aver però avvertito d’una cosa assai importante che è la seguente: Dalla perseveranza nella preghiera dipende la perseveranza del vivere in grazia di Dio, la perseveranza finale ed una buona morte seguita dal premio eterno del Paradiso: « Chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvo » (Matt. X, 22). – Ma altri ostacoli ancora possono impedire l’efficacia delle nostre preghiere; tra i quali, non ultimi, sono la scarsezza della nostra fede e la mancanza di fiducia. Che cosa infatti si dovrebbe dire di chi non credesse all’infinita potenza e bontà di Dio, ed alla buona disposizione ch’Egli ha di concederci i suoi favori? Ah! la preghiera (ma è poi preghiera questa?) di chi si trova in tale stato d’animo è già viziata in radice. È ben vero che il Signore ha già fatto delle grazie e talvolta dei veri miracoli perfino in favore di increduli e persone disperate, che non s’aspettavano certo da Dio, un tiro somigliante. Noi però non possiamo fare assegnamento su tali favori del tutto straordinari. Dobbiamo invece fare attenzione a quanto ci dicono in proposito le Ss. Scritture, i Ss. Padri e gli Uomini di Dio. Ecco qua, per esempio: « Se voi avrete fede e non vacillerete, non solo farete com’è stato fatto a questa ficaia (Gesù l’aveva fatta seccare sull’istante); ma se anche diceste a questo monte: Levati di là e gettati nel mare, sarà fatto. Ogni cosa che domanderete con fede, l’otterrete » (Matt. XXI, 21-22). « Chieda però con fede senza esitare affatto » (Giac. 1, 6), poiché « chiunque ha fede è certo della potenza di Dio e della sua misericordia » (S. Tom. d’Aq.); invece « Dio non vuole esaudirci, se non chiediamo con certezza di essere esauditi » (S. Alfonso). E se la nostra fede fosse scarsa? Ma « perché la fede è poca, debole, deficiente anche in anime che pretendono di vivere proprio cristianamente? Perché non pregano o non pregano bene! Nutrimento della fede è la preghiera umile, fiduciosa, perseverante » (Calvi. « Vita inter. I ed. pag. 126). Già! « Il fondamento della preghiera è la fede. Dunque crediamo per poter pregare, e preghiamo che questa fede che ci fa pregare, non ci manchi mai, nè s’intiepidisca » (S. Agostino). — Teniamo nel debito conto questi saggi avvertimenti. Riguardo poi alla fiducia, « guardate, o figliuoli, le umane generazioni, e sappiate che niuno sperò nel Signore e rimase confuso. Chi mai l’invocò, e ne fu disprezzato?… Poiché ha riposto in me la sua fiducia, Io lo libererò. Se c’è tra di voi chi ha bisogno di sapienza, la domandi a Dio che dà a tutti abbondantemente e non rimprovera, e gli sarà data » (Eccli. II, 11-12: Salmo XC, 14; Giac. 1, 5). Perciò « noi umiliamo le nostre preci davanti al tuo cospetto, Dio, non fidati nella giustizia delle nostre opere, ma pieni di fiducia nella tua grande misericordia » (Dan. IX, 18). Infatti « l’impetrare ciò che chiediamo non si fonda — come già dicemmo — sul nostro merito, ma sulla divina misericordia » (S. Tom. d’Aq.); e « la divina misericordia è una fonte immensa : chi vi porta il vaso più grande di confidenza, ne riporta maggior abbondanza di beni » (S. Bernardo). – Riteniamo pure che, se « i principi ascoltano pochi; Dio invece ascolta tutti quelli che voglion parlargli » (Crisostomo); anzi « quando Dio ci vede andare a Lui, inclina il suo cuore giù giù fino alla sua misera creatura, come un padre che s’inchina per ascoltare il suo bambino che gli parla » (Curato d’Ars). Ah, sì! « più vuole Iddio concedere, che noi ricevere; più vuole Egli aver di noi misericordia, che non desideriamo noi di esser liberati !dalle nostre miserie » (S. Agostino). Infatti « Dio è munifico per natura e liberalissimo per essenza; perciò a Lui costa più il ricusare che il dare » (Ramière). Quindi « il domandare con diffidenza i beni dell’ordine soprannaturale a Colui che si è mostrato così prodigo dell’aria, della luce, di tutte le cose necessarie ed anche superflue nell’ordine naturale, non sarebbe forse un supporre ch’Egli faccia meno conto della vita e della salvezza delle anime nostre che della vita e salute del nostro corpo? » (Ramière). Ma sì! Dio sa ciò che ci occorre, Dio può darci ciò che ci abbisogna, Dio è infinitamente buono e tutto inclinato a favorirci, Dio per giunta si è impegnato a darci tutto ciò che gli chiederemo; e noi saremo titubanti nelle nostre preghiere? Ah, se in passato « non hai ricevuto le grazie » che hai chieste, ritieni pure che ciò avvenne « perché non le hai chieste con confidenza » (S. Basilio). È pure interessante in argomento ciò che scrive il Ven. P. Luigi da Granata: « Vi sono molti servi di Dio – ei scrive — che sono abituati al digiuno, all’orazione, all’elemosina e ad altre virtù; ma molto pochi quelli che abbiano (pur nell’orazione) quella fiducia che aveva Susanna, che condannata a morte e già prossima al luogo dell’esecuzione, teneva — come dice la Scrittura — l’anima confidata in Dio. Chi vuol trarre argomenti autoritativi per indurre a questa fiducia, potrebbe copiare tutti i Libri santi, specialmente i Salmi ed i Profeti, poiché nulla vi è in essi maggiormente inculcato della speranza in Dio e della certezza del suo soccorso per quelli che sperano in Lui ». Convien credere a quanto dice, e seguire il suo implicito consiglio di leggere specialmente quelle parti della S. Scrittura ch’Egli nominativamente suggerisce. Gl’inviti che il Signore ci fa in esse di confidare illimitatamente in Lui infonderanno nel nostro cuore appunto quella fiduciosa confidenza nella sua bontà e misericordia, che deve distinguere le nostre preghiere, affinché esse siano infallibilmente esaudite. Ah, sì! « Accostiamoci con fiducia al trono della grazia per ottenere misericordia e per trovare grazia per l’opportuno aiuto » nel momento del bisogno (Ebr. IV, 16); e stiamo certi che non ne partiremo a mani vuote. Si, o Signore, concedimi la grazia ch’io possa sempre dirti: « Io vivo sperando in Te ». — Così si avvererà pure ch’« io non sarò confuso in eterno » (Salmo XXX, 2).

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (7): satana PERSEGUITERA’ IL PAPATO

P. Berry nel 1921: “Satana perseguiterà il Papato”.

Eravamo stati avvertiti:

P. Berry nel 1921: “Satana perseguiterà il Papato”.

Eravamo stati avvertiti:

Il Rev. Sylvester Berry nell’Apocalisse di San Giovanni:

“Il Papato sarà attaccato da tutte le potenze dell’inferno… la Chiesa soffrirà grandi prove… per assicurarsi un successore sul trono di Pietro… La Chiesa [sarà] privata del suo pastore principale…”.

Nel 1921, p. E. Sylvester Berry (1879-1954) pubblicò un meraviglioso commento al libro scritturale dell’Apocalisse (noto anche come libro dell’Apocalisse). Con un’analisi accurata ed una grande perspicacia, p. Berry commenta ogni passaggio dell’ultimo libro della Bibbia.

Alla luce di ciò che è accaduto nel XX secolo nella Chiesa Cattolica romana e della chiesa “cattolica” contraffatta che è stata istituita dopo la morte di Papa Pio XII nel 1958 (che lo stesso p. Berry aveva previsto nel 1927), i seguenti passaggi del suo libro “L’Apocalisse di San Giovanni”, che spiegano il capitolo XII dell’Apocalisse, sono di particolare rilevanza per noi oggi. Per apprezzare appieno l’importanza di questo estratto, vi invitiamo a leggere l’intero capitolo nel suo contesto, che è già stato riportato nel blog (v. link qui):

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (6): “CONFLITTO TRA LA CHIESA E sATANA”.

   « Nel capitolo precedente [cioè Apoc XI] San Giovanni delinea la storia della Chiesa dalla venuta dell’Anticristo fino alla fine del mondo…. In questo capitolo ci mostra la vera natura di questo conflitto. Sarà una guerra fino alla morte tra la Chiesa e le potenze delle tenebre, in uno sforzo finale di satana per distruggere la Chiesa ed impedire così il regno universale di Cristo sulla terra.

    satana cercherà innanzitutto di distruggere il potere del Papato e di provocare la caduta della Chiesa attraverso le eresie, gli scismi e le persecuzioni che sicuramente seguiranno. Se non riuscirà in questo intento, attaccherà la Chiesa dall’esterno. A questo scopo susciterà l’Anticristo ed il suo profeta per indurre i fedeli all’errore e distruggere quelli che rimangono saldi. …

    La Chiesa è sempre in travaglio per generare figli alla vita eterna. Nei tristi giorni qui predetti le pene e i dolori del parto saranno moltiplicati. In questo passo c’è un’evidente allusione ad un particolare figlio della Chiesa il cui potere e la cui influenza saranno tali che Satana cercherà di distruggerlo ad ogni costo. Questa persona non può essere altro che il Papa che sarà eletto in quei giorni. Il Papato sarà attaccato da tutte le potenze infernali. Di conseguenza, la Chiesa subirà grandi prove ed afflizioni per assicurarsi un successore sul trono di Pietro.

    Le parole di San Paolo ai Tessalonicesi [2 Tess. II, 6-8] possono essere un riferimento al Papato come ostacolo alla venuta dell’Anticristo: “Voi sapete che cosa trattiene, perché sia rivelato a suo tempo. Perché il mistero dell’iniquità già opera; solo che chi ora trattiene, trattiene finché non sia tolto di mezzo. E allora quel malvagio sarà rivelato”.

    … Sette, il numero dell’universalità, indica che in questa lotta finale per impedire il regno universale di Cristo tutte le forme di peccato e di errore saranno schierate contro la Chiesa. Un preludio di ciò può essere visto negli errori del Modernismo, che è stato giustamente definito “una sintesi di tutte le eresie” [da Papa San Pio X]. Il numero sette è appropriato anche perché tutti i peccati sono inclusi nei sette peccati capitali. Allo stesso modo tutti gli errori che hanno afflitto la Chiesa possono essere riassunti in questi sette: Giudaismo, paganesimo, arianesimo, maomettanesimo, protestantesimo, razionalismo e ateismo.

    Il drago è visto nel cielo, che qui è simbolo della Chiesa, regno dei cieli sulla terra. Ciò indica che i primi problemi di quei giorni saranno inaugurati all’interno della Chiesa da Vescovi, Sacerdoti e popoli apostati, le stelle trascinate dalla coda del drago.

    La coda del drago rappresenta l’astuta ipocrisia con la quale egli riesce a ingannare un gran numero di persone e di pastori – una terza parte delle stelle -. L’arianesimo ha portato via molti vescovi, sacerdoti e popoli. La finta Riforma [protestante] del XVI secolo ha portato via un numero ancora maggiore di persone, ma queste non possono essere paragonate al numero di persone sedotte da satana nei giorni dell’Anticristo.

    Il drago sta davanti alla donna pronto a divorare il bambino che viene partorito. In altre parole, le potenze infernali cercano con ogni mezzo di distruggere il Papa eletto in quei giorni.

    … Appena il Papa appena eletto è stato intronizzato, viene strappato via dal martirio. Il “mistero dell’iniquità“, che si è sviluppato gradualmente attraverso i secoli, non può essere pienamente consumato finché dura il potere del Papato, ma ora colui che “trattiene è tolto di mezzo”. Durante [il periodo della Sede impedita], “quel malvagio si rivelerà” nella sua furia contro la Chiesa.

    È un dato di fatto che i periodi più disastrosi per la Chiesa sono stati quelli in cui il soglio pontificio era vacante o in cui gli antipapi si contendevano il legittimo capo della Chiesa. Così sarà anche nei giorni malvagi che verranno.

    La Chiesa, privata del suo Pastore principale, deve cercare rifugio nella solitudine per essere guidata da Dio stesso durante quei giorni di prova…. In quei giorni la Chiesa troverà anche rifugio e consolazione nelle anime fedeli, specialmente nella clausura della vita religiosa.

    …Saranno giorni di grandi persecuzioni in cui la Chiesa soffrirà tutti gli orrori delle prime epoche, ma sarà anche coronata dalla gloria di innumerevoli martiri.

    …Nella fede e nella preghiera dei suoi figli, e soprattutto nella vita contemplativa degli ordini religiosi, la Chiesa troverà un rifugio di consolazione che Satana non potrà violare.

    (Rev. E. Sylvester Berry, The Apocalypse of St. John [Columbus, OH: John W. Winterich, 1921], pp. 120-124,126-127)

Commento della Vigilanza del Novus Ordo agli estratti di p. Berry riportati sopra

Ricordiamo che P. Berry scrisse questo commento nel 1921, durante il regno di Papa Benedetto XV, circa 40 anni prima dell’inizio della rivoluzione del Vaticano II. Gli approfondimenti che fornisce, quindi, sono del tutto imparziali rispetto a ciò che è accaduto dopo la morte di Papa Pio XII nel 1958; e nulla di ciò che ha scritto è stato in qualche modo “contaminato” a favore o in opposizione alla Chiesa del Novus Ordo o al Sedevacantismo. Il libro porta il nihil obstat e l’imprimatur di Bp. James Hartley della diocesi di Columbus, Ohio, che indica che l’opera possa essere letta dai Cattolici e che non contenga errori di fede o di morale.

Il primo punto su cui desideriamo richiamare l’attenzione è il fatto che p. Berry sottolinea che si tratta di quella che è essenzialmente la battaglia finale del diavolo, che egli conduce in due parti (di queste ci interessa soprattutto la prima, che è quella in cui cerca di distruggere la Chiesa dall’interno). Questo è significativo perché, come dice l’autore, “il papato sarà attaccato da tutte le potenze dell’inferno” – in altre parole, questa è l’ultima resistenza del diavolo, che sta dando il meglio di sé, ed è logico che sia il momento in cui tenta ogni strategia che ha, ogni ultimo sforzo che può fare, per abbattere la Chiesa di Nostro Signore. Perciò, questo suo ultimo colpo sarà l’attacco definitivo alla Chiesa, con armi e trucchi che non ha mai usato prima, o almeno non fino a questo punto. È la battaglia “tutto o niente” di Satana, il suo “Armageddon”.

      Sappiamo dalla Sacra Scrittura che in questo periodo finale di guerra alla Sposa Immacolata di Cristo, satana metterà in atto un inganno molto grande, così grande che, se fosse possibile, anche gli stessi eletti sarebbero ingannati: “Poiché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi, tanto da ingannare (se possibile) anche gli eletti. Ecco, io ve l’ho detto in anticipo“, dice Nostro Signore Gesù Cristo (Mt 24, 24-25).

Ora, dobbiamo tenere presente che qualcosa che è facilmente visibile come una frode, e identificato come tale dai più, difficilmente potrebbe costituire un “grande inganno”, perché allora praticamente nessuno verrebbe ingannato. Il buon p. Frederick Faber, in un sermone tenuto la domenica di Pentecoste del 1861, metteva in guardia i Cattolici come segue:

    Dobbiamo ricordare che se tutti gli uomini palesemente buoni fossero da una parte e tutti gli uomini palesemente cattivi dall’altra, non ci sarebbe pericolo che nessuno, tanto meno gli eletti, venga ingannato da prodigi bugiardi. Sono gli uomini buoni, buoni una volta, dobbiamo sperare ancora buoni, a compiere l’opera dell’anticristo e a crocifiggere così tristemente il Signore di nuovo…. Tenete presente questa caratteristica degli ultimi giorni: l’inganno deriva dal fatto che gli uomini buoni sono dalla parte sbagliata.

Questo è un consiglio fondamentale, perché molti sono distratti e sviati dalle apparenti buone intenzioni degli altri. Ad esempio, quanti minimizzano la malvagità della “Giornata Mondiale della Gioventù” adducendo che molti dei partecipanti e degli organizzatori “hanno buone intenzioni”? Siamo seri e dimentichiamo per una volta le intenzioni e concentriamoci sugli atti oggettivi. Una presa in giro di Cristo è sempre una presa in giro di Cristo, anche se gli autori “non la intendevano” in questo modo. Dobbiamo finalmente andare oltre le presunte intenzioni e fare i conti con la realtà. E sappiamo tutti di cosa è lastricata la strada per l’inferno, non è vero?

      La cosa più significativa per i nostri tempi è probabilmente l’allusione di p. Berry al papato della Chiesa che cade preda degli attacchi del diavolo. Egli scrive che “satana cercherà la sua [del Papa] distruzione ad ogni costo” – si noti bene: ad ogni costo! – e quindi “il Papato sarà attaccato da tutte le potenze dell’inferno”, cioè come mai prima nella storia. Il diavolo metterà in atto un’azione mai vista prima, e come risultato “la Chiesa soffrirà grandi prove e afflizioni per assicurarsi un successore sul trono di Pietro”.

Vi ricorda qualcosa? P. Berry si spinge oltre e suggerisce che San Paolo potrebbe essersi riferito al Papa come colui che trattiene il “malvagio”, ma solo fino a quando il Papa “sarà tolto di mezzo”, momento in cui “il malvagio sarà rivelato”. Questo è esattamente ciò che il cardinale Henry Edward Manning ha spiegato nella sua serie di conferenze del 1861 sul Papa e l’Anticristo (dettagli qui).

  Per noi pusillus grex residuo cattolico, la profezia di San Giovanni del cap. XII, come conferma padre S. Barry è sin troppo chiara per ciò che si riferisce all’azione del dragone che cerca di divorare il figlio appena partorito dalla Donna, cioè la Chiesa cattolica nel Conclave del 26 ottobre 1958, il Santo Padre Gregorio XVII, Giuseppe Siri: Appena eletto, cosa visibile ancora oggi nei documenti dell’epoca con la “fumata bianca” dalla Cappella Sistina delle ore 18 e l’annuncio della Radio Vaticana, venne avvicinato dal Cardinale decano che lo indusse, dopo avere accettato, a non poter manifestare né praticare l’esercizio della sua carica suprema di Capo della Chiesa  – Vicario di Cristo – con minacce e ritorsioni personali e per tutta la Chiesa. Ecco che Dio prese il “neonato figlio maschio della Donna” e lo condusse nel deserto mentre il drago lo inseguiva rovesciandogli dietro fiumi di acqua per travolgerlo. Il Papa fu quindi condotto nel deserto della sua sede arcivescovile di Genova, ove rimase prigioniero fino alla morte (2 maggio 1989), non prima di aver nominato in segreto Cardinali che hanno potuto perpetuare “nella eclissi” la serie ininterrotta di Pontefici romani che si concluderà solo alla venuta di Cristo alla fine dei tempi. Il dragone continua la sua lotta contro la Donna perseguitando i suoi figli, facendo guerra contro il suo “seme” ed accusando presso Dio i “nostri fratelli” Cattolici; il tutto mettendo in campo i suoi adepti pretendenti papali (cioè Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), tutti illegittimi ed usurpanti e creando una Chiesa contraffatta (“Setta del Vaticano II” o “Chiesa del Novus Ordo”) il cui scopo è, in ultima analisi, quello di condurre i cattolici alla dannazione attraverso i suoi falsi insegnamenti, le discipline malvagie, i falsi “annullamenti” matrimoniali, gli empi riti liturgici e così via.

Non è una coincidenza che p. Berry si riferisca al Modernismo come “preludio” agli attacchi dell’Anticristo alla Chiesa e al Papa, perché è davvero la “sintesi di tutte le eresie”, come l’ha definita Papa San Pio X (Enciclica Pascendi, n. 39), e il Modernismo ha dimostrato di essere il fondamento dell’intera religione del Vaticano II istigata da “Papa” Giovanni XXIII, specialmente con la convocazione del falso Concilio Vaticano II (1962-65). È il modernismo che ha plasmato la Chiesa del Novus Ordo e si trova in ogni suo respiro, per così dire, e il risultato non è altro che l’apostasia. Il modernismo attacca le fondamenta stesse del Cattolicesimo, e anche qualsiasi verità possa essere ancora rispettata da coloro che sono stati infettati dal modernismo, questa verità è semplicemente sostenuta per caso piuttosto che come conseguenza necessaria dell’abbracciare il principio cattolico.

“Non c’è nulla di più pericoloso di quegli eretici che ammettono quasi tutto il ciclo della dottrina, eppure con una sola parola, come con una goccia di veleno, infettano la vera e semplice fede insegnata da nostro Signore e tramandata dalla tradizione apostolica”, ammoniva Papa Leone XIII nel 1896 (Enciclica Satis Cognitum, n. 9). E anche Papa Benedetto XV ha chiarito: “Tale è la natura del Cattolicesimo che non ammette né più né meno, ma deve essere tenuto nel suo insieme o respinto nel suo insieme” (Enciclica Ad Beatissimi Apostolorum, n. 24). Quanti oggi sono ancora convinti della vera e immutabile Fede? Quanti sarebbero riconosciuti da Papa Pio XII come cattolici, se tornasse oggi sulla terra?

Inoltre, è molto interessante vedere – ancora una volta, circa 40 anni prima del Vaticano II – p. Berry che prevedeva, sulla base della sua lettura dell’Apocalisse, che la battaglia finale contro la Chiesa e il papato sarebbe stata inaugurata da “Vescovi, Sacerdoti e popoli apostati”, il che è, ovviamente, esattamente ciò che è accaduto, gradualmente durante i primi decenni del XX secolo, specialmente durante i giorni calanti del pontificato di Pio XII, poi al conclave del 1958, e infine a pieno ritmo durante il Vaticano II e oltre fino ad oggi, in cui tutto ciò è chiaramente manifesto.

Sottolineando ancora una volta la gravità e l’unicità di questa persecuzione finale della Chiesa e del Papa, p. Berry fa notare che né la portata della crisi ariana né quella della Riforma protestante potrebbero reggere il confronto con “il numero di persone sedotte da satana nei giorni dell’Anticristo”. In altre parole, qualunque sia lo spettacolo che il diavolo metterà in scena, sarà grande e diverso da qualsiasi cosa sia mai accaduta prima.

“Le potenze infernali cercheranno con ogni mezzo di distruggere il Papa eletto in quei giorni”, prevede p. Berry. E mentre egli pensa al martirio, come da contesto, perché non scavare un po’ più a fondo e considerare che ciò che si intende qui non sia semplicemente l’uccisione fisica del Papa. Nel corso della storia della Chiesa, i Papi sono morti ogni pochi anni, alcuni per cause naturali, altri come martiri durante le persecuzioni, altri ancora uccisi dalle persone che li circondavano. Sicuramente ciò che il diavolo ha in mente nella sua battaglia finale non è semplicemente uccidere un altro Papa. – Piuttosto, il piano finale sarebbe sicuramente molto più sinistro di questo. Nella Chiesa cattolica, la morte di un Papa è rapidamente seguita da un conclave e dall’elezione di un nuovo Papa, quindi le forze dell’inferno guadagnerebbero ben poco se si limitassero a mettere a morte un altro Papa. P. Berry spiega che “il ‘mistero dell’iniquità’ che si sviluppa gradualmente attraverso i secoli, non può essere pienamente consumato finché dura il potere del Papato”. Qual è dunque un modo molto più sinistro e duraturo per sbarazzarsi non solo del Papa, ma anche del potere del Papato?

L’osservazione successiva di p. Berry getta ulteriore luce su questo punto: “È un fatto storico che i periodi più disastrosi per la Chiesa sono stati quelli in cui il soglio pontificio era vacante, o in cui gli antipapi si contendevano il legittimo capo della Chiesa. Così sarà anche nei giorni malvagi che verranno”.

Il peggiore di questi due scenari sarebbe che un Papa legittimo viene eletto ma poi soppresso, mentre un falso pretendente viene messo al suo posto e presentato al mondo come il vero Papa, mentre in realtà è un impostore. Questa soppressione – non l’uccisione – del vero Papa garantirebbe al falso pretendente di essere libero da ogni interferenza da parte dello Spirito Santo, che impedirebbe al vero Papa di insegnare l’eresia, di promulgare un rito malvagio della Messa, sacramenti non validi, ecc. “La Chiesa sarà in eclissi”, disse Nostra Signora di La Salette, e un vero Papa bloccato da un impostore si adatterebbe molto bene alla definizione di “eclissi”. Inoltre, la soppressione segreta di un vero Papa renderebbe molto difficile l’elezione di un nuovo Papa alla morte del primo (cosa avvenuta il 3 maggio 1991 a Roma in un Conclave segreto), il che si accorda molto bene con l’affermazione di p. Berry secondo cui “la Chiesa soffrirà grandi prove e afflizioni per assicurarsi un successore sul trono di Pietro”.

Ci sono alcune prove circostanziali che tale soppressione di un Pontefice validamente eletto sia effettivamente ciò che è accaduto nel conclave del 1958 che doveva scegliere il successore di Pio XII. La maggior parte delle persone non lo sa o non lo ricorda, ma il 26 ottobre 1958, il secondo giorno del conclave, dalla Cappella Sistina usciva visibilmente del fumo bianco, la Radio Vaticana annunciava che era stato eletto un Papa e le guardie svizzere si preparavano a salutare il nuovo Papa. Tuttavia, in seguito fu annunciato che c’era stato un “errore” e lo scrutinio continuò fino al 28 ottobre, quando il cardinale Angelo Roncalli uscì come (il presunto) “Papa” Giovanni XXIII. È così che è iniziata l’intera rivoluzione del Vaticano II e la Chiesa del Novus Ordo. Sicuramente questo conclave, questo momento spartiacque, merita un’indagine più approfondita.

Il commento di p. Berry al capitolo 12 dell’Apocalisse è inestimabile, soprattutto perché è stato scritto molto tempo prima dell’inizio di questo circo del Novus Ordo. che sappiamo è che i “Papi” del Vaticano II non sono validi e la loro religione non è cattolica e quindi falsa. Lo dimostriamo in innumerevoli articoli e post sul nostro blog.

Il punto principale di questo blog post, tuttavia, è quello di rassicurare i dubbiosi e aiutare coloro che sono alla ricerca di risposte, che l’intero pasticcio del Novus Ordo era stato previsto, in un modo o nell’altro, e rientra interamente nell’ambito della Santa Provvidenza di Dio. Solo perché non sappiamo esattamente cosa sia successo o come, non significa che non possiamo sapere che la Chiesa del Vaticano II sia falsa e i suoi capi non siano veri Papi. Si tratta di questioni separate. Ma consoliamoci tutti con il fatto che questa situazione non è affatto inconciliabile con le promesse di Cristo ed è stata addirittura predetta e quindi, in un certo senso, attesa.

Chiudiamo con quest’ultima citazione di P. Berry, che è tanto consolante quanto bella: La Chiesa, privata del suo Pastore principale, deve cercare rifugio nella solitudine per essere guidata da Dio stesso durante quei giorni di prova”. In quei giorni la Chiesa troverà anche rifugio e consolazione nelle anime fedeli, soprattutto nella clausura della vita religiosa”.

Preghiamo affinché tutte le persone di buona volontà siano liberate dal grande inganno che è la Chiesa del Vaticano II.

Ecco, Lui ce l’aveva detto in anticipo.

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (8): “UNA COSPIRAZIONE CONTRO LA CHIESA? PARLANO I VERI PAPI”