LA PREGHIERA DI PETIZIONE (5)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (5)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

La dottrina della grazia.

Ritengo di fare cosa molto opportuna riportando qui l’insegnamento della Chiesa riguardo alla grazia santificante ed alla grazia attuale. Così renderò più intelligibili anche i successivi capitoli. Seguo in questo il Catechismo del Card. Pietro Gasparri, perché più completo.

I. La grazio di Dio in generale è un dono soprannaturale concesso gratuitamente da Dio alle creature ragionevoli, affinché possano conseguire la vita eterna.

2. La grazia attuale è un aiuto soprannaturale di Dio che illumina l’intelligenza e muove la volontà a fare il bene e fuggine il male in ordine alla vita eterna. Essa ci è assolutamente necessaria perché noi, con le sole nostre forze, non possiamo né pensare, nè volere, né fare alcuna opera buona meritevole per la vita eterna. Dio poi, che vuol salvi tutti gli uomini, a tutti concede le grazie di cui abbisognano per conseguire la vita eterna: ma per conseguirla l’uomo, se adulto e dotato di ragione, deve, aiutato da Dio, liberamente cooperare con Lui, che previene le sue buone opere inspirandole e lo assiste aiutandone il compimento.

3. La grazia santificante, o abituale, è una qualità soprannaturale inerente all’anima, che rende l’uomo partecipe della divina natura, tempio dello Spirito Santo, amico e figliuolo adottivo di Dio, erede della gloria celeste, e perciò capace di compiere opere meritevoli della vita eterna. Essa è assolutamente necessaria a tutti gli uomini, anche ai bambini, per ottenere la vita eterna. – Con le buone opere compiute in grazia di Dio, noi meritiamo un aumento di grazia, il raggiungimento della vita eterna ed un aumento di gloria.

La grazia santificante si perde con qualunque peccato mortale; e si riacquista col perdono dei nostri peccati, che si ottiene usando i mezzi stabiliti da nostro Signor Gesù Cristo (Battesimo, Penitenza od atto di dolore perfetto congiunto col voto del Battesimo o della Penitenza). Chi è in istato di peccato mortale può ancora compiere opere buone, ma non gli sono meritorie per la vita eterna; tuttavia esse, con l’aiuto della grazia attuale, lo dispongono alla giustificazione ».

Soggiungo poi qui la nota 3 dell’opuscolo « Alcune note pratiche sul testo di Catechismo: « l’Orazione e la Liturgia » — già da me citato nel c. 5; nota che pure è molto importante al mio assunto.

« La grazia santificante e la grazia attuale sono due cose distinte ed affatto diverse. Basti osservare che si danno casi nei quali uno ha la grazia santificante e a lui non giunge la grazia attuale, e viceversa. Per esempio, un neonato appena battezzato ha la grazia santificante, ma a lui non giunge la grazia attuale. Invece chi vive in peccato mortale non ha la grazia santificante, ma Dio dà a lui le grazie attuali. Anzi Dio dà grazie attuali anche agli increduli che non hanno la Fede. – Di più la grazia santificante è una qualità che Dio infonde nell’anima e che resta (come la salute, la scienza ecc.) fmchè non viene scacciata dal peccato mortale. Invece la grazia attuale è un aiuto che Dio dà all’anima e che passa. Chi identificasse la grazia santificante con le grazie attuali, cadrebbe nell’errore di chi identificasse le lampadine colla corrente elettrica e i motori coll’energia che li mette in moto ». Termino avvertendo che nella compilazione dei seguenti capitoli mi sono servito molto dell’opera del Tissot « La vita interiore semplificata » ed anche di « Viva Dio! », edite ambedue da Marietti — Torino.

7. — La grande attrice e trasformatrice.

La grazia di Dio! Grande parola e cosa ancor più grande! Ma quanti dei Cristiani odierni potrebbero dire della grazia ciò che i primi Cristiani di Efeso asserivano dello Spirito Santo. « Noi — dissero quelli — non abbiamo neppur udito che ci sia uno Spirito Santo » (Att. 19, 2). E questi potrebbero soggiungere: « E a noi non consta che ci sia la grazia ». Vediamo dunque che cosa sia questa divina grazia così poco conosciuta, e da tanti ancor meno apprezzata e assecondata. La grazia, in genere, è un dono gratuito e superiore alla natura umana ed anche alla natura angelica, che Dio concede alle creature intelligenti per condurle alla vita eterna. Essa è essenzialmente soprannaturale; e quindi nessuna creatura ragionevole, nella sua condizione naturale, ha nè può aver diritto alcuno a sì magnifico dono. Ma è per essa, ed unicamente per essa, che la nostra attività si unisce all’attività di Dio e la nostra vita si lega e si congiunge alla vita di Dio, rendendoci capaci di atti e di vita soprannaturali. La grazia di Dio è duplice: attuale e santificante. Prima però di parlare di queste, conviene ch’io dica brevi parole anche della grazia concessa ad Adamo, che — s’egli non avesse peccato — doveva pur passare ai suoi discendenti: la giustizia originale. Questa, concessa ai nostri progenitori, Adamo ed Eva, affinchè fosse trasmessa in certo modo per generazione ai suoi figli e per mezzo di essi. a tutti coloro che sarebbero di volta in volta sopravvenuti, fu da Dio ritirata ad Adamo ed Eva in seguito alla loro grave disobbedienza, nè mai più in seguito concessa ad alcuno, come tale. Così Adamo e gli ru0uomini successivi, quantunque non fossero affatto menomati nella loro umanità, cioè nell’ordine naturale, non furono però più quali erano usciti dalla mente di Dio e quali, dovevano essere. Essi erano stati creati per il Paradiso da raggiungersi col mantenersi in tale giustizia originale. Tolta però ad Adamo tale giustizia, veniva pure, con ciò stesso, interrotta ogni comunicazione col Paradiso; e perciò sia Adamo, sia — per causa di lui che, come capostipite, ne era il garante — tutti i suoi discendenti, andarono soggetti ad una gravissima degradazione: una degradazione tale per cui S. Agostino non credette di errare dicendo l’umanità decaduta dalla giustizia originale, una « massa dannata ». Ed ecco la necessità di un Redentore, vale a dire d’un riparatore, che avesse fatta la riconciliazione fra l’uomo e Dio e riallacciata la comunicazione fra la terra e il cielo: opera non solo ammirabilmente misericordiosa, ma anche eminentemente soprannaturale che, in felice, stupenda ed anzi divina maniera, con pur retroattivo effetto, si compì venti secoli addietro dallo stesso Figlio di Dio, fattosi uomo. Si, « questo fece Gesù Cristo Signore nostro offrendo se stesso una volta » al suo divin Padre, sulla croce (Ebr. 7, 27). – E ora diciamo qualcosa della grazia che riguarda noi; ed anzitutto della grazia attuale. Questa consiste in un movimento soprannaturale, in una eccitazione vitale impressa alle nostre potenze per farle agire con Dio. Nella nostra mente è una luce che ci aiuta a vedere Dio e gli altri esseri in rapporto a Dio; nel nostro cuore è un calore che ci fa amare Dio e tutto ciò che può attirarci o spingerci verso Dio; nelle nostre facoltà interne e nei nostri stessi sensi esterni essa è un’energia che ci aiuta ad avvicinarci a Dio, a servire Dio ed a servirci delle cose create per Iddio. Si chiama « attuale » sia perché ci spinge all’attività, sia perché è un aiuto attuale del momento, sia perché è da Dio offerta atto per atto quando ce n’è il bisogno o la convenienza. Essa è come il tocco magico della mano di Dio che interviene ad aiutarci nel momento opportuno in ciascuna delle azioni ch’Ei vuole che noi compiamo per riuscirgli graditi.

Oh, preziosità della grazia attuale! Anche alla sola luce di questi concisi pensieri, noi possiamo, se non in tutto comprendere, ben certo convenientemente sfiorare i grandi pensieri sulla grazia che fa lampeggiare davanti ai nostri sguardi stupefatti il grande convertito sulla via di Damasco. « Sono figli di Dio — ei scrive — coloro che si lasciano manipolare dallo Spirito di Dio… Da noi stessi non siamo in grado di pensare alcunchè, come se fosse da noi (che abbia valore presso Dio per la vita eterna); ma la nostra sufficienza viene da Dio… Infatti è Dio che produce in noi il volere e il fare secondo il suo beneplacito» (Rom. 8, 14; II (2or. 3, 5; Filip. 2, 13). Ed è seguendo queste nozioni che noi possiamo spiegarci come milioni e milioni di anime abbiano potuto far proprio il motto di S. Paolo stesso: « Chi mi separerà dall’amore di Cristo? » (Rom. 8, 2) ed in esso mantenersi saldi fino all’estremo sacrificio, per non perdere l’amicizia e la figliolanza di Dio. Essi sapevano d’aver a propria disposizione la forza stessa di Dio nella grazia attuale. Ed è ancor sotto l’influsso di questa grazia che anche oggi tante anime possono risolutamente asserire: “Io posso ogni cosa in Colui che mi, conforta » e mi sostiene” (Filip. 4, 13); né mancano di quelle che pur possono francamente ripetere coll’Apostolo delle genti: « E’ per la grazia di Dio ch’io sono ciò che sono; e la grazia di Dio non fu in me inoperosa. Anzi io ho faticato più degli altri: non però io. ma la grazia di Dio con me » I Cor. 15, 10-11). Ed è pur alla luce dei precedenti riflessi che appaiono in tutta la loro verità certi mirabili pensieri dei Santi sulla grazia. S. Agostino, per esempio, mette in bocca a Dio queste parole: « Sono stato io a disporre che ti mancasse l’occasione di commettere atti impuri; io a fare in modo che ti mancasse il tempo e il luogo; ed anche quando avevi l’occasione e il tempo e il luogo adatti all’uopo, sono stato io ad impedire che tu acconsentissi. Riconosci dunque che, se non hai commesso il male, lo devi alla grazia dì Lui » (Omel. XXIII inter. L.). Il Ven. Padre Luigi da Granata, a sua volta, dice che « se ci allontaniamo dal male, è Lui (lo Spirito Santo colla sua grazia) che ci separa; se facciamo del bene, lo facciamo in virtù di Dio; se perseveriamo nel bene, vi perseveriamo in grazia di Lui ». – E quindi « l’avere Iddio impedito che si commettessero peccati, non è minor misericordia del perdonarli dopo commessi ». Ah, quante pie riflessioni si potrebbero dedurre anche solo da quest’ultimo pensiero! – « Iddio poi — continua lo stesso Venerabile — non si contenta di perdonare i peccati e di riceverci nella sua grazia; ma ancora allontana dall’anima tutti i mali causati dalla colpa, riformando e rinnovando il nostro interiore. E così (per mezzo della grazia attuale), lava le nostre immondizie, rompe i lacci del peccato, scuote il giogo dei perversi desideri, ci libera dalla schiavitù del demonio, mitiga la veemenza delle nostre cattive inclinazioni, ci restituisce la vera libertà e bellezza dell’anima, ci dà la pace e l’allegrezza della buona coscienza, ravviva i sentimenti interiori, ci rende facili al bene e tardi al male, forti e costanti per resistere alle tentazioni; e così ci arricchisce di buone opere » (In « Guida dei peccatori »). Ahl come potremo noi dimostrare e realmente avere una condegna riconoscenza verso il buon Dio che colla grazia attuale ci procura beni sì preziosi e ci libera da mali sì orrendi?! A questo punto però mi conviene fare una breve sosta per dire qualcosa anche della grazia santificante, la quale si raggiunge, si riacquista, si conserva e si nutre appunto coll’assecondare fedelmente la grazia attuale (Questo dico degli uomini che hanno l’uso della ragione. I bambini e coloro che fin dalla puerizia difettano dell’uso della ragione, raggiungono la grazia santificante per mezzo del battesimo, senza metterci nulla di proprio). Di questa poi — siccome essa ha immensa importanza nello svolgimento del mio assunto — riprenderò la trattazione nel successivo capitolo, per non abbandonarla più se non quando dirò quella parola che giustificherà il titolo che do’ a questo mio modesto.ma importantissimo lavoro.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (15).

6. LA RESURREZIONE DELLA CARNE.

Gli ebrei credevano già che i corpi dei morti sarebbero risorti un giorno; Giobbe si rallegrava in mezzo alle sue sofferenze al pensiero della sua futura risurrezione (Giobbe XIX, 35); così come i fratelli Maccabei (II. Macch. VII, 11). Anche Marta disse a Gesù: “So che mio fratello risorgerà alla risurrezione dell’ultimo giorno”. (S. Giovanni XI, 21).

1. CRISTO NELL’ULTIMO GIORNO RISUSCITERÀ DALLA MORTE I CORPI DI TUTTI GLI UOMINI E LI RICONGIUNGERÀ PER SEMPRE CON LE ANIME.

Cristo, infatti, ha spesso affermato che avrebbe risuscitato dalla tomba i corpi di tutti gli uomini, ed ha dimostrato con i miracoli di avere il potere di farlo. Inoltre, la risurrezione dei morti è il suo tipo in molti fenomeni della natura.

Cristo risusciterà tutti gli uomini; verrà a giudicare i vivi e i morti (Apoc. Symb.), cioè nell’ultimo giorno risusciterà i corpi degli uomini già morti (i morti) e quelli degli uomini ancora vivi (i vivi); ma questi ultimi si trasformeranno in un batter d’occhio; moriranno e risorgeranno nello stesso momento. (I. Tess. IV, 16). Cristo risusciterà sia coloro che sono in stato di grazia (vivi), sia coloro che sono in stato di peccato mortale (morti) (S. Giovanni V, 28; S. Matteo XXV, 31 e seguenti). Inoltre la resurrezione sarà istantanea ed universale (I. Cor. XV, 52); i buoni e i cattivi risorgeranno allo stesso tempo. – Cristo ha spesso dichiarato che avrebbe risuscitato i morti. “Verrà un’ora – disse – in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la voce del Figlio di Dio; quelli che hanno fatto il bene usciranno alla risurrezione della vita, quelli che hanno fatto il male, alla risurrezione del giudizio”. (S. Giovanni VI, 35). In un’altra occasione disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. (S. Giovanni VI, 55). Il Cristo paragona spesso la morte ad un sonno: la figlia di Giairo (S. Matth. IX, 24} e Lazzaro (S. Giovanni XI, 11) secondo Lui erano solo addormentati. Ora la morte non essere comparate al sonno se non a causa della risurrezione. (1. Thess. IV, 13. – Cristo ha dimostrato che era in suo potere resuscitare i morti: risuscitò la figlia di Giairo nella sua casa, il giovane di Naim davanti alle porte della città e Lazzaro nella sua tomba. Risuscitò se stesso e la Beata Vergine, sua Madre. Egli può quindi dire in tutta verità: “Io sono la risurrezione e la vita” (S. Giovanni, XI, 2â). – Molti fenomeni della natura rappresentano la risurrezione dei morti: il nostro risveglio al mattino; il risveglio della natura in primavera, la metamorfosi del verme (attaccato come l’uomo alla gleba) in crisalide (immagine dell’uomo nel sepolcro), poi in farfalla (tipo di uomo risorto grazie alla sua bellezza e alle sue ali che lo liberano dal glebo); la schiusa della gallina dall’uovo (simbolismo delle uova); la germinazione del seme che sembra essere marcito (l. Cor, XV, 36); la guarigione dell’uomo dopo una grave malattia; il risveglio di certi animali intorpiditi durante l’inverno; il tramonto ed il sorgere del sole; il calare e il calare del sole; il calare e il calare del sole, la decrescita e la crescita della luna. Un altro simbolo della risurrezione è la rosa di Gerico (una pianta che cresce nei pressi di questa città e che Linneo chiama “fiore della resurrezione”). è un’immagine del potere di Dio di restituire la vita, perché questo fiore, anche se è stato secco per secoli, ricomincia a vivere non appena il suo stelo viene immerso nell’acqua.

2. DIO RISUSCITERÀ I CORPI PER RIVELARE L’INFINITÀ DELLA SUA GIUSTIZIA E PER GLORIFICARE IL SALVATORE.

Se l’anima da sola fosse punita o premiata, il castigo non sarebbe completo. “Infatti – dice Tertulliano – molte opere buone, come il digiuno, la castità, il martirio, possono essere compiute solo per mezzo del corpo. Perciò è giusto che esso partecipi alla felicità dell’anima”. Per rivelare l’infinito della sua giustizia, Dio estenderà la punizione all’anima, che è stata lo strumento del corpo. “Quando – dice Teodoreto – si erige una statua ad un generale vittorioso, ci piace rappresentarlo con l’armatura che indossava in battaglia. L’anima non dovrebbe forse essere glorificata nel corpo in cui ha sconfitto il suo nemico?”. La retribuzione è quindi la ragione ultima della risurrezione (Tert.) – La risurrezione porta alla glorificazione del Salvatore. Cristo ha voluto salvare tutto l’uomo, nel corpo come nell’anima. Se avesse salvato solo l’anima senza il corpo, la redenzione sarebbe stata incompleta (Tert); il diavolo nella sua opera di distruzione sarebbe stato più potente di Cristo nella sua opera di restaurazione; questo è impossibile: il trionfo di Cristo è stato completo: “Da un solo uomo la morte è entrata nel mondo, e da un solo uomo la resurrezione (I. Cor. XV, 21).

3. I CORPI RISORTI AVRANNO LE SEGUENTI QUALITÀ:

1° saranno identici a quelli di questa vita; 2° i corpi dei giusti saranno glorificati, quelli dei malvagi abbassati nell’obbrobrio. 3° i corpi dei risorti saranno senza mutilazione e immortali.

L’uomo risorgerà con il proprio corpo. “Questo corpo corruttibile si vestirà di incorruttibilità e questo (corpo) mortale, immortalità. (I. Cor. XV, 63). Tutti gli uomini risusciteranno (Simb. Ath.). Giobbe sapeva già che nella risurrezione avrebbe avuto lo stesso corpo che aveva in precedenza: “Risorgerò –  disse – dalla terra nell’ultimo giorno e sarò rivestito di nuovo della mia pelle e vedrò Dio nella mia carne”. (Giobbe XIX, 26). Al momento dell’esecuzione, uno dei sette fratelli Maccabei disse al tiranno che lo aveva condannato al taglio delle membra: “Li ho avuti da Dio e spero che me li restituisca (II. Macch. VII, 11). I pagani di Cartagine erano venuti alla prigione per osservare santa Perpetua e le sue compagne, e lei disse loro: “Guardateci bene e fissate bene le nostre figure, in modo da riconoscerci nel giorno del giudizio. “Questo commento li convertì. Noi avremo dunque gli stessi corpi e non di nuovi, in modo che ciascuno di noi possa ricevere ciò che gli spetta per le azioni buone o cattive che ha compiuto mentre era rivestito del suo corpo. (II. Cor. V, 10). La retribuzione è dovuta solo al corpo che ha partecipato all’azione e non ad un altro. “Per quanto un’altra anima deve ottenere il castigo, quanto un corpo diverso da quello che ha commesso l’azione (Tert) Non è impossibile che Dio ricostituisca il corpo disorganizzato; perché se Dio ha potuto fare ciò che non era, quanto più può ricostituire ciò che era già. “Anche se in 10 o 20 anni tutte le molecole materiali del nostro corpo sono cambiate, il nostro corpo rimane identico a se stesso, perché il principio e la sostanza rimangono gli stessi, manterranno la loro identità anche se non gli verranno restituite tutte le molecole materiali”. (S. Thom. Aq.). È perché speriamo di recuperare i nostri corpi alla risurrezione che li seppelliamo, che veneriamo le reliquie dei Santi. – I corpi risorti non avranno tutti le stesse qualità; tutti risorgeremo ma non saremo tutti trasformati (glorificati). (1. Cor. XV, 51). I corpi dei giusti saranno simili al corpo glorioso di Gesù Cristo (Fil. III, 21) e di conseguenza possiederanno le seguenti proprietà: saranno impassibili (Apoc. XXI, 4), luminosi come il sole (S. Matth. XIII, 43), agili come il pensiero e dotati di penetrabilità. I corpi gloriosi saranno trasformati come il ferro comune si trasforma nella fornace. “Cristo alle nozze di Cana trasformò l’acqua comune in vino prezioso, così nel giorno della risurrezione Egli nobiliterà l’attuale natura vile dell’uomo. (S. Amb.) Se Dio ha potuto concedere agli insetti il dono di brillare nel crepuscolo, perché non potrebbe concederlo anche al corpo umano? (S. Cir. di Gerus.) La brillantezza celeste del nostro corpo supererà quella del sole, proprio come quest’ultima supera attualmente la luce del nostro corpo (S. Aug.); ne abbiamo prova nella trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor e nello splendore del volto di Mosè quando scese dal Sinai dopo il colloquio con Dio. Se, dopo la sua risurrezione, Cristo si mostrò spogliato del suo splendore, fu perché gli Apostoli, con i quali doveva conversare, non avrebbero potuto sopportare il suo splendore. (S. Aug.) Il corpo risorto del giusto è spesso chiamato spirituale, perché sarà completamente soggetto allo spirito e libero da ogni concupiscenza terrena. (Luca XX, 35). La bellezza del corpo dipenderà da quella dell’anima (1. Rom.VIII, 11; 1. Cor. XV, 41). Lo storpio più miserabile che avrà vissuto piamente avrà un corpo splendido, mentre il peccatore più bello risusciterà con un corpo orrendo. (Alb. Stolz). I corpi dei peccatori più belli saranno mostruosi. (S. Matth. XXII, 13). – I corpi risorti recupereranno la loro integrità. I martiri recupereranno le loro membra mutilate, anche se le loro ferite rimangono, come quelle del Salvatore, superiori alla lucentezza dell’oro e delle pietre preziose. (S. Aug.) I Santi non porteranno alcuna traccia di età, di malattia o di qualsiasi macchia. Anche i dannati recupereranno l’integrità corporea, ma per la loro punizione: perché più membra avranno, maggiore sarà il tormento. – I corpi risorti saranno Immortali (I. Cor. XV, 42); nel paradiso il frutto dell’albero della vita avrebbe reso il corpo immortale, ora è la Comunione che è il pegno della risurrezione e dell’immortalità. (S. Giovanni VI, 55). Dio, che ha dato la vita ai patriarchi per 900 anni, sarà anche in grado di farci vivere in eterno. I dannati non moriranno tuttavia, difficilmente possono essere chiamati immortali, poiché, non potendo morire, è piuttosto la loro morte che non muore. (S. Aug.) La risurrezione dei morti è la speranza dei Cristiani. (Tert.)

4. LA FEDE NELLA RESURREZIONE CI CONSOLA NELLA SOFFERENZA E NELLA PERDITA DIBPARENTI ED AMICI.

Giobbe, nel mezzo dei più grandi dolori, era consolato dal pensiero della risurrezione (Giobbe XIX, 25); questo stesso pensiero diede ai primi Cristiani il loro coraggio, l’impavidità di fronte ai loro persecutori. – Chi ha una fede viva nella resurrezione, non si lascerà andare ad un dolore eccessivo quando i suoi moriranno, non più di quanto non ci disperiamo al tramonto, certi che il giorno dopo il sole sorgerà di nuovo. Noi Cristiani, dunque, non dobbiamo piangere sulle tombe dei nostri cari come i pagani che non hanno speranza. (I. Tess. IV, 12). Anche San Cipriano, Vescovo di Cartagine (f 258}, metteva in guardia i Cristiani da un lutto eccessivo che potrebbe far dubitare i pagani della fede dei Cristiani nella risurrezione; riteneva inopportuno piangere per coloro (i martiri) che davanti al trono di Dio indossano la veste della gioia; solo coloro che sono morti nel peccato dovrebbero essere pianti.

7. GIUDIZIO UNIVERSALE.

I. SUBITO DOPO LA RESURREZIONE DEI MORTI, AVRÀ LUOGO IL GIUDIZIO UNIVERSALE. CRISTO INFATTI HA SPESSO AFFERMATO CHE. DOPO LA RESURREZIONE DEI MORTI, AVREBBE RADUNATO TUTTI GLI UOMINI DAVANTI AL SUO TRONO PRR GIUDICARLI.

Il ritorno di Gesù per il giudizio è stato annunciato agli Apostoli da due Angeli subito dopo l’Ascensione. (Act. Ap. I, 11). Gesù stesso disse: 1° che la croce sarebbe apparsa in cielo per annunciare la venuta del Giudice e riempire di timore i malvagi (S. Matth. XXIV, 30); 2° che sarebbe venuto in grande maestà, non più nel suo abbassamento, il che non vuol dire che tutti gli uomini avranno la visione di Dio, che si può ottenere solo in cielo e che costituirebbe il paradiso per gli empi; essi sentiranno la presenza e la maestosità di Dio solo attraverso alcuni segni (S. Thom. Aq.); 3° che i SS. Angeli lo accompagneranno (S. Matth. XXV, 31): gli Angeli che hanno contribuito alla salvezza degli uomini saranno glorificati davanti a tutto l’universo; 4° che seduto sul suo trono raccoglierà attorno a sé tutti i popoli della terra (S. Matth. XXV, 32); 5° che li separerà, come un pastore separa i capri dalle pecore: i giusti saranno chiamati alla sua destra, gli empi alla sua sinistra (ib. 33). – La parola Giosafat in ebraico significa il giudizio di Jeowa. Se dunque il profeta (Gioele III, 2) dice che Dio raccoglierà e giudicherà tutti i popoli nella valle di Giosafat, non sta parlando della valle tra Gerusalemme ed il Monte degli Ulivi, ma del luogo designato da Dio per il giudizio universale. La piccolezza di questa parola non va presa in senso letterale. Chiamiamo questo giudizio universale o generale, perché tutti gli uomini che sono mai vissuti, ed anche gli Angeli, saranno giudicati lì; si chiama ultimo, perché avrà luogo nell’ultimo giorno. – Al giudizio di Dio non si può essere rappresentati come nei tribunali umani, ma si deve comparire di persona e rendere conto della sua vita (S. Vinc. Fer.). Io ho visto, dice l’Apocalisse, i grandi e i piccoli davanti al trono di Dio (XX, 12),

2. IL GIUDIZIO UNIVERSALE AVRÀ LUOGO PER RIVELARE A TUTTE LE CREATURE LA SAPIENZA E LA GIUSTIZIA DI DIO. ESSO SARÀ RESO DA GESÙ PER RESTITUIRGLI PUBBLICAMENTE L’ONORE DI CUI I PECCARI LO HANNO PRIVATO.

Nel giorno del giudizio universale, Dio rivelerà agli uomini la sapienza con cui ha diretto i destini di tutti e di ciascuno, affinché potessero raggiungere la loro felicità terrena. Gli uomini vedranno come Dio abbia fatto servire al bene il male, tanto le sofferenze degli uomini ed i loro peccati. – Al giudizio Dio rivelerà anche la sua giustizia, perché completerà ciò che è rimasto imperfetto nel giudizio particolare. Le azioni, le parole e gli scritti di molti uomini hanno ancora fatto del bene o del male dopo la loro morte, gli Apostoli e i missionari hanno benedetto molte generazioni con opere buone, così come gli eretici hanno corrotto non solo i loro contemporanei ma anche i posteri. Il seme seminato dall’uomo raggiunge la piena maturità solo al Giudizio Universale. Il tribunale sarà presieduto da Cristo stesso, perché giudicare è un atto di sapienza e, in quanto Figlio di Dio, il Figlio di Dio è la sapienza generata dal Padre (l’intelligenza eterna del Padre), e gli appartiene giudicare (S. Th. Aq.). Inoltre, Cristo verrà come giudice, perché i suoi contemporanei e molti empi nel corso dei secoli gli hanno negato l’onore che gli spetta. È stato condannato come criminale dall’iniqua sentenza di Pilato e, secondo l’Apostolo, divenne uno scandalo per i Giudei e una stoltezza per i Gentili (I. Cor. I, 23); il suo onore dovrà essergli restituito al momento del giudizio. I suoi nemici avranno paura di Lui, come i fratelli di Giuseppe quando egli si fece conoscere (Gen. XLV); “allora gli empi diranno ai monti: “Schiacciateci”, e ai colli: “Copriteci!” (S. Luc XXIII, 30). Così Cristo ha detto: “Il Padre non giudica nessuno; ha rimesso il giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre”. (S. Giovanni V, 22). Durante la sua vita, Cristo non esercitò il suo potere di giudice: “Io – disse – non giudico nessuno” (ibid. VIII, 15). Nell’ultimo giorno, Cristo renderà giustizia, perché si è fatto uomo. La razza umana risorta deve avere un giudice visibile. “Il Padre – ha detto Gesù per questo motivo – ha dato al Figlio il potere di giudicare, perché è il Figlio dell’uomo” (ib. V, 27). Dio ci dà anche un uomo come giudice per misericordia (S. Bernardo). “Accetto volentieri come giudice – grida San Tommaso di Villanova – Colui che è stato il mio Salvatore!” (ib. V, 27).

3. IL GIUDIZIO DI CRISTO NELL’ULTIMO GIORNO CONSISTERÀ NELLO SCOPRIRE CIÒ CHE È PIÙ NASCOSTO, ESIGERE CHE OGNI UOMO. RENDA CONTO DELLE SUE OPERE DI MISERICORDIA E. DI SEPARARE ETERNAMENTE I BUONI DAI MALVAGI.

In senso stretto, il Giudizio universale non sarà altro che una ripresa solenne del Giudizio particolare; “lo stato in cui ciascuno si trovava nell’ultimo giorno della sua vita – dice Agostino – sarà anche quello dell’ultimo giorno dell’universo. Si sarà allora giudicato nello stesso modo che al momento della morte”. Possiamo anche dire: l’ultimo giudizio sarà una ripresa della storia universale, perché tutti gli avvenimenti di tutti i secoli passeranno in un solo giorno davanti agli occhi degli uomini. Dio, nella sua onniscienza li ha, per così dire, scritti; per questo la Scrittura parla dell’apertura dei libri in base ai quali i morti saranno giudicati (Apoc. XX, 12). Le cose più segrete saranno rivelate; il Signore porterà la luce nelle tenebre più profonde (1 Cor. IV, 5), perlustrerà Gerusalemme con le torce (Sof. I, 12); secondo le parole di Gesù: “Non c’è nulla di segreto che non debba essere rivelato, né nulla di nascosto che non debba essere conosciuto e reso pubblico” (S. Luc. VIII, 17). Quando il sole appare, la neve si scioglie e tutto ciò che c’è sotto appare. Così, al Giudizio Universale, il sole della giustizia farà apparire tutto. Tutti i peccati saranno svelati, la vergogna dei dannati inizierà per loro; anche i peccati dei giusti saranno rivelati, non per loro vergogna, ma per la glorificazione della loro penitenza. I peccati non si riceveranno sulla veste della grazia santificante; lungi dall’essere macchie su di essa, saranno ornamenti preziosi (Santa Gertrude). Dio velerà i peccati espiati dei giusti come un abile artigiano sa nascondere una lacrima sotto un ricamo. (Osorio). Tutte le opere buone saranno portate alla luce (Eccl. XII, 14), così come le intenzioni di tutte le azioni (I. Cor. IV, 5). Le anime pie, in particolare i martiri, riceveranno davanti a tutti gli uomini gli onori di cui sono state ingiustamente private. Gli empi esclameranno: “Ecco coloro che abbiamo deriso e che abbiamo perseguito con le nostre beffe. Nella nostra follia abbiamo considerato la loro vita come una sciocchezza e la loro fine come una disgrazia. Ora sono annoverati tra i figli di Dio e la loro sorte è quella dei santi”. (Sap. V, 3). Al giudizio si distingueranno i Santi dai viziosi (ipocriti), cosa che ora non è possibile. “In inverno tutti gli alberi si assomigliano, ma in primavera si possono distinguere quelli che sono disseccati da quelli che sono vitali; ora anche gli uomini sembrano uguali, ma al giudizio si distingueranno i buoni e i cattivi ” (S. Aug.). Al giudizio, Cristo chiederà a ogni uomo di rendere conto delle sue opere di misericordia. (S. Matth. XXV, 34). Se facciamo bene attenzione alle parole che Egli pronuncerà al giudizio, capiremo perché i Santi e tutti i buoni Cristiani compiono queste opere con tanto zelo. Santa Elisabetta, interrogata sulle ragioni della sua carità, rispose: “Mi sto preparando per il giorno del giudizio”. Nell’ultimo giudizio non si terrà conto delle ricchezze e delle dignità, perché Cristo non avrà alcun riguardo per nessuno. (Rom. II, 11). Al contrario, si richiederà molto a coloro che hanno ricevuto molto. (S. Luc. XII, 48). – Il giudizio si concluderà con una sentenza che separerà eternamente i buoni dai malvagi. (S. Matth. XXV, 46). Questa separazione è rappresentata da Cristo nella parabola della zizzania e del grano, dove il padre di famiglia dice ai suoi servi: Prima raccogliete la zizzania, legatela in fasci e bruciatela, ma il grano lo raccoglierete nel mio granaio (ib. XIII, 30). Anche il Calvario, dove il ladro buono è a destra e quello cattivo a sinistra, è un’immagine del giudizio. (S. Aug.) Molti parenti e amici saranno eternamente separati lì. (S. Matth. XXIV, 49). L’uomo principale, potente e ricco sarà perduto, mentre il suo subordinato e colui che fu mendicante si salveranno, come ci mostra la parabola del ricco e di Lazzaro. Il giudizio sarà anche il segnale per il rinnovamento della creazione che assumerà una forma nuova, glorificata, in linea con la gloria dei corpi dei giusti. (S. Aug.) Così dice San Pietro: “Aspettiamo …. nuovi cieli una terra nuova dove regnerà la giustizia ” (II. S. Pietro III, 13). Questa metamorfosi avverrà per mezzo del fuoco (ib. 12), che sarà allo stesso tempo un fuoco di purificazione per gli uomini che hanno ancora dei peccati da espiare. Poiché dopo il giudizio non ci sarà più purgatorio, la violenza delle pene sostituirà la loro durata. I giusti saranno poco colpiti come i tre giovani nella fornace. (S. Aug.) – Il pensiero del giudizio è molto salutare. San Metodio dipinse il giudizio su una parete per il re Bogoris; il re non lo perse più di vista, divenne Cristiano e diffuse con zelo il Cristianesimo nei suoi Stati. (Mehler 1.406). Anche Felice, il procuratore romano, tremò quando S. Paolo gli parlò del giudizio. Paolo gli parlò del giudizio, ma egli non collaborò con la grazia e interruppe la conversazione. (Act. Ap. XXIV, 25).

4. IL GIORNO DEL GIUDIZIO NON È CONOSCIUTO, MA GESÙ CI FA CONOSCERE I SEGNI CHE LO PRECEDERANNO.

Quel giorno e quell’ora”, dice Gesù Cristo, “non sono noti a nessuno, nemmeno agli Angeli del cielo. Solo il Padre lo conosce. (S. Matth. XXIV, 36). Questa conoscenza sarebbe inutile per noi, come non lo è la conoscenza dell’ora della nostra morte. Ecco perché Gesù Cristo non ci ha rivelato nulla al riguardo. “È di poco conto conoscere o non conoscere il giorno del giudizio; fate ciò che fareste se esso avvenisse domani e non dovrete temere la venuta del Giudice. (S. Aug.) – Tuttavia, Gesù ci ha dato alcuni segni precursori del giudizio, quando, sul Monte degli Ulivi con i suoi discepoli, predisse la rovina di Gerusalemme di (S. Matth. XXIV, 3). Gesù Cristo ha rivelato alcuni di questi segni, affinché alla fine dei tempi i fedeli siano perseveranti e non si perdano di d’animo. Questi segni sono i seguenti:

1. La predicazione del Vangelo in tutto il mondo. (S. Matth. XXIV, 14). Oggi due terzi del mondo sono ancora pagani.

2. La maggior parte degli uomini sarà senza fede e sarà caduta nel materialismo. (S. Luca xvii, 26). Gli uomini assomiglieranno a quelli del tempo di Noè (S. Matth. XXIV, 38).

3. Apparirà l’anticristo.

L’anticristo sarà un uomo che pretenderà di essere il Messia e che farà miracoli con l’aiuto del diavolo. (Thess. Il, 9). Sarà pericoloso soprattutto per le persecuzioni e per i suoi mezzi di seduzione. (Apoc. XX, 3-9). È probabile che l’anticristo prenderà come campo d’azione Gerusalemme e i luoghi dove visse Gesù Cristo. (Massl.) Cristo, venendo, ucciderà l’anticristo (II. Tess. II, 8), che avrà avuto nel corso dei secoli precursori e figure tipiche. (I. S. Giovanni II, 18). Il mistero dell’iniquità getta le sue ombre davanti a lui (II. Tess. II, 13).

4. Enoch ed Elia torneranno per predicare la penitenza.

“Io vi manderò – è scritto in Malachia (IV, 5) – il profeta Elia, prima che venga il giorno grande e terribile del Signore, ed egli radunerà i padri con i figli, ed i cuori dei figli con i padri, cioè porterà nel cuore dei Giudei i sentimenti dei patriarchi. Cristo ha anche annunciato il ritorno e la predicazione di Elia per gli ultimi tempi (S. Matth. XVII, 11). “Enoch- dice l’Ecclesiastico (XLIV, 16) -piacque a Dio e fu trasferito in paradiso per predicare la penitenza al popolo. Enoch ed Elia predicarono per tre anni e mezzo. “La loro predicazione allontanerà molti uomini dall’anticristo, che li ucciderà. I loro corpi non saranno seppelliti, ma Dio li risusciterà dopo tre giorni e mezzo”. (Apoc. XI, 3-11).

5. I Giudei si convertiranno.

Secondo la profezia di Gesù Cristo sul Giudizio universale, il popolo giudaico rimarrà fino alla fine dei tempi. “Questa generazione (il popolo giudaico) non passerà finché tutto questo non sia avvenuto”. (S. Matth. XXIX, 34). “I figli di Israele – dice Osea, parlando della conversione dei Giudei – rimarranno a lungo senza re, senza principi, senza altare; ma poi torneranno e cercheranno il Signore loro Dio e negli ultimi giorni accoglieranno con riverenza il Signore e le grazie che Egli farà loro. (111, 4). Israele rimarrà cieco, dice S. Paolo, fino a quando la pienezza delle genti non sia entrata nella Chiesa (Rom. II, 25). Dovrà essere Elia a “ristabilire le tribù d’Israele”, cioè a convertirle alla fede cristiana (Eccl. XLVIII, 10); tale è sempre stata la convinzione della Chiesa (S. Aug.),

6. Appariranno segni terribili in cielo ed una grande tribolazione travolgerà gli uomini.

“Il sole si oscurerà e la luna rifiuterà la sua luce, le stelle cadranno e le virtù dei cieli saranno scosse”. (S. Matth. XXIV, 29) L’umanità sarà messa alla prova da guerre, pestilenze, carestie come al tempo della rovina di Gerusalemme. (S. Matth. XXIV, 7). “Gli uomini si inaridiranno per la paura in previsione di ciò che deve accadere in tutto l’universo”. (S. Luca XXI, 25). Lo scopo di questi segni è scuotere i peccatori e portarli al pentimento.

La speranza cristiana.

I. LA NATURA DELLA SPERANZA CRISTIANA.

Alla fine del Simbolo degli Apostoli, si nominano i beni in cui non solo crediamo, ma in cui dobbiamo anche sperare. È per questo che nel Credo della Messa diciamo: aspetto la risurrezione dei morti e la vita eterna.

LA SPERANZA CRISTIANA È L’ATTESA FIDUCIOSA DI TUTTE LE COSE BUONE CHE GESÙ CRISTO CI HA PROMESSO PER IL COMPIMENTO DELLA VOLONTÀ DI DIO.

Il pio vegliardo Simeone aveva ricevuto da Dio la promessa di vedere il Bambino Gesù, e desiderava ardentemente quel giorno. Sospirò perché era fermamente convinto dell’adempimento della promessa di Dio. (S. Luca II). L’aspettativa della vita eterna dopo la risurrezione diede ai fratelli Maccabei il coraggio di sopportare le crudeli torture di Antioco (Il, Macch. VII, 9). La speranza è quindi da un lato un desiderio certo, l’attesa di un bene promesso, dall’altro, la fiducia, la fedele convinzione che Dio sarà fedele alla sua parola. La speranza è come un telescopio che avvicina ai nostri occhi gli oggetti più lontani; la speranza ci rende presenti i beni celesti e ci dà gioia. “Attraverso la speranza abbiamo un’anticipazione delle gioie del paradiso”. (S. Paolino). “Voi avete reso Signore, piena e perfetta la tua dolcezza per coloro che sperano in te”. (Sal. XXX, 19). La speranza cristiana può anche essere chiamata santa, perché ha come oggetto Dio e i beni soprannaturali. (Col. III, 1).

1. IN CAMBIO DEL COMPIMENTO DELLA VOLONTÀ DIVINA, GESÙ CRISTO CI HA PROMESSO LA FELICITÀ ETERNA E CI HA DATO I MEZZI PER RAGGIUNGERLA, CIOÈ L GRAZIA DIVINA, I BENI TEMPORALI ESSENZIALI PER LA VITA, IL PERDONO DEI PECCATI, L’AIUTO NEL MOMENTO DEL BISOGNO E L’ACCOGLIENZA FAVOREVOLE DELLE NOSTRE PREGHIERE.

Gesù Cristo ci ha promesso la felicità eterna (I, S. Giovanni II, 25). “Nella casa del Padre mio – ha detto – ci sono molte dimore e io vado a prepararvi un posto”. (S. Giovanni XIV, 2). Ci fa questa promessa nella parabola del banchetto di nozze, del grande banchetto reale, degli operai nella vigna; ci ha promesso la risurrezione dei corpi (S. Giovanni V, 28). Il desiderio di felicità è innato in noi. – Gesù Cristo ci ha anche promesso la sua grazia, cioè l’aiuto dello Spirito per raggiungere la felicità. Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati (I. Tim. II, 4); ora, la grazia è assolutamente necessaria per la salvezza, la grazia attuale di convertirsi e di compiere opere meritorie, la grazia santificante per entrare in paradiso. Gesù promette questa grazia al peccatore nella parabola della pecorella smarrita. – Gesù Cristo ci ha promesso i beni temporali indispensabili alla vita. “Non preoccupatevi troppo per la vostra vita di ciò che mangerete, né per il vostro corpo di ciò che indosserete. Perché il Padre vostro sa che avete bisogno di tutte queste cose”. Egli ci mostra con l’esempio degli uccelli del cielo nutriti da Lui, dei gigli e dell’erba dei campi da Lui vestita, che Egli si preoccupa ancora di più degli uomini (S. Matth. VI, 25-32). – Più di una volta i Santi si sono trovati in situazioni molto difficili. Mancavano di cibo, riparo, vestiti e così via. Forti della promessa di Dio, non hanno avuto paura e l’aiuto divino non è venuto meno. – Gesù Cristo ci ha promesso il perdono dei peccati, se ci convertiamo e modifichiamo le nostre vie. Egli dice: “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che fa penitenza che per 99 giusti che non ne hanno bisogno1. (S. Luc XV, 7). Le parabole del figliol prodigo e della pecorella smarrita ci dimostrano quanto Dio sia disposto a perdonarci. “Dio non si preoccupa tanto di ciò che l’uomo ha fatto, ma di ciò che è disposto a fare” (S. Aug.). Per tutto il tempo che l’uomo possa vivere, il suo pentimento non è mai perduto (S. Cypr.), poiché il ladrone sulla croce ha ancora ottenuto il suo perdono. “Dio – dice Ezechiele (XVIII, 32) – non vuole la morte del peccatore, ma che questi si converta e viva “. Il Cristo ci ha promesso aiuto nel momento del bisogno. Quando, in mezzo alla tempesta, gli Apostoli tremarono, Gesù li rimproverò e disse loro: “Di che cosa avete paura, uomini di poca fede!”. (Matteo VIII, 26). Dio è chiamato nostro rifugio e nostra forza (Sal. XLV, 1). – Il Signore non viene subito ad aiutare nelle afflizioni, ed a volte ritarda il suo aiuto, come in occasione delle nozze di Cana, dove disse: “Non è ancora giunta la mia ora”: (S. Giovanni 11, 4). Ma quanto più a lungo ci fa aspettare più il suo aiuto diventa meraviglioso ed efficace. Se ne ha la prova nella congiura di Aman contro gli ebrei con il re di Persia, sventata dalla preghiera di Ester (V); nel placarsi della tempesta sul lago di Genezareth; nella liberazione di Paolo dalla prigione. – Cristo ha promesso di rispondere alle nostre preghiere: Se chiederete qualcosa nel mio nome, io ve la darò” (Gv XIV, 14). “Qualunque cosa chiederete al Padre mio nel mio nome, egli ve la darà” (ib. XVI 23).

Il Cristo ci ha insegnato, nel Padre nostro, a chiedere questi diversi beni al Padre celeste.

Nella seconda petizione chiediamo la felicità eterna, nella terza la grazia di raggiungerla, nella quarta i beni temporali indispensabili, nella quinta il perdono dei peccati, nella terza il perdono dei peccati, nella 6ª e 7ª l’aiuto nel momento del bisogno. La parola Amen esprime la fiducia che Dio ascolterà le nostre preghiere.

2 . LA SPERANZA CRISTIANA NASCE DALLA FEDE PROMESSA DA DIO, PERCHÉ LA FEDE CI INSEGNA CHE DIO È INFINITAMENTE FEDELE, POTENTE E BUONOE CHE GESÙ HA GUADAGNATO TUTTE QUESTE COSE PER NOI.

La speranza nasce dalla fede come il tronco dalle radici; sono due sorelle. (S. Greg. M.) La fede stabilisce l’esistenza dei beni e la possibilità di averli; la speranza ce li fa desiderare e attendere. – Siamo convinti che Colui che chi ha proibito la menzogna è Lui stesso incapace di ingannare (S. Clem. Rom.), per cui dice Paolo: “Restiamo saldi nella professione della nostra speranza, perché Colui che ci ha promesso è fedele (Eb. X. 23). – Siamo anche più convinti che Dio, al quale nulla è impossibile (S. Luc I, 37), sia abbastanza potente da adempiere la sua promessa (Rm IV, 18); che Dio, che è Amore (I. S. Giovanni IV, 8), dia anche più volentieri di quanto riceviamo (S. Ger.); che Gesù Cristo con il suo doloroso sacrificio abbia meritato per noi la felicità eterna e i mezzi per raggiungerla. – Agostino osserva: “Non potevo, a causa della grandezza dei miei peccati, sperare né nel perdono né nel paradiso, ma oso sperare per i meriti di Gesù Cristo di essere salvato con la penitenza e l’osservanza dei comandamenti. “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi: come non avrebbe potuto darci tutti con Lui?” (Rm VIII, 32). – Questa ferma convinzione che Dio sia sommamente fedele, potente e buono, che Cristo ci abbia meritato ogni bene, si chiama fiducia in Dio; questa virtù è la radice della speranza. Quanto più vigorosa è questa radice, tanto più salda è la nostra speranza. Questa fu la virtù della donna malata che toccò la frangia della veste di Gesù mentre questi si recava a casa di Giairo (Matteo IX, 22).

3. I BENE PROMESSI DA GESÙ CRISTO POSSONO ESSERE SPERATI SOLO DAL FEDELE OSSERVANTE DEI COMANDAMENTI O DAL PECCATORE PENTITO.

“Chi mi dice Signore! Signore! non entrerà nel regno dei cieli, ma solo chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. (S. Matth. VII, 21) I peccatori possono sperare in Dio solo quando si pentono seriamente delle loro colpe.

La speranza senza la virtù è presunzione. (S. Bern.) Il crudele re Antioco, il carnefice dei fratelli Maccabei, già divorato dai vermi, sperava nell’aiuto divino. (II. Macch. IX, 13). La stessa sorte toccò a Gerusalemme, assediata dai Romani (a. 70). Speriamo invano in Dio quando non facciamo il bene (S. Lor. Giust.). – Se al contrario l’empio fa penitenza per i suoi peccati ed esercita la giustizia e la rettitudine, Dio dimenticherà le sue iniquità. (Ezech. XVIII, 21). Manasse, re di Giuda, condusse il suo popolo all’idolatria e fece uccidere diversi profeti. Dio lo consegnò ai suoi nemici che lo portarono in catene a Babilonia e lo gettarono in una prigione. Poi si lamentò dei suoi crimini, promettendo sinceramente di correggersi; Dio lo liberò e gli restituì il trono, Manasse distrusse i templi dei falsi dei. (II. Paral. XXXIII). La storia di Giona ci insegna la stessa verità.

Il giusto, d’altra parte, può sperare che Dio provveda a tutte le sue necessità a tutti i suoi bisogni; tuttavia l’uomo giusto deve sforzarsi di acquisire i beni che spera da Dio.

“Cercate prima – disse Gesù – il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta”. (Matteo VI, 33). Siamo servi di Dio; dobbiamo obbedire ai suoi comandi; Egli provvede alle nostre necessità e ci dà il nostro salario. “Spetta a noi servirlo, a Lui prendersi cura di noi. Dio non ha mai abbandonato chi ha osservato fedelmente i suoi comandamenti. (Eccli. Il, 12). Dio non abbandona i suoi. Lo offenderemmo se non avessimo piena fiducia in Lui (S. Aug.), per cui S. Pietro dice: “Gettate tutte le vostre preoccupazioni sul Signore. Affidate al Signore tutte le vostre preoccupazioni, perché Egli ha cura di voi.” (I. S. Pietro, V, 7). – Nonostante questa cura, noi stessi dobbiamo sforzarci di acquisire i beni promessi da Dio. “Il nostro corpo e la nostra anima hanno facoltà che sono come la chiave del cielo e della terra; chi rifiuta di usare questa chiave sarà indigente: Dio ci dà solo ciò per cui le nostre forze non bastano”. (Alb. Stolz). Dobbiamo sperare nel meglio, ma anche ottenerlo. (S. Car. Bor.) Aspettare l’aiuto divino senza fare ciò che possiamo è tentare Dio (S. Fr. di S.). Se, dunque, vogliamo recuperare la salute, dobbiamo prima usare i mezzi che la procurano. Dio farà il resto: non è lecito chiedere prima un miracolo. S. Paolo aveva il dono dei miracoli e tuttavia raccomandava a Timoteo di di prendere un po’ di vino nell’interesse della sua salute. (I Tim. V, 23). Il lavoratore senza deve prima cercare un lavoro; solo allora può sperare in un aiuto speciale da parte di Dio. Questa osservazione si applica a tutte le difficoltà in cui l’uomo possa trovarsi. Aiuta te stesso e il cielo ti aiuterà!

4. LA SPERANZA CRISTIANA DEVE ESSERE ACCOMPAGNATA DA UN SALUTARE TIMORE DEL PECCATO.

La speranza è un abito con due maniche: una è la fiducia nella misericordia di Dio, l’altra è il timore della sua giustizia (Santa Brigida). Dio vuole che noi lavoriamo alla nostra salvezza con timore e tremore (Fil. II, 12). Nessuno può essere sicuro di appartenere al numero degli eletti o di perseverare nella grazia fino alla morte. (Concilio di Tr. 6, can. 15, 16). Il marinaio in mare, fuori dal porto, ha sempre da temere, nel tempo più calmo, una tempesta che potrebbe farlo naufragare; il Cristiano, allo stesso modo, vive nel perpetuo timore della tentazione. (S. Macario). Navi eccellenti e molto grandi sono spesso naufragate davanti al porto, mentre sono arrivate navi vecchie. (S. Gugl.). Alcuni uomini favoriti dall’ispirazione divina, come Salomone, sono diventati empi in vecchiaia, mentre peccatori come Maria Maddalena, Agostino, sono diventati grandi Santi. Anche gli Angeli sono caduti molto in basso e sono stati riprovati in eterno. Il più abile dei costruttori di tetti è sempre sospeso nel pericolo di cadere. (S. G. Cris.) Chi pensa di essere in piedi, si guardi bene dal cadere. (I. Cor. X, 12). Portiamo il tesoro della grazia in vasi fragili. (II Cor. IV, 7). Il dubbio su se stessi è il protettore della speranza. (S. Aug.) Speranza e timore devono essere uniti; dove regnano, si conquista la corona del cielo. (S. G. Cris.) La speranza ci dà la forza di camminare, il timore ci rende lungimiranti; la speranza è il vento che soffia, la paura è la zavorra; il vento spinge la nave verso la meta, la zavorra mantiene l’equilibrio: entrambi sono necessari per il successo della navigazione. (Scaramelli). – Il timore non diminuisce la speranza, anzi la aumenta. Fiducia in Dio e la sfiducia in noi stessi sono come i piatti di una bilancia: quando uno sale l’altro scende; più abbiamo sfiducia in noi stessi, più abbiamo fiducia in Dio, e viceversa (S. Fr. di S.).

5. LA SPERANZA CRISTIANA È UN DONO DI DIO, PERCHÉ LA CAPACITÀ DI SPERARE SI OTTIENE DOLO CON LA GRAZIA SANTIFICANTE.

11. La speranza è come la fede. – È lo Spirito di Dio che risveglia in noi il desiderio dei beni eterni e ci riempie di fiducia in Dio. Più alto è il grado di grazia santificante (più una persona è cristiana), più perfetta è la facoltà di sperare. I Santi hanno la speranza più forte alla fine della loro vita; la speranza assomiglia ai fiumi più ampi vicino al mare. – Noi saremo obbligati a compensare in purgatorio ciò che manca alla nostra speranza quaggiù.

II. frutti della speranza cristiana

1. Chi spera in Dio gode di una speciale protezione da parte di Dio. Ne abbiamo una prova nei tre giovani nella fornace, in Giuseppe prigioniero in Egitto, nella Madre di Dio che sta per essere abbandonata da Giuseppe, nella liberazione di Vienna assediata dai Turchi nel 1683. Per due mesi (dal 16 giugno al 12 settembre) Vienna fu bloccata da 250.000 turchi e aveva solo una guarnigione di 16.000 uomini comandata dal valoroso Stahremberg. I turchi lanciarono diversi assalti e avevano fatto saltare una parte delle mura della città; ma più la situazione diventava

disperata, più cresceva la fiducia in Dio. E infatti, all’ultimo momento arrivò l’esercito liberatore, composto da soli 90.000 uomini, sotto il comando del re di Polonia Sobieski. La battaglia durò un giorno intero, ma i turchi furono completamente sbaragliati. – Una storia simile è raccontata nella vita di Ferdinando II, poi imperatore di Germania. All’inizio della Guerra dei Trent’anni (1619), questo principe fu fortemente minacciato a Vienna dagli insorti. Si gettò ai piedi di un crocifisso e pregò con fervore. Tuttavia, gli insorti erano penetrati in Hofburg e stavano cercando di strappare concessioni per i protestanti. Ma Ferdinando, confidando in Dio rifiutò di cedere, e all’improvviso si udì il suono delle trombe: erano 500 dragoni condotti da S. Ilario (Weiss IX; p. 186)..Dio salva coloro che sperano in Lui (Dan. XIII, 60). Un Cristiano che spera in Dio può essere attaccato, ma non sconfitto (S. Cipr.). Egli somiglia ad una armata solida garantita da una riserva (S. Fr. di S.) Chi confida in Dio è inamovibile come il monte Sion. (Sal. CXXIV, 1), una montagna, dice san Giovanni Crisostomo, una montagna che non può essere scossa o rovesciata, per quanto numerose siano le macchinazioni dirette contro di essa. Chi ripone tutta la sua fiducia in Dio, ottiene da Lui una protezione speciale; può essere sicuro di non essere colpito da nessun male reale (S. Vinc. de P.), e quanto maggiore è questa fiducia, tanto maggiore è l’aiuto divino in tutti i pericoli. (S. Fr. di S.) Nessuno di coloro che hanno fiducia in Dio sarà confuso (Eccli. II).

2. CHI SPERA IN DIO OTTERRÀ TUTTO DA DIO, PERCHÉ – DICE GESÙ CRISTO – È IN GRADO DI “SPOSTARE LE MONTAGNE “. (S. Marco XI, 23).

Spostare le montagne significa superare gli ostacoli più grandi. Si racconta di S. Gregorio il Taumaturgo che abbia realmente trasportato una montagna (+ 270). Confidando in Dio, Mosè divise il Mar Rosso con il suo bastone, ed Elia ottenne la pioggia dopo una lunga siccità. La speranza è una freccia che attraversa il Sacro Cuore e fa scorrere il fiume della misericordia sull’anima fiduciosa.(Mar. Lat.) L’uomo riceve in proporzione a ciò che spera. (S. Giov. della Croce). Chi spera è ricco prima di possedere ricchezze (S. Giov. Clim.).

3. CHI SPERA IN DIO È FORTIFICATO DA LUI; È IMPAVIDO DI FRONTE AGLI UOMINI, PAZIENTE E GIOIOSO NELLE TRIBOLAZIONI, SOPRATTUTTO DI FRONTE ALLA MORTE.

La speranza cristiana dà una forza sovrumana; agisce come una leva che solleva i carichi più pesanti. Quanto fu impavido Davide di fronte a Golia? Leone Mahno davanti ad Attila. (452). Una volta San Martino fu assalito da briganti e minacciato di morte. Wiesyi gli domandato perché non avesse paura, rispose: “Sono Cristiano e sono sotto la protezione divina. Io non ho motivo di temere, ma voi sì”. Colui che spera in Dio non si preoccupa né del favore dej potenti, né di ciò che dirà la gente (I. Cor. IV, 3). – Chi spera in Dio è paziente nelle sue sofferenze, perché sa che “le sofferenze di questa vita non sono paragonabili alla gloria futura che si rivelerà in noi (Rom. Vlll, 18). Giobbe era così paziente perché aspettava con ansia la resurrezione e la e la ricompensa che verrà. (XIX, 25). E come si può essere tristi quando si ha davanti la corona dell’eternità? Il cammello nel deserto riprende il cammino non appena sente l’odore dell’acqua, anche da lontano. E Paolo grida nelle sue tribolazioni: “Trabocco di gioia in mezzo ai miei dolori” (II Cor. VII, 4). Desidero liberarmi dal mio corpo ed essere con Cristo (Phil. 1, 21); non mi resta che attendere la corona di giustizia che mi è riservata e che il Signore, come giusto giudice, mi renderà nel gran giorno. (II Tim. IV, 8). 8. Andrea morì con la più grande gioia, quando vide la croce alla quale doveva essere legato e gridò: “Salve, o croce preziosa, santificata dalla morte del mio Dio! Vengo a te con gioia! Quanto ti ho desiderato!” (+62). S. Ignazio di Antiochia (+ 107) si rallegrava quando udì la sentenza di Traiano, e quando i Cristiani di Roma volevano liberarlo li pregò di non togliergli la corona dei martiri. “Non temo – disse -i denti delle bestie feroci, né lo strappo delle mie membra, purché io ottenga Cristo”. S. Lorenzo condannato ad essere arrostito su una griglia per non aver consegnato i tesori della Chiesa al Prefetto di Roma, rideva con il suo giudice mentre veniva torturato: “Puoi girarmi, perché da questa parte sono già abbastanza cotto”. (f+253). Santa Cecilia disse ai suoi carnefici: “Morire per Cristo è come scambiare il fango con l’oro, una capanna con un palazzo”. (+ 230). La speranza è un’ancora solida per l’anima (Eb. VJ, 19); come l’ancora protegge la nave dalla tempesta, così la speranza preserva l’anima dal naufragio, con questa differenza, che l’ancora riposa nelle profondità del mare e la speranza nelle altezze del cielo. (S. Th. Aq.) L’aquila durante la tempesta si alza sulle sue ali verso le regioni serene regioni serene dove splende il sole, così noi ci innalziamo sulla speranza al di sopra di tutte le preoccupazioni e i dolori terreni.

4. LA SPERANZA CRISTIANA CINPORTA CON FORZA A8LLE BUONE OPERE E ALLA VIRTÙ EROICHE.

È la speranza che conduce i missionari alle nazioni della terra. La speranza del raccolto, l’attesa della ricompensa, il desiderio di gloria, sostengono l’operaio, ma la speranza cristiana è molto più solida, perché speriamo in ciò che la verità stessa ha promesso (San Paolino). La nostra speranza è così certa come un avvenimento passato.(S. Aug.). Costruire sul Bene è costruire su un fondamento incrollabile.

5. LA SPERANZA CRISTIANA CONDUCE ALLA VITA ETERNA.

Chi ha speranza è sicuro della sua salvezza, come chi ha un nocciolo, è sicuro dell’albero che pianterà: perché la felicità eterna è contenuta nella speranza. (S. Th. Aq.) È attraverso la speranza che siamo salvati. (Rom. VIII, 24). S. Bernardo paragona la fede nell’onnipotenza, fedeltà, l’amore di Dio ad un triplice cordone indissolubile che dall’alto della patria si getta nella nostra prigione, lungo il quale dobbiamo salire fino alla visione della sua gloria. La casa di Dio (cioè la santità) è fondata sulla fede, è innalzata dalla speranza e completata dalla carità. (S. Aug.) – In cielo non ci sarà più speranza, perché lì possederemo i beni che abbiamo desiderato e atteso.

III. I difetti della speranza cristiana.

La speranza cessa di essere gradita a Dio se speriamo da Lui più o meno di quanto abbia promesso.

1. NON DOBBIAMO CONFIDARE NELLE NOSTRE FORZE, O NEI MEZXI UMANI PIÙ CHE IN DIO, ALTRIMENTI SUAMO SVERGOGNATI, PERCHÉ NILLA È SICURO AL DI FUORI DI DIO.

*Riportiamo qui, per semplicità, la etimologia della parola latina spes, speranza, citata da S. Isidoro. Egli mette questa parola in relazione con pes piede, e per il santo la speranza sarebbe altrettanto necessaria per la salvezza che il piede per camminare.

La speranza di chi si affida solo ai mezzi umani non è cristiana o divina, ma terrena. Pietro nell’Ultima Cena si vantò del suo coraggio e poi rinnegò il Maestro. Golia si fece beffe degli israeliti e fu presto ucciso. Napoleone si fece beffe della scomunica papale contrapponendovi i suoi eserciti, che presto perirono nella campagna di Russia (1812). Francesco Borgia aveva riposto tutta la sua fiducia nella sua protettrice, la regina Isabella; ma lei morì ed egli riconobbe il suo errore. È meglio affidarsi a Dio che agli uomini. (Sal. CXVII, 8). Non riporre la tua fiducia nei principi. (Sal. XLV, 2). Costruire su un fondamento umano è costruire sulla sabbia. (Discorso della Montagna). Coloro che ripongono la loro fiducia negli uomini, saranno svergognati come i sacerdoti di Baal sul Carmelo (III Re XVIII). Confidare in se stessi significa non avere altro protettore che se stessi. Dio non protegge chi non chiede il suo aiuto (S. Aug.). Solo chi ha la speranza cristiana può gridare: “È in te, Signore, che ho riposto la mia fiducia, non sarò confuso in eterno”. (Sal. XXX, 2).

2. NON DOBBIAMO MAI DISPERARE, CIOÈ NON DOBBIAMO MAI PERDERE LA FIDUCIA CHE DIO PERDONERÀ I NOSTRI PECCATI E CI AIUTERÀ NEL MOMENTO DEL BISOGNO.

Caino cadde nella disperazione quando disse: “Il mio crimine è troppo grande per essere perdonato”. (Gen. IV, 13). Allo stesso modo, Saul, quando i Filistei lo pressavano da tutte le parti in battaglia, si gettò sulla sua spada (I. Re XXXI). I Cristiani non devono mai disperare, perché la misericordia di Dio è infinita e l’aiuto divino è tanto più vicino quanto più è pressante il pericolo.

Prima del peccato, dobbiamo temere la giustizia; dopo il peccato, dobbiamo confidare nella misericordia. (S. Greg. M.). Chi dubiterebbe di poter pagare i propri debiti in presenza della tesoreria reale, dove gli sarebbe permesso di farlo? Chi, dunque, potrebbe dubitare della misericordia divina?

La malizia degli uomini di fronte alla bontà di Dio è meno di una scintilla che cade nell’oceano (S. G. Cris.). Dio sembra addirittura ricevere il peccatore pentito con maggiore gioia, perché questo perdono lo glorifica maggiormente.

La disperazione porta spesso al suicidio e quindi alla morte eterna.

Ne abbiamo una prova in Giuda. La disperazione è un peccato incurabile contro lo Spirito Santo. “La speranza apre il cielo, la disperazione lo chiude”. (S. Isid.) Chi dispera della misericordia di Dio lo offende come chi dubita della propria esistenza. (S. Aug.). Giuda offese il Maestro divino meno vendendolo che dubitando della sua bontà (S. Gir.); è morto meno per il suo crimine che per la sua disperazione. (S. Aug.) Peccare è uccidere l’anima, ma disperarsi è già gettarsi all’inferno. (S. Isid.)

3. LA PRESUNZIONE NELLA MISERICORDIA DIVINA È UN PECCATO, CIOÈ È PECCAMINOSO PERSEVERARE NELNPECCATO PENSANDO CHE DIO NELLA SUA MISERICORDIA NON CI DANNERÀ.

Fiducia in Dio e timore devono essere sempre in equilibrio. È una colpa quando la paura sopprime la speranza (disperazione), ma non è meno peccaminoso sopprimere del tutto la paura, quando ci convinciamo che la nostra salvezza

sia scontata (presunzione), o che Dio non ci rifiuterà mai il suo aiuto (tentazione di Dio). È sciocco credere solo alla misericordia di Dio e non alla sua giustizia. “Non abusiamo della bontà di Dio per

per non cadere sotto i colpi della sua giustizia” (S. Bern.) “Se non fate penitenza, dice Gesù Cristo, perirete tutti senza eccezione” (S. Luc. XIII, 3). Che nessuno dica: “Mi confesserò a questa colpa, mi convertirò alla fine della mia vita”. Al contrario, come san Gregorio di Nazianzo, dica: “Sono profondamente addolorato, o mio Gesù crocifisso, di averti disprezzato e offeso, proprio perché sei il mio Dio” perché avrei dovuto onorarti e amarti di più”.

4. NON DOBBIAMO MAI TENTARE DIO, CIOÈ NON DOBBIAMO MAI ESPORCI AD UN PERICOLO SENZA UN MOTIVO CON IL PENSIERO CHE DIO CI AIUTERÀ.

Solo chi fa ciò che Dio gli chiede può sperare nell’aiuto di Dio; quindi, chi non si preoccupa della volontà di Dio, chi agisce senza sufficiente motivazione, sarà abbandonato da Dio. La Scrittura dice quindi che chi ama il pericolo perirà in esso. (Eccli. III, 27). Il demonio voleva indurre Cristo a tentare Dio, suggerendogli di precipitarsi dalla terrazza del tempio. (S. Matth. IV, 6). Colui che, in una grave malattia, trascura di chiamare il medico o di prendere i rimedi, pensando che Dio lo guarirà senza farlo, offenderebbe Dio, a meno che non sappia per esperienza che il suo temperamento possa fare a meno di questi mezzi, a meno che i rimedi non siano al di là delle sue possibilità. Nella Chiesa, colui che presuntuosamente si gettava davanti al supplizio non era onorato come martire, anche se dava la vita per la fede. “La tentazione di Dio è un grande disprezzo di Dio.” (S. Alf. de Liguori).

Fine della prima parte.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XI – “NON ABBIAMO BISOGNO”

in questa lunga lettera Enciclica scritta in idioma volgare ai Vescovi italiani, il Sommo Pontefice Pio XI, eleva una vibrante protesta contro le autorità civili italiane che in regime dittatoriale esercitavano ingiustamente pressioni su organizzazioni religiose giovanili cattoliche sotto il pretesto di attività politica contro il partito unico ammesso ad esercitare il potere con ogni mezzo, lecito o meno. Poteri diversi nel corso dei secoli, con organizzazioni o strategie sempre apparentemente nuove, hanno ostacolato in ogni modo la pace e lo svolgimento della dottrina sociale e del culto religioso cattolico tra i popoli, mirando soprattutto a colpire la Sede Apostolica ed il legittimo Vicario di Cristo nel tentativo di minare la stabilità dell’edificio ecclesiastico di istituzione divina. Anche in questa caso il Signore lasciò fare il lavoro ai servi del demonio in apparente tranquillità salvo poi a rovesciarli all’improvviso ed a condurli ad una fine vergognosa in terra e probabilmente dannata nel fuoco eterno ove piombano tutti i nemici di Cristo e del suo Corpo mistico: la Chiesa Cattolica romana. Nei nostri tempi questo tentativo è ancora più audace poichè mediante le conventicole infiltrate ed oramai in possesso di ogni struttura ecclesiastica mondiale un tempo cattolica, hanno raggiunto i vertici del controllo gerarchico, eclissando la vera Chiesa devastando la sacra liturgia, i Sacramenti, gli Ordini religiosi ed introducendo una morale materialista, godereccia, liberista, modernista, in pratica completamente pagana. Questo lavoro non è più svolto dell’esterno da nemici dichiarati e conosciuti, ma da usurpanti religiosi-fantoccio, marrani, ipocriti servi dell’anticristo ormai alle porte. Ma noi pusillus grex aspettiamo con pazienza e fermezza questo momento in cui l’anticristo con i suoi falsi profeti e le bestie che compongono il corpo mistico di satana, sarà bruciato in un baleno dal soffio della bocca del Cristo che giusto Giudice verrà a rivendicare i suoi diritti regali e divini …. e là sarà pianto e stridor di denti.

LETTERA ENCICLICA

NON ABBIAMO BISOGNO

DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
SULL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi,
Primati, Arcivescovi,
Vescovi e altri Ordinari
aventi pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute ed Apostolica Benedizione.

Non abbiamo bisogno di annunciare a voi, Venerabili Fratelli, gli avvenimenti che in questi ultimi tempi hanno avuto luogo in questa Nostra Sede Episcopale Romana e in tutta Italia, che è dire nella Nostra propria dizione Primaziale, avvenimenti che hanno avuto così larga e profonda ripercussione in tutto il mondo, e più sentitamente in tutte e singole le diocesi dell’Italia e del mondo cattolico. Si riassumono in poche e tristi parole: si è tentato di colpire a morte quanto vi era e sarà sempre di più caro al Nostro cuore di Padre e Pastore di anime … e possiamo bene, dobbiamo anzi soggiungere: « e il modo ancor m’offende ». – È in presenza e sotto la pressione di questi avvenimenti che Noi sentiamo il bisogno e il dovere di rivolgerCi e quasi venire in ispirito a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, innanzi tutto per compiere un grave ed ormai urgente dovere di fraterna riconoscenza; in secondo luogo per soddisfare ad un non meno grave ed urgente dovere di difesa verso la verità e la giustizia, in materia che, riguardando vitali interessi e diritti della Santa Chiesa, riguarda pure voi tutti e singoli, dovunque lo Spirito Santo vi ha posto a reggerla insieme con Noi; vogliamo in terzo luogo esporvi quelle conclusioni e riflessioni che gli avvenimenti Ci sembrano imporre; in quarto luogo vogliamo confidarvi le Nostre preoccupazioni per l’avvenire: e finalmente vi inviteremo a dividere le Nostre speranze ed a pregare con Noi e coll’Orbe cattolico per il loro compimento.

I

L’interna pace, quella che viene dalla piena e chiara consapevolezza di essere dalla parte della verità e della giustizia, e di combattere e soffrire per esse, quella pace che solo il Re divino sa dare e che il mondo, come non sa dare, così non può togliere, questa pace benedetta e benefica, grazie alla divina Bontà e Misericordia, non Ci ha mai abbandonato e mai, ne abbiamo piena fiducia, Ci abbandonerà, qualunque cosa avvenga; ma questa pace, come già nel cuore di Gesù appassionato, così nel cuore dei suoi fedeli servitori lascia libero accesso (voi lo sapete troppo bene, Venerabili Fratelli), a tutte le amarezze più amare, e anche Noi abbiamo sperimentato la verità di quella misteriosa parola: « Ecce in pace amaritudo mea amarissima » [1]. Il vostro pronto, largo, affettuoso intervento, che ancora non cessa, Venerabili Fratelli, i fraterni e filiali sentimenti, e soprattutto quel senso di alta soprannaturale solidarietà e intima unione di pensieri e di sentimenti, di intelligenze e di volontà spiranti dalle vostre amorevoli comunicazioni, Ci hanno riempito l’anima di indicibili consolazioni e Ci hanno spesse volte chiamate dal cuore sulle labbra le parole del Salmo [2]: « Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuae laetificaverunt animam meam ». Di tutte queste consolazioni, dopo Dio, voi di tutto cuore ringraziamo, Venerabili Fratelli, voi, ai quali possiamo anche Noi dire come Gesù ai vostri antecessori, agli Apostoli: «Vos qui permansistis mecum in tentationibus meis » [3]. – Sentiamo pure e vogliamo pur compiere il dovere dolcissimo al cuore paterno di ringraziare con voi, Venerabili Fratelli, i tanti buoni e degni figli vostri, che individualmente e collettivamente, singoli e delle svariate organizzazioni ed associazioni di bene e più largamente delle Associazioni di Azione Cattolica e di Gioventù Cattolica, Ci hanno inviato tante e così filialmente affettuose espressioni di condoglianza, di devozione e di generosa e fattiva conformità alle Nostre direttive, ai Nostri desideri. È stato per Noi singolarmente bello e consolante vedere le « Azioni Cattoliche » di tutti i Paesi, dai più vicini ai più lontani, trovarsi a convegno presso il Padre comune, animate e come portate da un unico spirito di fede, di pietà filiale, di generosi propositi, esprimendo tutti la penosa sorpresa di vedere perseguitata e colpita l’Azione Cattolica là, al Centro dell’Apostolato Gerarchico, dove essa ha maggior ragione di essere, essa che in Italia, come in tutte le parti del mondo, secondo l’autentica ed essenziale sua definizione e secondo le assidue e vigilanti Nostre direttive, da Voi, Venerabili Fratelli, tanto generosamente secondate, non vuole né può essere se non la partecipazione e collaborazione del laicato all’Apostolato Gerarchico.

Voi, Venerabili Fratelli, porterete l’espressione della Nostra paterna riconoscenza a tutti i vostri e Nostri figli in Gesù Cristo, che si sono mostrati così bene cresciuti alla vostra scuola e così buoni e pii verso il Padre comune, così da farci dire: « superabundo gaudio in tribulatione nostra » [4]. – A voi, Vescovi di tutte e singole le diocesi di questa cara Italia, a voi non dobbiamo soltanto l’espressione della Nostra riconoscenza per le consolazioni delle quali in nobile e santa gara Ci siete stati larghi colle vostre lettere in tutto il trascorso mese e particolarmente in questo stesso giorno dei SS. Apostoli coi vostri affettuosi ed eloquenti telegrammi; ma vi dobbiamo pure un contraccambio di condoglianze per quello che ciascuno di voi ha sofferto, vedendo improvvisamente abbattersi la bufera devastatrice sulle aiuole più riccamente fiorite e promettenti dei giardini spirituali, che lo Spirito Santo ha affidato alle vostre cure, e che voi con tanta diligenza venivate coltivando e con tanto bene delle anime. Il vostro cuore, Venerabili Fratelli, si è subito rivolto al Nostro per compatire alla Nostra pena, nella quale sentivate convergere come a centro, incontrarsi e moltiplicarsi tutte le vostre: è quello che voi Ci avete mostrato con le più chiare ed affettuose testimonianze, e Noi ve ne ringraziamo di tutto cuore. Particolarmente grati vi siamo della unanime e davvero imponente testimonianza da voi resa alla Azione Cattolica Italiana e segnatamente alle Associazioni Giovanili, d’esser rimaste docili e fedeli alle Nostre e vostre direttive escludenti ogni attività politica o di partito. Ed insieme con Voi ringraziamo pure tutti i vostri Sacerdoti e fedeli, religiosi e religiose, che a voi si unirono con tanto slancio di fede e di pietà filiale. In particolar modo ringraziamo le vostre associazioni di Azione Cattolica, e prime le Giovanili per tutti i gradi fino alle più piccole Beniamine ed ai più piccoli Fanciulli, tanto più cari quanto più piccoli, nelle preghiere dei quali e delle quali particolarmente confidiamo e speriamo.- Voi avete sentito, Venerabili Fratelli, che il Nostro cuore era ed è con voi, con ciascuno di voi, con voi soffrendo, per voi e con voi pregando, che Iddio nella sua infinita Misericordia Ci venga in aiuto ed anche da questo gran male, che l’antico nemico del Bene ha scatenato, tragga nuova fioritura di bene e di gran bene.

II

Soddisfatto al debito della riconoscenza per i conforti ricevuti in tanto dolore, dobbiamo soddisfare a quello onde l’apostolico ministero Ci fa debitori verso la verità e la giustizia. Già a più riprese, Venerabili Fratelli, nel modo più esplicito ed assumendo tutta la responsabilità di quanto dicevamo, Ci siamo Noi espressi ed abbiamo protestato contro la campagna di false ed ingiuste accuse, che precedette lo scioglimento delle Associazioni Giovanili ed Universitarie della Azione Cattolica. Scioglimento eseguito per vie di fatto e con procedimenti che dettero l’impressione che si procedesse contro una vasta e pericolosa associazione a delinquere; trattavasi di gioventù e fanciullezze certamente delle migliori fra le buone, ed alle quali siamo lieti e paternamente fieri di potere ancora una volta rendere tale testimonianza. Si direbbe che gli stessi esecutori (non tutti di gran lunga, ma molti di essi) di tali procedimenti ebbero un tal senso e mostrarono di averlo, mettendo nell’opera loro esecutoria espressioni e cortesie, con le quali sembravano chiedere scusa e volersi far perdonare quello che erano necessitati di fare: Noi ne abbiamo tenuto conto riserbando loro particolari benedizioni. – Ma, quasi a dolorosa compensazione, quante durezze e violenze fino alle percosse ed al sangue, e irriverenze di stampa, di parola e di fatti, contro le cose e le persone, non esclusa la Nostra, precedettero, accompagnarono e susseguirono l’esecuzione dell’improvvisa poliziesca misura, che bene spesso ignoranza o malevolo zelo estendeva ad associazioni ed enti neanche colpiti dai superiori ordini, fino agli oratorii dei piccoli ed alle pie congregazioni di Figlie di Maria! – E tutto questo triste contorno di irriverenze e di violenze doveva essere con tale intervento di elementi e di divise di partito, con tale unisono da un capo all’altro d’Italia, e con tale acquiescenza delle Autorità e forze di pubblica sicurezza da far necessariamente pensare a disposizioni venute dall’alto: Ci è molto facile ammettere, ed era altrettanto facile prevedere, che queste potessero, anzi dovessero, quasi necessariamente venire oltrepassate. Abbiamo dovuto ricordare queste antipatiche e penose cose, perché non è mancato il tentativo di far credere al gran pubblico ed al mondo che il deplorato scioglimento delle Associazioni, a Noi tanto care, si era compiuto senza incidenti e quasi come una cosa normale. – Ma si è in ben altra e più vasta misura attentato alla verità ed alla giustizia. Se non tutte, certamente le principali falsità e vere calunnie sparse dalla avversa stampa di partito — la sola libera, e spesso comandata, o quasi, a tutto dire ed osare — vennero raccolte in un messaggio, sia pure non ufficiale (cauta qualifica), e somministrate al gran pubblico coi più potenti mezzi di diffusione che l’ora presente conosce. La storia dei documenti redatti non in servizio, ma in offesa della verità e della giustizia, è una lunga e triste storia; ma dobbiamo dire con la più profonda amarezza che, pur nei molti anni di vita e di operosità bibliotecaria, raramente Ci siamo incontrati in un documento tanto tendenzioso e tanto contrario a verità e giustizia, in ordine a questa Santa Sede, alla Azione Cattolica Italiana e più particolarmente alle Associazioni così duramente colpite. Se tacessimo, se lasciassimo passare, che è dire se lasciassimo credere, Noi saremmo troppo più indegni, che già non siamo, di occupare questa augusta Sede Apostolica, indegni della filiale e generosa devozione onde Ci hanno sempre consolati ed ora più che mai Ci consolano i Nostri cari figli dell’Azione Cattolica, e più particolarmente quei figli e quelle figlie Nostre, grazie a Dio tanto numerose, che, per la religiosa fedeltà alle Nostre chiamate e direttive, hanno tanto sofferto e soffrono, tanto più altamente onorando la scuola alla quale sono cresciuti, e il Divino Maestro e il suo indegno Vicario, quanto più luminosamente hanno mostrato col loro cristiano contegno, anche di fronte alle minacce ed alle violenze, da qual parte si trovino la vera dignità del carattere, la vera fortezza d’animo, il vero coraggio, la stessa civiltà. – Ci studieremo di essere molto brevi, rettificando le facili affermazioni del ricordato messaggio, facili diciamo per non dire audaci, e che sapevano di poter contare sulla quasi impossibilità di ogni controllo da parte del gran pubblico. Saremo brevi, anche perché già più volte, massime in questi ultimi tempi, abbiamo parlato sugli argomenti che ora ritornano, e la Nostra parola, Venerabili Fratelli, è potuta giungere fino a voi, e per voi ai vostri e Nostri cari figli in Gesù Cristo, come auguriamo anche alla presente lettera. – Diceva fra l’altro il ricordato messaggio che le rivelazioni dell’avversa stampa di partito sarebbero state nella quasi totalità confermate almeno nella sostanza e proprio dall’Osservatore Romano. La verità è che l’Osservatore Romano ha di volta in volta dimostrato che le così dette rivelazioni erano altrettante invenzioni, o in tutto e per tutto, od almeno nell’interpretazione data ai fatti. Basta leggere senza malafede e con la più modesta capacità d’intendere. – Diceva ancora il messaggio essere tentativo ridicolo quello di far passare la Santa Sede come vittima in un paese dove migliaia di viaggiatori possono rendere testimonianza al rispetto dimostrato verso Sacerdoti, Prelati, Chiesa e funzioni religiose. Sì, Venerabili Fratelli, purtroppo il tentativo sarebbe ridicolo, come quello di chi tentasse sfondare una porta aperta; perché purtroppo le migliaia di visitatori stranieri, che non mancano mai all’Italia ed a Roma, hanno potuto constatare di presenza le irriverenze spesso empie e blasfeme, le violenze, gli sfregi, i vandalismi commessi contro luoghi, cose e persone, in tutto il Paese ed in questa medesima Nostra Sede episcopale e da Noi ripetutamente deplorati dietro sicure e precise informazioni. – Il messaggio denuncia la « nera ingratitudine » dei Sacerdoti, che si mettono contro il partito, che è stato (dice) per tutta l’Italia la garanzia della libertà religiosa. Il Clero, l’Episcopato, e questa medesima Santa Sede non hanno mai disconosciuto quanto in tutti questi anni è stato fatto con beneficio e vantaggio della Religione; ne hanno anzi spesse volte espresso viva e sincera riconoscenza. Ma e Noi e l’Episcopato e il Clero e tutti i buoni fedeli, anzi tutti i cittadini amanti dell’ordine e della pace si sono messi e si mettono in pena ed in preoccupazione di fronte ai troppo presto incominciati sistematici attentati contro le più sane e preziose libertà della Religione e delle coscienze, quanti furono gli attentati contro l’Azione Cattolica, le sue diverse Associazioni, massime le giovanili, attentati che culminavano nelle poliziesche misure contro di loro consumate e nei modi già accennati: attentati e misure che fanno seriamente dubitare se gli atteggiamenti prima benevoli e benèfici provenissero soltanto da sincero amore e zelo di Religione. Ché se di ingratitudine si vuol parlare, essa fu e rimane quella usata verso la Santa Sede da un partito e da un regime che, a giudizio del mondo intero, trasse dagli amichevoli rapporti con la Santa Sede, in paese e fuori, un aumento di prestigio e di credito, che ad alcuni in Italia ed all’estero parvero eccessivi, come troppo largo il favore e troppo larga la fiducia da parte Nostra. – Consumata la poliziesca misura e consumata con quell’accompagnamento e con quel seguito di violenze, di irriverenze e connivenze delle autorità di pubblica sicurezza, Noi abbiamo sospeso, come l’invio di un Nostro Cardinale Legato alle centenarie celebrazioni di Padova, così le festive processioni in Roma ed in Italia. La disposizione era di Nostra evidente competenza, e ne vedevamo così gravi ed urgenti i motivi da farcene un dovere, per quanto sapessimo di imporre con essa gravi sacrifici ai buoni fedeli, forse più che ad ogni altro a Noi stessi incresciosa. Come infatti avrebbero avuto l’usato corso liete e festive solennità in tanto lutto e cordoglio che era piombato sul cuore del Padre comune di tutti i fedeli, e sul materno cuore della Santa Madre Chiesa in Roma, in Italia, anzi in tutto il mondo cattolico, come la universale e veramente mondiale partecipazione con voi alla testa, Venerabili Fratelli, venne subito a dimostrare? O come potevamo non temere per il rispetto e l’incolumità stessa delle persone e delle cose più sacre, dato il contegno delle pubbliche autorità e forze in presenza di tante irriverenze e violenze? Dovunque le Nostre disposizioni poterono arrivare, i buoni sacerdoti ed i buoni fedeli ebbero le stesse impressioni e gli stessi sentimenti, e dove non furono intimiditi, minacciati e peggio, ne diedero magnifiche e per Noi consolantissime prove sostituendo le festive celebrazioni con ore di preghiere, di adorazione e di riparazione, in unione di pena e di intenzione col Santo Padre, e con non più veduti concorsi di popolo. -Sappiamo come le cose si svolsero dove le Nostre disposizioni non poterono arrivare in tempo, con intervento di autorità che il messaggio rileva, quelle stesse autorità di governo e di partito che già avevano o tra poco avrebbero assistito mute e inoperose al compimento di gesta prettamente anticattoliche e antireligiose; ciò che il messaggio non dice. Dice invece che vi furono autorità ecclesiastiche locali che si credettero in grado « di non prendere atto » del Nostro divieto. Noi non conosciamo una sola autorità ecclesiastica locale che siasi meritato l’affronto e l’offesa contenuta in tali parole. Sappiamo bensì e vivamente deploriamo le imposizioni, spesso minacciose e violente, fatte e lasciate fare alle locali autorità ecclesiastiche; sappiamo di empie parodie di cantici sacri e di sacri cortei, il tutto lasciato fare con profondo cordoglio di tutti i buoni fedeli e con vero sgomento di tutti i cittadini amanti di pace e di ordine, vedendo l’una e l’altro indifesi e peggio, proprio da quelli che di difenderli hanno e gravissimo dovere e insieme vitale interesse. Il messaggio richiama il tante volte addotto confronto fra l’Italia ed altri Stati, nei quali la Chiesa è realmente perseguitata e contro i quali non si sono sentite parole come quelle pronunciate contro l’Italia, dove (dice) la Religione è stata restaurata. Abbiamo già detto che serbiamo e serberemo e memoria e riconoscenza perenne per quanto venne fatto in Italia con beneficio della Religione, anche se con contemporaneo non minore, e forse maggiore, beneficio del partito e del regime. Abbiamo pur detto e ripetuto che non è necessario (spesso sarebbe assai nocivo agli scopi intesi) che sia da tutti sentito e saputo quello che Noi e questa Santa Sede, per mezzo dei Nostri rappresentanti, dei Nostri Fratelli di Episcopato, veniamo dicendo e rimostrando dovunque gli interessi della Religione lo richiedono, e nella misura che giudichiamo richiedersi, massime dove la Chiesa è realmente perseguitata. – È con dolore indicibile che vedemmo una vera e reale persecuzione scatenarsi in questa Nostra Italia ed in questa Nostra medesima Roma contro quello che la Chiesa ed il suo Capo hanno di più prezioso e più caro in fatto di libertà e diritti, libertà e diritti che sono pure quelli delle anime, e più particolarmente delle anime giovanili, a loro più particolarmente affidate dal divino Creatore e Redentore. Come è notorio, Noi abbiamo ripetutamente e solennemente affermato e protestato che l’Azione Cattolica, sia per la sua stessa natura ed essenza (partecipazione e collaborazione del laicato all’apostolato gerarchico) che per le Nostre precise e categoriche direttive e disposizioni, è al di fuori e al di sopra di ogni politica di partito. Abbiamo insieme affermato e protestato che Ci constava le Nostre direttive e disposizioni essere state in Italia fedelmente ubbidite e secondate. Il messaggio sentenzia che l’affermazione che l’Azione Cattolica non ebbe un vero carattere politico è completamente falsa. Non vogliamo rilevare tutto quello che vi è di irriguardoso in tale sentenza, anche perché la motivazione che il messaggio ne dà, ne dimostra tutta la falsità e la leggerezza, che diremmo davvero ridicola, se il caso non fosse tanto lacrimevole. Aveva in realtà, dice, stendardi, distintivi, tessere e tutte le altre forme esteriori di un partito politico. Come se stendardi, distintivi, tessere e simili forme esteriori non siano oggigiorno comuni, in tutti i paesi del mondo, alle più svariate associazioni e attività che nulla hanno e vogliono avere di comune colla politica: sportive e professionali, civili e militari, commerciali e industriali, scolastiche di prima fanciullezza, religiose della religiosità più pia e devota e quasi infantile, come i Crociatini del Sacramento. Il messaggio ha sentito tutta la debolezza e la vanità dell’addotto motivo, e quasi correndo ai ripari ne soggiunge altri tre. Il primo vuol essere, che i capi dell’Azione Cattolica erano quasi completamente membri oppure capi del partito popolare, il quale è stato (dice) uno dei più forti avversari del fascismo. Questa accusa è stata più di una volta lanciata contro l’Azione Cattolica Italiana, ma sempre genericamente e senza far nomi. Ogni volta Noi abbiamo invitato a precisare e nominare, ma invano. Solo poco prima delle misure inflitte all’Azione Cattolica ed in evidente preparazione alle stesse, la stampa avversa, con non meno evidente ricorso a rapporti di polizia, ha pubblicato alcune serie di fatti e di nomi; e ciò son le pretese rivelazioni alle quali accenna il messaggio nel suo inizio, e che l’Osservatore Romano ha debitamente smentite e rettificate, non già confermate, come, traendo in inganno il gran pubblico, il messaggio stesso afferma. – Quanto a Noi, Venerabili Fratelli, alle informazioni già da tempo raccolte ed alle indagini personali già prima fatte, abbiamo stimato dover Nostro di procurarCi nuove informazioni e nuove indagini fare, ed eccone, Venerabili Fratelli, i positivi risultati. Innanzi tutto abbiamo constatato che, stante ancora il partito popolare e non ancora affermatosi il nuovo partito, per disposizioni emanate nel 1919, chi avesse occupato cariche direttive nel partito popolare non poteva occupare contemporaneamente uffici direttivi nella Azione Cattolica. Abbiamo inoltre constatato, Venerabili Fratelli, che i casi di ex-dirigenti locali laici del partito popolare divenuti poi dirigenti locali della Azione Cattolica, tra quelli segnalati, come sopra abbiam detto, dalla stampa avversa, si riducono a quattro, diciamo quattro, e questo così esiguo numero con 250 Giunte diocesane, 4000 Sezioni di uomini cattolici, e oltre 5000 Circoli di Gioventù Cattolica maschile. E dobbiamo aggiungere che nei quattro detti casi si tratta sempre di individui che non dettero mai luogo a difficoltà; alcuni poi addirittura simpatizzanti e benevisi al regime ed al partito..E non vogliamo omettere quell’altra garanzia di religiosità apolitica della Azione Cattolica che voi bene conoscete, Venerabili Fratelli, Vescovi in Italia, che stette, sta e starà sempre nella dipendenza della Azione Cattolica dall’Episcopato, da voi, dai quali sempre proveniva l’assegnazione dei sacerdoti « assistenti », e la nomina dei « presidenti delle Giunte diocesane »; onde chiaro è che, rimettendo e raccomandando a Voi, Venerabili Fratelli, le Associazioni colpite, nulla di sostanzialmente nuovo abbiamo ordinato e disposto. Disciolto e cessato il partito popolare, quelli che già appartenevano alla Azione Cattolica continuarono ad appartenervi, sottomettendosi però con perfetta disciplina alla legge fondamentale della Azione Cattolica, cioè astenendosi da ogni attività politica, e così fecero quelli che allora chiesero di appartenervi. I quali tutti con quale giustizia e carità si sarebbero espulsi o non ammessi, quando, forniti delle qualità richieste, si sottomettevano a quella legge? Il regime ed il partito, che sembrano attribuire una così temibile e temuta forza agli appartenenti al partito popolare sul terreno politico, dovevano mostrarsi grati alla Azione Cattolica, che appunto da quel terreno li ha levati e con formale impegno di non spiegare azione politica, ma soltanto religiosa. – Non possiamo invece Noi, Chiesa, Religione, fedeli cattolici (e non soltanto noi) essere grati a chi dopo aver messo fuori socialismo e massoneria, nemici nostri (e non nostri soltanto) dichiarati, li ha così largamente riammessi, come tutti vedono e deplorano, e fatti tanto più forti e pericolosi e nocivi quanto più dissimulati e insieme favoriti dalla nuova divisa.Di infrazioni al preso impegno Ci si è non rare volte parlato; abbiamo sempre chiesto nomi e fatti concreti, sempre pronti a intervenire e provvedere; non si è mai risposto a tale Nostra domanda. – Il messaggio denuncia che una parte considerevole di atti di carattere organizzativo era particolarmente di natura politica e che aveva niente a fare con « l’educazione religiosa e la propagazione della fede ». A parte la maniera imperita e confusa onde sembrano accennarsi i compiti della Azione Cattolica, tutti quelli che conoscono e vivono la vita d’oggi sanno che non vi è iniziativa e attività — dalle più spirituali e scientifiche fino alle più materiali e meccaniche — che non abbia bisogno di organizzazione e di atti organizzativi, e che questi come quella non si identificano con le finalità delle diverse iniziative ed attività, ma non sono che mezzi per meglio raggiungere i fini che ciascuna si propone. Però (continua il messaggio) l’argomento più forte che può essere adoperato come una giustificazione della distruzione dei circoli cattolici dei giovani è la difesa dello Stato, la quale è più di un semplice dovere di qualunque governo. Nessun dubbio sulla solennità e sulla importanza vitale di un tal dovere e di un tal diritto, aggiungiamo Noi, perché riteniamo e vogliamo ad ogni costo praticare, con tutti gli onesti e sensati, che il primo diritto è quello di fare il proprio dovere. Ma tutti i ricevitori e lettori del messaggio avrebbero sorriso di incredulità o fatte le alte meraviglie, se il messaggio avesse aggiunto che dei Circoli Cattolici giovanili colpiti 10.000 erano, anzi sono, di gioventù femminile, con un totale di quasi 500.000 giovani donne e fanciulle, dove, chi può vedere un serio pericolo e una minaccia reale per la sicurezza dello Stato? E devesi considerare che solo 220.000 sono iscritte « effettive », più di 100.000 piccole « aspiranti », più di 150.000 ancora più piccole « Beniamine ». Restano i circoli di gioventù cattolica maschile, quella stessa gioventù cattolica che nelle pubblicazioni giovanili del partito e nei discorsi e nelle circolari dei così detti gerarchi sono rappresentati ed indicati al vilipendio ed allo scherno (con qual senso di responsabilità pedagogica, per dir solo di questa, ognun lo vede) come una accozzaglia di conigli e di buoni soltanto a portar candele e recitar rosari nelle sacre processioni, e che forse per questo sono stati in questi ultimi tempi tante volte e con così poco nobile coraggio assaliti e maltrattati fino al sangue, lasciati indifesi da chi poteva e doveva proteggerli e difenderli, se non altro perché inermi e pacifici assaliti da violenti e spesso armati. Se qui sta l’argomento più forte della attentata « distruzione » (la parola non lascia davvero dubbi sulle intenzioni) delle nostre care ed eroiche associazioni giovanili di Azione Cattolica, voi vedete, Venerabili Fratelli, che Noi potremmo e dovremmo rallegrarCi, tanto chiaramente appare l’argomento di per se stesso incredibile ed insussistente. Ma purtroppo dobbiamo ripetere, che « mentita est iniquitas sibi » [5], e che l’« argomento più forte » della voluta « distruzione » va cercato su altro terreno: la battaglia che ora si combatte non è politica, ma morale e religiosa: squisitamente morale e religiosa. – Bisogna chiudere gli occhi a questa verità e vedere, anzi inventare politica dove non è che Religione e Morale per conchiudere, come fa il messaggio, che si era creata la situazione assurda di una forte organizzazione agli ordini di un potere « estero », il « Vaticano », cosa che nessun governo di questo mondo avrebbe permesso. Si sono sequestrati in massa i documenti in tutte le sedi della Azione Cattolica Italiana, si continua (anche questo si fa) a intercettare e sequestrare ogni corrispondenza che possa sospettarsi in qualche rapporto colle Associazioni colpite, anzi anche con quelle non colpite: gli oratorii. — Si dica dunque a Noi, al Paese, al mondo, quali e quanti sono i documenti della politica, agitata e tramata dalla Azione Cattolica con pericolo dello Stato. Osiamo dire che non se ne troveranno, a meno di leggere e interpretare secondo idee preconcette, ingiuste e in pieno contrasto coi fatti e con l’evidenza di senza numero prove e testimonianze. Quando se ne trovino di genuini e degni di considerazione, saremo Noi i primi a riconoscerli e a tenerne conto. Ma chi vorrà, per esempio, incriminare di politica, e politica pericolosa allo Stato, qualche segnalazione e deplorazione degli odiosi trattamenti già anche prima degli ultimi fatti, tante volte e in tanti luoghi inflitti alla Azione Cattolica? O chi fondarsi sopra dichiarazioni imposte od estorte, come Ci consta essere in qualche luogo avvenuto? Invece, proprio senza numero si troveranno tra i sequestrati documenti le prove e le testimonianze della profonda e costante religiosità e religiosa attività come di tutta l’Azione Cattolica così particolarmente delle Associazioni giovanili ed universitarie. Basterà saper leggere ed apprezzare, come Noi stessi abbiamo innumerevoli volte fatto, i programmi, i resoconti, i verbali di congressi, di settimane di studi religiosi e di preghiera, di ritiri spirituali, di praticata e promossa frequenza ai Sacramenti, di conferenze apologetiche, di studi ed attività catechistiche, di cooperazione ad iniziative di vera e pura carità cristiana nelle Conferenze di San Vincenzo ed in altri modi, di attività e cooperazione missionaria. È in presenza di tali fatti e di tale documentazione, dunque coll’occhio e la mano sulla realtà, che Noi abbiamo sempre detto ed ancora diciamo che accusare l’Azione Cattolica Italiana di fare della politica era ed è vero e proprio calunniare. I fatti hanno dimostrato a che cosa con questo si mirasse, che cosa si preparasse: rare volte si è in così grandi proporzioni avverata la favola del lupo e dell’agnello, e la storia non potrà non ricordarsene. – Noi, certi fino alla evidenza, di essere e di mantenerci sul terreno religioso, non abbiamo mai creduto che potessimo essere considerati come un « potere estero », massime da cattolici e da cattolici italiani. È in grazia della potestà apostolica a Noi indegnissimi da Dio affidata, che i buoni cattolici di tutto il mondo (voi lo sapete molto bene, Venerabili Fratelli) considerano Roma come la seconda patria di tutti e di ciascuno di loro. Non è ancora troppo lontano il giorno nel quale un uomo di Stato, che rimarrà certamente fra i più celebri, non cattolico né amico del cattolicesimo, in piena assemblea politica disse che non poteva considerare come un potere estero quello al quale ubbidivano venti milioni di tedeschi..Per dire poi che nessun governo del mondo avrebbe lasciato sussistere la situazione creata in Italia dalla Azione Cattolica, bisogna assolutamente ignorare o dimenticare che in tutti gli Stati del mondo, fino alla Cina, sussiste e vive ed opera la Azione Cattolica, bene spesso imitante nell’assieme e fino ai particolari l’Azione Cattolica Italiana, spesso ancora con forme e particolari organizzativi anche più spiccatamente tali che in Italia. In nessuno Stato del mondo mai l’Azione Cattolica è stata considerata come un pericolo dello Stato; in nessuno Stato del mondo l’Azione Cattolica è stata così odiosamente perseguitata (non vediamo quale altra parola risponda alla realtà e alla verità dei fatti) come in questa Nostra Italia, e in questa medesima Nostra Sede Episcopale Romana: e questa è veramente una situazione assurda, non da Noi sibbene contro di Noi creata. Ci siamo imposto, Venerabili Fratelli, un grave ed increscioso lavoro; Ci è sembrato un preciso dovere di carità e giustizia paterna, e in questo spirito lo abbiamo compiuto al fine di rimettere nella giusta luce fatti e verità, che alcuni figli Nostri hanno, forse non del tutto consapevolmente, messo in luce falsa a danno di altri figli Nostri.

III

Ed ora una prima riflessione e conclusione: da quanto siamo venuti esponendo e più ancora dagli avvenimenti stessi come si sono svolti, la attività politica della Azione Cattolica, la palese o larvata ostilità di taluni suoi settori contro il regime ed il partito, come anche l’eventuale rifugio e la protezione di residuata e fin qui risparmiata ostilità al partito sotto le bandiere della Azione Cattolica (cfr. Comunicato del Direttorio, 4 Giugno 1931), tutto questo non è che pretesto o un cumulo di pretesti: è un pretesto, osiamo dire, la stessa Azione Cattolica; ciò che si voleva e che si attentò di fare, fu strappare alla Azione Cattolica, e per essa alla Chiesa, la gioventù, tutta la gioventù. Tanto è ciò vero, che dopo aver tanto parlato di Azione Cattolica, si mirò alle Associazioni Giovanili, né si stette alle Associazioni Giovanili di Azione Cattolica, ma si allungò tumultuariamente la mano anche ad associazioni e ad opere di pura pietà e di prima istruzione religiosa, come le Congregazioni di Figlie di Maria e gli Oratorii; tanto tumultuariamente da dover spesso riconoscere il grossolano errore. Questo punto essenziale è largamente confermato anche d’altronde. È confermato innanzitutto dalle molte antecedenti affermazioni di elementi più o meno responsabili ed anche dagli elementi più rappresentativi del regime e del partito e che ebbero il loro pieno commentario e la definitiva conferma dagli ultimi avvenimenti. La conferma è stata anche più esplicita e categorica, stavamo per dire solenne insieme e violenta, da parte di chi non solo tutto rappresenta, ma tutto può, in pubblicazione ufficiale o quasi, dedicata alla gioventù, in colloqui destinati alla pubblicità, alla pubblicità estera prima ancora che a quella del paese, ed anche all’ultima ora in messaggi ed in comunicazioni a rappresentanti della stampa. – Un’altra riflessione e conclusione subito ed inevitabilmente si impone. Non si è dunque tenuto nessun conto delle ripetute assicurazioni e proteste Nostre, non si è tenuto conto alcuno delle proteste ed assicurazioni vostre, Venerabili Fratelli Vescovi d’Italia, sulla natura e sulla attività vera e reale dell’Azione Cattolica e sui diritti sacrosanti ed inviolabili delle anime e della Chiesa in essa rappresentati e impersonati. Diciamo, Venerabili Fratelli, i sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa, ed è questa la riflessione e conclusione che più di ogni altra si impone, come è di ogni altra la più grave. Già più e più volte, come è notorio, Noi abbiamo espresso il pensiero Nostro, o meglio, della Chiesa Santa su così importanti ed essenziali argomenti, e non è a voi, Venerabili Fratelli, fedeli maestri in Israele, che occorra dire di più; ma non possiamo non aggiungere qualche cosa per questi cari popoli che stanno intorno a voi, che voi pascete e governate per divino mandato e che ormai quasi solo per mezzo vostro possono conoscere il pensiero del Padre comune delle anime loro. Dicevamo i sacrosanti ed inviolabili diritti delle anime e della Chiesa. Si tratta del diritto delle anime di procurarsi, il maggior bene spirituale sotto il magistero e l’opera formatrice della Chiesa, di tale magistero e di tale opera unica mandataria, divinamente costituita in quest’ordine soprannaturale fondato nel Sangue di Dio Redentore, necessario ed obbligatorio a tutti per partecipare alla divina Redenzione. Si tratta del diritto delle anime così formate di partecipare i tesori della Redenzione ad altre anime collaborando alla attività dell’Apostolato Gerarchico. È in considerazione di questo duplice diritto delle anime, che Ci dicevamo testé lieti e fieri di combattere la buona battaglia per la libertà delle coscienze, non già (come qualcuno forse inavvertitamente Ci ha fatto dire) per la libertà di coscienza, maniera di dire equivoca e troppo spesso abusata a significare la assoluta indipendenza della coscienza, cosa assurda in anima da Dio creata e redenta. – Si tratta inoltre del diritto non meno inviolabile della Chiesa di adempiere l’imperativo divino mandato, di cui la investiva il divino Fondatore, di portare alle anime, a tutte le anime, tutti i tesori di verità e di bene, dottrinali e pratici, ch’Egli stesso aveva recato al mondo. « Euntes docete omnes gentes… docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis » Andate ed istruite tutte le genti, insegnando loro ad osservare tutto quello che vi ho commesso [6]. E qual posto dovessero tenere la prima età e la giovinezza in questa assoluta universalità e totalità di mandato, lo mostra Egli stesso il divino Maestro, Creatore e Redentore delle anime, col suo esempio e con quelle parole particolarmente memorabili ed anche particolarmente formidabili: « Lasciate che i pargoli vengano a me e non vogliate impedirmeli »… «Questi piccoli che (quasi per un divino istinto) credono in Me; ai quali è riserbato il regno dei cieli; dei quali gli Angeli tutelari e difensori vedono sempre la faccia del Padre celeste; guai all’uomo che avrà scandalizzato uno di questi piccoli ». « Sinite parvulos venire ad me et nolite prohibere eos… qui in me credunt… istorum est enim regnum caelorum; quorum Angeli semper vident faciem Patris qui in caelis est; Vae! homini illi per quem unus ex pusillis istis scandalizatus fuerit » [7]. Or eccoci in presenza di tutto un insieme di autentiche affermazioni e di fatti non meno autentici, che mettono fuori di ogni dubbio il proposito — già in tanta parte eseguito — di monopolizzare interamente la gioventù, dalla primissima fanciullezza fino all’età adulta, a tutto ed esclusivo vantaggio di un partito, di un regime, sulla base di una ideologia che dichiaratamente si risolve in una vera e propria statolatria pagana non meno in pieno contrasto coi diritti naturali della famiglia che coi diritti soprannaturali della Chiesa. Proporsi e promuovere un tale monopolio, perseguitare in tale intento, come si veniva facendo da qualche tempo più o meno palesemente o copertamente, l’Azione Cattolica; colpire a tale scopo, come ultimamente si è fatto, le sue Associazioni giovanili equivale ad un vero e proprio impedire che la gioventù vada a Gesù Cristo, dacché è impedire che vada alla Chiesa, perché dov’è la Chiesa ivi è Gesù Cristo. E si arrivò fino a strapparla, con gesto violento dal seno dell’una e dell’Altro. – La Chiesa di Gesù Cristo non ha mai contestato i diritti e i doveri dello Stato circa l’educazione dei cittadini e Noi stessi li abbiamo ricordati e proclamati nella recente Nostra Lettera Enciclica sulla educazione cristiana della gioventù; diritti e doveri incontestabili finché rimangono nei confini delle competenze proprie dello Stato; competenze che sono alla loro volta chiaramente fissate dalle finalità dello Stato; finalità certamente non soltanto corporee e materiali, ma di per se stesse necessariamente contenute nei limiti del naturale, del terreno, del temporaneo. Il divino universale mandato, del quale la Chiesa di Gesù Cristo è stata da Gesù Cristo stesso incomunicabilmente ed insurrogabilmente investita, si estende invece all’eterno, al celeste, al soprannaturale, quest’ordine di cose il quale da una parte è strettamente obbligatorio per ogni creatura consapevole, ed al quale dall’altra parte deve di natura sua subordinarsi e coordinarsi tutto il rimanente.

La Chiesa di Gesù Cristo è certamente nei termini del suo mandato, non solo quando depone nelle anime i primi indispensabili princìpi ed elementi della vita soprannaturale, ma anche quando questa vita promuove e sviluppa secondo le opportunità e le capacità, e coi modi e mezzi da lei giudicati idonei, anche nell’intento di preparare illuminate e valide cooperazioni all’apostolato gerarchico. È di Gesù Cristo la solenne dichiarazione che Egli è venuto precisamente al fine che le anime abbiano non soltanto qualche inizio od elemento della vita soprannaturale, ma affinché l’abbiano nella maggiore abbondanza: « Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant » [8]. E Gesù stesso ha posto i primi inizi dell’Azione Cattolica, Egli stesso scegliendo ed educando negli Apostoli e nei discepoli i collaboratori del suo divino apostolato, esempio immediatamente imitato dai primi santi Apostoli, come il sacro testo ne fa fede. È per conseguenza pretesa ingiustificabile ed inconciliabile col nome e colla professione di Cattolici quella di semplici fedeli che vengono ad insegnare alla Chiesa ed al suo Capo ciò che basta e che deve bastare per la educazione e formazione cristiana dello anime e per salvare, promuovere nella società, principalmente nella gioventù, i princìpi della Fede e la loro piena efficienza nella vita. Alla ingiustificabile pretesa si associa la chiarissima rivelazione della assoluta incompetenza e della completa ignoranza delle materie in questione. Gli ultimi avvenimenti devono aver aperto a tutti gli occhi, mentre hanno dimostrato fino all’evidenza quello che in pochi anni si è venuto, non già salvando, ma disfacendo e distruggendo in fatto di religiosità vera, di educazione cristiana e civile. Voi sapete, Venerabili Fratelli, Vescovi d’Italia, per vostra esperienza pastorale che gravissimo ed esiziale errore sia il credere e far credere che l’opera della Chiesa svolta nell’Azione Cattolica sia surrogata e resa superflua dall’istruzione religiosa nelle scuole e dalla ecclesiastica assistenza alle associazioni giovanili del partito e del regime. L’una e l’altra sono certissimamente necessarie; senza di esse la scuola e le dette associazioni diventerebbero inevitabilmente e ben presto, per fatale necessità logica e psicologica, cose pagane. Necessarie adunque, ma non sufficienti: infatti con quella istruzione religiosa e con quella assistenza ecclesiastica la Chiesa di Gesù Cristo non può esplicare che un minimum della sua efficienza spirituale e soprannaturale, e questo in un terreno e in un ambiente non da essa dipendenti, preoccupati da molte altre materie di insegnamento e da tutt’altri esercizi, soggetti ad immediate autorità spesso poco o punto favorevoli e non rare volte esercitanti contrarie influenze con la parola e con l’esempio della vita. – Dicevamo che gli ultimi avvenimenti hanno finito di mostrare senza lasciare possibilità di dubbio quello che in pochi anni si è potuto non già salvare, ma perdere e distruggere in fatto di religiosità vera e di educazione, non diciamo cristiana, ma anche solo morale e civile. Abbiamo infatti vista in azione una religiosità che si ribella alle disposizioni della superiore Autorità Religiosa e ne impone o ne incoraggia la inosservanza; una religiosità che diventa persecuzione e tentata distruzione di quello che il Supremo Capo della Religione notoriamente più apprezza ed ha a cuore; una religiosità che trascende e lascia trascendere ad insulti di parola e di fatto contro la Persona del Padre di tutti i fedeli fino a gridarlo abbasso ed a morte; veri imparaticci di parricidio. Simigliante religiosità non può in nessun modo conciliarsi con la dottrina e con la pratica cattolica, ma è piuttosto quanto può pensarsi di più contrario all’una ed all’altra. La contrarietà è più grave in se stessa e più esiziale nei suoi effetti, quando non è soltanto quella di fatti esteriormente perpetrati e consumati, ma anche quella di princìpi e di massime proclamate come programmatiche e fondamentali. – Una concezione dello Stato che gli fa appartenere le giovani generazioni interamente e senza eccezione dalla prima età fino all’età adulta, non è conciliabile per un Cattolico colla dottrina cattolica, e neanche è conciliabile col diritto naturale della famiglia. Non è per un Cattolico conciliabile con la cattolica dottrina pretendere che la Chiesa, il Papa, devono limitarsi alle pratiche esterne di religione (Messa e Sacramenti), e che il resto della educazione appartiene totalmente allo Stato. Le erronee e false dottrine e massime che siamo venuti fin qua segnalando e deplorando, già più volte Ci si presentarono nel corso di questi ultimi anni, e, come è notorio, non siamo mai, coll’aiuto di Dio, venuti meno al Nostro apostolico dovere di rilevarle e di contrapporvi i giusti richiami alle genuine dottrine cattoliche ed agli inviolabili diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime nel Suo divino sangue redente. Ma, nonostante i giudizi e le aspettative e le suggestioni che da diverse parti anche molto ragguardevoli a Noi pervenivano, Ci siamo sempre trattenuti da formali ed esplicite condanne, anzi siamo andati fino a credere possibili e favorire da parte Nostra compatibilità e cooperazioni che ad altri sembrarono inammissibili. Così abbiamo fatto perché pensavamo e piuttosto desideravamo che rimanesse la possibilità di almeno dubitare che avessimo a fare con affermazioni ed azioni esagerate, sporadiche, di elementi non abbastanza rappresentativi, insomma ad affermazioni ed azioni risalenti, nelle parti censurabili, piuttosto alle persone ed alle circostanze che veramente e propriamente programmatiche. Gli ultimi avvenimenti e le affermazioni che li prepararono, li accompagnarono e li commentarono Ci tolgono la desiderata possibilità, e dobbiamo dire, diciamo che non si è Cattolici se non per il Battesimo e per il nome — in contraddizione con le esigenze del nome e con gli stessi impegni battesimali — adottando e svolgendo un programma che fa sue dottrine e massime tanto contrarie ai diritti della Chiesa di Gesù Cristo e delle anime, che misconosce, combatte e perseguita l’Azione Cattolica, che è dire quanto la Chiesa ed il suo Capo hanno notoriamente di più caro e prezioso. A questo punto Voi Ci richiedete, Venerabili Fratelli, che rimane a pensare ed a giudicare, alla luce di quanto precede, circa una formula di giuramento che anche a fanciulli e fanciulle impone di eseguire senza discutere ordini che, l’abbiamo veduto e vissuto, possono comandare contro ogni verità e giustizia la manomissione dei diritti della Chiesa e delle anime, già per se stessi sacri ed inviolabili; e di servire con tutte le forze, fino al sangue, la causa di una rivoluzione che strappa alla Chiesa ed a Gesù Cristo la gioventù, e che educa le sue giovani forze all’odio, alla violenza, alla irriverenza, non esclusa la persona stessa del Papa, come gli ultimi fatti hanno più compiutamente dimostrato. – Quando la domanda deve porsi in tali termini, la risposta dal punto di vista cattolico, ed anche puramente umano, è inevitabilmente una sola, e Noi, Venerabili Fratelli, non facciamo che confermare la risposta che già vi siete data: un tale giuramento, così come sta, non è lecito.

IV

Ed eccoci alle Nostre preoccupazioni, gravissime preoccupazioni, che, lo sentiamo, sono anche le vostre, Venerabili Fratelli, di voi specialmente, Vescovi d’Italia. Ci preoccupiamo subito innanzi tutto dei tanti e tanti figli Nostri, anche giovanetti e giovanette, iscritti e tesserati con quel giuramento. Commiseriamo profondamente le tante coscienze tormentate da dubbi (tormenti e dubbi di cui arrivano a Noi certissime testimonianze) appunto in grazia di quel giuramento, com’è concepito, specialmente dopo i fatti avvenuti. Conoscendo le difficoltà molteplici dell’ora presente e sapendo come tessera e giuramento sono per moltissimi condizione per la carriera, per il pane, per la vita, abbiamo cercato mezzo che ridoni tranquillità alle coscienze riducendo al minimo possibile le difficoltà esteriori. E Ci sembra potrebbe essere tal mezzo per i già tesserati fare essi davanti a Dio ed alla propria coscienza la riserva: « salve le leggi di Dio e della Chiesa » oppure « salvi i doveri di buon cristiano », col fermo proposito di dichiarare anche esternamente una tale riserva, quando ne venisse il bisogno. Là poi donde partono le disposizioni e gli ordini vorremmo arrivasse la Nostra preghiera, la preghiera di un Padre che vuole provvedere alle coscienze di tanti suoi figli in Gesù Cristo; che cioè la medesima riserva sia introdotta nella forma del giuramento, quando non si voglia far meglio, molto meglio, e cioè omettere il giuramento, che è per sé un atto di religione, e non è certamente al posto che più gli conviene in una tessera di partito. – Abbiamo procurato di parlare come con calma e serenità, così con tutta chiarezza; pur non possiamo non preoccuparCi di essere bene intesi, non diciamo da voi, Venerabili Fratelli, sempre ed ora più che mai a Noi così uniti di pensieri e di sentimenti, ma da tutti quanti. E per questo aggiungiamo che con tutto quello che siamo venuti finora dicendo Noi non abbiamo voluto condannare il partito ed il regime come tale. Abbiamo inteso segnalare e condannare quanto nel programma e nell’azione di essi abbiamo veduto e constatato contrario alla dottrina ed alla pratica cattolica, e quindi inconciliabile col nome e con la professione di Cattolici. E con questo abbiamo adempiuto un preciso dovere dell’Apostolico Ministero verso tutti i figli Nostri che al partito appartengono, perché possano provvedere alla propria coscienza di Cattolici. Crediamo poi di avere contemporaneamente fatto buona opera al partito stesso ed al regime. Perché quale interesse ed utilità possono essi avere mantenendo in programma, in un paese cattolico come l’Italia, idee, massime e pratiche inconciliabili con la coscienza cattolica? La coscienza dei popoli, come quella degli individui, finisce sempre per ritornare sopra se stessa e ricercare le vie per un momento più o meno lungo perdute di vista o abbandonate. Né si dica che l’Italia è cattolica, ma anticlericale, intendiamo anche solo in una misura degna di particolari riguardi. Voi, Venerabili Fratelli, che nelle grandi e piccole diocesi d’Italia vivete in continuo contatto con le buone popolazioni di tutto il Paese, voi sapete e vedete ogni giorno come esse, non sobillate né fuorviate, siano aliene da ogni anticlericalismo. È noto a quanti conoscono un poco intimamente la storia del Paese, che l’anticlericalismo ha avuto in Italia l’importanza e la forza che gli conferirono la massoneria e il liberalismo che lo generavano. Ai nostri giorni poi il concorde entusiasmo che unì e trasportò come non mai tutto il Paese ai giorni delle Convenzioni Laterane non gli avrebbe lasciato modo di riaffermarsi, se non lo si fosse evocato ed incoraggiato all’indomani delle Convenzioni stesse. Negli ultimi avvenimenti, poi, disposizioni ed ordini lo hanno fatto entrare in azione e lo hanno fatto cessare, come tutti hanno potuto vedere e constatare. È pertanto fuor di dubbio che sarebbe bastata e basterà sempre a tenerlo al posto dovuto, la centesima e millesima parte delle misure lungamente inflitte all’Azione Cattolica e testé culminate in quello che ormai tutto il mondo sa. – Altre e ben gravi preoccupazioni Ci ispira il prossimo avvenire. Si è protestato, e ciò in sede quant’altra mai ufficiale e solenne, e subito dopo gli ultimi per Noi e per i Cattolici di tutta l’Italia e di tutto il mondo dolorosissimi fatti a danno dell’Azione Cattolica: « rispetto immutato verso la Religione Cattolica, il suo Sommo Capo » ecc. Rispetto « immutato »: dunque quello stesso rispetto, senza mutazione, che abbiamo sperimentato; dunque quel rispetto che si esprimeva in altrettanto vaste che odiose misure poliziesche, preparate in alto silenzio come non amica sorpresa, e fulmineamente applicate proprio alla vigilia del Nostro genetliaco, occasione di tante gentilezze e bontà da parte del mondo cattolico, ed anche non cattolico; dunque quello stesso rispetto che trascendeva a violenze e irriverenze lasciate indisturbatamente perpetrarsi. Che cosa possiamo dunque sperare; o meglio che cosa non dobbiamo aspettarCi? Non è mancato chi si domandava, se a così strana maniera di parlare, di scrivere, in tali circostanze, in tanta vicinanza di tali fatti, sia stata del tutto aliena l’ironia, una ben triste ironia, che da parte Nostra amiamo escludere affatto. Nel medesimo contesto ed in immediato rapporto con l’« immutato rispetto » (dunque coi medesimi indirizzi) si insinuavano « rifugi e protezioni » concesse a residui oppositori del partito, e si « ordinava ai dirigenti dei novemila fasci d’Italia » di ispirare la loro azione a queste direttive. Più d’uno di voi, Venerabili Fratelli, Vescovi d’Italia, ha già sperimentato, dandocene anche dolenti notizie, l’effetto di tali insinuazioni e di tali ordini, in una ripresa di odiose sorveglianze, di delazioni, di intimidazioni e vessazioni. Che cosa Ci prepara dunque l’avvenire? Che cosa non possiamo e dobbiamo aspettarCi (non diciamo temere, perché il timore di Dio espelle quello degli uomini), se, come abbiamo motivi a credere, il proposito è di non permettere che i Nostri Giovani Cattolici si adunino neppure silenziosamente, minacciate aspre pene ai dirigenti? Che cosa dunque, di nuovo Ci domandiamo, Ci prepara o minaccia l’avvenire?

V

È proprio a questo estremo di dubbi e di previsioni al quale gli uomini Ci hanno ridotti, che ogni preoccupazione, Venerabili Fratelli, svanisce, scompare, e il Nostro spirito si apre alle più fiduciose consolanti speranze; perché l’avvenire è nelle mani di Dio, e Dio è con noi, e … « si Deus nobiscum, quis contra nos? » [9]. Un segno ed una prova sensibile dell’assistenza e del favore divino Noi già la vediamo e gustiamo nella vostra assistenza e cooperazione, Venerabili Fratelli. Se siamo bene informati, si è detto recentemente che ora l’Azione Cattolica è in mano dei Vescovi e non vi è più nulla a temere. E fin qui sta bene, molto bene, salvo quel « più nulla », come se prima qualche cosa si avesse a temere, e salvo quell’« ora », come se prima e fin dal principio l’Azione Cattolica non sia sempre stata essenzialmente diocesana e dipendente dai Vescovi (come anche sopra abbiamo accennato) ed anche per questo, principalmente per questo, abbiamo sempre nutrito la più certa fiducia che le Nostre direttive erano seguite e secondate. Per questo, dopo che per il promesso, immanchevole aiuto divino, Noi rimaniamo e rimarremo nella più fiduciosa tranquillità, anche se la tribolazione — diciamo la parola esatta, la persecuzione — dovrà continuare e intensificarsi. Noi sappiamo che voi siete, e voi sapete di essere, i Nostri Fratelli nell’Episcopato e nell’Apostolato; Noi sappiamo e sapete voi, Venerabili Fratelli, che siete i Successori di quegli Apostoli che San Paolo chiamava con parole di vertiginosa sublimità « gloria Christi » [10]; voi sapete che, non un uomo mortale, sia pure Capo di Stato o di Governo, ma lo Spirito Santo vi ha posto, nelle parti che Pietro assegna, a reggere la Chiesa di Dio. Queste e tante altre sante e sublimi cose che vi riguardano, Venerabili Fratelli, evidentemente ignora o dimentica chi vi pensa e chiama, voi Vescovi d’Italia, « ufficiali dello Stato »; dai quali così chiaramente vi distingue e separa la stessa formula del giuramento che vi occorra prestare al Monarca, mentre dice e premette espressamente: « come si conviene a Vescovo Cattolico ». – Grande poi e veramente smisurato motivo a bene sperare Ci è pure l’immenso coro di preghiere che la Chiesa di Gesù Cristo da tutte le parti del mondo solleva al divino Fondatore ed alla Sua SS. Madre per il suo Capo visibile, il Successore di Pietro, proprio come quando, or sono venti secoli, la persecuzione colpiva di Pietro stesso la persona: preghiere di sacri pastori e di popoli, di cleri e di fedeli, di religiosi e di religiose, di adulti e di giovani, di bambini e di bambine; preghiere nelle forme più squisite ed efficaci di santi Sacrifici e Comunioni eucaristiche, di supplicazioni, di adorazioni e di riparazioni, di spontanee immolazioni e di sofferenze cristianamente sofferte; preghiere, delle quali in tutti questi giorni e subito dopo i tristi eventi Ci giungeva da ogni parte la eco consolantissima, mai così forte e così consolante come in questo giorno sacro e solenne alla memoria dei Prìncipi degli Apostoli e nel quale disponeva la divina bontà che potessimo por fine a questa Nostra Lettera Enciclica. – Alla preghiera tutto è divinamente promesso: se non sarà il sereno e la tranquillità dell’ordine ristabilito, sarà in tutti la cristiana pazienza, il santo coraggio, la gioia ineffabile di patire qualche cosa con Gesù e per Gesù, con la gioventù e per la gioventù a Lui tanto prediletta, e ciò fino all’ora nascosta nel mistero del Cuore divino, infallibilmente la più opportuna alla causa della verità e del bene. E poiché da tante preghiere tutto dobbiamo sperare, e poiché tutto è possibile a quel Dio che alla preghiera tutto ha promesso, abbiamo fiduciosa speranza ch’Egli voglia illuminare le menti al vero e volgere le volontà al bene, così che alla Chiesa di Dio, che nulla contende allo Stato di quello che allo Stato compete, si cessi di contendere ciò che a Lei compete, la educazione e formazione cristiana della gioventù, non per umano placito ma per divino mandato, e che pertanto essa deve sempre richiedere e sempre richiederà, con una insistenza ed una intransigenza che non può cessare né flettersi, perché non proviene da placito o calcolo umano o da umane ideologie mutevoli nei diversi tempi e luoghi, ma da divina ed inviolabile disposizione. E Ci ispira pure fiducia e speranza il bene che indubitabilmente proverrebbe dal riconoscimento di tale verità e di tal diritto. Padre di tutti i redenti, il Vicario di quel Redentore che, dopo aver insegnato e comandato a tutti l’amore dei nemici, moriva perdonando ai suoi crocifissori, non è e non sarà mai nemico di alcuno e così faranno tutti i buoni e veri figli suoi, i Cattolici che vogliano serbarsi degni di tanto nome; ma essi non potranno mai condividere, adottare o favorire massime e norme di pensiero e di azione contrarie ai diritti della Chiesa ed al bene delle anime e perciò stesso contrarie ai diritti di Dio. Quanto preferibile a questa irriducibile divisione delle menti e delle volontà, la pacifica e tranquilla unione dei pensieri e dei sentimenti, che per felice necessità non potrebbe non tradursi in feconda cooperazione di tutti per il vero bene a tutti comune; e ciò col plauso simpatico dei cattolici di tutto il mondo, invece che col loro universale biasimo e malcontento, come ora avviene! Preghiamo il Dio di tutte le misericordie, per la intercessione della sua SS. Madre che testé ci arrideva di plurisecolari splendori, e dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, che Ci conceda a tutti di vedere quello che conviene fare e a tutti dia la forza di eseguirlo.

La Benedizione Nostra Apostolica, auspice e pegno di tutte le Benedizioni divine, discenda sopra di voi, Venerabili Fratelli, sui vostri Cleri, sui vostri popoli, e vi rimanga sempre.

Roma, dal Vaticano, nella Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, 29 giugno 1931.

PIUS PP. XI 


[1] Is., XXXVIII, 17.

[2] Psalm. XCIII, 19.

[3] Luc., XXII, 28.

[4] I Cor., VII, 4.

[5] Psalm. XXVI, 12.

[6] Matth., XXVIII, 19-20.

[7] Matth., XIX, 13 seqq. XVIII, 1 seqq.

[8] Io., X, 10.

[9] Rom., VIII, 31.

[10] 2 Cor., VIII, 23.

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le lezioni dell’Ufficio divino in questo tempo sono spesso ricavate dai libri dei Maccabei. Dopo la cattività di Babilonia, il popolo era ritornato a Gerusalemme e vi aveva ricostruito il Tempio. Ma lo stesso popolo ben presto fu di nuovo punito da Dio perché gli era stato nuovamente infedele: Antioco Epifane s’impadronì di Gerusalemme e saccheggiò il Tempio, quindi pubblicò un editto che proibiva in ogni luogo la professione della religione giudaica. Furono allora da per tutto eretti altari agli idoli e il numero degli apostati crebbe in guisa che sembrò che la fede di Abramo, Mosè e Israele dovesse scomparire. Dio suscitò allora degli eroi: un sacerdote, chiamato Mathathia raccolse tutti coloro che erano ancora animati da zelo per la legge e per il culto dell’Alleanza e designò suo figlio Giuda Maccabeo come capo della milizia, che suscitò per rivendicare i diritti del vero Dio. E Giuda col suo piccolo esercito combatté con gioia i combattimenti di Israele. Nella battaglia era simile ad un giovane leone, che ruggisce sulla sua preda. Sterminò tutti gli infedeli, mise in fuga il grande esercito di Antioco e ristabilì il culto a Gerusalemme. Animati dallo spirito divino i Maccabei riconquistarono il loro paese e salvarono l’anima del loro popolo. « Le sacrileghe superstizioni della Gentilità, disse S. Agostino, avevano insozzato il tempio stesso; ma questo fu purificato da tutte le profanazioni dell’idolatria dal valoroso capitano, Giuda Maccabeo, vincitore dei generali di Antioco » (2a Domenica di ottobre, 2° Notturno). – « Alcuni, commenta S. Ambrogio, sono accesi dal desiderio della gloria delle armi e mettono sopra ogni cosa il valore guerresco. Quale non fu mai la prodezza di Giosuè, che in una sola battaglia fece prigionieri cinque re! Gedeone con trecento uomini trionfò di un esercito numeroso; Gionata, ancora adolescente, si distinsi per fatti d’arme gloriosi. Che dire dei Maccabei? Con tremila Ebrei vinsero quarantottomila Assiri. Apprezzate il valore di capitano quale Giuda Maccabeo da ciò che fece uno dei suoi soldati: Eleazaro aveva osservato un elefante più grande degli altri e coperto della gualdrappa regale, ne dedusse dover essere quello che portava il re. Corse dunque con tutte le forze precipitandosi in mezzo alla legione e sbarazzatosi anche dello scudo, si slanciò avanti combattendo e colpendo a destra e sinistra, finché ebbe raggiunto l’elefante; passando allora sotto a questo, Io trafisse con la sua spada. L’animale cadde dunque sopra Eleazaro che perì sotto il suo peso. Coperto più ancora che schiacciato dalla mole del corpo atterrato, fu seppellito nel suo trionfo » (la Domenica di ottobre, 2° Notturno). – Per stabilire un parallelo fra il Breviario e il Messale di questo giorno, possiamo osservare che, come i Maccabei, che erano guerrieri, si rivolsero a Dio per ottenere che la loro razza non perisse, ma che conservasse la sua religione e la sua fede nel Messia (e furono esauditi), cosi pure nel Vangelo è un ufficiale del re, che si rivolge a Cristo perché il suo figliuolo non muoia; egli con tutta la sua famiglia credette in Gesù, quando vide il miracolo compiuto in favore di suo figlio. Constatiamo inoltre che i Maccabei opponendosi agli uomini insensati che li circondavano, cercarono presso Dio luce e forza per conoscere la sua volontà in circostanze difficili (5° responsorio, Dom. 1° respons. del Lunedì) ed esauditi nel nome di Cristo che doveva nascere dalla loro stirpe, resero in seguito azioni di grazie nel Tempio, « benedicendo il Signore con inni e con lodi » (2° responsorio del Lunedi). – Cosi pure S. Paolo, nell’Epistola, parla di uomini saggi che, in tempi cattivi, cercano di conoscere la volontà di Dio e che, liberati dalla morte (f. 14 di questa Epistola) per la misericordia dell’Altissimo, gli rendono grazie in nome di Gesù Cristo, cantando inni e cantici. Tutti i canti della Messa esprimono anch’essi sentimenti simili in tutto a quelli dei Maccabei. « Signore, dice il 5° responsorio, i nostri occhi sono rivolti a te, affinché non abbiamo a perire » e il Graduale: « Tutti gli occhi si alzano con fede verso di te, o Signore ». Il Salmo aggiunge: « Egli esaudirà le preghiere di coloro che lo temono, li salverà e perderà tutti i peccatori ». – « O Dio, canterò i tuoi gloriosi trionfi », dichiara l’Alleluia, e termina con queste parole: « Con Dio compiremo atti di coraggio ed Egli annienterà i nostri nemici ». L’Offertorio è un cantico di ringraziamento dopo la liberazione dalla cattività di Babilonia e la riedificazione di Gerusalemme e del suo Tempio. (Ciò che si rinnovò sotto i Maccabei). Il Salmo del Communio, che è il medesimo di quello del Versetto dell’Introito, ci mostra come Iddio benedica coloro che lo servono e venga loro in aiuto nelle afflizioni. L’Introito,finalmente, dopo aver riconosciuto che i castighi piombati sul popolo eletto sono dovuti alla sua infedeltà, domanda a Dio di glorificare il suo Nome, mostrando ai suoi la sua grande misericordia. – Facciamo nostri tutti questi pensieri. Riconoscendo che le nostre disgrazie hanno per origine la nostra infedeltà, uniformiamoci alla volontà divina (Intr.) domandiamo a Dio di lasciarsi commuovere, di perdonarci e di guarirci (Vangelo), affinché la sua Chiesa possa servirlo nella pace (Orazione). Poi, pieni di speranza nel soccorso divino epieni di fede in Gesù Cristo riempiamoci dello Spirito Santo, che deve occupare tutta la nostra attenzione in questo tempo dopo la Pentecoste e nel nome del Signore Gesù cantiamo tutti insieme nei nostri templi Salmi alla gloria di Dio, che ci ha liberati dalla morte e che nei giorni difficili della fine del mondo (Epistola) libererà tutti coloro che hanno fede il Lui (Vangelo). – « Sorgi d’infra i morti, dice S. Paolo, e Cristo ti illuminerà » (v.14). Salvati dalla morte per opera dì Cristo, non prendiamo più parte alcuna alle opere delle tenebre (v. 11), ma viviamo come figli della luce (v. 8). Approfittiamo del tempo che ci è stato dato per fare la volontà di Dio. Non conosciamo altra ebbrezza che quella dello Spirito Santo e, uniti gli uni agli altri nell’amore di Gesù, rendiamo grazie al Padre, che ci ha liberati per mezzo del Figlio suo e che ci libererà nell’ultimo giorno ». –  Gesù salvò dalla morte il figlio dell’ufficiale, per dare la vita della fede a lui ed a tutta la sua famiglia. Questo miracolo deve cooperare ad aumentare la nostra fede in Gesù, per opera del quale Dio ci ha liberati dalla febbre del peccato e dalla morte eterna, che ne è la conseguenza. « Quegli che chiedeva la guarigione del figlio, dice S. Gregorio, senza dubbio credeva, poiché era venuto a cercare Gesù, ma la sua fede era difettosa ed egli chiedeva la presenza corporale del Signore, che con la sua presenza spirituale si trova dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta, avrebbe senza dubbio saputo, che non esiste luogo ove Dio non risieda; egli crede bensì che Colui al quale si rivolge abbia il potere di guarire, ma non pensa che sia invisibilmente vicino al figlio che sta per morire. Ma il Signore, che egli supplica di venire, gli prova che è già presente là dove egli gli chiedeva di andare; e Colui che ha creato tutte le cose, rende la salute a questo malato col semplice suo comando. (Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.)

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.
[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza.]

Lectio

 Ephes. V. 15-21.

Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.

(“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.).”

IL CONTAGOCCE DELLA VITA.

Se fossi un poeta seicentista o un predicatore, anche solo un predicatore di quel secolo stravagante, definirei il tempo: «il contagocce della vita», perché la vita ci è proprio data così goccia a goccia, minuto per minuto, scorre la vita e si compone di istanti. Potremmo anche dire che il tempo è la misura della vita. Perciò noi con la vita stessa lo identifichiamo. Fare buon uso del tempo è la misura della vita. La saggezza cristiana San Paolo la fa consistere nel buon uso del tempo, come nel rovescio, cioè nello sciupìo del tempo consiste la incoscienza, la leggerezza pagana. Del tempo, ossia della vita, di tutte le sacre energie che la costituiscono ora per ora, noi possiamo fare tre usi: possiamo usarne male, cioè per fare il male. Il mondo non adopera questa parola, la copre, la maschera. Dice: per divertirci, per distrarci. Chiamano anche questo: godere la vita. Il paganesimo pretende sia questo l’uso vero, saggio della vita. Quelli che sfrenatamente, bassamente, non ne godono come egli fa e insegna a fare, li chiama stolti. Per noi Cristiani il tempo speso così nei bagordi, nel trionfo della materia, è tempo perduto… anzi perduto è un aggettivo troppo blando, è tempo sciupato, è vita sciupata, sciupata energia. Sciupare un oggetto prezioso è più che perderlo: è un disfarlo, un farlo a rovescio. Così è il tempo speso nel peccato, nel male morale, comunque mascherato. Ma c’è anche il tempo perduto. Ed è quello che noi passiamo non facendo niente, né bene né male. Nell’ozio, o nella futilità della vita. La neutralità è veramente un sogno, un’utopia. Non si riesce alla neutralità, al far niente. In realtà l’ozio, la frivolezza, il conato di neutralità morale nell’azione, è un’utopia: far niente vuol dire far del male. Il tempo speso così è tempo perduto. E perder tempo è già un male, come il non guadagnare denaro in commercio, come il perdere un bell’oggetto. E quanto tempo si perde, specialmente, in chiacchiere inutili! che poi, viceversa, non sono inutili, sono dannose, dannosissime. Educano l’anima di chi vi si abbandona alla superficialità, alla frivolezza. Spianano la via alla cattiveria vera e propria, quando non sono già cattiveria matricolata, insulti costanti alla carità cristiana, alla purezza con le loro insinuazioni e le loro larvate oscenità. Sottraggono il tempo all’operosità buona. La quale costituisce l’impiego savio e sacro, cristiano del tempo. « Dum tempus habemus operemur bonum.» Questa è la vita per noi, Cristiani; fare il bene. Farlo in tutti i modi: parlando, tacendo (perché spesso il silenzio è d’oro, spesso ci vuole più virtù a tacere che a parlare, e si fa più bene al prossimo con un silenzio dignitoso, paziente, che con mille chiacchiere), operando, lavorando, soffrendo: farlo in tutte le forme, bene a noi stessi, bene agli altri, gloria e cioè bene a Dio. Il tempo che si passa così è tempo bene speso, veramente bene speso. È un tempo impiegato. Speso bene, perché, a parte anche le considerazioni soprannaturali, noi siamo fatti per il bene, e quando mettiamo a servizio della buona causa le nostre energie, a servizio della verità il nostro intelletto, a servizio delle carità la nostra influenza sociale, a servizio dei poveri il nostro denaro; quando facciamo così, stiamo bene. Ma è anche bene impiegato, perché il bene resta. Il piacere passa, finisce inesorabilmente. Goduto una volta non c’è più. Il bene fatto una volta resta sempre. San Paolo parla di riscatto, di redenzione del tempo. E cioè dobbiamo tanto più intensificare la nostra attività nel bene, quanto più scarsa è stata la nostra attività nel bene, quanto più abbondante è stata forse la nostra operosità cattiva. La morte si avanza e incalza: prima che essa giunga a troncare le possibilità del bene e del premio, avaramente, spendiamo per Dio il tempo ch’Egli ci dona.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXLIV:15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne.

[Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno. V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]

Allelúja.

Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.

[Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.

(“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa”)

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA PRESENZA DI DIO.

Davide, profeta e re secondo il cuore di Dio, con una sola parola ha descritto la desolazione del mondo: Terra oblivionis. Terra della dimenticanza. E in realtà, dove trovare nel tramestio furioso del mondo chi pensi a Dio? A che cosa pensano i ragazzi?… dove hanno la mente i giovani?… di che cosa si occupano la maggior parte delle donne? Quali sono i pensieri del letterato, del negoziante, dell’operaio, del contadino? L’ubbriaco, il bestemmiatore, l’empio, a che pensano?… forse a Dio? le loro iniquità provano il contrario. Dio riempie della sua presenza i cieli e la terra, ma per la maggior parte degli uomini è uno sconosciuto. Ma guai a loro perché, dimenticato Iddio, il cuore nostro non è che una terra abbandonata dove lussureggiano le ree semenze delle passioni… Terra oblivionis! Terra della dimenticanza. Ascoltiamo dunque il Vangelo, e raccogliamone il prezioso insegnamento della presenza di Dio. Gesù si trovava sulle alture di Cana, ove, tempo addietro, aveva cambiato l’acqua in vino. Ed ecco gli fu annunziato che una persona d’importanza chiedeva di parlargli urgentemente. Era un ricco giudeo che abitava a Cafarnao sulla riva del lago, e che occupava un’alta carica nella corte di Erode Antipa. Aveva fatto trenta chilometri di cammino con l’angoscia nel cuore, e scongiurava Gesù che volesse discendere fino alla sua casa, ove un figlio suo era in pericolo di morte, e glielo salvasse. « Signore, muoviti prima che muoia! ». La fede era sincera, ma imperfetta, poiché supponeva che il Signore non fosse in grado di fare un miracolo restando dove si trovava. Ma alle insistenze di quel cuore paterno, Gesù non resistette, e concesse più di quello che gli era stato domandato: «Va! tuo figlio vive ». Il sole dardeggiava sulle bianche case di Cana: era l’una pomeridiana. Proprio in quell’ora, a Cafarnao, nel palazzo del funzionario regio, i servi mandavano grida di gioia; il giovanetto moribondo subitamente era guarito. Udite un commento di S. Gregorio: « Il padre esigeva che Gesù discendesse fino alla sua casa per guarirgli il figlio. Voleva la presenza umana di Colui che con la sua divinità è dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta avrebbe senza dubbio saputo che non c’è luogo dove Dio non sia e non operi » (In Prover., 28). Questo è lo sbaglio, non di quel magistrato soltanto, ma di moltissimi altri uomini, i quali benché abbiano studiato sul catechismo che Dio è l’onnipotente, nella pratica della vita vivono come se ciò non fosse. Eppure, la terra è piccola come uno sgabello per la divina immensità (Is., LXVI 1) e tutte le acque del mare possono stare accolte nel pugno di Dio, e i cieli possono essere sostenuti dalle palme delle sue mani (Is., XL, 12). Dice Geremia: « Ingannatore e impenetrabile è il cuore dell’uomo, e nessuno lo può conoscere. Ma il Signore lo indaga e lo scruta, e vede ogni secreto ed a ciascuno dà il suo in proporzione giusta delle sue opere » (XVII, 9-10). – Oh, se il pensiero della presenza di Dio illuminasse i giorni della nostra vita, noi avremmo un presidio nel male, e un conforto nel dolore. – 1. UN PRESIDIO NEL MALE. Ricordati che Dio ti vede e non cadrai in peccato. Tra le leggende antiche si trova anche che il re Antioco, avendo fermato l’esercito in una pianura, udì dal suo padiglione due soldati che mormoravano contro dì lui. Il monarca cacciò fuori la testa dalla tenda e disse ai due imprudenti: « Fatevi più in là che io non vi senta ». Quei miseri tremarono dallo spavento e fuggirono. Ma dove potranno fuggire coloro che discorrono di cose oscene e blasfeme perché Dio non li senta? E allora, chi può determinarsi ad offendere Iddio, ove pensi che è presente, e lo vede, e conosce anche i suoi desideri malvagi e i suoi pensieri maligni? lo scellerato più infame non osa commettere un omicidio davanti al giudice che potrebbe sull’istante punirlo; il servo non osa trasgredire gli ordini in presenza del padrone; il disonesto arrossisce e fugge appena s’accorge d’essere veduto; il ladro non ha coraggio di rubare quando sa che un bambino lo vede. Ebbene, se la presenza anche di un fanciullo, o del più volgare uomo arresta il colpevole in mezzo a’ suoi disordini, come non ci arresterà dal commettere il male la presenza di Dio accusatore, testimone, giudice, e vendicatore della colpa, d’un Dio che tutto vede? Ci fu un tempo sulla terra in cui tutti gli uomini erano diventati cattivi, ed ogni pensiero del loro cuore, era sempre rivolto al male così che Dio si pentì d’averli creati. Eppure, uno ve n’era che in mezzo all’orribile corruzione universale aveva saputo conservarsi buono. Come aveva fatto? Non sentiva egli l’impeto delle passioni, la lusinga del peccato, il fascino dei cattivi esempi? Forse egli era di una meno debole natura? No; anch’egli era di carne e di sangue come gli altri: Noè camminava davanti a Dio (Gen., VI, 9). Dopo molte peripezie un giovanotto giudeo era capitato a servire una famiglia ricca d’Egitto. Ma la padrona di casa voleva indurlo a peccato. « Come potrò io peccare davanti a Dio? » ripeteva Giuseppe alla donna di Putifar; e fuggì lasciandole nelle mani il mantello suo (Gen., XXXIX). E chi diede forza a Susanna di sventare l’insidia di due uomini? «Meglio cadere vittima — esclamò — che peccare in presenza di Dio » (Dan., XIII, 23). E levò un grido che accorse gente nel giardino. Il pensiero della presenza di Dio non solo ci deve salvare dal peccato; ma ci deve anche aiutare a risorgere se mai in esso per disgrazia fossimo caduti. Adamo ed Eva dopo la colpa corsero a nascondersi: ingenui! s’illudevano d’occultarsi all’occhio di Dio. Ma tosto udirono la sua terribile voce avvicinarsi: « Adamo, dove sei? », Ramingava Caino per i deserti e le boscaglie, disperatamente fuggendo dalla faccia di Dio; ma l’occhio di Dio batteva implacabile la sua coscienza lorda di sangue fraterno. La voce di Dio, l’occhio di Dio sono continuamente sull’anima dei peccatori: e come possono resistere essi in tale stato senza confessarsi? Egli li guarda, ed essi non hanno la veste nuziale: ma perché non temono di momento in momento d’essere gettati nelle tenebre esteriori dell’inferno? Dio mi vede! questo pensiero strozza il peccato e lo mette in fuga. Quando il demonio muove all’assalto dei vostri cuori, dite: Dio mi vede! Quando le passioni cercano di sedurvi, dite: Dio mi vede! Se gli amici, i compagni vi vogliono indurre al male, dite: Dio mi vede! Con questo pensiero, vincerete! E non solo vincerete il male, ma avrete conforto nel dolore. – 2. CONFORTO NEL DOLORE. Il primo conforto è quello della preghiera sincera e affettuosa. Quando si pensa che Dio è con noi, ci vede, ci ascolta, ci ama teneramente, dal nostro cuore s’elevano le orazioni più belle, le parole ci spuntano sulle labbra, senza cercarle, e noi parliamo a Dio lungamente senza stancarci mai. Questa preghiera fatta alla viva presenza di Dio è la più efficace, è la più consolatrice. Si rimane meravigliati davanti a quegli uomini di preghiera che furono i santi. Come facevano a pregare notti intere, settimane e settimane, senza quasi interruzione? Essi sapevano stare alla presenza di Dio così da sentirlo vicino, da vederlo con gli occhi. Questo ci spiega ancora perché i santi, nonostante le molte afflizioni, apparivano sempre lieti. Quale forza, e quale sollievo non sentiremmo noi nelle fatiche del lavoro e del commercio quotidiano, se dicessimo frequentemente: « Dio vede tutto, tutto esamina, terrà conto d’ogni sorta di sudore ch’io verso per il pane de’ miei figliuoli, per il sostentamento della mia famiglia? ». Un santo religioso ripeteva nella sua semplicità: « Quando devo fare qualche lavoro, io prendo con me Gesù, lavoro insieme con Lui; per verità, in due il lavoro rende di più e pesa di meno, specialmente poi se uno di questi due è il Signore ». Cristiani, santificate le vostre fatiche d’ogni giorno con la presenza di Dio. Questo pensiero ci reca ancora un gran conforto in tutte le tribolazioni. Certe volte gli uomini ci calunniano, e noi innocenti siamo guardati con disprezzo, con risa maligne: certe altre volte ci sentiamo incompresi in casa nostra, poco amati, poco considerati, troppo trascurati; certe volte ancora abbiamo soffocanti apprensioni per il nostro avvenire e ci angustiamo per le strettezze finanziarie, per le difficoltà d’ogni genere… Oh, come in questi momenti è dolce, è buono; pensare che Dio è con noi, sa tutto, può tutto. Una volta Santa Teresa era angosciatissima: i suoi dispiaceri erano tanti e tali che non le riusciva più d’inghiottire un boccone e la sola vista del cibo le provocava vomiti strazianti. Trovandosi in questo stato, una sera, mentre stava a tavola e non sapeva decidersi a tagliare il pane, si fece coraggio pensando che Gesù la vedeva presente così, che Gesù comprendeva la sua tribolazione amara. E Gesù a un tratto le apparve visibilmente, e a lei sembrò che spezzasse il pane e glielo avvicinasse alla bocca, dicendo: « Mangia, figlia mia! Mi rincresce che tu soffra: ma in questo momento conviene che tu soffra… ». Subito una gran dolcezza le entrò in cuore e si sentì la forza di portare avanti la sua pesante croce. La nostra pesante croce noi pure potremo portarla in rassegnazione cristiana, se sapremo trarre il conforto dalla presenza di Dio. La qual presenza sarà l’unico conforto nei dolori e nei timori del passo estremo. Alessandro Manzoni saliva a Stresa, sulla ridente sponda del lago Maggiore, per visitare l’amico suo morente, il sacerdote filosofo Antonio Rosmini: Lo trovò pallido nel letto, e intravvide ne’ suoi occhi grandi l’ombra della morte imminente. « Come state? ». « Sono nelle mani di Dio: dunque sto bene », Animœ iustorum in manibus Dei sunt et non tanget illos tormentum mortis. (Sap., III, 1). –  Giuda; il Maccabeo valoroso, muoveva guerra contro Timoteo. Ma egli disponeva solo di seimila uomini, e questo di ben centoventi mila fanti e duemila cinquecento cavalieri. I soldati di Giuda, però, camminavano alla presenza di Dio, e Dio combatteva con loro. Ebbene: appena apparve la prima coorte di Giuda, l’esercito immenso di Timoteo si spaventò, e si diede a fuga scompigliata così che venivano travolti gli uni dagli altri, e cadevano colpiti dalla loro spada: avevano visto, in mezzo alla corte di Maccabeo, Dio presente. La vita è una milizia, e noi ogni giorno muoviamo contro nemici fisici e morali visibili e invisibili. Ma se Dio è con noi, chi ci potrà vincere? non la morte, non l’afflizione, non la spada, non la povertà, non le passioni, non il mondo, non il demonio. — ALCUNI DIFETTI DEI GENITORI. Un Regolo giunse a Gesù e lo supplicò: « Signore, ho un figlio che sta male: vieni a guarirmelo ». Il Signore rispose: « Voi chiedete sempre miracoli, e se non vedete prodigi non credete ». Osservate, o genitori cristiani, con quale impeto questo padre è corso a chiamare Gesù per il suo figliuolo, e come voleva condurlo in casa sua davanti al letto della sua creatura malata. « Signore, ho un figlio che sta male: tu me lo devi guarire! Vieni in fretta, altrimenti morrà ». Quanto diversa è la condotta di molti padri e di molte madri che s’affannano a procurare tutto ai loro figli, tranne quello di cui hanno maggiormente bisogno: Gesù. Ci sono genitori che si affaticano per far dei loro figli degli avvocati, dei medici, vi sono altri che si logorano la salute per farli ricchi; altri che s’industriano a renderli abili commercianti, valenti operai; e nessuno penserà seriamente a far dei propri figli dei Cristiani? Questo è vergognoso: eppure in troppi casi è la realtà. Perché, — si domanda continuamente, — il mondo è diventato così corrotto? Perché le nuove generazioni crescono con un’aria d’insubordinazione, di indifferenza religiosa, di malignità? Perché i figli di adesso non sono più come i figli d’una volta? Io penso che a queste domande, vi sia un’unica risposta, perché i genitori d’adesso non sono timorati di Dio come quelli d’una volta. In essi, per venire al pratico, tre sono i difetti principali che li fanno cattivi educatori: la fiacchezza del carattere, l’avarizia, la poca fede. – 1. LA FIACCHEZA DEL CARATTERE. In Silo, ad offrire i sacrifici nel tempio di Dio stava Heli con i suoi due figliuoli. Ma questi erano empi: rubavano nelle offerte, mangiavano le vittime prima di sacrificarle, vivevano lussuriosamente perfino nel recinto sacro. Il vecchio padre sapeva tutto quello che i figli commettevano contro Dio e contro il popolo, e s’accontentava di sgridarli così: « Figliuoli, da tutta la gente sento mormorare per le brutte azioni che fate. Non va bene così! » Naturalmente i figli non se ne curavano. Un uomo di Dio, sospinto dallo spirito profetico, passò davanti alla casa di Heli, e biecamente guardandola disse: « Guai a te, Heli! Sapevi quanto i tuoi figli agivano indegnamente, e non li hai corretti. Perciò ho giurato che la casa di Heli cadrà; e il vostro peccato né da vittima né da offerta si potrà espiare in eterno ». Ed ecco, poco tempo dopo scoppiare la guerra coi Filistei, e Ophni e Phinees furono uccisi. Un soldato corse ad annunciare la sciagura al vecchio padre, che seduto sopra un’alta sedia guardava la strada per cui li aveva visti andare al combattimento. « Che è accaduto? » chiese Heli. E quell’uomo rispose: « Tutto Israele è sconfitto. I tuoi figliuoli sono morti. L’arca di Dio fu presa ». Appena dette queste parole, Heli cadde all’indietro dalla sua sedia, vicino alla porta, e rottosi il collo morì (I Re, II-IV). Questo pauroso esempio della Storia Sacra esprime molto chiaramente che la debolezza nel correggere diventa la rovina eterna dei genitori e dei figli. Chi risparmia il castigo meritato, odia, e non ama i figliuoli. È così appunto che il tiranno di Siracusa, Dionigi il Vecchio, sfogò il suo odio contro il genero Dione. Gli prese il figliuolo e gli concesse ogni libertà; comandò che ubbidissero ad ogni suo capriccio, senza rimproverarlo o castigarlo mai, in qualunque eccesso riuscisse. Dopo qualche anno lo restituì a Dione, il quale non seppe più riconoscere il figlio, e morì di crepacuore. I grandi nemici dei giovani sono quelli che li lasciano crescere senza insegnar loro la virtù e il timore di Dio. E spesso si trovano dei padri che picchiano brutalmente le loro creatura perché hanno rotto un vaso, prodotto un guasto nella casa: e poi quando li sentono bestemmiare, tenere cattivi discorsi, quando li vedono rubare o trasgredire altri comandamenti di Dio e della Chiesa, non dicono che qualche parola languida di rimprovero e li lasciano fare. Quante volte capita di fermare un padre o una madre e dirle con amorevolezza: « Sentite: le vostre figliuole vestono così sommariamente che fanno scandalo… » e sentirsi rispondere: « Le ho già sgridate cento volte, ma non mi vogliono ubbidire »; Ecco dei genitori fiacchi: ma chi è che comanda in casa? ma chi paga i vestiti? ma chi deve ubbidire? Il Signore anche contro di questi ripete la sua maledizione: « Magis honorasti filios quam me ». Voi potete osservare a qualche mamma: « Sentite: la vostra figlia sta fuori di casa anche quando è troppo tardi e troppo oscuro. Non ha niente da ricamare, da rammendare? dica il Rosario, ma stia in casa » e vi sentirete rispondere: « Il Rosario, la mia figliuola va a dirlo tutte le sere al cimitero ». « Allora è meglio che vada a letto, e non lo dica ». Sembra strano, eppure è così. Possibile che i genitori non vedono le cartoline, i fogli, le illustrazioni che entrano in casa? Possibile che solo essi non sappiano quello che sa tutto il paese? E se lo sanno, perché non hanno energia per metterci un severo rimedio? « Magis honorasti filios quam me ». Se poi fate notare a questi genitori che i loro figli si vedono di raro in chiesa ai Sacramenti, alla Dottrina cristiana, all’Oratorio, vi risponderanno che la colpa è dei preti che non li sanno attirare. Ma prima dei preti, la responsabilità dei figli l’avete voi, o genitori. – 2. AVARIZIA. Spesso, in quelle famiglie dove la religione è quasi spenta, i figliuoli sono considerati come fastidi fin tanto che sono piccoli; e fatti grandicelli diventano oggetto di speculazione e di guadagno. E pur di guadagnare si mandano i figliuoli, giovani e innocenti ancora, a lavorare lontano: non si bada più se sui treni dovranno sentire discorsi e bestemmie, se nelle città si incontreranno in pericoli tremendi per la loro virtù; si guarda soltanto che la giornata sia pingue. O beati quei tempi quando i genitori preferivano avere qualche lira in meno, ma i figliuoli più buoni, più obbedienti, più timorati! Quanto pochi sono quelli che prima di collocare un loro figliuolo a lavoro, riflettono se quel posto è adatto per lui: alle sue forze fisiche, alla sua anima buona, se si troverà tra bestemmiatori, tra gente corrotta, tra persone di sesso diverso. Quanto pochi sono quelli che prima di mettere un fanciullo in un albergo, in un negozio fanno il patto col padrone perché gli lasci il tempo di compiere i doveri di religione. Quando non si ha più nessun interesse se non l’interesse materiale, si comprende come possa avvenire un colloquio simile tra un prete e una mamma. Domanda il prete: « La vostra fanciulla dov’è? ». « È a servizio di una famiglia, in quella città » risponde la madre. « Vi siete informata se è una famiglia onesta e ben composta? » « Non c’è da dubitare: appena scocca la fin del mese, arriva il vaglia. Sono onesti pagatori ». E il prete, sentendosi stringere il cuore, continua: « Anche questo non va trascurato. Ma e in quanto a moralità, a buoni costumi; si trova bene? E la madre, meravigliata quasi della domanda, risponde: « Qui, ci deve pensare il Signore… ». Ci deve pensare il Signore! E allora perché accanto ai figli ha messo un padre e una madre? Il Signore ci penserà, ma per richiederne ai genitori un conto esoso al momento opportuno. Molti in quel momento piangeranno perché non hanno custodito i loro figli, immersi com’erano negli affari. Molti in quel momento piangeranno perché unendoli in matrimonio hanno guardato soltanto al ricco partito, e non alla salvezza spirituale della nuova famiglia. Piangeranno, ma troppo tardi. – 3. POCA FEDE. La causa più dannosa nell’educazione odierna dei figli è la mancanza di fede nei genitori. Mancanza di fede nel ricevere i figli dalle mani di Dio: anzi calpestando ogni più sacra legge della natura, della società, del Signore, si cerca di rifiutarli. Mancanza di fede nel far amministrare a loro i Sacramenti. E si comincia a ritardare il Battesimo, per sciocchi pretesti: aspettiamo da lontano i padrini, aspettiamo che la madre sia in grado di partecipare alla festa. E intanto si lascia una creatura sotto il giogo del demonio, priva della grazia di Dio per giorni e settimane; e se morisse?… Una madre fervente cristiana, dopo molti anni di sterilità fu rallegrata da una bambina. A coloro che gliela porgevano perché la baciasse: « No — rispondeva — adesso no; ma tra breve, appena avrà ricevuto il Battesimo, e sarà fatta figlia di Dio, rigenerata nel sangue di Cristo ». Poche madri vivono di fede così. Mancanza di fede nel pregare. Che differenza fra tante madri d’oggigiorno e quelle dei Santi! Le madri dei Santi quante belle e fervorose orazioni elevavano a Dio e alla Vergine per il loro figlio, quando ancora lo portavano in seno! E poi, in fasce, lo portavano sovente in chiesa nelle ore in cui è più deserta per offrirlo al Signore, e giuravano di morire piuttosto che lasciar cadere in peccato per colpa loro quella santa creatura. E se, cresciuto, lasciava qualche preoccupazione, non imprecavano, non si disperavano, ma pregavano e facevano penitenza. Mancanza di fede nella presenza di Dio. Voi sapete che il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, è come una pisside di carne in cui è venuto ad abitare il Signore. È quindi con un senso di religiosa adorazione che i genitori si devono accostare alle loro piccole creature, e devono avere orrore di poterle scandalizzare in qualunque modo. Sarebbe un delitto pessimo quello di uccidere la vita dell’anima a quelli a cui si è dato la vita del corpo. A questo pensiero nessun rimorso addolora la nostra coscienza? Nessuna madre può dire di aver mancato di delicatezza nel vestire, portare, fasciare, nutrire i propri bambini? E magari in presenza dei più grandicelli? Infine, mancanza di fede nell’offrire i figliuoli a Dio in una vita di perfezione. Mancano i sacerdoti, i missionari, i religiosi; perché? Perché mancano i padri e le madri degni di ricevere la grazia immensa d’avere un figlio Sacerdote, missionario, religioso. Perché, o genitori, non chiedete a Dio questa grazia? O forse Iddio già ve l’ha fatta e voi gliel’avete rifiutata? Un giovane si presentò al guardiano di un convento di Cappuccini in Francia per esservi accettato. Fu ammesso. Ma i suoi genitori furenti accorsero e lo strapparono dal coro ove pregava e lo condussero nel mondo. Passarono pochi anni, e quel giovane divenne un sanguinario massacratore di innocenti: Massimiliano Robespierre. – Nel 1271 un cavaliere del re di Navarra, conducendo sui monti il principino ereditario, per sbadataggine lo lasciò precipitare nell’abisso. Vedendolo sul fondo insanguinato e immobile, il cavaliere fu preso da un tremito di disperazione. « Non c’è perdono per me — gridò — non c’è misericordia! ». E dicendo così, egli pure si precipitò nel vuoto. Genitori, i vostri figliuoli non sono proprietà vostra assoluta, ma vi furono affidati da Dio, il Re dei re e il Signore dei signori, perché li conduciate salvi attraverso i monti della vita! Guai, se per colpa vostra, al giudizio finale dovreste vederne qualcuno cadere nell’abisso dell’inferno. Non più perdono ci sarebbe allora per voi, non più misericordia! Tutta la Trinità santissima vi maledirebbe: vi maledirebbe l’Eterno Padre perché avendovi scelto a partecipare del suo nome di Padre, voi ne usaste in rovina delle anime! vi maledirebbe il Figlio perché invece di cooperare alla redenzione, avete aiutato il demonio alla perdizione! vi maledirebbe lo Spirito Santo, perché gli avete ostacolato la santificazione dei vostri figliuoli. Gli Angeli custodi, a cui avete reso inutile la vigilanza, accorrerebbero contro di voi, a precipitare voi pure nell’abisso dell’inferno in cui, per colpa vostra, avete lasciato cadere un vostro figlio. Ma non sia così.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion.

[Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]

Secreta

Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea.

[Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]

Postcommunio

Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis.

[O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (273)

LO SCUDO DELLA FEDE (273)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (16)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVI

MIRACOLI

I. I miracoli sono impossibili. II. Dei miracoli più non se ne sono. III. Magnetismo, tavole parlanti. IV. È impossibile conoscere se un fatto sia miracolo o no.

I miracoli sono la prova più splendida che la religione vantano a suo favore, e prova che parla ai sapienti, non meno che agli ignoranti, e prova che s’intende eziandio da chi non ha gran forza d’intendere. Non è dunque maraviglia che dagl’increduli sia così frequentemente impugnata e così spesso derisa: ma chi consideri alquanto a bell’agio le ragioni con cui viene impugnata, vedrà chiaro con quanto infelice successo il facciano.

I. Dicono in primo luogo alcuni che i miracoli siano impossibili. A un solista che negava la possibilità del moto e che difendeva questa sua balordaggine con infinite ragioni, un antico non diede altra risposta che questa. Presolo sotto il braccio, gli fece fare il giro per tutta la sala ove disputava, e poi l’interrogò: È egli possibile il moto? Or noi potremmo dire il somigliante nel nostro caso. Vi ha egli dei miracoli? Sono essi provati con tutto rigore? se vi sono, dunque sono possibili: questa risposta non ammette replica. E tuttavia questa prima osservazione può afforzarsi con un’altra d’immenso peso. Se i miracoli sono impossibili, non per altro il sono se non perché involgono una intrinseca repugnanza. Ora che cosa diventa tutto il Vangelo, il quale ne racconta tanti operati da Gesù Cristo e dagli Apostoli, se ci narra come verità fatti impossibili, perché repugnanti intrinsecamente? Tutto il Vangelo, quindi tutto il Cristianesimo con tutte le sue opere e tutte le sue meraviglie, diventano una favola. Eppure tant’è; se essi involgono intrinseca contraddizione, niuno ha mai potuto operarne pur un solo. Come al contrario se un solo miracolo è stato operato, non è più impossibile operarne migliaia. – Tuttavia, ascoltiamo un poco la ragione di questa pretesa impossibilità. Se succede un miracolo, dicono, questo sarebbe una violazione delle leggi fissate ab eterno da Dio; dunque, Iddio cambierebbe i suoi decreti, dunque diventerebbe mutabile siccome noi. Ho sentito io più d’una volta fare questa difficoltà e con tal aria di trionfo come se per mezzo di essa si dovessero confondere tutti i dottori ed atterrare tutto l’edilizio della santa Chiesa. Orsù adunque vediamone tutta la forza. Iddio ha stabilite le leggi della natura? Signor sì. Iddio le ba stabilite immutabilmente? Sia pure. Le ha stabilite da tutta l’eternità? Concediamo anche questo. Dunque non può più farvi eccezione di sorta coi miracoli? State attento che non vi sguizzi di mano la conseguenza. Imperocché Dio non aveva da tutta l’eternità anche presente quell’occasione in cui, per un suo giusto fine, poteva fare a quelle leggi una eccezione ? Certo sì, se non gli negate la scienza del futuro. Or se nel sancire ab eterno le leggi della natura, avesse sancito anche che quelle leggi rimanessero sospese in determinate occasioni, non sarebbero anche queste sospensioni decretate ab eterno? Un orologio dispone il moto continuo delle sue ruote, ma per aver poi al debito tempo lo scocco delle ore, ha egli bisogno di mutare il meccanismo dell’oriuolo? niente affatto. Egli prevede l’uno e l’altro insieme, e mentre dispone il moto successivo delle ruote, ordina anche lo scocco a tempi opportuni. Così Iddio mentre sancisce le leggi ordinarie e continue della natura, costituisce eziandio le eccezioni che Egli vuol farvi a tempo determinato. Or dov’è qui il cambiamento di Dio, la violazione de’ suoi decreti e tutta la pretesa impossibilità?

II. Dei miracoli or più non se ne fanno. Ebbene fosse anche vero che più non se ne facessero al presente, forse perciò rimarrebbero astratti quei che si fecero in passato? Dunque non sarebbero le attestazioni di cose pubbliche, avvenute al cospetto di moltitudini intiere? Dunque non sarebbero più da credere i Santi più grandi e gli uomini più dotti, che resero testimonianza a quello che videro coi loro occhi? Se non ci fossero al presente miracoli, niuno però distruggerebbe il fatto dei miracoli passati, i quali comprovano la verità del Cristianesimo. – Ma è poi falsissimo che non ve ne siano più al presente. Nella Chiesa cattolica non vennero meno in verun secolo, ed essi durano fino ai di nostri. Se io volessi citarne alcuno avvenuto sotto i miei occhi, io il potrei fare; ma io non ho diritto di essere creduto sulla parola: ben citerò quelli che nelle cause dei Santi ogni giorno sono esaminati in Roma. Non si tratta in esse di miracoli , de’ quali possono essere molti e di ogni fatta i sindacatori? Si istituisce l’esame di essi dinanzi ad uomini d’ogni nazione, sulla fede di testimonii oculari e tanti in numero, che escludo ogni possibilità d’errore; si consultano gli uomini più esperti delle scienze per verificare se gli effetti, di cui si tratta, possano spiegarsi in qualche modo naturalmente; e si ventila tutto ciò con tutto rigore, che fino a tanto che resta un’ombra di dubbio in contrario, si soprassiede al tutto dall’approvazione di essi. In niun giudizio criminale si richiedono tante prove per mandare un accusato al patibolo, quante ne richiede la Chiesa prima di definire la verità di un miracolo. Si veggano queste cautele enumerate da Benedetto XIV, si leggano i processi, le posizioni, le consultazioni che si fanno in proposito, e poi s’impugni la loro certezza e verità. Ora di questi ve ne ha una sequela continua di età in età fino a’ dì nostri. – E mi limito a questi soli, per non dir nulla di quei tanti più che sono indubitatissimi, e che tuttavia accadono di frequente anche ai nostri tempi. La Vergine benedetta ne’ suoi santuarii ne impetra ogni anno di molti e solenni e strepitosi. In Italia S. Antonio da Padova, S. Luigi Gonzaga, S. Filippo Neri, S. Francesco di Girolamo, ne sono una inesauribile sorgente. In Francia alla tomba di S. Francesco Regis ne succedono ogni anno ed indubitati secondo ogni regola di critica più severa. In Ispagna l’Apostolo S. Iacopo e S. Isidoro non vengono mai meno alla fede dei lor devoti. S. Francesco Xaverio ne ha riempito tutto l’Oriente, e fino a’ dì nostri è un verissimo taumaturgo. Io so bene che con un sorriso di disprezzo certi profondi filosofi de’ nostri tempi si spacciano di queste testimonianze: ma possiamo anche noi con un sorriso di compassione spacciarci di tutte le loro beffe ed irrisioni, e mantenere esser falsissimo che il tempo dei miracoli sia passato. – Quel che solo può accordarsi è che ora non procedano con quella frequenza onde già accadevano nei primi tempi, ma anche di ciò vi è buona ragione che dimostra così dover essere. S. Gregorio osserva opportunamente, che agli arboscelli s’infonde l’acqua più frequentemente finché sono teneri, poiché non reggerebbero ai venti ed al solleone altrimenti, ma gettate che abbiano profonde radici e cresciuti in bel corpo si abbandonano a quelle piogge che il cielo manda a’ tempi consueti. Similmente nei primi anni ed in faccia agl’infedeli che avevano da convertirsi, erano più necessari i miracoli, quali mezzi straordinari che rendevano credibile la fede; laddove ai nostri tempi, stabilita già essa universalmente ed allevati in essa i fedeli fin dalle fasce, più non abbisogniamo di questi mezzi tanto straordinari. – Molto più che la fede allora di niun’altra prova poteva confortarsi meglio, che di quella che si trae dai miracoli, mentre a’ dì nostri ve ne sono altre molte che tengono le veci di quella. A’ dì nostri può la fede schierare in bella mostra tante profezie che di secolo in secolo si sono avverate; può la Chiesa romana mostrare la sua durata, la sua dilatazione, le sue lotte, le sue vittorie, la costanza dei suoi martiri, la successione non interrotta dei suoi pastori, e andate dicendo. Tutte queste prove, col volgere dei secoli, acquistano sempre forza maggiore, e però non è meraviglia che essa non abbisogni più tanto di quelle prove, che ai primi tempi erano quasi le sole. Nel che finalmente si discopre la bellissima economia con cui Iddio regge tutta la Chiesa, rifornendola in vari tempi di vani aiuti, secondo che essa ne abbisogna.

III. Se non che una nuova difficoltà presenta il nostro secolo contro i miracoli, colla quale si crede di atterrarli tutti e per sempre. Il mesmerismo o magnetismo animale, che vel vogliate chiamare, non basta esso solo coi suoi fatti stupendi a decifrare tutti i miracoli? Basta considerare i fenomeni della lucidità magnetica per rimanerne convinti. E se a questo primo ordine di fatti voi aggiungete le tavole parlanti, semoventi e gli spiriti che vengono sino dall’altro mondo per recarci novelle di loro, avrete tolta perfino l’ombra dei miracoli. Così discorrono non pochi a voce, ed alcuni anche in istampa. Veramente se non si udissero colle proprie orecchie certe assurdità, non si potrebbero credere; ma pure è così. – Prima però di rispondere direttamente a queste difficoltà, vi prego, o lettore, a fare un’osservazione generale. I libertini dicono sempre che essi non possono credere, che la ragione loro nol consente, che noi Cattolici siamo troppo creduloni; e poi quando si viene al fatto, non vi è razza al mondo che creda più di loro e di primo slancio ad ogni assurdità, purché col favore di essa possano discredere a Gesù Cristo. – Nel secolo scorso, come ognun sa, l’incredulità toccò il sommo a cui possa pervenire, mercè i filosofi e gli enciclopedisti. Ebbene, qual cosa non fu creduta? Quelli che, per ragione di critica, non potevano credere al vecchio ed al nuovo Testamento, poterono credere subito a tutte le fole degli annali cinesi, scritti evidentemente per adulare il popolo con una favolosa antichità, sperando di potere con essi dimostrare falsa la cronologia della Genesi. Credettero che un codice scoperto nell’India, ed opera di un recente missionario, fosse di un’età antichissima, sperando di potere con esso dimostrare, essere bastante la ragione a scoprire il vero senza il lume della rivelazione. Credettero che due emisferi scoperti in Egitto rappresentassero una configurazione del cielo non possibile ad aver luogo, se non tanti secoli prima dell’epoca di Mosè determinata al mondo. Credettero sulla fede di viaggiatori umoristici che vi avessero popoli senza culto; credettero che in certe parti d’America v’avessero uomini colla coda; credettero che al di là del Giordano i Giudei avessero regni fiorentissimi: e che non credettero sulla speranza di poter impugnare un testo della Scrittura o recare in dubbio un fatto di essa? Come va dunque che, mentre credono tante cose incredibili, penano poi tanto a credere mirali pubblici, solenni, attestati da uomini dotti, comprovati da uomini santi, che incontrerebbero mille morti piuttostoché mentire in sì grave materia? Se alcuno rispondesse che il solo odio portano alla cattolica verità ne è la causa, andrebbe poi forse lungi dal vero? – Ciò presupposto, veniamo a noi: il mesmerismo e lo spiritualismo possono forse torre fede ai miracoli? Niente affatto: neppure indebolirla presso chi ragioni anche per poco. Io dirò nel capo seguente qualche cosa della malizia e perversità di questi tentativi, qui mi limiterò a sciogliere la difficoltà che da essi si trae contro i miracoli. Suppongo per un momento che siano verissimi tutti i fenomeni, che ci spacciano i più esperti ammiratori di cotesta nuova scienza. Concedo che i magnetizzati leggano ad occhi chiusi ciò che è scritto anche in lingue ignote, che scoprano nelle viscere degl’infermi i malanni che li tormentano, che conoscano i rimedi che stanno occulti nelle viscere della natura, che vedano il presente e l’avvenire, quel che han dappresso e quel che è lontano. Similmente concedo che le tavole si muovano da sè medesime, parlino, rispondano ai quesiti che lor si fanno, che gli spiriti vengano dall’altro mondo e si diano a conoscere e rivelino arcani segreti e tutto quello che volete. Ammetto per un momento quanto sanno chiedere da noi gl’impugnatori dei miracoli: ma dopo tutto ciò fo loro alcune domande. Come dite adunque che sono scoperte del nostro secolo tutte queste scienze, quando poi pretendete che gli antichi non solo le conoscessero, ma se ne valessero a fare quei prestigi, che poi vendevano alle moltitudini come miracoli? Qui vi è contraddizione. Dovreste dire piuttosto che il secolo nostro ha messe fuori tutte queste invenzioni, perché le aveva vedute nei nostri taumaturghi. – In secondo luogo, come avvenne poi che nell’antichità, a conoscere tali segreti, non fossero altro che gli uomini riconosciuti di virtù più perfetta, di vita più incolpata, mentre tutti i loro coetanei, d’ingegno e di espertezza anche maggiore, non ne ebbero mai sentore? È strano davvero l’accoppiamento dello spiritualismo e del magnetismo antico colla santità; certo a’ nostri giorni è meno schizzinosa cotesta scienza e si affratella con tutti, ed i maligni dicono anzi che bazzica più frequente coi dissoluti e colle baldracche. – Terzo, i miracoli de’ tempi andati li leggiamo costantemente operati in ordine a confermare qualche verità importante per fini di gloria del Signore o per vero vantaggio delle anime, non mai per leggerezza o motivi frivoli, e molto meno peccaminosi; ora come avviene che al presente i fenomeni dello spiritualismo e del magnetismo si adoprino per curiosità vanissime, spesso gravemente peccaminose? Come è avvenuto questo cambiamento? – Di più il magnetismo e lo spiritualismo potranno fare le più nuove maraviglie del mondo, ma quando sono attuati in quella maniera che viene prescritta dai professori di codeste arti. Per esempio, affine di avere consulti in fatto di sanità, bisogna prima che si trovino due persone, un magnetizzatore ed una magnetizzata; bisogna che questi sia dotato di un fluido magnetico più gagliardo che non è quello dell’altra; bisogna che si accordino insieme con la volontà; bisogna che questi operi sopra di essa non fosse altro che col guardo o col comando, o con un atto di volontà, affinché ella entri nel sopore voluto: da questo stato deve ella passare a quello che chiamano di lucidità: finalmente s’ha da porre la magnetizzata in relazione colla persona intorno a cui si consulta, o si faccia poi per mezzo della viva presenza, o dei capelli, o di checché altro abbia alla medesima appartenuto. Similmente, per evocare uno spirito dall’altro mondo, ci vuole una persona che faccia da mezzana (medium); bisogna che vi sia una convenzione di segni che equivalgano a parole; bisogna far domande per averne risposte, e che so io. Poi tutto si riduce in ultimo ad avere dei consigli, delle parole, non mai dei fatti. – Ora, quando si tratta dei miracoli de’ nostri Santi, non si vede nulla di tutto ciò; poichè sono fatti nelle circostanze che escludono persino la possibilità d’attuare que’ mezzi, con cui voi affermate che diventerebbero effetto naturale, ed escludono le operazioni magnetiche e spiritualistiche, se mi è lecito parlare così, sino alle ultime tracce. – I nostri miracoli avvengono talora intorno all’aria, al fuoco, all’acqua, o ad altra creatura insensata. Ad un segno di croce vedete incendi spenti, turbini acquetati, tempeste sedate, veleni rimasti senza virtù, e che so io: si può dunque magnetizzare l’aria, i turbini, l’oceano, la natura inanimata? I nostri miracoli si operano spesse volte da un solo, il quale risorge tutto improvviso da un letto ove giacevasi moribondo, o cammina sopra le acque, o non brucia tra le fiamme: or dov’è qui la magnetizzata o il medium per cui mettere in atto quelle cause? Succedono i nostri miracoli frequentemente alle tombe dei Santi, dove altri ricovera le forze, altri la mente, altri le membra perdute, altri la calma di spirito. Or come avviene ciò? Forse i morti magnetizzano i vivi, o fanno essi da medium ed ogni cosa? Succedono i nostri miracoli ad una semplice invocazione dei Santi che regnano in cielo, o col contatto d’una reliquia, o col riverirli in una immagine. Potrà dunque ognuno che il voglia da sè magnetizzarsi e da sé imperare agli spiriti per averne qualunque effetto? – Ma soprattutto i nostri miracoli non sono parole, sono fatti. Tutte le dicerie dei magnetizzati, tutte le rivelazioni degli spiriti si riducono a consigliarvi quel che avete da fare o dire per giungere ad un vostro intento, ma non vel fanno ottenere nel punto stesso. Nei nostri miracoli interviene tutto l’opposto. Non vi prescrivono le medicine che avete a prendere per divenir sano, ma vi dànno la sanità; non vi consigliano quel che avete a fare per raccattare il senno, ma ve lo restituiscono; non v’indicano come spegnere un incendio, come abbonire l’aria, come far rivivere un defunto, ma nell’atto medesimo vi conferiscono la grazia desiderata. – Prendete dunque qualche miracolo dei più indubitati e provatevi a darcene la spiegazione. Sia, per esempio, il miracolo insigne del SS. Sacramento avvenuto in Torino, che diede origine alla bella chiesa innalzata in onore del Corpo santissimo del Signore. Il fatto fu così: un ladro sacrilego tolse ad una chiesa una pisside con dentro un’ostia consacrata, ed ascosala dentro un sacco p0sto sopra un giumento, attraversava con esso una piazza. Giunto a cotal luogo, la bestia si ferma e non vuol più dare un passo, il sacco da sé si scioglie, l’ostia si sprigiona, e raggiante tutta di si leva in aria e si mostra sì a lungo, che tutta la città, tutto il clero, tutta la magistratura con una turba innumerevole di cittadini hanno tempo ad accorrervi, e sono testimoni che ella scende da sé medesima in una nuova pisside che l’Arcivescovo le presenta. Ora, in un fatto tale, io chiedo dove trovate le condizioni richieste dal magnetismo e dallo spiritualismo? E quando Francesco Xaverio, benedicendo parecchie botti di acqua di mare, le fa con un segno di croce diventar dolci, per provvedere ad oltre cinquecento persone che si morivano di sete e che sono testimoni del fatto, dove trovate voi le condizioni volute dalla scienza di cui parliamo? E se non vi sono le condizioni richieste da voi medesimi ottenere l’effetto, come non riconoscete per ottenere che l’effetto non di può spiegare con quelle cagioni? – Il perché ogni qualvolta impugnerete i nostri miracoli, dicendo che quegli effetti si possono ottenere naturalmente col favore dei vostri trovati, noi avremo sempre ragione di rispondervi: sia pure che li possiate ottenere, ma ciò sarà sempre, impiegandovi i mezzi voluti dalla vostra arte; ma se i nostri Santi li ottengono senza quei mezzi, non vedete voi che l’effetto, come è prodotto da loro, non può essere naturale? Voi coll’aiuto delle vostre arti farete mirabilie, guarirete infermi, camminerete sul mare, volerete per l’aria, commoverete la terra, farete balzare anche i cadaveri dalla tomba: vogliamo concedervi tutto; ma farete tutto ponendo in atto le vostre scoperte, i vostri mezzi, i segreti della vostra scienza: laddove i nostri Santi, facendolo senza quei mezzi, produrranno sempre un effetto miracoloso, un vero miracolo. – Per ultimo, se tutti que’ fatti che noi chiamiamo miracoli, non sono altro che effetti naturali, perché non li rinnovate ogni volta che l’occasione vi si presenta? La natura è costante ne’ suoi effetti; voi avete in mano la natura, perché dunque non la fate agire a vostro talento? Perché non ci scoprite le cose lontane, perché non curate le infermità, perché non estinguete gl’incendi, perché non frenare le piogge, perché non risuscitate anche qualche cadavere da morte a vita? Gli altri effetti naturali si rinnovano ogni qual volta riescono necessari, perché non anche questi che sarebbero sì nuovi, sì utili, sì meravigliosi? Per verità, onde acquetarsi a simili spiegazioni dei miracoli, bisogna non solo avere un grado di malizia superlativo, ma averne ancora uno maggiore di dabbenaggine e di ignoranza. Non sapere quel che sia miracolo, non sapere quel che sia magnetismo né spiritualismo, e parlare solo perché si ha la potenza fisica di parlare. E questa risposta vale, come ognun vede, nella supposizione che siano veri tutti i fenomeni che si attribuiscono allo spiritualismo. – Ora, se si consideri poi che molti di que’ fenomeni altro non sono che imposture e giuochi di mano, come il concedono gli stessi loro fautori; se si aggiunga che molti di quei tentativi non sono altro che gravi e mostruosi delitti, invocazioni diaboliche, superstizioni già dannate in antico da santa Chiesa; comprenderà ognuno quanto ne fossero alieni quegli uomini Santi, ai quali la storia ascrive il potere di far miracoli. Da qualunque capo pertanto si consideri la proposta difficoltà, essa non regge per verun modo.

IV. Insistono tuttavia col dire: eppure chi conosce tanto la forza della natura, da potere affermare con sicurezza, che quell’effetto da noi chiamato miracoloso, non sia poi invece un segreto della natura che ancora non conoscevamo? Bisognerebbe, per poter dire che un effetto è miracoloso, saper prima sin dove possano giungere le forze della natura. Or chi può presumere tanto di sé? sarà dunque sempre incerta l’esistenza di un miracolo. È mirabile come gli uomini, che a’ nostri giorni si vantano di sapere ogni cosa, di avere spiati gli arcani più riposti della natura, confessino poi tanto volentieri la loro ignoranza, quando credono di potere da essa trarre un dardo da avventare contro la religione. Concediamo dunque loro e di buon grado, che siano ignoranti delle stesse forze della natura: aggiungiamo anzi che non si credano tali soltanto per modestia, ma che si persuadano che sono tali in verità; dunque che ne conchiudono? Perché non sappiamo fin dove si estendano le forze della natura, non sapremo almeno questo, che esse qualunque siano, non possono contraddire a sè medesime? e che sono rette da leggi costanti? Se sappiamo questo, ne abbiamo assai per riconoscere i veri miracoli. Impero ché ogni qual volta vedrò in un essere un’operazione contraria alla sua natura, oppure una violazione di quelle leggi che l’esperienza mi ha fatto conoscere costanti, quando vedrò una legge costante ad universale della natura essere cambiata senza cagione naturale, sempre affermerò senza tema di errare, che vi è intervenuta una causa superiore all’umana, cioè il miracolo. Così, a cagione di esempio, senza conoscere tutte le virtù del fuoco, io so almeno che esso abbrucia un corpo umano nello stato naturale, qualora ad esso si apprenda; ora se vedrò che un corpo umano nello stato naturale non solo non ne resti da esso abbruciato, ma ne riceva anzi refrigerio, e ciò per un mezzo non proporzionato allo scopo, qual sarebbe un segno di croce, io, senza tema di errare, dirò essere accaduto un miracolo. E perché così? Perché non può comporsi insieme alla virtù disgregante che ha il fuoco, la virtù opposta che qui esercita; sarebbe un essere in sè medesimo contraddittorio. – La costanza delle leggi naturali mi somministra un’altra ragione non meno invitta. Qualunque siasi il termine a cui può arrivare una forza creata, certo è che nelle stesse occasioni e nelle stesse circostanze sempre opera il medesimo. La sperienza di tutti i secoli, per non ricorrere qui alle ragioni, il dimostra sì chiaro, che non è possibile il negarlo. L’acqua ha sempre bagnato, sempre bruciato il fuoco, sempre illuminato il sole, sempre germinato la terra, sempre ferito il coltello e andate dicendo. Nelle circostanze medesime è costante l’averne gli stessi effetti della natura. Ma se dunque io vedo ad una benedizione data, all’invocazione di un Santo, al contatto di una reliquia, cambiarsi siffatte leggi in qualche caso particolare; come non sarò certo che non è opera della natura, ma che vi è un intervento di virtù straordinaria? Se fossero naturali quei fatti, si dovrebbero ripetere ogni volta che si pongono in atto le medesime cause: e con una benedizione, e con una reliquia si opererebbero costantemente le stesse meraviglie. Che se ciò è evidentemente falso, resta dunque chiarito che é tutt’altro che impossibile l’accertare l’esistenza dei miracoli. – Finalmente, dicono certuni, io non posso ridurmi a credere certi fatti che leggo in alcuni libri…. mi pare che siano sì poco provati, sì strani…. Voi non potete crederli? La risposta è molto facile non li credete. Quando propugniamo l’esistenza e la verità dei miracoli, non vogliamo dire che tutto quello che si spaccia per miracolo sia veramente tale. – Fra i miracoli, che abbiamo obbligo di credere, sono quelli che si leggono nelle sacre Scritture, sia del vecchio, sia del nuovo Testamento, i quali sono testificati dallo Spirito Santo autore della Scrittura. Dopo di questi meritano tutta la nostra fiducia quelli che la santa Chiesa esamina ed approva per la beatificazione dei Santi, posta l’assistenza che essa ha in tutte le sue indagini, e non sarebbe senza temerità l’impugnarli; ma gli altri che si registrano nelle vite dei Santi non hanno altro diritto alla nostra credenza. che quello che loro danno e l’autorità di chi li racconta e le testimonianze che essi allegano, e la critica con cui sono raccontati e confermati. Che se si trovino fatti raccontati senza la debita critica, non solo non vi ha nessun obbligo a crederli, ma è prudenza non crederli: che anzi quando si tratti dei miracoli che posano intieramente sull’umana autorità, ancora che siano confermati dalle leggi della critica, non vi ha obbligo di tenerli per indubitati. Chi non vuol credere nelle cose umane ad un fatto provato vero, sarà ridicolo, se volete, sarà stravagante, sarà ostinato, sarà soverchio diffidente; ma non pecca perciò contro la fede: similmente chi non crederà ad un miracolo che è provatissimo per tutte quelle vie per cui umanamente si prova un fatto, si renderà ridevole e meriterà taccia d’ostinato; ma siccome non gli è proposto dalla santa Chiesa, non per questo sarà infedele. E ciò è sì vero, che la santa Chiesa stessa non vuole che gli scrittori di simili miracoli, non approvati da essa, diano maggior peso d’autorità alle meraviglie che narrano, di quello che meriti un’autorità puramente umana, e vuole che lo protestino fino negli stessi libri in cui li raccontano. Ora, vi può egli esser cosa in sè più discreta, ed agli uomini più agevole? Così lo intendessero tutti i fedeli, come cesserebbero subito tutti i pregiudizi che esistono contro i miracoli! Ma frattanto dove vanno a parare le grandi obbiezioni de’ miscredenti? A disvelare il mal talento di chi le promuove.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (14).

4. INFERNO.

1. L’INFERNO È IL LUOGO DEI TORMENTI ETERNI.

Lo sfortunato e cattivo uomo ricco chiese ad Abramo di mandare un defunto ai suoi cinque fratelli, per evitare che cadessero come lui in questo luogo di tormenti. (Luca XVI, 28). Nel suo discorso sul Giudizio Universale, Gesù chiama l’inferno la punizione eterna: “i dannati entreranno nelle pene eterne”. (S. Matth. XXV. 46). L’inferno è un luogo e uno stato dell’anima. Come luogo l’inferno è detto sotterraneo, cioè più in basso del mondo visibile. Per questo si dice che si è scesi all’inferno, perché l’inferno è chiamato abisso, perché negli esorcismi la Chiesa dice al demone: Dio ti ha fatto scendere dal cielo nelle profondità dell’inferno. Esso è radicalmente separato dal regno dei cieli; tra i due c’è un immenso abisso. (S. Luca XVI, 26). I dannati sono separati dagli eletti. (S. Matth. XXIV, 51). Tuttavia S. Giovanni Crisostomo dice a ragione: “Non cerchiamo tanto di sapere dov’è l’abisso, quanto di evitare di caderci. L’inferno è anche uno stato dell’anima, la continuazione dello stato in cui si trovava il peccatore alla morte. I tormenti dell’inferno non sono causati da Dio, ma dagli uomini stessi. (S. G. Dam.) Possiamo applicare all’inferno il proverbio banale: Come si fa il letto, così ci si corica. Poiché l’inferno è anche uno stato, è facile capire come gli spiriti maligni possano aggirarsi intorno a noi. (I. S. Piet. V, 8), persino abitare nel cuore del peccatore. (S. Matth. XII, 45). Molti increduli dicono: “Oh, ma nessuno è mai tornato dall’inferno e nessuno di noi vi è mai stato”. Non c’è dubbio che nessuno ci sia stato, perché è la natura stessa dell’inferno che nessuno ne sia mai tornato. Nessuno torna dall’inferno e, sebbene nessuno ci sia mai stato, sappiamo comunque cosa succede lì. Nessuno è mai stato sulla Luna, ma sappiamo di cosa è fatta e quanto è lontana. conosciamo comunque la sua costituzione e la sua distanza. I Pagani stessi credevano nell’inferno, come dimostrano i miti di Tantalo, delle Danaidi e di Sisifo. Si dice che Tantalo, re della Frigia, fosse stato condannato alla sete e alla fame eterna: l’acqua e la frutta che aveva vicino si ritiravano non appena li toccava. Le Danaidi, che avevano ucciso i loro mariti, furono condannate a riempire barili senza fondo con setacci. Sisifo, tiranno di Corinto, era famoso per la sua crudeltà, aveva come punizione il rotolare un masso che ricadeva ogni volta che si avvicinava alla cima.

Le pene dell’inferno sono terribili; i reprobi non vedranno mai Dio, vivono in compagnia dei demoni soffrendo torture indicibili nelle loro anime e soffriranno anche nel corpo dopo la risurrezione.

Le punizioni dell’inferno sono terribili. “È terribile cadere nelle mani del Dio vivente”. (Ebr. X, 31) Così come promette una ricompensa centuplicata per tutte le gioie disprezzate per amor suo, così punirà con il centuplicato tormento tutti i piaceri proibiti. (San Giovanni della Croce). Possiamo applicare applicare all’inferno ciò che San Paolo ha detto del paradiso: “Nessun occhio ha mai visto, nessun orecchio ha mai udito e nessun cuore ha mai provato ciò che Dio ha in serbo per coloro che non lo hanno amato.”. (S. G. Cris.). Gesù si riferisce all’inferno in vari modi con diverse espressioni: Egli lo chiama fuoco inestinguibile (S. Matth. VIII, 12), perché le pene dell’inferno sono le più forti che si possano immaginare; in effetti le ustioni sono le ferite più torturanti. Chiama l’inferno anche le tenebre esteriori (ib. XXII, 13), perché i dannati sono privati della vista di Dio, fonte di luce eterna. Gesù Cristo dice che nell’inferno ci sarà pianto e stridore di denti (ib. V111, 12), per indicare il dolore e la rabbia dei dannati. Egli dice ancora che il loro verme non muore (S. Marco IX, 4’4), per indicare il rimorso eterno della coscienza dei dannati; che essi saranno legati mani e piedi per rendere bene la loro mancanza di libertà e il loro confinamento in un luogo angusto. – La sentenza finale di Gesù Cristo al Giudizio Universale: “Andate via da me al fuoco eterno” (S. Matth. XXV, 41), mostra che i dannati dovranno subire un doppio castigo: saranno privati della vista di Dio (pena del danno) e sottoposti a torture (pena del senso). La privazione della vista di Dio è il più terribile di tutti i tormenti dell’inferno. Quanto più prezioso è il bene perduto, tanto più grande è il dolore; ora, i dannati hanno perso un bene di valore infinito, “il loro danno deve quindi essere in qualche modo infinito“. (S. Alf.) Il cieco è infelice perché non può vedere le meraviglie del creato.; ma quanto deve sentirsi infelice chi è privato della visione sovranamente bella (San Giovanni Dam.). Il possesso di Dio, il bene supremo, è la meta di ogni creato; lo spirito tende verso Dio, come il fiume verso l’Oceano. Già sulla terra, l’anima umana è protesa verso una felicità infinita; lo sarà ancora di più dopo la morte, quando i beni passeggeri non potranno più distrarla né procurale alcun contento. Ma quale miseria se questa sete dello spirito rimane inappagata per l’eternità. “È giusto che Dio respinga colui dal quale è stato respinto per primo. (S. Aug.) Il dolore di Esaù per la perdita della primogenitura è un’immagine molto debole del dolore dei dannati per la perdita della vista di Dio; questa perdita ha già fatto tremare i Santi di quaggiù. -I reprobi sono esclusi dalla comunione con i beati; senza dubbio li vedono come il ricco epulone vide Lazzaro, non per la loro consolazione, ma per la loro punizione. L’affamato vede una tavola riccamente servita che non può toccare. (S. Vinc. Ferrier). – I reprobi sono fortemente torturati dai demoni; è giusto che colui che in vita si è unito e sottomesso ai demoni, dopo la sua morte sia in loro compagnia. – La storia di Giobbe nell’Antico Testamento e quella dell’indemoniato nel Vangelo, ci danno un esempio salutare della crudeltà del demonio nei confronti di coloro sui quali ha un certo potere. Ma quanto più grande sarà verso i reprobi che sono completamente sotto il suo dominio (Overberg). I dannati si tormenteranno anche a vicenda, perché si odiano: all’inferno, in quella dimora dell’odio di Dio, non ci può essere amore (Mar. Lat.). Più vi saranno dannati nell’inferno, maggiori saranno i gemiti; quindi, non diciamo: Oh, io non sarò solo all’inferno, perché questa società di reprobi non farà altro che moltiplicare le pene. – I dannati soffriranno il castigo del fuoco, saranno immersi in esso. (S. Alf.) Il fuoco dell’inferno sarà un vero fuoco; questo è chiaro dalle parole di Cristo (S. Luca XVI, 24) e dall’insegnamento dei Padri. Già su questa terra, Dio ha usato il fuoco per punire i crimini degli uomini, ad esempio degli abitanti di Sodoma e Gomorra (Gen. XIX, 24; IV Re I, 14). Se lo spirito può essere unito alla carne e soffrire per lui, può anche essere messo a contatto con il fuoco per essere punito (Bellarm.). Perché l’onnipotenza divina non potrebbe, dopo la morte di un uomo, risvegliare nell’anima le sensazioni provate durante l’unione con il corpo? Il fuoco dell’inferno è diverso dal fuoco terrestre; quest’ultimo distrugge gli oggetti, l’altro al contrario conserva i dannati, come il sale conserva il cibo (S. Marco IX, 48); questo illumina, quello lascia che le tenebre rimangano (S. Matth. XXII, 13); questo riscalda, questo non impedisce un freddo insopportabile, simbolo della mancanza di amore per Dio e per il prossimo. Infine, il fuoco dell’inferno è molto più doloroso del nostro, che in confronto è piuttosto rinfrescante (S. Vinc. Fer.), piuttosto un semplice fuoco dipinto (S. Bern. da S.). L’unica cosa che hanno in comune è la capacità di causare sofferenza. Il fuoco dell’inferno brucia come le ortiche. (Tert.) – Le torture dell’anima consistono nell’eterno rimorso della coscienza. I reprobi saranno in preda alla disperazione; riconosceranno quanto siano stati imprudenti nel rifiutare la grazia di Dio così spesso, quanto siano stati stolti nel preferire un bene temporaneo ad una felicità immutabile, quanto siano infelici di aver perduto per l’eternità un Dio che li ha tanto amati. I dannati proveranno una grande vergogna, perché Dio rivelerà a tutte le anime la loro turpitudine e li metterà all’ultimo posto, mentre coloro che hanno disprezzato e deriso sulla terra saranno al primo posto. I dannati saranno tormentati anche dall’invidia, perché invidieranno la gloria degli eletti. (S. Ant.). L’esempio del dolore di Giacobbe alla notizia della morte di Giuseppe mostra che i tormenti dell’anima sono più dolorosi di quelli del corpo, e molti uomini, Giuda, ad esempio, si suicidano addirittura per evitarli. – Dopo la risurrezione, anche i dannati riprenderanno il loro corpo; lasceranno la tomba per la risurrezione del giudizio. (S. Giovanni V, 29). I peccati esterni saranno puniti nelle modalità con cui sono stati commessi; la vista sarà punita con le tenebre (S. Matth. VIII, 12), l’udito con l’ululato e la bestemmia (Giobbe XV, 21), il gusto con la fame e la sete (S. Luc VI, 25; XVI, 24), l’olfatto per il fetore insopportabile, il tatto dal caldo e dal freddo. Dio può aggiungere altri dolori, perché già qui sulla terra Dio ha permesso che gli empi fossero mangiati vivi dai vermi. (At. Ap. XII, 23).

I TORMENTI DEI DANNATI SONO ETERNI.

Satana e il suo seguito sono nel fuoco, in una pozza di zolfo dove viene torturato giorno e notte per l’eternità. (Apoc. XX, 10). Non c’è redenzione da tentare, perché il tempo della grazia è passato (S. Giovanni III, 36); all’inferno la notte non porta riposo. (S. Hil.) I dannati muoiono senza morire (S. Greg. M.), la loro vita è la morte eterna, la seconda morte (Apoc. XXI, 8), perché una vita priva di gioia e piena di tormenti è una morte e non una vita. (S. Aug.) O morte – dice il Papa Innocenzo III – quanto saresti stata dolce per coloro per i quali eri così amara! – L’eternità delle pene è insegnata da Cristo; Egli chiama il fuoco dell’inferno un fuoco eterno (S. Matth. XXV, 41), i castighi dell’inferno, castighi eterni (ib. 46); è anche la dottrina del Concilio di Trento. L’errore di Origine (+ 254) che contestava l’eternità delle pene fu condannato nel II Concilio di Costantinopoli del 553. Colui che ha distrutto in sé un bene eterno, merita un castigo eterno. (S. Aug.). Gli stessi tribunali umani condannano a morte o alla prigione perpetua. “Il vasaio non può più riformare il vaso una volta che è nel fuoco” (Alb. Stolz).

I tormenti dei dannati non sono uguali, ma variano a seconda dei loro peccati.

Come ci sono diversi gradi di santità, così ci sono diversi gradi di riprovazione. Le pene dell’inferno sono ineguali (Conc. di Fir.); sono varie come i peccati degli uomini (S. Th. Aq.), saranno proporzionate alla specie, al numero e alla grandezza dei peccati. Finché l’uomo è vissuto nella voluttà, più sarà punito (Apoc. XVIII, 7); più avrà abusato delle grazie, più sarà punito. Gli abitanti di Sodoma e Gomorra saranno trattati con maggiore clemenza nel giorno del giudizio. delle città che non hanno accolto gli Apostoli (S. Matth. X,15).

2. L’INFERNO È LA PUNIZIONE PER GLI UOMINI CHE MUOIONO IN PECCATO GRAVE.

Il peccato mortale separa completamente da Dio. L’uomo in questo stato è un tralcio della vite tagliato dal ceppo, che è Cristo; appassisce e viene gettato nel fuoco (S. Giovanni XV, 6). Queste anime cadono nell’inferno subito dopo la morte. (II Conc. di Lione). Andranno dunque all’inferno: i nemici di Gesù Cristo (Sal. CIX, 1), tutti coloro che non credono nel Vangelo (S. Giovanni III, 18), i fornicatori, i ladri, avari, gli ubriaconi (1. Cor. VI, 10), tutti coloro che non hanno fatto fruttare i talenti ricevuti da Dio (S. Matth. XXV, 30), molti di coloro che furono i primi sulla terra (ib. XIX, 30). Ma coloro che, come i bambini non battezzati, sono morti con il solo peccato originale, non vanno nella dimora dei reprobi; sono semplicemente privati della vista di Dio senza subire alcun tormento. – È un grande errore credere che si vada all’inferno solo per crimini, per azioni straordinarie. Oh, no! Un solo peccato mortale, anche segreto, di cui non ci si è pentiti, è sufficiente per far precipitare una persona nella sventura eterna.

Per il peccatore, l’inferno inizia in questa vita.

Tutti i peccatori sono privi di pace interiore. Essi somigliano ad un mare impetuoso che non si placa (ls. LVII, 20); sono già seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte (S. Luc I, 79). Non capiscono la dottrina della religione che sembra loro una follia (I. Cor. II, 14), sembrano vivere e in realtà sono morti. (S. G. Cris.) – I figli del mondo sentiranno la pienezza della loro disgrazia solo nella morte, non la sentono ora, perché sono distratti in mille modi. Non sentiranno la morte fino a quando non vedranno il Figlio dell’Uomo arrivare nel suo regno (S. Matth. XVI, 28). Pensiamo spesso all’inferno; questo pensiero ci allontanerà dal peccato come il fuoco difende la preda dagli assalti del leone. Scendi spesso all’inferno durante la tua vita”, dice San Bernardo, “per non scendervi dopo la morte”. Chi sfida l’inferno o lo dimentica non ne uscirà. (S. G. Cris.) Chi non crede all’inferno si benda volontariamente gli occhi per non vedere l’abisso in cui cadrà.

5. PURGATORIO. (luogo di purificazione).

1. IL PURGATORIO È UN LUOGO IN CUI SOFFRONO TEMPORANEAMENTE LE ANIME DEGLI UOMINI CHE SONO MORTI SENZA PECCATO GRAVE, MA I CUI PECCATI NON SONO ANCORA STATI COMPLETAMENTE ESPIATI.

Giuda Maccabeo credeva che le anime dei guerrieri morti con idoli su di loro avrebbero dovuto soffrire, per cui fece offrire dei sacrifici per loro nel tempio di Gerusalemme (II Macch XII, 43). Molti uomini sono nel momento della loro morte nello stato di grano appena falciato o di oro appena estratto dalla miniera. Prima di mettere il grano nel granaio, lo si lascia esposto ai raggi brucianti del sole. del sole; prima di lavorare l’oro, lo si purifica con il fuoco: “così i difetti dell’anima separati dal corpo devono scomparire nel fuoco”. (S. Greg. Niss.) Nella vita futura c’è un battesimo di fuoco, doloroso e lungo, che divora ciò che c’è di terrestre nell’anima, come il fuoco divora l’erba (S. Greg. Naz.). Secondo molti Santi, il luogo del purgatorio è sulla terra (più in basso dell’universo visibile), per questo la Chiesa prega ai funerali: A porta inferi (dal potere sotterraneo, liberalo, Signore!) e De profundis… (Dal profondo dell’abisso, grido a te, Signore!). Altri credono che molte anime soffrano proprio dove hanno peccato e che possano essere presenti nei luoghi in cui hanno peccato e che possano essere presenti ovunque si preghi per loro. Ciò che è certo è che le povere anime del purgatorio sono apparse sulla terra ai santi, a S. Filippo Neri, a Santa Brigida, a Santa Teresa. – I Santi sono dell’opinione che le anime del purgatorio soffrano con un totale abbandono alla volontà di Dio, in contrasto con i dannati che sono in uno stato di rabbia perpetua. Dio, infatti, riempie queste anime di una grande carità, che rende sopportabili i più grandi tormenti (San Caterina di Genova). Il pensiero che stanno dando a Dio un’adeguata soddisfazione e che soffrono per Dio, ispira loro il coraggio dei martiri (id.). Inoltre, la certezza che un giorno raggiungeranno la vita eterna e la visione beatifica li riempie di grande consolazione. Sono anche riempiti di gioia dai suffragi dei fedeli viventi e dei Santi in cielo, dalle visite degli Angeli. (Santa Francesca Romana). Possiamo anche credere che le loro sofferenze diminuiscano con l’aumentare della loro conoscenza di Dio. (S. Cath. di G.) Le vite dei Santi, per esempio di Santa Perpetua, ci dice che nelle successive apparizioni di povere anime, esse aumentano ogni volta in bellezza. –

Le anime espiano in purgatorio o i loro peccati veniali o la pena temporale dei peccati mortali rimessi con l’assoluzione, ma per i quali non abbiano sufficientemente soddisfatto.

Dio punisce i peccati veniali con pene temporali. Zaccaria, il padre di San Giovanni Battista, fu punito per non aver creduto all’Angelo, Mosè per aver dubitato per un momento. Dio lascia una punizione temporale anche per i peccati mortali che ha perdonato al peccatore pentito, come quelli di Adamo e di Davide. Questi si sforzò sinceramente di ottenere la remissione della pena temporale, ma non ci riuscì. La morte del figlio avvenne come previsto. Chiunque non abbia espiato completamente i suoi peccati, è obbligato a farlo nella dimora della purificazione. (Conc. de Tr. 6, 30). I tribunali talvolta impongono una multa, e in caso di mancato pagamento, il carcere; Dio fa lo stesso: se il peccatore non soddisfa la sua giustizia qui sulla terra, lo farà necessariamente nella prigione del purgatorio. Non accontentatevi mai, quindi, della penitenza imposta in confessione, ma imponetevi volontariamente altre opere soddisfattorie. Si può anche far penitenza sopportando i mali di questa vita, ad esempio la malattia, e accettando la morte quando arriva. Soprattutto, non considerare il peccato veniale come qualcosa di leggero, perché sarà necessario espiarlo adeguatamente.

Le sofferenze delle anime del Purgatorio consistono nella privazione della vista di Dio e in grandi dolori.

Non invano recitiamo la preghiera: Signore, dona loro l’eterno riposo e che la luce eterna risplenda su di loro, cioè liberali da ogni dolore e che giungano alla visione di Dio. Le candele accese ai funerali e sulle tombe simboleggiano questa richiesta a Dio di dare alle anime la luce eterna, cioè la visione beatifica. – A parte la durata, non c’è alcuna differenza essenziale tra le pene dell’inferno e quelle del purgatorio (S. Th. Aq.); lo stesso fuoco purifica gli eletti e tortura i dannati. Per questo la Chiesa usa la parola inferno per designare il purgatorio, dal quale chiede che le anime siano liberate. (Benedetto XIV). Le più piccole sofferenze del purgatorio sono più crudeli di quelle dei martiri (S. Ang.). Le più piccole sofferenze nel purgatorio sono più crudeli delle più grandi sulla terra (S. Th. Aq.). Tutte le sofferenze che si possono immaginare quaggiù sono piuttosto un sollievo in confronto alle minime pene del purgatorio. (S. Cir Al.) Il fuoco della terra è un paradiso rispetto a quello del purgatorio. (S. Madd. de Pazzi).

Il rigore e la durata delle pene del purgatorio sono in ragione della gravità dei peccati.

Più la materia combustibile, cioè i peccati, sono portati in purgatorio, più si brucerà. (S. Bonav.) Quanto più grande è il peccato, tanto più cocente è il dolore (S. Aug.). La purificazione dei fedeli con il fuoco sarà più o meno lenta a seconda del maggiore o minore affetto che avranno avuto per le cose terrene. (S. Aug.) Chi è invecchiato nel peccato impiegherà più tempo a passare attraverso la fornace (ibid.); così certe pietanze particolarmente dure hanno bisogno di una lunga cottura prima di essere presentabili. Le fondazioni perpetue, per il fatto che siano ammesse dalla Chiesa, dimostra che essa riconosce la possibilità di una durata molto lunga delle pene purgatoriali. Caterina Emmerich riferisce nelle sue visioni che ad ogni anniversario della sua morte, Gesù scende in purgatorio per liberare l’una o l’altra delle anime di coloro che furono testimoni della sua passione e che non erano ancora state ammesse alla visione beatifica. – Inoltre, anche se la punizione di un’anima durasse solo un’ora, sarebbe insopportabilmente lunga (S. Brig.) – Alcuni Santi sono del parere che certe anime (indubbiamente molto perfette) siano punite solo con la privazione della vista di Dio, senza soffrire il dolore dei sensi; soffrirebbero temporaneamente la sorte dei bambini morti senza battesimo (id.). La punizione dei sensi sarebbe in rapporto con i peccati esteriori: i peccati di gola, per esempio, saranno puniti con la fame e la sete (S. Matth.) S. Brigida vedeva le anime sottoposte a una punizione esterna (id.). S. Brigida vedeva le anime sottoposte alle punizioni corrispondenti alle membra che avevano peccato di più. S. Margherita di Cortona ne vide alcune condannate a rimanere in purgatorio fino alla restituzione dei beni che avevano indebitamente acquisito; secondo un altro Santo, un pittore rimase in purgatorio fino alla distruzione di un’opera scandalosa che aveva dipinto” (Louvet). Scendete spesso in purgatorio durante la vita – dice S. Agostino – per non entrarvi dopo la morte.

2. L’ESISTENZA DEL PURGATORIO È DIMOSTRATA DAGLI INSEGNAMENTI DI GESÙ CRISTO, E SOPRATUTTO DALLA DOTTRINA DELLA CHIESA INFALLIBILE. È DA SOTTOLINEARE CHE QUASI TUTTI I POPOLI DEL MONDO CREDONO NELL’ESISTENZA DEL PURGATORIO. LA RAGIONE STESSA INDICA CHE DEVE ESISTERE.

Chiunque – dice Gesù Cristo – parli contro lo Spirito Santo, non sarà perdonato in questa vita, né in quella a venire” (S. Matth. XII, 32). Inoltre, Gesù Cristo minaccia il peccatore di una prigione e aggiunge: In verità, in verità vi dico, voi non uscirete di là finché non avrete pagato fino all’ultimo spicciolo” (ibid. V, 20). – S. Paolo, da parte sua, dice che alcuni si salveranno, ma come se passassero attraverso il fuoco. (I. Cor. III, 15). Il Purgatorio ci viene dimostrato anche dalle usanze della Chiesa. Essa prega per i defunti ad ogni Messa (memento dei defunti dopo l’elevazione), celebra per i defunti una Messa nel giorno dei morti, il giorno della morte o della sepoltura dei defunti, negli anniversari, suona la campana per invitare i fedeli a pregare per i defunti, ed ha persino istituito una solennità speciale, la Commemorazione dei Morti, il 2 novembre. (Questa solennità fu introdotta nel 998 da Odilone, abate di Cluny e successivamente estesa dai papi a tutta la Chiesa). Le usanze dei Cristiani non sono spettacoli vani, ma istituzioni dello Spirito Santo. (S. G. Cris.). – I Padri dei Concili di Firenze (1489) e di Trento (1545-68) hanno definito espressamente l’esistenza del purgatorio. – La credenza in un purgatorio si trova presso quasi tutti i popoli. Gli Egizi credevano nella migrazione delle anime attraverso gli animali. I Greci avevano la favola di Prometeo, che per aver rubato il fuoco dall’Olimpo fu incatenato ad una roccia nel Caucaso dove un avvoltoio gli divorava il fegato. finché non fu liberato da Ercole. I Giudei credevano anche nel purgatorio, dal momento che Giuda Maccabeo raccolse 12.000 dracme da offrire in sacrificio a Gerusalemme per i guerrieri caduti in battaglia con addosso degli idoli. Anche i primi Cristiani pregavano per i morti, soprattutto durante la Messa ed i funerali. S. Agostino racconta che, sul letto di morte, Monica disse a lui e a suo fratello: “Seppellite il mio corpo dove volete, ma vi prego di ricordarvi di me sempre all’altare del Signore”. S. G. Crisostomo dichiara che, in conformità con la Costituzione Apostolica, i Cristiani hanno sempre pregato per i morti, e S. Cirillo di Gerusalemme, che i morti sono sollevati quando si prega per essi al santissimo Sacrificio. Anche le liturgie più antiche contengono preghiere per i morti. – La nostra stessa ragione ci porta a concludere che esista un purgatorio. Noi sappiamo che nulla di impuro può entrare in cielo (Apoc. XXI, 27), e perciò siamo costretti ad ammettere che ci siano peccatori che Dio non può dannare eternamente, e che non essendo degni né del cielo né dell’inferno, si trovino in uno stato intermedio di purificazione.

3. I FEDELI VIVENTI POSSONO AIUTARE LE ANIME DEL PURGATORIO CON IL S. SACRIFICIO, CON LE OPERE BUON, IL DIGIUNO, LE ELEMOSINE, LA PREGHIERA, LA RICEZIONE DEI SACRAMENTI E DELLE INDULGENZE.

Le povere anime del purgatorio non possono aiutarsi da sole, perché non possono compiere azioni meritorie. Il tempo della grazia è passato, è arrivato il tempo del castigo. Dopo la morte, nessuno può più lavorare. (S. Giovanni IX, 4). Le povere anime possono espiare le loro colpe solo subendo le punizioni imposte da Dio; ese sono obbligate a svuotare il calice della loro passione fino all’ultima goccia; sono trattate come il Figlio di Dio sul Calvario al quale, nonostante i suoi orribili tormenti, il Padre non mandò alcuna consolazione, tanto che Egli gridò: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma noi, i vivi, possiamo alleviarli con la Santa Messa, la preghiera, l’elemosina e altre opere di pietà. (II Conc. di Lione 1274). È il santo Sacrificio l’aiuto più efficace (conc. Tr. 25), così come l’offerta a Dio della Comunione. (S. Bonav.) Non sono i pianti che aiutano i morti (S. G. Cris.). Per guarire una madre dal suo vano dolore, che non smetteva mai di piangere per il suo figliolo, Dio le mandò un sogno. Ella vide un drappello di giovani che si dirigeva verso una città magnifica, ma non vide suo figlio; egli era molto indietro, misero, stanco, con i vestiti fradici. Interrogato dalla madre, egli rispose: “Sono bagnato dalle tue inutili lacrime; pensa a fare l’elemosina per me, a far celebrare il Santo Sacrificio. La madre si svegliò e cambiò i suoi sterili rimpianti con un amore cristiano. (Louvet). Caricare la bara con corone di fiori, ricoprire le sue vesti con il lutto, sono cose del tutto inutili davanti a Dio; sarebbe meglio convertire questi segni superflui di lutto in elemosine. – Le preghiere traggono il loro valore non dalla loro lunghezza, ma dalla loro pietà. Una sola parola – disse Gesù a Santa Gertrude -che viene dal profondo del cuore, allevia le povere anime più che la recita meccanica di una moltitudine di salmi o di orazioni; come un po’ d’acqua pura in cui si strofinano seriamente le mani le purifica più di una massa d’acqua gettata a caso. Non ne consegue che una breve preghiera, un pater, sia sufficiente a liberare un’anima, perché “Dio sarebbe crudele a trattenere le anime”. Sarebbe crudele tenere in pena le anime per le quali ha versato il suo sangue, a causa di un pater omesso”. (Maldonato). La Chiesa usa l’acqua santa ai funerali, perché l’acqua santa calma le anime (in virtù delle preghiere pronunciate durante la benedizione). “Come la dolce pioggia rinfresca i fiori inariditi dal caldo, così l’acqua benedetta rinfresca i fiori celesti che bruciano nel purgatorio”. (S. Teodato). – Esse sono alleviate soprattutto dall’atto eroico, cioè dall’offerta a Dio per le anime del purgatorio il merito soddisfattorio di tutte le nostre opere buone. Chiunque abbia compiuto questo atto di carità può ottenere l’indulgenza plenaria ad ogni Comunione o alla santa Messa del lunedì; se è un sacerdote, ha ogni giorno la concessione dell’altare privilegiato. (Pio IX, 30 settembre 1852). –

I parenti dei defunti sono rigorosamente obbligati a soccorrerli.

È a loro che si rivolgono le parole della Scrittura: “Abbiate pietà di me, almeno voi miei amici, perché la mano di Dio mi ha toccato” (Giobbe XIX, 21). Spesso Dio ha rivelato ai parenti il triste destino dei loro defunti. Prigioniera a Cartagine nel 202, santa Perpetua vide in sogno il fratello di 7 anni. Era in un luogo buio, coperto di sudiciume e assetato. Pregò con fervore per lui e presto apparve di nuovo, pieno di gioia e di bellezza. Santa Elisabetta di Turingia, alla notizia della morte di sua madre, la regina Gertrude d’Ungheria, si dedicò subito alle più austere opere di penitenza, anche di disciplina, e ben presto ebbe la consolazione di vedere la madre informarla della sua liberazione. (Louvet). Nessuno, però, deve fare affidamento sulle opere da compiere dopo la sua morte. Ricordate il detto: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.. Le opere buone fatte dopo la morte ci aiutano relativamente poco. “Una sola messa ascoltata con pietà durante la vita è più utile che lasciare soldi per dirne cento dopo la nostra morte” (S. Ans.). Una piccola fiaccola portata davanti a noi, ci illumina più di una fiaccola portata dietro di noi (S. Leonardo di Porto Maurizio). Dio apprezza di più una piccola penitenza volontaria fatta in questa vita, che una rigorosa punizione involontaria nell’altra, come un po’ d’oro vale più di un sacco di piombo (S. Bonav.). Un giorno un padre chiese ai suoi tre figli quali buone azioni avrebbero compiuto per lui dopo la sua morte. “Padre, rispose il più giovane, lavora alla tua salvezza e fai penitenza da solo. Le nostre preghiere possono fare ben poco per te”. (Mehler VI, 399).

La preghiera per i defunti è un’opera di misericordia e ci porta la benedizione di Dio ed il perdono dei nostri peccati.

Potremmo temere di trascurare noi stessi occupandoci troppo delle anime del Purgatorio! No, pregare per i morti ha un doppio vantaggio: è utile ai morti ed a colui che prega. Colui che ha pietà delle povere anime troverà in Dio un giudice misericordioso, secondo le parole di Gesù: “Beati i misericordiosi, perché otterranno misericordia.”. (Matteo V, 7). Cristo guarderà ad ogni opera di misericordia come un’opera di misericordia fatta a se stesso (ib. XXV, 40). I defunti si mostreranno grati ai loro benefattori, soprattutto quando entreranno in cielo. Non farete mai nulla di così vantaggioso come il pregare per i morti, perché in cielo si ricorderanno della vostra misericordia e non smetteranno di pregare per voi. (Mar. Lat.) Giuda Maccabeo ottenne una mirabile ricompensa per i sacrifici che aveva offerto per i suoi morti; gli apparvero Geremia e Onia ed ottenne una brillante vittoria su Nicanore (II. Macch. XII). Le povere anime liberate dalle nostre preghiere, intercederanno in cielo a nostro favore, affinché possiamo santificarci sempre di più, e che dopo la nostra morte possiamo essere liberati presto dal purgatorio. (Mar. Lat.) “È un pensiero santo e salutare pregare per i morti, affinché dopo la nostra morte noi stessi possiamo essere presto liberati dal purgatorio”. È un pensiero santo e salutare pregare per i morti, affinché essi siano purificati dai loro peccati”. (II Macch. XII, 46).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

13 OTTOBRE, IL MIRACOLO DI FATIMA: FONDAMENTI BIBLICI.

13 Ottobre, il miracolo di Fatima ed il terzo segreto: fondamenti biblici.

In un recente sermone di p. Louis Campbell (Santuario di S. Jude, Stafford, Texas) leggiamo: … « Venerdì prossimo, 13 ottobre 2023, ricorre il 106° anniversario del Grande Miracolo del sole alla Cova da Iria a Fatima, in Portogallo. Il miracolo era stato promesso dalla Beata Vergine Maria a tre pastorelli, Lucia, Francesco e Giacinta, affinché tutti credessero nella realtà delle sue apparizioni e nella verità dei suoi messaggi. Fatima ha fondamenti biblici. Il ruolo di intercessione della Beata Vergine Maria e gli avvenimenti di Fatima sono stati preannunciati nella Bibbia nella storia della regina Ester, che entrò senza volerlo alla presenza del re Assuero, rischiando la sua vita per salvare il suo popolo dalla distruzione per mano del malvagio Haman, che il 13 del mese di Nisan aveva ottenuto dal re un decreto che stabiliva che gli ebrei in esilio in Persia sarebbero stati giustiziati il 13 del mese di Adar. I Padri della Chiesa hanno visto in Ester una figura della Beata Vergine e in suo zio, Mardochai, una figura di San Giuseppe, con il re che rappresentava Dio e Haman il diavolo. La festa ebraica di Purim si celebra il 14 e il 15 di Adar per commemorare la liberazione degli ebrei grazie all’intercessione di Ester. Per sottolineare il suo ruolo di intercessione alla luce della storia di Ester, Maria ha scelto di apparire a Fatima il 13 dei mesi da maggio ad ottobre. Poiché il nome Ester significa “Stella”, Maria è stata vista dai bambini di Fatima con una stella all’orlo della sua veste bianca e brillante. Maria è l’unica persona umana a cui sia stato permesso di entrare, anima e corpo, alla presenza del Re del Cielo, dove intercede per noi presso suo Figlio, Gesù Cristo, che siede alla destra del Padre. Maria è la nostra Stella del mattino, la nostra Regina Ester, che perora la nostra causa presso Dio per liberarci dalla distruzione per mano del diavolo…. ».

Ricordiamo allora il testo biblico in causa: ivi leggiamo che per il mese di Adar, il giorno 13 era stato deciso a sorte di distruggere tutto il popolo dei Giudei che abitavano nel regno del re Assuero, così come disposto da Haman ministro del re. Ma la Regina Ester, giudea, si adoperò presso il Re perché fosse loro risparmiata la vita e, denunciando il complotto di Haman contro il re, lo condannò alla morte per impiccagione e così: Igitur duodecimi mensis, quem Adar vocari ante jam diximus, tertiadecima die, quando cunctis Judaeis interfectio parabatur, et hostes eorum inhiabant sanguini, versa vice Judaei superiores esse coeperunt, et se de adversariis vindicare. [Il decimosecondo mese, cioè il mese di Adàr, il tredici del mese, quando l’ordine del re e il suo decreto dovevano essere eseguiti, il giorno in cui i nemici dei Giudei speravano di averli in loro potere, avvenne invece tutto il contrario; poiché i Giudei ebbero in mano i loro nemici.].

Così la distruzione del popolo di Israele, si trasformò nel giorno del loro trionfo. Ecco allora chiara tutta le vicenda in chiave attuale. La Vergine Maria, Madre di Dio e Madre dei Cristiani membri del Corpo mistico del Figlio suo, nuovo popolo di Giacobbe che ha preso il posto dei Giudei deicidi, ha scelto non a caso per manifestarci il trionfo del Figlio suo, Cristo, sole del mondo, questo giorno speciale già annunziato nelle Sacre Scritture, col miracolo del 13 ottobre quando il sole, uscito da un cumulo di nuvole, minacciò i 70.000 spettatori del fenomeno divino con l’avvicinarsi al suolo, per poi rimettersi al suo solito posto, lasciando tutti asciutti dalla pioggia e dalle lacrime, e disseccando il fango che li imbrattava. A questo fenomeno corrisponde il messaggio della Vergine ai pastorelli che ricordiamo così come riportato dalle parole di SS. Pio XII e del Cardinale Ottaviani che lo avevano letto sulle carte autentiche della Visitandina suor Lucia (misteriosamente poi riciclata come carmelitana dopo la sua evidente metamorfosi fotografica).

Siamo nel 1936. Poco prima del suo viaggio negli Stati Uniti d’America, il Segretario di Stato di Pio XI, il cardinale Eugenio Pacelli, futuro Pio XII, disse al Conte Enrico Pietro Galeazzi: “Supponga, mio caro amico, che il comunismo sia soltanto il più visibile degli organi di sovversione contro la Chiesa e contro la Tradizione della Rivelazione divina, allora noi andremo a vedere l’invasione di tutto quanto è spirituale, la filosofia, la scienza, il diritto, l’insegnamento, l’arte, i giornali, la letteratura, il teatro e la religione. Sono esterrefatto per le confidenze fatte dalla Vergine alla piccola Lucia di Fatima. Questo insistere da parte della Madonna sui pericoli che minacciano la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio per l’alterazione della Fede, nella sua liturgia, nella sua teologia e della sua anima”. (…). “Sento intorno a me gl’innovatori che vogliono smantellare la Sacra Cappella, distruggere la fiamma universale della Chiesa, respingere i suoi ornamenti, infliggerle il rimorso per il suo passato storico”. “Così, mio caro amico, sono convinto che la Chiesa di Pietro debba difendere il suo passato; altrimenti si scaverà la fossa”. …un giorno verrà che il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio, che la Chiesa dubiterà come Pietro ha dubitato. Essa sarà tentata a credere che l’uomo sia diventato Dio, che suo Figlio sia soltanto un simbolo, una filosofia come tante altre, e nelle chiese i Cristiani invano cercheranno la fiamma rossa che indica che Dio li aspetta. (Mgr. Georges Roche e Père Philippe St. Germain, “Pie XII devant l’histoire”, Laffont, Paris, 1972, pp 52-53 ; Abbé Daniel Le Roux Pierre m’aimes tu?”, Fideliter, Brout Vernet, 1986; p. Padre Dominique Bourmaud, “Cien Años de Modernismo”, Fundación San Pio X, Buenos Aires, 2006, p.312 ). [Gli autori qui citati facevano parte, forse senza volerlo, della falsa chiesa del “novus ordo”, pertanto noi rigettando i loro insegnamenti, ci serviamo esclusivamente delle notizie riferite al Cardinale Pacelli, il futuro Santo Padre Pio XII- ndr.-] – Che profezie precise! Sicuramente, però, il cardinale Pacelli, non ancora eletto Papa, non era un profeta! Egli affermava che fosse rimasto impressionato da quello che la Madonna aveva detto insistentemente a Lucia [quella vera, naturalmente!], una delle veggenti di Fatima, su il suicidio per l’alterazione della Fede, nella Sua liturgia, la Sua teologia e la Sua anima. Ma, ci chiediamo, anche noi meravigliati, visto che le previsioni si sono avverate in modo sì meticolosamente esatto, sia nella società civile, che nella chiesa ecumenico-modernista [conchiglia morta della Chiesa di Cristo!] oramai a-Cattolica: come ha conosciuto il Cardinale Pacelli queste predizioni della Madonna di Fatima alla veggente Lucia? – Da quanto ne sappiamo, all’epoca, neppure un libro aveva mai raccontato che la Madonna avesse detto tali cose a Lucia. E allora, il cardinale Pacelli, futuro Pio XII, da dove ha appreso queste predizioni? Sicuramente solo dall’autentico testo del Terzo Segreto di Fatima, che Suor Lucia scrisse; segreto al quale il Cardinale segretario di Stato possibilmente aveva avuto accesso, senza che il testo fosse ancora pubblicato [e … manipolato dalla falsa suora degli “Illuminati”, e dalla falsa gerarchia usurpante!]. Il Vaticano, sede della setta apostatica del “Vat. II” ha pubblicato soltanto la descrizione della visione riportata nel terzo segreto; recentemente poi, sempre l’apostatico “colle” Vaticano ha dato una versione del terzo segreto, “patacca mal confezionata”, ampiamente sconfessata finanche dal (falso) Prefetto della Congregazione della Fede, l’allora (falso)cardinale J. Ratzinger; per convincersene basta dare un’occhiata al libro di Laurent Morlier: Il Terzo Segreto di Fatima pubblicato dal Vaticano è un falso. Eccone le prove…”. E il card. Oddi, che ebbe un colloquio con suor Lucia, ne trasse la convinzione “che il terzo segreto predicesse qualcosa di terribile che la Chiesa aveva fatto” (ovviamente nel senso improprio degli uomini di Chiesa); addirittura anche il falso cardinale M. L. Ciappi, non-vescovo mai consacrato nel 1977 con la formula eretica di Bugnini-Montini, prima di morire, forse in un momento di estrema lucidità ebbe a dire: “ … Nel terzo segreto si profetizza, tra le altre cose, che la grande apostasia nella Chiesa partirà dalla sua sommità”, senza però dire che essa fosse già iniziata e senza pentirsi, fuori dalla Chiesa cattolica. – L’apostasia è il rigetto, il rinnegamento, la perdita della fede cattolica, non necessariamente per non credere più a niente, ma, cosa più insidiosa, per sostituirla con una falsa fede (… è quello che è sotto gli occhi di tutti: la chiesa dell’uomo trionfante e tronfio che sostituisce Dio Padre ed il Figlio Gesù Cristo mediante un culto falso e sacrilego che baratta il Sacrificio incruento ma reale del Dio-uomo con una volgare sacrilega agape rosacrociana e l’offerta al “signore dell’universo”, lucifero per gli alti gradi massonici!). È il monito più grave che la Madre del Verbo Incarnato potesse rivolgere. Il 15 ottobre 1963, circa tre anni dopo la data indicata al Vaticano da Lucia dos Santos per la divulgazione del Terzo Segreto di Fatima, sul giornale tedesco di Stoccarda Neues Europa, a firma del giornalista Louis Emrich, apparve il testo: “Il Segreto di Fatima”, presentato col titolo: L’avvenire dell’umanità alla luce dell’accordo di Mosca e delle rivelazioni della Madre di Dio a La Salette e a Fatima.Il testo, trapelato per una indiscrezione diplomatica, sarebbe stato inviato a titolo informativo dalle Autorità Vaticane a quelle di Washington, Londra e Mosca, ritenendolo indispensabile alla convenzione sulla cessazione degli esperimenti nucleari. Lo stesso identico documento fu pubblicato su L’Araldo di Sant’Antonio n. 15 del 15 maggio 1975, a cura di un gruppo di figli spirituali del Servo di Dio, Padre Pio da Pietrelcina. Nel 1963, dunque, la Rivista tedesca Neues Europa rivelò quello che poteva essere parte del contenuto del Terzo Segreto: “Cardinale contro Cardinale e Vescovo contro Vescovo”. – Sappiamo quel che disse il Cardinale Ottaviani, il quale aveva pure letto il “Terzo Segreto”, quando gli venne chiesto se fosse il caso di ripubblicare l’articolo del “Neues Europa”: egli disse con grande enfasi: Pubblicatene 10.000, 20.000, 30.000 copie!; l’affermazione è ancor più sorprendente proprio perché proviene dal Cardinale Ottaviani, un uomo dalla personalità fredda e sorvegliata e che fu sempre piuttosto scettico sulla maggior parte delle apparizioni » (Cfr. P. Paul Kramer, La battaglia finale del Diavolo, The Missionary Association, Buffalo, New York – USA, p. 213). – Padre Mastrocola, direttore del foglio religioso “Santa Rita”, chiese al Cardinale Ottaviani il permesso di riprendere l’anticipazione fatta da Neues Europa. La risposta fu incoraggiante: “Fatelo, fatelo pure – rispose il porporato custode del Terzo Segreto – pubblicatene quante copie vi pare, perché la Madonna voleva che fosse reso noto già nel 1960”. E di quel testo parlò anche la Radio Vaticana nel 1977, nel Decennale del viaggio di G. Montini (il marrano antipapa Paolo VI) a Fatima. Il testo di Neues Europa conobbe grande fortuna, e venne ripreso persino, il 15 ottobre 1978, dall’Osservatore Romano» (Cfr. P. Paul Kramer, “La battaglia finale del Diavolo”, The Missionary Association, Buffalo, New York, p. 213, nota 18). Nella presentazione dell’articolo: “Il Segreto di Fatima”, pubblicato della “Neues Europa”, c’è scritto: L’autenticità di tale documento non è mai stata smentita dal Vaticano. – Il sacerdote don Luigi Villa, noto per essere stato incaricato da Papa Pacelli di stanare i massoni infiltrati nella Chiesa, [cosa solo in parte riuscitagli, non per sua colpa, ma per l’eccessiva quantità di personaggi da denunciare], poco prima di morire, indicò ad un suo collaboratore le frasi di quell’articolo del Neues Europa effettivamente contenute nel “Terzo Segreto” di Fatima, scritto da Lucia dos Santos [quella autentica!] su un foglio di carta, il 3 gennaio 1944, e visto, toccato con le proprie mani e letto dal cardinale Ottaviani, a mezzogiorno del 13 maggio del 1960.

Questo “segreto” completa ed illustra il messaggio della Vergine del 19 settembre del 1946 a La Salette, messaggio autentico approvato con imprimatur dal Vescovo mons. Zola e ben conosciuto da S.S. Pio IX, nonché la visione di S.S. Leone XIII descritta nel suo celebre e memorabile “Esorcismo breve”.

Il terzo segreto di Fatima

Un grande castigo cadrà sull’intero genere umano, non oggi, né domani, ma nella seconda metà del Secolo XX. In nessuna parte del mondo vi è ordine, e satana regnerà sui più alti posti, determinando l’andamento delle cose. Egli effettivamente riuscirà ad introdursi fino alla sommità della Chiesa. Anche per la Chiesa, verrà il tempo delle Sue più grandi prove. Cardinali si opporranno a Cardinali; Vescovi a Vescovi. Satana marcerà in mezzo alle loro file e a Roma vi saranno cambiamenti. Ciò che è putrido cadrà, e ciò che cadrà più non si alzerà. La Chiesa sarà offuscata, e il mondo sconvolto dal terrore. Una grande guerra si scatenerà nella seconda metà del XX secolo. Fuoco e fumo cadranno dal Cielo, le acque degli oceani diverranno vapori, e la schiuma s’innalzerà sconvolgendo e tutto affondando. Milioni e milioni di uomini periranno di ora in ora, coloro che resteranno in vita invidieranno i morti. Vi sarà morte ovunque a causa degli errori commessi dagli insensati e dai partigiani di satana il quale allora, e solamente allora, regnerà sul mondo. In ultimo, allorquando quelli che sopravviveranno ad ogni evento, saranno ancora in vita, proclameranno nuovamente Iddio e la Sua Gloria, e Lo serviranno come un tempo, quando il mondo non era così pervertito.

Nel Terzo Segreto di Fatima, quindi, la Madonna avrebbe anticipatamente accusato il Concilio Vaticano II e il Novus Ordo Missae come suicidi ed insensati! [infatti sono i frutti velenosi della montiniana chiesa-baraccone, sinagoga di satana]È proprio per questo che i “falsi” Papi, da Roncalli a Montini, e … compagnia cantando, quasi tutti clowns marrani, non hanno mai voluto pubblicare il Terzo Segreto di Fatima [pubblicandone, come detto, uno falso della ancora più falsa “pseudo-suor Lucia carmelitana non per vocazione”], tergiversando senza motivi plausibili per noi “profani”. La Santa Vergine non ha fatto solo la diagnosi e la prognosi del morbo, del cancro putrido che affligge l’umanità, il bubbone dell’anticristo, ma ne dato la cura per non farlo diventare irrimediabilmente causa di eterna morte e dannazione.

Per salvarsi occorre seguire attentamente le indicazioni di Cristo, del suo Vicario in terra [si intende i “veri” Papi legittimamente eletti da veri Cardinali in “liberi” Conclavi] e della Vergine Maria nelle sue apparizioni approvate [evitare nel contempo le apparizioni “patacche”, con i falsi terrorizzanti messaggini]. E queste indicazioni sono essenzialmente: – 1° la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana è infallibile, immutabile, navicella inaffondabile, vera arca di Noè, sulla quale alcun diluvio, né le porte del male prevarranno giammai! – 2° Il Vicario di Cristo, assistito dallo Spirito Santo, è infallibile in materia di fede e di morale, custode del deposito apostolico immutabile della fede, Pietra inalterabile, Roccia sulla quale Gesù-Cristo ha fondato la sua UNICA Chiesa e che resterà tutti i giorni con noi fino alla fine dei tempi, in una sequenza ininterrotta di rappresentanti … sia materiali che formali, come recita la sana Teologia tomistica ed il Magistero infallibile della Chiesa; – 3° Cercare ed ottenere solo i “veri” autentici Sacramenti da “veri” prelati e sacerdoti con Giurisdizione e Missione canonica, evitando più che la peste quelli fasulli, sacrileghi, invalidi ed illeciti, pseudo-tradizionalisti di ogni “obbedienca”, “flatus” e sterco di satana, corsia preferenziale per l’inferno; nell’attesa: esame di coscienza con profonda contrizione e Comunione spirituale – 4° La Chiesa “vera” c’è, è eclissata, offuscata, sotterranea, nelle catacombe, in grave pericolo, … ma c’è! MAI morirà né si trasformerà nella sinagoga di satana!… bisogna assolutamente cercarla e con l’aiuto del Signore farne parte pur se solo di desiderio, come de fide (… extra Ecclesia nulla salus!) scrollandosi, con la rimozione di chi ne ha la potestà, le innumerevoli censure contratte. – 5° Osservare le devozioni approvate e con indulgenze, in primo luogo il divin Cuore di Gesù, praticare le opere di misericordia, pentirsi delle proprie colpe e farne oggettiva penitenza. – 6° Pregare sempre, in particolare con il Santo Rosario e con la Salmodia in latino. -7° Perseverare fino alla fine della “corsa”, conservando la fede Cattolica di sempre, per conseguire il premio eterno. Che Dio ci aiuti ed.. exsurgat Deus et dissipentur inimici ejus! … et:

… et Ipsa conteret caput tuum!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

5. — Qual è la mia forza? (Giob. 6, 11).

Scrissi dunque che i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più violente tentazioni. Questo sostiene Iddio, questo insegna la Chiesa, questo confessano i peccatori e questo conferma l’intima coscienza di ognuno. Tutti infatti, dopo commesso un fallo volontario (in questo sta il peccato), dobbiamo riconoscere che, se proprio volevamo, potevamo evitarlo. Ma possiamo noi osservare i comandamenti di Dio colle sole nostre forze?… Le nostre naturali energie sono esse così perspicaci e così forti da poter reagire sempre efficacemente contro il peccato?… – Rispondo: L’uomo (e in questi nostri tempi non occorrerebbe neppur dirlo), l’uomo — dico — è libero. Egli, infatti, può fare una cosa od anche non farla; può fare una cosa od anche un’altra del tutto diversa e perfino opposta, fra le cose a lui possibili. Egli dunque si trova nella possibilità di fare ciò che vuole: tanto il bene, come il male. È però un fatto incontestabile, confermato dall’esperienza stessa, che i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dalla sua adolescenza» (Gen. 8, 21). Ma donde mai tal disordine in noi? È presto detto. Essendosi Adamo, nostro progenitore, ribellato al divino comando con la sua disobbedienza (in questo consiste effettivamente la sua colpa), egli perdette anzitutto la giustizia originale, che corrispondeva press’a poco a quella che è l’attuale grazia santificante; e così si costituì nemico di Dio e fu privato del diritto al premio del Paradiso. Fu pur privato di diversi doni preternaturali dei quali era stato da Dio arricchito nell’atto stesso della creazione; ed essendosi egli ribellato al Signore, avvenne che anche in lui la parte inferiore si ribellasse all’anima, portando così il disordine in tutto il suo essere. Ora questa triste e misera condizione in cui Adamo erasi precipitato per propria colpa, si trasfuse —per essere egli il capostipite del genere umano – in tutti i suoi discendenti, e quindi anche in noi. Questo disordine e questa debolezza alla quale siamo ora, si può dire, naturalmente soggetti, è assai ben ritratta da S. Paolo quando, gemendo, scrive di se stesso ai Romani: « Io non intendo ciò che faccio, poiché purtroppo io opero non quel bene che vorrei, ma bensì quel male che odio… Volendo io operare il bene, mi sta a fianco il male. Mi compiaccio bensì della legge di Dio nel mio interno, e pur vedo nelle mie membra un’altra legge che cozza colla legge della mente e mi rende schiavo del peccato. Disgraziato ch’io sono! chi mi libererà da questo corpo di morte? » (Rom. 7, 15-24). – Quindi benché sia di fede che il peccato di Adamo non abbia estinto il nostro libero arbitrio, tuttavia lo ha attenuato, indebolito e piegato al basso (Conc. Trid.) per modo che l’autore dell’Imitazione di Cristo può asserire che « la poca forza rimasta in noi è come una fievole scintilla nascosta sotto la cenere » (III, 55,. 2). Dopo ciò riescono chiare anche le seguenti gravi parole del Concilio Carisiaco : « Noi abbiamo il libero arbitrio, prevenuto ed aiutato dalla grazia, a fare il bene; ed abbiamo il libero arbitrio a fare il male, se esso è abbandonata dalla grazia » (Denz. n. 317); parole che spiegano in qual senso si debbano prendere queste altre di S. Pier Crisologo « Noi siamo inabili alla virtù, abili al vizio ». Dunque aveva pur ragione, quantunque corrottissimo, lo stesso Ovidio, quando scrisse: «Vedo il meglio e lo approvo, ma poi faccio il peggio » (Metamorfosi). Questa triste constatazione è infatti confermata da S. Agostino medesimo, quando gemendo confessa: « Se la tua bellezza, o mio Dio, mi rapiva verso di te, subito il mio peso me ne strappava via, facendomi precipitare, gemebondo, verso codeste cose infime… e sospiravo legato dalla mia ferrea volontà » (Conf. 7, c. 17). – In pratica qual è dunque la nostra condizione quaggiù?

1. Chi è in peccato mortale (od anche solo originale) non può colle sole sue forze naturali mettersi in condizione d’essere gradito a Dio, nè meritarsi il Paradiso. Infatti « nè il libero arbitrio dell’uomo, nè alcun capitale di natura basta per sè a sollevare l’uomo dal peccato alla grazia, se non interviene il braccio della divina potenza » (Ven. Luigi da Granata).

2. Chi è in peccato mortale non può colle sole sue forze naturali perseverare lungamente senza cadere in altri peccati mortali; e ciò per la ragione che adduco nel numero successivo.

3. Chi è in grazia di Dio, cioè chi ha la grazia santificante, non può colle sole sue forze naturali durare a lungo senza cader in peccato mortale. Così infatti devesi ritenere, poichè « è sentenza comune dei Teologi che quando le tentazioni sono gravi — e chi non ne ha? — senza l’aiuto di Dio nessuno può vincerne nemmeno una ». (In « Alcune note pratiche sul testo di catechismo: l’orazione e la liturgia ». Sono dell’Autore di « Ut vitam habeant » e di « Vivere in Cristo »).

4. Chi è in grazia di Dio non può compiere il minimo atto soprannaturale, cioè tale che in qualsiasi modo giovi alla salute eterna, senza l’aiuto di Dio che si chiama grazia attuale. Gesù infatti disse; « Senza di me voi non potete fare nulla » (Giov. 15, 5). E si potrebbe aggiunger dell’altro; ma questo solo basta per farci capire in che triste e misera condizione ci abbia precipitati il peccato di Adamo. – Ciò posto, come potremo noi metterci in condizione di non dovere ad ogni piè sospinto cadere e ricadere in peccato mortale? Infatti, dal momento che Dio ci vuole effettivamente salvi (è di fede) e che per noi Cristiani l’unico ostacolo alla salvezza eterna è il peccato mortale (e questo è pure di fede), noi dobbiamo fermamente ritenere che Dio, il quale è infinitamente buono e misericordioso, abbia per noi disposto uno o più mezzi tali che realmente ci liberino e preservino dal peccato mortale. Eh, già! chi vuol il fine, deve pur volere e disporre i mezzi necessari ed atti a raggiungerlo. E se tutti così, tanto più Iddio a cui tutto è possibile. (Anche i peccatori ammettono che Dio sia buono e misericordioso. Tant’è vero che essi per lo più peccano nella fiducia del suo incondizionato e facile perdono. Attenti però. C’è una sentenza che dice così: Maledetto l’uomo che pecca nella speranza del perdono. Se Dio è tanto buono, perché si ha a continuare ad offenderlo?). Ora quali sono questi mezzi?… Saranno forse l’istruzione e l’educazione religiosa, la fuga delle cattive occasioni, il frequentare le compagnie dei buoni, il leggere buoni libri, il meditare le massime morali ed eterne, il fare energici sforzi sopra se stessi, il controllare i propri sentimenti e le proprie azioni, il ribadire tenacemente i buoni propositi?… Tutti questi mezzi sono davvero utilissimi e mai abbastanza raccomandati. Vedremo anzi che, almeno in parte, essi devono pur ritenersi necessari. Ed è certo che chi li adopera con costanza dà a vedere ch’eì vuole seriamente intraprendere e continuare la riforma della propria vita secondo il gusto di Dio. – In pratica però — come ci sarà dato di vedere chiaramente in seguito — tutti i mezzi qui enumerati, tanto se adoperati ad uno ad uno, come se usati simultaneamente, sia perché non proporzionati al fine, sia per la connaturale fiacchezza ed incostanza umana nel loro uso, non sono per sè soli sufficientemente efficaci nè a farci risorgere dallo stato di colpa, nè a preservarci abitualmente dal peccato mortale. L’esperienza, infatti, ha dimostrato e tuttora dimostra come le suddette ottime e spesso necessarie pratiche morali e religiose, possono bensì attenuare, leggermente diminuire ed anche per breve tempo rimandare le nostre cadute e ricadute in peccato, ma non valgono a farcele abitualmente evitare. Ed i Ss. Sacramenti?… S. Alfonso, insieme con altri buoni autori, dubita perfino dell’efficacia dei Sacramenti, in quanto preservativi dalla colpa, come vedremo in seguito. E ciò, non perchè essi non siano necessari all’uomo, ma perché il loro fine primario è diverso: è quello d’infondere o di accrescere la grazia santificante; mentre nel caso di cui qui si tratta ci vuole la grazia attuale. Ma allora — dirà più di uno — abbiamo a perderci d’animo e a rassegnarci a vivere quasi abitualmente in istato di peccato mortale, cioè nell’inimicizia con Dio e nel rischio continuo d’andare all’inferno per tutta l’eternità?… No, caro! continua a leggere le successive pagine di questo libretto, e vedrai che Dio ha provveduto le cose in modo che a nessuno mai manchi il mezzo sicurissimo ed efficacissimo sia per liberarsi dal peccato sia per preservarsene in seguito. E tu stesso allora vedrai quanto sono ammirabili le sue invenzioni.

6. — Eureka: Ho trovato!

Ho già detto che Dio effettivamente vuole che tutti gli uomini si salvino e che per salvarli diede alla morte più ignominiosa perfino il suo Figliuolo Unigenito. Ora, dopo ciò, sarà mai credibile ch’Egli non abbia saputo trovare e poi voluto metterci a portata di mano un mezzo effettivamente efficace, col quale tutti, anche i più ignoranti e miseri — insomma tutti indistintamente — possano di fatto preservarsi stabilmente dalla colpa e meritarsi l’eterna salvezza?… Ah, no! Questo sarebbe un negare od almeno mettere in dubbio i suoi più grandi e nobili attributi, che sono la sua infinita sapienza e potenza, e sopratutto la sua infinita Provvidenza, bontà e misericordia. « Come mai Colui che non risparmiò il proprio Figliuolo, ma lo diede per noi tutti, non ci donò ogni cosa insieme con Lui? » (Rom. 8, 32). Dunque questo mezzo tutto divino dev’esserci; e a noi non resta altro da fare che ricercarlo, individuarlo e poi servircene. – Ora che si debba fare molta fatica a scoprirlo? Non credo. Anzitutto è certo che questo mezzo deve provenire da Dio stesso. Eh, già, dal momento che « se il Signore non edifica la casa, inutilmente s’affaticano i costruttori intorno ad essa » e che « se il Signore non custodisce la città, invano veglia su di essa il custode)) (Salmo 126, 1), non può essere diversamente. Gesù stesso infatti disse: « Niuno può venire a me, se il mio Padre non lo attira » e « Senza di me non potete fare nulla » (Giov. 6, 44 e 15, 5). Tal mezzo dunque deve provenire da Dio e non dagli uomini e dalle risorse ch’essi possono avere o porgere. Come Egli fu già l’autore della nostra vita naturale, così Dio stesso vuole pur essere l’autore della nostra virtù, della nostra santità, della nostra salvezza e della nostra gloria eterna. Vorrei poi soggiungere che tal mezzo dev’essere efficace all’uopo. Ma vale forse neppur la pena di dirlo?… Là dove mette mano il Signore, ivi è pure la sua forza, che è onnipotente. Quale sarà dunque questo gran mezzo che ci salverà dal peccato e ci procurerà la vita eterna? Che non sia forse quello che ci addita lo stesso S. Paolo immediatamente dopo le parole di lui da me riferite nel capitolo precedente? Là infatti, dopo aver detto con voce trambasciata : « Infelice ch’io sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte? » — ecco che tosto, con tono che pare gioioso e festivo, soggiunge « La grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore » (7, 24-25). Sì, caro Paolo, « ti basta la mia grazia » (II Cor. 12, 9). È proprio la grazia di Dio quel mezzo che ci libererà dal peccato, ci preserverà da colpe successive e ci aprirà le gioiose porte del bel Paradiso. – Infatti lo stesso San Paolo, poco più oltre, spiega assai bene quale sia nei suoi effetti, la divina grazia, scrivendo: « La saggezza carnale è nemica di Dio perché non sta sottomessa alla legge di Dio, essendole ciò impossibile; e perciò coloro che son carnali (cioè saggi secondo lo spirito mondano) non possono piacere a Dio. Voi però non siete carnali, ma bensì spirituali, se pur lo Spirito di Dio (che è la grazia) abita in voi. Se uno non ha lo Spirito di Cristo (anche qui è la grazia), non è dei suoi. Se invece Cristo è in voi, il corpo è bensì morto pel peccato, ma lo spirito è vita in virtù della giustificazione (operata dallo Spirito di Dio, dallo Spirito di Cristo, dalla grazia). E se abita in voi lo Spirito che risuscitò Cristo, Egli che risuscitò Gesù dai morti farà rivivere anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito (grazia) che risiede in voi » (Rom. 8, 7-11). – Dunque — secondo S. Paolo — quella che ci trasforma, che anzi in certo modo ci divinizza dandoci lo stesso Spirito di Dio, ed illumina la nostra mente, muove la nostra volontà e dà forza alle nostre facoltà, ci purifica dalle nostre sozzure morali e spirituali e poi ci sostiene nell’amicizia e nell’amor di Dio, anzi —come vedremo meglio in seguito.— ci mantiene nella privilegiata condizione di figli adottivi di Dio stesso, è la grazia di Dio e soltanto la grazia di Dio. Si, disse S. Paolo — « è per la grazia di Dio, ch’io sono quello che sono » (I Cor. 15, 10). Anzi qui senz’altro soggiungo che, se i mezzi indicati poco fa come insufficienti, saranno prevenuti, assecondati, sostenuti e quindi valorizzati dalla divina grazia, essi porteranno eccellenti frutti e produrranno splendidi effetti nelle anime nostre; mentre invece, se quelle raccomandabilissime pratiche non saranno potenziate dalla grazia di Dio, esse saranno bensì delle buone opere naturali, ma nient’altro e nulla più che pure e semplici opere naturali, le quali in sè e per sè, quantunque attestino la buona volontà di chi le pratica e manifestino i suoi sforzi per raggiungere la virtù, tuttavia non hanno alcun valore per l’acquisto e l’aumento della vita soprannaturale, come non dànno neppure alcun diritto a merito soprannaturale, nè a premio nella vita eterna, neppure se chi le pratica fosse in istato di grazia santificante. Infatti (il paragone è di S. Agostino) come chi — pur avendo l’occhio sanissimo — non può vedere nulla se gli manca la luce; così anche chi ha la grazia santificante non può compiere alcun atto soprannaturale, cioè meritorio per la vita eterna, se non è prevenuto, mosso ed aiutato dalla grazia di Dio che si chiama attuale. – Quanto ho detto adesso potrà sembrare assai strano e forse perfino ostico a chi è imbevuto di naturalismo e di razionalismo (cosa, del resto, assai facile, per non dir comune, nei tempi attuali); ma per un vero Cristiano non può essere diversamente che così. Infatti non è possibile stabilire una qualsiasi proporzione fra il naturale ed il soprannaturale, poiché le cose indicate da questi due termini sono a distanza infinita tra di loro.

Qui — come conclusione di questo capitoletto — metto un tratto del sermone 156° di S. Agostino, nel quale è molto bene sviluppato il mio pensiero. Commentando egli le parole di S. Paolo: « Vivrete, se collo spirito Mortificherete i movimenti della carne)) (Rom. 8, 13), soggiunge: « Tu stavi per dire: Questo lo può fare la mia volontà, il mio libero arbitrio. Ma che volontà?! che libero arbitrio?! Se non ti regge lo Spirito di Dio, tu cadi; se esso non ti rialza, tu resti per terra. Come potrai fare col tuo spirito, se l’Apostolo ti dice: « Sono figli di Dio quanti son guidati dallo Spirito di Dio? » (Rom. 8, .14). E tu vuoi fare da te, lasciarti guidare da te stesso nel mortificare i movimenti della carne? Che ti giova il non essere forse un epicureo (materialista) se poi resti uno stoico (razionalista)? O epicureo o stoico che tu resti, non sarai tra i figli di Dio. Infatti sono figli di Dio quanti son guidati dallo spirito di Lui. Non sono dunque figli di Dio quelli che vivono secondo la loro carne o secondo il loro proprio spirito, né quelli che si lasciano condurre dai piaceri della carne o dallo spirito proprio, ma quanti sono guidati dallo Spirito di Dio ». Questo tratto del gran Dottore della grazia ha non lieve riflesso su quanto ho detto ed anche su quanto sanò per dirti nei tre seguenti capitoli. Quindi non dimenticarlo. E leggi pure la nota sulla grazia che qui faccio seguire.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (3)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (3)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABIE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

3. — Quanto è buono con noi il Signore!

A questo punto sarei tentato di fare una domanda: vorrei cioè chiedere se — in fin dei conti – Dio non sia nel suo pieno diritto d’imporci i suoi, ordini e i suoi comandi, e di esigere che siano da noi prontamente, lealmente e perfettamente eseguiti. Infatti non è Egli inequivocabilmente il nostro supremo ed assoluto Padrone? e non siamo quindi noi necessariamente i suoi più stretti ed inalienabili sudditi, ai quali non può essere lecito tergiversare e discutere, e dev’essere invece propria la più assoluta, per quanto ragionevole sottomissione? Così infatti dovrebbe essere, almeno per chi è capace di ragionare. – Ma ahimè! viviamo in tempi nei quali a tanti, che pur difendono a spada tratta, ed esigono tal volta perfin colla violenza — che siano rispettati i diritti dell’uomo o, meglio, quelli che credono e ritengono diritti loro, non si può invece parlare dei diritti dì Dio, senza che essi s’indispettiscono assai gravemente. Essi pretendono per sè, e per sè soli, ogni libertà di pensiero, di parola e di azione. Gli altri invece, e Dio stesso, devono stare alle loro dipendenze, od almeno devono guardarsi dall’intralciane i loro progetti e le loro idee, i loro comandi e le loro azioni, qualunque esse siano. Così è purtroppo! – Ed allora cambiamo registro, e parliamo invece dell’amore che Dio ha dimostrato verso gli uomini, dando loro i suoi comandamenti. Se mai, dei propri diritti, a coloro che si ribellano perfino al suo amore, parlerà poi a tempo opportuno Dio medesimo con quella voce che non potrà esser soffocata, che non ammette replica e che avrà una infallibile sanzione eterna. Che sia adunque vero che Iddio, dandoci i suoi comandamenti, ci abbia dimostrato col fatto, in modo veramente tangibile, il suo grande amore verso di noi?… A me sembra di sì, nè vedo difficoltà alcuna a provarlo. A quanti infatti l’esperienza stessa della vita ha detto così: « Finché ti sei mantenuto fedele al tuo Dio, hai goduto la pace del cuore, hai conservata la benevolenza dei vicini e dei conoscenti, non t’è mai mancato il necessario alla vita e, per giunta, hai pur avuto l’intimo e non illusorio sentimento che il cielo stesso ti sorridesse e benedicesse; mentre invece, appena ti sei allontanato dalla via tracciatati dalla divina legge, hai pure subito sperimentato l’angustia e fors’anche l’inferno nel tuo cuore, ti sei visto guardare di malocchio dai vicini e fors’anche dai congiunti, ti sei procurate miserie e malattie colle intemperanze, sei andato a rischio di cadere e fors’anche sei caduto sotto il rigore delle leggi umane, hai sussultato di spavento in faccia ai pericoli e di fronte alle minacce alla tua vita ed hai pur avuta la certa coscienza che il cielo stesso t’era nemico! » Per quanti purtroppo, perchè non vogliono sottostare agli amorosi comandi di Dio e praticare seriamente la virtù, si avvera appuntino la dolorosa storia del Figliuol prodigo! (Luc. 15, 11-32). E su quanti disgraziati il Signore potrebbe ripetere le amare lamentevoli parole che già rivolse al popolo ebreo, per quanto prediletto, pur tanto instabile ed infedele: « Stupitevi, o cieli, ed anche voi, o porte della terra, ammantatevi d’immensa desolazione per quanto è successo. Il mio popolo ha fatto contemporaneamente due mali: ha abbandonato me, fonte d’acqua viva, ed è andato a scavarsi delle cisterne, delle cisterne incapaci di contener acqua » (Ger. 2, 12-13). Proprio così! E ciò succede perchè è e sarà eternamente vero che « ogni, anima umana che opererà il male, avrà tribolazione ed angustia » e che « sulla via dei peccatori si trovano la sventura e l’infelicità » (Rom. II, 9; Salm. XIII, 3). Per ogni peccatore infatti verrà, e presto, l’ora in cui dovrà gemere col Salmista: « O Signore, i miei occhi versarono lagrime, perchè non osservarono la tua legge » (Salm. CXVIII, 136). Oh, quante sventure ci piombano addosso per causa dei peccati! E quanti peccati — e specialmente certi peccati si pagano palesemente cari anche in questo mondo! – Iddio invece, per il nostro stesso bene, non vorrebbe che noi fossimo colpiti da tali e tanti guai; e ci manifesta questa sua pietosamente benigna volontà col darci quei comandamenti che, se fossero da noi fedelmente osservati, ci preserverebbero, se non da tutte, certo però dalla maggior parte delle umane sofferenze. Ora non è questa una bella prova dell’amorosa bontà e delicatezza di Dio verso di noi?… Oh! come è santo e nello stesso tempo consolante immaginarci il Signore che, nell’atto di darci i suoi comandamenti, ci rivolga pure, come un buon padre, questo saggio avvertimento: « Ascolta, o figlio, le mie parole. Io che t’ho fatto, anche ti conosco, anzi ti conosco assai meglio che non ti conosca tu stesso. Essendo poi al mondo assai prima di te, ho per giunta maggiore esperienza della vita; e perciò conosco assai meglio di te ciò che ti fa bene e ciò che potrebbe farti male. Non te l’avrai quindi a male se Io, pel tuo stesso temporale ed eterno benessere, ti prescrivo di fare ciò che ti fa bene, e ti proibisco di operare ciò che ti farebbe male. Non vorrai tu amorevolmente obbedirmi, o figliuolo? » Ah! non fu questo forse il pensiero di Dio nel darti i suoi comandamenti?… Proprio così. Quanto ho messo in bocca al buon Dio non è affatto parto della mia fantasia, né finzione retorica; ma è la pura e genuina verità. Infatti sta scritto: « Che cosa chiede il Signore Dio tuo da te, se non che tu tema il Signore Dio tuo e tu cammini per le sue vie e tu lo ami e tu serva il Signore Dio tuo con tutto il cuore e con tutta l’anima; e che tu osservi i comandamenti del Signore e le sue prescrizioni, quali io oggi ti dò, affinché ti provenga bene?.. Se tu ascolterai la voce del Signore Dio tuo osservando ed eseguendo tutti i suoi comandamenti… il Signore Dio tuo ti eleverà sopra tutti i popoli che sono sulla terra; e verranno sopra di te tutte queste benedizioni, e saranno tue, purché tu ascolti i suoi precetti »; e seguono ben dodici versicoli pieni di grandi e preziose benedizioni per chi osserverà i divini comandamenti (Deut. X, 12-13 e XXVIII, 1-14). Dopo ciò chi oserà più chiamare esoso e crudele tiranno il buon Dio per averci prescritto l’osservanza dei suoi comandamenti?… Ma tant’è! Come vi sono dei malati che, nel delirio della febbre, disprezzano, respingono, offendono ed insultano il solerte, valente ed affettuoso medico che vorrebbe salvarli dalla morte colle sue giuste prescrizioni; così purtroppo vi sono pure degli uomini e perfino dei Cristiani — non so dire se più ignoranti o cattivi — i quali tacciano come sopraffattorie e tiranniche le amorose disposizioni di Dio a loro riguardo! Oh, quanto son miseri ed insensati! – O Padre celeste, ed anche voi, o buon Gesù, perdonate loro! Essi non sanno in che cosa consista il loro vero bene.

4. — Una delucidazione importantissima.

Basati dunque sulla parola di quel buon Dio, che è più inclinato a compatirci e soccorrerci, che ad imporci oneri incomportabili e castigarci, noi dobbiamo ritenere e credere che ci riesca possibile adempiere quei divini comandamenti, l’osservanza dei quali è richiesta perché possiamo dare il debito onore a Dio e così raggiungere il premio eterno del Paradiso. Di questo ci assicurano Iddio, la Chiesa, i peccatori convertiti e la nostra coscienza. E — come abbiamo visto – possiamo esser certi che i dannati stessi, se potessero ritentare la gran prova già per loro miseramente fallita, si dimostrerebbero certamente tutti ammirabili campioni di santità, e neppur uno solo di essi ritornerebbe più in quel luogo di tormenti, nel quale non è, né può esserci redenzione. Purtroppo quei miseri devono continuamente dire: « La mietitura è passata, l’estate è terminata; e noi non ci siamo salvati! » (Ger. VIII. 20). A questo punto però viene quasi spontanea una domanda: Quanti e quali sono i comandamenti di Dio? Sono forse quelli che si trovano elencati nel Decalogo mosaico? (Es. XX, 1-17; Deut. V, 6-21). — Si, a rigor di termini, i comandamenti di Dio (fatta la legittima variante al terzo) son proprio quei dieci. Però a scanso di malintesi avverto che, sotto la denominazione di: comandamenti di Dio, chi scrive intende includere anche i doveri dei nostri stati particolari ed i precetti della Chiesa. Non esiste forse per noi l’obbligo di fedelmente osservare anche questi?… Eh, sì! ognuno di noi deve osservare i divini comandamenti secondo i dettami suggeriti dalla particolare condizione di vita in cui si trova (seguo qui l’idea del Tissot (La vita interiore semplificata), il quale dice che i doveri del proprio stato vengono a precisare l’applicazione dei comandamenti e la maniera propria e personale con cui li dobbiamo praticare. I comandamenti sono generali, e la loro applicazione deve essere particolare. I comandamenti enunciano i principi generali, e i doveri del proprio stato precisano le loro applicazioni speciali nell’individuo.); ed al pari dei comandamenti di Dio, devono pur osservarsi i precetti della Chiesa; poiché a coloro dai quali emanano, Gesù disse: « Chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza Me, disprezza Colui che mi ha mandato » (Luc. 10, 16). Questi precetti, a differenza dei comandamenti, sono variabili e sono anche cassabili da parte della legittima autorità; ed è pur possibile ottenere, per giusti motivi, dispensa dalla loro osservanza. Il grave o gravissimo motivo potrà in qualche circostanza, esonerarci dall’osservarli; ma ciò non toglie che anch’essi, sia pur indirettamente, ci siano comandati da Dio. – Non credo poi di andare lungi dal vero se fra i divini comandamenti includo pure diverse obbligazioni di capitale importanza per chi vuol davvero condurre una vita cristianamente onesta, le quali — quantunque non siano esplicitamente menzionate nel Decalogo — vi si contengono però implicitamente e sono spesso dal Signore richiamate qua e là nella Sacra Scrittura e, per giunta, richieste quasi sempre dalla sana ragione. Ne enumero alcune delle più importanti: l’obbligo, per esempio, di credere a tutte le verità rivelate da Dio e proposteci come verità di fede dalla Chiesa; l’obbligo d’istruirci seriamente nelle cose che dobbiamo credere e fare per essere a Dio graditi e poterci salvare; l’obbligo di pentirci delle nostre colpe e di accusarcene presso il legittimo ministro di Dio; l’obbligo di pregare; l’obbligo di evitare — per quanto è possibile — le occasioni prossime di peccato; l’obbligo di attendere a correggerci almeno dei più gravi nostri difetti; l’obbligo di prendere dalla mano di Dio anche le inevitabili tribolazioni della vita… Come infatti può ritenere di essere in regola col Signore chi non ammette certe cose da Lui rivelate, ancorché siano inconcepibili alla ragione ed inspiegabili alla scienza umana? La potenza e la scienza di Dio non sono forse assai superiori alla nostra? E s’ha forse a credere che tutto il vero sia afferrabile dalla nostra debole mente e proporzionato alla nostra scarsa intelligenza?.. Così pure come può dirsi uomo veramente retto chi commette la gravissima imprudenza di non interessarsi scrupolosamente di quanto il suo supremo Padrone da lui esige perché possa evitare la condanna e sperarne invece il premio; chi non riconosce davanti a Dio (e, quando occorra, anche davanti agli uomini) il male commesso; chi stima male solo quello ch’egli percepisce come tale, e che, neanche per espiare questo, vuol piegarsi a compiere gli atti da Dio stesso prescritti all’uopo; chi non si cura o non si degna o si vergogna di pregare; chi stoltamente confida di poter schivare il peccato senza fuggirne i pericoli; chi non si cura di correggersi delle cattive abitudini e non si sforza di frenare e comprimere le proprie passioni e cattive tendenze; chi si dimostra ribelle o poco sottomesso alle divine disposizioni?.. Eh, no! tali maniere di contenersi non possono essere gradite a Dio; sono anzi spesso da Lui detestate e condannate nelle Ss. Scritture; e perciò chi le segue non può dire di essere in regola con Dio, nè può asserire con sincerità di essere prudente nel suo più grande ed importante negozio, che è quello di salvare l’anima. Conseguentemente le cose opposte a queste da me qui denunciate e già precedentemente elencate, devono ritenersi come da Dio stesso comandate, e perciò da osservarsi scrupolosamente da chi vuole essere davvero in regola con Dio e in pace colla propria coscienza. – Dunque coll’espressione « comandamenti di Dio » io intendo abbracciare tutto ciò che Dio, sia direttamente, sia indirettamente ci comanda di credere e di operare, affmchè possiamo riuscire a Lui graditi e salvare le anime nostre. Fatta questa necessaria dilucidazione riguardo all’estensione che in quest’opuscolo intendo dare all’espressione « divini comandamenti », vediamo ora insieme in qual condizione ci troviamo di fronte all’osservanza dei medesimi: cosa pure importantissima, per non dire assolutamente necessaria a sapersi.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (4)

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (14).

11 e 12 Art. del Simbolo: i fini ultimi.

I. LA MORTE.

La terra è come un campo di battaglia, dove ogni giorno migliaia di persone cadono. In tutto l’universo ci sono 88.000 morti al giorno, cioè 60 al minuto, 1 al secondo e 32.000.000 all’anno. – Il sonno è un’immagine della morte.

1. LA MORTE DELL’UOMO AVVIENE CON LA SEPARAZIONE DEL CORPO DALL’ANIMA, QUEST’ULTIMAVA NELLA DIMORA DEGLI SPIRITI, IL CORPO SI DECOMPONE IN POLVERE.

Alla morte l’anima si separa dal corpo. Non appena il vapore esce da una macchina, questa si ferma; è lo stesso quando l’anima, il respiro divino, lascia il corpo. S. Paolo chiama la morte una dissoluzione. (II Tim. IV, 6). Il corpo è per l’anima come un involucro, un abito che si toglie al momento della morte. La permanenza dell’anima nel corpo assomiglia alla permanenza delle anime dei giusti nel limbo. Il momento della morte è il momento della liberazione (Marie Lat.). L’anima viene allora liberata dalla sua prigione (S. Aug.). La prova evidente della separazione dell’anima è la cessazione della vita; ciò che animava il corpo è assente. – Alla morte lo spirito ritorna a Dio che lo ha dato (Eccles. XII, 7); questo è il suo viaggio verso l’eternità. (S. G. Cris.). È quindi un errore credere che le anime emigrino in altri corpi umani o animali (metempsicosi egizia, greca, indù), o credere che l’anima cada in un sonno da cui si risveglierà solo nell’ultimo giorno. Al contrario, è il corpo che dorme durante questo sonno. – Dopo la morte, il corpo si decompone. Esso è della terra e ritorna alla terra, secondo la sentenza del paradiso. (Gen. III, 19); fanno eccezione, per un ovvio motivo, i corpi di Gesù e di Maria. Miracolosamente, alcuni corpi o alcuni membri dei santi sono rimasti intatti fino ad oggi. Ma nell’ultimo giorno tutti i corpi risorgeranno; il sonno della morte è quindi un sonno con la speranza di una futura risurrezione. (S. Th Aq.). La morte è rappresentata sotto l’immagine di uno scheletro, perché ci dà questa forma orrenda; essa tiene in mano una falce, perché pone fine alla vita dell’uomo con la stessa rapidità con cui il mietitore taglia l’erba del prato. (Sal. CII, 15). Dovrebbe piuttosto essere rappresentata con una chiave, perché ci apre la porta dell’eternità.

2. TUTTI GLI UOMINI SONO SOGGETTI ALLA MORTE, PERCHÈ È UNA CONSEGUENZA DEL PECCATO ORIGINALE.

Con la loro disobbedienza, i nostri primi genitori hanno perso il dono dell’immortalità corporea. Pertanto siamo tutti soggetti alla morte. “Poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo di un solo uomo e la morte per mezzo del peccato, la morte è passata in tutti gli uomini per mezzo di quell’unico uomo nel quale tutti hanno peccato”. (Rom. V, 12). L’uomo che voleva essere uguale a Dio viene profondamente umiliato dalla morte che lo rende capace di espiare la sua superbia. Hênoch (Gen. V, 24) ed Elia (IV Re II) furono gli unici ad essere tolti dalla terra senza morire, ma riappariranno all’ultimo giudizio (Eccl. XLIV, 16; S. Matth. XVII, 11) e poi moriranno, insieme a tutti gli uomini che saranno ancora in vita al momento dell’ultimo giudizio. (S. Th. Aq.) Solo Cristo non era soggetto alla morte, perché era di per sé libero dal peccato; morì, perché l’ha voluto liberamente. – La morte mette i poveri sullo stesso piano dei ricchi; la vita non è altro che un teatro in cui recitiamo, per un breve periodo, il ruolo di un generale, di un giudice, di un re o di una regina, un magistrato, un soldato, ecc. e non rimane nulla del costume che si è indossato. (S. G. Cris.) Anche negli scacchi, ogni pezzo ha il suo posto speciale sulla scacchiera, ma dopo la partita tutti sono rimessi in una scatola; anche nel gioco della vita gli uomini hanno ranghi diversi e alla morte vengono tutti messi nella stessa terra. (Diez). Quando il ricco muore, non può portare nulla con sé. (Giobbe, XXVII, 16). La morte toglie tutte le dignità e tutti gli onori (S. Amb.), anche a coloro che quaggiù primi saranno ultimi e quelli che erano ultimi saranno primi. (Matteo XIX, 30). – La vita è come un sogno che passa in fretta (S. G. Cris.); i nostri piaceri sono come un’ombra (Giobbe VIII, 9), come una tela di ragno, come un vapore visibile per un momento e poi sparito. (S. Giac. IV, l6). – L’ora della morte ci è ignota. Moriremo nell’ora in cui non lo sospettiamo (S. Matth. XXIV, 14); la morte arriverà come un ladro (ibid. 43), ci ghermirà come uno sparviero su uno sparviero, come un lupo su un agnello. (S. Efr.) La vita è una fiaccola che un leggero soffio di vento spegne. (S. Greg. Nis.) Siamo come soldati in congedo che non sono sicuri per un momento che non saranno richiamati (Curato Eneipp). Alcuni rari Santi hanno avuto rivelazioni sull’ora della loro morte; Dio la nasconde agli uomini con grande bontà e saggezza. Infatti, se conoscessimo l’ora della nostra morte, alcuni cadrebbero nella disperazione e altri sprofonderebbero nei disordini più terribili. – Questa ignoranza ci deve portare ad essere sempre pronti a morire. “Siate pronti – disse Gesù – perché il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che non conoscete” (S. Matth. XXIV, 44). È anche a questo scopo che ha raccontato la parabola delle 10 vergini (ib. XXV). La morte è un gran signore: non vuole aspettare nessuno, ma esige che tutti lo attendano. (S. Efr.) Se in questo momento non siete pronti, temete di morire male; per una tale vita, una tale morte Coloro che rimandano la loro conversione fino al momento della morte sono come gli studenti che rimandano il lavoro alla vigilia degli esami.

3. LA MORTE È TERRIBILE PER IL PECCATORE, MA NON PER IL GIUSTO.

Perché è la fine della loro presunta felicità e l’inizio della loro eterna infelicità, la morte non è per loro che l’inizio della loro eterna disgrazia, la morte fa paura solo agli uomini sensuali e voluttuosi; non è così per gli uomini pii e virtuosi. “L’uomo giusto alla morte è un albero potato per produrre frutti ancora più belli nell’aldilà; il peccatore è un albero che viene tagliato alla radice per essere gettato nel fuoco”. (S. Vinc. Fer.) Per il giusto la morte è solo il passaggio alla vita eterna. (S. Ant. di P.) Tutti i Santi sospiravano di felicità dopo la morte; come San Paolo, desideravano la dissoluzione dei loro corpi e di essere con Cristo (Fil. I, 23.). Il lavoratore a giornata desidera al più presto ricevere il suo salario, così l’uomo virtuoso desidera morire presto per ricevere la sua ricompensa in cielo. (Card. Hugues), I Santi sospirano dopo la morte, come il marinaio dopo l’arrivo nel porto, il viaggiatore dopo la meta del suo viaggio, l’agricoltore dopo il raccolto. (S. G. Cris.) Alla morte l’uomo giusto si rallegra come chi lascia una casa fatiscente per una splendida dimora (id.). Tutti i Santi sono morti con gioia. Quanto è dolce morire, diceva S. Agostino, quando si è vissuto piamente! Gli uomini stolti pensano che sia una gioia morire in fretta (senza soffrire molto); non è la velocità della morte a renderla felice, ma lo stato d’animo del morente, perché l’albero rimane dove è caduto (Eccl. XI, 3), o meglio l’albero cade dalla parte in cui pesano i suoi rami. Se sono rivolti verso Nord, cade verso il Nord; se sono diretti verso il Sud, cadrà verso il Sud. È lo stesso per l’uomo: la sua volontà rimarrà diretta, dopo la morte, verso gli oggetti a cui era diretta al momento della morte. Felice l’uomo che ha la volontà inclinata principalmente verso Dio, che ha avuto l’amore di Dio e quindi la grazia santificante, perché contemplerà Dio. Infelice, invece, è l’uomo la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, che ha amato il mondo e si è trovato in disgrazia presso Dio, perché rimarrà separato da Lui.

4. PER MORIRE FELICEMENTE, DOBBIAMO CHIEDERNE A DIO LA GRAZIA E DISTACCARCI FIN DA ORA DAI BENE EVDAI PIACERI TERRENI.

Si muore felici quando ci si è prima riconciliati con Dio e si è messo ordine nei propri affari temporali. – Dobbiamo quindi chiedere a Dio soprattutto la grazia di poter ancora ricevere gli ultimi Sacramenti. Bisogna anche fare testamento in tempo. In questo imitiamo i marinai che, nel pericolo di un naufragio, gettano tutto in mare e sfuggono così alla morte. Una morte improvvisa non è quindi indesiderabile, perché ci impedisce di fare ordine tra i nostri interessi temporali ed eterni. Per questo nelle litanie diciamo: Da una morte improvvisa e inaspettata liberaci, Signore! – La preghiera per una buona morte ha già il vantaggio di farci spesso pensare alla morte. La Chiesa ama fare questo, ci ricorda la morte il mercoledì delle ceneri, quando si suona la campana a morto, e così via. Il pensiero della morte è molto salutare e ci allontana dal peccato. “Pensa alla tua fine – dice il figlio di Sirach – e non peccherai mai” (VII, 40). Chi pensa spesso alla morte sarà poco attaccato alle cose terrene, rispetto così a chi, condannato a morte, troverà piacere nel buon cibo, o come Damocle nel suo banchetto teneva sospesa con un filo la spada sopra la sua testa. Dio stesso ci ricorda la morte in natura con il tramonto del sole, la notte, il sonno, l’inverno. – Dobbiamo ora distaccarci volontariamente dai beni e dai piaceri di questo mondo. Dopo la morte i nostri occhi non vedranno più, le nostre orecchie non sentiranno più, le nostre bocche non parleranno più, ecc. bisogna porsi dunque in questa situazione inevitabile, combattendo la curiosità della vista e dell’udito, la loquacità, la smodatezza nel mangiare e nel bere; in una parola, dobbiamo cominciare a morire. “Moriamo – dice San Basilio – per vivere”. Le buone opere che Dio reclama da noi, la preghiera, l’elemosina e il digiuno non sono altro per il cuore che un distacco dalle cose terrene. Solo coloro che si trovano in questo stato di distacco vedranno Dio dopo la morte, secondo le parole di Cristo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. (S. Matth. V, 8).

2. IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

1. SUBITO DOPO LA MORTE HA LUOGO IL GIUDIZIO PARTICOLARE.

“È stato decretato – dice San Paolo – che tutti gli uomini moriranno, e la morte è seguita dal Giudizio”. (Eb. IX, 27). La parabola del ricco malvagio e di Lazzaro ci insegna che entrambi sono stati giudicati dopo la loro morte. Gli stessi pagani credevano nell’esistenza di tre giudici negli inferi. Al momento della morte, Dio ci rivolgerà le parole del padrone all’amministratore: “Rendi conto della tua amministrazione”. (Luca XVI, 22). Subito dopo avviene il giusto pagamento del salario. Dio stesso chiede agli uomini di non trattenere il salario dell’operaio dopo la sua giornata di lavoro. Tanto più dobbiamo aspettarci che Dio non trattenga il salario duramente guadagnato da un uomo durante la sua vita. La morte è il momento del pagamento del salario”. (S. Àmbr.) Se alcuni uomini subiscono un ritardo nel pagamento della loro giornata, cioè se sono prima sottoposti alla prova del purgatorio, la colpa è solo loro; non ne è Dio il responsabile. – Sarà Cristo a fare il giudizio particolare; Egli rivelerà tutta la nostra vita e ci tratterà come noi abbiamo trattato i nostri simili. – Gesù Cristo ha detto che Lui stesso avrebbe fatto questo giudizio: “Il Padre – ha detto – non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (S. Giovanni V, 22); nell’ultima cena promise ai suoi Apostoli di tornare dopo la sua ascensione per “portarli con sé” (id. XIV, 3). Ovviamente intendeva il momento della morte. Gesù dice lo stesso di San Giovanni: “Voglio che rimanga fino alla mia venuta” (id. XXI, 22). Gli stessi Apostoli dicevano che, finché fossero vissuti, sarebbero stati lontani da Lui. (II. Cor. V, 6) – 11 Tuttavia, non dobbiamo pensare a questo giudizio come ad un’ascesa dell’anima verso Cristo o una discesa di Cristo verso l’anima sulla terra; questo movimento non è affatto necessario. Cristo illumina l’anima mentre lascia il corpo in modo tale da farle vedere immediatamente e con perfetta chiarezza che il suo Salvatore sta emettendo un giusto giudizio su di essa. Questa illuminazione fa sì che l’anima comprenda che Dio rivela l’intera vita dell’uomo. Allo stesso modo”, dice il Cristo, “come il lampo parte dall’Oriente e appare all’improvviso fino all’Occidente, così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo (S. Matth. XXIV, 27), il che significa che al momento della morte, che è la venuta di Gesù, tutta la nostra vita apparirà davanti alla nostra anima con la rapidità e la velocità del lampo (B. Clém. Hofbauer). Quando verrà l’ora della giustizia divina, Dio metterà davanti ai suoi occhi tutti i dettagli della vita del morente. (Mar. Lat.) Al momento della sua morte, le opere dell’uomo saranno rivelate. (Sir. XI, 29). Tutti coloro che sono stati vicini alla morte affermano che in quel momento eventi dimenticati da tempo e azioni giovanili sono tornati vividamente alla mente. Al momento della morte, le azioni più nascoste saranno rivelate. Non c’è nulla di segreto”, dice Cristo, “che non debba essere scoperto”. (S. Luc. VIII, 17). Noi ricordiamo e rendiamo conto di ogni parola oziosa (S. Matth. XII, 36). Il nostro spirito assomiglia a un pittore, che disegna nel nostro interno ogni genere di pensieri, progetti e immagini. Fino alla morte queste immagini sono coperte come da un velo; e quando questo cade, si rivolgeranno alla gloria dell’artista o al suo disonore, se rappresentano la vergogna del vizio. (S. Bas.) Quando un uomo muore, il suo testamento viene aperto; è facile spiegare perché lo stesso è facile spiegare perché lo stesso si possa dire della sua coscienza. Un raggio di sole illumina mille granelli di polvere in una stanza; sarà lo stesso per le nostre minime colpe, quando il sole della giustizia penetrerà nelle nostre anime. – Nel giorno del giudizio vedremo il volto di Dio verso di noi, come noi ci siamo mostrati verso il nostro prossimo: Dio è uno specchio che rende perfettamente l’immagine di chi gli sta davanti. (Louis de Gr.) “Sarà usata la stessa misura che avete usato verso gli altri”, dice Cristo. (S. Matth. VII, 2). – Al giudizio segue la retribuzione.

2. DOPO IL GIUDIZIO PARTICOLARE LE ANIME VANNO IN PARADISO, ALL’INFERNO O IN PURGATORIO.

La parabola del ricco e di Lazzaro ci mostra che la sentenza del giudice viene eseguita immediatamente. (S. Luc. XVI). La Chiesa insegna che le anime che non hanno peccato dopo il Battesimo, che quelle che dopo aver peccato hanno completamente espiato i loro peccati, sia in terra che in purgatorio, sono ricevute subito in Cielo, e che coloro che muoiono in peccato mortale cadono immediatamente all’inferno. (2° Conc. di Lione, 1274). Le anime dei giusti, che sono perfette, vanno in cielo non appena hanno lasciato il corpo. (S. Greg. M.) Non appena un’anima giusta esce dal corpo, viene separata dalle anime peccatrici e portata in cielo dagli Angeli. (S. Giustino). È un errore credere che le anime giuste abbiano solo un’anticipazione della beatitudine eterna fino alla resurrezione del corpo, e che i peccatori saranno sottoposti completamente alla dannazione solo dopo il Giudizio Universale. (Opinione dello scisma greco) – Pochi uomini entrano subito in paradiso, perché “nulla di impuro può entrare in cielo” (Apoc. XXI, 27); pochi giusti sfuggono al purgatorio. (Bellarmino). Ci sono teologi che sostengono che i dannati saranno più numerosi degli eletti; essi si basano su queste parole di Gesù: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. (S. Matth. XX, 6). Molti devono essere salvati, ma pochi collaborano con la grazia e si salvano (Suarez). Minore è il numero di coloro che andranno in cielo. (S. Th. Aq.) – Oltre al giudizio particolare, ci sarà un giudizio generale. Questo guarda solo all’anima come principale agente del bene e del male da premiare o punire. L’altro includerà nella retribuzione anche il corpo come strumento degli atti dell’anima.

3. IL CIELO.

1.IL CIELO È LA DIMORA DELLA BEATITUDINE ETERNA.

Il cielo è la dimora della beatitudine eterna. Cristo diede ai suoi Apostoli un assaggio del cielo sul monte Tabor (San Matteo XVII), Il cielo si aprì al battesimo di Gesù (id. III, 16), Santo Stefano vide il cielo aperto. (Act. Ap. VII, 551. S. Paolo fu assunto in cielo. (II. Cor. XII. 2). – Il cielo è sia un luogo che uno stato. Come luogo si trova, secondo alcuni teologi, al di là del mondo siderale. È solo un’opinione, ma è fondata sul senso delle parole di Cristo: che discese dal cielo, che sarebbe risalito, che sarebbe tornato. – Il cielo è anche uno stato dell’anima; consiste nella visione di Dio (S. Matth. XVIII, 10), nella pace e nella felicità dello spirito (Rom. XIV, 17). Quando gli Angeli e i Santi ci visitano quaggiù, non cessano di essere in cielo, perché non possono essere privati della visione di Dio. (San Bernardo). Gesù Cristo è il Re del cielo. “Io sono un re – disse a Pilato – ma il mio regno non è di questo mondo” (S. Giovanni XVIII, 36). Il buon ladrone riconobbe questa regalità quando disse al Salvatore: “Signore! Ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (S. Luca XXIII, 42). In cielo vedremo gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo. (S. Giovanni I, 51). In cielo gli Angeli adorano Cristo (Eb. I, 6). – Il cielo è la nostra vera patria; quaggiù non siamo che forestieri (II, Cor. V, 6), è la verità che ci viene rappresentata dalle processioni.

Le gioie del cielo sono ineffabilmente grandi, sono libere da ogni male, godono della visione di Dio e dell’amicizia di tutti gli abitanti del paradiso.

Le gioie del paradiso sono ineffabilmente grandi. “Ciò che l’occhio non ha visto – dice S. Paolo – ciò che l’orecchio non ha udito, ciò che il cuore dell’uomo non ha mai intuito Dio ha preparato per coloro che lo amano” (I Cor. Il, 9). Questa beatitudine può essere meritata, ma non descritta. (S. Aug.) “Gli eletti – dice Davide a Dio – saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e tu li farai bere dal torrente delle tue delizie” (Sal. XXXV, 8). Rispetto alla beatitudine eterna, la nostra vita presente è piuttosto simile alla morte. (S. Greg. M.) Le gioie degli eletti sono così grandi che tutte le torture dei martiri non ne meriterebbero nemmeno un’ora. (S. Vinc. Fer.) In cielo godremo della felicità stessa di Dio. (S. Matth. XXV, 21); perché lì saremo della natura divina (II. S. Piet. I, 4), saremo simili a lui (I. S. Giovanni III, 2). Saremo trasformati in cielo, come il ferro nella fornace. (Cat. rom.) “La divinità si rifletterà in ogni anima, come il sole del mattino nelle milioni di gocce di rugiada. – In cielo ci sono molte dimore. (S. Giovanni XIV, 2). Il cielo è come un grande banchetto (S. Matth. VIII, 11; S. Luca XIV, 16) dove Dio stesso serve i suoi ospiti (ibid. XII, 87). Il cibo lì non sarà corporeo, ma spirituale. (Tob. XII, 19). In cielo brilla una luce intensa (I. Tim. VI, 16), vi si odono i canti degli Angeli (Sal. LXXXIII, 5), i Santi vi indossano vesti bianche (Àpoc. VII, 14), ricevono una magnifica corona dalla mano di Dio (Sap. V, 17). I Santi hanno piena libertà e sono posti su tutti i beni di Dio {S. Matth. XXV, 21); essi sono dove si trova Cristo (S. Giovanni XVII, 24), che restituisce loro il centuplo di quanto hanno rinunciato per Lui su questa terra.(S, Matth. XIX, 29). – Il firmamento visibile è già così bello, la terra è così piena di gioie, specialmente in primavera, in alcuni luoghi notevoli, eppure non è che un deserto rispetto al cielo! “Signore – grida S. Agostino, se ci tratti così in questa in questa prigione, come sarà nel tuo palazzo?” Ma cosa c’è che Dio non possa esaudirci, perché è onnipotente! Tuttavia, le gioie del cielo non sono sensuali (S. Matth. XXJI, 80) come quelle del paradiso promesse da Maometto. Se un cavallo fosse capace di pensare, non immaginerebbe che il suo padrone gli ha servito del fieno nel giorno delle nozze! – Gli eletti sono liberi di fare il male. È più facile enumerare i mali da cui sono liberati che le gioie di cui godono (S. Aug.). Essi non soffrono né fame né sete (Apoc. VII, 16), in cielo non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore (ib. XXI, 4), né notte (ib. XXV, 4). Essi saranno incapaci di peccare; la loro volontà sarà assorbita da quella di Dio, come una goccia d’acqua. mescolata ad una coppa di vino ne prende il gusto ed il colore. (S. Bern.) – Gli eletti vedono continuamente il volto di Dio (S. Matth, XVIII, 10); riconoscono chiaramente l’immensità, le perfezioni e tutte le opere di Dio (S. Aug.); vedono Dio così come è (I. S. Giovanni III, 2); lo vedono faccia a faccia (I. Cor., XIII, 12); vedono Dio non in un’immagine, ma presente alla loro intelligenza come l’albero ad un occhio che lo vede (S. Th. Aq.); essi sono incapaci di questa visione per mezzo delle loro forze naturali, quanto noi lo siamo per la fede; ne sono resi capaci da un’azione speciale di Dio che si chiama “luce della gloria“. Questa visione rende gli eletti simili a Dio (1. S. Giovanni III, 2) e dà loro delizie ineffabili. Tuttavia, essi si rallegrano più della beatitudine di Dio che della propria (S. Bonav.). – La conoscenza delle cose create è già un grande godimento, quanto più grande sarà quella del Creatore stesso! (S. Car. Borrom.) Anche Agostino grida: “Rallegrarsi in te, Signore, per te e a causa tua, ecco cosa è la vita eterna!”. Questa conoscenza di Dio genera necessariamente l’amore per Dio; l’uno cresce in proporzione all’altro. “Gli eletti – dice sant’Anselmo – ti ameranno, Signore, nella misura in cui ti conosceranno! La conseguenza di questa grande felicità è la completa assenza di ogni tristezza, perché una gioia viva è incompatibile con il dolore e viceversa. (Aristotele). – Anche i santi si amano tra loro; sono tutti uno (S. Giovanni XVII, 21). L’amore che è la vita degli eletti in paradiso è così grande che l’eletto, estraneo a noi, ci ama anche più di quanto i genitori quaggiù amino i loro figli. (Suso). Solo l’amore distingue i figli del regno celeste dai figli della perdizione. (S. Aug.) E quale gioia non proveremo quando ritroveremo lassù i nostri genitori e amici dopo una crudele separazione! Grande fu infatti la gioia di Giacobbe quando trovò suo figlio Giuseppe pieno di onori. In cielo ci attende una schiera di amici! (S. Cipr.).

LE GIOIE DEL CIELO DURANO ETERNAMENTE.

I giusti, dice Gesù, entreranno nella vita eterna, cioè in una vita beata che non avrà fine. Lo S. Spirito rimarrà eternamente unito a loro (S. Giovanni XIV, 16), nessuno potrà togliere loro la gioia (S. Giovanni X, 29). I grandi signori, principi e re sono soliti ricompensare i loro servi quando questi ultimi non possono più continuare i loro servizi; ma Dio è il più grande di tutti i signori e deve essere il più magnifico nelle sue ricompense. Egli ne dà una eterna, l’unica degna di lui. Se le gioie del cielo non fossero eterne, gli eletti sarebbero perennemente nel timore di perderle; il cielo cesserebbe di essere il cielo. È per l’eternità della felicità del cielo che esso è chiamato possesso di Dio.

LA FELICITÀ DEI SANTI VARIA IN PROPORZIONE AI LORO MERITI.

Nel Vangelo, il Maestro dà 10 città al servo che ha guadagnato 10 talenti e 5 città a colui che ha guadagnato 5 talenti. (S. Luc. XiX, 16). Questo padrone è Dio che premia con una maggiore felicità colui che ha compiuto più opere buone. Con questo glorifica la perfezione della sua giustizia. Dice S. Paolo, “chi semina con parsimonia raccoglierà poco; chi semina generosamente raccoglierà un ricco raccolto” (II Cor. IX , 6). I giusti vedono tutti Dio chiaramente, ma uno vede più perfettamente dell’altro a causa dei suoi meriti. (Concilio di Firenze). Altro è lo splendore del sole – Gesù Cristo -, altro quello della luna – Maria -, altro quello delle stelle – i santi – (I. Cor. XV, 41). Lo stesso sole è visto in modo più fissamente dall’aquila che dagli altri uccelli. Il fuoco riscalda di più chi gli è vicino che chi gli è lontano. (Bellarmin). È lo stesso in cielo; la conoscenza di Dio, la carità e le delizie sono maggiori in un Santo che in un altro. Il piacere è infatti proporzionale alla conoscenza. Secondo una certa opinione, gli uomini dovrebbero occupare il posto degli Angeli caduti, e tra gli Angeli ci sono nove cori. Il grado di gloria celeste dipende dal grado di grazia santificante in cui l’uomo si trovava al momento della morte, in altre parole il grado di gloria corrisponde alla misura in cui si possedeva lo Spirito Santo e la carità al momento della morte. – Il grado di gloria di un Santo non può mai aumentare o diminuire; tuttavia, esiste in cielo una felicità estrinseca, quando il santo è oggetto di una gioia o di un onore speciale. “C’è – dice Cristo – una felicità in cielo ogni volta che un peccatore si converte. (S. Luca XV, 7) Beatificazione, canonizzazione, celebrazione di una festa, invocazioni, il santo Sacrificio e gli atti virtuosi offerti a Dio in onore di un Santo, contribuiscono certamente alla sua felicità. È probabile che in queste occasioni il Santo sia onorato in modo particolare dagli Angeli. (Cochem). San Gertrude vedeva i Santi in queste circostanze vestiti con abiti più brillanti e serviti da servi più nobili; la loro felicità sembrava aumentata – Nonostante la ricompensa, non c’è invidia tra i Santi. Tutti hanno ricevuto un denaro dal padre di famiglia. (S. Matth. XX). Quando due bambini, dice San Francesco de Sales, ricevono dal padre abiti della stessa stoffa, il più giovane non invidia il più grande, perché non sarebbe in grado di usare i suoi stessi abiti. È così anche in cielo, ognuno si rallegra della felicità dell’altro, la gioia e la felicità dell’uno fanno la gioia e la felicità dell’altro.

2. IL PARADISO È CONCESSO SOLO ALLE ANIME CHE SONO PERFETTAMENTE PURE DEL PECCATO E DELLE PENE DEL PECCATO.

Entreranno in Paradiso solo le anime che, dopo il Battesimo, non hanno commesso alcun peccato, o hanno espiato completamente le loro colpe, sia sulla terra che in purgatorio. (Conc. de Fir.) Nulla di impuro entrerà in cielo. (Apoc. XXI, 27). – Il cielo è stato aperto solo con la morte del Salvatore; le anime dei giusti sono state costrette ad attendere la loro redenzione nel limbo (cfr. il 5° art. del Simbolo).

IL PARADISO SI CONQUISTA ATTRAVERSO LA SOFFERENZA E LE VITTORIE SU SE STESSI.

S. Paolo dice: “Bisogna entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. (Act. Ap. XIV, 21). Il legname destinato al tempio di Gerusalemme veniva tagliato e preparato nel Libano stesso, in modo che potessero essere collocati senza rumore; gli eletti devono soffrire qui sulla terra, in modo da poter essere tagliati qui sulla terra per poter gioire senza dolore nella Gerusalemme celeste. – Non c’è beatitudine eterna senza vittoria su se stessi; il regno dei cieli è come un tesoro o una perla preziosa; per acquistarlo bisogna dare tutto (S. Matth. XIII, 44), cioè rompere ogni attaccamento disordinato alle cose terrene. Una grande ricompensa per un grande sforzo. (S. Greg. M.) Il regno dei cieli soffre di violenza (S. Matth. XI, 12); la porta e la via che conducono alla vita sono strette (ib. VII, 11). Solo chi corre con rapidità e perseveranza ottiene il premio nella corsa, chi si spoglia di tutti gli abiti superflui. (I. Cor. IX, 24). Per ottenere la corona con la lotta, è necessario inizialmente astenersi da tutto ciò che possa indebolire il corpo (ib. 25). Per raggiungere il cielo bisogna quindi essere martiri almeno incruenti, per questo la festa di Santo Stefano è immediatamente successiva a quella del Natale. Gesù ha detto: “Chi ama la propria vita la perderà e chi disprezza la propria vita in questo mondo la troverà”. (S. Giovanni XII, 25), cioè chi cerca i piaceri e i godimenti di questo mondo sarà dannato e chi si sforza di distaccarsene sarà salvato. – Ma più ci impegniamo nella nostra santità, più grande sarà la nostra gioia:la gioia meritata porta una gioia doppia.

Per i giusti, il paradiso inizia in parte proprio qui sulla terra, perché cercando la vita eterna la stanno già godendo (S. Aug.).

I giusti possiedono lacvera pace dell’anima (S. Giovanni XIV, 28), quella pace di Dio che sorpassa ogni comprensione (Fil. IV, 7); così sono sempre allegri, anche quando digiunano (S. Matteo VI, 17) o quando soffrono (ib. V, 12). I giusti possiedono lo Spirito Santo. Spirito, essi sono quindi fin da quaggiù uniti a Dio (1. S. Giovanni IV, 16), Cristo abita già nei loro cuori (Efes. III, 16), hanno dentro di sé il regno di Dio (B. Luca XVII, 21). – Chi pensa al cielo, sarà sicuramente paziente nelle prove e disprezzerà le cose ed i piaceri di questo mondo. Pensate alla corona e soffrirete volentieri (S. Aug.). Le sofferenze di questo mondo non possono essere paragonate alla gloria che sarà rivelata in noi (Eb. XII, 9). Meditando le cose celesti, quelle del mondo ci sembreranno inutili. (S. Grég. Gr.) Chi si trova sulla cima di un monte non vede gli oggetti nella valle, li vede solo molto piccoli (S. G. Cris.); l’uccello che vola molto in alto è fuori dalla portata del cacciatore (id).