IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (5).

4. IL CULTO DEI SANTI.

Chiamiamo santi tutti coloro che sono morti in stato di grazia e che quindi sono in cielo ma soprattutto quelli che la Chiesa ha canonizzato.

La canonizzazione di per sé non ha il potere di ammettere nessuno in cielo; è la dichiarazione solenne del Papa, a nome della Chiesa, che una tale o tale persona (dopo un’indagine sull’intero corso della sua vita) ha vissuto una vita santa che (in base ai miracoli provati da essa operata) è in cielo e che dovrebbe essere venerata dalla Chiesa cattolica. La canonizzazione è sempre preceduta dalla beatificazione, che permette al santo di essere venerato da una parte della Chiesa, mentre la canonizzazione riguarda tutta la Chiesa. L’indagine sulla vita e sui miracoli di coloro che sono stati proposti per la canonizzazione è condotta da una giuria composta da cardinali, avvocati, medici e studiosi, e può avvenire solo 60 anni dopo la morte del santo. – A causa del loro numero, la differenza di luminosità e il fatto che la loro vita è più celeste che terrena, i santi possono essere paragonati alle stelle; alle pietre preziose, perché sono rari tra gli uomini, preziose agli occhi di Dio; a pecore, perché per carità si sono sacrificate per i loro simili; ai cipressi il cui legno non marcisce mai, perché hanno evitato la corruzione del peccato; ai cedri del Libano per la loro perfezione; al giglio odoroso, perché le loro virtù si diffondono come profumo tra gli uomini; all’incudine, che resiste ai colpi di martello, perché sono rimasti invariabilmente saldi, nonostante i colpi del destino (S. Efr.); al paradiso terrestre che era irrigato da 4 fiumi, perché possedevano le quattro virtù cardinali (S. Isid.); sono le colonne della Chiesa, perché la sostengono con le loro preghiere. (S. Cris.); sono per la Chiesa ciò che le torri sono per le città; le danno forza e grandezza.

La Chiesa desidera che veneriamo pubblicamente i Santi da essa canonizzati.

La Chiesa sa che il culto dei Santi è buono ed utile per noi (Conc. de Tr. 25); Perciò approfitta di ogni circostanza per incoraggiarci a farlo, dà ad ogni nuovo membro della Chiesa il nome di un Santo, come fa per la Cresima; in ogni giorno dell’anno, ricorda nel suo ufficio la memoria di uno o più santi; espone immagini di santi nelle sue chiese e li invoca nelle sue funzioni (messa, litanie, ecc.).

1. NOI ONORIAMO I SANTI PERCHÉ SONO GLI AMICI DI DIO, I PRINCIPI DEL CIELO ED I NOSTRI BENEFATTORI; IN PIÙ QUESTO ONORE CI PROCURA MOLTE GRAZIE DA DIO.

Onoriamo i santi perché saranno sempre amici e servitori di Dio. Chi onora un capo di Stato onora anche i suoi servitori, ministri, rappresentanti, ecc. Onoriamo i servitori perché questo onore si riflette sui padroni. Ed è questo il motivo per cui sono amati sopra ogni cosa sulla terra (Sant’Alfonso). Durante la loro vita, i Santi hanno rifuggito dagli onori; sono stati disprezzati, vituperati e perseguitati Dio vuole quindi che le loro virtù risplendano e che siano venerati da tutta la cristianità. (Cochem). Dio vuole anche che i fedeli di ordine inferiore ottengano la loro salvezza eterna per mezzo di quelli di ordine superiore. (S. Th. d’Aq.). Dio stesso onora i Santi ed opera meraviglie attraverso la loro intercessione e spesso punisce in modo eclatante coloro che li deridono. Gesù Cristo stesso ha detto: “Se qualcuno mi serve, il Padre mio lo onorerà”. (S. Giovanni, XÏJ, 26). – Noi onoriamo i Santi per il posto d’onore che occupano in cielo. Se già rendiamo onori così grandi ai governanti con cui Dio governa la terra, quanto più dovremmo onorare gli spiriti celesti di cui si serve per guidare la sua Chiesa, interi popoli, nonché per la salvezza degli uomini, e che di conseguenza sono di gran lunga superiori in dignità ai re (Cat. rom.). La maggior parte dei Santi hanno meritato il bene dell’umanità. Alcuni hanno estirpato il paganesimo nei nostri Paesi (come San Martino in Gallia, san Bonifacio in Germania); altri hanno preservato la fede per noi (Sant’Ignazio di Loyola fondando la Compagnia di Gesù) o hanno scritto libri di grande valore (ad esempio, sant’Agostino e san Francesco di S.). Dio spesso risparmia gli uomini per amore dei Santi: Sodoma sarebbe stata sarebbe stata risparmiata se ci fossero stati 10 giusti. (Gen. XVIlï, 32). Dio ha benedetto tutta la casa di Putifar a causa di Giuseppe (I. Gen. XXXIX( 5). 11 lasciò il suo regno a Salomone, Salomone, nonostante la sua perversione, a causa dei meriti di Davide (III Re XI, 12), e i giorni del giudizio saranno abbreviati a causa degli eletti. (S. Matth, XXIV, 22). I Santi pregano Dio dopo la loro morte per i loro parenti ed il loro popolo. Il profeta Geremia, dopo la sua morte, non smise di pregare per il popolo ebraico e per la città santa. (II. Mach. XV, 14). I Santi in cielo e i Cristiani sulla terra sono membri dello stesso corpo. Quando un membro soffre, tutti gli altri soffrono con lui e si sostengono a vicenda, ed è per questo che i Santi in cielo ci sostengono con le loro preghiere. (S. Bonav.). Grandi onori vengono tributati agli uomini che si sono dedicati ai loro contemporanei; si erigono loro statue, si celebrano i loro meriti in discorsi e canti, ed i loro nomi vengono dati ad istituzioni, città, monti e strade. Il faraone ha ricoperto Giuseppe di onori per i suoi servizi all’Egitto ed i Santi sono stati tra i maggiori benefattori dell’umanità. Certamente onoreremmo chi ci ha salvato da un naufragio, a maggior ragione dobbiamo onorare chi ha sopportato tanto dolore per salvarci dalla morte eterna. – Il culto dei Santi è sommamente utile (Concilio di Trento, 25); ci ottiene molti benefici da Dio e soprattutto la pronta risposta alle nostre preghiere. Quando desideriamo un favore da un sovrano della terra, lo otteniamo molto più sicuramente e prontamente attraverso uno dei suoi ministri. Così è con Dio, e più intercessori abbiamo, meglio è. DIO può concedere a molti Santi ciò che avrebbe rifiutato ad uno solo, così come un abate non rifiuterà facilmente un favore che gli viene chiesto da tutti i religiosi dell’abbazia. I mendicanti di una città chiedono il pane di strada in strada. Così nella città celeste dobbiamo passare per le strade degli Apostoli e dei martiri, vergini e confessori per chiedere la loro intercessione presso Dio. (S. Bonav.).

2. NOI ONORIAMO I SANTI, CHIEDENDO A DIO LA LORO INTERCESSIONE PRESSO DIO, CELEBRANDO ANNUALMENTE LE LORO FESTE, VENERANDO LE LORO IMMAGINI E RELIQUIE; PORTANDO I LORO NOMI, METTENDO LE COSE IMPORTANTI SOTTO LA LORO PROTEZIONE, LODANDO I LORO MERITI IN DISCORSI E NEGLI INNI. MA IL MODO MIGLIORE PER ONORARE I SANTI CONSISTE NELL’IMITAZIONI DELLE LORO VIRTÙ.

Dobbiamo essere compagni dei Santi in cielo, così da essere uniti a loro apparteniamo alla stessa grande famiglia, alla comunione dei santi; essi si interessano a noi, soprattutto se li invochiamo, cioè se chiediamo loro di intercedere per noi presso Dio. Invocandoli, riconosciamo il valore delle loro preghiere, è quindi allo stesso tempo un’espressione del nostro rispetto. – Celebriamo la festa dei Santi. I primi Cristiani annotavano il giorno della morte dei martiri, in modo da poterla celebrare annualmente. (S. Cipr. Il mondo celebra giubilei di eventi importanti; perché la Chiesa non dovrebbe farlo? Tuttavia, la maggior parte delle feste dei Santi sono celebrate senza solennità, solo alcune, secondo le usanze di ogni paese, sono giorni festivi. – Veneriamo i ritratti dei nostri genitori, quelli dei sovrani o degli uomini famosi ; ci piace ricordare i membri della nostra famiglia; custodiamo oggetti appartenuti a uomini famosi, della armi di eroi, l’aratro dell’imperatore Giuseppe II); i francesi hanno perfino un tempio a Parigi, il Panthéon, in cui sono sepolti i loro grandi uomini; questa venerazione dovrebbe a maggior ragione essere estesa alle immagini e alle reliquie dei Santi. – Ci piace dare a città, musei e istituzioni il nome di uomini famosi; quindi è giusto chiamarci con il nome di un Santo quando siamo battezzati, cresimati o ammessi a un ordine religioso. – Nel mondo, un’impresa importante è solitamente posta sotto il protettorato di un grande personaggio; ed è così che i Cristiani costruiscono le loro chiese, i loro altari, le loro città e i loro paesi sotto il protettorato dei Santi, che vengono chiamati “patroni”. – In tutto il mondo, gli uomini famosi sono ricordati con il loro nome e in loro onore si compongono cantate; la Chiesa fa lo stesso per i suoi Santi, celebrando la loro memoria con panegirici ed inni. – Ma la cosa più importante è imitare i Santi. “Onorare i santi senza imitarli significa adularli falsamente”. (S. Aug.) La lettura delle vite dei Santi è un modo perfetto per onorarli, se le leggiamo con il desiderio di prenderle a modello.

3. IL CULTO DEI SANTI NON È UNA RIDUZIONE DEL CULTO DOVUTO A DIO, PERCHÉ NOI ONORIAMO I SANTI SOLO A CAUSA DI DIO, NON LI ONORIAMO COME DIO, MA COME SERVI DI DIO.

Onorando i Santi, non diminuiamo in alcun modo il culto di adorazione che dobbiamo a Dio. Chi oserebbe affermare che il rispetto dovuto al sovrano sarebbe diminuito da quello accordato a sua madre, ai suoi figli, ai suoi amici? Al contrario, non farebbe che aumentarlo (S. Ger.). La venerazione dei Santi non è una diminuzione dell’adorazione di Dio come l’amore del prossimo non è una diminuzione della carità; l’una si rinforza con l’altra. (S. Ger.). Onoriamo i santi per Dio, perché sono l’immagine della sua santità, e come veneriamo l’immagine del sovrano, perché è una sua riproduzione, così veneriamo i Santi perché sono l’immagine fedele di Dio. La venerazione dei Santi vale anche per l’amore per il prossimo: noi amiamo il nostro prossimo solo perché è immagine e figlio di Dio. Inoltre, onoriamo i Santi perché sono stati strumenti di Dio per compiere azioni nuove e straordinarie. (S. Bern.). Non possiamo nemmeno onorare i Santi per se stessi, perché il merito delle loro opere appartiene a Dio, perché è stato Lui ad aiutarli a compierle. Non è il pennello a meritare il merito di un quadro, né la penna di una bella scrittura, né alla lingua quello di un bel discorso. Dio è dunque ammirevole nei suoi Santi (S. Bern.). Ecco perché la Beata Vergine non dice: “Ho fatto grandi cose”, ma “L’Onnipotente ha fatto grandi cose in me”. (S. Luc. I, 48). Quindi il disprezzo dei Santi è rivolto a Dio come loro culto. Gesù Cristo considera il disprezzo dei suoi Apostoli come diretto contro se stesso (S. Luc X, 10) e un atto di durezza verso il prossimo come commesso contro se stesso. (S. Matth. XXV, 40). A maggior ragione Dio dovrebbe risentire del disprezzo per i Santi, perché li ama molto più di tutti gli uomini della terra. “Chi onora i Santi onora Gesù Cristo stesso, e chi li disprezza disprezza Gesù Cristo” (S. Ambr.) – C’è un’altra ragione per cui il culto dei Santi non è un insulto a Dio: l’omaggio che rendiamo loro è assolutamente diverso da quello che rendiamo a Dio. Noi adoriamo Dio e non i Santi; sappiamo che c’è una distanza infinita tra Dio e i Santi, perché i Santi, che sono superiori a noi in dignità, sono tuttavia solo creature come noi. Noi ci limitiamo a venerare i santi come si fa sulla terra agli uomini di grande merito, o a quella che abbiamo per i pii servitori di Dio quaggiù, ma è tanto più profondo in quanto è rivolto ai Santi che sono entrati nella vita eterna come vincitori. (S. Aug.) I Santi rifiutano l’adorazione: quando Tobia e la sua famiglia si inginocchiarono davanti all’Arcangelo Raffaele, l’Arcangelo disse loro: “È Dio che dobbiamo glorificare e di cui dobbiamo cantare le lodi!” (Tob. XII, 18). Quando San Giovanni Evangelista cadde alle ginocchia dell’Angelo, quest’ultimo gli disse: “Non fare così, ma adora Dio”. (Apoc. XiX, 10). Quando ci inginocchiamo davanti alle tombe o alle immagini dei Santi, li adoriamo come un servo adora il suo padrone quando si inginocchia davanti a lui per ottenere un favore. Quando facciamo celebrare delle Messe in onore dei Santi, o dedichiamo loro chiese e altari, ci rivolgiamo a Dio solo, e chiediamo ai Santi di aiutarci con le loro preghiere ad ottenere da Lui le grazie di cui abbiamo bisogno che gli chiediamo in questa santa Messa, in questa chiesa e su questo altare; oppure ringraziamo Dio per aver condotto i suoi Santi in modo così mirabile alla santità.. Quindi il culto dei Santi non è idolatria. – Né la venerazione dei Santi è un atto di sfiducia nei confronti di Gesù Cristo, il nostro mediatore. È piuttosto un segno di sfiducia in noi stessi, un segno di umiltà. Non osando, vista la nostra indegnità, rivolgerci noi stessi a Gesù Cristo, ci rivolgiamo ad un intercessore le cui preghiere sono più potenti delle nostre.

4. È UTILE INVOCARE, NELLE DIVERSE CIRCOSTANZE DELLA VITA, DEI SANTI SPECIALI.

Questa utilità è dimostrata dai fatti. Per ottenere una buona morte, preghiamo S. Giuseppe (perché morì assistito da Gesù e Maria), per i bisogni materiali (fu il padre adottivo di Gesù Bambino); contro il pericolo del fuoco, S. Floriano (che annegò per la sua fede); S. Biagio (che ha miracolosamente guarito un bambino con una spina in gola) è invocato per le malattie del collo; S. Odile (che recuperò la vista quando fu battezzata) per le malattie degli occhi. S. Rocco (che curò e guarì gli appestati) contro la peste. S. Giovanni Nepomuceno (che morì come martire per il segreto della confessione), quando si è bersaglio di calunnie; S. Antonio di Padova (che si fece rubare un’opera finita e le cui preghiere ottennero che il rimorso costringesse il ladro a restituire l’oggetto rubato) a ritrovare le cose perdute, ecc. Sembra che Dio abbia concesso ad alcuni Santi un potere speciale per aiutare in certe necessità. (S. Th. d’Aq.). Possiamo concludere da alcune preghiere miracolosamente esaudite, che i Santi sono particolarmente interessati a persone che si trovano in una situazione simile alla loro, ai luoghi in cui vivevano o allo stato che professavano.

5. lL CULTO SOVRAEMINENTE DELLA MADRE DI DIO.

Le figure della Vergine nell’Antico Testamento erano l’albero della vita nel paradiso terrestre che doveva comunicare la vita all’umanità; l’Arca che salvò l’umanità dal diluvio; l’arca dell’alleanza che conteneva la manna; il tempio di Gerusalemme, che all’esterno era di un bianco abbagliante e risplendente (Maria era pura da ogni contaminazione e piena di amore divino); Giuditta, che uccise Oloferne, il nemico giurato del suo popolo; la regina Ester, esentata dalla legge comune (Maria era esentata dalla legge del peccato originale) e che, attraverso la sua mediazione salvò il suo stesso popolo in esilio; la madre dei sette fratelli Maccabei, che assistette alla morte dei suoi 7 figli e che (come Maria) ebbe il cuore trafitto da 7 frecce. – I santi evangelisti ci raccontano ben poco della vita della Beata Vergine. (Nel linguaggio teologico, questo culto superiore è chiamato iperdulico, dal greco per servizio superiore.). Di solito chiamiamo Maria la Madre di Cristo, Madre di Dio o Beata Vergine. – Già Santa Elisabetta chiamava Maria “Madre di Dio” (S. Luc. 1, 43), e il Concilio di Efeso (431) confermò il titolo di Madre di Dio contro l’eresia di Nestorio. Maria ha dato alla luce Colui che è Dio e uomo in una sola Persona. – Il bambino riceve la sua anima da Dio e tuttavia colei che lo partorisce è chiamata sua madre. Allo stesso modo Maria è giustamente chiamata Madre di Dio, anche se non ha dato la divinità a suo Figlio. – Maria è giustamente chiamata “Vergine beata”. Le parole rivolte all’Angelo provano la sua volontà di rimanere vergine (S. Luc I, 34)., e il profeta Isaia aveva già predetto che il Salvatore sarebbe nato da una vergine (Is. VII, 14). È il titolo che le conferisce il simbolo degli Apostoli: Maria concepì Gesù Cristo da vergine; partorì da vergine e rimase vergine. (S. Aug.). Così come il roveto ardente non fu distrutto dal fuoco, allo stesso modo la verginità di Maria non fu danneggiata dalla nascita di Cristo; così come Gesù Cristo è apparso in mezzo agli Apostoli, anche se le porte erano chiuse, allo stesso modo è venuto al mondo senza danneggiare la verginità di sua Madre. (S. Aug.). Egli è come un raggio di sole che passa attraverso il cristallo senza frantumarlo. (S. Aug.); questo cristallo rappresenta Maria, che è la finestra del cielo attraverso la quale Dio ha lasciato trasparire la vera luce (S. Cris.). Maria è la Vergine delle vergini (lit. lauret.). – I fratelli di Gesù Cristo (S. Matth. XIII, 55) sono i parenti di Cristo. Abramo chiamò suo nipote Lot suo fratello. (Gen. XIII, 8). Perché Gesù Cristo sulla croce avrebbe raccomandato sua Madre a San Giovanni, se avesse avuto altri figli che avrebbero potuto prendersi cura di lei? (S. Cris.). Gesù Cristo è stato chiamato il primogenito, cioè colui che secondo la legge (Esodo XIII, 2) doveva essere consacrato a Dio. Gesù Cristo era veramente il primo dei figli di Maria (Rm VIII, 29); Ella ne ha ancora molti altri, questi sono i Cristiani. (Sant’Alfonso). Maria sposò Giuseppe secondo un ordine divino solo per non essere lapidata e perché avesse qualcuno che si prendesse cura di lei e del divino Bambino. (S. Ger.). Si sottopose alla purificazione nel Tempio come Gesù alla circoncisione. Maria è una parola ebraica che significa donna o sovrana. (S. Pier Chris., Giovanni Dam.), Maria significa anche illuminata o illuminatore (S. Bern., S. Bonav.).

Noi onoriamo Maria, la Madre di Dio, con un culto diverso da quello degli altri Santi.

Maria era già molto onorata in vita dall’Angelo all’Annunciazione dell’Incarnazione: la chiamò piena di grazia e benedetta tra le donne (S. Luc I, 26). È un grande onore per l’uomo poter offrire i propri omaggi ad un Angelo che gli appare; nell’Annunciazione, non è l’uomo che onora l’Angelo, ma l’Angelo che saluta l’uomo. Ne consegue che Maria era una creatura superiore all’Angelo. (S. Th. Aq.). Maria non è stata meno onorata da santa Elisabetta: l’ha chiamata benedetta e Madre di Dio (Ibid. 42). Maria stessa aveva avuto una premonizione degli onori di cui sarebbe stata oggetto: “Tutte le generazioni – disse – mi chiameranno beata”. (Ibid. 48). La Chiesa ci esorta a questo culto speciale, poiché raramente dice il Padre Nostro senza aggiungere l’Ave Maria; suona la campana tre volte al giorno per ricordare l’Annunciazione dell’Incarnazione e il culto dovuto in suo onore; fa recitare le Litanie della Beata Vergine durante le funzioni pubbliche. Alla Madonna dedica due mesi, il mese di maggio, il più bello dell’anno, ed ottobre, come mese del Rosario; le ha dedicato numerose chiese, molte delle quali sono diventate famose come luoghi di pellegrinaggi, come Lourdes, Loreto, Maria Zell in Austria, Kevelær nella Prussia renana, Einsiedeln; titoli gloriosi come Mediatrice di tutte le grazie, Madre della Misericordia, Rifugio dei peccatori, Aiuto dei Cristiani, Regina del cielo, ecc. – Questo culto superiore (iperdulia) non è adorazione. “Noi onoriamo Maria -dice sant’Epifanio – ma adoriamo solo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”.

1. NOI ONORIAMO MARIA IN MODO SPECIALE PERCHÉ È LA MADRE DI DIO E LA NOSTRA MADRE.

Chi ama veramente Dio onora certamente la Madre di Dio, e più dei Santi che sono solo suoi amici.

Gli onori tributati alla madre di un re salgono al figlio stesso. Dalla devozione a Maria possiamo quindi dedurre il grado di carità (perfezione) di un Cristiano; e infatti i più grandi Santi sono stati i più devoti servitori di Maria. – Maria è veramente nostra madre, perché Gesù ce l’ha donata sulla croce. Le parole che rivolse a Giovanni: “Ecco tua madre” (S. Giovanni XIX, 27) vale per tutti i Cristiani, perché Giovanni li ha rappresentati tutti sul Calvario. (S. Aug.). Maria è la seconda Eva, quindi la seconda madre del genere umano. La prima l’ha persa con la sua disobbedienza, la seconda l’ha salvata con la sua sottomissione (S. Iren.). Una donna ha portato la morte nel mondo, un’altra ha riportato la vita. (S. Bern.). Maria è quindi anche la madre della Chiesa. – Maria, essendo nostra madre si preoccupa della nostra salvezza più di tutti gli altri Santi. (S. Germ.). L’amore di tutte le madri non arrivano all’amore di Maria per uno dei suoi figli (S. Bern.), e Maria ci ama tanto, perché tra tutti i Santi è animata dal più grande amore di Dio e di conseguenza dal più grande amore per il prossimo. Come la luna supera tutte le stelle, così l’amore di Maria per noi supera quello di tutti i Santi, e come il mare accoglie le acque di tutti i fiumi, il cuore di Maria contiene la carità di tutti i Santi. Maria conosce le nostre necessità; le conoscono anche gli Angeli (S. Luca XV, 7), e non è possibile che gli Angeli abbiano una conoscenza maggiore di quella della loro Regina. – Un bambino che ama sua madre. Ama la sua società, ed un buon Cristiano troverà piacere nella devozione a Maria.

2. NOI RENDIAMO UN CULTO SPECIALE A MARIA PERCHÉ DIO STESSO LA ONORA PIÙ DI TUTTI GLI ANGELI E DI TUTTI I SANTI.

I sovrani concedono privilegi alle città in cui sono nati o sono stati incoronati. Così il Re del cielo ha concesso a sua madre privilegi speciali.

Dio ha scelto Maria per essere la Madre di suo Figlio; l’ha preservata dalla macchia del peccato originale, risuscitò gloriosamente il suo corpo e la incoronò Regina del Cielo.

L’Angelo più perfetto non può dire a Dio: “Figlio mio!”. Che privilegio! Maria è veramente una madre ammirevole (Lit.), non solo perché è sia vergine che madre, perché è Madre degli uomini, ma anche perché è la Madre del Creatore e ha dato alla luce Colui che l’ha creata. Maria è il miracolo dei miracoli e nulla di ciò che esiste, tranne Dio, è bello come Lei (S. Isid.). – La sua purezza immacolata (preservazione da ogni peccato), è stata predetta nel Paradiso (Gen. III, 15) dalla maledizione rivolta al serpente: “Ti schiaccerà la testa”, e proclamata dall’Arcangelo Gabriele che la salutava piena di grazia..(Se Maria doveva schiacciare il serpente, non poteva prima essere sotto il suo dominio attraverso il peccato). Solo la dignità di Cristo esige questa purezza assoluta da Maria; quando Dio chiama qualcuno ad una posizione elevata, lo rende degno di essa, e il Figlio di Dio, che ha chiamato Maria alla maternità divina, non ha mancato di renderla degna di essa per grazia (S. Th. Aq.). Un uomo non abbandona al suo più mortale nemico la casa che ha costruito per sé, a maggior ragione lo Spirito Santo non ha consegnato Maria, il suo tempio, al principe dei demoni. (S. Cir. Al.). I Padri hanno sempre chiamato Maria la Vergine Immacolata; i Cristiani hanno sempre rivolto le loro preghiere alla Regina del cielo senza peccato, è per questo motivo che hanno eretto statue al riguardo. Dopo aver consultato i Vescovi di tutto il mondo, Pio IX ha proclamato l’8 dicembre 1854 che l’Immacolata Concezione1 di Maria è una verità rivelata da Dio e sempre creduta dalla Chiesa. Quando apparve a Lourdes nel 1858, Ella disse: “Io sono l’Immacolata Concezione”. (Preservazione, non remissione, del peccato originale fin dal primo momento dell’esistenza della Vergine). Maria è stata esente pure da ogni peccato attuale (Conc. Tr. VI, 23); ella è il cedro del Libano dal legno incorruttibile (Eccli. XXIV, 17), il giglio tra le spine (Cant. dei Cant. 11, 2), lo specchio (Sap. VII, 26). – Maria progredì rapidamente e ininterrottamente come la vite che cresce sempre (Eccli XXIV, 23) fino a raggiungere la cima dell’albero su cui poggia (S. Alf.). La luna completa la sua rivoluzione più rapidamente degli altri pianeti e Maria raggiunse la perfezione più velocemente degli altri Santi (S. Alf.); fece questo rapido progresso perché era più vicina a tutte le grazie e ne ha ricevute più di tutte le altre creature (S. Th. Aq.); Ella è quindi la creatura più santa e più perfetta. Fin dal primo momento della sua esistenza, Maria è stata più santa dei più grandi Santi alla fine della loro vita. (S. Greg. M.); per questo Maria è chiamata la torre di Davide, che si ergeva maestosa sulla collina più alta di Gerusalemme (Cant. dei Cant. IV, 4); è anche chiamata torre d’avorio (per la sua forza ib. VII,4), e specchio della giustizia (Lit.). Di tutte le creature Maria aveva il più grande amore per Dio ed il minore attaccamento alle cose terrene. Lo Spirito l’aveva incendiata come il ferro dal fuoco (S. Ildef.), da cui il titolo di casa d’oro (tempio della carità). – Maria si distinse in tutte le virtù, per questo è chiamata la rosa mistica perché, come la rosa è superiore a tutti gli altri fiori per la bellezza del suo colore e la dolcezza del suo profumo, così Maria è superiore a tutti i Santi per la perfezione della sua carità ed il profumo delle sue virtù, che la fanno anche paragonare ad una “Regina con una veste d’oro arricchita di vari ornamenti”. (Sal. XLIV, 8). – Dio ha dunque amato Maria più di tutti i Santi messi insieme. (Suar.). – Dio ha gloriosamente resuscitato il corpo di Maria. La tradizione racconta che San Tommaso, arrivato troppo tardi per la sepoltura di Maria, volle comunque vedere il suo sacro corpo. Quando il sepolcro fu aperto, il sudario fu trovato vuoto. La Chiesa universale celebra l’Assunzione il 15 agosto: qualsiasi reliquia del corpo della Vergine non può che essere una frode, Maria gode della gloria suprema in cielo; il sole, la luna e le stelle rappresentano Cristo, Maria e i Santi: la luna, per il suo splendore, è nella Scrittura l’immagine di Maria (Cant. dei Cant. VI, 9). È la Regina degli angeli, dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, martiri, confessori, vergini, di tutti i Santi (Lit.); è in grado, più di tutte le creature, di darci un’idea delle perfezioni divine (S. Isid.). La sua esaltazione ci dà una prova speciale della misericordia infinita di Dio che trae l’uomo dalla polvere della terra per elevarlo al di sopra di tutti i cori celesti. (Sal. CXII, 8).

3. RENDIAMO UN OMAGGIO PARTICOLARE A MARIA PERCHÉ LA SUA INTERCESSIONE È LA PIÙ POTENTE PRESSO DIO.

Questa intercessione è straordinariamente efficace, perché già qui sulla terra le sue preghiere sono state esaudite da Gesù Cristo, come vediamo al banchetto di nozze di Cana, Egli farà lo stesso in cielo. Il pagano Coriolano che i senatori ed i pontefici di avevano invano implorato di rinunciare ai suoi attacchi a Roma (49 a.C.), si lasciò piegare dalla preghiera della madre Veturia, anche se questa condiscendenza gli costò la vita; quanto più grande sarà la condiscendenza di Colui che ci ha ordinato di onorare nostra Madre. E se l’intercessione dei Santi, dei servi di Dio, è già così efficace; quale sarà quella della stessa Madre di Cristo? I desideri di Maria sono ordini per suo Figlio, (Sant’Antonino). Maria è la Vergine potente (Lit.), la supplicante onnipotente. (S. Bern.). – Ella può ottenere tutto per noi dal Re del cielo, proprio come una regina della terra ottiene favori per tutti coloro di cui prende in mano gli interessi. (S. Cir. Al.). Maria è la nostra speranza (Salve reg.), perché attraverso di Lei speriamo di ricevere ciò che non oseremmo promettere per noi stessi con le nostre preghiere. Maria è persino chiamata dispensatrice di tutte le grazie; come tutti i favori del re vanno ai suoi sudditi attraverso la porta del palazzo, così tutte le grazie dal cielo alla terra passano attraverso le mani di Maria. (S. Bern.). La luna riflette la luce del sole; e Maria riflette a noi i raggi del sole di giustizia (id.). Il Verbo non ha voluto incarnarsi senza il consenso della Beata Vergine, per farci conoscere che la salvezza di tutti gli uomini è nelle sue mani (S. P. Dam.). Ella stava sotto la croce per manifestare che senza la sua mediazione non si partecipa ai meriti del sangue di Gesù Cristo (Id.). Dio Padre decreta, Gesù Cristo concede e Maria distribuisce le grazie. Ella è dunque la Madre della divina grazia (Lit ). La preghiera della Madre di Dio è sempre esaudita, quando ciò è possibile con Dio. “Tuo figlio ascolta sua Madre: cosa si può dire di un tale Figlio e di una tale Madre!” diceva San Bernardo; È con questi sentimenti che ha composto il Memorare. Chi è colui che ha invocato Maria invano? Cessi per sempre di celebrare la sua clemenza!. “La sua invocazione è sempre così efficace che non è nemmeno necessario chiederle grazie specifiche, è sufficiente raccomandarsi in generale alla sua intercessione” (S. Ildef.). La più piccola preghiera a lui rivolta viene esaudita e colmata di grandi favori”. (S. Andr. Cors.). Non è così severa da lasciare un saluto senza risposta; Ella ci saluta ogni volta che la preveniamo (S. Bonav.). Maria è la Vergine clemente (Lit.); non c’è nulla di severo in Lei, è tutta bontà e dolcezza e saremmo noi ad avvicinarci a Lei con timore.. (Sant’Alfonso).

Da tempo immemorabile i Cristiani ricorrono a Maria nei pericoli.

Durante l’assedio di Vienna da parte dei Turchi nel 1683 (dal 16 luglio al 13 settembre) Vienna e tutto il mondo cattolico pregavano il Rosario. Il soccorso arrivò nel momento del maggior pericolo; ci fu la gloriosa vittoria del 12 settembre, di cui si ricorda l’anniversario nella festa del Santo Nome di Maria. Nome di Maria. – La Beata Vergine è l’ausilio dei Cristiani. (Lit.). – Anche i semplici fedeli amano rivolgersi a Lei nelle loro necessità. S. G. Nepomuceno ricorse all’immagine miracolosa di Altbunzlau nel suo terribile calvario (1393); Maria è la consolatrice degli afflitti. (Lit.). È a Lei che i Cristiani ricorrono nelle loro malattie. S. Giovanni Damasceno si fece tagliare la mano per ordine del Califfo, a causa dei suoi scritti sul culto delle immagini (+ 780); andò a gettarsi davanti a un’immagine della Vergine e fu guarito. Molti malati sono stati curati a Lourdes e dalla sua acqua, tra cui il famoso avvocato H. Lasserre, che fu guarito dalla cecità e scrisse la storia di questo pellegrinaggio. (1862): Maria è la salute degli infermi (Lit.). – I Cristiani si rivolgono a Maria anche quando, da peccatori sfortunati, desiderano convertirsi. L’invocazione di Maria invia su di loro lo Spirito Santo. È la stella del mattino (lit.) che precede il sorgere del sole; è l’alba (del perdono) (Cant. des Cant. VI, 9); “quando appare l’alba, le tenebre si dissolvono, così la devozione a Maria fa scomparire il peccato” (S. Alf.). – Il mese di maggio è particolarmente consacrato a Maria perché è il mese del rinnovamento. La devozione a Maria è la primavera dell’anima peccatrice. Santa Maria Egiziaca (+ 431) si convertì d’avanti ad un’immagine della Vergine nella Basilica della Croce a Gerusalemme. Maria è pronta a riconciliarci con Dio. Se una madre sapesse che i suoi due figli si odiano mortalmente, farebbe ogni sforzo per riconciliarli, ma Maria è la madre di Cristo, che odia il peccato, e la Madre di tutti gli uomini, anche dei peccatori che sono nemici di Cristo (Sant’Alfonso). – Come la luna si muove sempre tra il sole e la terra, così Maria è sempre tra Dio e il peccatore, e le sue preghiere placano facilmente la severità di Cristo. Alessandro Magno deve aver detto un giorno che una lacrima di sua madre avrebbe cancellato molte sentenze di morte; sarebbe un insulto a Gesù Cristo metterlo al di sotto di quest’uomo, di questo pagano, in termini di rispetto per sua madre. Maria è quindi il rifugio dei peccatori (Lit.); è la Madre della misericordia, rappresentata dall’albero d’ulivo (Eccles. XXIV, 29) che distilla su di noi l’olio del perdono. Maria è la nostra mediatrice. – I Cristiani invocano Maria nei momenti di tentazione. Gli israeliti, grazie all’arca dell’Alleanza, sono stati vittoriosi quando sono entrati nella Terra Promessa (Numeri X, 35) e contro i Filistei (I Re XIV); noi Cristiani siamo vittoriosi in tutte le nostre battaglie contro il diavolo grazie a Maria, l’Arca della Nuova Alleanza. -Maria è anche rappresentata dall’arca di Noè: in ella tutti trovano rifugio dal diluvio infernale. (S. Bern.). Così come la stella del mare guida i marinai attraverso le tempeste verso un porto sicuro, così Maria ci guida verso il cielo attraverso le tempeste della vita (S.Thom. Aq.). Maria è l’acero dei libri sapienziali (Eccli. XXIV, 19) che ci protegge dal sole e dalla pioggia; è un rifugio contro gli attacchi del diavolo, è la nostra protettrice contro di lui, è terribile per lui come un esercito schierato in battaglia (Cantico dei Cantici VI, 3). – Diamo a Maria diversi titoli per mostrare le ragioni della nostra fiducia nella sua potenza: la chiamiamo Nostra Signora del Buon Soccorso, Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, Nostra Signora del Buon Consiglio, Nostra Signora dei Dolori, e così via.

La devozione alla Beata Vergine è un’eccellente mezzo per raggiungere la santità e la felicità nell’eternità.

È da notare che tutti i Santi avevano una devozione filiale verso la Vergine. È attraverso di Lei che hanno ottenuto da Dio le grazie più preziose. Tra i servi devoti di Maria vi sono S. Bernardo, abate di Chiaravalle (f 1158), S. Alfonso de Liguori, vescovo di S. Agata dei Goti (vicino a Napoli) e fondatore dei Redentoristi (+ 1787): egli recitava il rosario tutti i giorni, il sabato mangiava pane e acqua, recitava l’Ave Maria ogni ora, quando usciva e rientrava, all’inizio e alla fine delle sue azioni più importanti, al suono dell’Angelus. Fu lui a scrivere il bellissimo libro delle Glorie di Maria. – Maria è la porta del Paradiso. (Lit.). È la vera scala di Giacobbe sulla quale Gesù è sceso sulla terra e sulla quale noi saliamo a Gesù (S. Fulg.). L’inferno non può vantarsi di aver inghiottito un solo fedele servitore della Madre di Dio. (S. Alfonso). – Maria fu anche oggetto di venerazione da parte di molti uomini illustri. S. Bernardo credeva nella certezza della salvezza per coloro che quotidianamente onorano Maria; e S. F. Borgia teme per le anime di coloro che trascurano questa devozione.

6. IL CULTO DELLE IMMAGINI.

Il culto delle immagini risale ai tempi più antichi e risponde a un’esigenza della nostra natura. Il culto delle immagini è antico quanto il Cristianesimo (S. Bas.), come si può vedere nelle catacombe del mondo antico, dove si trovano immagini di Nostro Signore, della Beata Vergine con il Bambino, scene dell’Antico e del Nuovo Testamento, e soprattutto quelle che, in mezzo alle persecuzioni, ci ricordano la potenza di Dio e la futura risurrezione (La risurrezione di Lazzaro, Daniele nella fossa dei leoni, i tre giovani nella fornace, ecc.) Il culto delle immagini si diffuse con il Cristianesimo; crocifissi e statue di Santi decoravano non solo le chiese, ma anche i fori e le strade pubbliche (Eus.). – Questo culto trovò violenti oppositori tra gli imperatori d’Oriente (Leone III nell’anno 726 e altri) che fecero bruciare e distruggere le statue, cancellare le immagini imbrattate nelle chiese e martirizzare i difensori di questa tradizione: furono chiamati iconoclasti (rompitori di immagini). Ma il Concilio di Nicea del 787 dichiarò che solo l’idolatria fosse proibita e che il culto delle immagini fosse lecito. Il culto risponde perfettamente a un’esigenza della natura umana: noi onoriamo i ritratti dei nostri genitori, dei nostri amici, di uomini illustri, e la Divina Provvidenza vuole che l’uomo recuperi attraverso le cose sensibili la felicità effimera che gli hanno fatto perdere. (S. Greg. M.). – È vero che il culto delle immagini era severamente proibito agli Ebrei (Esodo XX, 4), perché gli Ebrei erano di natura molto sensuale, molto inclini all’idolatria e che il Figlio di Dio non era ancora diventato uomo. Ciononostante, c’erano dieci cherubini sull’arca dell’Alleanza nel Santo dei Santi e Mosè innalzò un serpente di bronzo nel deserto, il cui aspetto guarì gli israeliti avvelenati dai morsi di serpente (Num. XXI, 8).

Le immagini religiose sono quelle che rappresentano Cristo, i Santi o le verità religiose.

Cristo è generalmente rappresentato secondo un tipo uniforme; una figura al tempo stesso dolce e severa, con capelli lunghi e barba media; spesso ha il Sacro Cuore sul petto. Maria è rappresentata come Nostra Signora del Buon Soccorso con il Bambino Gesù in braccio, come la Madonna Addolorata (Pietà) con il corpo di Gesù sulle ginocchia, come Nostra Signora dell’Immacolata Concezione senza il Bambino Gesù, vestita di bianco e blu (ad esempio, la Madonna di Lourdes), come Regina del Cielo (Apoc. XII, 1), vestita d’oro, in piedi sulla luna e coronata di stelle. (Tra le immagini più famose della Vergine Maria c’è quella di Santa Maria Maggiore a Roma, dipinta secondo la leggenda da San Luca; la Madonna Sistina di Raffaello che porta in grembo il Bambino Gesù e appare a Papa Sisto: N. Signora del Perpetuo Soccorso, (41X52 ctm.) dipinto su tavola del XIII secolo, raffigurante Maria con il Bambino Gesù, a cui gli Angeli mostrano gli strumenti della Passione e che, spaventato, si aggrappa alla madre. Questa immagine si trova nella chiesa di di S. Alfonso, vicino a Santa Maria Maggiore e al Laterano). Le immagini del Santi si riconoscono dall’aureola: (questi effluvi di luce sono stati visti in molti Santi come Mosè, Santo Stefano e soprattutto Cristo alla Trasfigurazione). I Santi hanno anche i loro simboli caratteristici che indicano le loro funzioni (come i paramenti sacerdotali indossati da Papi e Pontefici), le loro virtù virtù (un giglio indica la purezza; un libro, la conoscenza; un cuore ardente, la carità; la palma, l’eroismo; l’ulivo, la dolcezza, e gli strumenti del loro martirio (spada, frecce, ruota). S. Pietro porta le chiavi. – I 4 Evangelisti traggono i loro simboli dall’inizio dei loro Vangeli: S. Matteo ha accanto a sé un uomo, perché inizia con la genealogia umana di Cristo; S. Marco, un leone, perché inizia con la predicazione di Giovanni, la voce nel deserto; S. Luca un bue, perché inizia con il sacrificio di Zaccaria nel tempio; S. Giovanni, un’aquila per la sublimità dell’inizio: In principio era il Verbo. La sua dottrina vola come un’aquila. Altre immagini simboleggiano i dogmi, come la Santissima Trinità, il Purgatorio, ecc. o rappresentano scene bibliche. (L’Annunciazione, il battesimo di Cristo, l’istituzione del Santissimo Sacramento, ecc.) – Le tre Persone divine sono rappresentate in base alle loro apparizioni (il Padre come un vecchio seduto su un trono, ecc.); è impossibile rappresentare Dio in sé, le immagini devono quindi solo simboleggiare le perfezioni e rendere percepibili gli atti. (Cat. rom.).

Alcune immagini sono chiamate miracolose.

Ci sono immagini miracolose della Vergine in molti luoghi di pellegrinaggio. Più di una di queste immagini è stata miracolosamente preservata dalla distruzione, o sono avvenute guarigioni davanti ad esse. Dio opera questi miracoli per proclamare la divinità della Chiesa, e qualunque cosa si pensi di ciascuno di essi nei dettagli, sarebbe quasi un’empietà negarli tutti in linea di principio; infatti, la Santa Sede controlla rigorosamente questi fatti soprannaturali e non incorona ufficialmente un’immagine fino a quando non sia stata perentoriamente provata.

La più vera di tutte le immagini è la Croce del Salvatore.

Le nostre chiese, i nostri altari, i nostri cimiteri sono tutti adornati con la croce; i Sacramenti non vengono mai amministrati, la Santa Messa non viene mai celebrata senza la presenza della croce, tanto grande è la venerazione della Chiesa per questo segno di salvezza. La croce brilla sulle corone dei principi, sui petti dei cittadini che si distinguono per il decoro; si erge nelle campagne, ai lati delle strade per consolare il viaggiatore e il contadino che bagna il suo campo con il sudore della sua fronte. La croce è la firma del povero ignorante incapace di scrivere; è l’ultimo oggetto che il morente stringe tra le mani e porta nella tomba: essa dovrebbe adornare la casa di tutti i Cristiani, ed è un cattivo segno quando vi si trovano solo immagini profane.

1. L’ADORAZIONE DELLE IMMAGINI CONSISTE NELL’ADORNARE LE PROPRIE ABITAZIONI, NEL PREGARE, SCOPRIRSI IL CAPO DAVABTI AD ESSE, DECORARLE O FARNE LA META DI UN PELLEGRINAGGIO.

Il culto che tributiamo alle immagini non si riferisce all’immagine materiale ma alla persona, Cristo o i Santi, che esse rappresentano (Conc. de Tr. 25). Con l’apparizione della croce, adoriamo Colui che è morto lì per noi (S. Ambr.). Non onoriamo quindi la materia, ma la persona (2° Concilio di Nicea). Alla presenza della croce, noi adoriamo Colui che è morto per noi (S. Ambr.) Così ne è per le immagini di Cesare: chi le insulta è considerato come se avesse insultato Cesare stesso. Baciamo i S. Vangeli per onorare la parola del Salvatore, indipendentemente dal lusso o dalla semplicità tipografica; se per qualche motivo il testo scomparisse, il libro cesserebbe di ricevere il nostro omaggio; è lo stesso delle immagini dei Santi. – Questo culto non è un’adorazione. Quando baciamo i nostri genitori o i nostri figli, non abbiamo altro scopo che mostrare l’affetto del nostro cuore; l’adorazione delle immagini non ha altro scopo che quello di mostrare il nostro amore per i Santi. (S. Nic.). Allo stesso modo in cui accendiamo candele o incenso davanti ai Santi, il culto delle immagini non ha altro scopo che mostrare il nostro amore per loro. Se accendiamo l’incenso davanti a loro, vogliamo solo simboleggiare il fuoco dello Spirito Santo e il profumo delle virtù dei santi. (S. Germ.). – Non è dall’immagine materiale che ci aspettiamo aiuto, ma da Dio per intercessione dei Santi. – Noi Cattolici, siamo ben lontani dal pensare, come fanno i pagani, che le immagini possiedano una virtù propria e di riporre in esse la nostra fiducia. Allo stesso modo, Mosè non confidava nella sua verga, ma nell’onnipotenza di Dio che gli ordinò di usarla.

2. L’ADADORAZIONE DELLE IMMAGINI È BENEFICA; CI DONA SPESSO DELLE GRAZIE STRAORDINARIE CHE CI AIUTANO AD EVITARE LE DISTRAZIONI E CI INCORAGGIANO A FARE IL BENE.

Le immagini di Dio e dei suoi amici, dice San Giovanni Dam., diffondono la grazia dello Spirito Santo. Il diavolo viene allontanato da ogni luogo in cui viene eretta una croce (Sant’Ambrogio). Più di un’anima immersa nel vizio è stata toccata e convertita alla vista dell’immagine come Santa Maria Egiziaca, ed i Santi, specialmente nella loro agonia, hanno amato fissare lo sguardo su un’immagine sacra. – Le immagini sacre ci proteggono dalle distrazioni; sono come una scala che ci permette di salire al cielo.(Alb. Stoltz); e poiché preghiamo meglio davanti alle immagini, queste preghiere sono più efficaci, come dimostrano i numerosi ex voto dei pellegrinaggi. – Le immagini sono un insegnamento, una lezione di dogma e di morale che dobbiamo imitare nei Santi, di cui queste immagini sono come una biografia (S. Germ.); le immagini insegnano ancora più efficacemente delle parole. – Ciò che colpisce l’occhio, diceva già Orazio (Art. poetica), ci commuove più profondamente delle parole. Per il popolo, le immagini sostituiscono i libri (S. Greg. M.); ecco perché, nel Medioevo, prima dell’invenzione della stampa, le immagini erano molto diffuse: i presepi e le stazioni della Via Crucis risalgono a questo periodo. Le immagini che i fedeli trovano nelle chiese sono come un riassunto per immagini della dottrina cristiana.

7. IL CULTO DELLE RELIQUIE.

Chiamiamo reliquie i resti dei corpi dei Santi o gli oggetti che sono stati in contatto intimo con Cristo o con i Santi.

Sono reliquie: l’intero corpo di un santo, un braccio, un piede o anche un pezzo di osso. Si trovano negli e sugli altari, o in possesso dei fedeli. Le reliquie autentiche portano sempre il nome del Santo e il sigillo di un Vescovo; il loro commercio è severamente vietato e solo il reliquiario può essere pagato. – Da sempre, l’uomo ha venerato oggetti che avevano un’intima relazione con Gesù Cristo e con i Santi; ad esempio, il Presepe, la vera Croce, la Veste di S. Pietro, la S. Sindone, il velo del Volto Santo, ecc. Il presepio di Gesù (frammenti) è conservata a Roma, a Santa Maria Maggiore; la Tunica senza cuciture a Treviri; una tunica di Gesù adolescente è ad Argenteuil; la tavola di cedro dell’Ultima Cena nella basilica Lateranense. C’è una S. Sindone a Torino ed il velo di Santa Veronica è a San Pietro a Roma. La Corona di spine a Parigi. La vera Croce fu trovata dall’imperatrice Sant’Elena nel 325: una parte di essa si trova nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme, l’altra a Roma. – Noi consideriamo reliquie tutta la Terra Santa e le crociate (1096-1270) mostrano l’importanza che i Cristiani medievali vi annettevano. Il luogo dell’Annunciazione a Nazareth è particolarmente venerato, a Betlemme il luogo della Natività, a Gerusalemme il Cenacolo, la grotta dell’Agonia, il Calvario e il Santo Sepolcro, il luogo dell’Ascensione. Costantino e sua madre avevano costruito splendide basiliche in tutti questi luoghi. – Da tempo immemorabile sono venerati i paramenti, gli strumenti del martirio dei Santi, il luogo della loro nascita e della loro sepoltura. S. Girolamo riferisce che sant’Antonio eremita aveva ereditato da san Paolo eremita (+ 356) il suo mantello fatto di foglie di fico, che egli teneva in grande venerazione e che indossava solo nelle grandi feste dell’anno. La Chiesa primitiva costruiva già chiese ed erigeva altari sulle tombe dei Santi.

Le S. Reliquie sono venerabili, perché i corpi dei Santi erano templi e strumenti dello Spirito Santo che un giorno risorgeranno nella gloria. (Conc. di Tr. 25).

8. IL CULTO STRAORDINARIO DI DIO.

Onoriamo Dio anche con i giuramenti ed i voti.

Questo culto è chiamato straordinario perché il giuramento e il voto non fanno parte della vita ordinaria, ma si verificano solo in casi particolari: il giuramento, quando la testimonianza dell’uomo non è sufficiente; il voto, quando ci impegniamo liberamente. – Il giuramento onora Dio, perché riconosce la sua onnipotenza, giustizia e santità. Il voto è una sorta di sacrificio, perché sacrifichiamo la nostra volontà con la promessa di un’azione gradita a Dio (Gury).

I. Il giuramento.

A volte capita che la gente si rifiuti di credere ad un uomo. Questi allora porta un testimone che dice: Sì, l’asserzione è vera, ho visto il fatto, saremo più inclini a dare credito alla parola del primo. Questo sarà tanto più vero in quanto questo testimone sarà riconosciuto come più affidabile. Ora, può accadere che un uomo chiami Dio come testimone, cioè che chieda a Dio, che sa tutto, di provare con la sua parola la veridicità della persona che presta giuramento. In questo caso le parole dell’uomo passano come parola di Dio stesso. “Lo scopo del sigillo è quello di provare l’autenticità di un documento; e il giuramento è come un sigillo dato dalla divinità per confermare la verità (Marchant). Il giuramento è una preziosa moneta d’oro che porta l’impronta del Dio vivente (Stolberg). Gesù Cristo prestò giuramento davanti a Caifa, quando quest’ultimo gli chiese in nome di Dio di dire se fosse il Messia (giuramento di assertività). Esaù, al momento di scambiare la sua primogenitura, fece un giuramento che confermava la sincerità del suo impegno (giuramento promissorio).

1. PRESTARE UN GIURAMENTO SIGNIFICA CHIAMARE DIO A TESTIMONIARE CHE SI STA DICENDO LA VERITÀ O CHE SI È PRONTI A MANTENERE LA PROMESSA.

Nel fare un giuramento, si può chiamare direttamente Dio come testimone oppure delle cose sacre. Chiamiamo Dio direttamente come testimone quando diciamo ad esempio: Per Dio; certamente come Dio vive (Ger. XLII); Dio mi è testimone (Rm I, 9); che Dio mi punisca, se ecc.. – Le cose sacre che di solito vengono invocate nel giuramento sono i sacramenti, il crocifisso, il Vangelo, il cielo, ecc. Poiché questi oggetti sono di per sé incapaci di rendere testimonianza o di punire il bugiardo, è evidente che viene invocata la testimonianza di Dio. (S. Th. Aq.). Gesù Cristo stesso dichiara che si può giurare sul tempio, il cielo, il trono di Dio (S. Matth XXIII, 21). – Ma chi dice semplicemente certamente, per certo, sul mio onore, sulla mia coscienza, per quanto vivo, ecc. etc., rafforza solo la sua affermazione, ma non fa un giuramento. – Il giuramento è semplice o solenne; il primo si trova nei rapporti ordinari degli uomini, il secondo davanti alla legge o alle autorità (giuramento dei funzionari o delle truppe). Si giura a testa nuda davanti al crocifisso perché nulla sia nascosto agli occhi del crocifisso; si alzano le tre dita della mano destra in onore della Santissima Trinità. In alcuni paesi le parole alla formula del giuramento sono queste: Dio mi aiuti e il suo santo Vangelo, e si rinuncia alla grazia di Dio e alle promesse del Vangelo, se non dicono la verità. Gli ebrei giurano, a capo coperto, ponendo il palmo della mano sulla Thora (legge), a pagina 40. I maomettani alzano solo un dito, perché non credono nella Santissima Trinità.

2. NON SIAMO OBBLIGATI A RIFIUTARE ALCUN TIPO DI GIURAMENTO, PERCHÉ DI PER SÉ È PERMESSO E PERSINO ONOREVOLE PER DIO.

Se non fosse lecito giurare, Gesù Cristo non avrebbe giurato (S. Matth. XXVI,64), Dio non avrebbe giurato ad Abramo sul monte Moriah che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo e i granelli di sabbia del mare (Gen. XXII, 16); S. Paolo non avrebbe giurato così spesso nelle sue lettere (Rm 1,9; I Cor 1,23). Inoltre, il giuramento ha uno scopo onesto, serve a risolvere le controversie (Eb. VI, 16).

– Il giuramento è gradito a Dio, perché attraverso di esso professiamo pubblicamente la sua conoscenza, la sua giustizia, il suo potere infinito. Gli atei non dovrebbero quindi essere ammessi al giuramento. Dio vuole che giuriamo in caso di necessità. Se Cristo ha detto:.”La vostra parola sia: sì, sì! no, no! ciò che è più è male” (S. Matth. V, 37), intendeva solo dissuadere i farisei dai giuramenti frivoli a cui erano molto inclini. I Cattolici non hanno quindi alcun motivo per rifiutare i giuramenti in linea di principio, come fanno alcune sette. – Tuttavia, nessuno dovrebbe estorcere il giuramento a chiunque; e chi sfida con un giuramento qualcuno che si induce a spergiurare, è peggiore di un assassino, perché quest’ultimo almeno uccide solo il corpo, mentre lo spergiuro uccide un’anima, anzi due anime: quella di chi giura e la propria, colpevole della morte del prossimo (S. Isid. di Pél.).

3. UN GIURAMENTO PUÒ ESSERE FATTO SOLO PER UN MOTIVO SERIO, IN VERITÀ. EQUITÀ E GIUSTIZIA (Ger. iv, 2.).

Il giuramento, dice Gesù Cristo, viene dal male (S. Matth. V, 37), cioè ha origine nelle cattive inclinazioni dell’uomo; se infatti egli si fosse mantenuto nella giustizia e nella santità originarie, il giuramento sarebbe inutile: è stato usato soltanto quando la sincerità e la fedeltà sono scomparse sempre di più dall’umanità. Quando il male ha corrotto l’universo, solo allora – dice S. J. Chr. – l’usanza del giuramento è stata introdotta; la menzogna e la malizia generale hanno distrutto la fiducia degli uomini nei confronti dei loro simili. La fiducia degli uomini nei loro simili era sparita, e cominciarono a prendere Dio come testimone delle loro parole. Il giuramento è un rimedio, dice S. Aug. usiamo l’uno o l’altro solo per motivi seri. Il giuramento è per un uomo ciò che il bastone è per uno storpio. Non è quindi permesso giurare per questioni banali, come fanno spesso alcuni commercianti. (Cat. rom.). L’abitudine di imprecare porta facilmente a giurare il falso. (S. Aug.). Chi giura spesso accumula crimini e le pene non spariranno dalla sua casa (Sap. XXIII, 12). Dobbiamo quindi giurare quando necessario; chi non parla non mente e chi si astiene dal giurare non dice il falso (S. Bern.). L’ordine di un’autorità è un motivo sufficiente per giurare. – Bisogna anche giurare in verità, cioè parlare come pensiamo o essere disposti a mantenere la parola data. Regolo ha dato un bell’esempio del mantenere la parola data. (250 A.C.). Egli fu fatto prigioniero dai Cartaginesi e tenuto in cattività per sei anni. Dopo avergli fatto giurare che sarebbe tornato in patria se le trattative non fossero andate a buon fine, Regolo si ritirò a Roma. Giunto a Roma, descrisse al Senato la debolezza di Cartagine e la esortò a entrare in guerra., poi tornò in prigionia anche se gli stessi pontefici volevano trattenerlo. S. Pietro, invece, spergiurò nel tribunale del sommo sacerdote (S. Matth. XXVI, 72). È vietato usare equivoci nel giuramento. (Innoc. XI). Tommaso Moro, cancelliere d’Inghilterra, fu imprigionato da Enrico VIII per ostilità contro la Chiesa; gli fu offerta la libertà se avesse giurato la seguente formula: “Mi sottometterò ai dettami del mio padrone e re”. Ebbene molte persone gli consigliarono di prestare questo giuramento al suo sovrano e re. “Questo non è permesso”, rispose, “devo giurare sulla verità”. Non è un peccato sbagliarsi, né essere incapaci di mantenere una promessa a causa di una malattia o di un rovescio. di fortuna. – devi giurare con riflessione, cioè prima di giurare dobbiamo esaminare attentamente la possibilità di mantenere la nostra promessa. Erode fece un giuramento avventato giurando a Erodiade che le avrebbe dato tutto ciò che lei chiedeva, perché allora ella chiese la testa di San Giovanni Battista (S. Marco VI, 23). – Si deve giurare nella giustizia, dire e promettere con giuramento solo ciò che sia permesso. I quaranta persecutori di S. Paolo si impegnarono con un giuramento a non mangiare o bere finché non avessero ucciso la loro vittima. (Atti XXIII, 12). I massoni oggi giurano di rifiutare i sacramenti sul letto di morte. Va da sé che tali giuramenti sono ingiusti e criminali,

2. LO SPERGIURO È UN ORRIBILE SACRILEGIO CHEVCOMPORTA MALEDIZIONE DIVINA E LA DANNAZIONE ETERNA.

Il falso giuramento è chiamato anche spergiuro. Lo spergiuro (cioè colui che giura il falso o che, giurando, intende non mantenere la sua promessa) è come un criminale che usa un sigillo ufficiale per commettere una falsificazione, un crimine degno di una severa punizione. (Marchant). Un falso giuramento è sempre un peccato mortale. (Innoc. XI). Nessun pugnale ferisce così mortalmente, nessuna spada uccide così crudelmente come lo spergiuro (S. G. Cris.). La maledizione di Dio cade sulla casa dello spergiuro (Zac. V, 3); Dio punisce spesso gli spergiuri con una morte improvvisa. Il re di Giud, aveva giurato fedeltà a Nabucodonosor e poi lo aveva tradito; Dio gli annunciò immediatamente, tramite il profeta Ezechiele (XVII), un castigo crudele e la sua morte a Babilonia, e infatti Nabucodonosor lo sconfisse, gli cavò gli occhi e lo portò a Babilonia dove morì (IV Re, XXV). Vladislao, re d’Ungheria, aveva concluso e giurato la pace con il sultano Murad II, nonostante ciò, riprese la guerra e nella battaglia di Varna fu ucciso con la maggior parte dei capi del suo regno (1444). Anche i codici penali umani puniscono molto severamente i giuramenti falsi. Carlo Magno ordinava che agli spergiuri venisse tagliata la mano destra; secondo altri codici, invece, agli spergiuri, venivano tagliate le tre dita con cui avevano giurato. – Chi giura senza un motivo sufficiente commette un peccato almeno veniale: Tuttavia, colui che ha la cattiva abitudine di giurare con leggerezza e che di conseguenza giura cose false, è, se è consapevole della sua abitudine, in stato di peccato mortale (Gury). – Se qualcuno ha giurato una promessa criminale, deve pentirsi e non mantenerla: questo è ciò che avrebbe dovuto fare Erode. – La rottura di una promessa è un peccato grave o leggero, a seconda dell’importanza della cosa promessa. Per questo giuramento è la stessa cosa che per un voto.

2. IL VOTO.

1. IL VOTO È UNA PROMESSA LIBERA FATTA A DIO DI COMPIERE UNA BUONA AZIONE.

Il voto è una promessa fatta a Dio; è quindi almeno un’invocazione mentale a Dio, perché gli diciamo, per così dire, che faremo una buona azione, con questo pensiero: Mio Dio! Te lo prometto, ecc. Il voto si differenzia essenzialmente dalla risoluzione, che non dà a nessuno, nemmeno a Dio, il diritto di esigere qualcosa da noi. Il voto è una promessa libera; nessuno è obbligato a farla (Deut. XXIII, 22), quindi nessuno può essere costretto a farlo. Un voto estorto con la forza è quindi nullo, ma non un voto fatto per paura di una malattia o sotto la pressione del bisogno, perché in questo caso la libertà non viene soppressa. – L’oggetto del voto deve essere gradito a Dio; e non si può promettere il male, come fece Iefte, che, prima di una battaglia, fece voto, in caso di vittoria, di offrire in olocausto la prima persona che uscisse dalla sua casa per andargli incontro: era sua figlia, che egli sacrificò. (Giudici XI). Un tale voto è sciocco ed empio (Ecclesiaste V, 3). Non è permesso adempiere ad un voto che può essere mantenuto solo con un crimine. Si promette generalmente un atto a cui non si è obbligati, ad esempio un pellegrinaggio; si può invece promettere un atto a cui si è già obbligati in altro modo, come l’osservanza dell’astinenza di domenica, la temperanza nel mangiare e nel bere. Se uno non adempie al suo voto, pecca doppiamente. L’unica figlia di un ricco produttore si ammalò; se fosse guarita, il padre promise di non farla lavorare la domenica e nei giorni festivi; la figlia guarì e tutti capiranno come e perché questo fabbricante è obbligato a osservare la domenica, in primo luogo per la legge generale, poi per l’obbligo personale contratto con il voto.

La maggior parte dei voti sono condizionati.

Questi voti sono come un contratto con Dio. Giacobbe ha fatto voto di offrire a Dio una decima dei suoi beni, se fosse tornato sano e salvo alla casa di suo padre. (Gen. XXVIII, 20). Le Rogazioni hanno la loro origine in un voto fatto durante una carestia da parte del santo Vescovo di Vienne, Mamerto (500); la processione di S. Marco, in un voto.voto di San Gregorio Magno; la rappresentazione della Passione, che si svolge ogni 10 anni a Oberammergau, ha anch’essa origine da un voto fatto (1633) dalla popolazione durante un’epidemia. Durante una grave malattia, Luigi di Francia si propose di intraprendere una crociata (1248). Molti Cristiani del nostro tempo durante una malattia o una prova fanno voto di recarsi in pellegrinaggio, “come testimoniano gli ex-voto esposti”, di fare una donazione ad una chiesa (come testimoniano gli ex-voto esposti) di far erigere una statua, di digiunare in determinati giorni, ecc.

I voti più importanti sono quelli religiosi, cioè la libera promessa fatta a Dio di seguire i consigli evangelici.

Questi voti sono quelli di povertà, castità e obbedienza. Sono molto salutari; ci separano completamente dal mondo per servire Dio in modo più perfetto. Sono anche molto graditi a Dio, perché con essi gli offriamo non solo le nostre azioni, ma tutta la nostra persona: dà di più chi dà non solo il frutto ma l’albero stesso (S. Ans.). C’è chi offre a Dio un ornamento, olio, cera, ecc., ma c’è un’offerta più perfetta e più gradita. (S. Aug.). – I voti della religione sono solenni (gli obblighi sono più gravi) o semplici. I voti solenni conferiscono una sorta di santificazione, di consacrazione interiore (S. Thom. Aq.); tuttavia, ciò che è una volta consacrato, non potrà mai più essere usato per scopi profani, a differenza di quanto avviene per la semplice benedizione. Chi ha fatto voti solenni è irrevocabilmente consacrato al servizio di Dio (Lehmkuhl). I voti solenni possono essere revocati solo dal Papa e per motivi molto seri. Prima di fare la professione, cioè di pronunciare i voti solenni, queste persone fanno prima un anno di noviziato e poi emettono i voti semplici per tre anni. (Pio IX, 19 marzo 1857). – Ci sono casi in cui il Vescovo e i superiori delle congregazioni possono revocare i voti semplici per motivi meno importanti.

2. IL VOTO RENDE PIÙ GRADITA A DIO LA BUONA AZIONE A CUI CI SI IMPEGNA. COLUI CHE QUINDI FA UN VOTO È PIÙ PRESTO ESAUDITO DA DIO E RAGGIUNGE LA PERFEZIONE PIÙ RAPIDAMENTE.

Il voto è un atto di fedeltà a Dio; è anche un sacrificio, perché si è rinunciato alla propria volontà a favore di una buona azione. Il digiuno praticato a causa di un voto è più perfetto del digiuno senza voto (S. Fr. di S.), per la stessa carità. Per questo Sant’Agostino scriveva: “La verginità non è tanto un onore, perché si è vergine, ma perché è consacrata a Dio”. – Ne consegue che i fedeli vincolati da un voto vengono esauditi prima: non appena gli abitanti di Oberammergau fecero il loro voto, la peste cessò immediatamente e nessuno morì. Anna, la madre di Samuele, fece un voto chiedendo al Signore un figliolo e ottenne questo grande profeta (I. Re I, 11). Queste grazie straordinarie sono la ragione di tanti ex-voto nei pellegrinaggi, di tante croci ai bordi delle strade, di tanti doni preziosi alle chiese. – Il voto porta più rapidamente alla perfezione (S. F. di S.); infatti, attraverso di esso otteniamo più forza per la pratica del bene, perché il voto rende la volontà più ferma (id). Il pensiero di aver promosso un atto di virtù al proprio Dio, ci spinge con più forza, al bene. “Molti santi – dice San Gregorio Magno -hanno fatto voti per imporsi i vincoli della disciplina divina”. Il voto ottiene anche grazie di scelta. Si può così, prima della festa di alcuni santi, obbligarsi con voto a fare delle novene, per la Quaresima e i mesi di maggio e di ottobre dedicati alla Vergine, e a fare digiuni, elemosine e varie devozioni. È sufficiente provare per vedere quali grazie speciali si ottengono.

3. NON ADEMPIERE AD UN VOTO, O RITARDARE IL SUO ADEMPIMENTO SENZA MOTIVO E UN’OFFESA A DIO (Deut, XXIII, 21).

Bisogna mantenere la parola data agli uomini, a maggior ragione a Dio. “È meglio non fare un voto che farne uno senza adempierlo”. (Eccles. V, 4). Il debitore negligente può essere consegnato alla giustizia, mentre chi inganna Dio rimarrebbe impunito? … (S. P. Dam). Chi viene meno ai suoi voti viene meno gravemente o leggermente, a seconda che l’oggetto sia più o meno importante o dell’intenzione di obbligarsi sotto pena di peccato mortale o veniale. – Un peccato contro un voto può costituire due colpe gravi, se l’atto è grave in sé e disonora Dio in particolare, ad esempio un peccato contro il voto di castità. – Una persona che non è in grado di adempiere al suo voto è dispensata da esso; è tuttavia obbligata a fare almeno ciò che può.

Prima di fare un voto, quindi, bisogna pensare seriamente alla possibilità di adempierlo.

Prima di costruire un edificio, si redige un preventivo e ci si chiede se si avranno i mezzi per finirlo (S. Luc XIV, 28). È quindi imprudente fare un voto perpetuo subito, è meglio iniziare con un voto temporaneo e poi prolungarlo. Francesco di Sales, che aveva fatto voto di recitare il rosario tutti i giorni fino alla sua morte, ammette di ammette di essersi pentito di essersi impegnato così presto. – S. Alfonso aveva fatto il voto di non rimanere mai inoccupato; ma prima di farlo aveva praticato per qualche tempo per verificarne la possibilità. – È quindi saggio consultare il suo confessore o un altro Sacerdote esperto. – Ecco perché la Chiesa impone a coloro che desiderano entrare in religione un intero anno di noviziato, che serve per esaminare la propria vocazione. Chiunque riconosca di non avere una vocazione e ciononostante abbraccia la vita religiosa, deve allora biasimare se stesso e non il suo stato.

Quando un voto non può essere adempiuto, bisogna farsene dispensare o farlo commutare dal suo Vescovo.

Gesù Cristo disse ai suoi Apostoli: “Ciò che sciogliete in terra sarà sciolto in cielo” (S. Matth. XVIII, 18); il Vescovo ha quindi il potere di commutare i voti. Di solito vengono commutati in opere più utili per la salvezza della persona interessata, come ad esempio la ricezione dei Sacramenti. – Ci sono cinque voti che il Papa ha riservato a se stesso per dispensarne: quello della castità perpetua, dell’ingresso in religione, del pellegrinaggio a Roma (tomba degli Apostoli), a Gerusalemme (Santo Sepolcro), a Compostela (tomba di San Giacomo). Il Vescovo può anche concedere queste dispense in casi urgenti, oppure quando questi voti sono solo condizionati, quando c’è un dubbio sulla libertà o la riflessione con cui il voto sia stato fatto o sulla disconoscenza delle sue conseguenze. – In tempo di Giubileo, i confessori hanno la facoltà di commutare i voti che non sono espressamente riservati. – Si è sempre liberi di commutare un voto più perfetto: Dio non si oppone alla generosità del debitore verso il suo creditore (S. Bern.).

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (7)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (7)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

10. — Ecco la vera tavola di salvezza!

Ed ora riassumiamo brevemente quanto è stato scritto fin qui, per correre senz’altro ad individuare quel grande mezzo che il buon Dio ci ha messo a portata di mano, affinchè — servendocene — possiamo davvero evitare il peccato, divenire sempre migliori e raggiungere l’eterna salute. – Anzitutto abbiam visto, che, per poterci salvare, dobbiamo osservare i comandamenti di Dio. Lo disse Gesù: « Se vuoi entrare alla vita eterna, osserva i comandamenti » (Matt. 19, 17) E su questo punto è inutile tergiversare, nicchiare o recalcitrare. Iddio così vuole. Sia fatto così. – Poi abbiamo veduto che i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni e pur nei più gravi pericoli non ricercati volontariamente. E le prove da me addotte in sostegno di questa tesi, mi pare che siano state esaurienti e decisive. Nessuno infatti può ragionevolmente sostenere di non essere in grado di osservare i divini comandamenti. Chi osasse asserirlo, confesserebbe, con ciò stesso, di non volerli osservare. Ecco la verità. Abbiamo però dovuto in seguito candidamente riconoscere che noi, colle sole nostre forze naturali e coi mezzi puramente umani che abbiamo a nostra disposizione, non possiamo liberarci dalla colpa, non riusciamo a preservarci a lungo dal peccato mortale, anzi non abbiamo neppur la forza e la idoneità necessarie per compiere delle azioni che, a rigore di giustizia, abbiano valore presso Dio e merito soprannaturale. Ed infatti, dal momento che Gesù disse: « Nessuno può venire a me, se il Padre mio non lo attrae » e « Senza di me non potete far nulla » (Giov. 6, 44; 15, 5), non è più il caso di discutere. Tuttavia quel buon Dio, che vuol essere Egli stesso l’autore della nostra virtù, il promotore della nostra salvezza e il consumatore della nostra santità « affinché nessun uomo si glorii davanti a Lui » (1 Cor. 1, 29), ci comunica nei momenti del bisogno o dell’opportunità una luce, un calore, un’energia tutta soprannaturale e divina, che si chiama grazia attuale, assecondando noi la quale e corrispondendovi docilmente, veniamo portati — secondo i casi — a detestare il peccato, liberati dal medesimo, arricchiti della grazia santificante, aiutati ad evitare la colpa, a praticare opere virtuose, a vivere secondo il beneplacito di Dio. È questa, quella mirabil forza divina comunicataci dal Signore, che può darci perfino il coraggio di dire con S. Paolo: « Se abbiamo Dio con noi, chi oserà mettersi contro di noi? » (Rom. 8, 31). – Questi sono in riassunto gli argomenti che ho svolto fino a questo punto. Ora, dal momento che questa luce e questa forza divina ci è offerta in sì larga e generosa misura, « non è lecito dire: Non posso. Sarebbe un accusare il Creatore. Infatti se ci avesse fatti incapaci e ci comandasse egualmente, l’accusa sarebbe contro di Lui» (Crisostomo). « Non si caricano nemmeno le bestie con pesi superiori alle loro forze ». Quindi « se anche un sol uomo al mondo, in una sola circostanza della vita, non potesse evitare il peccato mortale, Dio sarebbe ingiustissimo ed il tiranno più crudele; poiché punirebbe con un inferno eterno ciò che non si può evitare » (Ut vitam habeant, pag. 58, e Vivere in Cristo, pag. 67 – I ediz. di ambedue). « Come dunque molti non possono? Perché non vogliono. E come non vogliono? Per indolenza (proprio questo è il motivo precipuo, anche in questi nostri tempi. Ciò che è spirituale non interessa, e perciò vien trascurato): ed invero, se volessero, potrebbero benissimo. Infatti abbiamo Dio che ci dà l’aiuto e la forza. Basta che noi pure facciamo la scelta, che ci disponiamo agli atti che dobbiamo compiere come a un dovere, che abbiamo premura, che mettiamo attenzione, e tutto verrà da sè » (Crisostomo). Ma purtroppo — ecco, ecco il gran guaio! — purtroppo, dico, tanti non si decidono a far la scelta d’una vita veramente cristiana, non si dispongono agli atti necessari per raggiungerla, non si danno premura di afferrare le buone occasioni per convertirsi e per operare il bene. Essi invece seguendo il contegno dei più, si lasciano facilmente distrarre ed illudere dalle molteplici cianciafruscole che di giorno in giorno offre il mondo, non reagiscono contro le proprie cattive inclinazioni, si ripromettono di darsi a Dio quando saran cessati i bollori delle passioni giovanili, confidano in quella divina misericordia che è bensì da Dio promessa, ma solo a chi è pentito e non a chi ne abusa…; ed allora, per necessità di cose e quasi a dispetto di tutti i ben studiati puntelli che genitori pii, Dirigenti dell’Azione Cattolica, santi Sacerdoti e Missionari zelanti si sforzano di approntare e mettere dove ne vedono il bisogno, succede purtroppo ciò che chiaramente si vede da tutti, che cioè i peccatori non si convertono davvero, i tiepidi non divengono migliori ed i buoni non si fan santi; se pur non succede di dover vedere tutto il rovescio, cioè i santi medesimi divenire — adagio, adagio — prima appena buoni, poi tiepidi ed infine peccatori e pessimi peccatori anch’essi! Ah! certe floride promettenti giovinezze cristiane, prima illanguidite, poi afflosciate, poi appassite ed infine.., ah! In fine Dio solo sa ciò che è divenuto o diviene di esse! – Dunque — come già dissi — da tanti, da troppi non si coopera alle grazie di Dio, non si corrisponde fedelmente ad esse; e quindi si va, di precipizio in precipizio, fino all’ultimo: quello dell’inferno. – Ora io mi chiedo: Non ci sarà proprio alcun mezzo sicuro, che ci procuri delle grazie talmente forti alle quali noi infallibilmente corrispondiamo? E rispondo trionfalmente: Questo mezzo c’è: ed è precisamente e soltanto la preghiera di petizione. E per provarlo a sufficienza bastano, intanto, le seguenti citazioni: « Chi prega certamente si salva » (S. Alfonso de’ Liguori). « Troppo lo dimostra l’esperienza, che chi ricorre a Dio nelle tentazioni non cade, e chi non ricorre cade, e specialmente nelle tentazioni d’incontinenza » (S. Alfonso). « Bisogna persuaderci che dal pregare dipende tutto il nostro bene, dal pregare dipende la mutazione della vita, dal pregare dipende il vincer le tentazioni, dal pregare dipende l’ottener l’amor divino, la perfezione, la perseveranza, la salute eterna » (S. Alfonso). « Nessuna cosa può resistere a lungo alla soave e potente influenza della preghiera: non le passioni, non la forza delle tentazioni e dei pericoli. Trionfa di tutto. Trasforma insensibilmente i sentimenti, le idee, la volontà e i pensieri. Colla preghiera, senza accorgersi, l’uomo diventa un altro » (P. Meschler S. J.). « La preghiera fatta colle debite disposizioni ha, per divina promessa, l’infallibile efficacia d’impetrare ciò che si domanda » (Teol. Priimmer) « E’ certissimo che la preghiera fatta colle dovute condizioni impetra infallibilmente la grazia attuale efficace, quella cioè alla quale l’uomo, sempre liberamente, ma infallibilmente corrisponde. – In altre parole la preghiera ottiene infallibilmente la grazia non di potersi convertire (ìntendi: non solo la possibilità di convertirsi), ma di convertirsi di fatto; non di poter essere casti, ma di vivere realmente puri; non di poter odiare il peccato, ma di odiarlo effettivamente, ecc. ecc. – È certissimo che ciò vale anche della perseveranza nel vivere in grazia di Dio e della stessa perseveranza finale. Colla preghiera è certissimo che infallibilmente si ottiene la grazia non di poter perseverare, ma di perseverare di fatto nella grazia santificante; non di potersi salvare, ma di salvarsi davvero. Cioè pregando ci assicuriamo in modo infallibile non solo che Dio ci conceda le grazie attuali, ma altresì la corrispondenza alle grazie che ci vengono concesse; essa pure una grazia. Alla sola preghiera Dio ha promesso infallibilmente la grazia efficace; e perciò colla preghiera soltanto ce la possiamo assicurare infallibilmente » (« Ut vitam habeant » I, Ediz. pag. 92). « I comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni, coll’aiuto della grazia, che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore » (Cat. di Pio X Dom. 1654. – Ed ora venga Dio stesso a confermare quanto dissero i suddetti. Egli in ben tre luoghi della Sacra Scrittura ci fa sapere che « chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo » (Gioel. 2, 32; Att. 2, 21; Rom. 10, 13). Sarà salvo, soggiungo io, prima dal peccato e poi dall’inferno. E quanto dirò da adesso avanti non servir ad altro che a confermare questa consolantissima verità alla quale sono finalmente arrivato. Deh, mi si accompagni! Le cose che dissero Dio, i Santi e gli uomini grandi sulla preghiera, sono davvero meravigliose, apportatrici di conforto e conducenti a speranza; e ci conviene ascoltarle con attenzione e meditarle profondamente. Io stesso le medito per ordine che le stendo.

11. — La gran forza dell’uomo.

Dunque chi invoca di vero cuore il buon Dio avrà da Lui un aiuto tale per cui di fatto certamente osserverà sempre, anche nelle più forti tentazioni e pur nei più gravi non ricercati pericoli, tutti i suoi comandamenti, anche i più difficili. Anzi è unicamente la preghiera — intesa nel senso da me esposto e che determinerò sempre meglio nel decorso dell’esposizione — quel grande mezzo che senza fallo c’impetra dal Signore le grazie efficaci che ci sono necessarie per uscire dallo stato di peccato, per ottenere la grazia santificante, per evitare nuove gravi colpe, per accrescere le nostre virtù e i nostri meriti presso Dio, e infine salvarci. Ma — dirà più di uno — non è pur necessario applicarci a conoscere il bene, le verità che dobbiamo credere, le cose che dobbiamo fare ed i mezzi che dobbiamo adoperare per renderci a Dio graditi? — E’ necessariissimo anche questo; poiché chi intende salvarsi davvero e rendersi a Dio gradito, deve pur ricercare ciò che Egli esige da lui perché possa raggiungere lo scopo della sua vita, che è quello di conoscere, di amare e di servire il suo supremo Signore per averne il promesso guiderdone. Però la passione di apprendere tutte queste cose ci sarà comunicata da Dio, se noi Gliela chiederemo colla nostra preghiera. Invece, se non la domanderemo, noi non l’avremo mai in modo che veramente ci giovi a salute. E non si devono pur fuggire le cattive occasioni che potrebbero trascinarci o spingerci al peccato? — Certamente, poiché sta scritto; « Chi ama il pericolo in quello perirà. Il vino e le donne fan perdere il buon sentimento perfino ai più saggi.., Fuggi dalla faccia del peccato, come fuggiresti alla vista d’un serpente » (Eccl. 3, 27; 19, 2; 21. 2). Ma anche questa grazia veramente grande ci sarà procurata dalla sincera e fervida preghiera, -assai più e meglio che dalla più oculata attenzione che non dobbiamo mai trascurare in proposito. Il Signore. da noi cordialmente invocato, le toglierà o le farà svanire o ci darà la forza di eluderle, neutralizzarle, evitarle. Non si deve anche vegliare sopra noi stessi, reprimere le nostre malvagie passioni, sforzarci di correggere le nostre perverse tendenze e cattive abitudini, e per giunta scacciare le tentazioni al male e declinare i perfidi inviti dei mondani? – Guai  chi lo nega! Infatti « chi ha creato te senza di te, non salverà te senza di te », cioè senza la tua cooperazione (S. Agostino), e « non è detto che dobbiamo lasciare unicamente a Dio la cura della nostra salute. Ha diritto di aspettarsi aiuto e salvezza da parte di Dio sol chi impiega da parte sua tutte le forze per meritarselo » (Scheeben). E deve pur sapersi che né Dio, né i Santi si presterebbero mai a nutrire la nostra poltroneria » (Curato d’Ars), poiché « il Paradiso non è fatto pei poltroni » (S. Filippo Neri). Anzi guai anche a chi resta passivo in questa lotta. Infatti Dio già a Caino aveva detto: «Frena il tuo malvagio appetito, e così lo dominerai (Gen. 4, 7). Tuttavia come potremo noi riuscire vittoriosi in questo combattimento, se di fronte alle insinuazioni diaboliche, alle esigenze dei sensi ed alle lusinghiere seduzioni del mondo, siamo come fragili canne esposte alle bufere e come tenere erbe sotto lo scrosciar della grandine?… Perciò anche qui ci vuole la forza di Dio, che possiamo senza dubbio impetrare colla istante, fiduciosa e fervente preghiera. « Mentre combattiamo in questo agone, domandiamo l’aiuto del Signore. Se Egli non ci aiutasse, nonché vincere, noi non potremmo neppur combattere » (S. Agostino, Serrn. 156). Le amarezze poi della vita son tante! Or come potremo noi conservare sempre in mezzo ad esse la necessaria pazienza e rassegnazione? — Oh! assai più facilmente chiedendola con la insistente preghiera, che non con tutte le più sagge considerazioni, coi più tenaci sforzi e coi nostri più seri propositi, che pur non debbono assolutamente omettersi. E dobbiamo anche meditare sopra le grandi verità eterne, sui benefici della Redenzione, sui mezzi di santificazione, sulle virtù cristiane, sulla nostra responsabilità di fronte al nostro prossimo e soprattutto di fronte a Dio, ed approfittarci delle prediche, delle istruzioni religiose e delle pie letture? — Certo bisogna che facciamo anche questo. Infatti chi non s’approfitta di queste pratiche e non medita seriamente sugli argomenti da me proposti, ed anche su diversi altri ricordati dai buoni maestri spirituali, « poco conosce i difetti, poco i pericoli di perdere la divina grazia, poco i mezzi per superare le tentazioni e poco conoscerà ancora la stessa necessità di pregare ». Tuttavia « che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare e poi non farlo, se non per renderci più colpevoli innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo (e assistiamo a prediche) quanto vogliamo: non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempierle» (S. Alfonso de’ Liguori). Ecco dunque necessaria la preghiera anche per valorizzare le nostre meditazioni e quanto ci vien proposto nelle prediche ed istruzioni religiose. – Tanti poi, a periodi, sentono grande ripugnanza per tutto ciò che sa di religione e di virtù. È questa una gravissima tentazione del demonio; e potrà anch’essa facilmente farsi svanire per mezzo della preghiera; la quale, se allora sarà più difficile e pesante, sarà appunto per questo più meritoria e quindi anche più facilmente esaudita da Dio. – E chi è in peccato mortale, oltreché pentirsi convenientemente del male fatto e proporre sinceramente di evitarlo e di rimediare — per quanto è possibile — alle sue conseguenze, non è forse pur obbligato a confessarsene sacramentalmente, se vuol essere perdonato da Dio? Oh! certamente! Lo vuole Gesù, nostro divin Redentore; e quindi anche questo è un precetto divino. Ma come potrà il misero vincere la ripugnanza di compiere quest’atto salutarissimo, apportatore di misericordia e di pace?… Ah! stia pur certo che, se è di cuor retto, il Signore da lui cordialmente invocato farà svanire gl’immaginari ostacoli; ed egli piegherà volentieri le sue ginocchia davanti al ministro di Dio, che gli dirà la certa e sicura parola del divino perdono. E chi non vedesse la necessità della S. Comunione neppure a Pasqua? — Anche costui preghi il buon Iddio ad illuminarlo; ed egli certamente verrà a conoscere che la S. Comunione è il più forte e sostanzioso cibo dell’anima, il più efficace preservativo dal peccato, il più potente generatore di virtù e quell’alimento misterioso che gli farà gustare e vedere quant’è soave il Signore (Salm. 33, 9); e — dopo ciò — non potrà fare a meno di accostarsi spessissimo a questa mensa celeste, nella quale si riceve Colui che è « via, verità e vita » (Giov. 14, 6), e « pegno di vita eterna » (Liturg.). E chi sentisse la propria volontà recalcitrante all’osservanza della divina legge, dovrà dirsi perduto? — No; attivi tutta la sua energia per domarla e piegarla al bene; ma se — con tutto ciò — non riesce a sottometterla, ricorra con fiducia al Signore. Se « l’uomo non può colle sole sue forze cambiare la sua cattiva volontà » (Scheeben), la Chiesa ha però una preghierina anche per questi miseri. « Placati, te ne preghiamo, o Signore, — essa dice nella Messa della IV Dom. dopo Pentecoste — e benignamente spingi verso di Te le nostre sia pur ribelli volontà »; e nelle grandi Litanie: « Liberaci, o Signore, dalla cattiva volontà ». E chi non volesse riconoscere la sua miserabile condizione di fronte a Dio, ancorché fosse carico di peccati e di perverse abitudini? — Oh! avrà anche costui una moglie, una figlia o una mamma la quale possa pregare per lui! Noi sappiamo che Dio ha in mano le chiavi delle menti e dei cuori di tutti; e c’è pur noto che Gesù esaudì anche le preghiere fattegli per altri e se uno avesse perfin perduta la fede? — Il caso purtroppo non è raro. Anzi oggidì è assai frequente; ed è gravissimo. Tuttavia il rimedio c’è anche per questi; ed è quello indicato or ora: se c’è chi prega per lui, non bisogna mai disperare. Ma non potrebbe egli stesso tentare di far questa breve preghiera: « O Signore, se è vero che Tu esisti e che vuoi qualcosa da me… se è proprio vero quanto insegna la Chiesa Cattolica, ti prego istantemente d’illuminarmi e di darmi la forza di assecondare i tuoi voleri! »? — Certamente a tempo opportuno egli sperimenterà quanto è buono il Signore. E lo stesso dicasi per qualsiasi caso che possa prospettarsi nella vita umana, poiché « la preghiera è bensì una; ma con essa si ottengono tutte le cose » (Teodoreto). E dev’essere proprio così. Gesù infatti afferma: « In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domanderete al Padre nel nome mio, Egli ve la concederà» (Giov. 16, 33). E la parola di Gesù non può fallire. Dopo ciò come oseremo noi temere che Dio possa, anche una sola volta, mancare alla sua promessa? Ah! fra gli uomini purtroppo sono abituali le mancanze alla parola data; ma in Dio ciò è impossibile. Infatti « chi mai lo invocò, e ne fu disprezzato » (Eccli. 2, 12), rimanendo così deluso nelle sue speranze? Oh! si faccia pure avanti!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (3)

10. I DIECI COMANDAMENTI DI DIO.

1. DIO DIEDE IL DECALOGO AGLI EBREI SUL MONTE SINAI.

I comandamenti furono proclamati il 50° giorno dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto. Dio gli diede un esordio solenne: “Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto”. (Es. XX, 2). Dio agisce come un sovrano che, in testa ai suoi decreti, dichiara il suo nome ed i suoi titoli, per ispirare maggiore rispetto. I 10 comandamenti sono stati incisi su 2 tavole, per rendere chiaro che questi 10 comandamenti sono solo una spiegazione più dettagliata dei 2 comandamenti dell’amore. Chiamiamo questi 10 comandamenti “Comandamenti di Dio” perché Dio è il loro autore. Sono anche chiamati Decalogo, cioè le 10 parole. – La Chiesa cattolica, con l’aiuto dello Spirito Santo, ha modificati in senso cristiano la forma del Decalogo promulgato sul Sinai. Il decalogo ebraico comprende i seguenti comandamenti

1° quello di adorare Dio solo; 2° il divieto di adorare immagini; 3°nominare il nome di Dio invano; 4°. il comandamento di santificare il sabato; 5° il comandamento di onorare i propri genitori; 6° il divieto di omicidio; 7° l’adulterio; 8° il furto; 9° la falsa testimonianza; 10° il desiderio della proprietà altrui. (Es. XX, 1-17). La Chiesa cattolica ha quindi unito il 2° comandamento relativo all’idolatria al 1° comandamento relativo al culto dovuto a Dio, ha diviso invece il 10°, ed ha enfatizzato il 9° comandamento per aumentare il prestigio della donna cristiana. – Nel comandamento relativo al rispetto dovuto ai genitori, la Chiesa aggiunse: “per vivere a lungo” e questo in conseguenza delle parole di S. Paolo nell’epistola agli Efesini. VI, 3. La Chiesa ha anche trasferito l’obbligo di santificare il sabato alla domenica. – L’opinione dei Giudei, secondo cui ciascuna delle due tavole contenesse cinque comandamenti, sembra essere fondata e ciò che spinge a crederlo è che i primi 5 comandamenti del decalogo ebraico si riferiscono a Dio e ai suoi rappresentanti, e che gli altri 5 si riferiscono a noi ed ai nostri simili. Anche il Salvatore, nella sua risposta al giovane nel Vangelo, inizia l’elenco dei comandamenti di Dio con il 6°, che proibisce l’omicidio (S. Matth. XIX, 18), e S. Paolo considera anche che gli ultimi 5 comandamenti ebraici (gli ultimi 6 della legge cristiana) concatenati l’uno all’altro (Rom. XI II, 9).

2. I CRISTIANI SONO ANCHE TENUTI AD OSSERVARE I 10 COMANDAMENTI, PERCHÉ DIO LI HA SCOLPITI NEL CUORE DI OGNI UOMO E PERCHÉ GESÙ CRISTO LI HA PERFEZIONATI.

I 10 comandamenti si applicano anche ai Cristiani. (C. Tr. 6, Can. 19). Perché Dio li ha incisi nel cuore di ogni uomo. È solo perché la luce divina era oscurata dai cattivi costumi e da una corruzione che durava da tempo, che Dio ha ritenuto necessario dissipare le tenebre promulgando la legge del Sinai (Cat. rom.). “Ciò che essi rifiutarono di leggere nei loro cuori fu inciso sulle tavole ” (S. Aug.). – Gesù Cristo ha rinnovato i 10 comandamenti nelle sue parole al giovane ricco. (S. Matth. XIX, 8). Egli disse anche che non era venuto ad abolire la legge, ma ad osservarla. (S. Matth. V, 17). – Nel Sermone sul Monte, Gesù Cristo perfezionò diversi comandamenti del decalogo, ad esempio il 2°, dichiarando peccaminosi tutti i giuramenti inutili; il 5° e l’8°, vietando l’odio e gli insulti contro i propri simili e prescrivendo di fare del bene anche ai propri nemici; il 6° proibendo ogni desiderio colpevole (S. Matth. V)

3. I 10 COMANDAMENTI DI DIO SONO BEN COORDINATI.

I primi 3 contengono i nostri doveri verso Dio; come nostro sovrano Padrone, Dio ci chiede, nel 1° comandamento l’adorazione e la fedeltà; nel 2° il rispetto; nel 3° il servizio.

Il 4° comandamento contiene i nostri doveri nei confronti dei rappresentanti di Dio sulla terra, che sono allo stesso tempo i nostri più grandi benefattori.

Gli altri 6 comandamenti comprendono i nostri doveri verso noi stessi e verso i nostri simili.

Il 5° comandamento protegge la vita, il 6° l’innocenza, il 7° la proprietà e l’8° la reputazione, il 9° e il 10° tutti i diritti della famiglia.

4. CHIUNQUE OSSERVI TUTTI QUESTI COMANDAMENTI SARÀ RICOPERTO SULLA TERRA DALLE GRAZIE E DALLE BENEDIZIONI DI DIO ED OTTERRÀ UN’ETERNITÀ BEATA DOPO LA SUA MORTE.

Nella sua conversazione con il giovane ricco, Gesù gli disse che l’osservanza dei 10 comandamenti porta alla vita eterna (S. Matth. XIX, 17). Possiamo raggiungere il cielo solo attraverso il ponte dell’obbedienza; questo ponte ha 10 arcate, che sono i 10 comandamenti (S. Vin. Fer.). Dio ha organizzato le cose in modo tale che ciò che conduce alla felicità eterna, produca già quaggiù la felicità materiale. “La pietà è utile a tutto; è alla pietà che sono stati promessi i beni della vita presente e quelli della vita futura” (I. Tim IV, 8). Chi osserva i comandamenti di Dio ottiene una conoscenza più perfetta di Dio, pace interiore, salute, ricchezza e onori. “I tuoi comandamenti mi hanno reso saggio” (Sal CXVIII, 104). Chi ama la tua legge gode di grande pace” (Sal. CXVIII, 165). La pace non è altro che la piacevole sensazione di pensare che la nostra condotta sia conforma alla volontà di Dio. “Beato chi ama la legge del Signore, qualsiasi cosa intraprenda avrà successo” (Sal. I, 3). Chi osserva i comandamenti uscirà vittorioso da ogni sofferenza e persecuzione; Gesù Cristo dice che la sua casa è costruita su una roccia, che né i venti, né le piogge torrenziali possono distruggere (Matteo VII, 25). L’uomo giusto assomiglia ad un albero piantato sulle rive di un fiume. (Sal. I, 3). L’esempio di Abramo, di Giuseppe in Egitto, di Davide, di Giobbe ci dimostrano che Dio ricompensa il giusto già in questa vita. E se la nostra ricompensa fosse piccola in questa vita, sarebbe tanto più grande nella prossima; essa supererà tutto ciò che abbiamo sperato e sarà senza misura e senza fine (S. Cris.). È infatti bene mantenere la propria promessa, che dare più generosamente di ciò che si è promesso (S. Gir.).

5. CHIUNQUE TRASGREDISCA UNO SOLO DI QUESTI COMANDAMENTI SARÀ PUNITO IN QUESTO MONDO ED IN ETERNO NELL’ALTRO.

Chi trasgredisce i comandamenti è come un pesce preso all’amo, o come un treno che esce dai binari. Le punizioni temporali del peccato sono di solito un dispiacere, una malattia, la perdita dell’onore o della fortuna, la miseria ed una morte infelice. Lo testimoniano il figliol prodigo, gli abitanti di Sodoma, i figli di Hélie, Assalonne, Baldassarre, il crudele re Antioco, Giuda. Dio non aiuterà nel momento della prova chi non osserva i comandamenti. A chi non osserva i comandamenti, dice Gesù Cristo, costruisce la casa giace sulla sabbia che non resiste alla pioggia battente. (S. Matth. VII, 27). I tuoni ed i lampi sul Sinai sono il simbolo del fuoco eterno, riservato a chi non osserva i 10 comandamenti. (Cat. r.) Chi osserva tutta la legge tranne un comandamento, li trasgredisce tutti. (S. Giac. II, 10) Infatti, tutti i comandamenti sono uno solo, perché sono così strettamente legati che l’uno non esiste senza l’altro. (S. Cris.) Trasgredire un solo comandamento è peccare contro la carità, da cui dipende tutta la legge, da cui dipende tutta la legge. (S. Aug.) Lo stesso vale per uno strumento di cui una sola corda scordata distrugge tutta l’armonia. (S. Cris.) Nel corpo umano un solo organo malato può portare alla morte (S. Aug.); una città di cui una sola parte sia lasciata incustodita è in balia del nemico. L’inferno è pieno di reprobi che, pur avendo osservato alcuni comandamenti, non li hanno osservati tutti.

6. L’OSSERVANZA DEI COMANDAMENTI È FACILE CON LA GRAZIA DI DIO: “Il mio giogo è dolce– disse Gesù Cristo ai suoi discepoli –e il mio carico è leggero“. (S. Matth. Xi, 30).

S. Giovanni disse ai Cristiani: “I comandamenti non sono difficili da osservare”. (I. S. Giovanni V, 3). Il fardello, tuttavia, è di per sé pesante, ma Dio ci aiuta con la sua grazia, se glielo chiediamo. S. Agostino dice: “Se Dio ti comanda, è perché vuole che tu faccia ciò che puoi e che gli chieda di aiutarti a fare ciò che non puoi.”. “Posso fare ogni cosa”, grida S. Agostino. “Tutto posso – esclama S. Paolo – in Colui che mi dà forza” (Fil. IV, 13). Ciò che deve incoraggiarci è aver visto altri Cristiani e soprattutto i Santi darci l’esempio. (S. Cris.).

IL PRIMO COMANDAMENTO DI DIO.

Sul Monte Sinai Dio si espresse in questi termini: “Non avrai divinità straniere accanto a me”. (Esodo XX, 2-7), vale a dire che adorerete solo me come il Signore. (Cat. rom.). Il 1° comandamento richiede un culto sia interno che esterno (S. Alf.). Gesù Cristo l’aveva ricordato quando disse a satana: “Sta scritto: Adorerai il Signore e a Lui solo dovrai servire” (S. Matth. IV. 10).

Con il 1° comandamento Dio ci ordina di adorare Lui e ci proibisce l’idolatria e la superstizione.

I. L’ADORAZIONE O CULTO DI DIO.

Noi ci sentiamo portati a mostrare una stima speciale, cioè ad onorare le persone che sono superiori a noi per potere, esperienza, conoscenza, ecc. Onoriamo i sovrani, gli anziani, gli studiosi, ecc. Quanto più superiore a noi, maggiore sarà il rispetto che avremo per lui. Poiché Dio è infinitamente elevato al di sopra di tutte le cose, gli dobbiamo il massimo rispetto ed onore possibile. Questo rispetto per l’eccellenza si chiama adorazione.

Dobbiamo quindi adorare Dio, perché egli è infinitamente alto sopra di noi e di tutti gli esseri, e perché tutti gli esseri dipendono assolutamente da Lui come Creatore.

Riflettiamo un po’ sull’infinita perfezione di Dio. Meditiamo innanzitutto sulla sua onnipotenza, che si manifesta così splendidamente nel firmamento scintillante di stelle. “I cieli dichiarano la gloria di Dio ed il firmamento proclama la potenza delle sue mani” (Sal. XVIII, 2); la sua eternità… Un giorno è per il Signore come mille anni e mille anni come un giorno” (II. S. Pietro III, 8). Pensiamo alla sua sapienza che ha organizzato in modo così meraviglioso tutta la creazione e che riesce persino a trasformare il male in bene. “0 profondità della potenza divina, sapienza e conoscenza! Quanto incomprensibili sono i suoi giudizi e quanto imperscrutabili le sue vie! (Rm XI, 33); alla cura paterna che Dio ha per le più piccole creature. – Ha rivelato la nascita di Gesù Cristo a dei pastori e a tre pagani. Ha scelto un’umile fanciulla per sua Madre, dei poveri pescatori per suoi Apostoli; fece proclamare il suo Vangelo ai poveri, ecc. “Chi è come il Signore nostro Dio che abita nei cieli? E che non disdegna di guardare le nostre miserie” (Sal. CXII, 5). Quale infinita distanza tra Dio e l’uomo! “Noi amiamo Dio perché lo conosciamo, ma lo preghiamo perché non lo comprendiamo” (S. Gr. de Naz.).

– Siamo assolutamente dipendenti da Dio. “Sia che viviamo sia che moriamo (Rm. XIV, 8) Siamo interamente proprietà di Dio, da Lui abbiamo le membra del nostro corpo, la forza della nostra anima, la nostra esistenza; è Lui che ci ha redento. “Se qualcuno vi rendesse mani, piedi, occhi, ecc. che aveste perso, non sareste disposti a servirlo per il resto della vostra vita per gratitudine? Ebbene, Dio non vi ha dato solo occhi, mani, ecc. ma tutti i possibili beni corporei e spirituali. Non è forse giusto, allora, servire e adorare solo Lui? (S. F. d’Ass.). L’adorazione di Dio è un balsamo prezioso che si produce dalla meditazione delle benedizioni divine (S. Bern.). Non dimentichiamo nemmeno che non siamo nulla senza l’aiuto di Dio. Se Dio ci toglie il cibo, noi periamo, Se non ci dà lo Spirito Santo, siamo ciechi nello spirito; se permette al diavolo di avere troppo potere su di noi cadiamo nel peccato mortale. Lo stesso vale per le altre creature che, come noi, dipendono completamente dal loro Signore, Maestro e Creatore. “Tu sei degno, o Signore nostro Dio, di ricevere gloria, onore e potenza, perché sei tu che hai creato tutte le cose; è per tua volontà che esse sono state create” (Apoc. IV, 11). Venite, adorate il Signore e prostratevi davanti a Colui che ci ha creati, perché Egli è il Signore, il nostro Dio, e noi siamo il popolo del suo pascolo ed il popolo della sua terra. il popolo del suo pascolo e il gregge creato dalla sua mano (Sal. XCIY, 7),

I. ADORARE DIO SIGNIFICA RICONOSCERE INTERIORMENTE ED ESTERIORMENTE CHE EGLI È IL NOSTRO SOVRANO E CHE NOI SIAMO SUE CREATURE E SERVI.

Adorare Dio significa riconoscere la potenza di Dio e la nostra miseria (Marie Lat.). Adorare Dio significa dirgli, come fece Davide: “Il mio essere è nulla davanti a te” (Sal. XXXVIII, 6). L’adorazione divina si manifesta prima con una venerazione interiore di Dio e poi solo con segni esterni. (S. Th. d’Aq.). Chi adora Dio in verità, è chiamato pio.

2. ADORIAMO DIO INTERIORMENTE ATTRAVERSO LA FEDE, LA SPERANZA E LA CARITÀ.

Con la fede ammettiamo tutte le verità rivelate da Dio, e quindi lo riconosciamo come la verità sovrana. Con la speranza, ci aspettiamo ogni bene da Dio onnipotente e sommamente buono, e quindi lo riconosciamo come fonte di ogni bene. Con la carità ci occupiamo esclusivamente di Dio, Lui come meta suprema.

L’esatta conoscenza di Dio è il fondamento più solido del culto di Dio (S. Aug.), perché è impossibile conoscere Dio senza adorarlo. “Chi conosce la potenza di Dio e il suo desiderio di farci del bene, potrebbe forse non riporre la sua speranza in Dio?”. (Cat. rom.). E colui che sa di quanti benefici Dio gli ha concesso, potrebbe non amarlo? “È possibile che una creatura conosca Dio senza amarlo? (S. Th. di Villan.). Il culto di Dio o adorazione è inseparabile dall’amore che abbiamo per Lui. Perché adoriamo ciò che amiamo”. (S. Aug.). Non c’è altra differenza tra l’amore di Dio e la pietà (adorazione) più che tra il fuoco e la fiamma. (S. Fr. di S.). – Il culto divino consiste quindi in queste tre virtù: fede, speranza e carità. (S. Bern.). Dio deve essere adorato attraverso la fede, la speranza e la carità (S. Aug.). Il culto esterno non è altro che l’espressione della fede, della speranza e della carità.

3. ADORIAMO DIO ESTERIORMENTE ATTRAVERSO IL SACRIFICIO, LE PREGHIERE VOCALI, LE GENUFLESSIONI, PROSTRAZIONI, CONGIUNZIONI DELLE MANI, BATTENDOCI IL PETTO E SCOPRENDO IL CAPO.

Il sacrificio consiste nell’abbandono o nella distruzione di un oggetto sensibile al fine di onorare Dio come Signore sovrano di tutte le cose. “Con il sacrificio l’uomo testimonia che Dio è il suo Signore sovrano e la sua beatitudine e si dichiara pronto a dare per Lui i suoi beni, la sua vita e ciò che ha di più caro sulla terra (sacrificio di Isacco). Gli altri atti esterni di adorazione sono solo come ombra del sacrificio, perché con il sacrificio dichiariamo la nostra sottomissione a Dio non a parole (come nella preghiera vocale), né con simboli, come inginocchiarsi e battersi il petto, ma con azioni”. – Genuflettendoci e prostrandoci (come fece Gesù Cristo sul Monte degli Ulivi) riconosciamo che davanti a Dio siamo molto piccoli; congiungendo le mani, che noi siamo come in catene, cioè senza aiuto; battendoci il petto (come il pubblicano nel tempio), che meritiamo di essere picchiati (cioè puniti). Scoprirsi la testa ricorda ai Cristiani che essi servono Dio liberamente. Coprirsi la testa (come i Giudei nella sinagoga) è invece un segno di sottomissione alla legge. (I. Cor. XI, 4-10). Dio impose a Mosè di togliersi i calzari (Esodo III, 5); ancora oggi i maomettani le tolgono prima di entrare nelle loro moschee.

1. Noi dobbiamo adorare Dio esternamente, perché anche il nostro corpo è tenuto ad onorarlo e perché la nostra adorazione interiore è accresciuta dalle nostre dimostrazioni esterne, e perché il culto esterno soddisfa i bisogni della nostra natura umana.

Il corpo e l’anima sono opera di Dio; entrambi gli devono la testimonianza della nostra sottomissione. – Colui che conosce tutto non ha bisogno di segni esteriori come la genuflessione, ecc. perché Egli conosce le intenzioni dei supplicanti, ma questi segni sono utili all’uomo perché sono in grado di infiammare il suo cuore e di accrescere i suoi sentimenti interiori di adorazione. (S. Aug.). Poiché le cerimonie esterne sono solo un mezzo (per aumentare la nostra devozione interiore), possono essere tralasciate se lo danneggiano. Se siamo stanchi, possiamo pregare seduti; possiamo anche, a seconda delle circostanze, pregare in piedi e camminando, quando sappiamo per esperienza che preghiamo meglio in questo modo. “Non stancatevi inginocchiandovi troppo a lungo, perché questo può causare distrazioni. È sufficiente che la mente sia in ginocchio davanti a Dio” (Santa Teresa). – L’uomo è fatto in modo tale da manifestare i suoi sentimenti interiori esteriormente : la sua fisionomia non può nascondere i suoi sentimenti di rabbia, gioia o tristezza che lo animano. Lo stesso vale per i sentimenti di adorazione. Se una casa è in fiamme, le fiamme non tarderanno a manifestarsi! L’uomo dovrebbe negare la sua natura se volesse limitare l’adorazione di Dio ai suoi pensieri e sentimenti interiori.

2. L’adorazione esterna da sola non basta, deve esserci l’espressione di un’adorazione interiore.

Chiunque si inginocchi, si batta il petto, ecc. senza che ciò sia sincero, è un ipocrita, perché sta dando una dimostrazione esteriore di sentimenti interiori che non ha. Quante persone, però, nelle chiese queste cose solo per abitudine o per ostentazione. Non si tratta di salutare Dio come si fa nel mondo, dove si usano tutti i tipi di espressioni educate, come: buongiorno, buonasera, vostro umilissimo servitore ecc. senza attribuire loro il minimo significato. Le cerimonie che fanno parte del servizio di culto devono essere una fedele espressione di ciò che sentiamo dentro di noi. La samaritana disse: “Dio è spirito e chi lo adora deve farlo in spirito e verità” (S. Giovanni IV, 24), cioè il culto esteriore deve essere prima di tutto nel nostro cuore (spirito) e deve rispondere perfettamente all’adorazione interiore (verità). “Perciò non mostrate mai una pietà che non hai; piuttosto nascondi quella che hai”. (Santa Teresa). Coloro che fanno sfoggio della loro pietà assomigliano a persone che si vestono di abiti al di sopra della loro posizione e che di conseguenza vogliono far credere di essere più ricchi di quanto non siano. – Spesso le persone molto viziose cercano di apparire uomini di pietà per farsi passare per santi; si coprono con il mantello della pietà per nascondere la loro depravazione. Si comportano come persone che emanano cattivo odore dalla bocca e si profumano di muschio, o come quelli che, brutti di natura, si truccano per abbagliare gli altri ed attirare la loro attenzione (S. Vinc. Fer.). Gli Egizi avvolgevano i cadaveri nell’olio per evitare che si decomponessero e che emanassero un cattivo odore. È così che satana lavora con i peccatori per far sparire il tanfo dei loro vizi; li imbalsama con il profumo della simulazione in modo che la loro morte non venga riconosciuta. Gli ipocriti si riconoscono dall’ostentazione con cui compiono tutte le loro azioni e dalla mancanza di carità verso il prossimo. Per pregare, si mettono in piedi dove sono più visibili, si battono violentemente il petto, girano gli occhi, sospirano, mostrano un’andatura strascicata edun volto triste, fanno parte di tutte le società religiose, considerano un crimine non confessarsi in certi giorni (ma non considerano un crimine nascondere le colpe in confessione); hanno sempre in bocca formule di pietà, ecc. Dall’altra parte, vivono in inimicizia, parlano male dei loro vicini, rifiutano di fare l’elemosina e nutrono sentimenti di invidia verso il prossimo. Si riconoscono facilmente per come negano la loro nazionalità. “Gli ipocriti sono miserabili martiri del diavolo” (S. Bern.). Il culto esteriore dell’ipocrita non ha fondamento, perché non nasce da un culto interiore. I pianeti e le comete sono corpi celesti brillanti e simili tra loro, ma le comete scompaiono rapidamente, mentre i pianeti brillano costantemente. Lo stesso vale per la pietà e l’ipocrisia. (S. Fr. di S.). Gli

ipocriti rendono la religione ridicola, la fanno odiare e allontanano le persone di buon senso dalle pratiche religiose (perché nessuno vuole essere annoverato tra gli ipocriti); essi non sfuggiranno ad un meritato castigo.

3. Dobbiamo evitare qualsiasi esagerazione nel nostro culto esterno e non trascurare nel suo adempimento i nostri doveri di stato.

Dobbiamo evitare ogni esagerazione nella nostra pietà, che deve essere libera da ogni bigottismo. Non si è veramente pii se si inclina la testa, se si girano gli occhi, affettare la tristezza… al contrario, la vera pietà è gaia (Sailer). Il nostro prossimo deve sentire il piacere di Dio e della virtù che abita in un’anima. (S. Fr. di S.). È anche un difetto variare troppo gli esercizi devozionali. Nella pietà tutto deve essere semplificato. Una breve preghiera, ripetuta cento volte, ha spesso più valore di cento preghiere diverse (S. F. di S.). – Per rendere il culto dovuto a Dio, non bisogna trascurare i propri doveri di stato. Il modo migliore di adorare Dio consiste proprio nell’adempimento fedele dei nostri doveri di Stato. “Chi compie i suoi doveri di stato con zelo e per amore di Dio è veramente pio”. (S. Fr. di S.). La pietà che non si accorda con i doveri di stato è falsa. Come un liquido prende la forma del recipiente in cui viene versato, allo stesso modo la pietà può essere alleata ad ogni stato e ad ogni situazione (S. Fr. di S .).

4. Noi dobbiamo adorare Dio solo, perché Lui solo è il Signore sovrano del cielo e della terra.

Per questo Gesù Cristo disse al diavolo che lo teneva in pugno: “Sta scritto! Tu adorerai il Signore Dio tuo e servire Lui solo” (S. Matth. IV, 10). Sarebbe un segno di disprezzo per un uomo di alta posizione se mi allontanassi da lui per servire un uomo di basso rango. Allo stesso modo, non è lecito dare tutta la propria mente e tutti i propri pensieri ad una creatura e trascurare Dio per amore di una creatura, sarebbe come riconoscere un Dio estraneo. (S. Bas.). Ma possiamo onorare le creature che rispecchiano le perfezioni divine: questo omaggio non è un’adorazione e si riferisce a Dio. La venerazione dei Santi è quindi consentita.

2. IDOLATRIA.

Ogni uomo sente la sua dipendenza da un essere superiore e, di conseguenza, sente il bisogno di adorarlo. Chi non adora Dio, presto renderà omaggio ad una creatura. E chi non adora Dio secondo le prescrizioni e la dottrina della Chiesa, presto lo adorerà in modo insensato.

1. L’IDOLATRIA CONSISTE NELL’ADORARE UNA CREATURA CHE SI RITIEBBE ESSERE DIO, COME AD ESEMPIO IL CULTO DEL SOLE, DEL FUOCO, DEGLI ANIMALI, DELLE STATUE, ECC.

Gli Ebrei erano spesso colpevoli di idolatria; adoravano il vitello d’oro (Es. XXXII), la statua di Nabucodonosor (Dan. III). Anche i soldati giudei che combattevano sotto Giuda Maccabeo avevano preso doni offerti agli idoli. La sconfitta fu la punizione per questa azione e Giuda Maccabeo offrì numerosi sacrifici per la salvezza delle loro anime. (II. Mach. XII, 40). Molti Cristiani si resero colpevoli di idolatria al tempo delle persecuzioni, dove per paura del martirio offrivano sacrifici agli idoli. Anche la grande Rivoluzione commise il crimine di idolatria, quando mise sull’altare la dea Ragione (10 novembre 1793).

Anche oggi i pagani sono idolatri.

I pagani confondono la gloria della creatura con quella del Creatore. (Rm 1,23). I popoli dell’Asia, dove i corpi celesti brillano più che da noi, adoravano il sole, la luna, le stelle; poi il fuoco, fonte di luce, il vento e l’acqua. :(Sap. XIII, 2). Gli Egizi rendevano omaggio agli animali, sia utili che dannosi: i gatti, lo sparviero, il coccodrillo, ma in particolare il bue Apis, un toro nero con una macchia bianca sulla fronte ed altre macchie, che viveva in un tempio. (Veneravano anche delle semplici immagini di di questi animali). I Romani e i Greci adoravano statue e immagini di falsi dei. Per punire i pagani che avevano abbandonato il vero Dio, Dio ha permesso che di cadessero nei vizi più terribili attraverso l’idolatria (Rom. I, 28). Essi si rappresentavano i loro dèi come viziosi e persino come protettori del vizio. Essi fecero di uno di essi, Mercurio, il protettore dei ladri; Bacco, il protettore degli ubriaconi; pensavano di servire questi dei indulgendo in questi vizi. L’idolatria non era altro che l’adorazione del diavolo (I. Cor. X, 20), perché il diavolo ne era l’anima, abitava in questi falsi dei e spesso da lì impartiva i suoi oracoli. Tutti gli dei dei pagani – dice Davide – sono spiriti maligni” (Sal XCV,5). Quanto siamo grati a Dio per la grazia del Vangelo! Alzandoci a Messa al momento del Vangelo, mostriamo a Dio la nostra gratitudine. Oggi nel mondo ci sono ancora circa 800 milioni di persone, più della metà dell’umanità, che sono ancora pagane. Sono particolarmente gli abitanti dell’Africa, dell’India, della Cina e del Giappone. Ogni anno il Papa invia loro numerosi missionari che i Cattolici devono sostenere con le loro elemosine e preghiere. L’opera della Propaganda della fede e l’opera della Santa Infanzia (quest’ultima fondata con lo scopo speciale di accogliere i bambini esposti in Cina, per allevarli e poi farne degli apostoli), sono i migliori missionari.

2. L’IDOLATRIA CONSISTE ANCHE NEL DONO TOTALE DI SÉ AD UNA CREATURA.

Sarebbe ridicolo considerare idolatra chi brucia due grani d’incenso davanti agli idoli, e non chi consacra tutta la propria vita al mondo (S. Bernardino da S.). Le persone avide sono i peggiori idolatri (Ef. V. 6), perché dedicano tutti i loro pensieri, le loro azioni e la loro salute a Mammona, ai beni della terra. L’avidità è idolatria (Colos. III, 5).

Questa idolatria è compiuta da tutti gli uomini che sono immersi nelle passioni terrene, soprattutto gli avari, i superbi, gli intemperanti, gli immorali. Ciò che ciascuno desidera ed ama è il suo “dio” (S. Aug.). Il dio degli avari è il denaro, (Os. VIII, 4); quello dei superbi, è l’onore; quello degli intemperanti, è il loro ventre. (Fil. III, 19); quello degli impuri è il loro corpo (I. Cor. VI, 15). Avarizia, vanità e voluttà sono la trinità dei mondani. – I genitori che amano eccessivamente i loro figli sono anche idolatri (Sap. XIV, 15).

3. L’iIDOLATRIA È UN CRIMINE DI LESA MAESTÀ CONTRO DIO.

L’idolatria è il più grave dei peccati (S. Th d’Aq.). Chiunque se ne rendeva colpevole presso gli israeliti era punito con la morte (Es. XXII, 20). 23.000 ebrei furono messi a morte per ordine di Dio, perché avevano adorato gli idoli. (Ib. XXXII, 28). – L’idolatria è il più grande crimine che si possa commettere sulla terra (Tert.), è il primo e più grande dei vizi (S. Gr. di Nyssa). Chi è idolatra è maledetto da Dio (Deut. XXVII, 15), il che significa che cadrà in miseria; è questa è la triste condizione dei popoli pagani, che si spinsero fino a diventare antropofagi. Essa provocò la morte dei soldati di Giuda Maccabeo, che avevano portato via alcuni dei doni offerti ai falsi dei. Gli idolatri, gli impuri, gli ubriaconi ecc. non possederanno il regno di Dio1 (I Cor. VI, 10).

3. IL CULTO IRRAGIONEVOLE DI DIO.

1. PER CULTO IRRAGIONEVOLE INTENDIAMO LA SUPERSTIZIONE, LO DPIRITISMO, LA MAGIA.

1. La superstizione consiste nell’attribuire alle creature un potere più grande di quello che esse traggono dalla natura o che hanno ottenuto attraverso la benedizione della Chiesa.

La superstizione è di origine pagana. Presso i Romani, gli Aruspici sondavano la volontà degli dèi esaminando le viscere delle vittime sacrificate a loro. I Greci consultavano l’oracolo di Delfi. Lì una sacerdotessa era seduta su un tripode, posto su una fenditura del terreno, dal quale uscivano vapori. Una volta stordita da questi vapori e in stato di incoscienza, emetteva dei suoni che poi venivano interpretati. Fin dai tempi del paganesimo molte usanze pagane superstiziose sono sopravvissute fino ai giorni nostri, ad esempio, si accendevano fuochi sulle montagne alla vigilia di San Giovanni per scongiurare una catastrofe. Alcuni ritengono che i bambini nati di domenica siano predestinati alla felicità, e quelli nati di venerdì come portatori di sfortuna. Fanno portare loro delle cinture rosse per proteggerli dagli incantesimi. Altri sciocchi sostengono che un quadrifoglio o una corda dell’impiccato, indossati sulla persona, portino fortuna. Recentemente in una città protestante della Germania (Francoforte sul M.) molte strade si sono rifiutate di permettere l’apposizione del n. 13 sulle case; il consiglio comunale è stato costretto ad eliminare questo numero. Questo tipo di superstizione riguarda cose naturali. Ma capita anche che alcune persone attribuiscano agli oggetti religiosi una virtù maggiore di quella che hanno in realtà; credono che una candela benedetta, accesa durante un temporale, preservi infallibilmente e da sola dai fulmini, che la recita di certe preghiere impedisca di annegare o bruciare. Questa superstizione cede solo all’istruzione ragionata o alla derisione. – D’altra parte, non si è superstiziosi quando si utilizzano o si portano con sé oggetti benedetti dalla Chiesa e che quindi hanno una virtù soprannaturale, anche se non infallibile. Pertanto, portare una croce benedetta, un rosario, una reliquia, usare l’acqua santa per ottenere da Dio la liberazione da alcuni mali non è superstizioso. – Ci sono persone che accusano la Chiesa di “indurre alla superstizione”; questa accusa è assurda, perché è proprio la Chiesa a combatterla. Oltre alle persone semplici, sono proprio le persone di mentalità forte ad essere superstiziose. Incredulità e superstizione vanno di solito di pari passo.

2. La divinazione consiste nel guardare al futuro e nel ricercare cose occulte con mezzi inadatti a dare queste indicazioni.

I pagani praticavano l’astrologia. Prevedevano il destino degli uomini in base al corso degli astri; ancora oggi, persone di mentalità ristretta sostengono che l’apparizione di una cometa presagisca guerre, carestie o altri mali. Gli auguri romani deducevano il futuro dal grido degli uccelli o dalla voracità dei polli sacri. Ancora oggi i Cristiani si fanno leggere le carte: secondo quanto riportato dai giornali, ci sono centinaia di cartomanti a Berlino, Parigi e in altre grandi città che vengono ricevuti nelle migliori case. Altri interpretano i sogni in base a determinati libri (oracoli), studiano le linee della mano ed il futuro attraverso combinazioni di numeri, figure ed eventi diversi. (Uno starnuto al mattino presto significherebbe un dono; l’ululato di un cane, la morte di una persona; il fermarsi di un orologio, la morte di un parente; il volo di una civetta su una casa, la morte di un membro della famiglia). Alla divinazione sono legate le previsioni della lotteria. I giocatori della lotteria hanno i numeri da un sogno e da ogni cosa o evento che designa il biglietto da prendere. Un terremoto si è verificato a Roma il 1° novembre 1895. 1 milione di lire sull’11 (il numero del terremoto), sul 90, il numero del grande terrore, sull’1 (per via del 1° novembre), sul 4 e sul 38 (per via delle 4 ore e 38 minuti); nessuno di questi numeri è stato estratto! E queste sono cose che succedono nel XIX secolo, in pieno secolo dei lumi! – D’altra parte, non è divinazione dedurre il probabile tempo atmosferico da certi segni del sole, del vento, delle nuvole, degli animali (uccelli, rane, pesci, ecc.). – S. Ambrogio dice degli indovini: “Ignorano il loro stesso futuro e pretendono di conoscere quello degli altri. Chi crede in loro è uno sciocco”. Filippo, re di Francia, ci mostra quanta poca fiducia meritino gli indovini. Gli era stato predetto che sarebbe morto se avesse distrutto una certa immagine. Egli se la fece portare e la gettò nella finestra.

3. Lo Spiritismo consiste nell’evocare gli spiriti con lo scopo di conoscere cose nascoste.

Gli spiritisti si offrono agli spiriti come strumenti (medium); vogliono che lo spirito sconosciuto (demone) usi la loro mano o il loro linguaggio per farsi comprendere da certe manifestazioni, come bussare, scrivere, ecc. “È un essere istruiti dal diavolo, quando si hanno a disposizione le Sacre Scritture, cioè la parola di Dio, a tale scopo”. (S. Th. d’Aq.). Nessuno deve interrogare gli spiriti, perché ciò dispiace al Signore. (Deut. XVIII, 11). Si pensa di scusare gli spiritisti dicendo che, nonostante ciò, siano Cristiani, invochino spesso il nome di Dio e lo preghino.

“È proprio per questo motivo che li odio e li detesto (gli evocatori di spiriti), perché abusano e disonorano il Nome di Dio, e si dicono Cristiani facendo le opere dei pagani”. (S. Cris.).

4. La magia consiste nel far intervenire gli spiriti per produrre cose miracolose.

È un fatto innegabile che, soprattutto tra i pagani, c’erano persone che, con l’aiuto del diavolo, facevano cose straordinarie. In Egitto al tempo di Mosè, i maghi imitavano i suoi miracoli (Esodo VII). Nei tempi degli Apostoli viveva in Samaria Simone il mago che abbagliava la folla con i suoi artifici. (Act. Ap. VIII, 10). Anche l’Anticristo dovrà, con l’aiuto dello spirito maligno, operare molti miracoli apparenti. (II Tess, II, 8). – Non dobbiamo considerare come maghi i prestigiatori che suscitano stupore per la loro abilità.

2. LA SUPERSTIZIONE ACCECA L’UOMO E LO CONDUCE ALLA FOLLIA.

Le persone superstiziose diventano vili e codarde; si spaventano da un momento all’altro: l’ululato di un cane, il fischio nelle orecchie, la vista di una vecchia donna; non hanno energia quando i loro segni preannunciano disgrazie, e si sgomentano quando vedono che i segni della speranza delusi. Questi presagi li rendono spesso impietosi nei confronti dei loro simili; sono molto veloci a pensare male dei loro compagni, rifiutano di fare il bene a certe persone, e in certi giorni, perché credono che ciò comprometta la loro felicità. – La storia che segue mostra quanto sia facile per le persone superstiziose essere ingannate da segnali di avvertimento. Un medico esortava una donna molto malata a ricevere l’estrema unzione. La donna aveva già deciso, quando improvvisamente sentì il grido del cuculo: “Vivrò altri 12 anni – gridò – perché il cuculo ha gridato 12 volte”, e non voleva più sentir parlare di riconciliazione con Dio. Ma le sue condizioni si aggravarono e poche ore dopo era morta. – La superstizione dispiace a Dio. “Sradicherò dal mio popolo l’anima che si rivolge agli indovini ed ai maghi (Levitico XX, 6). “Odiate – disse Davide a Dio – coloro che ripongono la loro fiducia in cose vane” (Sal. XXX, 7). Chiunque riponga la propria fiducia in cose vane o in spiriti malvagi, attribuisce loro un potere superiore a quello di Dio, e pertanto nega le perfezioni divine: la sua santità, la sua onnipotenza, la sua sapienza, ecc. Dio punisce la superstizione molto severamente. Achozia, re d’Israele, mandò dei messaggeri ad Accaron per chiedere a Belzebù di guarirlo. Il profeta Elia incontrò i messaggeri e disse loro: “Tornate dal re che vi ha mandato e ditegli: “Questo è ciò che dice il Signore”: “È forse perché non c’è Dio in Israele che avete consultato Belzebù? Perciò non ti alzerai dal tuo letto di dolore e morirai”. Achozia morì poco dopo. (IV Re I) È vergognoso per i Cristiani rinnovare con il diavolo il patto strappato da Cristo nel Battesimo. (S. Efr.).

Peccati contro il 1° comandamento.

Si pecca contro il 1° comandamento di Dio:

Quando si trascura la preghiera.

I pagani avevano le loro divinità lariane; le salutavano sotto i portici dei palazzi, come sui tetti delle case di paglia; e noi vediamo i Cattolici che conoscono il vero Dio e gli rifiutano il loro omaggio quotidiano. (Lettera circolare dei Vescovi austriaci 1901). I discepoli di Maometto non mancano di inginocchiarsi nel momento in cui risuona la chiamata alla preghiera, anche in mezzo alla strada, ma i presunti Cattolici illuminati si pongono al di sopra della pratica della preghiera. Sfortunate sono le famiglie dalle quali la preghiera in comune sia scomparsa!

2. Quando la religione viene perseguitata sia con discorsi contro la fede, o con la pubblicazione o la protezione1 di giornali irreligiosi o di libri irreligiosi, o con la partecipazione a società anticattoliche.

3. Quando si pratica l’idolatria o ci si lascia assorbire da cose terrene.

4. Quando si è superstiziosi;

5. Quando si pratica la divinazione o ci si fa predire la buona fortuna.

6. Quando si evocano gli spiriti per conoscere cose occulte o compiere prodigi.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XII – “SERTUM LÆTITIÆ”

Il Santo Padre, appena eletto, scrive ai Vescovi e ai fedeli degli Stati Uniti questa bellissima lettera piena di riferimenti storici e dottrinali a tutti utili ancora oggi che quella nobile terra si è allontanata sempre più dal pensiero del Vicario di Cristo, diventando la nazione dalle radici cristiane più spregiudicata ed anticattolica del mondo, nonché focolaio perenne di guerre e contese internazionali. Indubbiamente le forze del male, il “mistero dall’iniquità”, in tutta quella società, impregnata progressivamente dall’operato delle logge di perdizione, dal trionfare del cabalismo strisciante, dalle tante eterodossie velenose dei protestanti e dal satanismo spudorato, oggi corrotta e corruttrice del mondo intero, hanno prevalso sul bene che però ancora fa capolino in tante persone ed associazioni di ispirazione cattolica fondata sulla tradizione autentica della Chiesa. Uniamoci ai sentimenti del Sommo Pontefice stretti nella preghiera del Corpo mistico di Cristo, perché i suoi ed i nostri voti si realizzino in un progresso spirituale di quella Nazione e del mondo intero confuso e sconvolto da aberrazioni teologiche e menzogne di ogni tipo.

LETTERA ENCICLICA
SERTUM LAETITIAE


DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XII
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI,
ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI
CHE HANNO PACE
E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:
150° ANNIVERSARIO DELLA
GERARCHIA ECCLESIASTICA 
NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Desiderosi di rendere più radiosa una corona di santa letizia, col pensiero varchiamo la sterminata vastità del mare. Ed eccoCi in spirito in mezzo a voi, che insieme con tutti i vostri fedeli celebrate il fausto compimento di un secolo e mezzo da quando è stata costituita la gerarchia ecclesiastica negli Stati Uniti. E facciamo questo molto volentieri, perché l’occasione che ora Ci si presenta di dimostrare con un pubblico documento la Nostra stima e il Nostro affetto verso il popolo americano, illustre e vigoroso di giovinezza, Ci è tanto più gradita quanto più è solenne, e perché essa viene a coincidere con i primordi del Nostro pontificato. A coloro che aprono gli annali della vostra storia e indagano le cause profonde degli avvenimenti di cui questa s’intesse, appare evidente che a portare la vostra patria alla gloria e alla prosperità che essa attualmente gode, non poco ha contribuito il trionfale sviluppo della divina Religione. È ben vero che questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena. Ci piace richiamare alla memoria fatti noti. Quando Pio VI diede ai vostri connazionali il primo Vescovo nella persona del cittadino americano John Carrol, preponendolo alla sede di Baltimora, in quel luogo il numero dei Cattolici era esiguo ed insignificante e le condizioni degli Stati Uniti così pericolose, che la loro compagine e la loro stessa unità politica erano minacciate da grave crisi; a causa infatti della lunga ed estenuante guerra l’erario era oppresso da debiti, le industrie languivano e gli abitanti per l’esasperazione cagionata dalle calamità si erano scissi in opposti partiti. A situazione così dolorosa, anzi rovinosa, pose rimedio il celeberrimo George Washington, uomo dal carattere fermo e di penetrante sagacia di mente. Egli era unito da salda amicizia con il menzionato presule di Baltimora. Così il padre della patria e il primo sacro pastore della Chiesa in codesta terra, a Noi tanto diletta, avvinti da legami di benevolenza, a perpetuo esempio dei posteri e ad insegnamento delle età venture più lontane, quasi stringendosi le destre, indicavano che il popolo americano dovesse ritenere sacra e solenne norma di vita il rispetto della fede cristiana, la quale, tutelando e avvalorando i supremi principi etici, è la salvaguardia del pubblico bene e contiene forze di vero progresso. – Molte furono le cause a cui si deve ascrivere la fioritura della Chiesa cattolica nella vostra regione; ne vogliamo mettere in luce una, degna di attenzione. Sacerdoti costretti ad approdarvi per l’infuriare delle persecuzioni, vennero a recare al menzionato sacro pastore un aiuto a lui graditissimo e con la loro collaborazione attiva nel ministero spirituale sparsero una semente preziosa, dalla quale crebbe una bella messe di virtù. Alcuni di essi divennero poi Vescovi e così meritarono ancor più consolanti progressi della causa cattolica del regno di Dio. Avvenne ciò che, come la storia dimostra, suole avvenire: il temporale delle persecuzioni non estingue, ma sparge su più vasta superficie il fuoco apostolico, quello che, alimentato da una fede libera da ipocrisie umane e da carità sincera, accende il petto delle persone generose. – Trascorsi cent’anni da quell’avvenimento che adesso vi riempie di legittima esultanza, Papa Leone XIII di felice memoria con la sua lettera Longinqua oceani, volle misurare il cammino ivi percorso dalla Chiesa dal suo inizio e alla sua rassegna aggiunse esortazioni e direttive nelle quali la sua benevolenza è pari alla saggezza. Quanto fu allora scritto dal Nostro augusto predecessore è degno di perenne considerazione. In questi cinquant’anni il progresso della Chiesa non si è arrestato, ma ha avuto larghe espansioni e robusti accrescimenti. Rigogliosa è la vita che la grazia dello Spirito Santo fa fiorire nel sacrario del cuore; consolante la frequenza alle chiese; alla mensa dove si riceve il Pane degli Angeli, cibo dei forti, si accostano numerosi i fedeli; con grande ardore si fanno gli esercizi spirituali ignaziani; molti, docili all’invito della voce divina che li chiama a ideali di vita più alta, ricevono il sacerdozio o abbracciano lo stato religioso. Attualmente diciannove sono le province ecclesiastiche, centoquindici le diocesi, quasi duecento i seminari, innumerevoli i templi, le scuole elementari, quelle superiori, i collegi, gli ospedali, i ricoveri per i poveri, i monasteri. A ragione gli stranieri ammirano il sistema organizzativo che presiede alle varie categorie delle vostre scuole, alla cui esistenza i fedeli provvedono generosamente, seguite con assidua attenzione dai presuli, perché da esse esce gran numero di cittadini morigerati e saggi, i quali, rispettosi delle leggi divine e umane, sono giustamente considerati la forza, il fiore e l’onore della Chiesa e della patria. Le opere missionarie, poi, specialmente la Pontificia Opera della propagazione della fede, bene stabilite e attive, con le preghiere, con le elemosine e con altri aiuti di vario genere esemplarmente collaborano con i predicatori dell’evangelo impegnati a far penetrare nelle terre degli infedeli il vessillo della croce, che redime e salva. Sentiamo il bisogno in questa circostanza di dare pubblico attestato di lode alle opere missionarie tipiche della vostra nazione, le quali con attivo interessamento si curano della diffusione del Cattolicesimo. Esse si contrassegnano con questi nomi: Catholic Church Extension Society, società circondata di un’aureola di gloria per la sua pia beneficenza; Catholic Near East Welfare Association, che presta provvidenziali ausili agli interessi del cristianesimo in Oriente, dove i bisogni sono tanti; Indians and Nigroes Mission, opera sancita dal Terzo Concilio di Baltimora [1], che Noi confermiamo e avvaloriamo, perché la esige proprio una ragione di carità squisita verso i vostri concittadini. Vi confessiamo che Ci sentiamo penetrati da particolare affetto paterno, che certo Ci ispira il Cielo, verso i negri dimoranti tra voi perché, quanto ad assistenza spirituale e religiosa, sappiamo che sono bisognosi di speciali cure e di conforti: del resto, essi ne sono ben meritevoli. Invochiamo pertanto copiose le benedizioni divine e auguriamo fecondità di successi a coloro che, mossi da generosa virtù, si dimostrano solleciti dei negri stessi. Inoltre i vostri connazionali, per rendere in maniera opportuna ringraziamenti a Dio per il dono inestimabile della fede integra e vera, desiderosi di santi ardimenti inviano forti manipoli all’esercito formato dai missionari: essi con la tolleranza della fatica, con la pazienza invitta e con l’energia posta in nobili iniziative per il regno di Cristo raccolgono meriti, che la terra ammira e che il Cielo coronerà di adeguati premi. – Né minore forza vitale hanno le opere, che sono di utilità ai figli della Chiesa entro i confini della patria; gli uffici diocesani di carità, organizzati con criteri di saggia praticità, per mezzo dei parroci e con il concorso delle famiglie religiose, portano ai poveri, ai bisognosi, agli infermi i doni della cristiana misericordia, sollevano le miserie: nell’assolvere tale ministero di così grande importanza con gli occhi della fede dolci e penetranti, si vede Cristo presente negli indigenti e negli afflitti, che del benignissimo Redentore sono le mistiche membra doloranti. Fra le associazioni laiche – enumerarle tutte sarebbe troppo lungo – si acquistarono corone di non caduca gloria l’Azione cattolica, le Congregazioni mariane, la Confraternita della dottrina cristiana, liete di frutti promettenti ancor più lieta messe nell’avvenire, e così pure l’Associazione del Santo Nome, che è eccellente guida nel promuovere il culto e la pietà cristiana. A tale molteplice operosità dei laici, che si spiega in vari settori secondo le esigenze dei tempi, è preposta la National Catholic Welfare Conference, la quale al vostro ministero episcopale procura mezzi pronti e adeguati. Le principali di tutte queste istituzioni potemmo vedere partitamente nell’ottobre del 1936, quando, intrapreso il viaggio attraverso l’Oceano, avemmo la gioia di conoscere personalmente voi e il campo della vostra attività. Incancellabile e giocondo rimarrà sempre nel Nostro cuore il ricordo di quanto ammirammo allora con i Nostri occhi. Ben conviene adunque che, con sentimenti di adorazione, di tutto ciò rendiamo con voi grazie a Dio e che gli eleviamo il cantico della riconoscenza: «Date lode al Dio del cielo: perché la misericordia di lui è in eterno» (Sal 135,26). Il Signore, la cui bontà non è circoscritta da limiti, come ha riempito la vostra terra della liberalità dei suoi doni, così alle vostre chiese ha concesso un ardore fattivo e ha condotto a maturità di risultati i loro impegni. Sciolto il debito tributo di riconoscenza a Dio, onde ogni bene ha principio, riconosciamo, dilettissimi, che questa fecondità prosperosa che con voi oggi ammiriamo si deve anche allo spirito d’iniziativa e alla costanza nelle imprese dei sacri pastori e dei fedeli, che formano questa porzione del gregge di Cristo; riconosciamo che si debba pure al vostro clero, che, proclive all’operare deciso, con zelo esegue i vostri mandati, ai membri di tutti gli ordini e di tutte le congregazioni, che distinguendosi in virtù si prodigano a gara nella coltura del campo delle anime, alle religiose innumerevoli, che spesso silenti e ignote agli uomini, spinte da una interiore vampa di carità, si consacrano con esemplare dedizione alla causa dell’evangelo, veri gigli del giardino di Cristo, motivo di soave compiacenza dei santi. Però vogliamo che questa Nostra lode sia salutare. La considerazione del bene operato non deve produrre un allentamento che avvii alla neghittosità, non deve generare la nociva dolcezza della vanagloria, ma invece agire da stimolante, perché con rinnovate energie si impediscano i mali e perché con più robusta consistenza crescano quelle iniziative che sono utili, pròvvide e degne di encomio. Il Cristiano, se fa onore al nome che porta, sempre è apostolo; disdice al soldato di Cristo il discostarsi dalla battaglia, perché solo la morte pone fine alla sua milizia. Voi ben sapete dove occorre che più oculata sia la vostra vigilanza e quale programma d’azione conviene tracciare ai Sacerdoti e fedeli, affinché la Religione di Cristo, superati gli ostacoli, sia guida luminosa alle menti, regga i costumi e, unica causa di salute, penetri gli ambiti più nascosti e le arterie della società umana. Il progresso dei beni esterni e materiali, quantunque sia da tenersi in non poco conto per le utilità molteplici e apprezzabili, che esso apporta alla vita, tuttavia non basta all’uomo, nato a più alti e fulgidi destini. Questi infatti, creato a immagine e somiglianza di Dio, cerca Dio con incoercibile aspirazione e si addolora e versa segreto pianto, se nella scelta del suo amore esclude la Somma Verità e il Bene infinito. Ma a Dio, dal quale chi si allontana muore, al quale chi si converte vive, nel quale chi si ferma s’illumina, non si accede superando spazi corporei, ma, guidati da Cristo, con la pienezza della fede sincera, con la coscienza intemerata di una volontà diritta, con la santità delle opere, con l’acquisto e l’uso di quella libertà genuina, le cui sacre norme si trovano promulgate nell’evangelo. Se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb 36,22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano. – Eleviamo inoltre il Nostro paterno lamento, perché costì in tante scuole spesso si sprezza o si ignora Cristo, si restringe la spiegazione dell’universo e del genere umano nella cerchia del naturalismo e del razionalismo, e si cercano nuovi sistemi educativi, i quali nella vita intellettuale e morale della nazione non potranno non recare tristi frutti. Del pari la vita domestica, come, osservata la legge di Cristo, fiorisce di vera felicità, così, ripudiato l’evangelo, miseramente perisce ed è devastata dai vizi: « Chi cerca la legge sarà colmato di beni: ma chi opera con finzione, troverà in essa occasione di inciampo» (Eccli 32,19). Che cosa vi può essere in terra di più sereno e lieto che la famiglia cristiana? Sorta presso l’altare del Signore, dove l’amore è stato proclamato santo vincolo indissolubile, nello stesso amore, che la grazia superna nutre, si solidifica e cresce. Ivi « onorato è il connubio presso tutti e il talamo è immacolato » (Eb 13,4); le pareti tranquille non risuonano di litigi, né sono testimoni di segreti martìri per la rivelazione di astuti sotterfugi di infedeltà; la solidissima fiducia allontana la spina del sospetto; nella vicendevole benevolenza si sopiscono i dolori, si accrescono le gioie. Ivi i figli non sono considerati gravi pesi, ma dolci pegni; né un vituperevole motivo utilitario o la ricerca di sterile voluttà fanno sì che sia impedito il dono della vita e venga in dissuetudine il soave nome di fratello e sorella. Con quale studio i genitori si dànno premura, perché i figli non soltanto crescano vigorosi fisicamente, ma perché seguendo le vie degli avi, che spesso loro sono ricordati, siano adorni della luce che deriva dalla professione della fede purissima e dall’onestà morale. Commossi per tanti benefici, i figli ritengono loro massimo dovere quello di onorare i genitori, di assecondare i loro desideri, di sostenerli nella vecchiaia con il loro fedele aiuto, di rendere lieta la loro canizie con un’affetto che, non spento dalla morte, nella reggia del cielo sarà reso più glorioso e più completo. I componenti la famiglia cristiana, non queruli nelle avversità, non ingrati nella prosperità, sono sempre pieni di confidenza in Dio, al cui impero obbediscono, nel cui volere s’acquietano e il cui soccorso non invano aspettano. – A costituire e a mantenere le famiglie secondo la norma della sapienza evangelica esortino dunque spesso i fedeli coloro, che nelle chiese hanno funzioni direttive o di magistero e che pertanto si industriano con assidua cura per preparare al Signore un popolo perfetto. Per la stessa ragione bisogna pure sommamente attendere a questo, che il dogma cioè dell’unità e indissolubilità del matrimonio da quanti accedono alle nozze sia conosciuto in tutta la sua importanza religiosa e santamente rispettato. Che tale capitale punto della dottrina cattolica abbia una valida efficacia per la salda compagine familiare, per le progressive sorti della società civile, per la santità del popolo e per una civiltà, la cui luce non sia falsa e fatua, riconoscono pure non pochi, i quali, sebbene lontani dalla nostra fede, sono ragguardevoli per senno politico. Oh, se la patria vostra avesse conosciuto per esperienza di altri e non già da domestici esempi il cumulo di danni che produce la licenza dei divorzi! Consigli la riverenza verso la religione, consigli la pietà verso il grande popolo americano energiche azioni, perché il morbo purtroppo imperversante sia curato radicalmente. Le conseguenze di tale male così sono state descritte da papa Leone XIII, con termini che scolpiscono il vero: «A causa dei divorzi il patto nuziale è soggetto a mutabilità; si indebolisce l’affetto; sono dati perniciosi incentivi all’infedeltà coniugale; ricevono danno la cura e l’educazione della prole; si offre facile occasione a scomporre la società domestica; si gettano semi di discordie tra le famiglie; è diminuita e depressa la dignità della donna la quale corre pericolo di essere abbandonata dopo che ha servito come strumento di piacere al marito. E poiché a rovinare la famiglia, a minare la potenza dei regni nulla tanto vale quanto la corruzione dei costumi, facilmente si intuisce che il divorzio è quanto mai nocivo alla prosperità delle famiglie e degli stati » [2]. – Quanto alle nozze, nelle quali l’una e l’altra parte dissenta circa il dogma cattolico o non abbia ricevuto il sacramento del battesimo, Noi siamo sicuri che voi osserverete esattamente le prescrizioni del Codice di diritto canonico. Tali matrimoni infatti, come a voi consta per larga esperienza, sono raramente felici e sogliono cagionare gravi perdite alla Chiesa cattolica. Ad ovviare a danni sì gravi, ecco il mezzo efficace: che i singoli fedeli ricevano in tutta la sua pienezza l’insegnamento delle verità divine e i popoli abbiano chiaro il cammino che conduce alla salvezza. Esortiamo pertanto i Sacerdoti a cercare che la loro scienza delle cose divine e umane sia copiosa: non vivano contenti delle cognizioni intellettuali acquisite nell’età giovanile; con attenta indagine considerino la legge del Signore, i cui oracoli sono più puri dell’argento; continuamente gustino e assaporino le caste delizie della sacra Scrittura; col progredire degli anni studino con maggior profondità la storia della Chiesa, i dogmi, i sacramenti, i diritti, le prescrizioni, la liturgia, la lingua di essa, in modo che in loro il progresso intellettuale proceda di pari passo con quello delle virtù. Coltivino pure gli studi letterari e delle discipline profane, specialmente quelle che sono maggiormente connesse con la Religione, affinché con lucido pensiero e labbro facondo possano impartire l’insegnamento di grazia e di salute, capaci di piegare anche i dotti ingegni al lieve peso e giogo dell’evangelo di Cristo. Felice la Chiesa se così « sarà fondata sugli zaffiri » (cf. Is 54,11). Le esigenze dei tempi attuali inoltre richiedono che anche i laici, specialmente quelli che coadiuvano l’esercizio dell’apostolato gerarchico, si procurino un tesoro di cognizioni religiose, non povero ed esile, ma solido e ricco, mediante le biblioteche, le discussioni, i circoli di cultura: così trarranno grande giovamento per se stessi, potranno insegnare agli ignoranti, confutare gli avversari caparbi ed essere utili agli amici buoni. – Con molta gioia abbiamo appreso che la stampa propugnatrice dei principi cattolici è davvero presso di voi valorosa e che la radio marconiana – meravigliosa invenzione, eloquente immagine della fede apostolica che abbraccia tutto il genere umano – spesso e utilmente viene usata, perché fatti e insegnamenti ecclesiastici abbiano la più larga risonanza. Lodiamo il bene compiuto. Ma coloro, che disimpegnano tale ministero, nel proporre e promuovere la dottrina sociale, si prendano a cuore di aderire alle direttive del Magistero della Chiesa; dimentichi del proprio tornaconto, sprezzanti della vana gloria, non partigiani, parlino «come da Dio, davanti a Dio, in Cristo» (2 Cor 2,17). – Desiderosi che il progresso scientifico in tutto il suo complesso si affermi sempre più, ora che Ci si presenta una circostanza opportuna, vogliamo anche significarvi il Nostro cordiale interessamento per l’Università cattolica di Washington. Ben sapete con quali ardenti voti papa Leone XIII salutasse questo preclaro tempio del sapere, quando esso sorgeva, e quanti ripetuti attestati di particolare affetto gli desse il romano Pontefice Nostro immediato predecessore, il quale era intimamente persuaso che, se questo grande istituto già lieto di risultati si solidificherà ancor più e otterrà rinomanza ancora maggiore, ciò non solamente gioverà agli incrementi della Chiesa, ma anche alla gloria ed alla prosperità civile dei vostri connazionali. Partecipi della stessa speranza, Ci rivolgiamo a voi con questa Nostra lettera per raccomandarvi tale università. Fate del vostro meglio, perché questa, protetta dalla vostra benevolenza, superi le sue difficoltà e con avanzamenti più felici compia le speranze in essa riposte. Gradiamo anche molto il vostro proposito di rendere più spaziosa e decorosa la sede del Pontificio Collegio che a Roma accoglie, per l’educazione ecclesiastica, gli alunni degli Stati Uniti. Se è cosa utile che i giovani di più eletto ingegno per affinare il loro sapere si rechino in lontani paesi, una lunga e felice esperienza dimostra che questo vantaggio è sommo, quando i candidati al sacerdozio sono educati nell’Urbe presso la sede di Pietro, dove purissimo è il fonte della fede, dove tanti monumenti dell’antichità cristiana e tante vestigia di Santi incitano i cuori generosi a magnanime imprese. – Vogliamo toccare un’altra questione di poderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo agita fortemente gli stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e di mutua ostilità. Quale aspetto essa assuma presso di voi, quali asprezze, quali torbidi produca, voi ben conoscete, e non occorre perciò diffonderci su tale argomento. Punto fondamentale della questione sociale è questo, che i beni da Dio creati per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e poveri; e l’inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi, se sono retti e probi, assolvono l’ufficio di dispensatori e procuratori dei doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni tabernacoli. Dio, che a tutto provvede con consigli di suprema bontà, ha stabilito che per l’esercizio delle virtù e a saggio dei meriti vi siano nel mondo ricchi e poveri; ma non vuole che alcuni abbiano ricchezze esagerate e altri si trovino in tali strettezze da mancare del necessario alla vita. Buona madre però e maestra di virtù è la onesta povertà, che campa col lavoro quotidiano, secondo il detto della Scrittura: «Non darmi (o Dio) né mendicità né opulenza: ma provvedimi soltanto del necessario al mio sostentamento » (Pro 30,8). Se quanti possiedono con larghezza fondi e mezzi pecuniari devono, mossi da facile misericordia, aiutare i bisognosi, per ragione ancor più grave devono agli stessi dare il giusto. Gli stipendi degli operai, come è conveniente, siano tali che bastino ad essi e alle loro famiglie. Gravi sono in proposito le parole del Nostro predecessore Pio XI: «Bisogna dunque fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale, che basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Se nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima mutamenti che assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di lode tutti coloro che con saggio e utile atteggiamento hanno esperimentato e tentano vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che aumentando questi, anche quella si somministri più larga: e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie» [3]. Avvenga che ognuno il quale sia in forze ottenga l’equa possibilità di lavorare per guadagnare per sé e per i suoi il vitto quotidiano. Esprimiamo tutta la nostra compassione per la sorte di coloro, da voi molto numerosi, i quali, sebbene robusti, capaci e volenterosi, non possono avere occupazione pur cercandola affannosamente. La sapienza dei reggitori, una lungimirante larghezza da parte dei datori di lavoro, insieme con il ristabilimento di più favorevoli condizioni esterne, la cui effettuazione auguriamo sollecita, facciano sì che tali giusti desideri trovino compimento a vantaggio di tutti. – Essendo poi la socievolezza bisogno naturale dell’uomo, ed essendo lecito con forze unite promuovere quanto è onestamente utile, non si può senza ingiustizia negare o diminuire come ai produttori, così alle classi operaie e agricole, la libertà di unirsi in associazioni le quali possano difendere i propri diritti e acquistare miglioramenti circa i beni dell’anima e del corpo, come pure circa gli onesti conforti della vita. Ma alle corporazioni di tal genere, che nei secoli passati hanno procurato al Cristianesimo gloria immortale e alle arti inoffuscabile splendore, non si può imporre in ogni luogo una stessa disciplina e struttura, la quale perciò per diversa indole dei popoli e per le diverse circostanze di tempo può variare; però le corporazioni in parola traggano il loro moto vitale da principi di sana libertà, siano informate dalle eccelse norme della giustizia e dell’onestà e, ispirandosi a queste, agiscano in tal guisa che nella cura degli interessi di classe non ledano gli altrui diritti, conservino il proposito della concordia, rispettino il bene comune della società civile. Ci fa piacere conoscere che la citata enciclica Quadragesimo anno, come pure quella del sommo pontefìce Leone XIII Rerum novarum, dove si indica la soluzione della questione sociale secondo i postulati dell’evangelo e della filosofia perenne, sono presso di voi oggetto di attenta e prolungata considerazione da parte di persone di elevato ingegno, che generoso volere spinge alla restaurazione sociale e al rinvigorimento dei vincoli di amore tra gli uomini, e che alcuni datori di lavoro stessi hanno voluto comporre, secondo le norme di quelle, le controversie tendenti sempre a rinnovarsi con i loro operai, rispettando la comune utilità e la dignità della persona umana. Quale vanto sarà per la gente americana, per natura proclive alle grandiose imprese e alla liberalità, se pienamente e bene scioglierà la annosa ed ardua questione sociale secondo le sicure vie illuminate dalla luce dell’evangelo e così getterà le basi di più felice età! Affinché ciò avvenga conformemente ai voti, le forze non devono essere dissipate con la disunione, ma accresciute con la concordia. A questa salutare congiunzione di pensieri e di consensi, portatrice di azioni magnifiche, secondando un impulso di carità, invitiamo pure coloro, che la madre Chiesa lamenta da sé staccati. Molti di essi, quando il Nostro glorioso predecessore si addormentò nel sonno dei giusti e Noi dopo breve tempo dalla sua morte, per arcana disposizione della divina pietà, salimmo sul trono di san Pietro, molti di essi – ciò non Ci è sfuggito – hanno espresso parlando o scrivendo sentimenti pieni di ossequio e di grande elevatezza. Da questo atteggiamento – vi confessiamo apertamente – abbiamo concepito una speranza, che il tempo non rapisce, che Ci si trasforma talvolta in presagio e che Ci consola nella dura e aspra fatica del ministero universale. La grandezza del lavoro, che converrà intraprendere con fervore per la gloria del benignissimo Redentore e per la salvezza delle anime non vi sgomenti, o dilettissimi, ma vi stimoli, facendovi confidare nell’aiuto divino: le opere grandi generano più robuste virtù, producono meriti più splendidi. Gli sforzi con cui i nemici a schiere serrate cercano di abbattere lo scettro di Cristo siano di incitamento, perché con concordi intenti curiamo lo stabilimento e l’avanzamento di questo regno. Nulla di più felice può toccare agli individui, alle famiglie, alle nazioni, che obbedire all’Autore dell’umana salute, eseguire i suoi mandati, accettare il suo regno, nel quale diventiamo liberi e ricchi di buone opere: « regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» [4]. Augurando di cuore che voi e il gregge spirituale, al cui bene provvedete come solerti pastori, progrediate sempre verso mete migliori e più alte, e che anche dalla presente solenne celebrazione raccogliate fecondi proventi di virtù, vi impartiamo la benedizione apostolica, attestato della Nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, festa di Tutti i santi 1939, anno I del Nostro pontificato.

PIO PP. XII


[1] Cf. Acta eiusdem Concilii, c. II.

[2] Litt. enc. Arcanum: EE 3.

[3] Litt. enc. Quadragesimo anno: EE 5/653.

[4] Missale Romanum, Praef. Missae Christi Regis.

DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XXI DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le letture dell’Ufficio divino che si fanno in questa Domenica sono spesso quelle dei Maccabei (vedi Dom. precedente…). « Antioco, soprannominato Epifane, avendo invaso la Giudea e devastato tutto, dice S. Giovanni Crisostomo, aveva obbligato molti Giudei a rinunziare alle sante pratiche dei padri loro, ma i Maccabei rimasero costanti e puri in queste prove. Percorrendo tutto il paese, essi riunivano tutti i membri ancora fedeli ed integri che incontravano; e di quelli che si erano lasciati abbattere o corrompere, ne riconducevano molti al loro primo stato, esortandoli a ritornare alla fede dei padri loro e rammentando loro che Dio è pieno di indulgenza e di misericordia e che mai rifiuta di accordare la salvezza al pentimento, che ne è il principio. E questa esortazioni facevano sorgere un esercito di uomini più valorosi, che combattevano non tanto per le loro donne, i loro figli, i loro servitori, o per risparmiare al paese la rovina e la schiavitù, quanto per la legge dei padri loro e i diritti della nazione. Dio stesso era il loro capo, e perciò, quando in battaglia serravano le file e prodigavano la loro vita, il nemico era messo in fuga: essi stessi fidavano meno nelle loro armi che nella causa che li armava e pensavano che essa sarebbe sufficiente per vincere anche in mancanza di qualunque armatura. Andando al combattimento, non empivano l’aria di vociferazioni e di canti profani come usano fare alcuni popoli: non si trovavano tra loro suonatori di flauto come negli altri campi; ma essi pregavano invece Iddio di mandar loro il suo aiuto dall’alto, di assisterli, di sostenerli, di dar loro man forte, poiché per Lui facevano guerra e combattevano per la sua gloria » (4a Domenica di ottobre Notturno). Dio non considera nel mondo che il suo popolo, Gesù Cristo e la sua Chiesa che sono una cosa sola. Tutto il resto è subordinato a questo. « Dio, che esiste ab æterno e che esisterà per tutti i secoli, è stato per noi, dice il Salmo del Graduale, un rifugio di generazione in generazione » (Introito). « Allorché Israele usci dall’Egitto e la casa di Giacobbe da un popolo barbaro » continua il Salmo dell’Alleluia, Dio consacrò Giuda al suo servizio e stabilì il suo impero in Israele ». Dopo aver mostrato tutti i prodigi, che Dio fece per preservare il suo popolo, il salmista aggiunge: « Il nostro Dio è in cielo, tutto quello che ha voluto, Egli lo ha fatto. La casa di Israele ha sperato nel Signore; Egli è il loro soccorso ed il loro protettore ». Il Salmo del Communio e del Versetto dell’Introito, dice il grido di speranza che le anime giuste innalzano al cielo: « L’anima mia è nell’attesa della tua salvezza, quando farai giustizia dei miei persecutori? Gli empi mi perseguitano, aiutami, Signore mio Dio ». « Signore, aggiunge l’Introito, ogni cosa è sottomessa alla tua volontà, poiché tu sei il Creatore e il padrone dell’Universo ». – « Signore, dice ugualmente la Chiesa nell’Orazione di questo giorno, veglia sempre misericordiosamente sulla tua famiglia, affinché essa sia, per mezzo della tua protezione, liberata da ogni avversità e attenda, con la pratica delle opere buone, a glorificare il tuo nome ». Il popolo antico e il popolo nuovo hanno un medesimo scopo, che è la glorificazione di Dio e l’affermazione dei suoi diritti. Tutti e due hanno anche gli stessi avversari, che sono satana e i suoi ministri. La Chiesa, ispirandosi alle Letture del Breviario delle Domeniche precedenti, ricorda oggi gli assalti che Giobbe ebbe da sostenere da parte di satana (Offertorio) e Mardocheo da parte di Aman, che fu calunniatore come il demonio (Introito). Dio liberò questi due giusti, come pure liberò il suo popolo dalla cattività d’Egitto, come venne in aiuto ai Maccabei che combattevano per difendere la sua causa. Cosi pure i Cristiani devono subire gli assalti degli spiriti maligni, poiché i persecutori della Chiesa sono suscitati dal demonio, come quelli del popolo d’Israele nell’antica legge. « Abbiamo da combattere, dice San Paolo, non contro esseri di carne e di sangue, ma contro i principi di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male sparsi nell’aria (Epistola). Come per i Maccabei che, per quanto valorosi, fidavano più in Dio che nelle loro armi, così i mezzi di difesa che devono adoperare i Cristiani sono anzitutto di ordine soprannaturale. « Fortificatevi nel Signore, dice l’Apostolo, e nella sua virtù onnipotente. Rivestitevi dell’armatura di Dio per difendervi dal demonio ». – I soldati romani, servono di esempio al grande Apostolo nella descrizione minuziosa che ci dà della panoplia mistica dei soldati di Cristo. Come armi difensive la Chiesa ha ricevuto nel giorno della Pentecoste, la rettitudine, la giustizia, la pace e la fede; come armi offensive le parole divinamente ispirate dallo Spirito Santo. Ora la parabola che Gesù ci dice nell’Evangelo di questo giorno, riassume tutta la vita cristiana nella pratica della carità, che ci fa agire verso il prossimo come Dio ha agito verso di noi. Egli ci ha perdonato delle gravi colpe: sappiamo a nostra volta perdonare ai nostri fratelli le offese che essi ci fanno e che sono molto meno importanti. Il demonio geloso porta gli uomini ad agire come quel servitore cattivo che prese per la gola il compagno, che gli doveva una somma minima e lo fece mettere in prigione perché non poteva pagare immediatamente. Se anche noi agiremo così, nel giorno del giudizio, cui ci prepara la liturgia di questa Domenica, dicendo: « Il regno dei cieli è simile ad un re che volle farsi rendere i conti dai suoi servi », Dio sarà verso di noi, quali noi saremo stati verso il prossimo. – L’Apostolo parla di una lotta accanita contro i nemici invisibili che ci lanciano dardi infiammati. Il combattimento è terribile e dobbiamo armarci fortemente per poter restare in piedi dopo aver riportata una vittoria completa. Come il soldato, il Cristiano deve avere un largo cinturone, una corazza, dei calzari, uno scudo, un elmo ed una spada. – Mostrarci implacabili per una ingiuria ricevuta, dice s. Girolamo, e rifiutare ogni riconciliazione per una parola amara, non è forse giudicare noi stessi degni della prigione? Iddio ci tratterà secondo le intime disposizioni del nostro cuore: se non perdoniamo, Dio non ci perdonerà. Egli è nostro giudice e non vuole un semplice perdono puramente esteriore. Ognuno deve perdonare a suo fratello « di tutto cuore », se vuol esser perdonato nell’ultimo giorno » (Mattutino).

Incipit

In nomine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Esth. XIII: 9; 10-11
In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, cœlum et terram et univérsa, quæ cœli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

In voluntáte tua, Dómine, univérsa sunt pósita, et non est, qui possit resístere voluntáti tuæ: tu enim fecísti ómnia, coelum et terram et univérsa, quæ coeli ámbitu continéntur: Dominus universórum tu es.

[Nel tuo dominio, o Signore, sono tutte le cose, e non vi è chi possa resistere al tuo volere: Tu facesti tutto, il cielo, la terra e tutto quello che è contenuto nel giro dei cieli: Tu sei il Signore di tutte le cose.]

Kyrie

S.. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut a cunctis adversitátibus, te protegénte, sit líbera, et in bonis áctibus tuo nómini sit devóta.

[Custodisci, Te ne preghiamo, o Signore, con incessante pietà, la tua famiglia: affinché, mediante la tua protezione, sia libera da ogni avversità, e nella pratica delle buone opere sia devota al tuo nome.]

Lectio

Lectio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios.
Ephes VI: 10-17

Fratres: Confortámini in Dómino et in poténtia virtútis ejus. Indúite vos armatúram Dei, ut póssitis stare advérsus insídias diáboli. Quóniam non est nobis colluctátio advérsus carnem et sánguinem: sed advérsus príncipes et potestátes, advérsus mundi rectóres tenebrárum harum, contra spirituália nequítiae, in coeléstibus. Proptérea accípite armatúram Dei, ut póssitis resístere in die malo et in ómnibus perfécti stare. State ergo succíncti lumbos vestros in veritáte, et indúti lorícam justítiæ, et calceáti pedes in præparatióne Evangélii pacis: in ómnibus suméntes scutum fídei, in quo póssitis ómnia tela nequíssimi ígnea exstínguere: et gáleam salútis assúmite: et gládium spíritus, quod est verbum Dei.

[“Fratelli, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Vestite tutta l’armatura di Dio, perché possiate tener fronte alle insidie del demonio; poiché noi non abbiamo a combattere contro la carne ed il sangue, ma sì contro i principati, contro le podestà, contro i reggitori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti malvagi, per i beni celesti. Per questo pigliate l’intera armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e in ogni cosa trovarvi ritti in piedi. Presentatevi adunque al combattimento cinti di verità i lombi, coperti dell’usbergo della giustizia, calzati i piedi in preparazione dell’Evangelo della pace. Sopra tutto prendete lo scudo della fede, col quale possiate spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Pigliate anche l’elmo della salute e la spada dello spirito, che è la parola di Dio „.]

SOLDATI DI CRISTO.

L’Epistola d’oggi ci schiude dinanzi degli orizzonti di una vastità sconfinata, che sono però gli orizzonti stessi della vita cristiana. Ogni vita, nessuno ormai lo ignora, è a base di lotta, dalla forma più elementare e semplice alla più alta e complicata. La lotta è la condizione naturale della vita, ne è la intima legge. Non tutte le lotte hanno la stessa importanza appunto perché non tutte le forme di vita si svolgono allo stesso livello. Purtroppo, noi diamo molta importanza a lotte che ne hanno poca, pochissima. Tali, ad esempio, le nostre lotte economiche, che pure tanto ci appassionano, che noi giudichiamo spesso le maggiori, le massime nostre lotte. Il poeta moderno le poté perciò definire: « il ronzìo d’un’ape dentro un bugno vuoto ». Le grandi lotte, le vere, sono le lotte tipiche del Cristianesimo, le lotte morali. Il Cristianesimo è vita superiore, vita altissima dell’anima in Dio, Dio verità, Dio giustizia, Dio bontà, bontà sovratutto. La vita della verità, la vita cristiana della verità è per la bontà morale. E questa vita è lotta perché il bene ha un misterioso avversario: il male. Lotta individuale e sociale; ogni Cristiano impegna la sua lotta, per la verità contro l’errore, per la giustizia contro l’iniquità, per il bene contro il male. L’ultimo Cristiano, il più modesto, la povera donnicciola, l’umile contadino, l’operaio, sono militi di questa guerra. Che è poi la vita e la lotta della società cristiana, della Chiesa. – Ebbene, nelle lotte economiche anche più colossali, è impegnata una piccola parte del nostro pianeta. E ne risulta che le lotte (economiche) più all’apparenza gigantesche, sono piccole, sono cosa da poco, da nulla. E lasciano effettivamente di sé traccia così breve! Di fronte ad esse il Cristianesimo ha sempre affermato, afferma ancora la grandezza della sua lotta, la grande lotta morale, la lotta del bene e del male. San Paolo scrive frasi classiche per questa epica grandezza. Grandezza cosmica. In esso è interessato il mondo, proprio il mondo, tutto il mondo spirituale. Questo mondo spazia oltre la materia, oltre l’umanità per gli innumeri gradi che ricollegano Dio, lo Spirito più alto, all’uomo, l’infimo nella gerarchia spirituale. Tutto questo vastissimo mondo visibile e invisibile è ricollegato da quella unità di interesse. Nella vittoria del bene è interessata con Dio la falange degli spiriti buoni; nella vittoria del male è interessata l’opposta falange degli spiriti malvagi. Ecco le vere forze che stanno le une di fronte all’altre, di qua e di là tutte collegate. Il piccolo soldato che ha il suo piccolo settore di combattimento non si accorge della vastità del fronte suo, del fronte avverso; non la sente questa grandezza. San Paolo scuote questa incoscienza, scarsa coscienza nella quale ciascuno di noi rischia di precipitare: questa, chiamiamola così, involuzione, per cui ciascuno crede di avere il suo nemico solo dentro di sé, come dice benissimo l’Apostolo, la carne ed il sangue, il nostro egoismo, la nostra corruzione. Questa nemica individuale, intima, piccola c’è e bisogna rompere questa trincea fatale dell’egoismo; bisogna guarire dalla corruzione per vincere, per dar ragione in noi stessi a Dio, per diventare soldati suoi. Ma il nemico interiore ha degli alleati fuori di noi, alleato il mondo, l’ambiente sociale, le coalizioni di tutta la parte dell’umanità che non è con Dio. La quale, non essendo con Lui, è contro di Lui e contro tutti quelli che lo amano e lo seguono. E colla carne e col mondo, compie il trinomio grandioso il demonio, la coalizione del male, e la coalizione contro Dio. – Quando siamo chiamati a deciderci, e la decisione è il punto saliente, il vero momento tragico, della vita, non siamo chiamati a deciderci tra entità astratte, bene e male, ma tra forze concrete e vive e innumerevoli, estesissime. Ogni vittoria nostra, ogni vittoria in noi del bene ha ripercussione immensa in tutta la falange degli spiriti buoni, di rabbia nel mondo degli spiriti malvagi: e viceversa d’ogni nostra sconfitta che noi decretiamo al bene, si rallegra la falange malvagia; la santa falange si rattrista. E anche questo deve essere a noi motivo e stimolo di valore. Alla grandezza della pugna dev’essere proporzionata la grandezza spirituale del combattente. Armiamoci nel nome di Dio, per una lotta nella quale sono impegnati l’onore di Lui e i destini del mondo.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXXIX: 1-2
Dómine, refúgium factus es nobis, a generatióne et progénie.
V. Priúsquam montes fíerent aut formarétur terra et orbis: a saeculo et usque in sæculum tu es, Deus.

[O Signore, Tu sei il nostro rifugio: di generazione in generazione.
V. Prima che i monti fossero, o che si formasse il mondo e la terra: da tutta l’eternità e sino alla fine]

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps 113: 1
In éxitu Israël de Ægýpto, domus Jacob de pópulo bárbaro. Allelúja.

[Quando Israele uscí dall’Egitto, e la casa di Giacobbe dal popolo straniero. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.
R. Gloria tibi, Domine!
Matt XVIII: 23-35
In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Assimilátum est regnum cœlórum hómini regi, qui vóluit ratiónem pónere cum servis suis. Et cum cœpísset ratiónem pónere, oblátus est ei unus, qui debébat ei decem mília talénta. Cum autem non habéret, unde rédderet, jussit eum dóminus ejus venúmdari et uxórem ejus et fílios et ómnia, quæ habébat, et reddi. Prócidens autem servus ille, orábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Misértus autem dóminus servi illíus, dimísit eum et débitum dimísit ei. Egréssus autem servus ille, invénit unum de consérvis suis, qui debébat ei centum denários: et tenens suffocábat eum, dicens: Redde, quod debes. Et prócidens consérvus ejus, rogábat eum, dicens: Patiéntiam habe in me, et ómnia reddam tibi. Ille autem nóluit: sed ábiit, et misit eum in cárcerem, donec rédderet débitum. Vidéntes autem consérvi ejus, quæ fiébant, contristáti sunt valde: et venérunt et narravérunt dómino suo ómnia, quæ facta fúerant. Tunc vocávit illum dóminus suus: et ait illi: Serve nequam, omne débitum dimísi tibi, quóniam rogásti me: nonne ergo opórtuit et te miseréri consérvi tui, sicut et ego tui misértus sum? Et irátus dóminus ejus, trádidit eum tortóribus, quoadúsque rédderet univérsum débitum. Sic et Pater meus cœléstis fáciet vobis, si non remiséritis unusquísque fratri suo de córdibus vestris.

“Il regno dei cieli è assomigliato ad un re il quale volle trarre i conti con i suoi servi. E avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. E non avendo egli da pagare, il suo padrone comandò ch’egli, la sua moglie e i suoi figliuoli e tutto quanto aveva fosse venduto, e così fosse pagato. Allora quel servo cadendo a terra, si buttò davanti a lui, dicendo: Deh! abbi pazienza verso di me, e ti pagherò tutto. E il padrone impietosito di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ora quel servo, uscito fuori, trovò uno de’ suoi conservi, il quale gli  doveva cento danari, ed afferratolo, lo strangolava, dicendo: Pagami ciò che mi devi! E quel suo conservo, cadendo in terra, lo pregava, dicendo: Abbi pazienza verso di me, ed io ti pagherò tutto. Ma colui non volle; anzi andò e lo cacciò in prigione finché avesse pagato il suo debito. Ora i conservi di lui, veduto il fatto, ne furono grandemente rattristati, e vennero al padrone e gli narrarono tutto il fatto. Allora Il signore lo chiamò a sé e gli disse: Servo malvagio! io ti condonai tutto quel debito, perché tu me ne avevi pregato. E non era dunque giusto che tu avessi pietà del tuo conservo, com’io ancora aveva avuto pietà di te? E adirato il suo padrone, lo diede in mano ai carcerieri infino a tanto che avesse pagato tutto il debito. Così farà ancora il Padre mio celeste con voi, se non rimetterete di cuore ciascuno al proprio fratello i falli suoi „

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

IL RE E IL SERVO

« Signore, — domandò Pietro, — basterà perdonare fino a sette volte a una medesima persona?» E gli sembrava d’aver già fatto una concessione enorme. Gesù gli rispose: « Non dire fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette ». E raccontò questa parabola. – « Dovete sapere, — diceva il Maestro divino, — che nella mia Chiesa accadde ciò che una volta avvenne tra un re e il suo servo. Il re volle fare un rendiconto generale e chiamò i suoi dipendenti a uno a uno. Ma c’era un servo che gli doveva una cinquantina di milioni e non possedeva niente per pagare. Quando il disgraziato fu davanti alla maestà del sovrano, quando sentì che lui, la sua donna, i suoi figli, le sue robe dovevano essere venduti sul mercato, si buttò per terra singhiozzando: « Pazienza, e pagherò tutto ». Buon per lui che il re era dolce e umile di cuore, e si lasciò commuovere, e non solo ebbe pazienza, ma rimandò il servo condonandogli il debito fin all’ultimo centesimo. Ebbene, nell’uscire di là, s’incontrò in un suo camerata che gli doveva un centinaio di lire: una vera inezia a confronto coi milioni del suo debito. Subito lo prese per la gola, e strozzandolo gli gridava: « Pagami!». Invano quel meschino supplicò un poco di pazienza, poiché, trascinato davanti alla giustizia, fu condannato al carcere. Per fortuna ci fu della gente coscienziosa che vide quella scena raccapricciante e deferì ogni cosa al re, il quale ne fu adiratissimo. Richiamò il servo e lo fulminò con queste parole :« Iniquo! Io ti ho perdonato dei milioni e tu non sei stato capace di perdonare qualche lira!… Sarai chiuso in un carcere tenebroso fin tanto che non mi avrai reso fin l’ultimo quattrino ». Qui la parabola era finita, ma Gesù conchiuse: « Allo stesso modo tratterà il mio celeste Padre chiunque tra voi non perdonerà di cuore al fratello da cui è stato offeso ». Qui la parabola è chiara: il Re è Dio, il servo è l’uomo. Consideriamo la condotta dell’uno e dell’altro, e ci apparirà la generosità divina e la grettezza umana. – 1. GENEROSITÀ DIVINE. Due verità possiamo dedurre dalla prima parte del racconto di Gesù: 1) ogni peccatore contrae un debito con la giustizia del Signore; 2) questo debito è così grosso che l’uomo non riuscirebbe mai a pagarlo se Dio non glielo condonasse. a) Ogni peccato è un debito. Lo diciamo nel « Pater noster »: rimetti a noi i nostri debiti. Attendete se non è vero. Come si contraggono i debiti? Anzitutto col non restituire quello che ad altri è dovuto. Ebbene noi dobbiamo dare gloria a Dio nostro Creatore: col peccato, invece ci rifiutiamo di onorarlo e pretendiamo di glorificare noi stessi, le nostre passioni, i nostri piaceri. Noi dobbiamo dare a Dio l’ubbidienza perché è il nostro Re che ci governa con la santissima legge dei dieci comandamenti: col peccato, invece, ci rifiutiamo di pagargli questo ossequio, e ripetiamo il grido di ribellione che risonò la prima volta sulla bocca di lucifero: « Non ti voglio servire ». Non ti voglio servire quando mi comandi di rispettare il tuo Nome tremendo; non ti voglio servire quando mi imponi di santificare la festa; quando mi dici di superare gli istinti disonesti; quando mi proibisci di toccare la roba degli altri: « L’ubbidienza che ti viene, io non te la rendo » così dice praticamente il peccatore. Inoltre, si contraggono debiti anche con sciupare danaro o roba avuti in prestito. Ebbene Dio ci ha prestato la vita per salvare l’anima, e col peccato noi usiamo della vita in perdizione dell’anima; Dio ci ha prestato salute e tempo per compiere opere buone e noi sciupiamo questi doni nel fare il male; Dio ci ha dato la lingua per lodarlo e noi con la lingua esprimiamo discorsi osceni; Dio ci ha dato la mente per pensare a Lui, e noi lasciamo entrare nella mente ogni fantasia più laida; Dio ci ha dato il cuore per amarlo e noi tutto amiamo fuor che Dio. Quanti debiti! b) Osservate ancora che il peccato è un debito così grosso che non potremmo mai cancellarlo se Dio stesso non ce lo perdona. Il peccato è un male infinito, è un’offesa infinita di Dio. Ora quale uomo può dare a Dio una soddisfazione infinita? Per il peccato noi perdiamo tutti i nostri beni, e dovremmo essere rinchiusi nel carcere dell’inferno per tutta l’eternità. Ma Iddio è un Re buono, basta che il suo servo si getti ai piedi di un Crocifisso, nel Sacramento della Confessione, gli dica: « Pietà di me! » e subito condona tutto il debito fino all’ultimo centesimo. Quante volte noi stessi abbiamo sperimentata la misericordia del Signore! Quante volte gli abbiamo giurato: « È proprio l’ultima volta; Signore cambio vita » e poi siamo tornati da capo, abbiamo accumulato peccati su peccati e Dio ci ha sempre perdonati, ci ha riempiti ancora di grazia, e di benedizione come se fossimo stati sempre i suoi migliori amici. Perché Dio è così generoso? Perché vuole che anche noi lo abbiamo ad imitare. Invece quanto gretti sono gli uomini tra loro! – 2. GRETTEZZA UMANA. Una mattina, il vecchio Vescovo S, Gregorio fu destato improvvisamente da grida e da rumori insoliti nella sua stanza ove da giorni giaceva ammalato. Aprendo gli occhi credette di sognare ancora: i suoi familiari stringevano per le braccia un giovane losco con in mano un pugnale che si dimenava per svincolarsi. Era un eretico che aveva giurato di uccidere il Vescovo nel suo letto: con quel nero disegno in cuore era riuscito ad eludere ogni sorveglianza, e penetrare silenzioso nelle stanze di S. Gregorio che erano sempre aperte, stringendo sotto il mantello una lama micidiale. Ma alla vista di quella cella così povera, di quel letto ove un uomo santo tormentato già dalla morte dormiva con un sorriso celestiale, il giovane cominciò a tremare e fu sorpreso nel suo turbamento. « Che è? che vuol dire quel pugnale? ». « E non vedete — gridavano i familiari — che stava per uccidervi? Noi lo arrestiamo e pagherà il « sacrilegio ». « Che nessuno me lo tocchi! » ingiunse il Santo e poi volgendosi all’eretico: « Figliuolo, avanzati: io ti perdono. Uscirai libero dal mio palazzo come vi entrasti ». Il giovane diede in uno scoppio di lagrime: « Ah padre! da questo momento io sono cattolico ». S. Gregorio aveva compreso fino all’eroismo la parabola del Re e del servo, ma ci sono troppi Cristiani che non sanno metterla in pratica nemmeno nei casi più comuni. — Troppo sono stato offeso: è impossibile perdonare — dicono alcuni. Non può essere impossibile, perché Dio è ragionevole e non comanda le cose impossibili; difficile sì, anzi perdonare ai nemici e amarli è il precetto più duro della nostra religione, con la preghiera bisogna ottenere la grazia di saperlo compiere, poiché senza eseguirlo non si entra in paradiso. — Non posso perdonare, perché ne andrebbe il mio onore — dicono altri. E l’onore di Dio non è qualche cosa di più dell’onore di noi misere creature? Eppure Dio perdona sempre a tutti quelli che gli domandano sinceramente pietà. — Ma è un ingrato! se gli perdonassi ritornerebbe a far peggio! non lo merita proprio il perdono! — E noi non fummo ingrati col Signore? non ritornammo tante volte, nonostante le promesse e i giuramenti, a far peggio di prima? lo meritiamo noi il perdono che Dio è sempre pronto a concederci? — Che cosa dirà il mondo? io non voglio. che si dica che l’ho persa. — Il mondo dirà che siete un vero Cristiano; e chi perdona vince e non perde. Infine, ci sono dei mezzi Cristiani i quali credono di adempiere il precetto di Dio col dire: « Io me ne sto a casa mia, non faccio del male a nessuno: e lui se ne stia a casa sua. Ciascuno nella vita va per la sua strada ». Questo non basta ed è segno di un falso perdono. « Io lo lascio qual è » si dice; ma intanto se gli capitano disgrazie si è contenti, se gli van bene gli affari ci vien malinconia. Intanto si tengono inchiodate nel cuore le offese ricevute, si ruminano giorno e notte, non si finisce di raccontarle agli altri ingrandendo o inventando le accuse. Intanto si schiva di incontrare quella persona, si finge di non vederla quando la si incontra, le si nega il saluto. Questo non basta, perché Gesù concludendo la parabola ha imposto di perdonare non di apparenza ma di cuore. De cordibus nostris. È duro talvolta perdonare, ma è necessario. È scritto che con quella misura che usammo per gli altri, saremo anche noi misurati! Sta scritto che sarà perdonato solo a chi perdonerà. Noi fortunati se nel giorno del nostro giudizio gli Angeli potranno testimoniare di noi così: « Ha perdonato tanto ». Allora il Giudice divino esclamerà: « Gli sia perdonato tutto ». – Ricordate il gran martire S. Cristoforo. Un uomo abbietto lo assaltò un giorno sulla pubblica via e gli diede uno schiaffo in mezzo alla folla. Arse di sdegno subitamente il Santo e rincorse l’offensore: atterra e sguaina la spada per trafiggerlo. Tutta la gente intorno gridava: « Uccidilo, Uccidilo! ». In quel momento si ricordò della parola del Signore: « Così il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore »; In uno sforzo supremo represse la collera, ripose la spada nel fodero, e al popolo che domandava vendetta rispose: « La farei, ma non posso perché son Cristiano ». Facerem, sì non essem christianus. In certe ore in cui la vendetta ci tornerebbe facile e piena di gusto l’esempio di S. Cristoforo ci stia dinanzi e la sua parola ci sia di freno: « O perdonare o rinunziare di essere Cristiani ». — ABBI PAZIENZA. La conclusione di questa parabola è che chiunque abbia ricevuto il perdono da Dio e si rifiuta di far grazia al proprio fratello si rende indegno di un tale perdono. Ma noi oggi interpretiamola in un senso più particolare e meno diretto: Dio è tutto pazienza coi suoi debitori, gli uomini; ma gli uomini di pazienza ne hanno assai poca, tra di loro. Patientiam habe! Ecco il grido angoscioso che due volte risuonava nella parabola evangelica: ascoltato dal re che rappresenta Dio, inascoltato dal ministro che rappresenta l’uomo. Patientiam habe! La pazienza è una delle virtù più necessarie alla vita cristiana, poiché, — dice S. Paolo (Ebr., X, 36) — senza di essa non possiamo fare la volontà di Dio, e quindi non possiamo entrare in paradiso. Quaggiù tutto è messo a una prova diuturna e difficile: ogni giorno viene co’ sui travagli, co’ suoi disgusti, co’ suoi patimenti, con le sue disillusioni. Senza la pazienza non si ha nulla di bene. A S. Tommaso, chiesero una volta da qual segno s’intuisce il santo. « Dalla pazienza » rispose. Se dunque desideriamo conoscere se siamo santi, osserviamo se in noi v’è pazienza. – 1. CHE COS’È LA PAZIENZA. È il coraggio di sopportare con calma le contrarietà della vita. Il paziente davanti alle disgrazie, pur soffrendo, ha il cuore in pace, il viso tranquillo e senza rughe di tristezza o d’ira, ha lo sguardo umile, ed ama tenere la bocca in silenzio. Quando si trova nei mali di fortuna ed i suoi interessi diminuiscono e gli affari non fruttano, i campi non rendono, e le perdite s’aggiungono alle perdite, egli somiglia un poco a Giobbe che ad ogni triste annuncio per i suoi possedimenti e per il suo bestiame, ripeteva: — Il Signore me li ha dati, il Signore me li toglie: pazienza —. Quando si trova circondato e oppresso dai mali del corpo che lo costringono ad una vita penosa e dolente, egli si sforza d’assomigliare a Santa Chiara che per anni soffrì atroci malattie senza aprire le labbra ad un lamento, o a santa Ludovina, che per 38 anni rimase a letto senza giammai stancarsi di portar pazienza. Quando è afflitto nei mali dell’onore, e sente d’essere calunniato, ingiuriato, odiato senza cagione, cerca d’imitare S. Carlo che, pontificando in una chiesa, sopportò tranquillamente tutta una predica di ingiurie e calunnie che un famoso predicatore dal pulpito lanciava contro di lui seduto sulla sedia episcopale. Questo esempio del Borromeo commosse persino il pazientissimo S. Francesco di Sales che ricorda il fatto nella sua Vita Divota (Parte III, cap. 3). Quando poi lo assalgono i mali dello spirito, e i dubbi annebbiano la sua fede e le tentazioni soffiano contro il suo candore e le aridità disseccano il suo fervore, egli pensa a S. Teresa del Bambino Gesù che per due anni sopportò battaglie terribili contro la fede e la speranza, e già le sembrava d’esser per sempre perduta; eppure alla fine Dio la consolò e premiò la sua pazienza. – 2. MOTIVI DI PAZIENZA. a) Il primo è un segno di rispetto e di dignità verso noi stessi. Non avete mai osservato fino a qual punto si abbassano coloro che non signoreggiano la loro collera? A vedere un padre di famiglia col viso acceso, stravolto, la parola strozzata, che urla, bestemmia, mena pugni in aria, lancia in giro ciò che gli capita sottomano, magari per una cosa da nulla, noi ci domandiamo: è un uomo o è una tigre che si precipita contro i ferri della sua gabbia? Certamente voi non arrivate a tali eccessi: tuttavia come fa pena l’operaio che infuria al primo sbaglio, a una puntura sul lavoro! come fa pena il figliuolo che senza pazienza si rivolta contro gli stessi genitori e le sorelle! come fa pena la madre, la quale dovrebbe essere l’angelo paziente e silenzioso della casa, che ad ogni momento fa scenate e dice parole sconvenienti in presenza dei figli!… Passato il fremito della collera, noi stessi sentiamo d’esserci resi goffi, inumani; proviamo una malinconia interiore e sulle labbra vengono spontanee parole di scusa: — Ero tutto fuori di me. — E con ciò confessiamo che la ragione era partita, e in noi non restava più che la bestia senza museruola. b) Un secondo motivo che ci deve spingere a pazienza è che senza questa virtù non riusciremo a superare nessuna difficoltà, nè a vincere lo scoraggiamento; e quindi nella vita non arriveremo a niente di buono, di utile, di grande, di santo. S. Isidoro di Spagna, tosto che arrivò all’età dell’istruzione fu mandato a scuola. Ma provava tale difficoltà ad apprendere, che un giorno perse la pazienza; piangendo di vergogna e di rabbia, prese i libri e gli scagliò per la strada. Combinazione volle che andarono a sbattere contro il murello di un pozzo: al rumore del colpo, istintivamente lo sguardo lagrimoso del giovanetto si volse da quella parte. Man mano che l’impeto della collera scemava, egli poté osservare che la pietra del cilindro, in mezzo, dove s’avvolgeva la fune a cui era annodato un secchio, era assai incavata: « Ma guarda — pensò. — Anche una materia molle come la fune con un lavoro paziente e continuo ha potuto incavare perfino la dura selce!…». Allora, asciugandosi gli occhi col dorso: della mano, riprese i suoi libri. « Anch’io farò così. A forza di volontà e di pazienza riuscirò a scavare la mia testa dura ». E riuscì quel gran Santo e quel gran dottore che voi sapete. Se non avete pazienza non potrete vincere le vostre passioni, educare i vostri figliuoli, attendere ai vostri doveri. A questo mondo niente si fa d’un botto: ma ci vogliono ore, giornate, anni, prove e riprove. E allora è necessaria la pazienza. – c) Un terzo motivo che vi deve guidare a questa virtù è il rispetto della volontà di Dio. Tutto ciò che capita è disposto e voluto da Dio per il nostro bene: perché perdere la pazienza? Una volta che Davide insieme ad Abisai camminava sulla strada Bahurim, s’imbatté in Semei, figlio di Gera: costui, l’attendeva furioso e gli mosse incontro con ogni ingiuria e villania e, raccattando sassi, li scagliava contro di lui maledicendolo. « Davide! » scoppiò a dire Abisai. « Lascia ch’io vada e gli tagli la testa ». E Davide :.« No: lascia che mi maledica, poiché tale è la volontà del Signore » (II Re, XVI, 5-10). Il ragionamento di Davide è quello che deve fare ogni Cristiano che vuol essere paziente. Quando le ingiurie, le calunnie, le malattie, le tribolazioni, le disgrazie fischiano intorno alla nostra persona come le pietre di Semei nelle gambe di Davide, non facciamo come i cani che si fermano a ringhiare e morderle rabbiosamente, ma alziamo gli occhi in alto: — Dio mi prova: pazienza. Sia fatta la sua volontà. « Com’è bella questa pazienza dei santi! Vedetela nel martire Stefano: essa gli trasfigura il viso come quello d’un angelo. Osservatela nel Beato Martire: mai lo si trova irritato, sempre con lo stesso sorriso, la stessa pace celeste. Osservatela nel dolce S. Francesco di Sales: « Se mi accecaste un occhio — dice ad un insolente — vi guarderei ancora affettuosamente con l’altro » (A. TEXIER, La Carità nei giornali). – 3. MEZZI PER ACQUISTARLA. Innanzi a tutto, la preghiera. Si addensino le nubi, soffi il vento, piova, grandini, scoppi la folgore, in alto le stelle tranquillamente continuano il loro viaggio attraverso i campi azzurri del cielo. Perché non si turbano mai delle cose terrene? Perché stanno in alto. Noi pure dobbiamo con la preghiera gettare il cuore nostro in alto, come le stelle e sopra le stelle, in Dio: allora le burrasche del mondo ci faranno sì soffrire, ma perdere la pazienza, no. Quando la collera sta per assalirvi, quando il coraggio sta per abbandonarvi, quando vi vien voglia di piantar lì tutto e fuggire, dite una giaculatoria, una breve preghiera alla Vergine, a Gesù pazientissimo: anche su voi in quel momento, come sopra il capo di Stefano, si apriranno i cieli: e porterete pazienza. E poi, è necessario il silenzio. Di un giovanetto spartano le antiche storie raccontano che teneva nascosta sotto la tunica una volpe furiosa la quale gli rodeva il petto, ed egli ebbe il coraggio di lasciarsi mordere senza dir nulla, senza che nessuno sospettasse del suo tormento. Dobbiamo fare come lui: sopportare e tacere. Così ha fatto il maestro d’ogni nostra pazienza, Gesù: in tre ore di spasimo sulla croce ha detto soltanto sette parole. E in tutta la sua passione ha parlato pochissimo: preferiva tacere, poiché solo il silenzio ci conserva in pazienza. Ad esaminare bene la nostra vita non è vero che essa ci rimprovera di lamentarci troppo? A tutti vogliamo raccontare le nostre pene, magari esagerandole, nella speranza di ottenere conforti dalla comprensione altrui; a tutti vogliamo dir male delle persone che ci fanno soffrire, di quel parente che ci ha ingannati, di quella nuora che è la discordia della famiglia, di quell’uomo che ha rovinato i nostri interessi; con tutti ci lamentiamo della Provvidenza che ci dimentica, che è ingiusta, che non c’è… Chi non tace, ha già perduto la pazienza. – Pensate sovente al Crocifisso: consideratelo coperto di piaghe, accasciato di obbrobrio, sfinito di dolore, inondato di tristezza fino al fondo dell’anima, abbandonato da tutti, spogliato di tutto, maledetto! Sentirete allora che la vostra croce è più leggera e direte: « Pazienza: per amor mio Egli ne ha portato una enorme, e non porterò io questa piccola per suo amore? ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Job I. 1
Vir erat in terra Hus, nómine Job: simplex et rectus ac timens Deum: quem Satan pétiit ut tentáret: et data est ei potéstas a Dómino in facultátes et in carnem ejus: perdidítque omnem substántiam ipsíus et fílios: carnem quoque ejus gravi úlcere vulnerávit.

[Vi era, nella terra di Hus, un uomo chiamato Giobbe, semplice, retto e timorato di Dio. Satana chiese di tentarlo e dal Signore gli fu dato il potere sui suoi beni e sul suo corpo. Egli perse tutti i suoi beni e i suoi figli, e il suo corpo fu colpito da gravi ulcere.]

Secreta

Suscipe, Dómine, propítius hóstias: quibus et te placári voluísti, et nobis salútem poténti pietáte restítui.

[Ricevi, propizio, o Signore, queste offerte con le quali volesti essere placato e con potente misericordia restituire a noi la salvezza.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 81; 84; 86
In salutári tuo ánima mea, et in verbum tuum sperávi: quando fácies de persequéntibus me judícium? iníqui persecúti sunt me, ádjuva me, Dómine, Deus meus.

[L’ànima mia ha sperato nella tua salvezza e nella tua parola: quando farai giustizia di coloro che mi perseguitano? Gli iniqui mi hanno perseguitato, aiutami, o Signore, Dio mio.]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimoniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, quod ore percépimus, pura mente sectémur.

[Ricevuto il cibo dell’immortalità, Ti preghiamo, o Signore, affinché di ciò che abbiamo ricevuto con la bocca, conseguiamo l’effetto con animo puro]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (274)

LO SCUDO DELLA FEDE (274)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (17)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVII

TAVOLE PARLANTI E MAGNETISMO

• I. Io non vedo male a prender parte a quelle sedute. Il. Disdico ogni patto col diavolo. III. Vado armato di oggetti devoti. IV. Si può sapere se sia lecito e fin dove il magnetismo?

Quel che abbiamo detto nel capo antecedente, basta a dimostrare che i miracoli non si possono per verun modo spiegare coi nuovi fatti delle tavole parlanti e del magnetismo: ma non basta ad allontanare da quei pericolosi e rei tentativi molti anche di quelli che non si tengono per malvagi Cristiani. Questi si scusano col dire che non vedono male ad assistere a quelle sedute, che il fanno per istruirsi e per una semplice curiosità, che disdicono in cuor loro qualunque patto anche tacito che possa esservi cogli spiriti infernali, che vi vanno armati di oggetti sacri, quali sono le immagini di Cristo, della Vergine e dei Santi: poiché finalmente son possono darsi a credere che vi sia male in una pratica, la quale ha perfino condotto a vita più religiosa uomini che non si curavano di anima. Queste sono sottosopra le ragioni, onde credono potersi scusare agli occhi propri ed altrui: si contentino adunque che le esaminiamo un istante.

I. E prima di tutto essi non vedono male ad assistere alle sedate spiritualistiche, il fanno per istruirsi, per una semplice curiosità:

à. Ma qui subito offende quell’io non ci vedo male: perocché, e se altri di vista più acuta che non la vostra lo vedessero, sete poi voi il giudice supremo ed inappellabile di quel che è bene e di quel che è male? Levarsi una curiosità non è male, ma purché non sia peccaminosa; istruirsi è un bene, ma purché si faccia con modi onesti. Ora sono mantenute tutte queste condizioni all’assistere che si fa a quelle sedute? Eccovi alcune osservazioni che vi porranno in istato di giudicarne. – Ma prima adunque presupponete, non potersi ornai più dubitare, dopo le tante prove che se ne sono fatte da uomini dotti, che in quei fatti v’ è una vera intervenzione di spiriti dall’altro mondo, che non sono con noi, che non hanno con noi nulla che sia comune. E sebbene io non neghi che talvolta sia ingannato il pubblico con null’altro che giuochi di saltimbanchi, pure niuno potrà mai negare, se già non si toglie fede ad ogni umana autorità che molte volte non intervengano di veri spiriti. Le operazioni che essi fanno, il dare risposte a persone di ogni fatta che previo accordo muovono questioni, il parlare lingue ignote a quelli che li evocano, il trattare scienze che questi ignorano, il dar conto di avvenimenti lontani nel momento medesimo che succedono, ed altri fatti somiglianti, mostrano con ogni evidenza anche agli occhi della sana filosofia che ci vuole, come causa proporzionata, una intelligenza: se pure non si voglia ammettere l’assurdo che si possa macchinare un ingegno, il quale debba variare le risposte secondo la varietà di tutte le domande possibili a farsi. Del resto, che v’intervengano spiriti, l’abbiamo per confessione di quegli stessi che vi sono interessati, i quali tanto lo concedono, che da essi spiriti traggono la denominazione della loro scuola e si chiamano spiritualisti. – Presupponete in secondo luogo che nell’altro mondo vi siano spiriti e buoni e rei. Vi sono gli Angeli buoni, i quali, serbatisi fedeli a Dio, ne godono ora la vista svelata e sono purissimi spiriti, pieni d’ogni santità, del ministero dei quali si serve Iddio in fa re di quelli che ricevono l’eredità della salute. Vi sono gli spiriti reprobi, i quali non avendo mantenuto, come parlano le Scritture, il lor principato, spogliati della grazia divina, e condannati ad eterne pene, tentano con ogni maniera d’insidie di trarre gli uomini alla perdizione. Vi sono eziandio gli spiriti separati dai corpi, cioè le anime di quelli che ci hanno preceduti, delle quali le une regnano con Cristo in cielo, o si purificano nel purgatorio e sono anime giuste e sante, le altre sono riprovate con sentenza finale e tormentano negli abissi. Tutto ciò è chiaro ed innegabile ai Cattolici. – Ora, ecco la gran questione che ci si presenta: gli spiriti che si danno a conoscere in coteste sedute sono essi buoni o rei? La risposta non è difficile a darsi. Iddio non può permettere che gli spiriti buoni concorrano ad una azione che è gravissimamente da Lui vietata, che la santa Chiesa non solo non riconosce, ma severamente condanna, ad una azione che distruggerebbe molte verità della fede, che evidentemente è perniciosa. Ora è appunto tale l’evocazione degli spiriti: come dunque possono gli spiriti prendervi parte? – Che l’evocazione degli spiriti sia gravissimamente vietata da Dio, non può dubitarsene. È proibita indirettamente dove si vietano gli indovini, gli auguri, gli arioli, i pitoni e le pitonesse, e generalmente tutte le superstizioni per cui s’indagano gli avvenimenti futuri, che è appunto quello che si cerca per mezzo delle tavole parlanti, secondo che osserva la S. Congregazione: Ariotandi divinandique principium quoddam se nactos gloriantur. È proibita direttamente là dove è condannata sì gravemente la temerità di Saul, il quale tentò richiamare lo spirito del morto Samuele. – E sconosciuta al tutto alla Chiesa siffatta comunicazione. Sopra di che osservate che di tutte le maniere di comunicazione che i Cristiani possono avere coll’altro mondo, unica depositaria e custode e maestra è la santa Chiesa: tantoché niuna ve ne sia legittima che da essa non provenga. 1,a religione, dice un filosofo contemporaneo vieta il credere oltre a quello che essa insegna; ma si deve aggiungere, che vieta anche di fare oltre a quello che essa fa. Ora certo di questa via di comunicazione coll’altro mondo sì straordinario, la Chiesa mai non ha parlato, mai non l’ha proposta ai fedeli: sicché conviene dire che o mai non l’ha conosciuta, oppure sempre l’ha invidiata ai suoi figliuoli. Chi può dir dunque che sia legittima, che sia sicura? – Ma v’ è di più, che l’evocazione degli spiriti è direttamente opposta alle dottrine ed ai principii della Chiesa. Avete da sapere, o lettore, che nella Chiesa cattolica gli effetti, che trascendono la natura sono reputati impossibili ad ottenersi da cagioni naturali. Ora come non trascende la natura, l’aver comunicazione con spiriti separati da noi, cogli Angeli, coi Santi, collo stesso Cristo? Il darsi, dunque, un modo con cui arrivare naturalmente a questi effetti, siccome avviene nel nostro caso, è affatto fuori di tutti i Vescovi principi cattolici. Così lo dice espressamente la S. Congregazione nella circolare diretta a tutti i Vescovi della cristianità, dove, condanna quelli che tentano di fare lo stesso per via di magnetismo, apporta appunto questa ragione: Cum ordinentur media physica ad effectus non naturales, reperitur deceptio omnino illicita et haereticalis et scandalum contra honestatem morum. E perché alcuno non creda che ivi si condannino fatti diversi da quelli che si tentano per mezzo delle tavole parlanti, poco sopra li aveva espressi, cioè fare discorsi intorno alla religione, evocare le anime dei morti, ottenerne risposte, scoprire cose ignote e lontane ed esercitare altre superstizioni somiglianti: De ipsa religione sermones instituere, animas mortuorum evocare, responsa accipere, ignota ac longinqua detegere, aliaque id genus superstitiosa exercere, che sono appunto tutte quelle cose che per mezzo delle tavole si ri cercano. – Né queste condanne sono novità. Notano i teologi che queste superstizioni furono in altri tempi, sebbene con qualche accidentale varietà, pur troppo commesse, e già severamente condannate. La sola differenza tra le antiche e le moderne è questa: che allora si commettevano tra i nascondigli e le tenebre, poiché, riverita come era profondamente la Chiesa, i divieti di lei erano non solo rispettati dai singoli, ma pur dai Governi, informati dallo spirito cattolico colle leggi civili mantenuti in onore: laddove al presente che il protestantesimo ha introdotto lo spirito privato del culto, ed il valterianesimo ha magagnato anche i Governi, si commettono sfacciatamente in pieno giorno senza repressione: e con infamia altissima del popolo cristiano gli Hume e i Bort ne danno pubbliche rappresentazioni nelle capitali di Europa e nelle sale di America. I fatti però sono i medesimi, gli stessi scongiuri, le stesse evocazioni fatte per gli stessi fini, come gli effetti che ne provengono sono gli stessi. Laonde per i Cattolici, i quali sono certi che la Chiesa non può condannare quello che non è reo e degno di condannazione, si fa manifesto che, dovendo in quei fatti riconoscersi l’intervento di spiriti dell’altro mondo, questi non possono essere che spiriti reprobi e demoni.- Che se tutto ciò non bastasse a persuadere alcuni più inticchiati di coteste orrende superstizioni, osservate, io direi loro, gli effetti di esse, le risposte che danno, quello che consigliano, e, secondo l’ammonimento di Cristo, dai frutti conoscerete la pianta. Quali sono dunque essi? I giornali che ne riferiscono i fatti quotidiani, e gravi autori che ne hanno esaminata la questione, riportano in gran numero le infermità anche corporali avvenute dietro a quegli Iniqui tentativi, la perdita totale del cervello, l’eccitamento nervoso spinto ad un eccesso quasi epilettico, stranissime perturbazioni nell’ordine interno delle famiglie, e molti casi di morte anche subitanea. Ora gli Angeli santi del Dio della pace e le anime giuste non fanno così. – Ma più ancora si pare la reità di quegli spiriti negli oracoli che rendono: nei quali se qualche volta s’intingono, come or ora diremo, il più delle volte si manifestano per quel che sono. Interrogati sulla Religione cattolica, la disapprovano, infuriano contro i misteri di lei ed i sacramenti. Non possono patire la cattedra tremenda di San Pietro, dalla quale sono smascherati, e le si scagliano contro con una furia di veri demoni. Spropositano orribilmente sulla vita avvenire, sui novissimi, e sovra altre verità indubitatissime di nostra fede. Glorificano l’eresia, lodano gli eresiarchi, vilipendono i Santi: e l’empio Bort, che in Ginevra giunse a formare una religione novella in onor degli spiriti, introduce in certi scellerati suoi libri la persona sacrosanta di Gesù Cristo a favellare dalla tavola da libertino. Le quali cose essendo così come il provano i fatti luculentissimi di ogni giorno, chi sarà ancora tra cattolici o così scemo di cervello che non veda chiaramente donde muovano quei prestigi, o così perduto di coscienza che, vedendolo, pure si adatti a prendervi parte? – Non può dunque esser lecito l’assistere a quelle sedute, perché mai non può esser lecito l’entrare in comunicazione coi nemici di Dio, perché non è lecito di promuovere e coonestare colla propria presenza l’iniquità; e se è scusabile l’intervento di un ministro del Signore, il quale, per assicurarsi dei fatti, è mandato dalla legittima autorità, non può mai esser lecito l’intervenirvi per soddisfare ad una curiosità privata. – So bene che alcuni si rideranno bonariamente di me che credo possibile l’intervento degli spiriti dell’altro mondo negli affari di questo; ma so ancora che quelli che ridono così, ridono di una autorità ben più augusta che non è la mia. Ridono dell’autorità delle sante Scritture, le quali testificano la possibilità di tale intervento mentre ne allegano i fatti qual è quello di Saul; ridono del Vangelo, nel quale ne sono Citati dei fatti indubitabili; ridono della Chiesa, la quale avendo condannata la negromanzia e tante altre superstizioni, dove si suppone un tale intervento, se questo non fosse, si sarebbe divertita a colpeggiar l’aria. Ridono di innumerevoli santi Dottori, i quali tanto suppongono possibile questo fatto che ne ponderano gli effetti ed i modi di preservarsene; ridono dell’autorità di moltissimi Santi, i quali, secondo che testificano le loro vite, l’hanno dovuto anche troppo sperimentare. Anzi ridono pure degli eretici, dei filosofi pagani, degli idolatri, tra quali tutti non è mai rimasto dubbio che potessero intervenire, e sotto nome or di geni, or di demoni li hanno riconosciuti. Il negare adunque la possibilità di sì fatto intervento non è cosa non dico solo da cattolico, ma pur d’uomo ragionevole, il quale non si creda superiore a tutto l’umano genere. Perciò dove la Chiesa o l’autorità legittima dei superiori, o altre gravi ragioni ci premuniscono che in questa od in quella opera lo spirito delle tenebre può aver luogo, la nostra sicurezza, la pietà, l’obbedienza cattolica, il dovere ci costringono a guardarcene prontamente.

II. Io disdico internamente ogni patto col demonio, rispondono alcuni. Il disdire ogni patto col demonio è cosa ottima, ma qui non basta. Quando l’opera è di sua natura indifferente, che cioè può essere o naturale o diabolica, allora quell’atto interno ha il suo valore: ma dove ragioni chiare, e soprattutto per un cattolico l’autorità della Chiesa, indicano che l’opera di sua natura è rea, le proteste non hanno valore: non è la protesta che allora si chiede, è l’obbedienza. Che cosa, infatti, direste voi di uno che percotesse coi pugni, e vi levasse di tasca l’oriuolo, e tuttavia testasse che non intende né di offendervi né di rubarvi? Al danno egli aggiungerebbe la beffa. Similmente, i Vescovi che sono i reggitori del popolo cristiano, la Chiesa che n’è universale maestra, vi dicono che è male, e voi traete innanzi e dite: io lo farò ma con la protesta in contrario; forse la vostra protesta cambia la natura dell’atto? A questo modo potete mormorare, bestemmiare, fornicare, o dar corso a tutti i pravi desideri del cuore, e poi protestando che non avete intenzione di far peccato, tenervi per innocenti. Inoltre la protesta in questo caso è anche inefficace per un’altra ragione. Il patto col demonio può essere di due sorte: chiaro, espresso, esplicito, oppure implicito, nascosto, sottinteso. Nel primo caso l’invocazione di lui è manifesta, espressa. Il secondo caso è ogniqualvolta si adopera un mezzo che è conosciuto non proporzionato naturalmente al fine. Ora può bene chi è incerto sulla natura del mezzo, e crede potersi usare anche onestamente sebbene vi sia chi lo abusi, protestando che non l’adopera altro che in quanto jè lecito salvare la propria coscienza: ma chi sa già che è illecito, quando tuttavia l’adopera, consente veramente nell’atto superstizioso. Ed allora, come osservano i Santi, il demonio concorre a quel segno, senza tener nessun conto delle proteste in contrario. Se aveste convenuto con un vostro servo che al tocco del campanello ei si presentasse, avreste mal garbo a lagnarvi che presentandosi sia venuto a disturbarvi, perché toccando voi il campanello con un atto interiore avete disdetto quel cenno.

III. Porto indosso la corona, ecc. La corona, il crocifisso, l’acqua benedetta e le reliquie sono belle e buone, ma allo scopo presente non servono punto più che le proteste. Chi pone la causa, bisogna che si contenti di averne gli effetti. Qui si è posta in atto una causa superstiziosa, ed il demonio vi concorre per la sua parte. Molto più che, secondo la dottrina cattolica, solo i Sacramenti ben ricevuti producono affetto immanchevole: questi altri mezzi non hanno altro valore che d’intercessione: e però mentre riescono tanto efficaci nelle tentazioni, nelle quali il demonio viene in cerca di noi, possono riuscire di nessuna virtù quando noi, colla nostra curiosità, andiamo in cerca dei demoni. Iddio ci presta il suo soccorso ed il fa molto volentieri, ma secondo l’ordine della sua sapienza, non secondo i capricci delle nostre passioni. – Basterebbe forse a scusarvi da un furto, da un omicidio l’averlo commesso colla corona in tasca o colla reliquia al collo? Certo no. Ebbene essendo illecita in sé, perché gravemente superstiziosa, la vostra assistenza, e perché proibitavi dai legittimi superiori, non la renderete mai lecita coll’acqua santa o col rosario. – Sono avvenute persino delle conversioni… Io veramente non posso finire le meraviglie sopra certuni, i quali tanto veggenti nelle cose del mondo, sono poi sì rozzi nelle cose dell’anima e di Dio. Sua pure che qualche materialista in faccia a quei fenomeni non abbia più potuto negare l’esistenza degli spiriti; ma e non si sa che quel profondo ed arrabbiato nemico dell’umana salute che è il demonio non ha difficoltà di perdere qualche cosa per guadare poi dopo molto di più? Anche nel mondo gli scaltri trovano che è prudenza gittar un ago per ricogliere un palo: pensate adunque se lo spirito reprobo non troverà gran compenso di quella qualunque perdita nell’accreditare il regno della superstizione sulla terra, nello sviare gli uomini dall’obbedienza dovuta alla Chiesa, nel fissarli immobilmente in quegli errori rendendoli ostinati. Non sanno costoro quello che pure è dottrina di tutti i Santi fondati sull’autorità dell’Apostolo, che è vezzo tutto proprio dello spirito infernale incedere per vie tortuose, sorprendere gli uomini sotto aspetto di bene, trasfigurarsi, in una parola, in angelo di luce per ingannarli più sicuramente. Senzaché fa poi veramente una gran perdita il demonio con queste supposte conversioni? Che un materialista si cambi in spiritualista, credetemi, non gli toglie gran fatto. Il passare da uno ad un altro errore è sempre uno star lontano dalla verità, e star lungi dalla verità è dannarsi. Il demonio adunque non perde nulla a siffatte conversioni e guadagna molto nel farle credere: ed il trarle in campo a giustificare quegli errori, è non conoscere cosa sia vera conversione, né sino a qual punto sia scaltro a perdizione delle anime il comune nostro nemico.

IV. E questo potrebbe bastare al mio intento intorno a questa materia; se non che a modo di appendice vo’ aggiungere una parola di risposta ad una domanda che si fa non di rado dalle persone timorate di Dio, intorno all’argomento proposto in questo capo e nell’antecedente. A tutti questi fatti sia del magnetismo, sia delle tavole parlanti è lecito finalmente prendervi parte, o almeno in qualche grado, oppure è assolutamente vietata ogni cosa? Ecco la dimanda a cui vorremmo una risposta precisa. – Per intelligenza della risposta che sono per darvi, premettete brevemente prima, che il magnetismo, dietro a quello che fin qui se n’è scritto, può richiamarsi a tre gradi o stadi che sono i seguenti. Il primo non consiste in altro che nel procurare il sonno ad una persona per ristoramento, si dice, delle forze inferme di lei, e questo si fa, e certo si può fare, con maniere oneste e convenienti, e si suppone che non sia altro che la trasmissione fisica d’un fluido che da un corpo si deriva in un altro. Il secondo grado è quando la persona magnetizzata dallo stato di puro sonno passa allo stato che dicono di sonnambulismo, oppure di lucidità magnetica, oppure di chiaroveggenza, che con tutti questi nomi sogliono chiamarlo. A questo grado si possono rivocare tutti i fenomeni di vedere le cose lontane, di scoprire le interne infermità dei corpi, di leggere ad occhi chiusi, di intendere lingue ignote, di parlar di scienze mai prima non apprese, di dar consulti, e tante altre mirabilie di cui parlano i trattatori di quest’arte. Finalmente vi è un terzo grado, ed è quando la lucidità magnetica arriva tant’oltre che la persona magnetizzata non solo vede tutte le cose sopraddette, ma entra in comunicazione con un’altra specie di esseri, cioè cogli spiriti dell’altro mondo, dai quali riceve comunicazioni; e coi quali fa colloqui e ragionamenti. Questo terzo grado è forse l’anello che lega questi fatti a quelli della tavole parlanti, perocché come ivi gli spiriti fanno segno di presenza per mezzo della persona magnetizzata, così qui fanno segno di presenza per mezzo delle tavole, e già persino senza di esse con altri mezzi più alla mano. – Ciò premesso, eccovi la risposta che mi sembra doversi dare dietro le risoluzioni che fin qui ne abbiamo avute dalla Chiesa. Quanto al primo grado che è procurare altrui il sonno con la trasmissione di un fluido, parmi che non si possa ancora dai privati condannare. La S. Congregazione, sotto il 27 Luglio, diede un decreto così: Rimosso ogni errore, sortilegio ed invocazione implicita ed esplicita del demonio, l’uso del magnetismo, cioè il mero atto di adoperare mezzi fisici, d’altronde leciti, non è moralmente vietato, purché non tenda ad un fine illecito o comunque malvagio. Ora, come pensano uomini dotti e Cristiani, l’effetto che si ottiene in questo grado non eccedere le forze della natura e come può volersi per fini onesti, e per mezzi al tutto onesti conseguirsi: né la Chiesa finora ha interposta sentenza in contrario; così ne conseguita non potersi dire vietato. So bene che molti hanno orrore anche a ciò, ed io per mia parte aggiungerò loro che nol diminuiscono punto, poiché non è senza gravi pericoli anche questo grado. Imperocché, sebbene sia vero che niun privato abbia diritto di prevenire il giudizio della Cattedra apostolica e d’imporre altrui la propria persuasione, pure non è vietato lo sconsigliare quello da cui si vedono spesse volte provenire gravissimi danni fisici e morali, come accade in questo. – Ben diversamente s’ha da parlare del secondo grado, al quale si richiamano tutti i fenomeni sopraccennati del sonnambulismo. Checché abbiano detto e scritto in contrario, è chiaro che da Roma ne è venuta la proibizione. Avendo il Vescovo di Losanna descritto in un caso tutte le particolarità che sogliono intervenire in quel fatto, lo stato della magnetizzata, il modo onde le si fanno le interrogazioni, le risposte che essa rende, e tutte le strane circostanze che intervengono; dimandò se fosse lecito esercitar quell’arte in supplemento della medicina, ed il lasciarsi mettere in quello stato, ed il permettere che altri tenga consulto con magnetizzata intorno alla propria persona od altrui, anche aggiungendovi la cautela di rinunziare ad ogni patto ed intervenzione diabolica. La S. Penitenzieria il 1° Luglio 1841 rispose, non esser lecito l’uso del magnetismo secondochè veniva esposto. Ora essendo tutte quelle particolarità, addotte in esso, appunto quelle che si praticano comunemente, rimane chiaro che quello, che comunemente si pratica, è condannato. Né meno chiaramente parla l’Enciclica diretta, gli ha due anni, dalla S. Congregazione dell’Inquisizione a tutti i Vescovi della cristianità. Chiama nuovo genere di superstizione (novum genus superstitionis) il tentativo di scoprire per arte e prestigio del magnetismo cose occulte, lontane e future per mezzo di donnicciole, che pendono unicamente dal cenno dei magnetizzatori. Dice che studiano ad ingannare e sedurre gli uomini quei moderni che vi si applicano: Decipiendis ac seducendis homonibus student neoterici plures, rati posse occulta, remota ac futura detegi magnetismi arte vel præstigio, præsertim ope muliercularum quae unice a magnetizatoris nutu pendent. Di che ognuno vede se possa ancora illudersi chi dà retta a tutte quelle superstizioni. – E non meno di queste sono vietate quelle che abbiamo accennato appartenere al terzo grado, e per conseguente anche alle tavole parlanti. Anche qui io lascerò parlare la Enciclica sopraccitata: « Di qua, si dice ivi, sedotte ai prestigi di quel che chiamano sonnambulismo o chiara visione, pretendono quelle donnicciole di vedere cose invisibili, e presumono temerariamente di fare discorsi di religione, di evocare le anime dei morti, di averne risposte, di scoprire cose ignote o lontane, e di esercitare altre superstizioni somiglianti. Che però prosegue « qualunque sia l’arte o l’illusione che v’interviene, vi si trova una decezione al tutto illecita, ereticale e scandalosa contro l’onestà dei costumi. Finalmente passa ad eccitare lo zelo di Vescovi e Patriarchi dell’Orbe cattolico, affinché reprimano efficacemente un delitto sì funesto alla religione ed alla società con tutti i mezzi di cui possono disporre. Dalle quali parole i Cattolici che sanno qual è l’obbedienza che si debba ai superiori ecclesiastici, possono raccoglierne in primo luogo quanto siano vani i sotterfugi ai quali ricorrono quelli che affermano esser naturali gli effetti del magnetismo, non saper noi fin dove giungano le forze della natura, così non potersi persuadere che siano illeciti, e somigliante. Non si tratta più ora di investigare né quel che siano in sé, né fin dove giungano le forze della natura, né quello che ad essi ne paia; si tratta di piegare il capo, di sottomettersi alla legittima autorità, di obbedire. – Possono in secondo luogo raccoglierne i Cattolici quanta sia l’impudenza di quelli che, non ostante i divieti fatti dalla legittima autorità, proseguono a dare simili rappresentazioni, e ne tengono sedute pubbliche, e riempiono i giornali di avvisi e di narrazioni dei loro prodigi; quanta sia l’empietà di quelli che proseguono a caldeggiare quasi fosse una scienza naturale quella che è una superstizione diabolica; quanto sia improvvida la condotta di quei governi che lasciano correre siffatte abominazioni; e quanto savia la condotta di quelli, che impiegano la loro autorità nel preservarne il popolo cristiano. Non è necessario di essere impastato di devozione per detestare eccessi così gravi: basta non avere al tutto perduto ogni umano sentimento. – Fatalmente se qualche lettore più pio, vedendo che si commettono nel mondo eccessi sì gravi quasi se ne scandalizzasse, io gli aggiungerò qui sull’ultimo una parola di spiegazione e di conforto. È veramente nuovo nel mondo che con tanta sfacciataggine gli uomini si abbandonino a colpe sì gravi; tuttavia il Maestro divino ci ha prevenuti che così sarebbe stato, perchè non ce ne commovessimo. Dopo i mille anni, dice egli per S. Giovanni, sarà sciolto satana dalla sua prigione, e discorrendo la terra sedurrà le nazioni: Et exibit et seducet gentes (Apoc. XX, 7). “E la seduzione sarà tale – ne dice egli – che, se fosse possibile, sarebbero tratti in errore perfino gli eletti”. “Abbonderà l’iniquità, raffredderassi la carità” (Matt. XXIV, 12). “La fede parrà quasi spenta” (Luc. XXIII, 8). “Gli uomini saranno amanti solo di sè stessi, superbi, blasfemi, disobbedienti ai genitori, senza riguardi ai diritti del sangue e della natura, nemici dell’ordine e della pace” (II Tess., III,2). “Disprezzeranno ogni legittima potestà, bestemmieranno la maestà” (Jud. VIII). Vedrassi allora apparire un nuovo genere di empietà fino a quel tempo sconosciuta, la quale consisterà non nell’abbracciare una falsa religione, ma nel dispettare ogni culto, e nel tenersi al di sopra di tutto ciò che gli uomini riveriscono ed adorano. Gli errori degli uomini non saranno più errori umani, ma errori al tutto diabolici. Attenderanno agli spiriti di errore ed alle dottrine degli stessi demoni, Attendentes spiritibus et erroris et doctrinis dæmoniorum (I Tim. IV, 1) e così prepareranno la strada a quello il cui arrivo sarà secondo l’operazione di satana (II Tess. II), e farà segni, prodigi e falsi miracoli per sedurre gli uomini. Ora chi può meravigliarsi che quello che l’eterna verità ha prenunziato, cominci ad apparire? Non un iota, non un apice della sua divina parola ha da rimanere senza compimento. – Ma e non correremo pericolo di seduzione? II pericolo vi è, e ciò nonostante nulla è più facile che evitarlo: e questo è che, io dicevo tornare a grandissimo conforto dei veri fedeli. Che cosa, dunque, si richiede ad una totale sicurezza? Niente altro che tenersi immobilmente stretto alla rocca incrollabile, che è la S. Chiesa. Qualunque arte peregrina, qualunque invenzione, qualunque prestigio si presenti di nuovo, gridi chiunque vuole, qui è il Cristo, qui è la verità; noi non abbiamo da fare altro che quello che fa un figlioletto affettuoso in caso di incertezza e di dubbio. Esso volge uno sguardo alla madre, e coll’occhio la interroga, e dove abbia un cenno di risposta, egli ha tutto compreso e si acquieta. Similmente il Cristiano, interrogata che ha la Chiesa, se ode dirsi che non v’ha pericolo, è pienamente sicuro che pericolo non vi ha, se ode intimarsi che non è quella la strada da battere, egli allontanandosene francamente, sarà preservato dalla seduzione. – Le vittime pertanto saranno tra quei fedeli, i quali incautamente vorranno prestare orecchio ad ogni pericolosa novità. In più gran numero ancora saranno tra quei Cattolici di puro nome, i quali non riconoscono al tutto l’autorità della Chiesa o non l’ascoltatore, ma soprattutto saranno presso quegli sventurati che appartengono al protestantesimo, i quali non avendo alcun fondamento di certezza si gittano a seguitare qualunque maestro si presenti, come vediamo accadere in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Ginevra, dove l’ultimo che si mostra e bandisce qualche nuovo errore, tosto fa seguaci, fa popolo, e forma una religione novella, la quale si dissolve poi il giorno o l’anno seguente all’apparire di un altro errore farneticante. Faccia Dio che i Cattolici sappiano valersi del tesoro che possiedono, e che i protestanti dalla stessa moltitudine e gravità dei loro errori giungano ad invogliarsene!

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (2)

5. IL COMANDAMENTO DELL’AMORE PER IL PROSSIMO.

Tutti sono nostro prossimo senza distinzione di religione, nazionalità, età, sesso o stato (S. Aug.).

La storia del Buon Samaritano ci insegna che lo straniero e persino il nemico è il nostro prossimo. (S. Luc. X). Purtroppo, molte persone considerano come loro prossimo solo chi appartenga alla stessa nazionalità o alla stessa religione. In Cristo non ci sono né Giudei né Greci, ma tutti sono uno (Gal. III, 28).

.1. DOBBIAMO AMARE IL NOSTRO PROSSIMO PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA, PERCHÉ È FIGLIO DI DIO E CREATO A SUA IMMAGINE E SOMIGLIANZA; PERCHÉ DISCENDIAMO DAGLI STESSI GENITORI E SUAMO TUTTI CHIAMATI AD UN’ETERNITÀ BEATA.

Gesù Cristo ha comandato: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. (S. Marco XII, 31). – Chi ama il Padre amerà anche i suoi figli. (I. S. Giovanni V, 1). Ora, il nostro Padre comune è Dio, che ci ha creati tutti (Mal. 11, 10). Siamo tutti suoi figli e dobbiamo quindi amarci gli uni gli altri. “Tutti coloro che discendono dalla stessa persona sono imparentati tra loro. Tutti coloro che hanno ricevuto la vita dallo stesso Dio, sono fratelli e sorelle e devono amarsi gli uni gli altri (Lact.). Chi ama il padre rispetterà certamente anche il suo ritratto; ora, il nostro prossimo è l’immagine di Dio (Gen. I, 27), quindi dobbiamo amarlo. Come la luna riceve la sua luce dal sole, così l’amore per il prossimo deriva dall’amore di Dio. Dobbiamo quindi amare il nostro prossimo con un amore che sarebbe impossibile se non ci fosse Dio (S. Edmond). – Siamo tutti figli della prima coppia, quindi siamo tutti una grande famiglia e il nostro amore deve essere amore fraterno. – Infine, siamo tutti chiamati alla beatitudine eterna. Un giorno dovremo dimorare tutti insieme in eterno, vedere Dio e benedirlo per sempre. S. Giovanni dice: “Vidi una folla innumerevole di ogni nazione, tribù, popolo e lingua; tutti in piedi davanti al trono dell’Agnello, rivestiti di vesti bianche, con rami di palma nelle mani (Ap. VII, 9). Sulla terra vediamo persone che svolgono la stessa professione, sacerdoti, insegnanti, ecc. in stretta unione, così dobbiamo fare noi, che chiamati alla stessa beatitudine, dobbiamo essere uniti dal vincolo della carità. Per questo Gesù Cristo ci ha insegnato una preghiera, quella domenicale, in cui ognuno prega per tutti.

2. L’AMORE PER IL PROSSIMO ESISTE NELLA NOSTRA ANIMA QUANDO SIAMO BENEVOLI NEI SUOI CONFRONTI, SENZA FARGLI DEL MALE MA FACENDOGLI DEL BENE.

L’amore per il prossimo non consiste solo in un sentimento di tenerezza o di benevolenza nei suoi confronti, perché ne trarrebbe poco frutto. S. Giacomo disse: “Se uno dei tuoi fratelli venisse da te nudo e affamato e tu gli dicessi: Vai in pace, riscaldati e saziati, senza alcun aiuto da parte tua, a cosa servirebbero le tue parole?” (Giac. II, 15). L’amore per il prossimo è quindi prima di tutto un atto di volontà e si esprime attraverso la beneficenza. “Non dobbiamo amare solo con le labbra e con le parole, ma soprattutto con le azioni e nella verità. (I. S. Giovanni III, 18). La benevolenza consiste nella gioia di vedere il nostro prossimo felice e nel dispiacere di vederlo infelice. – S. Paolo ci dice: “Rallegratevi con quelli che gioiscono e piangete con quelli che piangono” (Rm XII, 15). Notiamo la gioia di Elisabetta quando seppe che Maria fosse diventata la Madre di Dio, e le disse le parole che recitiamo nell’Ave Maria. (S. Luc. 1,42). Si noti anche la gioia dei vicini di Zaccaria alla notizia della sua guarigione miracolosa in occasione della nascita di San Giovanni Battista (Lc. I, 58); così come la gentilezza di Abramo nei confronti di Lot, al quale cedette volentieri la terra migliore (Gen. 12); quella di Mosè espressa in questi termini: Che tutti i popoli posseggano la saggezza e che Dio dia loro il suo spirito. (Gen. XI, 24). Auguri offerti in occasione di una festa, di un nuovo anno, di un lieto evento, il saluto che ci rivolgiamo l’un l’altro quando ci incontriamo, sono segni di benevolenza. Il Salvatore stesso salutò i suoi Apostoli con queste parole: “La pace sia con voi; gli stessi Angeli salutano, come possiamo vedere dal saluto dell’Arcangelo Gabriele alla Vergine Maria, e i buoni Cattolici usano da tempo la pia formula per salutarsi: Sia lodato Gesù Cristo! S. Paolo raccomanda di essere premurosi l’uno con l’altro (Rom XII, 10). Cancellare la benevolenza sulla terra, è come sopprimere il sole, e con ciò rendere le relazioni degli uomini tra loro impossibili. (S Greg. M.) Le membra di un medesimo corpo sono legati da incidenti che capitano ad uno di essi; quando una spina penetra nel piede, gli occhi cercano di vederla, la lingua viene informata, il corpo si contrae e la mano si muove per estrarla. Noi dobbiamo fare lo stesso verso il nostro prossimo. (S. Aug.) – Non ci è dunque permesso di rallegrarci della disgrazia, né rammaricarci della felicità del nostro prossimo. Le gioie dell’invidia sono diaboliche e sono il segno più certo che l’uomo non possiede l’amore per il prossimo.

Dobbiamo evitare di danneggiare il nostro prossimo nella sua vita, innocenza, proprietà, onore e diritti di famiglia.

specialmente quando si trova nel bisogno.

Dio difende tutto ciò negli ultimi 6 comandamenti. Chi trasgredisce gravemente uno solo di questi comandamenti non ha la carità.

Noi dobbiamo fare del bene al nostro prossimo. Specie quando sia nel bisogno.

Il nostro Giudice ci richiede opere di misericordia e fa dipendere da esse la nostra salvezza. (Mt. XXV, 35). In un edificio, una pietra sostiene l’altra, senza il che l’edificio crollerebbe; allo stesso modo, nella Chiesa, tutti devono sostenersi e sorreggersi a vicenda. (S. Gr. M.) La carità è una catena che ci lega al nostro prossimo e fa sì che ci preoccupiamo di lui con affetto. (S. Giovanni Dam.) Più la carità è perfetta, più è generosa e meno egoista. (Dionigi il Cert.)

3. DOBBIAMO AMARE IL NOSTRO PROSSIMO COME NOI STESSI. MA NULLA CI OBBLIGA AS AMARLO PIÙ DI NOI STESSI.

Gesù Cristo ha detto: “Fate agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi”. (Matth. VII, 12). Ciò che non volete sia fatto a voi, non fatelo agli altri. (Tob. IV, 16). Mettetevi spesso nella situazione di uno dei vostri simili e vi comporterete in modo molto diverso da come vi comportate. – Tuttavia, la carità ha i suoi limiti. Mi è concesso, ad esempio, di difendermi dal mio vicino se minaccia la mia vita, e non sono obbligato a privarmi delle necessità della vita per aiutare gli altri. Le vergini sagge non diedero olio alle vergini stolte per paura di non averne abbastanza per sé. (S Matth. XXV, 9). Chi fa questo, però, senza esserne obbligato fa un vero atto eroico di carità, come la vedova di Sarepta che diede al profeta Elia tutto ciò che le restava (III Re XVII). Ma l’amore più grande è dare la vita per i propri simili. (S. Giovanni XV, 13). Lo ha fatto il Salvatore e centinaia di missionari che, per salvare le anime dei loro simili, non temono di esporre la loro vita ad ogni pericolo. – Durante la peste del 1576 S. Car. Borromeo, Arcivescovo di Milano, curò personalmente centinaia di appestati, e spese tutto il suo patrimonio per aiutarli. Molti altri Santi fecero lo stesso.

4. TUTTO CIÒ CHE FACCIAMO AL NOSTRO PROSSIMO, SIA DI BUONO CHE DI CATTIVO, È FATTO A GESÙ CRISTO STESSO, PERCHÉ- DICE GESÙ CRISTO – “QUALUNQUE COSA ABBIATE FATTO AL PIÙ PICCOLO DEI MIEI FRATELLI LO AVETE FATTO A ME”. (Mt. XXV, 40).

Gesù disse a Saulo sulla via di Damasco: “Perché mi perseguiti?”. Eppure, Saulo aveva perseguitava solo i Cristiani. (Act. Ap. IX). Quando San Martino ebbe dato al mendicante metà del suo mantello, Gesù Cristo gli apparve in sogno la notte seguente, circondato da Angeli, vestito di questa metà del mantello e disse: “È con questo mantello che Martino mi ha rivestito oggi”. Dio si pone, per così dire, a protezione del prossimo per proteggerlo, e non possiamo ferirlo senza prima ferire Dio stesso.

5. CHIUNQUE OSSERVI IL COMANDAMENTO DELLA CARITÀ OTTERRÀ SICURAMENTE UN’ETERNITÀ BEATA.

S. Giovanni evangelista rivolgeva continuamente ai Cristiani queste parole: “Figlioli miei, amatevi gli uni gli altri.”. “Quando gli fu chiesto il motivo di queste parole spesso ripetute, rispose: “Se vi amate gli uni gli altri, osserverete tutta la legge”. “S. Paolo ha espresso spesso lo stesso concetto (Rom. XIII, 8; Gal. V, 14). Il Salvatore promette già la vita eterna a colui che, dei 10 comandamenti, osserva quelli relativi all’amore per il prossimo (S. Matth, XIX, 18) e a fare opere di misericordia (id. XXV, 31). Perché chi evita di fare del male ai suoi simili o fa loro l’elemosina non può essere cattivo. Un ubriacone, un giocatore d’azzardo, un avaro, un uomo orgoglioso, un uomo senza fede, un fannullone, un ladro, raramente faranno l’elemosina. Chi fa l’elemosina, colui che pratica le opere di misericordia, possiede molte altre virtù oltre alla generosità. La carità non può esistere senza altre virtù, come il cuore non può esistere in un corpo senza membra. L’elemosina può quindi essere giustamente considerata come il cuore delle virtù (S. Cris.),

6. LA CARITÀ È IL SEGNO PROPRIO DI IN VERO CRISTIANO. INFATTI IL SALVATORE HA DETTO: ” DA QUESTO SEGNO SI CONOSCERÀ CHE SIETE MIEI DISCEPOLI, SE VI AMATE GLI UNI GLI ALTRI. (S. Giovanni XIII, 35).

Gesù Cristo ci ha amati per primo, prima che noi meritassimo di essere amati. Se dunque noi amiamo e facciamo del bene anche a coloro da cui non abbiamo mai ricevuto alcun beneficio, se amiamo sull’esempio di Gesù, siamo veramente suoi discepoli e ci distingueremo facilmente da coloro che di solito amano solo i loro amici e benefattori..(S. Cris.) È perché questo comandamento, dato da Gesù Cristo, non era conosciuto prima di Lui, che Egli ha potuto darlo a noi. (S. Giovanni XI, 34). –

Come sarebbe bello vivere se questa carità regnasse ovunque! Le leggi, i giudici, le punizioni diventerebbero inutili: nessuno farebbe del male al suo prossimo, gli omicidi, le dispute, le liti, i tumulti, i saccheggi e gli altri mali sarebbero sconosciuti tra gli uomini. Non ci sarebbero più poveri, ma ognuno avrebbe ciò di cui ha bisogno. (S. Cris.)

6. L’ASSENZA DI CARITÀ.

Non ha carità

1° COLUI CHE, INVECE DI DESIDERARE IL BENE AL SUO PROSSIMO, È INVIDIOSO DI LUI.

Il peccato di invidia si commette quando, per malizia ci rallegriamo del male del nostro prossimo o ci rattristiamo del bene che gli capita.

L’invidioso non vede (in latino: in privativo e videre, “invidere”) la felicità degli altri e cerca di danneggiarli con parole ed azioni. Questi assomiglia ai serpenti indiani che rosicchiano gli alberi carichi di fiori profumati, perché ne odiano la fragranza. Egli è come la tignola che corrode i vestiti di porpora; come la ruggine che distrugge il ferro; il bruco che divora tutte le foglie verdi di un albero. (S. Aug.) – L’invidioso che si rallegra della disgrazia del suo prossimo è simile al corvo, che trae piacere solo dalla decadenza e dal fetore della decomposizione. – Tuttavia, se la nostra tristezza o la nostra gioia nascono dall’amore per Dio e del prossimo, non sono colpevoli; per esempio, se qualcuno si rattrista per il fatto che un nemico della Chiesa riesca a ottenere una grande influenza negli affari pubblici, o che veda una certa felicità andare a un peccatore che ne abuserà per peccare ulteriormente. – Tra coloro che sono colpevoli di invidia ci sono: satana, che lo fu dri nostri primi genitori nel paradiso terrestre; Caino, di suo fratello Abele, perché il sacrificio di Abele era gradito a Dio. (Gen. IV); i figli di Giacobbe, del loro fratello Giuseppe, perché era il preferito del padre (id. XXXVII); il re Saul, di Davide, perché il popolo lo onorava per aver ucciso il gigante Golia (I Re XVII). Alcuni invidiano gli altri per la loro situazione di fortuna (odio di professione o odio di classe). – Il grado più basso di invidia consiste nel vedere con dispiacere il nostro prossimo progredire nella virtù e nella grazia di Dio. L’invidia spirituale è un peccato contro lo Spirito Santo. Spirito Santo. Ecco come i sommi sacerdoti e i farisei invidiavano Gesù Cristo: quando lo videro fare miracoli, decisero di metterlo a morte (S. Giovanni XI, 47). Questo è il peccato particolare dei demoni, poiché appena vedono un’anima eletta progredire nel bene, entrano in furia e la perseguitano subito. (S. Gr. M.).

2. Di tutti i peccati, è l’invidia che rende l’uomo più simile al diavolo, perché è il peccato particolare del diavolo.

Chi è invidioso assomiglia al demonio (San Cipriano), perché è attraverso l’invidia che la morte è entrata nel mondo (Sapienza II, 24). Proprio come Gesù Cristo ha detto: “Da questo segno si conoscerà che siete miei discepoli se vi amate gli uni gli altri”, allo stesso modo il diavolo può dire: “Sapranno che siete miei discepoli, se vi invidiate a vicenda come io vi ho invidiato (S. Vinc. Fer.). L’invidioso non ha nessuna somiglianza con Dio, e poiché non è nulla, desidera essere circondato solo da miseria e rovina. (S. Bonav.) Di tutti i peccati, è l’invidia che contiene la più grande malizia, perché ogni peccato e vizio ha delle attenuanti. L’intemperanza è scusata dall’appetito; la vendetta dalla difesa dei propri diritti; il furto dalla povertà, ecc; (S. Cris.) L’invidia è peggiore della guerra, perché la guerra ha dei motivi, mentre l’invidia non ne ha nessuno. In più la guerra cessa, l’invidia non cessa mai. L’invidia non è altro che uno stato d’animo diabolico (S. Cris. ). La malizia dell’invidioso è, per così dire, ancora più grande di quella del demonio, perché il demonio invidia solo l’uomo, ma non i suoi simili, mentre l’uomo invidia i suoi fratelli. (L’invidia è l’unico peccato che resiste all’influenza delle opere di misericordia. Possiamo calmare un uomo arrabbiato o un nemico con parole gentili, ma non l’invidioso: “Date da mangiare ai cani e diventeranno mansueti; accarezzate un leone e sarà domato, ma per l’invidioso la cortesia e la condiscendenza non faranno che eccitarlo di più”. (S. Giovanni Dam.) – Di tutti i peccati, l’invidia è quello che dà meno soddisfazione. L’intemperante, l’avaro, l’irascibile ecc., sembrano almeno godere della loro passione, ma l’invidioso no. Assomiglia alla farfalla che, lungi dallo spegnere la luce con il suo battito d’ali, non fa che bruciarsi in essa. (Diez).

3. L’invidia provoca un grande danno all’anima. Essa gli toglie la pace interiore e la salute corporea, e la porta a molti peccati contro la carità e alla dannazione eterna.

Come un verme rosicchia il legno da cui nasce, così l’invidia rode anche il cuore che le ha dato rifugio. Tormenta la mente, distrugge la pace della coscienza, riempie l’anima di malumore e tristezza e allontana ogni gioia. Una volta insediatosi in un’anima, non tarda a manifestarsi esternamente, come accadde al volto smunto di Caino (Gen. IV, 5); toglie al volto i suoi colori freschi e si rivela con il pallore e gli occhi spenti la pena prodotta all’interno. Quando il cuore e le viscere sono dilaniati dagli artigli della malevolenza, nessun cibo soddisfa e nessuna bevanda delizia. (S. Cipr.) L’invidia accorcia la vita umana. (Eccl. XXX, 26). La persona invidiosa è il proprio carnefice (S Gr. de Naz.). Come la ruggine rode il ferro, così l’invidia distrugge a poco a poco l’animale invidiosa (S. Bas.) L’invidia è paragonata a forbici che si consumano con l’uso, o a una lama che taglia il cuore da cima a fondo. L’invidia porta a molti peccati contro la carità. Dopo aver macchiato la terra con il fratricidio, spinse i figli di Giacobbe a vendere il loro fratello, ha ispirato Saul a perseguitare il suo benefattore Davide ed ebbe persino assetato del sangue di Gesù Cristo raggiungendo il suo scopo. – L’invidia porta a mormorare contro la provvidenza divina. Fu l’invidia a far sì che gli operai che erano stati impegnati nella vigna del Signore mormorassero, perché il padre di famiglia dava lo stesso salario agli operai dell’ultima ora (S. Matth. XX, 9). L’invidioso odia i benefici divini. L’invidia esclude dal regno celeste (Gal. V, 20); essa è la garanzia più sicura della dannazione eterna. (S. Bas.) È stata l’invidia a spingere gli angeli all’inferno e ha spinto i nostri primi genitori fuori dal paradiso terrestre. (S. Aug.). Se già dobbiamo amare i nostri nemici sotto pena di peccato, quale sarà la nostra punizione se perseguiremo con invidia coloro che non ci hanno fatto alcun male! (S. Cris.).

4. Il modo migliore per soffocare l’invidia in noi è fare il più possibile del bene al nostro prossimo.

Chi vuole estirpare il mostro dell’invidia dal suo cuore, non ha bisogno né di spada, né di scudo, né di elmo, tutto ciò che deve fare è accendere il fuoco della carità nel suo cuore..(S, Gr. M.) “Fate dunque molto bene a colui verso il quale nutrite sentimenti di invidia.; almeno pregate per lui, affinché sia felice. In questo modo otterrete due vittorie, una sull’invidia e l’altra sull’esercizio delle opere di misericordia (S. Cris.). – Medita anche sulla vanità delle cose terrene: presto dovrete lasciare tutto, e allora non dovrete più rendere conto di ciò che avete posseduto, né delle dignità a cui siete stati chiamati, ma la vostra felicità eterna dipenderà dalle opere buone che avrete fatto. Il primo sarà quindi ultimo e l’ultimo primo. (S. Matth. XIX, 30). Se vuoi essere grande un giorno, umiliati adesso e ama essere sconosciuto e disprezzato, perché chi si umilia sarà esaltato (S. Luc XIV, 11).

2. NÉ HA CARITÀ CHI NUOCE AL SUO PROSSIMO: ALLA LA VITA L’INNOCENZA, I BENI, L’ONORE O AL SUO FOCOLARE DOMESTICO.

3. CHI OMETTE DI COMPIERE OPERE DI MISERICORDIA.

Non si ama il prossimo se, quando è nel bisogno, non lo si aiuta a sufficienza per vivere. (S. Cris.) Lo stretto dovere del ricco è quello di fare l’elemosina. Ma questo dovere è molto trascurato nel nostro tempo. Già Sant’Ambrogio agli avari del suo tempo faceva il seguente mercuriale: “Voi adornate brillantemente le pareti della vostra casa, ma derubate i poveri. Quando un povero alla porta della vostra dimora vi chiede una piccola moneta, voi gli passate accanto, rifiutandogli anche solo un’occhiata, ma pensate al tipo di marmo con il quale sarebbe meglio pavimentare il vostro palazzo. Mentre un uomo affamato vi chiede del pane, il vostro cavallo avrà un morso in oro. O ricco, che giudizio severo porti su di te che avresti potuto alleviare tanta miseria. Il solo diamante che porti al dito potrebbe essere usato per sfamare un intero popolo”. S. Crisostomo si esprime così. Crisostomo si esprime riguardo ai ricchi dal cuore duro: “La cosa peggiore è che siete spinti all’avarizia né dalla povertà né dalla fame. Tua moglie, la tua casa, persino i tuoi animali sono coperti d’oro, mentre chi è fatto a immagine di Dio ed è salvato dal sangue di Gesù Cristo è in miseria a causa della vostra disumanità. Il vostro cane è nutrito con cura, mentre un uomo, o meglio, Gesù Cristo stesso è, a causa di quel cane, gettato in estrema miseria a causa di questo cane. Quali torrenti di fuoco ci vorranno per un’anima così colpevole! (Parleremo più esplicitamente delle opere di misericordia alla fine del decalogo).

7. L’AMICIZIA.

1. Per amici si intendono le persone che condividono gli stessi principi, si sostengono vicendevolmente ed hanno reciproca confidenza.

Le persone che la pensano allo stesso modo fanno amicizia facilmente. Le persone che si somigliano si attraggono. Siamo più bendisposti verso i nostri amici che con le altre persone. I veri amici hanno un solo cuore e una sola anima. L’amicizia è come uno specchio che riflette fedelmente l’oggetto o la persona che vi si riflette. Quando la persona davanti allo specchio ride, muove la testa, l’immagine fa lo stesso; questa sembra volere o non volere in perfetta conformità con essa; così è per l’amicizia. (Ger.) Piccoli malintesi, incomprensioni, lungi dal distruggere l’amicizia, la rafforzano, come i maniscalchi che gettano l’acqua sul fuoco per renderlo più intenso, e i principi che mettono più cura nel custodire una città riconquistata che una mai presa dal nemico. (S. Fr. di S.). I veri amici si sostengono a vicenda. Abbiamo Damon e Pythias che erano amici intimi. Uno di loro fu condannato a morte dal tiranno Dionigi; come ultimo favore, chiese di poter tornare a casa e mettere in ordine i suoi affari. Il suo amico si offrì come ostaggio e promise di morire al suo posto se fosse mancato. Il momento dell’esecuzione si avvicinava e il condannato non era ancora arrivato; Pitia, però, sapeva che l’amico non sarebbe venuto meno alla sua parola data e che sarebbe arrivato. Ed in effetti questi venne. Il tiranno, mosso dall’ammirazione per tale amicizia, perdonò il condannato. – Davide, un povero pastore di Betlemme, e Gionata, il figlio del re Saul (I Re XX, 34; XVIII, 1) si erano conosciuti durante la guerra e la loro nobiltà d’animo li portò a stringere una stretta amicizia. Quando Gionata seppe che Davide veniva inseguito fino alla morte, non prese cibo, tanto era grande il suo dolore. Quando dovette lasciarlo, pianse amaramente. Lo avvertì di tutti i pericoli che lo minacciavano e gli fece persino dono di armi e vestiti. – I veri amici hanno un rapporto di confidenza e di apertura reciproca. Quando si entra in una stanza, si vede subito tutto quello che contiene. È così che gli amici aprono la loro anima l’uno all’altro per comunicare i segreti più intimi. Anche Gesù Cristo ha svelato molti segreti ai suoi discepoli. – I veri amici sono quindi molto franchi e prestano attenzione ai difetti che notano nell’altro. È così che Gesù Cristo ha fatto notare agli Apostoli i loro difetti, dicendo loro di diventare come i bambini (S. Matth. XVIII, 3). S. Grég. M. diceva: “Riconosco come amici solo quelli che hanno il coraggio di avvertirmi dei miei difetti “.

2. Per essere veri amici, è necessario che i principi comuni siano uniformi gli insegnamenti della Chiesa.

L’amicizia è come un edificio, perché poggia su un fondamento che deve essere l’amore ed il timore di Dio.

L’edificio dell’amicizia sarà costruito sulla sabbia se il suo fondamento è il vizio o l’interesse personale. (Galura). Chi è nemico di Dio non sarà mai un vero amico (S. Amb.). Solo colui che ama in Dio, ama veramente ; chi lo ama per altri motivi odia più di quanto ami (S. Aug.). I coralli in fondo al mare non sono altro che vegetazione verdastra, sottile e senza bellezza; appena fuori dall’acqua, diventano rossi, duri e brillanti. Allo stesso modo, l’amicizia diventa bella e solida non appena si eleva nell’amore di Dio.

3. Gli amici i cui principi sono colpevoli sono falsi amici, perché perdono il corpo e l’anima e sono abbandonati nell’infelicità..

Le false amicizie nascono spesso nei luoghi di piacere, tra i giocatori d’azzardo, gli ubriaconi e i beoni, tra persone di cattiva reputazione che hanno bisogno di complici. È così che Giuda ed i Giudei si unirono contro Gesù (S. Matth. XXVI, 16); anche Erode e Pilato divennero amici quando si trattò di condannare Gesù (S. Luc. XXIII, 12).

I falsi amici si legano a qualcuno solo per il momento del bisogno. (Eccl. VI, VII). Quando Giuda, disperato e gemente, portò i 30 denari ai sommi sacerdoti, questi sembravano non conoscerlo più e risposero: “Che cosa ci riguarda?”(S. Matth. XXVII, 4). I falsi amici sono come le rondini che restano in un paese solo finché sia caldo e piacevole e lo abbandonano al primo freddo. (Plinio). Sono anche come quelli che, incontrando un albero da frutto sul loro cammino, lo spogliano dei suoi frutti e poi proseguono per la loro strada; o come le api che lasciano il fiore dopo averne succhiato il miele (Segneri). Essi somigliano alla canna che si spezza appena ci si appoggia sopra. Da qui il detto dei Romani: “Finché sei felice e la fortuna ti sorride, avrai molti amici; ma non appena il tuo cielo si coprirà di nuvole, tutti ti abbandoneranno”(Ovidio). Il bisogno o la povertà sono la migliore pietra di paragone per l’amicizia. (Cassiodoro).

4. È lecito avere amici e preferirli ad altri., perché anche Gesù aveva una predilezione per gli amici.

Gesù amava tutti gli uomini, ma soprattutto i suoi discepoli. Li chiamava amici, figli, figlioli, e li trattava in modo molto affettuoso. Ma tra tutti i suoi discepoli Gesù preferiva Giovanni (S. Giovanni XIII, 23; XX, 2; XXI, 7), poi Pietro e Giacomo che portò con sé nei momenti più importanti della sua vita, sul Tabor e nell’Orto degli Ulivi. Infine, ebbe un amore speciale per Lazzaro e le sue sorelle. (S. Giovanni XI, 5). Sappiamo anche che Dio preferisce coloro che gli assomigliano e lo amano di più, e li favorisce con più grazie ed amore. Di conseguenza ci è concesso anche di avere maggiore fiducia ed affetto per coloro che condividono maggiormente i nostri gusti e che ci vogliono più bene. Il sentimento dell’amicizia è stato profondamente inciso nei nostri cuori dal Creatore.

5. È persino una grande gioia per noi avere dei veri amici, perché ci rendono la vita piacevole e proteggono il nostro corpo e la nostra anima.

È una grande gioia trovare un vero amico. (Eccl. XXV, 12). Un amico ci rende la vita piacevole; grazie al suo ruolo, la felicità è maggiore, la sfortuna minore e le pene sopportabili. Il miglior balsamo per le nostre ferite è avere in ogni dolore qualcuno che ci consoli. (S. Aug.) Allo stesso modo in cui un bastone uniti gli altri è più facile da spezzare, così siamo meno infelici quando amici fedeli ci sostengono nelle disgrazie. Un vero amico è per noi un secondo angelo custode. Così Davide e Gionata. Le armi e le mura sono meno sicure di un’amicizia fedele. (S. Cris.) Non c’è nulla sulla terra che possa essere paragonato ad un vero amico, e la sua fedeltà è più preziosa dell’oro e dell’argento. Chi teme il Signore troverà questo amico (Eccl. VI, 15). Un giorno al re Alessandro magno fu chiesto dove avesse i suoi tesori, ed il re disse ai suoi amici: “Questi sono i miei tesori”. – La vera amicizia sopravvive alla morte, perché la carità non perisce (1. Cor. XIII, 8). I veri amici si incontreranno di nuovo in cielo e si ameranno teneramente. Gesù Cristo non disse forse ai suoi Apostoli che si sarebbero incontrati di nuovo in cielo? (S. Giovanni XVII, 24). I falsi amici, invece, si malediranno a vicenda dopo la morte, perché riconosceranno di essersi resi infelici l’un l’altro,

6. Tuttavia, non dobbiamo mai fare amicizia troppo in fretta, né agire ingiustamente per affetto verso un amico.

Davide già si lamentava: “Quest’uomo – diceva – che era mio amico, nel quale avevo riposto la mia fiducia, che mangiava il mio pane, tramava contro di me”. (Sal. XL, 10). – La Sacra Scrittura ci dà il seguente consiglio: “Stai in guardia anche contro i tuoi amici”. (Eccl. VI, 13). Se avete un amico, mettetelo alla prova nel momento del bisogno e non riponete così rapidamente la vostra fiducia in lui (id. VI, 7). Non giudicatelo tanto dalle parole quanto dai fatti! – Se, per affetto verso il vostro amico, vi viene chiesto di fare del male, fate come il giovane greco a cui fu chiesto di fare un falso giuramento nell’interesse di un amico: “Io sono – rispose – tuo amico solo finché conservo l’amicizia di Dio”. L’amicizia di Dio è ovviamente più preziosa di tutte le amicizie umane.

8. IL COMANDAMENTO DI AMARE I NOSTRI NEMICI.

Chiamiamo nemico chiunque ci odi e cerchi di farci del male. Saulo era un nemico dei Cristiani. I nemici sono come bestie feroci. Ma solo possiede la vera carità chi ama anche i suoi nemici. Un incendio non si spegne con un forte vento, ma viene alimentato da esso. La carità, invece di essere distrutta dalle offese del prossimo, non potrà che crescere. “Il segno più sicuro che abbiamo la vera carità è quando amiamo colui che ci offende. Se amiamo solo chi ci ama, abbiamo pochi meriti, (S. Matth. V, 46). Perché se amiamo i nostri amici li amiamo solo a causa nostra, ma se amiamo i nostri nemici, li amiamo a causa di Dio. (C. Hugo).

1. DOBBIAMO AMARE I NOSTRI NEMICI, PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA. QUANDO DICE: “AMATE I VOSTRI NEMICI, FATE DEL BENE A QUELLI CHE VI ODIANO; PREGATE PER QUELLI CHE VI PERSEGUITANO E VI CALUNNIANO” (S. Matth. V, 44).

Cristo ci ha dato il miglior esempio di amore per i nostri nemici, perché sulla croce ha pregato per i suoi nemici e nell’Orto degli Ulivi guarì il servo a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio.. Lo stesso Padre celeste ci dà un esempio di di amore per i nostri nemici, perché fa splendere il suo sole sui buoni e sui cattivi e manda la pioggia dal cielo sui giusti e sui peccatori. Chi ama il suo nemico è veramente un figlio del Padre celeste (S. Matth. V, 45).

Noi dobbiamo amare i nostri nemici, anche perché il nemico è un’immagine e persino uno strumento di Dio.

Il nemico è l’immagine di Dio. Il ritratto di un re, che sia scolpito nell’oro o nel piombo, che sia più o meno grande, è sempre rispettabile. Allo stesso modo, l’immagine di Dio, che sia rappresentata da un uomo vizioso o virtuoso, merita sempre la nostra venerazione ed il nostro amore. Inoltre, non amiamo il peccato ma la persona del nostro nemico. “L’uomo è opera di Dio; il peccato è opera dell’uomo. Amiamo dunque l’opera di Dio senza amare l’opera dell’uomo”(S. Aug.). Amiamo anche il nostro nemico, perché è uno strumento di Dio. “Gli uomini malvagi sono strumenti nella mano di Dio”(S. Aug.) senza che lo sappiano. Così, come il medico usa le sanguisughe per rimuovere i germi impuri dal sangue dei malati e guarirli, allo stesso modo Dio si serve dei nostri nemici per correggere le nostre imperfezioni. I malvagi servono ai buoni come le lime e i martelli lo sono per il ferro. (S. Aug.) I malvagi sono per il bene ciò che l’aratro è per il campo. (S. Cris.) I nostri nemici ci sono utili, perché mettono in evidenza i nostri difetti e ci danno l’opportunità di praticare la virtù. I nemici sono come le api: pungono, ma forniscono miele (Urb. IV), – Quando una lingua viziosa vi punge, consolatevi con il fatto che le vespe non attaccano mai i frutti peggiori. Si dice: “Molti nemici, molto onore”. Infine, dite a voi stessi che un nemico non è in grado di danneggiare chi ama Dio, perché Dio volgerà al bene del suo popolo tutti gli attacchi che esso subisce (Rom. VIII, 28)., come dimostra la vita di Giuseppe in Egitto. Chiunque rifletta su questa sopporterà senza difficoltà le persecuzioni dei nostri nemici.

2. L’AMORE PER I NOSTRI NEMICI CONSISTE NEL NON VENDICARSI DI LORO, NEL RICAMBIARE IL MALE CON IL BENE E, SOPRATTUTTO, DI PREGARE PER LORO E PERDONARLI.

Noi non dobbiamo vendicarci del nostro nemico. Davide ci dà un buon esempio; due volte ebbe l’occasione per uccidere il suo persecutore, Saul, e non gli fece mai nulla. (I Re XXLV e XXVI). I farisei insultarono Gesù (S. Matth. XI, 19; S. John VIII, 48), ma Lui non ha mai ricambiato oltraggio per oltraggio (I. S. Pietro II, 23). Un giorno, in un quartiere di Samaria, uno si rifiutò di riceverlo perché era giudeo; gli Apostoli, indignati, volevano far scendere il fuoco, ma Gesù Cristo li rimproverò e disse loro: “Non sapete di quale spirito siete ” (S. Luc. IX, 55). Un padre promise un diamante al figlio che avesse compiuto l’azione più nobile. Lo diede come ricompensa a colui che, avendo trovato il suo nemico addormentato sull’orlo di un abisso, non ve lo fece cadere (Poesia di Lichtwer). La vendetta non appartiene a noi, ma a Dio, (Rom. XII, 17). Dobbiamo preferire la sofferenza alla vendetta, ed è per questo che Gesù Cristo ha detto: Se qualcuno ti schiaffeggia la guancia sinistra, porgi la guancia destra. (S. Luc VI, 29). Non dobbiamo lasciarci sopraffare dal male, ma dobbiamo vincere il male con il bene. (Rm XII, 21). Vendicarsi dei tuoi nemici, seguendo l’esempio dei santi; è ricompensare il male con il bene, (Sant’Alfonso). Giuseppe, l’egiziano, ripagò i suoi fratelli con il bene il male. Santo Stefano pregò per i suoi carnefici. “La disgrazia dei suoi persecutori lo faceva soffrire più del dolore che gli causavano, perciò pregava per loro.” (S. Fulg.). L’apostolo S. Giacomo, Vescovo di Gerusalemme, venne precipitato dall’alto dal tempio e stava ancora pregando, con le ginocchia spezzate, per i suoi persecutori. – Anche noi dobbiamo perdonare i nostri nemici. Il re Davide perdonò Semei, che gli aveva lanciato pietre e lo aveva insultato (1 Re XVI, 10). Chi fa del bene ai suoi nemici è come il giglio tra le spine, che viene lacerato da esse senza smettere di adornarle con il suo candore. (S. Bern.) Quale nobile sentimento è fare del bene al proprio nemico!

3. CHI FA DEL BENE AL PROPRIO NEMICO INVECE DI VENDICARSI SI CALMA E VIENE RICOMPENSATO DA DIO. CHI SI VENDICA O ODIA IL SUO NEMICO, COMMETTE PECCATO.

Davide ebbe due volte l’opportunità di uccidere il suo persecutore Saul e, senza fargli alcun male, lo ammorbidì e lo toccò a tal punto che scoppiò in lacrime (I. Re. XXIV-XXVI). Il Beato. Hofbauer fu insultato da una donna in una strada di Vienna; egli si avvicinò a lei, raccolse il fazzoletto che gli era caduto e glielo restituì con parole gentili; la donna, vergognandosi di tanta gentilezza, fuggì”. Un verme, benché abbia un corpo molto morbido, è capace di perforare il legno più duro, allo stesso modo la condiscendenza sconfiggerà il nemico più acerrimo”. (Beda). Il vostro nemico è un leone; se non lo ecciti, è come morto (S. Bonav.). Fai del bene al tuo nemico, e gli getterai carboni ardenti sul capo (Rom. XII, 20), cioè il tuo nemico non potrà resistere al tuo amore più di quanto possa resistere ai carboni ardenti.

4 – CHI NON SI VENDICA DEL SUO NEMICO SARÀ RICOMPENSATO DS DIO.

Davide sopportò pazientemente gli insulti di Semei e disse: “Forse Dio vede la mia miseria e mi concederà il bene per il male che ho sopportato in questo giorno (II Re XVI, 12); egli ottenne la vittoria. “Pregare per i propri nemici è difficile, ma quanto maggiore è lo sforzo, tanto maggiore sarà la ricompensa un giorno”. (S. Aug.) Chi si vendica dei propri nemici commette un peccato. Come l’ape che, per vendicarsi, si è vendicata ma poi muore. Chi si vendica è uno sciocco; è come il cane che morde la pietra che gli viene lanciata; perché chi è spinto dal desiderio di vendetta, non pensa che il suo nemico è solo uno strumento nella mano di Dio. (Corn. a. L.) (Sul tema dell’odio, vedi il 5° comm.),

4. CHI PERDONA I SUOI NEMICI OTTIENE DA ZDIO IL PERDONO DEI PROPRI PECCATI; DIO AL CONTRARIO, NONMPERDONA CHI NON PERDONA.

Perdonare i propri nemici è un’opera di misericordia e la più generosa delle elemosine. (S. Aug.) Se perdonate agli altri, otterrete voi stessi il perdono (S. Cris.), come dice la quinta petizione del Padre Nostro. – Se invece non perdonate, attirerete ogni volta la maledizione di Dio su di voi (S. Anastasio). Gesù Cristo ha detto: “Se non perdonerete agli uomini dal profondo del vostro cuore, il Padre vostro celeste non perdonerà le vostre colpe. (S. Matth. VI, 15). Gesù Cristo ci insegna la stessa cosa nella parabola del servo malvagio (S. Matth. XVIII, 23). Egli vuole che perdoniamo il nostro fratello non 7 volte, ma settanta volte 7 (S. Matth. XVIII, 22). ( Cfr. i capitoli sulla mitezza e sull’amore per la pace.)

9. L’AMORE PER SE STESSI

Ognuno di noi è il suo prossimo più prossimo. “Non è possibile trovare qualcosa di più vicino all’uomo che se stesso” (Salv.). Ognuno deve quindi amare se stesso.

Dobbiamo amare noi stessi, perché Dio lo vuole, perché siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, riscattati dal suo sangue e chiamati alla vita eterna.

Dio vuole che ci amiamo a vicenda, perché Gesù Cristo ha detto: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Secondo queste parole, l’amore per se stessi deve essere la regola e la misura dell’amore verso il prossimo. Come può amare il prossimo chi non ama se stesso? “Impara prima ad amare Dio, poi te stesso, e poi il tuo prossimo come te stesso.” (S. Aug.). Dio non ci ha dato un comandamento speciale per amare noi stessi., perché ognuno, avendo la legge naturale incisa nel cuore, è di conseguenza già portato ad amare se stesso (S. Aug.) e perché l’amore di sé è già contenuto nella legge dell’amore del prossimo (S. Th. d’Aq.). – Dobbiamo amare anche noi stessi, perché siamo creati a immagine di Dio. Se veneriamo l’immagine di Dio nel nostro prossimo e anche nel nostro nemico, siamo obbligati a venerarla anche in noi stessi. E se amiamo noi stessi per amore di Dio, il vero amore di sé aumenta in noi nella stessa proporzione in cui aumenta in noi l’amore di Dio (S. Th. d’Aq). -L’amore per noi stessi ci viene comandato anche dall’alto prezzo della nostra redenzione. “Noi non siamo stati comprati con oro o argento, ma con il prezioso sangue di Gesù Cristo” (I. S. Piet. I, 18); siamo stati riscattati a un prezzo molto alto. (I. Cor. VI, 20). – Inoltre, abbiamo una destinazione sublime; siamo chiamati a un’eternità beata. S. Leone M.. dice le seguenti belle parole su questo argomento: “Riconosci, o clCristiano, la tua dignità! Sei diventato partecipe della natura divina e sei diventato membro della membro di Gesù Cristo! Ricorda che sei stato sottratto alle potenze delle tenebre e destinato alle glorie del regno celeste! – Ricordiamoci anche che il Figlio di Dio, facendosi uomo, è diventato nostro fratello, e che siamo diventati figli di Dio (1. S. Giovanni III, 1); che lo Spirito Santo abita in noi (I. Cor. VI, 19), che gli Angeli sono al nostro servizio (Eb. 1, 14): tanti motivi per amare noi stessi. – E poiché l’amore per se stessi alla fine non è altro che l’amore per il prossimo trasferito a se stessi, possiamo dire che amare se stessi è apprezzarsi (un atto dell’intelletto), augurarsi il bene (un atto del cuore), non farsi del male e farsi del bene (un atto della volontà). Questo amorenpuò essere chiamato vero, in antitesi al falso, le cui caratteristiche principali sono la vanagloria, l’egoismo, l’insolenza, la licenziosità, ecc.

Il vero amore per se stessi si dimostra con il desiderio di ottenere ciò che ci rende veramente felici, prima di tutto la salvezza eterna, e poi i beni terreni che ci aiutano a raggiungerla.

Chi ha vero amor proprio agisce secondo le parole di Gesù Cristo: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà aggiunto”. (S. Matth. VI, 33); egli si prenderà cura della sua salute, del suo cibo, del suo abbigliamento, della sua abitazione, ecc. ma senza eccessiva preoccupazione (S. Matth. VI, 20-32).

Non ama se stesso chi cerca solo i beni beni terreni, o chi disprezza i beni terreni per ottenere il cielo.

Molti uomini non considerano Dio, ma se stessi, il loro ultimo fine, né considerano i beni terreni come mezzi per ottenere il cielo, bensì per soddisfare i loro appetiti sensuali. Si congratulano con se stessi per il possesso di onori, ricchezza, un’alta posizione, ecc. e non sono disposti a rinunciare a queste cose per Dio. Questo amore per se stessi è falso: è la ricerca di sé e l’egoismo. Chi preferisce i beni terreni a quelli eterni non ama se stesso; al contrario, è nemico di se stesso. Sarà solo temporaneamente e relativamente felice qui sulla terra, ma poi eternamente infelice. “Chi commette peccato ed ingiustizia quaggiù è nemico della propria anima (Tob. XII, 10}. – Ci sono molti che assomigliano a questo avaro che dice a se stesso: “Anima mia, hai una grande riserva di beni per molti anni, riposa, mangia, bevi e godi!” Ma Dio gli disse: “Stolto, questa stessa notte la tua anima ti sarà richiesta, a che ti serviranno le tue ricchezze?” Tu ti affanni per nutrire e vestire te stesso, perché non ti affanni anche per procurare vestiario e cibo alla tua anima? Che utilità ha l’uomo se perde la sua anima? (S. Matth. XVI, 26). “Impara ad amare se stessi”, dice Sant’Agostino, “non amando se stessi”. Sono ancora colpevoli coloro che disprezzano iI beni terreni che li aiuterebbero a guadagnare il paradiso, perché così facendo disprezzano la salvezza eterna. Cosa dobbiamo pensare, allora, di un uomo che non si preoccupa del proprio avanzamento (quando tale avanzamento sarebbe utile per la gloria di Dio), oppure espone con leggerezza la sua vita al pericolo, o addirittura si toglie la vita?

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII).

L’IMPOSSIBILITÀ DI UN PAPA ERETICO.

Un Papa eretico è un evento assolutamente impossibile secondo il magistero ed i teologi più accreditati.

Pertanto, questo deve farci capire con certezza granitica, divina, che chiunque proclami difformità dal deposito apostolico della fede nella Chiesa cattolica, contro ogni apparenza mediatica, non possa essere il successore di s. Pietro, il Vicario di Cristo, ma un volgare servo del demonio ingannevole e – se ricopre cariche ecclesiastiche – usurpante una posizione indebitamente. Di seguito le motivazioni teologiche.

Definizione dell’Infallibilità del Romano Pontefice, ratificata da Papa Pio IX al Concilio Vaticano, Sessione IV, Capitolo IV, 18 luglio 1870.

“Pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, Noi insegniamo e definiamo, con l’approvazione del Sacro Concilio, che è un dogma divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè, quando, esercitando le funzioni di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina in materia di fede e di morale che deve essere tenuta dalla Chiesa universale, gode pienamente, per l’assistenza divina promessa a lui nel beato Pietro, della stessa infallibilità di cui il nostro Divino Redentore ha voluto che la Sua Chiesa fosse dotata per definire la dottrina in materia di fede o di morale; e di conseguenza tali definizioni del Romano Pontefice sono di per sé irreformabili, e non dal consenso della Chiesa.

“Se qualcuno presume, e Dio non voglia, di contraddire questa Nostra definizione, sia anatema”.

Catechismo del Concilio di Trento, edizione 1962, Baronius Press, Appendice II, pp. 542.

La crisi attuale definita: La cattedra di Pietro è usurpata (rubata)

Al momento non esiste un Sommo Pontefice (Papa) visibile ed operante nel mondo.

Questa spiacevole realtà è incontrovertibile e può essere dimostrata utilizzando almeno tre fonti:

(a) Paolo IV, Costituzione Apostolica: Cum Ex Apostolatus Officio, 15 febbraio 1559:

“… 6. Inoltre, [con questa Nostra Costituzione, che rimarrà valida in perpetuo, Noi stabiliamo, determiniamo, decretiamo e definiamo:] che se mai, in qualsiasi momento, dovesse apparire che un Vescovo, anche se agisce come Arcivescovo, Patriarca o Primate; o un Cardinale della suddetta Chiesa Romana, o, come già menzionato, un qualsiasi legato, o anche il Romano Pontefice, prima della sua promozione o della sua elevazione a Cardinale o Romano Pontefice, abbia deviato dalla Fede Cattolica o sia caduto in qualche eresia: la promozione o l’elevazione, anche se incontestata e con l’assenso unanime di tutti i Cardinali, sarà nulla, non valida e senza valore. . .”

(b) La difesa di San Roberto Bellarmino dei Papi che si dice abbiano errato nella fede.

*Per un riferimento, vedere: Errore papale? A Defense of Popes said to have Erred in Faith di San Roberto Bellarmino, S.J. Dottore della Chiesa Tradotto da Ryan Grant e pubblicato da Mediatrix Press.

(c) L’impossibilità di un Papa eretico.

(Felix Cappello)

[Illustre teologo preconciliare.]

P. Felix Cappello, S.J., su una questione scottante…

Il gesuita p. Felix Cappello (1879-1962) è stato un eccezionale teologo della Chiesa cattolica. Ha conseguito dottorati in Sacra Teologia, filosofia e diritto canonico. Ha insegnato alla Pontificia Università Gregoriana dal 1920 al 1959 ed è stato consulente del Vaticano.

Nel 1911/12 è stata pubblicata l’opera in 2 volumi De Curia Romana (“Sulla Curia Romana”). Il secondo volume tratta in modo specifico della Curia romana nel periodo in cui non c’è il Papa, lo stato di sede vacante e l’assenza di un Papa.

Contiene una trattazione della questione del “Papa eretico” (Papa haereticus) e se la Chiesa abbia il potere di deporlo. Si tratta di una questione che è di grande interesse ai nostri giorni e lo è da tempo, anche in Vaticano: I teologi vaticani starebbero studiando cosa fare con un Papa eretico (2016).

Scrivendo nel 1912, molto prima del Concilio Vaticano II, p. Cappello non è ovviamente influenzato dall’attuale disordine ecclesiale, e quindi non è prevenuto sulla questione in un senso o nell’altro. Allo stesso tempo, scrivendo dopo il Concilio Vaticano I e anche dopo il pontificato di Papa Leone XIII, il suo trattato teologico è informato da una ricchezza di insegnamenti dogmatici e dottrinali che si ritrovano nel magistero pontificio nel XIX secolo, un vantaggio che molti teologi del passato che hanno discusso la questione del Papa haereticus non hanno avuto.

L’analisi di p. Cappello è quindi estremamente competente ed imparziale. Si tratta di un’analisi che è il migliore nei dei due mondi.

ARTICOLO II

Se il Romano Pontefice possa essere deposto dai Cardinali o da un Concilio Generale.

1. Opinioni erronee. – Un molteplice errore, che sa chiaramente di eresia, è stato sollevato dai re e da altri pseudo-cattolici, più o meno imbevuti dei principi del gallicanesimo.

1º Alcuni insegnano che i Cardinali hanno il diritto non solo di eleggere il Sommo Pontefice, ma anche di deporlo per un giusto motivo.

2º Altri affermano che il potere di deporre il Papa appartenga alla società universale dei fedeli, cioè alla Chiesa.

3º Altri affermano che la suddetta facoltà non appartenga ai Cardinali, né alla Chiesa o alla comunità dei fedeli, ma solo ad un Concilio generale. Da qui la proposizione del Gallicanesimo: “I Concili ecumenici sono al di sopra del Papa, anche al di fuori del tempo dello scisma” (in contraddizione con la bolla Execrabilis di Pio II – ndr. -)

4º Alcuni affermano che il Romano Pontefice debba essere deposto da un Concilio generale quando si verifichi una causa gravissima, ad esempio: a) se governa la Chiesa in modo inetto; b) se diventa odioso per la società dei Vescovi o dei fedeli; c) se governa i suoi sudditi in modo empio o ingiustamente; d) se conduce una vita disdicevole; e) se cade nell’eresia.

5º Altri limitano l’autorità dei Concili ecumenici di deporre il Papa solo a casi straordinari, ad esempio se è scandaloso, eretico o di dubbia legittimità. [Si veda quindi Bossuet:Defensio, lib. X, cap. XXI.].

6º Non mancano neanche Dottori che affermano che il Romano Pontefice per alcuni crimini più atroci, soprattutto per depravazione morale, eresia, ecc. perda ipso facto la giurisdizione, cosicché non è necessaria una sentenza di deposizione da parte di un Concilio generale; al massimo, dicono, è necessaria una semplice sentenza dichiarativa del crimine, che è sufficiente.

Tali opinioni sono chiaramente errate, come sarà chiaro da quanto si dirà in seguito.

2. La questione del Papa eretico. – È un dogma cattolico che quando il Romano Pontefice parla ex cathedra, cioè quando svolge il compito di pastore e maestro di tutti i Cristiani, sia infallibile grazie ad una speciale assistenza dello Spirito Santo. Pertanto la presente questione non riguarda il Pontefice in quanto Pastore e Maestro universale della Chiesa, ma piuttosto nella misura in cui sia considerato come una persona privata. A questo proposito, gli Autori sono soliti chiedersi se un Romano Pontefice che cade in eresia perda il potere supremo ipso facto, o se debba essere deposto da un Concilio ecumenico.

Vedremo di seguito se la supposizione sia da ammettere o meno. Diverse opinioni sono comunemente sostenute.

La prima afferma che il Romano Pontefice perda la giurisdizione papale ipso facto per eresia, anche occulta, senza che sia richiesta la sua deposizione [cfr. Palmieri, De Romano Pontifice, p. 40]. – Il secondo afferma che per eresia notoria e apertamente divulgata il Papa sia privato del suo potere ipso facto, prima di qualsiasi sentenza dichiarativa [cfr. Bellarm., De R. Pontif. lib. II, cap. 30; Bouix, De Papa, to. II, p. 653 ss.].

Il terzo sostiene che il Romano Pontefice non decade dal suo potere ipso facto nemmeno a causa di un’eresia notoria o pubblica; ma tuttavia può e deve essere deposto con una sentenza, almeno una che dichiari il crimine [Cfr. Suarez, De fide, disp. 10, sect. 6, n. 6 sq.].

Il quarto sostiene che il Sommo Pontefice non perda la sua giurisdizione a causa dell’eresia, né possa esserne privato con la deposizione [cf. Bellarm., l. c.].

La quinta dichiara che il Romano Pontefice non possa cadere in eresia, nemmeno come dottore privato; cioè nega la supposizione stessa [Cfr. Billot, to. III, p. 141 sq.].

Quale di queste opinioni è la più probabile?

3. La dottrina cattolica da sostenere. – In primo luogo, è certo che il Romano Pontefice non sia soggetto al collegio cardinalizio, né ad un concilio episcopale, essendo egli stesso il Vescovo dei Vescovi, il Pastore dei pastori, il capo di tutte le chiese particolari e della stessa Chiesa universale. Pertanto, il Papa è semplicemente e assolutamente al di sopra della Chiesa universale, e al di sopra di un Concilio generale, tanto che al di sopra di sé stesso non riconosce nessuno sulla terra come suo superiore [cfr. Bellarm., De Concil. auct., lib. II, cap. XIII ss.].

Perciò è inopportuno affermare che i cardinali o i Vescovi riuniti abbiano il diritto di deporre il Romano Pontefice. E infatti:

a) Cristo ha stabilito Pietro e i suoi successori, non i Cardinali o i Vescovi, come fondamento della Chiesa. Ora, se il collegio cardinalizio o un concilio di Vescovi potesse deporre il Pontefice, non saremmo obbligati a dire che quei Cardinali e Vescovi sono il fondamento della Chiesa, contro la volontà positiva di Cristo?

b) Cristo ha affidato a Pietro il compito di “pascere gli agnelli e le pecore e di confermare i fratelli nella fede”. Ma se il Papa potesse essere deposto, non sarebbe lui a pascere o confermare, ma piuttosto il gregge sarebbe pasciuto e confermato da altri.

c) Il Romano Pontefice possiede un potere pieno e completo nella Chiesa, in modo tale che indipendentemente da lui non esista alcun potere di fatto né possa essere concepito.

d) I Vescovi non hanno giurisdizione, o almeno non possono mai esercitarla in modo valido e lecito, se non nella misura in cui dipendono dal Sommo Pontefice; ma se avessero il diritto di deporre il Papa, agirebbero non solo indipendentemente dal Papa, ma anche contro di lui.

e) Un Concilio generale non ha alcun valore, a meno che il Romano Pontefice non lo convochi, non lo presieda e non ne confermi gli atti con la sua suprema autorità.

f) I Vescovi e gli altri alti prelati hanno un potere solo nella misura in cui è loro concesso dalla legge divina, o dalla legge naturale o ecclesiastica. Ma né la legge divina, né quella naturale, né quella ecclesiastica concede ai Vescovi e agli altri prelati il potere di deporre il Romano Pontefice.

Così [segue la conclusione]:

g) Qualsiasi cosa venga fatta dai Vescovi o dai Cardinali, o da qualsiasi altra persona, in quanto al di fuori della Chiesa, deve essere considerato inutile ed illecito. Perché la dove c’è Pietro, o il Romano Pontefice, c’è la Chiesa, secondo l’assioma dei Santi Padri; di conseguenza, se qualcuno vuole agire contro il Papa, per il fatto stesso di essere fuori dalla Chiesa, agisce in modo sbagliato.

Così il diritto di deporre il Romano Pontefice, sotto qualsiasi aspetto venga considerato e in quale caso lo si ritenga idoneo ad essere utilizzato, deve essere considerato un’assurdità, in quanto palesemente ripugnante alla volontà positiva di Cristo ed alla natura del Primato e alla costituzione essenziale della Chiesa.

h) L’ottavo Concilio ecumenico, atto VIII, ha dichiarato: “Leggiamo che il Romano Pontefice ha giudicato tutti i Vescovi delle Chiese, ma non leggiamo che qualcuno abbia giudicato lui”.

i) Il V Concilio Lateranense, sess. XI ha insegnato che: “Che il solo Romano Pontefice, in quanto ha autorità su tutti i Concili, ha il pieno diritto e potere di convocare, trasferire e sciogliere i Concili, risulta evidente non solo dalla testimonianza della Sacra Scrittura, dai detti dei santi Padri della Chiesa e degli altri Romani Pontefici, ma anche dalla confessione di quei Concili stessi”

l) [Papa] Gelasio nella sua epistola ai Vescovi della Dardania dice: “La Chiesa in tutto il mondo sa che la Santa Sede romana ha il diritto di giudicare tutti, e che a nessuno è consentito di giudicare il suo giudizio”.

m) [Papa] Niccolò I nella sua epistola a Michele scrive: “È perfettamente chiaro che il giudizio della Sede Apostolica, la cui autorità non è superata da nessun’altra, non possa essere rivisto da nessuno”.

n) [Papa] Gregorio [Lib. 9, epist. 39 ad Theotistam.]: “Se il beato Pietro – dice – quando veniva rimproverato dai fedeli, avesse prestato attenzione all’autorità che aveva ricevuto nella santa Chiesa, avrebbe potuto rispondere: le pecore non osino rimproverare il loro pastore”.

o) [Papa] Bonifacio VIII [In extrav. Viam sanctam, tit. de maiorit. et obedient.]: “Se – dice – un potere terreno sbaglia, deve essere giudicato dal potere spirituale. Se lo spirituale erra, il minore [viene giudicata] dal maggiore, ma se la suprema [potenza] sbaglia, è [giudicata] solo da Dio, perché non può essere giudicato dall’uomo”.

L’opinione più probabile, anzi certa, se possiamo esprimere il nostro parere, è l’ultima, che afferma che il Romano Pontefice non possa cadere in eresia nemmeno come dottore privato. – Di conseguenza, il Papa non può essere deposto in nessun caso, né direttamente con una sentenza di condanna, né indirettamente con una sentenza che si limiti a dichiarare il reato.

Il perché è chiaro:

a) Cristo Signore ha istituito la Chiesa in modo da provvedere al suo giusto governo ed al beneficio spirituale dei fedeli. Ma se il Romano Pontefice potesse diventare eretico come dottore privato, questo porterebbe senza dubbio più o meno ad un danno e ad un disonore per la Chiesa.

b) Cristo ha detto in modo assoluto e semplice: “Ma Io ho pregato per voi, affinché la vostra fede non venga meno; quando saranno convertiti, conferma i tuoi fratelli” [Lc XXII,32], senza distinguere tra funzione privata o pubblica dell’insegnamento.

c) Il Romano Pontefice, con la forza del Primato, deve comportarsi secondo l’intenzione positiva di Cristo, in modo tale da meritare la piena fiducia dei suoi sudditi. Ma quale fiducia potrebbe meritare, se egli stesso potesse sbagliare come gli altri?

d) È difficile distinguere, nei singoli casi, se il Papa ha parlato ex cathedra o soltanto come dottore privato, e di conseguenza se è infallibile o se è passibile di errore come il resto degli uomini. Di conseguenza, i fedeli, per una buona ragione, resterebbero confusi nel dubbio se una dottrina dovesse essere accettata a capo chino in quanto proposta dal Pontefice, oppure fare altrimenti. Da ciò deriverebbero moltissimi dubbi, domande, ansie delle anime. Tutti questi inconvenienti svaniscono chiaramente se si accetta la nostra opinione.

e) Gli argomenti su cui si basano i sostenitori delle opinioni opposte non hanno forza.

Così: 1º l’esempio di [Papa] Liberio o di un altro Pontefice eretico è, ai nostri giorni, giustamente respinta, poiché la storia critica ne ha dimostrato la falsità, come si può vedere tra i più recenti autori su questo argomento; 2º Canoni c. 6, D. 40, c. 13. C. II, q. 7, che parlano di un’eretico Papa sono apocrifi; 3º Le parole di [Papa] Innocenzo III [Serm. IV in consecratione Pontificis] o sono da riferirsi in generale ai Pontefici, cioè ai Vescovi, o non vanno intese come eresia propriamente detta; o infine, come sostengono non pochi autori, sono apocrife.

Alla luce di tutto ciò, a buon diritto concludiamo che l’opinione che afferma che il Romano Pontefice non possa diventare eretico nemmeno come dottore privato, è molto probabile, anzi secondo il nostro giudizio è del tutto certa.

Fonte: Rev. Felix M. Cappello, De Curia Romana iuxta Reformationem a Pio X, vol. II: De Curia Romana “Sede Vacante” (Roma: Fridericus Pustet, 1912), pp. 8-13.). .

Non sorprende che la posizione di p. Cappello sia in accordo con quella di san Roberto Bellarmino: “È probabile e si può piamente credere che non solo come “Papa” il Sommo Pontefice non possa sbagliare, ma non possa essere un eretico neppure come persona particolare, credendo pertinacemente qualcosa di falso contro la fede” (De Romano Pontifice, Libro IV, Capitolo 6).

Tuttavia, San Roberto Bellarmino riconosceva che questa posizione “non è certa, e l’opinione comune è contraria, all’epoca in cui scriveva (XVI-XVII secolo), per questo ha approfondito la questione:

San Roberto Bellarmino: “Se un Papa eretico può essere deposto?”.

San Roberto Bellarmino: “Se un Papa può cadere in eresia come persona privata?”.

Bisogna ricordare che il Cardinale Bellarmino non era ancora stato dichiarato né santo né Dottore della Chiesa quando il De Curia Romana di P. Cappello fu pubblicato all’inizio del 1910.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (6)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (6)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (6)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

8. – La candida veste dei figli di Dio.

Non indugiamoci. Questa veste candida di cui intendo parlare qui è la grazia santificante. Essa non è una cosa passeggera e transitoria come la grazia attuale, ma bensì una qualità ed un influsso permanente e stabile della bontà di Dio nelle anime nostre, le quali, per tal celeste influsso divengono pure, giuste, a Dio gradite ed a Lui somiglianti. In virtù di questa grazia diveniamo per giunta figli adottivi di Dio e meritevoli della vita eterna. Ed essa permane in noi abitualmente (e per questo si chiama anche grazia abituale), senza che più di tanto neppur l’avvertiamo, finché non la scacciamo col peccato mortale, cioè con una grave deliberata trasgressione alla legge di Dio. – Queste poche nozioni dovrebbero essere sufficienti a farci comprendere come « questa grazia sia il più grande tesoro che possa arricchire le anime nostre… è il più gran dono che Dio possa farci… E’ la comunicazione della divina natura fatta all’uomo » (Frassinetti). Infatti in grazia di essa noi siamo « fatti consorti della divina natura » (I Pietr. 1, 4), cioè della bellezza e santità stessa di Dio; e noi veniamo così elevati al di sopra di noi e, in certa maniera, divinizzati. Gesù infatti disse: « Io sono la vite, e voi i tralci… Come il tralcio non può portar frutto da se stesso se non rimane intimamente unito alla vite; così neppure voi, se non rimarrete in me… ed io in voi… Chi rimane in me ed io in lui, porterà frutti abbondanti> (Giov. XV). La grazia santificante è insomma la vita stessa di Dio — la vita di Gesù Cristo — trasfusa in noi; per cui ogni uomo che ne è dotato, ben può dire con S. Paolo: « Sì, io vivo; ma non già io, poichè in me vive Cristo » col suo Spirito. « Per me il vivere è Cristo » (Gal. II, 20; Filip. I, 21). Quindi se l’uomo, nella sua condizione naturale, è il binomio « anima e corpo », il vero Cristiano invece è il trinomio « corpo, anima e grazia di Dio », o — come si può pur dire — corpo, anima e Spirito Santo. Non dimentichiamo poi che la grazia santificante ci rende talmente graditi a Dio da farci senz’altro divenire suoi figli adottivi e quindi meritevoli della sua stessa gloria. Ascoltiamo infatti Gesù. Anzitutto spessissimo egli insinua ai suoi discepoli questo grande mistero d’amore; poiché, quando parla del suo celeste Padre, anziché dire « il Padre mio », dice invece quasi sempre « il Padre vostro che è nei cieli… il vostro celeste Padre ». Poi nella preghiera da Lui stesso insegnataci, ce lo fa invocare senz’altro colle parole « Padre nostro che sei nei cieli > facendoci chiaramente capire ch’Egli vuole che il Padre suo sia insieme suo e nostro. E non ebbe Egli pure a dir ai suoi: « Non date ad alcuno.su questa terra il nome di padre, poichè uno solo è il Padre vostro: quello che sta nei cieli»? (Matt. 23, 9). E non volle Egli confermare questa sua amabilissima volontà anche alla Maddalena il giorno stesso della sua risurrezione, dicendole: « Va dai miei fratelli e di’ loro: Io ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro »? (Giov. 20, 17), e ciò, dopo avere, già tre sere innanzi, detto loro: « Nella casa del Padre mio ci sono molti posti… Vado a prepararne uno anche per voi »? (Giov. 14, 2). Davvero Gesù non poteva essere più esplicito di così; e quindi ben poteva anche l’Apostolo dell’amore esclamare tutto estatico: « Guardate di quale amore ci ha amato il Padre, concedendoci di poterci chiamare e di essere davvero figli di Dio » (Giov. 3, 1). E siamo così anche fratelli di Gesù! – Ah! bisogna ben dire che la grazia santificante ci eleva a tal dignità, altezza e nobiltà da farci partecipare dell’infinito! Oh! quanto grandi ci vuole il Signore, se lo vogliamo noi pure! Ma vediamo le cose un po’ più in concreto, cioè in un bambino prima e dopo il battesimo ed in un Cristiano adulto gravato di peccati mortali, prima e dopo la confessione. Il bambino che prima del battesimo (essendo discendente di progenitori colpevoli) è, di fronte a Dio, « figlio d’ira » (Efes. II, 3), e che — se morisse in quello stato — sarebbe senz’altro escluso dall’eterna beatitudine; invece dopo il battesimo è illuminato di luce divina, arricchito di doni celesti, ammantato di splendori, angelici, già figlio adottivo di Dio, e — se morisse in tal condizione — andrebbe immediatamente nel regno della gloria celeste. – E quel Cristiano che è in peccato mortale?Ahi, misero! Per causa di esso egli è aperto nemico di Dio, orrendamente devastato nell’anima, privato di tutti i meriti acquistati in passato colle sue opere buone mentre era in grazia di Dio, schiavo del demonio, reo di grave colpa davanti al Signore e meritevole di eterne atrocissime pene; e, se morisse in tale stato, andrebbe immediatamente nell’inferno. Anzi la sentenza è già firmata; e guai a lui se un’improvvisa morte gli porta anche l’ordine dell’esecuzione!… Ma se quel povero peccatore, per l’infinita misericordia di Dio, riesce a concepire un sincero dolore soprannaturale delle sue colpe o meglio ancora — a farlo seguire da una buona Confessione sacramentale, ecco ch’egli in un attimo riacquista l’amicizia e la figliolanza di Dio, ha di nuovo l’anima riparata e riabbellita, rientra in possesso di tutti i suoi meriti che aveva acquistati prima della colpa; e, se fosse colpito dalla morte in tal buona condizione, la sua sorte sarebbe felicissima fra i divini comprensori nel bel Paradiso. – Ecco quali sono gli stupendi e meravigliosi effetti della grazia santificante nelle anime nostre! – Ma nel confronto abbiamo purtroppo dovuto rilevare quanto gran male sia per l’uomo la mancanza di questa grazia, specialmente se essa è accompagnata — come avviene ordinariamente negli adulti — dal peccato mortale, da numerosi peccati mortali. Oh, quanto orrenda, spaventosa e piena di grave pericolo non è mai la condizione del peccatore! (Vedi in appendice trattato in modo particolare l’argomento.). I Santi, al solo intravvederla in altri, inorridivano, tremavano e si scioglievano in amare lacrime; mentre invece i miseri peccatori, che son parte in causa, spesso non se ne danno pensiero e anzi ridono, scherzano e si divertono! Può mai darsi cecità maggiore di questa? Ed è appunto questa loro cecità, conseguenza del peccato e specialmente dell’abitudine nel peccato, che li porta all’eterno precipizio quasi senza ch’essi se ne avvedano. Ah! « mettono ogni loro studio nel passare felicemente quaggiù i loro giorni; e poi in un lampo si trovano nell’inferno! » (Giob. 21, 13). Eh, già! la loro sorte, se non si ravvedono a tempo, non può essere che questa. Disse infatti Gesù: « Chi non rimane unito a me (come il tralcio alla vite), è gettato via core un tralcio staccato, che poi inaridisce; e in seguito vien raccolto e gettato ad ardere nel fuoco » (Giov. 15, 6)..Dunque, conclude S. Agostino, a noi non rimane che quest’unica affermativa: « O rimanere uniti alla vite, che è Cristo, per mezzo della grazia santificante, oppure rassegnarci al fuoco eterno dell’inferno: « aut vitis, aut ignis ». Quale alternativa tremenda! Ora è mai possibile che, di fronte ad essa, noi restiamo indifferenti? Ecco dunque che cosa è l’uomo che vive in grazia di Dio, ed ecco pure ciò che è l’uomo senza la divina grazia e per giunta carico di colpe personali! E noi continueremo a vivere per mesi e fors’anche per lunghi anni senza sforzarci di uscire da quest’orrenda condizione, da questo tenebroso sotterraneo pieno di sozze bestiacce e di schifosi rettili? O se, per fortuna, ci trovassimo in grazia di Dio, che cosa non dovremmo fare per non decadere da sì felice ed onorevole condizione? Anzi che non dovremmo noi fare per accrescerla ancora maggiormente onde renderci sempre più belli e graditi davanti al grande e nobilissimo Signore nostro, il quale si è degnato di ammetterci — senza alcun nostro merito — alla sua figliolanza e di prometterci la sua stessa felicità eterna, se gli rimarremo fedeli? Ah! qui bisogna venire assolutamente ad una pronta ed energica risoluzione; poiché se già il « non vivere da santo, è viver da folle » (Guido Negri), qual cosa orrenda e mostruosa non sarà mai quella di perseverare ostinatamente nell’aperta inimicizia con Dio? – Che cosa dunque decidiamo? (Da quanto ho scritto si deve capire che chi vive in peccato mortale, non vive né può vivere una vita veramente cristiana. Crederà da Cristiano e si diporterà in via ordinaria da Cristiano; ma spiritualmente egli è morto; e guai a lui se la morte lo sorprende in tal disgraziata condizione! Per lui non c’è altro che l’inferno! Su questo argomento desidererei che fosse letto da tutti il bel volume « Vivere in Cristo » edito a cura del Cons. Dioc. Unioni di A. C. di Treviso e Milano. Esso aprirebbe certamente gli occhi a più d’uno.)..« O Madre della divina grazia, prega per noi! » (Litanie lauretane).

9. — Inviti, attrazioni e spinte al bene.

A questo punto chi fa la carità di seguirmi è pregato a mettere la massima attenzione; poiché ciò che sto per dire ha immensa importanza per quanto esporrò specialmente nel successivo capitolo. Per l’infinita bontà e misericordia di Dio, il quale sinceramente desidera, anzi vuole che tutti gli uomini si salvino, le grazie attuali vengono da Lui concesse e distribuite in misura generosa e sovrabbondante a tutti gli uomini: tanto a coloro che si trovano in grazia santificante, come anche a coloro che vivono in peccato mortale; tanto ai Cristiani, come agli eretici, come perfino ai pagani. Sì, anche i peccatori sono inseguiti e, dirò, perseguitati assai spesso dalle grazie attuali. Infatti, quantunque tanti, per il loro orgoglio, non vogliano riconoscere che Dio li invita, e talvolta anche fortemente — soprattutto quando si trovano lungi dal chiasso e frastuono del gran mondo, in occasione di predicazioni straordinarie, o colpiti da qualche sventura — a mutar vita, a finirla coi disordini, ad abbandonare le’ occasioni cattive, a ritornare all’amoroso amplesso del buon Padre celeste; tuttavia l’esperienza insegna inequivocabilmente che tutti i peccatori convertiti, riandando il loro passato, intravvidero le file misericordiose attraverso le quali il Signore li guidò continuamente fino a farli sfociare dal fitto e scuro labirinto in cui brancicavano, alla luce della grazia ed alla santa libertà di figli di Dio. Non a caso perciò un eminente Accademico d’Italia, ritornando a Dio, poté dire: « Chi neppure una volta ha sentito il desiderio di essere santo, non è un uomo, ma una bestia. Penso che ci siano per tutti certi momenti in cui il cuore desideri di essere più puro, più buono, più leale, più giusto. Ebbene questi sono i momenti della grazia che ci attira più vicino a Dio, che è la stessa purezza, bontà, lealtà, giustizia ». – E non molto più oltre riferirò anche la testimonianza d’un grande finanziere americano, che pure confessa la stessa cosa sotto un altro aspetto. Qui porto due casi, ambedue storici al cento per cento. – A Parigi un protestante s’accorge d’aver dietro di sé sulla via un Sacerdote che porta il Viatico ad un infermo. Egli scantona, il prete lo segue. Indispettito, il protestante volta per un altro vicolo, ed il prete gli è alle calcagna. Allora il protestante infila la porta d’una gran casa e ne ascende le scale fino all’ultimo piano, dicendo tra sè: Qui non verrà certo! Invece il Sacerdote deve portare il Viatico proprio a quel piano e deve entrare proprio per la porta presso la quale il protestante s’era rannicchiato! La conclusione fu che il protestante si arrese, dicendo dentro di sè a Gesù Eucaristico: Voi mi siete corso dietro fin qui: adesso tocca a me ad andare dietro a Voi! Ed immediatamente si convertì. – Un giovane, seccato per le festose capriole che gli fa il cane di famiglia rientrando una sera in casa, gli dà un calcio che lo fa ruzzolare lontano. La povera bestiola, dati un paio di guaiti, s’alza e, tutta confusa, tremante, a capo basso, colla coda tra le gambe, a passo lento e incerto e con un occhio che pare chieda pietà, muove verso il padroncino quasi supplicandolo che lo riammetta alla sua amicizia e al suo amore. Il giovane a tale scena si commuove quasi fino alle lagrime e sente vivo dispiacere per aver dato quel calcio brutale al suo cagnolino. Fin qui tutto è naturale. Ma ecco che due pensieri improvvisi lo sorprendono. Il primo: « Io per aver dato un calcio a un cane, provo immenso dispiacere; mentre invece neppur mi scompongo pei calci orribili che dò al Signore coi miei peccati ». L’altro: « Il cane, quantunque da me maltrattato, mi torna vicino. Ma non fa forse lo stesso anche il mio buon Dio, il quale, benché da me ripetutamente offeso, m’offre tuttavia il suo perdono per potermi ridare l’abbraccio del suo amore? ». Che pensieri! Ma che cosa erano essi se non due grazie attuali, una più preziosa dell’altra? E notisi che qui abbiamo un cane — dico un cane — veicolo della divina grazia! Ma i veicoli della grazia variano all’infinito. – Tali sono quelle improvvise ispirazioni, quelle soavi emozioni, quei saggi consigli, quei teneri rimproveri, quelle salutari correzioni, quelle buone letture, quei fatti impressionanti, quegli amabili incoraggiamenti, quelle misericordiose Consolazioni, quelle provvidenziali sventure, quei singolari avvenimenti, che fanno maggiore impressione e dei quali è intessuta la vita d’ognuno, di quanti ci stanno d’attorno ed anche di persone lontane. Tutte le cose e tutti gli avvenimenti di questo mondo possono servire da veicoli alla grazia attuale. Cosa strana! Talvolta può perfino succedere che una banale notizia, letta su un giornale, ci faccia più salutare impressione di una splendida massima letta su un libro di devozione! Ma che è questo? E’ la grazia di quel Dio che « si trastulla nell’orbe della terra » sotto i nostri occhi! (Prov. 8, 31). Ah sì! quante grazie cl vengono offerte ogni giorno, ogni ora! E noi? Ah! noi, ciechi, bene spesso non ce ne avvediamo neppure! Grandi ed insondabili miniere di grazie sono poi quelle che si dicono « disgrazie ». Eh! sono pochi coloro che non si arrendono a Dio in seguito a forti, ripetuti e ben dosati colpi di sventura. Lo confessa lo stesso Salmista, quando dice: « Mi colpì la tribolazione e il dolore, ed io invocai il nome del Signore)> (Salmo 114, 3). – E disgrazie, oh, quante ne piombano specialmente sui peccatori! Dunque questi non possono dire di non avere, essi pure al pari dei giusti, e forse anche in maggior copia — perché più bisognosi — abbondantissime grazie da parte di Dio. Il guaio invece è che non le vedono o — meglio — non le vogliono vedere, non le vogliono riconoscere per tali, soprattutto non le vogliono assecondare. Ed è proprio questa — come vedremo — la loro colpa più grave e la loro maggior sventura. Ma ecco che s’impone qui una questione oltre ogni dire interessante, anche per il lato pratico. Come dobbiamo diportarci di fronte a questi lumi, queste mozioni e questi eccitamenti divini, che sono le grazie attuali? E’ presto detto. – Chi è già in grazia di Dio deve assecondarle e corrispondervi; e deve pur corrispondervi ed assecondarle chi è in peccato mortale. Il Signore non ci comunica i suoi doni, né perché li disprezziamo, né perché li trascuriamo, né perché ci trastulliamo con essi. Ci vorrebbe altro! Dunque chi è in grazia di Dio deve assecondare le grazie attuali per potersi preservare dal peccato, per poter progredire nella virtù e per poter così aumentare in sé la grazia santificante, che già possiede, ed i meriti per il Paradiso. Poiché, se non corrisponde a queste grazie attuali, egli — per quanto attualmente sia giusto davanti a Dio — a poco a poco decadrà dalla sua giustizia e rettitudine, fino a precipitare nel peccato mortale e perdere così tutto il suo tesoro spirituale. Cosa questa purtroppo frequentissima, di cui comprese assai bene la gravità S. Agostino quando disse: « Temo Gesù che passa! » Oh, guai a chi non ascolta Gesù quando Egli passa colla sua grazia invitandoci al bene! Potrebbe darsi che non ripassi più e che ci abbandoni alla nostra colpevole miseria. – Ma tanto più deve sforzarsi di corrispondere alle grazie attuali il peccatore; poiché soltanto corrispondendo egli docilmente agli inviti ed alle pressioni che Dio gli fa colle grazie attuali, potrà per divina misericordia, raggiungere quella grazia santificante senza la quale non v’è neppure un minimo di vera vita cristiana. – E’ dunque la grazia attuale, e soltanto la grazia attuale, quel mezzo preziosissimo di cui Dio si serve come di ago per introdurre (pel tramite dei Sacramenti del Battesimo o della Penitenza, e talvolta anche del perfetto dolore od amor di Dio congiunti col voto di uno o dell’altro dei suddetti Sacramenti) la grazia santificante nelle anime dei peccatori. Ed è pure la grazia attuale quella magica operaia che (per mezzo delle buone opere e soprattutto dei Sacramenti dei vivi) ricamerà e rinforzerà sempre meglio la veste della grazia santificante nelle anime dei giusti (soprattutto la Comunione). Infatti, per chi è in grazia di Dio, le grazie attuali non son altro che tocchi, attrattive, lumi e spinte a servirsi di tutti i mezzi che la religione suggerisce per rendersi sempre più virtuosi e più graditi a Dio; e per il peccatore le stesse grazie attuali sono a loro Volta tocchi, lumi, attrattive, spinte ed eccitamenti affinché egli esca dallo stato di peccato e si dia all’amore misericordioso di Dio. Proprio così. Le grazie attuali non hanno verso di noi altro uffizio all’infuori di questo. – Ma dunque perché mai tanti peccatori non si convertono? Perché tanti mediocri in virtù non divengono più virtuosi? e perché mai tanti, che pure sono buoni, non diventano migliori ed anzi santi? Eh! unicamente perché non cooperano alla grazia, perchè non corrispondono fedelmente alle molteplici e non di rado vive e forti grazie attuali che il Signore loro manda. Si noti che ciò che ho detto qui è della massima importanza pratica; e perciò va profondamente meditato.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO

LA MORALE (1)

A. I COMANDAMENTI DI DIO.

Quali sono i comandamenti (leggi) che Dio ci ha dato?

Così come Dio ha stabilito delle leggi per i corpi celesti (Sal. CXLVIII, 6), ha dato i suoi comandamenti all’umanità. Li ha dati per renderci temporalmente ed eternamente felici.

Quando un padre proibisce al figlio di toccare un’arma da fuoco, ha in mente solo il suo bene. Così è per i comandamenti di Dio: “Dio non comanda mai nulla che non sia per il maggior bene di coloro ai quali dà i suoi ordini”. (S. Aug.) “Dio ordina solo per darci la grazia di ricompensare noi stessi”. (S. Paolino) L’ordine di Dio è quindi di per sé una grazia, (id.) un antico saggio diceva: “Senza leggi, l’umanità non sarebbe altro che una mandria di animali feroci il cui più forte ucciderebbe e divorerebbe il più debole”.

1. DIO HA IMPRESSO NELLANIMA DI OGNI UOMO LA LEGGE NATURALE CHE STABILISCE LE REGOLE FONDAMENTALI DELLE AZIONI UMANE.

Un bambino che non ha mai sentito parlare dei 10 Comandamenti di Dio, tuttavia, si vergogna e perde la vista quando compie una cattiva azione, come mentire o rubare (ecc.); egli è quindi consapevole di aver fatto qualcosa di sbagliato. Notiamo un fatto analogo innun pagano che, pur non avendo mai sentito parlare dei 10 comandamenti di Dio, si turba e si spaventa non appena ha fatto qualcosa di sbagliato, ad esempio rubare, uccidere (ecc.). Possiamo concludere che il cuore dell’uomo ha una legge naturale al suo interno. Questa legge non è scritta, ma innata. (Sant’Ambrogio). Proprio come una rondine sa istintivamente come debba costruire il suo nido, così l’uomo sa che deve agire in modo ragionevole. S. Paolo dichiara che i pagani per natura conoscono i loro doveri e che Dio, al momento del giudizio, li giudicherà secondo questa legge naturale (Rom. II. 14-16). “La tua legge, o Dio, è scritta nei nostri cuori e nulla può distruggerla”. (S. Aug.) Questa legge può essere momentaneamente oscurata, ma non estinta. (Tert.) Non c’è nessuno che non abbia la legge naturale incisa nel cuore (Cat. rom.). Essa ci insegna le regole morali più importanti, come il culto da rendere a Dio, i nostri doveri nei confronti di noi stessi e l’obbligo di non fare agli altri ciò che non vorremmo fosse fatto a noi (ecc.). Da queste regole morali derivano di conseguenza necessaria i 10 comandamenti di Dio (ad eccezione della santificazione del sabato). – La legge naturale non consiste quindi in una serie di verità razionali, ma in un comandamento divino, una volontà imperativa di Dio che la nostra ragione ci fa conoscere in ogni caso particolare. (Questo senso del dovere è la coscienza). Sbagliano, dunque, coloro che confondono la ragione stessa con la legge.

gli uomini, a causa del peccato, hanno dimenticato i principi della legge naturale,Dio ha nuovamente rivelato loro la sua volontà.

Le menti degli uomini, confuse e offuscate dalle loro numerose colpe, non erano più in grado di distinguere il bene dal male, così Dio ha rivelato, spiegato e completato la legge naturale. Quindi Dio non ha stabilito una nuova legge, ma ha completato quella esistente. (Cat. rom.) Quanto dobbiamo essere grati a Dio per averci manifestato due volte la sua volontà! (Cat. Rom.).

2. DIO HA RIVELATO LE LEGGI, IN PARTICOLARE I 10 COMANDAMENTI E I 2 COMANDAMENTI DELL’AMORE PER RICORDARE SPIEGARE E COMPLETARE LA LEGGE NATURALE.

Dio ha rivelato le leggi, cioè ha parlato agli uomini e ha manifestato loro la sua volontà, come vediamo nei rapporti di Dio con Mosè e nella promulgazione della legge sul Sinai. Appartengono alla legge rivelata: I° La legge ante-mosaica che Dio diede a Noè e ad Abramo. A Noè, Dio proibì di mangiare carni contenente sangue (Gen. IX); ad Abramo Dio ordinò la circoncisione. (Gen. XVII, 11). II° La Legge mosaica che Dio diede agli Israeliti attraverso Mosè. A questa legge appartengono: 1° il Decalogo, 2° le leggi rituali e 3° le leggi civili degli ebrei. – 1° I 10 Comandamenti di Dio non sono stati aboliti da Gesù Cristo, come Egli stesso dice (S. Matth. V, 17), ma solo perfezionati. 2° Le leggi rituali riguardanti le offerte, il Tempio (ecc.) sono state abrogate con la morte di Gesù Cristo (decisione del Concilio di Gerusalemme), perché queste usanze dell’AT erano solo figure del Salvatore. I messaggeri diventano inutili quando è presente colui che viene annunciato (S. Leone M.). 3° Le leggi che regolavano i rapporti civili dei Giudei tra di loro erano applicabili solo a loro. III° La legge cristiana, che contiene i 2 comandamenti dell’amore, richiede principalmente l’esercizio delle opere di misericordia (S. Matth. XXV,35) e la santificazione interiore (S. Giov. IV, 24), mentre la legge giudaica dava più importanza alle opere esterne e alle cerimonie. – La legge mosaica è incisa su su tavole di pietra, mentre i 2 comandamenti della carità sono incisi nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Ebr. VIII, 10), cioè lo Spirito Santo illumina i nostri cuori. Lo Spirito illumina la nostra intelligenza per farci conoscere questi 2 comandamenti e rafforza la nostra volontà per farceli osservare. Le leggi di un tempo erano imperfette (Ebr. VII, 19), quella di Cristo è perfetta, perché, osservandola, gli uomini possono raggiungere la meta più alta, quella dell’eternità beata. La nuova legge è stata data agli uomini dal Figlio di Dio stesso, mentre la legge mosaica, a causa della sua imperfezione, era stata data a Mosè attraverso il ministero degli Angeli. (Gal. III, 19).

3. DIO CI DÀ LE LEGGI ANCHE ATTRAVERSO I SUOI RAPPRESENTANTI SULLA TERRA, LE AUTORITÀ RELIGIOSE E CIVILI.

Queste leggi sono chiamate leggi della Chiesa e dello Stato.

La Chiesa comanda in nome di Cristo, poiché Egli disse ai suoi Apostoli: “Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me”. (S. Luc. X, 16). Anche l’autorità civile trae la sua forza da Dio. S. Paolo dice che chi si oppone all’autorità civile, si oppone a Dio stesso (Rom. XIII, 1). Le leggi religiose sono, ad esempio i 6 comandamenti della Chiesa; le leggi civili sono ad esempio: la legge militare, il codice penale, la legge sulla stampa, la legge sul diritto di riunione, ecc. La legge religiosa e la legge civile sono distinte dalla legge divina (naturale e rivelata), poiché la prima riguarda le nostre parole e le nostre azioni, mentre la seconda riguarda addirittura i nostri pensieri e i nostri desideri (S. Th. d’Aq.). Tuttavia, le leggi che ci vengono trasmesse dai rappresentanti di Dio di Dio sono vere leggi solo quando non sono in contraddizione con le leggi rivelate. – Qualsiasi legge contraria alla legge di Dio è nulla. Quando i rappresentanti di Dio ordinano qualcosa che Dio proibisce, dobbiamo ricordare le parole degli Apostoli: “È meglio obbedire a Dio che agli uomini” (Atti, Ap. V, 29), e ricordare il comportamento dei tre giovani nella fornace e quello dei 7 fratelli Maccabei.

4. DALLA CONOSCENZA DELLA LEGGE DERIVA LA COSCIENZA, OSSIA LA SCIENZA CHE CI PERMETTE DI SAPERE SE UN’AZIONE È PERMESSA O MMENO.

La nostra ragione ci rende attenti nei casi concreti in cui dobbiamo agire e ci dice cosa dobbiamo fare secondo i precetti conosciuti. La ragione quindi ci inculca la conoscenza della legge e del nostro dovere. Questa conoscenza del dovere è la coscienza. La coscienza è quindi un’attività dell’intelligenza. Appena la conosciamo essa spinge potentemente la nostra volontà al bene. E poiché la nostra coscienza ci rende attenti alla volontà di Dio, molti Santi l’hanno chiamata la voce di Dio. “La coscienza è la voce di Dio, che si manifesta come legislatore e giudice” (S. Thom. d’Aq.).

La coscienza si rivela nel modo seguente: prima dell’azione, avverte e giudica. Dopo l’azione, tranquillizza o disturba, a seconda che l’azione sia stata buona o cattiva.

Caino e Giuda erano turbati dal rimorso di coscienza. Un giudice umano può essere corrotto o conquistato dalle lusinghe, dagli insulti o dalle minacce, ma il tribunale della coscienza mai!

(S. G. Cris.) La coscienza è dunque buona o cattiva.

Una buona coscienza rende allegri e scaccia la tristezza come il sole scaccia le nuvole (S. G. Cris.). Essa addolcisce tutte le amarezze della vita; assomiglia al miele che non solo è dolce di per sé, ma che addolcisce le bevande più amare. (S. Aug.) Una buona coscienza è un morbido cuscino. – Una cattiva coscienza rende arcigni ed inquieti; è un verme uscito dalla putredine del peccato (S. Th. d’Aq.) e che non muore (S. Marc. IX, 43). La cattiva coscienza avvelena tutte le gioie della vita; assomiglia alla spada di Damocle che pendeva da un capello sopra la sua testa durante il pasto, e la cui vista lo privava di ogni godimento. Chi ha la coscienza sporca è come un condannato a morte che, nonostante tutti i piaceri che gli sono stati concessi nelle sue ultime ore non riesce più ad essere sinceramente felice. (S. Bern.).

L’uomo può avere una coscienza delicata o una coscienza rilassata o ottusa.

La coscienza delicata avverte ogni più lieve mancanza; la coscienza ottusa appena delle più grandi. Una coscienza delicata è come una bilancia d’oro che rivela il minimo granelli di polvere; una coscienza ottusa assomiglia ad una bascuglia da fieno che si piega appena sotto il peso di una libbra. I Santi avevano una coscienza delicata; essi avevano paura della minima offesa fatta a Dio. I mondani hanno una coscienza lassa, quasi non si accorgono di ciò che è un evidente peccato mortale. Tuttavia, danno grande importanza alle sciocchezze; passano al setaccio il moscerino. (S. Matth. XXIII, 24). Un uomo con un carattere delicato di coscienza è un uomo coscienzioso, un uomo con una coscienza ottusa sarà un uomo senza coscienza. Un uomo può anche avere una coscienza larga (lassa) o una coscienza timorosa (scrupolosa). Chi ha una coscienza ampia considera leciti i più grandi peccati: il suo principio è: che una volta non è un abitudine, che una volta non conta, che sbagliare è umano, e così via. La sua vita depravata non gli permette più di ascoltare il rimprovero della sua coscienza, così come un uomo che vive vicino ad una cascata (o ad una ferrovia) diventa gradualmente si abitua gradualmente al loro rumore e poi dorme benissimo lo stesso. (S. Vinc. F.). Chi, invece, ha una coscienza scrupolosa, considera proibite anche le azioni permesse). Una persona scrupolosa è come un cavallo ombroso che si spaventa anche per l’ombra di un albero o di una pietra, come se fosse un leone o una bestia selvaggia, esponendo così l’intera carrozza che traina al massimo pericolo. La persona scrupolosa immagina pericoli anche dove non ce ne sono, e poi cade facilmente in una disobbedienza o nel peccato. (Scar.) La scrupolosità non viene ordinariamente dall’ignoranza, ma da una sensibilità malata che disturba la ragione: “La radice di tutti gli scrupoli è l’orgoglio”(S. Fr. S.). Ogni scrupoloso è timido e quindi non può diventare perfetto; assomiglia ad un soldato timido che non ha il coraggio di affrontare il nemico e si arrende alle armi prima dell’attacco. Una persona scrupolosa si ferma davanti ai suoi dubbi, perché sono come la pece o la colla che si aggrappano sempre di più (Scar.). La persona scrupolosa deve disprezzare i propri scrupoli e fare il contrario di ciò che i suoi scrupoli vietano (S. Alf.). Deve obbedire esattamente al suo confessore, altrimenti non guarirà e potrebbe impazzire. (S. Alf.). Lo scrupoloso deve diffidare del suo giudizio personale e del suo modo di vedere le cose e persino rinunciarvi completamente. In questo modo gli scrupoli che di solito sono il risultato dell’orgoglio e dell’ostinato attaccamento alle proprie idee. (Marie Lat.) Chi ha visto fare grandi cose per Dio, deve guardarsi dall’essere debole di cuore; se gli Apostoli fossero stati deboli di cuore, non avrebbero mai intrapreso la conversione del mondo. (S. Ign. Loy.).

Non si deve agire contro la propria coscienza, altrimenti si commette una colpa.

La coscienza non è altro che la legge applicata ai casi concreti; Chi agisce contro la propria coscienza agisce quindi contro la legge. S. Paolo dice che pecca chi agisce contro la propria convinzione. (Rom. XIV, 23). Pecca chi, per esempio di giovedì immagina che sia venerdì e tuttavia mangia volontariamente carne.

5. I COMANDAMENTI DI DIO NON TOLGONO IN NESSUN MODO LÀ VERA LIBERTÀ AGLI UOMINI.

Al contrario, li rendono indipendenti dalle creature, mentre il peccatore cade in una vergognosa schiavitù: è come un pesce preso all’amo. “Ovunque c’è lo Spirito di Dio, lì regna la libertà”. (II Corinzi III, 17). Il peccato ci rende schiavi, la virtù ci rende liberi. Da qui il motto: “Deo servire regnare est“. (Servire Dio è regnare). La libertà, infatti, non consiste nel poter fare tutto quello che ci pare. La libertà è limitata dai diritti del prossimo e consiste nel fare tutto ciò che sia permesso. Purtroppo oggi la parola libertà è abusata; alcuni la prendono come licenza e chiamano tirannia e dispotismo gli ostacoli posti dalle leggi alle loro inclinazioni malvagie. Altri vogliono la libertà per sé e la schiavitù per gli altri. Per questo motivo ci sono uomini che si definiscono liberali ma in realtà sono assolutamente intolleranti. Grillpartzer dice giustamente: “Imparate innanzitutto cosa significhi libertà, prima di scegliere quella parola come parola d’ordine, non solo per non diventare schiavo degli altri, ma anche per non far diventare gli altri vostri schiavi.

2. I 2 COMANDAMENTI DALL’AMORE.

1. I 2 COMANDAMENTI PIÙ IMPORTANTI SONO I 2 COMANDAMENTI DELL’AMORE, CIOÈ QUELLO DELL’AMORE DI DIO E QUELLO DELL’AMORE DEL PROSSIMO, PERCHÉ QUESTI CONTENGONO TUTTI GLI ALTRI.

Un giorno uno scriba chiese a Gesù Cristo quale fosse il primo di tutti i comandamenti, e Questi gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore (con la volontà), con tutta l’anima (con l’intelligenza), con tutta la mente (con il sentimento e con tutta la tua forza (nelle azioni). Questo è il primo comandamento, ma il secondo è in tutto e per tutto simile al primo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso.” (S. Marco XII, 30). Già nell’A. -T. Dio aveva raccomandato negli stessi termini (Deut. VI, 5) l’amore di Dio e l’amore del prossimo (Lev. XIX, 18)..I due comandamenti dell’amore contengono tutti gli altri. Questo perché tutti i poteri dell’anima umana: ragione, comprensione, ecc. sono basati sull’amore. – La volontà e le azioni sono influenzate e dirette da esso, come risulta dalle parole di Cristo: come i rami di un albero crescono da un tronco comune, così i due comandamenti dell’amore generano tutti gli altri. Gli altri comandamenti specificano semplicemente ciò che quelli dell’amore richiedono. Gesù Cristo dice a questo proposito: “Questi contengono la legge e i profeti” (S. Matth. XXI1, 40). Nelle famiglie, nei paesi, negli Stati e nelle comunità, qualsiasi altra legge sarebbe superflua, se questa legge dell’amore fosse osservata ovunque e da tutti. (Àllioli).

Il comandamento dell’Amore di Dio contiene i primi 4 primi comandamenti del decalogo, e quello dell’Amore per il prossimo gli altri 6, con il precetto di fare opere di misericordia.

I primi quattro comandamenti si riferiscono a Dio. Come nostro Signore sovrano, Dio esige adorazione e fedeltà nel 1° comandamento, rispetto nel 2°; nel 3° servizio; nel 4° sottomissione ai suoi rappresentanti sulla terra. Gli altri sei comandamenti riguardano il nostro prossimo e ci proibiscono di fargli del male alla la sua vita (5° com.), alla sua innocenza (6° com.), alla sua proprietà (7° com.), al suo onore (8° com.), alla sua famiglia (9° e 10° com.). Il comando di Gesù Cristo di praticare le opere di misericordia (S. Matth. XXV, 31 e segg.) completa la seconda parte del decalogo che riguarda l’amore per il prossimo, perché prescrive di assisterlo nel bisogno. – Gesù Cristo, inoltre, dice chiaramente al giovane ricco, che gli ultimi sei comandamenti formano un tutt’uno, perché Egli enumera i comandamenti che riguardano il il prossimo, cominciando da quello che proibisce di uccidere. (S. Matth. XIX, 18; S. Luca. XVIII, 20) S. Paolo trova anche che, dal 5° al 10° comandamento, tutti formano una serie completa e metodica di leggi (Rom. XIII, 9).

2. CHI HA AMORE PER DIO E PER IL PROSSIMO ADEMPIE A TUTTI I PRECETTI E RAGGIUNGE LA VITA ETERNA.

Chi osserva i due comandamenti dell’amore osserva tutti gli altri, perché tutti i comandamenti sono contenuti in essi. Per questo San Paolo dice che: “La carità è la perfezione della legge”. (Rm XIII, 10). Senza amore per Dio e per il prossimo non c’è salvezza. S. Giovanni dice: Chi non ha la carità rimane nella morte (San Giovanni, III, 14). Chi vive senza carità è morto (S. Fr. de S.). S. Paolo dice: “Chi non ama Gesù Cristo sia anatema”. (I. Cor. XVI, 22). Per camminare ci vogliono due piedi, se vogliamo andare in cielo e raggiungere Dio, dobbiamo avere l’amore per Dio e per il prossimo. (S. Aug.) L’uccello può volare verso il cielo solo su due ali, e noi possiamo fare lo stesso solo sulle due ali dell’amore di Dio e del prossimo. – I beati in cielo amano Dio e si amano l’un l’altro. Se vogliamo andare in cielo, dobbiamo iniziare fin da ora ad amare Dio ed il nostro prossimo. Agostino disse a Dio: “Che cos’è l’uomo? Perché tu voglia essere amato da lui e lo minacci di una punizione così severa se non ti ama?

3. LA FACOLTÀ DI AMARE DIO ED IL NOSTRO PROSSIMO CI VIENE CONCESSA INSIEME ALLA GRAZIA SANTIFICANTE.

Da soli, non siamo in grado di amare Dio sopra ogni cosa. A causa del peccato originale, siamo come una palma trapiantata dalla sua terra d’origine alla nostra; essa cerca di dare frutti, ma non è in grado di produrre datteri maturi e gradevoli al gusto: può farlo solo in un clima più mite. È lo stesso per i nostri cuori: vorrebbero amare Dio, ma non ne hanno la forza; possono arrivare alla carità divina solo se vivificata dalla grazia dall’alto. (S. P. de S.) La volontà esiste in me, ma non posso da solo realizzarla, portarla a compimento. (Rom. VII, 18). È solo quando lo Spirito Santo entra in noi, con il Battesimo o con la penitenza, che Egli riversa in noi l’amore di Dio. Da qui le parole di San Paolo: “L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori dallo Spirito divino” (Rom. V, 5). L’amore per il prossimo entra nella nostra anima nello stesso tempo che l’amore per Dio (S. Aug.) L’amore di Dio e l’amore del prossimo sono una cosa sola; si differenziano solo per l’oggetto a cui si riferiscono. Sono due corsi d’acqua alimentati dalla stessa fonte, due rami dello stesso albero. Ecco perché Gesù Cristo ha dato lo 8. Spirito due volte ai suoi Apostoli (prima quando alitò su di loro e poi nel giorno di Pentecoste) affinché noi potessimo ricevere con lo Spirito Santo il duplice amore per Dio e per il prossimo. (S. Aug.). Lo Spirito Santo è stato mandato dal cielo, affinché Dio sia amato, e sulla terra, affinché il nostro prossimo sia amato (S. Onorio).

4. L’AMORE PER DIO È INSEPARABILE DALLAMORE PER IL PROSSIMO.

Come il seme contiene la pianta, così l’amore di Dio contiene l’amore del prossimo. I due comandamenti dell’amore sono tali che l’uno non può essere osservato senza l’altro. (S. Aug.) Per questo la Sacra Scrittura parla sempre e solo di “un solo comandamento dell’amore, a volte quello di Dio, a volte quello del prossimo, perché l’uno contiene l’altro.” (S. Aug.). – Se qualcuno dice: Io amo Dio, ma odia il suo fratello, è un bugiardo. (I. S. Giovanni IV, 20). Chi ama Dio non può odiare l’uomo, e chi odia l’uomo non può amare Dio. – La carità, cioè l’amore di Dio, è benevola, non invidia nulla e non pensa nulla di male. (I. Cor. XIII, 4-7). L’amore per il prossimo è la migliore pietra di paragone per l’amore di Dio. Chi nutre rancore nei confronti del suo prossimo anche uno solo, che lo odia, lo invidia, lo danneggia (sia nella salute, sia nell’innocenza, sia nella ricchezza o nel suo onore domestico, o chi non ama fare l’elemosina, non ama Dio. “L’ingiustizia è la prova che uno non possiede l’amore di Dio”. (S. Aug.) L’invidia è la prova che non si possiede l’amore di Dio (S. Efr.).

3. IL COMANDAMENTO DELL’AMORE DI DIO.

L’uomo è fatto in modo tale da provare un certo compiacimento di fronte a ciò che ha riconosciuto come buono e bello; questo piacere e il desiderio di possederlo si chiama amore.. Come si vede, l’amore è un atto della ragione, del sentimento e della volontà allo stesso tempo.

1. DOBBIAMO AMARE DIO, PERCHÉ GESÙ CRISTO LO COMANDA, PERCHÉ DIO È L’ESSERE PIÙ BELLO E PERFETTO, PERCHÈ CI ANA E CI COLMA DI BENEFICI.

.Gesù Cristo ci comanda di amare Dio: “Amerai il Signore, tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze ” (S. Marco, Xll, 30). – Dio è l’Essere più bello; se le cose terrene sono così belle, quale deve essere la bellezza del Dio che le ha create tutte. (Sap XIII, 3). Perché se ciò che non si possiede da se stesso non possiamo darlo agli altri. Chi dà credito di 100 scudi deve necessariamente prima averli lui stesso ed anche molto di più per poterne dare altrettanti. Dio deve quindi avere in sommo grado tutte le perfezioni che ammiriamo nelle creature. “Il motivo per amare Dio è Dio stesso” (S. Bern.) Dio attira a sé tutti i cuori e tutte le menti per la sua sovrana bellezza e incomprensibile bontà. – L’amore di Dio per noi si è manifestato soprattutto con l’invio del proprio Figlio sulla terra per salvarci. Gesù Cristo stesso ha detto: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio. unigenito” (S. Giovanni III, 16). Dio non ha mandato il suo Figlio come re della terra, ma sotto forma di schiavo, e non perché vivesse e morisse come un altro uomo, ma perché vivesse tra le fatiche del mondo e le persecuzioni e morisse su una croce (Alban. Stolz). Dio ci ha dato un Figlio che ha amato infinitamente. I genitori amano i loro figli tanto più quanti ne hanno di meno. A maggior ragione amano il loro unico figlio. Quanto più Dio deve aver amato il suo unico Figlio? Eppure lo ha sacrificato (Alb. Stolz). Supponiamo che un uomo stia passeggiando in riva al mare con suo figlio e il suo servo; quest’ultimo, per sbadataggine, cade in acqua e il padrone manda il figlio a salvarlo. Non è questo l’esempio più bello dell’affetto del padrone per il suo servo? E il servo non ricambierà l’affetto del padrone con l’affetto suo? Lo stesso vale per l’opera della Redenzione. Ecco perché Agostino grida: “Per salvare lo schiavo Voi, Signore, avete dato il vostro Figlio”. Da qui il consiglio di Giovanni: “Amiamo Dio, perché Egli ci ha amati per primo”. (I. S. Giovanni IV, 19). – Dio ci inonda di benedizioni, perché tutto ciò che amiamo viene da Lui. È lui che ci ha dato la vita, la salute, il cibo, il vestiario, il riparo e tutto ciò che ci è stato donato. Ciò che sono e quello che ho, Padre, mi è stato dato da te. Ogni dono perfetto viene dall’alto, dal Padre delle luci. (S. Giac. I, 17). Che cosa hai, o uomo, che tu non abbia ricevuto? (I. Cor. IV, 7). Il possesso ininterrotto di questi beni ci impedisce di apprezzarne il valore. Perciò dobbiamo spesso considerare coloro che ne sono privi, ad esempio i ciechi, i malati, i bisognosi. Vedremo in comparazione quanto siamo felici, e il nostro cuore sarà più infiammato dall’amore divino. Se dunque amiamo colui che ci fa un dono o che ci aiuta nel momento del bisogno, quanto più dobbiamo amare Colui che ci ha dato tutto ciò che siamo e abbiamo, che ha nominato gli Angeli per custodirci, che ci ha dato il sole, la luna e le stelle come nostri fari, e la terra come nostra casa, gli elementi, le piante e gli animali come cibo e per il nostro divertimento. I bambini e persino alcuni animali, come le cicogne, amano coloro che li hanno messi al mondo. Chi non ama il suo Creatore è quindi peggiore di un animale. La sola considerazione di ciò che Dio ha fatto per noi dandoci la vita ci impone di amare il nostro Creatore sopra ogni cosa (S. Bas.).

2. DIMOSTREREMO DI AMARE DIO SE LO DESIDERIAMO CONTINUAMENTE, SE FUGGIAMO DA TUTTO CIÒ CHE CI SEPARA DA LUI, SE LAVORIAMO PER LA SUA GLORIA E SE ACCETTIAMO CON SOTTOMISSIONE CIÒ CHE VIENE DA LUI.

Un bambino ama il suo libro illustrato, ci pensa spesso e lo guarda con piacere, lo loda ed è molto grato alla persona che glielo ha regalato. Lo stesso vale per l’uomo che ama Dio. È un errore credere che l’amore per Dio sia solo una questione di sentimento, una certa soddisfazione o gioia nel possedere Dio; al contrario, è un atto dell’intelligenza e della volontà. L’uomo riconosce Dio come Bene sovrano e lo pone al di sopra di tutte le creature. (Atto di intelligenza). La conseguenza di questo apprezzamento è l’aspirazione a possedere questo Bene sovrano, evitando il peccato e vivendo una vita gradita a Dio (Atto di Volontà). L’amore di Dio è dimostrato più dalle azioni che dai sentimenti. (Marie Lat.) L’amore di Dio non consiste in consolazioni sensibili, senza le quali Nostro Signore non avrebbe amato il Padre suo (S. Fr. S.) L’amore di Dio si chiama anche amore santo. Bisogna distinguere tra l’amore naturale, ad esempio l’amore che i genitori hanno per i figli, e l’amore santo, poi l’amore sensuale che si riferisce al corpo.

1. Chi ama Dio pensa a Lui continuamente, ama parlare di Lui e sentirne parlare.

L’amore è l’attrazione verso un oggetto con il desiderio di unirsi ad esso. Per questo motivo noi pensiamo continuamente a ciò che amiamo. Ecco perché Gesù Cristo ci dice: “Dov’è il tuo tesoro, là è anche il tuo cuore”. (S. Matth. VI, 21). L’anima che ama Dio compie tutte le sue opere con la giusta intenzione. Ogni opera è compiuta con la buona intenzione di onorarlo; assomiglia a una nave che naviga in diverse direzioni, ma la cui bussola punta sempre a nord. (S. Fr. di S.); o ai corpi terrestri che sono sempre attratti verso il centro della terra. Chi ama Dio fa delle preghiere giaculatorie durante il suo lavoro. Ad esempio, Gesù, mio Dio, ti amo sopra ogni cosa (Indulg. per 50 giorni). – per la maggior gloria di Dio (S. Ignat.). Tutto per l’onore del mio Dio, per aumentare la sua lode e la sua gloria (B. Clém. Hofbauer). Il mio Dio e il mio Tutto (S. F. d’Ass.). Chi ama Dio è come gli Angeli che godono continuamente della vista i Dio. (S. Bonav.) Considera sprecato tutto il tempo che non impiegate ad amare Dio (S. Bern.) – Chi ama Dio ama parlare di cose divine, perché la bocca parla dell’abbondanza del cuore (S. Matth. XII, 34). La lingua rivela i desideri del cuore, perché la bocca ruba i pensieri del cuore e li rende noti (S. Efr.). Tuttavia, le parole di un uomo infiammato dall’amore di Dio sono spesso accolte con ironia dai suoi simili; l’espressione di questo amore sembra barbara agli occhi di chi non lo ama (S. Bern.). Chi ama Dio ama sentir parlare di Lui, da cui le parole di Gesù Cristo: “Chi è da Dio ascolta le sue parole” (S. Giovanni, VIII, 47).

2. Chi ama Dio rifuggebdal peccato e non attacca il suo cuore ai beni e alle gioie della terra.

Chi ama Dio evita il peccato che lo separa da Lui. “Se uno mi ama – dice Gesù Cristo – osserverà la mia parola” (S. Giovanni XIV, 23). Chi ama Dio trema di fronte al timore di Dio, ma non di fronte al castigo, perché chi ama non ha alcun castigo da temere. Ecco perché san Giovanni dice: “L’amore perfetto dissipa ogni paura”. (San Giovanni IV, 18). – Un uomo che ha troppo caldo si toglie i vestiti ed un uomo infiammato dall’amore divino si spoglia del desiderio di beni e piaceri terreni.- La morte separa il corpo dall’anima e l’amore di Dio separa l’anima dalle cose sensibili. (S. Gr.) L’amore divino e l’amore per il mondo non possono coesistere nella nostra anima.

3. Chi ama Dio lavora volentieri per la sua gloria.

Se qualcuno compra un libro che gli piace, esorta anche i suoi amici a procurarselo; vuole che venga distribuito. Così è per la persona che ama Dio. Egli desidera che sia sempre più conosciuto e amato dagli uomini. “Lo zelo è l’effetto dell’amore. Chi non ha zelo, non ama”. (S. Aug.) Chi ama Dio si desola e addirittura si ribella quando gli uomini lo offendono: così Mosè nella sua ira, distrusse le tavole della legge alla vista degli adoratori del vitello d’oro (Esodo XXXIII, 32). D’altra parte, chi ama Dio si rallegra nel vederlo glorificato (Fil. I, 18). Egli fa tutti gli sforzi possibili per recuperare i perduti. Quali difficoltà hanno superato gli Apostoli e i missionari per annunciare il Santo Vangelo? Cosa fece Monica per riportare in vita suo figlio Sant’Agostino! È anche l’amore di Dio che ispira gli Angeli a salvare l’umanità; è questo stesso amore che ci ispira a pregare: “Sia santificato il tuo nome”.

4. Chi ama Dio lo ringrazia per i suoi benefici e accetta volentieri le sofferenze che egli manda.

Una lettera di un amico è sempre un piacere, per quanto doloroso possa essere l’evento della consegna. Allo stesso modo, chi ama Dio accetta volentieri ciò che Egli gli manda, siano esse benedizioni o sofferenze. Dopo una benedizione, si comporta come Noè che esce dall’arca (Gen. VIII), come il lebbroso guarito (S. Luc. XVII, 16), come i tre giovani nella fornace (Dan. III) e non come il corvo che non tornò nell’arca e dimenticò colui che lo aveva nutrito (Gen. VIII, 6). Chi ama Dio non dimentica la preghiera della sera, né quella prima e dopo i pasti. Deve essere sempre grato anche per la più piccola benedizione. L’ingratitudine è sempre il segno della bassezza di un cuore. – Dovremmo addirittura, come Giobbe (I, 21), accettare di buon grado le prove che Dio ci manda. S. Paolo era gioioso nonostante tutte le sue pene (II Cor. VII, 4); gli Apostoli e i martiri sono morti con gioia, ed il motto di santa Teresa era: “Signore, soffrire o morire! Chi ama Gesù, ama anche la croce. (S. F. de S.) Quanto più grande è il nostro desiderio di soffrire e di essere umiliato per Dio, più grande è il nostro amore per Lui; questo desiderio è il segno più sicuro di questo fuoco celeste. (S. Vinc. de P.). Dio assomiglia al girasole che, anche nei giorni bui, si volge verso il sole. (S. Fr. de S.). Chi, invece, non ama Dio è uno stolto che considera tutti i fastidi di questa vita, come se fossero diretti contro di lui personalmente. (Sap. V, 21).

5. Chi ama Dio ama anche il suo prossimo.

Chi ama il Creatore ama anche le creature (1. S. Giovanni V, 1); ama il prossimo, perché quest’ultimo rappresenta Gesù Cristo stesso, come lo indicano le sue parole al Giudizio Universale. (Mt. XXV, 40); non ama solo i giusti, ma anche i peccatori. “Il peccato non deve essere confuso con il peccatore. Dobbiamo odiare il peccato sull’esempiodi Dio, ma amare il peccatore. (Mar. Lat.). Chi ama Dio ama anche gli Angeli, i Santi e le anime del Purgatorio. Solo i dannati devono essere esclusi dalla carità ed odiati, come li odierà Dio. (Mar. Lat.).

3. DOBBIAMO AMARE DIO CON TUTTE LE NOSTRE FORZE E SOPRA OGNI COSA.

L’amore per Dio deve quindi essere un amore speciale, un amore di preferenza. (S. Th. d’Aq.) Per questo Gesù Cristo non dice semplicemente: “Amerai Dio, ma amerai Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutto il tuo essere, con tutto il tuo cuore, e con tutte le tue forze”(S. Marco 12). L’unica misura dell’amore di Dio è che è senza misura. (S. Bern.).

Amiamo Dio con tutte le nostre forze, se mettiamo in relazione i nostri pensieri, le nostre parole e le nostre azioni a Dio (S. Th. d’Aq.). Dobbiamo quindi pensare a Dio quando ci alziamo, quando ci vestiamo, quando ci laviamo, quando mangiamo, quando lavoriamo, ecc. Tutte le creature, anche le più piccole (il canto degli uccelli, il profumo dei fiori, la musica, ecc.) offrono a chi ama Dio l’opportunità di pensare alla gloria del Creatore. L’universo parla un linguaggio silenzioso ma comprensibile a chi ama Dio. (S. Aug.).

Si ama Dio soprattutto se si è pronti a sacrificare tutto non appena lo richieda.

Dio è il nostro fine ultimo; le creature sono solo mezzi per questo fine. Per questo è nostro dovere sacrificarle se Dio lo richieda. Dobbiamo sacrificare la nostra vita per Dio, come i giovani di Babilonia; dobbiamo essere pronti a lasciare i nostri figli per Dio, come Abramo; sì, un padre deve anche essere pronto a sacrificare il suo unico figlio, come Abramo per Isacco. Dio è come un tesoro o una perla preziosa che si può ottenere solo a prezzo di tutto ciò che si possieda. (Matth. XIII, 46), Per questo Dio mette alla prova l’uomo giusto per vedere se lo preferisce davvero alle cose che passano. (Deut. XIII, 3). Tuttavia, Dio a volte si accontenta della nostra buona volontà (S. Fr. de S.). Egli non sempre toglie l’oggetto amato, quando si è disposti a sacrificarlo. Così fece con il sacrificio di Abramo sul Monte Moriah. – Chi si addolora troppo per le sue disgrazie non ama Dio sopra ogni cosa. Anche chi trascura la pratica delle buone azioni per rispetto umano non ama Dio, perché preferisce l’approvazione degli uomini a quella di Dio. Se l’uomo accetta ingiurie e punizioni per una creatura che amano, cosa non dobbiamo soffrire per amore di Dio?

È lecito amare anche le creature, ma solo per amore di Dio.

È quindi lecito trarre piacere dalle creature, usandole come mezzo per servire l’Altissimo; dobbiamo amare il Creatore nelle creature e non le creature per se stesse. Possiamo – dice San F. de Sales – amare altri oggetti, ma a condizione che non ce ne sia uno solo che non amiamo in Dio e per Dio. Dio è chiamato il Dio geloso (Es. XX, 5), perché non tollera alcun amore diverso dal suo. Egli vuole essere o il re dei nostri cuori o niente. (S. Fr. de S.). Dio non permise al pio Giacobbe di amare troppo suo figlio Giuseppe, lo portò via temporaneamente; più tardi fece lo stesso con Beniamino. Dio fa lo stesso con noi oggi. Gesù Cristo dice: “Chi ama il proprio padre e sua madre più di me non è degno di me.(S. Matth. 37). S. Agostino dice: “Ama troppo poco Dio chi ama una creatura al di fuori di Lui, a meno che non la ami per Lui. – “Se sapessi – dice San F. de Sales – che nel mio cuore c’è la più piccola inclinazione che non sia né di Dio né per Dio, la distruggerei immediatamente, perché preferirei non vivere piuttosto che non appartenere completamente a Dio” – Come il corpo muore se è staccato, così muore l’anima. Così la minaccia del profeta contro i Giudei idolatri: “I loro cuori sono stati divisi, ma è giunto il tempo della loro desolazione”, dimostra che l’anima di chi non ama Dio muore. Chi non ama Dio con tutto il cuore è morto.

4. L’AMORE DIO CI È UTILISSIMO: QUESTO DIMOSTRA CHE DIO GIÀ IN QUESTO MONDO, ILLUMINA LA NOSTRA RAGIONE. RAFFORZA LA NOSTRA VOLONTÀ E CI OTTIENE IL PERDONO DEI PECCATI, LA PACE DELLANIMA E MOLTI SLTTI FAVORI R DOPO LA MORTE, LA GIOIA DEL CIELO.

La concupiscenza è la radice di ogni male, mentre il vero amore è la radice di ogni bene (S. Aug.). L’olio è il simbolo dell’amore di Dio, galleggia, illumina, calma il mare e addolcisce tutto: lo stesso vale per l’amore di Dio. Anche il fuoco agisce come la carità; si eleva, illumina, riscalda e purifica. Anche l’oro è simbolo dell’amore divino (Sal. XLIV, 10). – Chi ama Dio possiede il S. Spirito che lo unisce a Dio. “L’amore di Dio lo rende presente nei nostri cuori come in cielo” (S. Aug.). Amate Dio e lo possederete, perché non si può amare Dio senza possederlo, mentre le cose terrene, come l’oro e gli onori, possono essere amate senza essere acquistate (S. Aug.). Gesù Cristo ha detto: “Chi ama me sarà amato dal Padre mio, e noi verremo a lui e faremo la nostra casa con lui. (S. Giov. XIV, 23). S. Giovanni dice anche: “Chi ama Dio vive in Dio e Dio in lui” (XIV, 23). L’amore di Dio e la grazia santificante sono dunque inseparabili, dove c’è l’uno c’è anche l’altro. Chi ama Dio è già in cielo quaggiù e possiede già il cielo se ama da Cristiano. Non è così dell’anima come per il corpo: se il corpo volesse salire in cielo, dovrebbe cambiare posto. Ma per elevare il cuore al cielo basta volerlo: amare è già essere beati (S. Aug.). Non dobbiamo quindi chiederci se siamo graditi a Dio, ma se ci compiacciamo in Dio (S. F. de S.). – Chi ama Dio ottiene, attraverso lo Spirito Santo che abita in lui, la luce della comprensione, la forza di volontà, il perdono dei peccati e la vera pace dell’anima. – La nostra anima è come uno specchio che riflette gli oggetti che le vengono presentati. (Diez). Se rivolgiamo la nostra anima verso l’amore di Dio, la divinità risplenderà, essa cioè capirà meglio le cose divine, sarà illuminata. La sapienza consiste nell’amore di Dio (Sir. I, 14). Non ci si rende conto della dolcezza del miele se non gustandolo, e si conoscerà Dio solo se si gusta il suo amore. (S. Ch. B.) L’amore è il manuale di tutta la teologia. Ad uomini ignoranti.come San Paolo eremita, Sant’Antonio e San Francesco, ha dato loro la conoscenza di Dio..(S. Fr. de S.). S. Domenico amava dire: “Ho imparato più dal libro dell’amore che da tutte le Sacre Scritture”. (Corn. a L.) Il ferro rovente è facile da forgiare, un’anima infiammata dall’amore di Dio è più sensibile alle ispirazioni dello Spirito Santo. – Niente dà più forza e coraggio dell’amore. L’amore materno della gallina, altrimenti impaurita, la porta, quando i suoi pulcini sono in pericolo, a difenderli anche contro gli uomini. Una madre che ama i suoi figli non teme la fatica. L’amore per la caccia, la pesca ecc. rende un uomo insensibile alla fatica che accompagna questi esercizi, l’Amore sopporta tutto e soffre tutto (1. Cor. XIII, 7). Le cose che ci piace fare non costano alcuna pena, perché si ama anche la pena. (S. Aug.) Se l’amore naturale dà già. simili forze, che dev’essere dell’amore divino? “Se amate Dio, sarete capaci delle più grandi cose (Mar. Lat.). Grazie all’amore di Dio, otteniamo il perdono dei nostri peccati . Gesù Cristo disse della Maddalena peccatrice: “Molti peccati le saranno perdonati, perché ha molto amato (S. Luc. VII, 47). L’amore copre la moltitudine delle colpe. (I. S. Pietro IV, 8). Il fuoco consuma la ruggine, e la carità consuma la ruggine del peccato (S. Bon.). Nulla pulisce più rapidamente un terreno pieno di rovi e spine di un fuoco, così come una sola scintilla di amore divino purifica la nostra anima da tutte le sue colpe. L’amore di Dio non tollera nemmeno la vicinanza del male (S. G. Cr.). Lo Spirito ritorna nell’anima di chi ama Dio, inondandola di pace soprannaturale. Lo Spirito Santo Spirito Santo è il Consolatore. (S. Giovanni XIV, 26). Chi ama Dio si sente penetrato dalla sua presenza, e questo gli dà più piacere di di tutte le gioie del mondo. Solo chi ama Dio possiede la vera pace dell’anima. (S. Th. d’Aq.). Chi ama è gioioso e chi non ama trema. (Th. Kemp). Chi ama Dio ha la vera pace, perché la sua volontà è conforme alla sua. Questa conformità e questa pace sono una cosa sola (Mar. Lat.) Attraverso la carità otteniamo da Lui molti favori divini. Diversi santi, ad esempio, hanno avuto rivelazioni celestiali. Questo è il significato della promessa di Gesù Cristo: Chi mi ama, il Padre mio lo amerà e io lo amerò e mi rivelerò a lui. (S. Giovanni XIV, 11). È per questo che i Santi hanno avuto apparizioni di di Gesù Cristo, della Beata Vergine, di Angeli o di altri Santi (Dio è apparso accompagnato da due Angeli ad Abramo, un altro Angelo gli apparve al momento del sacrificio di Isacco; l’arcangelo Raffaele apparve a Tobia; gli Angeli sono apparsi spesso alla Beata Vergine e a San Giuseppe. S. Stefano, mentre veniva lapidato, vide il cielo aperto), oppure ottennero straordinarie luci interiori e consolazioni che nessuno al mondo avrebbe potuto dare loro, oppure le loro preghiere venivano prontamente esaudite. Gli amici si confidano i loro segreti, affinché il loro affetto reciproco si rafforzi (Hurter); anche Dio confida i suoi segreti a coloro che lo amano per accrescere il loro amore per Lui, Per questo motivo Gesù Cristo disse una volta ai suoi Apostoli: “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho annunciato a voi.” (S. Giovanni XV, 15). S. Paolo ha detto: “Sappiamo che tutte le cose concorrono al bene di coloro che amano Dio”. (Rm VIII, 28). Anche la sofferenza serve al bene di chi ama Dio. Le prove di Giuseppe, le disgrazie di Giacobbe e Tobia, hanno dato loro la gioia più grande. “Dio si prende cura delle preoccupazioni di chi ha tutti i pensieri rivolti a Lui.” (S. F. de S.) – Attraverso l’amore di Dio otterremo le gioie del cielo. S. Paolo dice: “L’occhio dell’uomo non ha visto, l’orecchio non ha udito, né il suo cuore ha sperimentato ciò che Dio ha in serbo per coloro che ama”. (I. Cor. Il, 29). “L’uomo che ama Dio è ricco di opere buone. Il fuoco è insaziabile e si espande sempre di più, e non appena un’anima viene invasa dall’amore di Dio, è instancabile nell’esercizio delle opere buone (Scar.). Così San Paolo ci dice: “L’amore di Dio ci pressa” (II Cor. V, 14). L’amore di Dio durerà per tutta la vita (I. Cor. XIII, 8). Vedere Dio e amarlo sono inseparabili in cielo; non si può vedere un bene così grande senza necessariamente amarlo (S. F. de S.) L’amore è nel mondo degli spiriti beati ciò che la gravità è nel mondo materiale. Il centro verso cui tutto converge è Dio (S. Bonav.). – Chi ha gustato il piacere e la dolcezza della carità, perde gradualmente le gioie del mondo (S. Alfonso).

5. DALLA GRANDEZZA DEL NOSTRO AMORE PER DIO DIPENDERÀ IL VALORE DELLE NOSTRE OPERE BUONE ED IL GRADO DELLA NOSTRA FELICITÀ ETERNA.

Le nostre opere avranno un valore tanto maggiore quanto più le praticheremo con maggiore carità. (S. F. de S.) Dio considera meno la grandezza dell’opera che la grandezza dell’amore. Le opere di minore importanza fatte con un maggiore amore di Dio hanno ai suoi occhi un merito molto più grande delle grandi opere fatte con una carità mediocre. Il contributo della povera vedova era più prezioso per Lui che tutti i doni dei ricchi (S. Marco XII, 14). Infatti, come dice S. Bonaventura: “L’amore è la spezia delle buone azioni. Più si possiedono in sé di queste spezie, più le nostre opere sono gradite al gusto di Dio. Ogni opera che non è fatta per amore di Dio è priva di merito. – Paolo dichiara che il dono delle lingue, le scienze, il dono dei miracoli e delle profezie, le elemosine e le mortificazioni non hanno alcun valore se manca la carità. (I. Cor. XIII, 1-3). Le buone opere senza la carità sono come una lampada senza olio (S. Matth. XXV, 8). La luna trae il suo splendore dal sole e non ha brillantezza senza il sole, allo stesso modo la virtù senza amore di Dio è senza merito (S. Bern.). I cibi senza condimento non hanno sapore, così le nostre opere, se manca l’amore, non sono di gradimento di Dio (S. Bon.). La nave non può navigare senza vele, e tutte le nostre azioni sono infruttuose senza amore. (S. Cris.) – La nostra felicità sarà tanto più grande quanto più grande è il grado del nostro amore quando moriremo. Più abbiamo amato, più saremo glorificati in cielo. (S. Fr. de S.) Anche un padre dà di più a colui che gli ha dimostrato più affetto. S. Agostino dice: “l’amore è il peso dell’uomo”. Questo significa che più si ama, più si ha valore davanti a Dio. – Già su questa terra riceve più grazie. Gli vengono perdonati più peccati. Ecco perché il Salvatore disse della Maddalena in casa di Simone: “Molti peccati le saranno perdonati, perché ha molto amato. Poco sarà perdonato a chi ama poco (S. Luc. VII). Chi ha maggiore carità giunge a una conoscenza più perfetta di Dio. Così è per il fuoco: più brucia, più la sua luce è brillante (Card. Hugo). Quanto più amiamo Dio, tanto più siamo sensibili (Mar. Lat.) Se amate Dio, siete più ricchi di coloro che possiedono tutti i tesori della terra e non lo amano (id.): Siete ricchi dietro a Dio (S. Luc. XII, 21). Chi non ama Dio è povero, nonostante tutti i suoi titoli e le sue qualità (S. Bas.); tra i Santi, invece, ci sono molti che non hanno brillato sulla terra per la loro situazione. (Col. II, 3-4).

L’amore di Dio può essere accresciuto dalla meditazione delle perfezioni e benedizioni di Dio, dal distacco dalle cose terrene e da frequenti atti di carità.

Il fuoco si mantiene aggiungendo legna o carbone; l’amore divino si mantiene meditando le verità divine. (S. Lor. Giu..) Soprattutto, la meditazione delle sofferenze di Gesù Cristo ha lo scopo di sviluppare questo amore in noi. (S. Fr. de S.) Anche nella gloria celeste la morte del Salvatore è la migliore scuola d’amore. Nella gloria celeste la morte del Salvatore sarà il motivo più potente per la carità degli uomini. (id.) – Anche il distacco dalle cose di questo mondo contribuisce ad accrescere l’aumento della carità. La legna brucia meglio quando è più secca e meno umida, così la fiamma dell’amore divino incendia tanto più le nostre anime quanto più esse sono distaccate dai vizi (Scar.). Proprio come una pietra che non incontra ostacoli, cade direttamente al centro della terra, allo stesso modo la nostra anima si innalza direttamente verso Dio, il suo centro e la sua meta, se ci liberiamo di tutte le catene che la legano alla terra. (Rodr.) La diminuzione della concupiscenza porta ad un aumento dell’amore (S. Aug.). Anche noi dobbiamo produrre spesso atti di carità. Ogni facoltà si sviluppa attraverso l’esercizio, così la facoltà di amare Dio si perfeziona con la ripetizione di atti di carità. S. Francesco d’Assisi ripeteva spesso, giorno e notte, queste parole: “Mio Dio e mio tutto”. Questi atti di carità sono tanto più importanti perché sono un dovere imposto dalla legge dell’amore (S. Thom. Aq.). Colui che non produce atti di carità trasgredisce il dovere dell’amore. “Chi, dunque, per un mese non produce atti di carità, non è scusato di peccato mortale (S. Alf.). Sicome Dio è immenso, l’amore per Lui deve essere sconfinato. (S. Leone M.) L’amore assomiglia a un cerchio, perché non ha fine. (S. Dion. l’Ar.) Tuttavia l’amore non aumenta necessariamente in modo sensibile, l’anima diventa solo più abile nell’amare con l’esercizio dell’amore” (S. Th. d’Aq.).

L’amore di Dio si perde per colpe gravi.

Quando le nubi dell’uragano si alzano nel firmamento, il sole cessa di splendere e di riscaldare; lo stesso è dell’amore divino nell’anima peccatrice, (S. Th. d’Aq.) Un getto d’acqua spegne all’istante il fuoco fisico, e il peccato mortale il fuoco dell’amore divino. Chi ha perso l’amore di Dio si è allontanato da Lui verso le creature. – Solo il peccato è in grado di privarci della carità. Per questo San Paolo dice: “Sono certo che né la vita né la morte, né gli Angeli né i principati né le potenze, né le cose presenti, né le cose future, né alcuna creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio (Rm VIII, 38).

IL CONTRARIO DELL’AMOR DI DIO, L’AMORE PER IL MONDO

Per quanto crudele e malvagio possa essere un uomo, il suo cuore avrà sempre un certo affetto per qualche creatura, la sua stessa natura lo porta ad esso. Chi non ama Dio al di sopra di tutto, amerà necessariamente una creatura al di  sopra di ogni altra cosa

1. CHI PREFERISC L’ORO, IL BUON CIBO, GLI ONORI TERRENI SOPRA OGNI SLTRA COSA, È POSSEDUTO DA UNA UN AMORE MONDANO.

L’amore per qualsiasi creatura non è di per sé un peccato. Diventa peccato solo quando quella creatura viene preferita al Creatore. (Marie Lat.). Chi ama una creatura sopra ogni altra cosa è un figlio del tempo. Tutti i figli del secolo sono idolatri (Ef. V, 5); essi dedicano alla creatura l’amore dovuto al Creatore, uno all’oro, come Giuda; un altro al buon cibo, come il ricco epulone e molti altri che non conoscono altro dio che il proprio ventre (Fil. III, 19); uno agli onori, come Assalonne, un altro ai piaceri terreni, come Salomone: altri al bere, al gioco d’azzardo, ecc. Tutti assomigliano ai Giudei che danzavano ai piedi del Sinai intorno al vitello d’oro. La massima dei figli del secolo è che bisogna godersi la vita, perché si vive una volta sola, pertanto: “Mangiamo e beviamo, perché domani dobbiamo morire” (Eccl. XXII, 13). Da qui le parole di San Paolo: “La sapienza di questa terra è stoltezza davanti a Dio”(I Cor. 111, 19). – I figli del mondo sono i più colpevoli di alto tradimento, perché hanno vigliaccamente abbandonato il loro Supremo Sovrano.

2. L’AMORE PER IL MONDO PORTA A PERDERE LA GRAZIA SANTIFICANTE E LA BEATA ETERNITÀ.

L’uomo terreno non ha la grazia santificante. Lo Spirito di Dio non abita in un uomo carnale (Gen. VI, 3). La colomba non si riposa nel fango né su un cadavere; allo stesso modo lo Spirito Santo non abita in un’anima colpevole e carnale. (S. Amb.) La colomba ama la pulizia, vuole che il suo piumaggio sia immacolato e si compiace vicino a fonti di acqua pura, così è per lo Spirito Santo (S. F. de S.). Colui che è puro per eccellenza non può abitare in un cuore sporcato dal peccato. Come può Dio riempire il vostro cuore di miele se è già pieno di aceto? Deve prima essere svuotato e accuratamente purificato. (S Aug) Chi non ha lo Spirito Santo, cioè la veste nuziale della grazia santificante, sarà gettato nelle tenebre esterne. (S. Matth. XXII, 12). Ecco perché Gesù Cristo minaccia l’uomo terreno di dannazione eterna. Egli dice: “Chi ama la propria vita (cioè chi cerca di goderne troppo) sarà condannato alla dannazione eterna”. (S. Giovanni XII, 25). E aggiunge: “Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame! Guai a voi che ridete ora, perché allora sarete tristi e piangerete.” (S. Luc. VI, 25). Come una nave che getta l’ancora sulla terraferma non può navigare verso il porto, così l’uomo che ama le cose terrene non può raggiungere il porto della salvezza. “Scegli: vuoi amare la terra ed essere perduto, o amare Gesù Cristo e vivere in eterno? (S. Aug.). Non vivere per questo mondo, per non perdere la vita eterna (S. Aug.). Chi vuole divertirsi con il demonio in questo mondo non potrà rallegrarsi di Gesù Cristo nell’altro mondo. (S. P. Chr.) Chi dissipa la vita eterna per un piacere passeggero è uno stolto (S. Bonav.).

3. L’AMORE PER IL MONDO ACCECA L’UOMO E LO ALLONTANA DA DIO.

L’amore per il mondo acceca lo spirito dell’uomo. Quando l’anima è separata da Dio dagli oggetti terreni, è nelle tenebre, come la luna quando la terra si frappone tra essa ed il sole. (C. Hugo). Proprio come il vecchio Tobia fu accecato dagli escrementi di una rondine, così l’anima è accecata dalle preoccupazioni terrene. (S. Cris.). Così i figli del mondo non hanno gusto per gli insegnamenti del Vangelo; li chiamano stoltezza (I. Cor. II, 14). Come i raggi del sole non possono penetrare nell’acqua fangosa, così la luce dello Spirito Santo non penetrerà mai nell’anima dell’uomo terreno. Chi non ama Dio, dice San Giovanni, non lo conosce. (I. S Giovanni IV, 8). Attraverso l’amore terreno, l’uomo si è allontanato da Dio. La terra è come un bastone ricoperto di colla, l’uccello, che vi si posa diventa incapace di alzarsi in volo (S. Nil.) Le preoccupazioni terrene soffocano la parola di Dio in Dio nell’uomo carnale, come le spine soffocano il seme (S. Matth X III, 22). I figli del mondo sono gli invitati di cui parla il Vangelo, che hanno rifiutato di partecipare al banchetto di nozze, alcuni a causa delle loro mogli, altri a causa dei loro poderi, altri a causa dei loro buoi (S. Luc. XIV, 16).

4. L’AMORE PER IL MONDO FA PERDEEE LA PACE INTERIORE E CI FA TEMERE LA MORTE.

Un uomo terreno non ha pace interiore. Un illustre poeta disse giustamente: “L’uomo ha solo l’inquietante scelta tra la felicità sensuale e la pace interiore”. L’una non può sussistere con l’altra. Il cuore che aspira solo ai piaceri terreni non può soddisfare se stesso più di quanto possa riempire un barile senza fondo. (Ld. Gren.) I figli del secolo, non possedendo mai la pace interiore, cercano di ottenerla variando i loro piaceri, proprio come un paziente che soffre di insonnia cambia continuamente posizione nel suo letto, sperando di trovare il sonno. (S. Gr. M.) Solo Gesù Cristo ci darà la vera soddisfazione. Egli dice ai suoi Apostoli: “Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace, ma non come la dà il mondo. (S. Giovanni XIV, 27). S. Agostino esclama: Il nostro cuore è inquieto e agitato finché non riposi in te, Signore”! – L’uomo terreno teme tanto la morte, perché poi dovrà rinunciare al suo idolo, ed è la fine della felicità a cui aspira. Così i figli del mondo sentono già le conseguenze della morte e muoiono sempre nell’angoscia e nella disperazione. I prigionieri vivono nella paura costante, ma questa paura aumenta quando vengono portati davanti al loro giudice. Lo stesso vale per il peccatore; egli vive in una paura continua, ma questa paura diventa molto più forte quando l’anima, separata dal corpo, è costretta a comparire davanti al Giudice supremo (S. Cris.). I pesci presi all’amo sentono la loro sofferenza solo quando vengono tirati fuori dall’acqua; lo stesso vale per chi è preso nella rete dell’amore del mondo; è nella sua ultima ora che ha le pene più amare. (L. de Gren.) Se le gioie che il diavolo vi promette sono già mescolate a tante amarezze, quali tormenti ha in serbo per voi per l’eternità?

5. L’amore per il mondo porta all’odio per Dio e per i suoi servi.

È impossibile che un uomo che ama le cose della terra possieda l’amore di Dio. Un anello che cinge un dito non ne può cingere allo stesso tempo un altro. E il cuore umano incatenato dall’amore per un oggetto terreno non può allo stesso tempo amare Dio. (L. de Gren.). S. Giovanni dice: “Se qualcuno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. (1 Giovanni II, 15). Non possiamo guardare il cielo e la terra dallo stesso punto di vista. (S. Giovanni Clim.) L’uomo terreno arriva ad odiare Dio e le cose divine. Ecco perché Gesù Cristo ha detto: “Non si possono servire due padroni, perché amerete l’uno e odierete l’altro, oppure vi sottometterete all’uno e disprezzerete l’altro. (S. Matth. IX, 24). Così conosciamo il valore di un uomo quando lo ascoltiamo ingiuriare i Sacerdoti e deridere le cose divine. – I figli del mondo sono nemici di Dio. Chi vuole essere amico di questo mondo sarà nemico di Dio. (S. Giac. IV, 4). Se dunque non vuoi essere nemico di Dio, sii nemico di questo mondo. (S. Aug.).

6. L’amore del mondo cessa con la morte.

L’amore terreno dura solo per un certo periodo di tempo, perché o sarete voi ad allontanarvi dall’oggetto che amate, oppure l’oggetto che amate vi sarà tolto.
Non bisogna mettere il vostro amore dove l’amante e l’oggetto amato possono scomparire, ma solo amare ciò che dura per l’eternità. (S. Aug.) Non attaccate mai il vostro cuore alle cose terrene. Un vero servo di Dio non è più attaccato ai suoi beni di quanto lo sia ai suoi vestiti, che indossa e toglie a suo piacimento; il cattivo Cristiano, invece, sta con loro come un animale con la sua pelle. – Il vero Cristiano deve assomigliare all’aquila che sta continuamente sulle vette e scende solo per cercare il suo cibo. (S. Ign. de Loy.). Egli deve assomigliare agli alberi che affondano le loro radici solo nella terra, ma i loro rami arrivano fino al cielo. Non bisogna aspirate alle cose terrene se non solo nella misura in cui vi sono necessarie. Tutte le vostre aspirazioni devono essere rivolte alle cose eterne. (S. Bem.). Noi dobbiamo cercare ciò che è in alto (Col. III, 1). Scegliete come amico Colui che non vi abbandonerà quando tutti vi abbandoneranno. (S. Th. de Const.).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)