LA PREGHIERA DI PETIZIONE (13)
P- B. LAR – RUCHE
LA PREGHIERA DI PETIZIONE (13)
OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.
ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO
N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI
Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.
Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.
22. Preghiera e apostolato.
Quanto scrivo qui potrà forse esser utile ai Sacerdoti e Missionari, quantunque essi abbiano altri sussidi migliori di questo nella loro opera di apostolato. Almeno in parte potrà giovare pure a quanti si dedicano in modo particolare all’Azione, Cattolica, ed anche ai genitori ed agli educatori cristiani che intendono riuscire con profitto nella cristiana formazione della gioventù. Abbiamo già udito (cap. 14) ciò che scrive Mons. Olgiati in una delle sue belle conferenze che corrono per le mani di tutti. Qui riporto il tratto per disteso. « Siccome l’Azione Cattolica — ei scrive — ha finalità eminentemente spirituali, non può avere la sua base se non in Dio e nella preghiera. Spesso si lavora molto e si prega poco o niente; ed in tal modo si costruisce la casa sulla sabbia. L’Azione Cattolica senza preghiera, mancherebbe appunto di sostegno ». E al lume della fede egli ha perfettamente ragione. Infatti « se il Signore non edifica Lui stesso la casa, invano s’affaticano coloro che lavorano per edificarla; e se il Signore non fa buona guardia alla città, indarno vigila chi la custodisce » (Salmo CXXVI, 1). – Eppure non pochi, specialmente tra i giovani, hanno la tendenza a fare e predicare molto; ma poi si ricordano poco della preghiera. Essi dicono: « Brevis oratio penetrat eoelum: quella che penetra il cielo è la preghiera breve ». In pratica poi avviene che anche quella brevissima formola di preghiera che si dice, si recita male; cioè — tutti preoccupati, come si è, di quanto si deve dire o fare — si recita senza attenzione, senza cuore e senza riverenza. E così, quantunque Apollo abbia piantato e Paolo inaffiato abbondantemente, non si riscontra poi quell’incremento che ci si riprometteva. – Altri poi interpretano erroneamente l’infelice frase « il lavoro è preghiera »; e trascurano la preghiera vera, che è « domanda di cose convenienti da Dio» (S. Tommaso d’Aquino) (« Il grande teol. Suarez, dopo aver detto che l’espressione « il lavoro è preghiera » è molto impropria e che, a suo parere, non ha fondamento nelle S. Scritture, sconsiglia d’usarla » – « Vivere in Cristo »,pag. 132). E così la grazia di Dio, non invocata colla fervente preghiera, non discende sulle loro fatiche apostoliche. E la colpa, che in gran parte è proprio loro, vien invece non di rado fatta piombare – provocando ulteriori guai — sull’ambiente o sul popolo che vien qualificato per… zotico, refrattario e — talvolta — peggio ancora! E qui riporto la voce di uno che oggi è molto quotato a questo proposito: il P. Corti S. J. Ecco com’egli si esprime: « Qualcuno dice: Abbreviamo la preghiera per dare maggior tempo all’istruzione, alla spiegazione ed allo studio della dottrina cristiana. Ma questo è un errore grave e fatale. A chi parla a questo modo risponde S. Alfonso, Dottore della Chiesa, grande Missionario, grande Vescovo e non meno grande Catechista: Le prediche, le meditazioni, e quindi anche i catechismi e tutti gli altri mezzi non servono a vivere in grazia di Dio a chi non prega » (In « Rivista del Clero Italiano » Agosto 1938). – E pur troppo per quanti non pregano, o pregano poco, o non promuovono la preghiera, si avvera quanto si legge in « Vivere in Cristo ».(pag. 139). « Qualche volta — scrive quell’autore — noi vediamo apostoli che non si sono risparmiati in nulla. Hanno incontrato spese fino a ricoprirsi di debiti; hanno studiato fino ad esaurirsi; hanno lavorato fino a consumare la salute e fors’anche ad abbreviarsi la vita. Eppure devono confessare con gli Apostoli: « O Maestro, dopo aver lavorato tutta la notte, non abbiamo preso niente! » (Luc. V, 5). Quale fu la causa? Forse sovente ci si dimentica dell’assoluta necessità della grazia attuale per aver successi nell’apostolato ». — Si osservi però che in quel libro stesso, poche pagine addietro, è detto che solo colla preghiera si può assicurarsi in modo infallibile la grazia efficace. Questo però non dovrebbe recar stupore, né sembrar strano ad alcuno di noi che apparteniamo alla sequela di Cristo. Non disse forse il Divin Maestro che senza di Lui non possiamo far nulla? (Giov. XV, 5). Tutti i Santi, ed in modo particolare i grandi apostoli « S. Francesco di Sales, S. Vincenzo de’ Paoli, S. Francesco Saverio, S. Alfonso de’ Liguori… intendevano che senza la preghiera l’uomo apostolico è un soldato senz’armi; capivano che essendo Dio il Padrone dei cuori, si promuove la conversione dei peccatori più col patrocinarne la causa presso il Signore, che con qualsiasi altro mezzo » (Ramière). – « Dieci Carmelitane che pregano — diceva un Vescovo della Cocincina, citato dal P. Chautard – mi daranno più aiuto che venti missionari che predicano ». Del resto giova vedere la cosa un po’ più in concreto. Prendiamo gli ubriaconi e i lussuriosi. Che serve dir loro che fanno male a vivere così? Essi stessi son convinti, convintissimi a proprie spese (e che spese!) che la loro vita è un disastro continuato per sè, per la famiglia, pel loro paese. Eppure, quanti di essi si convertono davvero e mutano stabilmente in bene la loro vergognosa vitaccia? Se essi non hanno una grazia attuale specialissima, son perduti per sempre. Ora questa grazia onnipotente, questa grande misericordia può essere loro impetrata solo dalle preghiere assidue e ferventi. Dalle preghiere loro? Macché! Essi non pregano! Dunque solo dalle assidue e ferventi preghiere dei buoni. – Sono queste le preghiere che hanno più valore impetrativo di tutte le altre. È ben vero che « a Dio piacque di salvare i credenti (e anche i non credenti) per mezzo della stoltezza della predicazione » (I Cor. 1, 21) e che quindi non si deve tralasciare il « predica la parola, insisti a tempo e fuori tempo; riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina » (II Tim. 4, 2). Anzi è proprio questo l’ufficio specifico dell’uomo apostolico. Tuttavia, se « la predicazione è il canale che distribuisce le grazie », è pur vero che « la preghiera è la sorgente delle grazie » (S. Francesco d’Assisi); e se la sorgente non butta, il canale resta senza l’acqua delle grazie. Ricordiamoci bene che « tutta la fiducia che non è basata sulla preghiera, è vana » (Meschler), e che quindi « la società sarà rigenerata solo dal santo che prega » (Toniolo). Si. proprio « la preghiera è il rimedio universale ed efficace pei mali della società » (Ramière). – Eh, sì! « la vita dell’anima è la grazia, e il mezzo onnipotente per far discendere la grazia nelle anime, è la preghiera ». Perciò « mediante la preghiera l’uomo… in favore dei suoi fratelli esercita un apostolato utile e fecondo di frutti eccellenti » (Ramière). E si noti che « la preghiera offerta per la salvezza del prossimo non ha minore efficacia di quella che offriamo per la nostra stessa salvezza » (Ramière). Infatti « Dio guarisce sempre l’anima che prega e per cui prega » (S. Lorenzo Giustiniani). Perciò « è in nostra facoltà di ottenere ai nostri fratelli, come a noi, le grazie attuali più poderose. Noi abbiamo per far questo, un mezzo facile, efficace, infallibile: la preghiera » (Ramière). E « se anche qualche volta le preghiere che facciamo per la salvezza del prossimo mancano di efficacia, ciò non avviene perché esse non ottengano da Dio le grazie che gli chiediamo, ma solo perché il peccatore si ostina a respingere le grazie. Siccome però non ci è dato conoscere le interne disposizioni delle anime, non v’è sulla terra un solo peccatore ostinato, per il quale non possiamo e non dobbiamo pregare » (Ramière), sull’esempio di S. Monica per S. Agostino, suo figlio. In ogni caso ci resterà sempre il merito e — a suo tempo — il premio per le nostre supplici preghiere in favore dei peccatori. – Ben altre cose vorrei soggiungere su questo argomento di grande attualità; ma ogni cosa, per quanto bella ed interessante, vuol avere un buon termine. – Raccomando però vivamente che dall’apostolato (Comunque e da chiunque sia fatto) non si disgiunga mai la preghiera ben fatta. Perciò quanti hanno l’incarico di lavorare nell’Azione cattolica, o in qualche Confraternita od Associazione religiosa, preghino e facciano pregare molto; gli educatori e i genitori si raccomandino sempre al Signore, supplicandolo a rendere efficace e duratura la loro azione educativa e formatrice in favore della gioventù affidata alla loro tutela e responsabilità; e « chi è confessore o predicatore non lasci mai (di pregare e) di esortar a pregare, se vuol vedere salvate le anime » (S. Alfonso). È questa la via più sicura per ottenere salutari e durevoli successi nell’opera sublime dell’apostolato intrapresa da Gesù e da Lui trasmessa ai suoi discepoli ed ai loro successori.
23. – Chi prega certamente si salva.
Il seguente paragone, che porta il Melher, fa un po’ riflettere. « Un uomo — ci scrive — che passa la maggior parte della sua vita in terra ferma e solo raramente e per breve tempo va in mare, può sperar di morire in terra ferma. Un marinaio invece che vive sempre sul mare e solo di tanto in tanto e per breve tempo mette piede a terra, deve aspettarsi di trovare la sua tomba negli abissi del mare. Così chi vive abitualmente in grazia di Dio e, se gli accade di commettere qualche peccato, tosto se ne pente e si confessa, può sperare di morire in grazia di Dio e di andare in Paradiso. Chi, al contrario, passa la vita, si può dire, abitualmente in peccato mortale, e solo raramente si concilia con Dio, e poi tosto ricade nelle sue solite colpe, deve seriamente temere che la morte lo colga in peccato mortale e lo precipiti nell’inferno ». – Ora — chiedo io — che si deve pensare di tanti Cristiani dei nostri giorni, i quali abitualmente trascurano la Messa festiva, non osservano quasi mai le leggi dell’astinenza e del digiuno, bestemmiano ad ogni piè sospinto, si ubriacano facilmente, fanno raramente la Pasqua, non intervengono quasi mai al Catechismo, parlano sporco, commettono sozzure innominabili, insidiano le donne, si lasciano facilmente sopraffare dall’ira: conducono insomma una vita che è in pieno contrasto coi comandamenti di Dio? Si può sperare che, ciononostante, essi riescano a salvarsi e ad andare in Paradiso? Rispondo: Se essi si metteranno senz’altro con tutta serietà a pregare di vero cuore e perseverano in tale pratica ogni giorno fino alla loro morte, la preghiera impetrerà loro infallibilmente da Dio tali grazie, che li strapperanno dalla loro miseranda condizione di peccatori e li condurranno a certa salvezza. Lo dice chiaramente S. Alfonso de’ Liguori. « Chi prega — egli scrive — ottiene le grazie e si salva ». Ma « se vogliamo salvarci bisogna pregare, pregando con umiltà e con confidenza, e soprattutto con perseveranza ». Vediamo però le cose un po’ più in particolare. – « La preghiera – egli scrive ancora — è un mezzo senza di cui non possiamo ottenere gli aiuti necessari per salvarci ». Ed altrove: « Specialmente la perseveranza finale (cioè il poterci conservare in grazia di Dio fino alla morte) è una grazia che non si ottiene senza una continua preghiera ». E porta questa ragione: « Siccome il Signore ha stabilito che noi fossimo provveduti di pane col seminare il grano, e di vino col coltivare le viti, così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie alla salute (eterna) per mezzo della preghiera ». Però — egli dice — « non basta pregare per salvarci: bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio promette, ma promette soltanto a coloro che son costanti a pregarlo sino alla fine. Le preghiere particolari otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno; ma se non sono perseveranti, non otterranno la final perseveranza, la quale, perché contiene il cumolo di molte grazie insieme, richiede moltiplicate preghiere, e certamente fino alla morte ». Ma « se noi, trascurando di pregare, spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la catena delle grazie che ci hanno da ottenere la salute; e non ci salveremo… Sicché per ottenere la perseveranza, bisogna che sempre ci raccomandiamo a Dio: la mattina, la sera, nella Meditazione, nella Messa, nella Comunione, e sempre, specialmente in tempo di tentazioni; con dire allora e replicare: Signore, aiutami; tiemmi le mani sopra; non mi abbandonare; abbi pietà di me! ». Insomma se vogliamo salvarci « bisogna che non lasciamo mai di pregare; bisogna che continuamente facciamo, per così dire, violenza a Dio, affinché ci soccorra sempre ».
Dello stesso parere è anche il sommo dei teologi, S. Tommaso d’Aquino. « Dopo il Battesimo — ei scrive — è necessaria all’uomo una continua preghiera per potersi salvare ». – Il Lessici pure, che fu un insigne teologo e moralista belga che visse nel secolo XVII, afferma la stessa cosa: « Non si può negare, senza errare nella fede, che la preghiera agli adulti sia necessaria per salvarsi; poiché consta evidentemente dalle Scritture che la preghiera è l’unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salvezza ». Assai singolare, ma non meno apodittico a questo riguardo è il Gennadio, che fu un santo prete marsigliese del V secolo. Egli lasciò scritto: « Noi crediamo che niuno giunga a salvezza, se Dio non lo inviti; che niun invitato si applichi a salvarsi, se non è aiutato da Dio; e che niuno meriti tale aiuto, se non per mezzo della preghiera » (Ogni membro di questa preziosa testimonianza è un vero capolavoro, e merita la più posata considerazione). – Perciò se pregheremo davvero e perseverantemente come qui ci ha insegnato soprattutto S. Alfonso, noi ci salveremo senza fallo. E questo già dovremmo saperlo. « Dio infatti, dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina legge e perseverare sino alla morte. Vien tolta ogni scusa a quei peccatori che dicono di non aver la forza di superar le tentazioni; poiché se essi pregassero, otterrebbero questa forza e si salverebbero » (S. Alfonso). Anzi dobbiamo ritenere che « pregando, il salvarsi è cosa sicura e facilissima » (S. Alfonso). – Ma non è forse dello stesso parere anche lo zelante e battagliero autore di « Ut vitam habeant » e di « Vivere in Cristo »? Anch’egli infatti ci assicura che « colla preghiera è certissimo che infallibilmente si ottiene la grazia non solo di poter perseverare (cioè non solo la possibilità di perseverare) ma di perseverare di fatto in grazia santificante; non solo di poterci salvare ma di salvarci davvero ». Dobbiamo infatti ritenere che « la preghiera fatta colle debite disposizioni ha, per divina promessa, l’infallibile efficacia d’impetrare ciò che si domanda. Sembra anzi che quest’asserzione, per le manifeste testimonianze della S. Scrittura che la suffragano, sia da ritenersi di fede cattolica » (Teol. Prunmer). – Ma se è così, perchè non dovremo impetrare colla preghiera ben fatta anche la perseveranza nel bene ed una santa morte? Non è forse questo lo scopo di tutta la nostra vita su questa terra? E Iddio non ci ha forse creati per il Paradiso?…
Riassumiamo dunque senz’altro tutto l’insegnamento di questo capitolo colla consolante e nello stesso tempo tremenda sentenza di S. Alfonso. Eccola « Chi prega, certamente si salva (L’autore di « Ut vitam habeant » assicura che questa sentenza è di certezza metafisica, cioè la massima certezza che si possa avere). Chi non prega, certamente si danna (Salvo che Dio non intervenga con un miracolo, che non può aspettarsi e tanto meno pretendersi). – Tutti coloro che si son salvati, si son salvati col pregare. Tutti coloro che si son dannati, si son dannati per non aver pregato. E questa sarà per sempre la loro maggior disperazione nell’inferno: il pensare di essersi potuto così facilmente salvare pregando, ed ora non esser più in tempo di farlo » (Queste parole si trovano tanto in « Del gran mezzo della preghiera », come in « Apparecchio alla morte »). Qui io mi rivolgo al Signore e gli dico collo stesso S. Alfonso: « O Signore, certamente tu salvi colui che persuadi a pregare »: dammi dunque la grazia, anzi lo spirito stesso della preghiera. Ah, sì! invochiamo tutti istantemente da Dio, pel tramite del nostro divin Redentore e per l’onnipotente intercessione della Madre della divina grazia, questo gran dono dello spirito della preghiera. « Oh, che grazia grande è lo spirito di preghiera, cioè la grazia che Dio concede ad un’anima di sempre pregare! Non lasciamo dunque di chiedere a Dio sempre questa grazia e questo spirito di sempre pregare; perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la perseveranza ed ogni altro dono che desideriamo, mentre non può mancare la sua promessa di esaudire chi lo prega » (S. Alfonso). – E così si avvererà per noi pure la ripetuta magnifica assicurazione divina, fattaci in questi termini da ben tre autori sacri: « Chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo » (Gioel. II, 32; Att. II, 21; Rom. X, 13).