LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)
P- B. LAR – RUCHE
LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)
OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.
ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO
N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI
Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.
Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.
20. – Sono con Lui nella tribolazione.
Ho già detto che spesso le sventure sono grandi miniere di grazie; e ritengo che esse siano tali anche quando ci piombano addosso in seguito a colpe e stravizi. Pare anzi che proprio di esse si serva il Signore per farci rientrare in noi stessi e richiamarci a Sè. Ed oh! quanti si son fatti santi in seguito a tali sventure! Che si debba quindi pensare che le afflizioni, come pure le disgrazie di questo mondo, siano spesso segni della divina benevolenza verso coloro che ne sono colpiti? È ben vero che « per causa del peccato entrò nel mondo la morte » ed ogni altra tribolazione (Rom. V, 12), e che il più delle volte « le avversità ci piombano addosso per causa dei peccati ». Ma anche in questo caso « era necessario che tu fossi provato dalla sventura, perché eri benvoluto da Dio » (Tob. XII, 13). Infatti — dice il Signore — « io rimprovero e castigo coloro a cui voglio bene » (Apoc. III, 19). Perciò « non deve dispiacerti di essere da Lui castigato, poiché Dio castiga colui che ama… come un padre » (Prov. III, 11-12). – Come vedi, andiamo di sorpresa in sorpresa riguardo all’economia delle sventure umane. Riflettendo però bene, non si potrà fare a meno di convenire che anche il Signore può fare ciò che qualsiasi padre può fare e fa con un figlio sul quale ha delle mire speciali. Lo corregge e, al bisogno, anche lo castiga, affinché, emendandosi dei suoi difetti, corrisponda al disegno paterno, tutto favorevole al figlio. Spesso si suol dare la colpa delle nostre sventure a questo o a quello, a questa o a quella cosa, a questo o quell’avvenimento. Non è detto bene. È Iddio che quaggiù « arriva da un’estremità all’altra con la forza e dispone tutte le cose con soavità » (Sap. VIII, 1). A noi quindi, anche quando siam colpiti da disgrazie, convien dire con Eli: « È Lui il Signore. Faccia pure ciò che è bene ai suoi occhi » (I Re, III, 18), o con Giobbe: « Il Signore m’ha dato, il Signore m’ha tolto. Fu fatto precisamente come piacque a Lui. Sia benedetto il Nome del Signore… Se abbiamo ricevuto dalla mano di Dio i beni, perché non riceveremo anche i mali? » (Giob. 1, 21 e II, 10). Giobbe avrebbe potuto dar la colpa ai Sabei, ai Caldei, al fulmine, al vento impetuoso. No, fu il Signore a servirsi di essi: quindi « sia benedetto il Signore! » Le avversità quindi — per chi sa intenderle — hanno pur quest’altra benemerenza (se così si può chiamarla), che è di richiamarci a Dio e di farci pregare. Se ne accorse anche il Salmista, il quale, colpito da diverse sventure, ebbe a dire « M’incolse la tribolazione e il dolore; ed io invocai il nome del Signore »: Sì, « mentre io era tribolato, gridai al Signore » (Salm. CXIV, 3; CXIX, 1). Oh davvero! la sventura ci fa ricorrere a Dio, il ricorrere a Dio è preghiera, la preghiera ci salva. Dunque le avversità, sia che si prendano come divine paterne correzioni, sia che si considerino come penitenze delle nostre colpe, sia che ci richiamino a Dio, sia che ci muovano a pregare, son cose per noi assai buone, come confessò pur Davide, dopo averle sostenute: « Ci siam rallegrati pei giorni in cui ci umiliasti e per gli anni in cui provammo il male. Ah, sì: è cosa buona che tu ci abbia umiliati! » (Salm. LXXXIX, 15; CVIII, 71). (Udii una volta un Missionario dire queste testuali parole: « Le prediche più efficaci non son quelle che facciamo noi missionari: le prediche più efficaci son le guerre, le carestie, i terremoti, le pestilenze! Si sa! per chi non vede altro che i mali temporali, queste parole son per lo meno scandalose. Ma di fatto è proprio così. Per far rientrare certuni in se stessi, tutte le prediche di tutti i preti non servono a nulla. Ed allora il Signore ricorre ai mezzi suddetti.) – E se il buon Dio ci fa soffrire pur dopo aver fatto penitenza delle nostre colpe (del resto sappiamo noi quanta ne dobbiamo fare per espiare la pena temporale dei nostri peccati?) anche allora non possiamo avercela a male; ma dobbiamo essergli invece riconoscentissimi per averci Egli associati al suo divin Figliuolo nell’opera dell’umana redenzione. Ah, sì! allora noi abbiamo il sublime dolore cristiano, abbiamo le misteriose sofferenze delle anime giuste, le quali soltanto controbilanciano davanti alla divina giustizia i godimenti illeciti e peccaminosi dei mondani, dei peccatori. – Il Signore però sa che noi stentiamo a sopportare il dolore, sia fisico che morale; ed allora, come la mamma sta presso il figlioletto sofferente a cui bisogna porgere medicine amare o compiere un’operazione dolorosa, e non permette che il frutto del suo seno abbia a soffrire più di quanto è necessario perché egli possa guarire dal suo male; così anche il Signore « sta presso coloro che hanno il cuore amareggiato », e « non permette che siate provati oltre le vostre forze; ma darà, colla prova, anche la forza per poterla sostenere » (Salm. XXXIII, 19; I Cor. X, 13). – Dunque il buon Dio è con noi quando siamo addolorati. Lo dice Egli stesso: « Io sono con lui nella tribolazione » (Salm. XC, 15). Ma perché? — Per esaudire le nostre suppliche, per sostenerci nella prova, per alleviare le nostre sofferenze. Spessissimo il buon Dio esaudisce le preghiere di coloro che soffrono. Noi sappiamo infatti che « la preghiera del misero penetrerà le nubi e non si darà quiete finché non abbia raggiunto Iddio, nè s’allontanerà affatto finché l’Altissimo non l’abbia esaudita; e il Signore non metterà indugio » (Eccli. XXXV, 21-22). Ed anche l’Arcangelo Raffaele poté dire a Tobia: « Quando tu pregavi con lacrime.., io offrii la tua preghiera al Signore» (Tob. XII, 12); e noi sappiamo che quella preghiera fu esaudita. – Ma non è Dio stesso che, quando siamo nel dolore, c’invita ad invocarlo e promette di esaudirci? Egli infatti dice: « Invocami nel giorno della tribolazione, ed Io ti libererò ». Ed altra volta: « Figlio mio, non avvilirti quando sei ammalato; ma prega il Signore, ed Egli ti guarirà » (Salmo XLIX, 15; Eccli. XXXVIII, 9). Ah! quando siamo sotto il torchio del dolore, la nostra preghiera è più sincera, più attenta, più umile ed anche più insistente; è quindi anche più facile che essa sia esaudita. In ogni caso però essa ci apporta non poca consolazione, mantiene il nostro cuore nella fiducia in Dio, e ci attira dal cielo quella pazienza e quella rassegnazione che ci son necessarie per elevare a merito le nostre sofferenze. Infatti non sempre né a tutti i tribolati il Signore concede quanto essi domandano; e ciò per il loro meglio. « Oh! quanti se fossero infermi e poveri non cadrebbero nei peccati in cui cadono essendo sani e ricchi! E perciò il Signore a taluni che gli domandano la sanità del corpo e i beni di fortuna, loro li nega, perché li ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perder la sua grazia od almeno d’intiepidirsi nella vita spirituale » (S. Alfonso). E così il buon Dio, pur non esaudendoli, usa verso di essi una gran misericordia; ciò che assai ben comprese S. Camillo de’ Lellis, il quale era solito chiamare « misericordie di Dio » le orrende piaghe delle sue gambe e gli altri mali che martoriavano il suo corpo. Ed infatti non sarebbe forse una gran misericordia se il Signore colpisse con una lunga malattia, con una grave e diuturna tribolazione o con un solenne rovescio di fortuna tanti stolti ed insensati uomini e donne, che sciupano forze, salute, bellezza, ingegno, prestigio, onore, autorità, soldi, ogni bene ed ogni attività nel fare il male, abbrutendo così se stessi nelle pratiche e nei vizi più infami, e trascinando pur altri a spirituale, morale ed anche materiale rovina? Ah! Che gran misericordia sarebbe questa per quei folli!… Ma chi capisce quanto dico? Infatti, che succede assai spesso? Ah! purtroppo tanti, allorquando piomba sopra di loro la sventura, non comprendono la mira che ha Dio nel mandare sopra di essi il dolore; e quindi, invece di accoglierla almeno con rassegnazione in penitenza delle proprie colpe, prorompono in orrende bestemmie contro Dio e la divina Provvidenza, divengono rabbiosi e crudeli contro quanti ritengono autori dei loro mali e intrattabili con tutti; e — se le cose durano un po’ a lungo — incapaci di sostenere più oltre la prova, si disperano fino a perder la testa e — non di rado — terminano una vita di colpe e di disordini con un obbrobrioso suicidio, che getta nel lutto e nel disonore tutti i congiunti. Quanto sono imperscrutabili e tremendi i giudizi di Dio!… Oh, quante rovine causano certe tempeste di cuori!… E la conclusione? — Questa: Impegniamoci a pregare per quanti soffrono in questa, che — a dispetto degli innumerevoli utopisti — è e sarà sempre una misera ‹ valle di lagrime »; ma anche procuriamo di alleviare, in quanto c’è possibile, le loro sofferenze, esercitandoci per amore di Dio in quelle opere di misericordia, le quali ci prepareranno un giudizio favorevole nell’ora del gran rendiconto (Matt. XXV, 21-46). Preghiamo soprattutto per coloro che stentano a sostener la prova delle tribolazioni, ed in modo particolare per quei poveri peccatori che stanno sostenendo l’ultima grande prova sul letto della loro morte (Non credo tanto fuori posto, riferire qui ciò che dice S. Roberto Bellarmino per coloro che assistono gli ammalati gravi. « Imparino coloro che assistono i moribondi — ei scrive — non tanto a parlare con loro, quanto a pregare ardentemente Iddio per loro, e a non permettere che persone d’ogni fatta visitino l’infermo, giunto agli estremi; ma solo quelle pie e probe che con le loro orazioni possono molto presso Dio; poiché l’orazione assidua e fervente del giusto vale moltissimo. E siccome il demonio ha poco tempo, fa ogni sforzo in quel momento che gli rimane; così ancora e molto più amici fedeli devono aiutare con preghiere e lagrime i loro fratelli che stanno per partire da questo mondo » (Dall’arte di ben morire, II, 13), affinché il Signore non solo li illumini sul vero scopo che Egli ha nel farli soffrire (il che non basta); ma ch’Egli dia pur loro la forza di sostenere con merito la paterna ma pur dolorosa prova, che è foriera di immense grazie e caparra di eterna felicissima vita nel Paradiso.
21. — Per chi dice: Non posso pregare.
Ho già scritto assai sulla necessità e soprattutto sull’efficacia della preghiera. Ma tutta la mia opera sarebbe quasi inutile se poi non si avesse da tutti e sempre la grazia di pregare. Mi pare quindi d’udire più di uno, che mi dice: Sia pur vero, come hai sostenuto e provato, che il Signore concede le sue grazie efficaci a chi Gliele domanda nella preghiera. Ma non è una grazia anche quella di poter pregare? E questa grazia di poter effettivamente pregare, il Signore ce la concede indipendentemente da altre grazie? E la concede sempre? la concede a tutti? anche ai più grandi peccatori? Vedi anche tu che la chiave della questione sta tutta qui! » E mi sembra di poter rispondere affermativamente a tutte le suddette domande. È sintomatico, in proposito, ciò che ci fa sapere il grande finanziere americano John Moody, entrato nella Chiesa Cattolica nel 1931. « Vi sono dei momenti — egli scrive — oppure delle ore che arrivano una volta per tutti, per quanto uno possa essere indurito e mondano. Lo afferra il tremendo mistero della vita, il quale lo sorprende e lo richiama anche alla preghiera, risveglia in lui qualcosa che sonnecchiava, e spinge l’anima sua ad implorare luce, guida, aiuto. – Qui sembra che il Moody parli d’una grazia rara e quindi straordinaria. Noi invece con Sant’Alfonso dobbiamo ritenere che il poter pregare è una grazia comune ed ordinaria, che Dio dà sempre e a tutti; dimodoché chi non prega, non vi manca per deficienza della grazia, ma solo perché si rifiuta o trascura di pregare. S. Alfonso infatti scrive: « Supposta dunque, com’è certa, la necessità di pregare per conseguir la salute, dobbiamo conseguentemente supporre anche per certo che ognuno abbia l’aiuto divino a poter attualmente pregare, senza bisogno d’altra grazia speciale; e colla preghiera ad ottenere poi tutte le altre grazie necessarie per osservare perseverantemente i precetti, e così acquistar la vita eterna; sicché niuno che si perde può aver mai alcuna scusa d’essersi perduto per mancanza degli aiuti necessari per salvarsi ». Egli quindi ritiene che « siccome Iddio nell’ordine naturale ha disposto che l’uomo nasca nudo e bisognoso di più cose per vivere, ma poi gli ha dato mani e mente con cui può vestirsi e provvedere a tutti gli altri suoi bisogni; così nell’ordine soprannaturale l’uomo nasce impotente ad ottenere colle sue forze l’eterna salute, ma il Signore concede per sua bontà ad ognuno la grazia della preghiera, colla quale può poi impetrare tutte le altre grazie che gli bisognano per osservare i precetti e salvarsi.». – E non può essere diversamente. Infatti se il Signore ci vuole veramente salvi (e dopo quanto ho scritto nei primi capitoli, non si può metterlo in dubbio), Egli deve pur concederci i mezzi necessari all’uopo; poiché « è della divina Provvidenza dare a ciascuno ciò che gli è necessario per salvarsi » (S. Tommaso d’Aquino). Ora noi già sappiamo che colle sole nostre forze e coi mezzi puramente naturali che abbiamo a disposizione, non riusciamo — pur essendo in grazia di Dio — a preservarci a lungo da colpe mortali e quindi dal pericolo di dannarci, senza quell’aiuto soprannaturale di Dio che si chiama grazia attuale. Sappiamo pure che, quantunque il Signore dia a tutti indistintamente le sue grazie attuali sufficienti, tuttavia di fatto Egli non dà ordinariamente grazie efficaci a salvarci dal peccato mortale e dall’inferno, se non a chi si fa premura di dimandargliele, cioè a chi prega. Per conseguenza la grazia di pregare, Dio é obbligalo a concederla sempre e a tutti. E quindi, la grazia di pregare, è una grazia comune ed ordinaria che non manca mai ad alcuno. Ed infatti chi oserà dire che un uomo qualsiasi, anche il più infelice e scellerato, che abbia l’uso della ragione, non possa di fatto, ogni qualvolta davvero voglia, aver di fronte al Creatore e Signore supremo di tutte le cose, quel contegno di umile, fiduciosa e cordiale supplica, che un bambino — per quanto rozzo e selvaggio – ha di fronte al babbo e alla mamma che sono i suoi naturali provveditori, od un poveretto davanti ad un ricco signore che potrebbe aiutarlo nella sua miseria? Ah! lo stender la mano e l’invocar soccorso è naturale in un mendicante. E noi non siamo forse « i mendicanti di Dio »? (S. Agostino). E qual è l’occupazione tutta propria e spontanea d’un bambino di fronte ai suoi genitori, se non quella di chiedere, domandare e supplicare? E qual è il grido che spontaneamente esce dalle labbra di chi si trova in pericolo, se non questo: « Aiuto! aiuto! aiuto! »? – Ora che impedisce che possa fare altrettanto ognuno di noi di fronte a quel grande Signore, che « attraverso le cose visibili da Lui create è noto ad ogni uomo che viene in questo mondo?” (Sap. XIII, 1; Rom. 1,20). Eh, lo so! Non di rado la prima grazia che si dovrà chiedere, sarà una maggior fede in Dio: « O Signore, vieni in sostegno della mia scarsa fede! » (Luc. XVII, 5; Marc. IX, 23); altre volte si dovrà domandare la grazia di conoscere meglio la nostra condizione di fronte a Lui, con un:.« Signore, ch’io veda! » (Luc. XVIII, 41); altra una miglior disposizione d’animo di fronte a quel Grande, col dirgli: « O Signore, crea in me un cuor puro, ed infondi nell’anima mia lo spirito della rettitudine » (Salmo 50, 12); e così via dicendo. – Ma non esageriamo: la grazia di pregare in un modo o nell’altro è sempre data a tutti. Ed ecco appunto qui, una dopo l’altra, le limpide conclusioni alle quali, nel suo faticoso ma pur tanto salutare studio, arrivò il gran Dottore della preghiera S. Alfonso de’ Liguori, nel suo piccolo ma pur tanto prezioso libro « Del gran mezzo della preghiera »: conclusioni che dicono tutte la stessa cosa, ma che pur conviene meditare una per una: « La grazia comune dà ad ognuno il pregare attualmente, senza nuova grazia preveniente che fisicamente a moralmente determini la volontà dell’uomo a porre in atto la preghiera ». « Ognuno ha la grazia necessaria a pregare, dalla quale — se ben si giova — riceve la grazia a fare ciò che prima non poteva immediatamente fare. A tutti è data la grazia di pregare, e col pregare di ottenere la grazia abbondante che ci fa osservare i precetti. Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina legge e perseverare sino alla morte. E se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, per non aver pregato » (Dunque non ragionano bene coloro che dicono: « Pregare ed altro ben non fare, a ca’ del diavolo non si fa a meno di andare ». Infatti, chi prega bene, certamente ottiene da Dio la grazia di fare il bene e di farlo bene. Si capisce! per pregar bene, non basta solo menar le labbra!). – « Dio non nega mai ad alcuno la grazia della preghiera, colla quale si ottiene da Dio l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. Vien tolta ogni scusa a quei peccatori che dicono di non aver la forza di superar le tentazioni, poiché se essi pregassero secondo la grazia ordinaria che ad ognuno è già donata, otterrebbero questa forza e si salverebbero. Se mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza da molti peccati, intendete che questa ne è stata la cagione: la trascuranza (non l’impossibilità) pregare o di domandar a Dio l’aiuto per resistere alle tentazioni che vi hanno assalito ». – « Intendiamo (quindi) che se non preghiamo, per noi non c’è scusa, poiché la grazia di pregare è data a tutti. Anzi vedi ciò che arriva a scrivere S. Alfonso: « Se non fossimo certi — ei scrive — che Dio dona a lutti la grazia di poter attualmente pregare senza bisogno di altra grazia particolare e non comune a tutti, niuno senza special rivelazione potrebbe sperare, come si deve, la salute » eterna. Ora dire che il Signore ci voglia far vivere in questo mondo da disperati, cioè senza la speranza di poterci salvare, non è forse esprimere il massimo degli spropositi e la più nefasta delle eresie? Ah! sia lungi da noi un tal pensiero. Certamente « può avvenire in realtà che tu non abbia ancora la grazia di osservare questo o quel comandamento, ma ben hai la grazia per chiedere tal grazia. Per cui vedrai che Dio non ti comanda nulla d’impossibile; poiché o ti concede direttamente la grazia per osservarli, o per lo meno ti concede la preghiera con cui tu puoi impetrare la grazia di osservarli » (P. Meschler). – Dobbiamo quindi fermamente ritenere che la grazia di pregare vien sempre da Dio concessa a tutti, e che perciò il servirci di questa grazia che apre l’adito a tutte le altre, dipende unicamente dalla nostra volontà. Per legittima conseguenza, se veramente vogliamo, per mezzo della preghiera ben fatta noi otterremo effettivamente e con tutta certezza da Dio la grazia di risorgere dal peccato, di preservarci dalla colpa, di correggerci dei nostri difetti, di compiere opere a Dio gradite e per noi meritorie, e di perseverare nel bene fino alla morte (Quindi non credo che sia tanto conveniente inveire molto contro i peccatori, né fare grandi sforzi per convincerli del male che fanno; poiché essi stessi — se non davanti ad altri — ben! però di fronte a se stessi, son convintissimi di essere fuori di strada, soprattutto quando vanno contro la legge naturale; e dànno spesso a se medesimi, in segreto, i nomignoli più disonoranti). Si tenga bene a mente che quanto ho scritto qui è della massima importanza pratica.