IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (7).

IL III° COMANDAMENTO DI DIO.

Ricordiamo che Dio ha detto al suo popolo, al Sinai, di santificare il sabato. Sono sei giorni che lavorerete e userete per i vostri affari”. (Esodo.XX, 8). È quindi una comprensione incompleta di questo comandamento includere solo il riposo settimanale; esso è doppio e ordina 1° questo riposo, 2° il lavoro. (Cat. rom.).

Nel 3° COMANDAMENTO DIO CI ORDINA DI SANTIFICARE LA DOMENICA E DI LAVORARE DURANTE LA SETTIMANA.

I. LA SANTIFICAZIONE DELLA DOMENICA.

Affinché l’uomo, con le mille preoccupazioni della vita, non dimentichi il suo Creatore ed il suo fine ultimo e non ricada in una sorta di barbarie, Dio gli ha ordinato di santificare un giorno alla settimana. Noi soddisfiamo periodicamente i nostri bisogni materiali: fame, sete, sonno, quindi Dio ha voluto che avessimo dei giorni fissi per riflettere sulle verità eterne e per ritemprare le forze dell’anima (Mons. Gaume). Nei giorni festivi, l’uomo ha il tempo di riparare con la preghiera alle colpe commesse (S. Greg. M.), e per ringraziare Dio dei benefici ricevuti durante la settimana.

1. DIO HA ORDINATO DI SANTIFICARE IL 7° GIORNO PERCHÉ EGLI SI RIPOSÒ IL 7° GIORNO DELLA CREAZIONE.

“Dio -,dice Mosè nel suo racconto della creazione – benedisse il settimo giorno e lo santificò”. Lo santificò, perché in quel giorno si riposò da ogni lavoro”. (Gen. II, 2). L’uomo essendo l’immagine di Dio deve imitarlo e quindi, seguendo il suo esempio, deve riposare il 7° giorno dopo 6 giorni di lavoro. Inoltre, l’uomo ha bisogno di questo riposo settimanale: ogni giorno, dopo il suo lavoro, ha bisogno di un riposo di 6-7 ore..La Rivoluzione aveva sostituito la domenica con la decade: ma il vecchio ordine delle cose si è presto ristabilito. “Il numero sette appartiene ai fondamenti della natura e della religione (S. Th. Aq.). (ci sono 7 colori nello spettro solare, 7 toni nella musica). “Dio ha fatto le stelle perché servissero a segnare i tempi, i giorni e gli anni” (Gen. 1, 14); la luna, in particolare, ha fatto sì che tutti i popoli prestassero attenzione al riposo settimanale, perché ha nuove fasi ogni 7 giorni. Già nel 150 d.C. Teofilo di Antiochia scriveva: Tutti i popoli dell’universo conoscono il 7° giorno”. I Cristiani osservano la domenica, gli ebrei il sabato, i maomettani il venerdì, i mongoli il giovedì, i negri della Guinea il martedì, i manichei il lunedì. – La festa del 7° giorno è una figura del riposo eterno del cielo. (Eb. IV, 9). Il giorno del Signore è è un’ombra della festa futura nel Paradiso celeste; con la sua celebrazione ravviviamo il desiderio di quelle gioie eterne. (S. Greg. M.). Le nostre feste sono anche un simbolo della beatitudine celeste.

2. DIO COMANDÒ AI GIUDEI DI OSSERVARE IL SABBAT.

Il sabato era un giorno di gioia per i Giudei, già perché in quel giorno furono liberati dalla schiavitù dell’Egitto, ma Dio volle anche che questo giorno fosse santificato dal riposo e dall’astinenza dal lavoro servile. “In giorno di sabato non lavorerai” (Esodo XX, 10), da cui il nome sabato, che significa riposo. Era il più adatto per il culto divino, perché ricordava il beneficio più segnalato di Dio, (Ezech. XX, 12); inoltre era una figura del riposo del futuro Messia nel sepolcro. – I Giudei osservavano il sabato in modo molto rigoroso. La sua profanazione era severamente punita e non potevano andare in giro per le più piccole occupazioni, e neanche la manna cadeva. Un israelita che aveva solo raccolto un poco di legna venne lapidato (Num. XV, 32), e i farisei contestavano persino il diritto di fare opere di carità. (S. Matth. XII, 12). – Il sabbat ebraico cade di sabato, quello cristiano di domenica.

3. Gli APOSTOLI SOSTITUIRONO IL SABATO CON LA DOMENICA, PERCHÉ GESÙ CRISTO È RISORTO DAI MORTI DI DOMENICA.

La domenica è propriamente il giorno della Santissima Trinità.

Nel primo giorno della settimana (Act. Ap. XX, 7; I. Cor. XVI. 2), il Padre ha dato inizio alla creazione, il Figlio è risorto dai morti, lo Spirito Santo è disceso sugli Apostoli. – Gli Apostoli erano competenti per fare questa traslazione, perché la legge del Sinai non si riferiva tanto ad un giorno specifico quanto al riposo settimanale, e la legge dell’Antico Testamento era solo una figura di quella del Nuovo. – La domenica è chiamata anche giorno del Signore (Apoc. I, 10), perché è riservata in modo speciale al suo servizio. È stato S. Giustino (+139) a usare per primo, e a ragione, la parola “giorno del sole” nella sua apologia, e a ragione, perché in quel giorno il Salvatore, come il sole nascente risplendeva nella luminosità della sua risurrezione. (S. Amb.). Era il giorno in cui Dio creò la luce, quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli in fiamme di fuoco, quando ognuno doveva cercare nuova luce sul proprio destino. Costantino introdusse l’osservanza nella legislazione civile (321), seguito da Carlo Magno e da tutti i legislatori civili.

4. LA DOMENICA SIAMO OBBLIGATI AD ASTENERCI DAI LAVORI SERVILI, PARTECIPARE ALLE FUNZIONI PUBBLICHE OLTRE AD OCCUPARCI DELLA SALVEZZA DELLE NOSTRE ANIME ED A PROCURARCI UN’ONESTA RICREAZIONE.

Chiamiamo lavori servili quelli che si compiono principalmente con uno sforzo materiale e causano fatica corporea; derivano questo nome dal fatto che sono eseguiti da persone in servizio. (Th. Aq.). Se prendiamo la legge in senso stretto, anche il commercio (fiere e mercati) rientrerebbe nell’idea di lavoro servile; tuttavia, dice il cardinale Gousset, la consuetudine in alcuni Paesi può consentire una certa tolleranza, tranne che per il tempo degli uffici pubblici. Sull’esempio di Dio, dobbiamo riposare il settimo giorno, e come Cristo ha fatto la domenica in cui depose il suo sudario e le sue bende e lasciò il sepolcro, così noi dobbiamo liberarci dai legami delle cure temporali e sollevarci a Dio attraverso la preghiera. Il riposo corporeo è necessario per l’anima, perché un uomo appesantito dalla fatica non è in grado di pregare. – Il servizio pubblico obbligatorio è la Santa Messa (che di solito include la predicazione). Fin dai primi secoli, secondo S. Giustino, i fedeli erano presenti al santo Sacrificio; al Vangelo si teneva un’omelia, e l’usanza si è generalmente conservata. La Santa Messa è obbligatoria la domenica, perché non esiste un ufficio più perfetto.

La domenica otteniamo la nostra salvezza anche attraverso la ricezione dei Sacramenti, la preghiera, l’assistenza al sermone, le buone letture e le opere di misericordia. Prendiamo un onesto svago attraverso il riposo ed i piaceri consentiti.

Il riposo corporale è prescritto proprio per permetterci di lavorare con maggiore zelo per la nostra salvezza. Non sono gli abiti più belli, che fanno la domenica, ma la purezza e la bellezza dell’anima (San Leone M.). Per rispetto occorre non solo tagliarsi la barba, ma tagliare tutto ciò che è peccaminoso e vizioso. (S. Bonav.). La domenica, più degli altri giorni, la Chiesa ci facilita la ricezione dei Sacramenti. La Chiesa desidera che noi riceviamo i sacramenti; desidera che noi riceviamo la santa Comunione. (Conc. Tr. XXII, 6). La domenica, la Chiesa ci offre anche l’opportunità di pregare attraverso le sue funzioni pomeridiane ed in tutte le parrocchie c’è, la domenica, almeno un servizio di preghiera. In tutte le chiese parrocchiali di domenica c’è almeno un sermone. I nostri antenati avevano l’abitudine, la domenica, di fare delle letture pie, delle spiegazioni dei vangeli e delle vite dei Santi. Cristo guarì la maggior parte dei malati di sabato, nonostante lo scandalo e le mormorazioni dei Giudei: colui che aveva una mano inaridita (S. Matth. XII, 9-21), il nato cieco (S. Giovanni IX), l’idropico in casa del capo dei farisei (S. Luca XIV, 1); era per insegnarci che nel giorno del Signore dobbiamo praticare opere di carità.

La domenica sono leciti: 1° i lavori servili assolutamente indispensabili; 2°le occupazioni di poca importanza; 3° i lavori intellettuali; 4° una ricreazione dignitosa.

È lecito fare lavori servili necessari. Dio non vuole che questo comandamento ci sia nocivo: “Il sabato – dice Gesù – è stato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato” (S. Marco II, 27). Il lavoro è quindi permesso se necessario per il mantenimento della vita: preparare il cibo, portare il raccolto quando il pericolo di perdita è grave; tutto ciò che è di ordine ed interesse generale: alcuni servizi postali, ferroviari, telegrafici e di polizia. L’autorità ecclesiastica è competente a consentire il lavoro domenicale in alcuni casi, “perché – dice Gesù – il Figlio dell’uomo è anche Signore del sabato” (S. Luc VI, 5) e ciò che il Figlio dell’uomo può, anche la Chiesa può. – Poiché la domenica è stata istituita per il nostro bene spirituale e la nostra salvezza, è permesso, e persino obbligatorio, di domenica, compiere tutte le opere che possano procurarla, in particolare quelle che riguardano il culto divino: “I Sacerdoti – dice Cristo -trasgrediscono il sabato nel tempio, senza offendere Dio” (S. Matth. XII, 5). Siamo anche tenuti alle opere di misericordia in quel giorno, perché nulla contribuisce di più alla nostra salvezza. La nostra salvezza, infatti, dipende dalla sentenza del Giudice sovrano, il quale ci ha dato l’esempio della carità di sabato e l’ha dichiarata espressamente lecita. (S. Matth. XII, 12). Le opere servili sono proibite, ma non quelle di carità per il bene del prossimo. (S. Iren.). Sant’Odila aveva eretto un ospedale nelle vicinanze del suo convento: vi visitava gli ammalati ad ogni servizio, e li serviva tutto il giorno: molti santi facevano lo stesso. Tuttavia, la domenica possiamo compiere solo le opere di misericordia necessarie. Infatti,” dice Suarez, “se per ragioni di carità fossero permessi tutti i servizi servili, tutti gli artigiani e i braccianti potrebbero lavorare con questa intenzione, il che equivarrebbe all’abrogazione della legge”. Le opedi misericordia possono anche fare a meno della Santa Messa, perché sono esse stesse un culto di Dio (S. Jac. I, 27). “Voglio misericordia – dice il Signore- e non sacrifici” (S. Matth. IX, 13), cioè preferisco le opere di carità agli atti esterni del culto. Tuttavia, è necessario partecipare alle funzioni religiose per quanto possibile secondo il precetto di Cristo: “Fate l’uno e non tralasciate l’altro” * (S. Matth. XXI 11,23). – Sono consentiti anche i lavori domestici minori, la cui omissione causerebbe disordine: spazzare le stanze, le consuete faccende di cucina, una leggera riparazione di un indumento improvvisamente strappato, a maggior ragione il lavoro intellettuale: lettura, scrittura, musica. – Poiché la domenica è stata istituita per il nostro tempo libero, un onesto svago, come le passeggiate e il gioco moderato, non sono proibiti.

Peccati contro la santificazione della domenica.

Si pecca contro il comandamento della santificazione della domenica:

1. QUANDO SI COMPIE UN LAVORO SERVILE SENZA NECESSITÀ O RICHIESTA.

L’imperatore Valentiniano diceva: “Chi lavora di domenica è un sacrilegio, come chi mette del vino impuro in un vaso sacro”. Il Cristiano deve il riposo domenicale ai suoi subordinati, anche alle sue bestie da soma (Esodo XX, 8-10); così i servi e gli operai devono lasciare i padroni che li costringono a lavorare la domenica. – È già un peccato mortale fare un lavoro molto servile per 2 o 3 ore la domenica senza un motivo molto serio. – Il peccato può essere meno grave se il lavoro è più leggero, se ci sono motivi reali, anche se imperfettamente sufficienti, se c’è un fondato timore di essere licenziato dal proprio posto (ma il padrone commette un peccato mortale). – Il peccato è grave, quando c’è uno scandalo, anche se il lavoro è leggero o il tempo non è così lungo; è per questo scandalo che Gesù Cristo ha detto “sarebbe meglio legare una pietra al collo dello scandalosi e gettarlo negli abissi del mare”. (S. Matth. XVIII, 6). Per gli israeliti Dio aveva decretato: “Chiunque violerà il sabato sarà messo a morte; se qualcuno lavora in quel giorno, perirà in mezzo al mio popolo”. (Esodo XXXI, 14).

2. QUANDO SI MANCA ALLA SANTA MESSA SENZA MOTIVO.

Alcune festosità del sabato fanno spesso mancare all’Ufficio divino della Domenica. Che follia”, dice San Francesco di Sales, “trasformare la notte in giorno, il giorno in notte, e trascurare i propri doveri verso Dio per futili divertimenti”.

3. QUANDO CI ABBANDONIAMO A SVAGHI TROPPO RUMOROSI, TROPPO FATICOSI PER IL CORPO, PERSINO COLPEVOLI,

come la caccia con i segugi o le battute, i balli pubblici, soprattutto questi ultimi, che sono la causa di tanta immoralità, risse e sregolatezze, che portano al disgusto del lavoro e al vagabondaggio. – Le attività ricreative più profane della domenica sono peccaminose in sé, perché di tutte le opere il peccato è il più servile, perché rende schiavo del diavolo (S. Giovanni VIII, 34). Guai a noi se, in un giorno consacrato al servizio di Dio e alla salvezza della nostra anima, offendiamo Dio e feriamo mortalmente le nostre anime; se trasformiamo le feste del cielo in feste dell’inferno (Mons. Gaume). Alcuni Cristiani aspettano il giorno del Signore, per abusare della libertà del lavoro per la libertà del vizio.(Eus. Ces.). Per molti i giorni di festa sono i migliori giorni di lavoro per satana. Egli imita Apollonio, il crudele generale di Antioco, che con i suoi 22.000 uomini rimase tranquillo a Gerusalemme per tutta la settimana e fece massacrare tutti nel sabbath. Anche lui lascia riposare le anime per tutta la settimana; ma quando arriva la domenica, le spingerà ad ogni tipo di peccato, all’orgoglio ed alla vanità del vestire, alla passione per il gioco d’azzardo ed il ballo, alle visite pericolose, all’intemperanza nel mangiare e nel bere. le donne ad una toeletta insensata, gli uomini ad una gratificazione sensuale, che trasformano le istituzioni più sacre in peccato. (S. Ant.). La Domenica scaccia il demone del guadagno, dell’avidità materiale, ma sembra essere sostituito dai sette demoni dei piaceri sensibili, più malvagi di quello. Sembrano essere appesi agli stendardi delle società di canto, di tiro a segno, pompieri e ginnastica; dissolvono la vita familiare e divorano i risparmi. (Mons. Schmitz, Vescovo ausiliario di Colonia). S. Agostino si chiede se non sarebbe meglio profanare la domenica con il lavoro che con questi vizi. Offendere Dio è colpevole, ma è un doppio crimine offenderlo in un giorno a Lui consacrato. Abusare di questo giorno per le follie del mondo è una specie di sacrilegio (S. Cipr.), è saccheggiare i tesori della Chiesa. (S. G. Cris.). –

Motivi che dovrebbero indurci ad osservare il riposo domenicale.

1. La santificazione della domenica attira delle benedizioni temporali.

Dio è così buono che non ci chiede di fare lavori pesanti al suo servizio, ma solo di riposare. “La settimana ha 168 ore, Dio ve ne chiede solo una e voi volete usarla per opere profane” (S. G. Cris.). L’uomo avrà veramente successo solo a condizione di osservare la domenica. – Colombo nel suo viaggio verso l’America osservò il più possibile il riposo domenicale. Questo non ritardò il successo della sua spedizione. Coloro che osservano la domenica sono spesso protetti provvidenzialmente da grandi disgrazie. Un dipendente di una compagnia di piroscafi del Mississippi si rifiutò di scaricare il carico la domenica e fu licenziato; pochi giorni dopo la caldaia scoppiò e la maggior parte dei suoi compagni perirono. Il buon Dio aumenta la fortuna di coloro che osservano la domenica. Un operaio sosteneva che il bisogno lo costringeva a lavorare la domenica: uno dei suoi amici si offrì di fargli fare un periodo di prova di 6 mesi, promettendo di risarcirlo per le eventuali perdite. La prova è andata avanti e l’operaio ammise che durante questi 6 mesi aveva guadagnato più di prima. Non a caso nella Scrittura si dice: “Dio benedisse il settimo giorno”.(Gen. II. 3). – Alcuni produttori sostengono che il riposo domenicale paralizzi la produzione e danneggia fortemente l’industria; ma questo non è vero. L’esperienza dimostra che riducendo l’orario di lavoro si aumenta la capacità della produzione del lavoratore. L’operaio che osserva la domenica lavora di più e meglio durante la settimana. Un arco troppo sollecitato perde la sua elasticità e il lavoratore sovraccarico di lavoro perde la sua forza produttiva. Rousseau diceva: “Se volete creare un popolo attivo e industrioso, date loro delle feste. Questi giorni perduti saranno ritrovati più volte”. – In Inghilterra, il riposo domenicale è molto rigido: negozi, cabaret, teatri, ecc. sono chiusi. Anche le poste e le ferrovie non funzionano, eppure l’Inghilterra è in testa a tutti gli altri Paesi industriali. Gli ebrei osservano il loro sabato molto rigorosamente, e non si nota che si stiano impoverendo.

2. Dio punisce i profanatori della domenica con punizioni temporali, in particolare la malattia e la povertà.

Dio punisce spesso coloro che lavorano la domenica. È a causa della profanazione di questo giorno che Dio fece distruggere a Nabucodonosor la città di Gerusalemme e portò i Giudei in cattività. (Esdr. XIII, 18). La punizione abituale per i profanatori della domenica è che diventino schiavi di tutti i vizi (Louis de Gr.); chi la domenica cerca le ricchezze della terra, trova i tesori del peccato e perde quelli del cielo. (S. Amb.). – Il lavoro ininterrotto rovina la salute: quando si scala una montagna, bisogna fermarsi di tanto in tanto, altrimenti si rischia di cadere per la stanchezza. “Il riposo – dice Mons. Gaume – è una legge naturale, come il cibo”. Il lavoro di certe fabbriche provoca la morte precoce di una grandissima parte dei lavoratori. Ne muoiono più che su un campo di battaglia. Il riposo è un dovere non solo verso Dio, ma anche verso se stessi. – La profanazione della domenica è un suicidio. – Vi visiterò – dice il Signore a questi profanatori -con la povertà” (Lev. XXVI, 16). Essi lavorano senza arricchirsi perché sono privati della benedizione di Dio. Come Dio è solito punire dove si è peccato (Sap. XI, 17), colui che ha profanato la domenica per l’avarizia, ottiene il contrario di ciò che cercava: diventa più povero. Questo vizio attira su interi Paesi raccolti scarsi, grandine, inondazioni, ecc. – I cinesi sono uno dei pochi popoli che non hanno un giorno di riposo settimanale, e sono fisicamente bassi, vigliacchi, immorali, afflitti da malattie epidemiche, e le recenti guerre hanno dimostrato che questa nazione di 400 milioni di anime non ha la forza di resistere.

3. La profanazione della domenica rovina la famiglia e la società.

Prima di tutto, mina la famiglia, perché i membri della famiglia che non frequentano l’Ufficio Divino perdono gradualmente la nozione dei loro doveri e cadono nei più profondi errori: il padre diventa prodigo, la madre negligente, i figli disordinati. I legami della famiglia si allentano e la casa, invece di essere un paradiso, si trasforma in un inferno. Un padre che lavora la domenica trascura il più sacro dei suoi doveri, l’educazione dei figli; impegnato tutta la settimana, ha solo questo giorno per conoscere i suoi figli e dare loro buoni consigli. – Ma non appena la famiglia viene minata, l’intera società viene scossa.; un edificio crolla non appena le sue fondamenta vacillano. La profanazione della domenica è un’aperta ribellione contro l’autorità di Dio, ne consegue che fa perdere il rispetto per ogni autorità, paterna, civile e religiosa; essa fa perdere la nozione e la pratica della religione, ci fa dimenticare Dio come fine ultimo e riporta l’uomo alla barbarie del paganesimo. – La Chiesa, con la sua festa domenicale è la barriera che separa il vero Cristiano dal Cristiano di nome, il predestinato dai reprobi; si sarà separati nell’eternità da coloro da cui si è stati separati quaggiù; chi la domenica non si considera tra i figli di Dio, sarà escluso dalla sua famiglia nell’eternità. Il momento della nostra morte sarà quello che sono state le nostre domeniche; è nelle domeniche che raccogliamo i beni eterni. (S. Greg. Naz.).

2. IL COMANDAMENTO DEL LAVORO.

Ci sono due tipi di lavoro: quello intellettuale e quello manuale.

È un errore considerare lavoratori solo gli operai, i manovali, gli artigiani ed i servitori, escludendo da questi i funzionari pubblici, Sacerdoti, insegnanti, medici e così via. Non fanno lavori manuali, ma lavoro di testa, che spesso è più faticoso e porta ad un disagio maggiore del primo.

I pagani consideravano il lavoro una vergogna, Gesù Cristo lo ha nobilitato e santificato.

Nel paganesimo c’erano due classi di uomini: l’aristocrazia o i padroni e gli schiavi o gli artigiani che in molti Stati non godevano del diritto di cittadinanza, mentre i primi, disprezzando il lavoro, trascorrevano il loro tempo nell’ozio o si limitavano all’impiego pubblico. Il Salvatore venne e santificò il lavoro con il suo esempio e i suoi insegnamenti (la parabola della vigna, S. Matth. XX, dove mostra la necessità del lavoro per la salvezza). I Cristiani illustri non si vergognavano del lavoro: San Paolo si guadagnava da vivere come tessitore di tende (Atti XX, 31; XVIII, 3); sant’Ilario lavorava nei campi, e i monaci del Medioevo lavoravano nell’agricoltura e copiavano manoscritti. – Un mestiere ed il lavoro manuale non sono disonorevoli; al contrario, un uomo si onora con la propria attività ed il proprio sforzo personale. (Leone XIII). Ciò che degrada l’uomo è l’ozio e il vizio; non è degenere, quindi, mettersi al servizio. Servire un uomo nell’ordine provvidenziale non è servire l’uomo, ma è Dio che lo ha ordinato: Gesù stesso è venuto per servire, non per essere servito. Lo stato di servo è migliore dello stato di schiavo di una passione (S. Aug.). i servi devono vedersi attaccati al servizio di Dio. (S. Greg. Naz.).

1. DAL PECCATO ORIGINALE, DIO HA IMPOSTO ALL’UOMO ILNLAVORO COME PUNIZIONE.

Questo non significa che prima del peccato l’uomo non avrebbe lavorato; egli avrebbe lavorato e le sue occupazioni sarebbero state un piacere per lui. Dopo la caduta, Dio disse all’uomo: “Mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte” (Gen. III, 19), finché non tornerai alla terra da cui sei venuto”.

2. IL COMANDAMENTO DI LAVORARE SI APPLICA A TUTTI GLI UOMINI SECONDO LE LORO CAPACITÀ:

Chiunque – dice S. Paolo – non vuole lavorare, non deve neppure mangiare“. (II. Th. III, 10).

Questo è vero soprattutto dopo il peccato originale: tutti ne siamo affetti, tutti quindi dobbiamo portarne la pena. Per costringerci a lavorare, Dio ha reso la terra arida senza gli sforzi dell’uomo; l’ozio universale sarebbe una carestia universale. Per questo motivo San Paolo ha proposto il principio sopra citato. I ricchi sono anch’essi obbligati a lavorare; possono utilizzare il frutto del loro lavoro per le elemosine e le opere buone. Quante principesse e donne ricche hanno realizzato ornamenti sacri con le proprie mani, seguendo l’esempio di Santa Elisabetta del Portogallo (+1336). Una volta si domandava ad un uomo che aveva fatto fortuna, perché continuasse a lavorare: “Pensi – rispose – che il buon Dio mi abbia dato le mani per niente? Anche Nella sua regola, Benedetto prescriveva di alternare preghiera e lavoro. – Chi non può lavorare è ovviamente esonerato; S. Paolo è un uomo di fede. Paolo non dice: “Chi non lavora…, ma chi non vuole lavorare, non deve mangiare”. Giobbe dice: “L’uomo è nato per il lavoro, come un uccello per l’aria” (V, 7); anche gli animali, come la formica, ci esortano al lavoro. (Prov. VI, 6). E così San Paolo scriveva: “Vi chiamiamo al lavoro delle vostre mani, come vi abbiamo comandato”. (I. Tess. IV, 11).

3. UN UOMO È SOPRATTUTTO VINCOLATO ALLE OCCUPAZIONI DEL SUO STATO.

La società umana comprende necessariamente diversi stati: medici, sacerdoti, aratori, artigiani, giureconsulti, soldati, scapoli e coniugati; assomiglia ad un corpo, ogni membro del quale ha un compito particolare (I. Cor. XII, 12), come un orologio, con tutti i suoi ingranaggi, grandi e piccoli, che si intrecciano tra loro. – È Dio che chiama ogni uomo ad uno stato specifico, chiamato per questo “vocazione“, dandogli il gusto, la capacità e l’opportunità. Di conseguenza l’uomo sente un’attrazione interiore verso questo stato, che deve seguire, come gli uccelli viaggiatori il cui istinto in autunno li spinge verso paesi più caldi. Non seguire la propria vocazione e spingersi in uno stato al quale non si è chiamati, sarebbe come per un uccello migratore rimanere in paesi freddi in inverno: da una parte e dall’altra è la morte, temporale per i primi, eterna per i secondi. I genitori devono quindi stare attenti a non forzare la vocazione dei figli. – La vocazione viene da Dio stesso, compiere i doveri del proprio stato è propriamente essere al servizio di Dio; questi doveri sono quindi i più importanti; tutti gli altri devono venire dopo di loro. “Tutto ciò che non è un dovere di stato è vanità e ozio. ” (Card. Galura). Bisogna saper lasciare Dio per Dio ‘ diceva san Filippo Neri. Il dovere di stato di Cristo era quello di salvare il mondo: appena si trattava di questo, lasciò tutto il resto; così, all’età di 12 anni, lasciò i suoi genitori per rimanere nel Tempio. – La donna samaritana al pozzo di Giacobbe, si dimenticò persino di mangiare. (S. Giovanni IV, 34). Mosè si comportò allo stesso modo: quando nel suo colloquio con Dio sul Sinai, apprese che il popolo era caduto nell’idolatria (Esodo XXXII, 7). –

L’adempimento fedele dei doveri di stato porta alla perfezione; la loro negligenza porta alla rovina temporale ed eterna.

L’accuratezza nei doveri di stato è segno che si è coscienzioso in tutte le cose. La vocazione è come la ruota motrice di una macchina: dipende dalla sua marcia regolare il buon funzionamento di tutta la macchina. Questo spiega perché nel processo di canonizzazione, la prima cosa che viene chiesta è la fedeltà con cui il defunto ha esercitato i suoi doveri di stato. È un grande errore, anche da parte di persone pie, immaginare che il tempo dedicato ai doveri di stato sia perso per il servizio di Dio e per la salvezza; al contrario, è la via più rapida verso la perfezione, mentre è una tentazione molto pericolosa trascurare i doveri di stato per la preghiera e le opere di pietà. Chi non le compie è in stato di peccato mortale, e in pericolo di dannazione. Anche se pregasse tutto l’anno e digiunasse per tutta la vita, sarebbe comunque dannato (S. F. de S.). – La preghiera non salverà coloro che non vogliono lavorare. Inostri esercizi di pietà devono essere regolati secondo gli obblighi della nostra vocazione. Una pietà che vanifica questi doveri è una falsa pietà (Id.). Nessuno stato che non sia cattivo in sé, non è un ostacolo alla salvezza. (I. Cor. VII, 17).

4. DURANTE IL LAVORO DOBBIAMO SPESSO ELEVARE LA NOSTRA ANIMA A DIO; PERCIÒ PRIMA DI LAVORARE BISOGNA CHIEDERE LA SUA GRAZIA E DURANTE IL LAVORO, FARE PREGHIERE GIACULATORIE.

Nulla riesce senza la benedizione di Dio, come vediamo nella pesca miracolosa. (San Luca V). Credetemi – diceva san Vincenzo de’ Paoli – tre operai, con la grazia di Dio fanno più di altri dieci. Andare a lavorare senza aver pregato è come un soldato che va in guerra disarmato. S. Paolo ci esorta a un buon proposito prima di andare al lavoro, con le ben note parole: “… sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi cosa, fate tutto per la gloria di Dio.” (I. Cor. X, 31). Davanti a tutte le nostre azioni dobbiamo imitare il tiratore che mira molto chiaramente all’obiettivo da raggiungere; dobbiamo quindi, prima di iniziare il lavoro, fare un segno di croce o dire mentalmente: “A maggior gloria di Dio”. Si può scrivere un numero infinito di zeri, ma essi avranno valore solo se si faranno prendere almeno da una unità; lo stesso vale per le nostre azioni: di per sé sono zeri, ma se le compiamo in nome del buon Dio, Egli li precede di una unità e li rende meritorie. – Durante il lavoro, bisogna fare quello che fa quando si scrive: ad ogni momento si immerge la penna d’oca nel calamaio per continuare a scrivere; così si deve elevare la nostra anima a Dio, in modo da riacquistare sempre nuova forza per il lavoro. Seguendo l’esempio dei piloti, che guardano sempre la loro bussola, noi dobbiamo guardare a Dio di tanto in tanto (S. F. di Sales). Gli Angeli, mentre servono l’uomo, non smettono mai di vedere Dio faccia a faccia (San Bonaventura). Gli architetti, mentre erigono un edificio, non smettono mai di avere tra le mani la squadra ed il filo a piombo, così noi, che dobbiamo costruirci una casa in cielo, dobbiamo avere continuamente davanti agli occhi il filo della carità, in modo da agire solo per questo motivo. (S. F. di S.). Così San Paolo dice: “Pregate incessantemente” (I. Thess. V, 17). Dobbiamo quindi abituarci a recitare spesso, durante il lavoro, preghiere giaculatorie, ad esempio “Signore, vieni in mio aiuto!”, “per la maggior gloria di Dio”. Il nostro motto dovrebbe quindi essere: “Preghiera e lavoro” (Ora et Labora) o “Mano al lavoro, cuore a Dio”.

5. IL LAVORO PORTA BENEFICI TEMPORALI E MERITI ETERNI, PERCHÉ È UNA SORTA DI CULTO DIVINO. Il beneficio temporale consiste nella contentezza e nella felicità.

Poiché Dio ha imposto il lavoro ad Adamo come pena dopo che egli ebbe confessato la sua caduta, chi lavora compie la volontà divina, e quindi compie un’opera gradita a Dio, in un certo senso più perfetta della preghiera. San Francesco di Sales, impedito a pregare dai suoi numerosi doveri di stato, si consolava dicendo: “Quaggiù dobbiamo pregare con le opere ed i fatti. – Le radici del lavoro sono amare, ma i suoi frutti sono dolci. Prima di tutto, porta benefici temporali: l’uomo ozioso si annoia, è sempre insoddisfatto di sé, mentre l’uomo industrioso, felice e gioioso, sente la verità delle parole di Cristo: “Il mio giogo è dolce ed il mio carico è leggero” (Matteo XI, 31). Colui che è impegnato in affari seri non si curerà molto di un concerto che si svolge nel suo quartiere, e sarà altrettanto indifferente alle seduzioni che il diavolo gli suggerisce ; satana lascia in pace quelli chi lavorano. – Una volta abbiamo esortato un monaco a non affaticare troppo il suo corpo. “Se non lo tormento, è lui che mi tormenta” (Cassiano). Il lavoro porta benessere e prosperità temporale. L’ape che ha lavorato bene durante l’estate vive in inverno con le provviste del suo alveare; così l’uomo laborioso si assicura il suo futuro. Una volta un romano fu portato davanti al Senato per aver accumulato una grande fortuna grazie alla magia; si presentò con i suoi attrezzi e disse: “Ecco i miei attrezzi da mago; ahimè, non posso più presentarvi il mio sudore” – Infine, il lavoro, come ogni opera di penitenza, porta meriti eterni. “L’operaio – dice Gesù – merita il suo salario”. (S. Luca X, 7) e S. Paolo aggiunge: “Ciascuno otterrà il suo salario”. Paolo aggiunge: “Ognuno otterrà la sua ricompensa nella misura del suo lavoro. (I. Cor. III, 8). Il guadagno è la molla dell’attività dei commercianti; essi si affannano per un guadagno temporaneo e noi per una ricompensa eterna. (S. Aug.). S. Bernardo vide un giorno uno dei suoi monaci lavorare duramente: “Continua, fratello mio – gli disse – tu non hai da temere il purgatorio.” – Guardiamoci bene quando lavoriamo di non pensare solo al profitto temporale, perché rischiamo di fare un lavoro disonesto che ci priverebbe della nostra ricompensa eterna.

Peccati contro il comandamento del lavoro.

Pecchiamo contro questo comandamento

1° quando ci abbandoniamo all’ozio;

2° quando trascuriamo i nostri doveri di stato;

3° quando, lavorando, ci si dimentica di Dio.

3. LA RICREAZIONE CRISTIANA.

1. OGNINUOMO CHE LAVORA HA IL DIRITTO DI RICREARSI; PERCHÉ LA RICREAZIONE, IL PIACERE, È UN MEZZO PER RIACQUISTARE FORZE NUOVE PER IL LAVORO.

Un arco sempre teso si spezza, così come un uomo che lavora senza riposo diventerebbe incapace di lavorare. – Le attività ricreative all’aperto contribuiscono al bene dell’umanità: rafforzano i legami di carità e prevengono o riconciliano le inimicizie. – Dio vuole che ci ricreiamo, perché ha fatto della natura una fonte di molti piaceri: il colore e la fragranza dei fiori, il canto degli uccelli, la bellezza e il sapore dei frutti, i paesaggi pittoreschi, ecc. Gesù stesso partecipava alle feste, anche ad un banchetto di nozze, e nella parabola del figliol prodigo, parla di danze, musica e banchetti. (S. Luc XV, 25). I banchetti cristiani (agapi) facevano addirittura parte della liturgia primitiva.

2. MA IL NOSTRO GUSTO PER I PIACERI DEVE ESSERE MODERATO E DOBBIAMO ASTENERCI DA TUTTI I PIACERI PECCAMINOSI; DOBBIAMO POI RICIRDARCI DI DIO DURANTE LE NOSTRE RICREAZIONI.

Il gusto per i piaceri non deve essere smodato, come se fossero il fine della vita; devono essere solo un mezzo per riparare le nostre forze. Chi ha un amore eccessivo per il piacere, si corrompe, diventa scontento e si perde nei debiti. – Ogni eccesso è dannoso, e l’eccesso di piaceri è dannoso quanto l’uso smodato di un rimedio. Il sale, preso con moderazione, esalta piacevolmente il sapore dei cibi; preso in eccesso, li rovina. Dobbiamo quindi concederci una pausa solo dopo aver compiuto i nostri doveri. Il riposo è dolce solo dopo il lavoro. Il pensiero della morte è adatto a ispirare la moderazione nei piaceri: Damocle, nel mezzo del più splendido banchetto, perse l’appetito alla vista della spada che pendeva sulla sua testa per un eccessivo gusto per il piacere, pensando che potesse morire da un momento all’altro, e addirittura essere dannati. La nostra epoca soffre molto di questa passione per il piacere. Gli inviti al piacere sono ovunque, e un incontro di piacere si sussegue all’altro, anche se tutti si lamentano del cattivo stato delle cose, che forse è proprio il risultato di questa brama di piacere. Che le vostre ricreazioni – diceva San Francesco di Sales – siano brevi e rare. – Non devono essere peccaminose. Tali sono, per esempio, il gioco d’azzardo con puntate troppo alte, la roulette o altri simili giochi; le maldicenze contro chi è assente; gli scherzi maligni, i discorsi indecenti e la derisione delle cose sacre. Solo i figli ingrati possono divertirsi con ciò che offende il padre loro. – Durante la ricreazione, ricordiamoci di Dio e del nostro fine. Rallegriamoci nel Signore. (Sal. XXXI, 11). San Carlo Borromeo un giorno, giocando a biliardo, gli fu chiesto cosa avrebbe fatto se la fine del mondo lo avesse raggiunto in quel giorno: “Continuerò a giocare – disse – perché lo faccio per la gloria di Dio e pensando a Lui.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVII)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XII – “SÆCULO EXEUNTE OCTAVO”

La lettera Enciclica di S.S. Pio XII, la prima del suo luminoso pontificato, rivolta ai Vescovi del Portogallo, è un’apologia dello spirito missionario che deve animare la vita di ogni Cristiano, e soprattutto dei ministri della vera Chiesa di Cristo. Riferimenti storici e dottrinali si intrecciano in una esposizione chiara e corposa della dottrina cattolica, quella dottrina oggi misconosciuta, non solo, ma ferocemente ostacolata e combattuta dai lupi travestiti da agnelli del mondo ateo, pagano e soprattutto dai falsi profeti ed antipapi insediati apparentemente sulla Cattedra di S. Pietro e che ingannano senza vergogna sedicenti o secredenti fedeli peraltro confusi, oltre che eretici ed apostati loro malgrado. Ma la lettera conserva intatto il suo messaggio che noi del pusillus grex dobbiamo fare nostro ed attuare per quanto possibile a cominciare da una preghiera incessante per il Papa, la vera Gerarchia ed i pochi veri missionari cattolici ancora esistenti, affidandoci a S. Francesco Saverio e a tutti i Santi canonizzati che hanno versato il loro sangue per diffondere il messaggio autentico evangelico.

PIO XII

SÆCULO EXEUNTE OCTAVO

LETTERA ENCICLICA

SULL’ATTIVITÀ MISSIONARIA PORTOGHESE

L’VIII centenario della fondazione del Portogallo e il III della sua restaurazione, che la vostra gloriosa e nobile patria celebra quest’anno con grande solennità e unità di intenti, non potevano lasciare indifferenti il vigile interesse di questa Sede apostolica né, tanto meno, il nostro cuore di Padre comune dei fedeli. – Abbiamo anche un motivo speciale per partecipare alla commemorazione della vostra prima indipendenza, ed è il fatto che la Santa Sede, come è noto, collaborò perché le venisse data una costituzione giuridica. -“Gli atti con i quali i nostri predecessori del XII secolo, Innocenzo II, Lucio II e Alessandro III accettarono l’omaggio di obbedienza prestata da Alfonso Henriques, conte e in seguito re del Portogallo, e, promettendogli la loro protezione, dichiararono l’indipendenza di tutto il territorio, che a prezzo di durissime lotte era stato valorosamente recuperato dal dominio saraceno, fu il premio altamente vagheggiato con il quale la Sede di Pietro compensò il generoso popolo portoghese per le sue straordinarie benemerenze in favore della fede cattolica. Tale fede cattolica, come fu in certo qual modo la linfa vitale, che alimentò la nazione portoghese fin dalla culla, così fu, se non l’unica, certamente la principale fonte di energia, che elevò la vostra patria all’apogeo della sua gloria di nazione civile e nazione missionaria, «espandendo la fede e l’impero». Lo riferisce la storia e i fatti lo attestano. Infatti, quando i figli del re Giovanni I gli chiesero di autorizzare la prima spedizione oltremare, che portò poi alla liberazione di Ceuta, il grande e pio monarca, prima di qualsiasi altra cosa, volle sapere se l’impresa sarebbe stata utile per il servizio di Dio. Come in questo caso, anche tutte le altre imprese che seguirono ebbero come scopo principale la propagazione della fede, quella stessa fede che avrebbe animato la Crociata dell’Occidente e gli ordini equestri nell’epica lotta contro il dominio dei Mori. – Nelle caravelle che, innalzando il bianco pennone segnato con la rossa croce di Cristo, portavano gli intrepidi scopritori portoghesi sulle rive occidentali dell’Africa e delle isole adiacenti, navigavano anche i missionari, « per attirare le nazioni barbare al giogo di Cristo », come si esprimeva il grande pioniere dell’espansione coloniale e missionaria portoghese, l’infante Enrico il Navigatore. ‘ Il principe degli esploratori portoghesi, Vasco de Gama, quando levò le ancore per iniziare il suo avventuroso viaggio nelle Indie, portò con sé due padri Trinitari, uno dei quali, dopo aver predicato con zelo apostolico l’evangelo alle genti dell’India, coronò il suo faticoso apostolato con il martirio. Il suo sangue e quello di altri eroici missionari portoghesi fu in quei luoghi remoti, come sempre e dovunque è il sangue dei martiri, semente di Cristiani; il loro luminoso esempio fu per tutto il mondo cattolico, ma anzitutto per i loro generosi compatrioti, una chiamata e uno stimolo all’apostolato missionario. Successe allora – proprio quando una serie di avvenimenti funesti strappava gran parte dell’Europa dal grembo della Chiesa, che con tanta sapienza e amore materno l’aveva plasmata – che il Portogallo, insieme con la Spagna, sua nazione sorella, aprì alla mistica sposa di Cristo immense regioni sconosciute e portò al suo seno materno, in compenso di quelli miseramente perduti, innumerevoli figli dall’Africa, dall’Asia e dall’America. In quelle terre, a dimostrazione della perenne vitalità della Chiesa cattolica, per la quale il divino Fondatore intercede incessantemente e nella quale lo Spirito paraclito incessantemente opera, anche nelle ore più tragiche, sorsero e si moltiplicarono diocesi e parrocchie, seminari e conventi, ospedali e orfanotrofi. Come è stato possibile che voi, pur essendo pochi, abbiate fatto così tanto nella santa cristianità? Dove trovò il Portogallo la forza per accogliere sotto il suo dominio tanti territori dell’Africa e dell’Asia, e per estenderlo fino alle più lontane lande americane? Dove, se non in quella ardente fede del popolo portoghese, cantata dal suo maggiore poeta, e nella sapienza cristiana dei suoi governanti, che fecero del Portogallo un docile e prezioso strumento nelle mani della Provvidenza, per l’attuazione di opere tanto grandiose e benefiche? Infatti, mentre uomini esimi, coscienti della propria responsabilità, come Alfonso de Albuquerque, come Giovanni de Castro, governano con rettitudine e prudenza le diverse colonie portoghesi e prestano aiuto e protezione agli zelanti predicatori della fede – che grandi monarchi come Giovanni III si impegnano a mandare in quei paesi – il Portogallo si impone al mondo per la potenza del suo impero e per la sua gigantesca opera civilizzatrice. Quando invece la fede declina, quando lo zelo missionario si scoraggia, quando il braccio secolare, anziché proteggere, disturba, anziché incoraggiare, paralizza la vitalità missionaria, in particolare con la soppressione degli Ordini religiosi, allora, naturalmente, con la fede e la carità, si disperde e languisce tutta quella primavera di bene, che da esse era nata e si alimentava. – Uno sguardo anche a queste ombre, figlio nostro amato e venerabili fratelli, non sarà meno profittevole, anzi si presterà a utili riflessioni. Ma è sullo splendore delle vostre incomparabili glorie missionarie, che desideriamo fissare la vostra attenzione in quest’anno pluricentenario, destinato all’evocazione storica dei magnifici fasti della vostra inclita patria, perché nel vostro cuore si mantenga sempre vigoroso l’antico spirito missionario portoghese. Le attuali celebrazioni centenarie coincidono provvidenzialmente con un periodo di rinascita spirituale del popolo portoghese. Il solenne Concordato e l’Accordo missionario da poco ratificati, oltre a regolare le relazioni e a promuovere la collaborazione amichevole tra la Chiesa e lo stato, garantiscono tempi ancora migliori. L’ora attuale è dunque particolarmente propizia per dare nuovo incremento al vostro spirito missionario, con la speranza che possa emulare l’ardore degli antichi missionari portoghesi. Animato da tale spirito, chi potrà considerare con indifferenza i quasi dieci milioni di anime, che abitano nei territori portoghesi, e che nella stragrande maggioranza attendono ancora la luce dell’evangelo? Quale portoghese – degno di questo nome – non desidererà operare secondo le sue possibilità per conservare sempre vivo e far crescere ogni giorno più ciò che rappresenta una tra le sue glorie più belle, nonché uno dei maggiori interessi della sua patria?

***

Noi pertanto, nostro amato figlio e venerabili fratelli, con la mente e il cuore colmi delle gloriose tradizioni missionarie della nazione portoghese, vi teniamo presenti a favore delle molte anime che nelle vostre colonie ancora aspettano chi predichi loro la parola di Dio e condivida « le insondabili ricchezze di Cristo » (Ef 3, 8), e ripetiamo il gesto e l’esortazione del divino Redentore agli Apostoli, dicendo anche a voi: «Alzate gli occhi e guardate i campi già maturi per la mietitura » (Gv 4, 35); « La messe è grande, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe » (Lc 10, 2).

Sì, « gli operai sono pochi »! Le antiche diocesi dell’Africa portoghese soffrono grande scarsità di annunciatori della parola divina, e vaste circoscrizioni sono affidate a pochi missionari.

« Pregate dunque il Padrone della messe »; chiedete anzitutto al Signore che si degni di suscitare molte vocazioni missionarie sia in Portogallo come tra gli indigeni dei territori d’oltremare a voi soggetti; e non solo vocazioni di Sacerdoti, ma di fratelli coadiutori, di religiose e catechisti. Tutti i Sacerdoti consacrino parte delle loro preghiere a questa santa e altissima intenzione; in particolare lo facciano gli ordini contemplativi, e i fedeli, nel recitare il Rosario, tanto raccomandato dalla beata vergine Maria di Fatima, non trascurino di elevare un’invocazione alla Madre di Dio in favore delle vocazioni missionarie. – Ma non è sufficiente: è necessario organizzare giornate speciali per le vocazioni missionarie, con ore di adorazione e discorsi appropriati; ciò avvenga ogni anno, in tutte le parrocchie, nei collegi o case per l’educazione della gioventù, nei seminari. In tali giorni, tutti si accostino alla sacra mensa; in particolare i giovani si alimentino del pane dei forti, del « frumento dei prescelti » (Zc 9, 17): per molti sarà forse quello il momento benedetto e felice nel quale il Signore farà sentire la sua chiamata. Chi più del clero potrà promuovere in modo adeguato queste sante iniziative? Ci rivolgiamo quindi ai venerandi Sacerdoti portoghesi e con cuore ardente li esortiamo a iscriversi all’Unione missionaria del clero. Questa pia associazione, benedetta e arricchita di specialissime grazie dai nostri immediati predecessori, e che noi ugualmente benediciamo e raccomandiamo con insistenza, esiste già in quasi tutti i paesi cattolici e dovunque si dimostra mezzo molto efficace per formare la coscienza missionaria tra i fedeli. È nostro vivo desiderio che l’Unione missionaria del clero portoghese, anche nei suoi principi, si sviluppi rapidamente, poiché tra i suoi membri noi speriamo di trovare quei coltivatori zelanti ed esperti, che con amorosa sollecitudine sappiano scegliere ed educare le tenere pianticelle che nostro Signor Gesù Cristo fa spuntare nella sua vigna, per trapiantarle un giorno nel campo delle missioni. – Anzitutto il Signore attende dai suoi ministri un lavoro ancora più fondamentale: che preparino e coltivino il terreno affinché in esso possano germinare le vocazioni missionarie. Ne deriva che tocca in primo luogo ai Sacerdoti diffondere tra i fedeli la conoscenza del problema missionario e suscitare nel loro cuore lo zelo apostolico; perciò – come dichiarava un giorno il nostro predecessore Pio XI di v.m. – non dovrebbe esister un solo Sacerdote che non sia infiammato dall’amore per le missioni. – Perciò ripetiamo a voi, amato figlio e venerabili fratelli, le autorevoli parole dello stesso nostro grande predecessore nella sua lettera enciclica Rerum Ecclesiae: « Cercate di fondare tra voi l’Unione.missionaria del clero; o, se è già stata fondata, promuovetela con la vostra autorità, con consigli, esortazioni e un’attività sempre più vivace ». – Dovere primario dell’Unione missionaria del clero in Portogallo sarà di promuovere e diffondere con ogni mezzo la stampa missionaria. Se non esiste una stampa che faccia conoscere i gravi problemi e le urgentissime necessità delle missioni, né il clero, né, a maggior ragione, il popolo, se ne faranno carico.

Con tutto il cuore benediciamo quindi il bollettino dell’Unione missionaria del clero in Portogallo Il clero e le missioni affinché si rafforzi, e riaccenda in tutti i Sacerdoti portoghesi la chiamata allo zelo missionario e ricordi loro i doveri relativi alla propagazione della fede. – Benediciamo pure le altre riviste missionarie delle famiglie religiose, che tanto contribuiscono alla formazione missionaria dei fedeli e facciamo voti perché producano frutti sempre più abbondanti. Riserviamo quindi una benedizione speciale ai Sacerdoti che generosamente si incaricheranno di una zelante propaganda dell’Unione missionaria del clero, perché Dio renda feconda la loro attività. Certamente un autentico zelo per le anime ispirerà loro mille efficaci iniziative per portare a compimento il loro santo proposito.

L – Desideriamo inoltre che nei seminari l’educazione dei candidati al sacerdozio venga orientata in modo tale da far acquisire una solida e profonda coscienza missionaria, tanto utile per irrobustire la formazione sacerdotale, con vantaggio per il futuro esercizio del loro ministero, in qualsiasi posto la Provvidenza li destini. E se qualcuno di voi, per benignissima volontà dell’Altissimo, si sentisse chiamato verso le missioni, « né la mancanza di clero, né alcun’altra necessità della diocesi deve dissuaderlo dal dare il proprio consenso; poiché i vostri concittadini, avendo, per così dire, a portata di mano, i mezzi della salvezza, sono molto meno lontani da essa che gli infedeli… In tal caso poi, sopportate volentieri, per amore di Cristo e delle anime, la perdita di qualche membro del vostro clero, se perdita si può chiamare e non invece guadagno; giacché, se vi priverete di qualche collaboratore e compagno di fatica, il divino Fondatore della Chiesa certamente lo supplirà, o espandendo grazie più abbondanti sulla diocesi, o suscitando nuove vocazioni per il sacro ministero». – Ma il nostro maggiore e più ardente desiderio è che, a imitazione dell’arcidiocesi di Goa, dove abbondano le vocazioni sacerdotali e religiose tra i nativi del posto, anche le altre circoscrizioni ecclesiastiche dei domini portoghesi, sviluppando generosamente l’opera già intrapresa, possiedano tra non molto un esemplare clero indigeno, e numerose suore, figlie dello stesso popolo, nel cui seno eserciteranno il loro apostolato. Va a gloria del Portogallo l’aver sempre associato i popoli d’oltremare alla sua buona sorte, cercando di elevarli al suo stesso livello di civilizzazione cristiana. Noi contiamo su questa lodevole tradizione per la realizzazione di uno dei sogni più vagheggiati dalla Chiesa negli ultimi tempi: la formazione del clero indigeno. Da parte vostra, nostro amato figlio e venerabili fratelli, voi farete tutto il possibile perché queste speranze non siano vane, ma diventino tra breve tempo una consolante realtà.

* * *

Non basta tuttavia reclutare numerose vocazioni; è soprattutto necessario educare santi e capaci missionari. Avete in mezzo a voi, e senza dubbio lo apprezzate degnamente, un monumento insigne della sollecitudine che merita presso questa Sede apostolica l’educazione delle vocazioni missionarie, ed è l’Associazione portoghese delle missioni cattoliche d’oltremare, fondata dalla sapiente intuizione ed energia del nostro predecessore, Pio XI di v.m., la quale è anche per Noi oggetto di speciali cure e speranze. Altrettanta fiducia la Santa Sede ripone negli Ordini e nelle Congregazioni religiose, maschili e femminili, che in ogni tempo sono stati e sono i luoghi dove viene formata la maggior parte dei missionari. Dagli uni e dalle altre ci aspettiamo molto e molto si aspettano le missioni. Conoscendo bene le necessità spirituali dei possedimenti portoghesi, è nostro vivissimo desiderio che a lato degli Ordini e Congregazioni religiose, che già si dedicano alle missioni, se ne schierino altre ancora, e che gli Ordinari concedano loro appoggio e favore, per un fine così urgente e santo, così che anche in questi istituti si moltiplichino gli operai dell’Evangelo, destinati alle missioni delle vostre vaste colonie. Ai direttori dei collegi della succitata Associazione missionaria, come pure ai superiori delle altre corporazioni religiose, vogliamo aprire il nostro cuore, perché vedano chiaramente le nostre preoccupazioni apostoliche e quanto desideriamo che le vocazioni missionarie siano debitamente coltivate e solidamente formate. Si ricordino che nessuno deve incamminarsi per i difficili ed eroici sentieri delle missioni, se non è chiamato per privilegio singolare del Signore; allo stesso modo non si deve permettere a nessuno che prosegua su questo cammino, se non corrisponde degnamente alla chiamata divina. – Il missionario dev’essere un uomo di Dio, non solo per vocazione, ma anche per la donazione completa e perpetua di se stesso. « In effetti – insegna l’ammirevole epistola apostolica Maximum illud di Benedetto XV di v.m. – è necessario che sia uomo di Dio, che predica Dio, che odia il peccato e che insegna ad odiarlo. Specialmente tra gli infedeli, che agiscono più sotto la spinta del sentimento che della ragione, la fede fa maggiori progressi se viene predicata con l’esempio più che con la parola ». ‘ Si tratta, nostro amato figlio e venerabili fratelli, di una santità profondamente radicata nell’anima, non di una superficiale bontà, che sparirebbe al primo contatto con la corruzione del paganesimo. Uomini che, secondo la frase di san Paolo, « hanno la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la forza interiore » (2Tm 3,5) di certo non saranno sale della terra, che curi la corruzione dei costumi pagani, e nemmeno luce del mondo, che mostri il cammino della salvezza a quanti giacciono nell’ombra di morte. E piaccia a Dio che non arrivino loro stessi a corrompersi miserabilmente e, peggio ancora, a trasformarsi in maestri di corruzione! Inoltre, è necessario che il futuro missionario riceva un’educazione completa, sia scientifica che pastorale, affinché possa davvero essere un « sapiente architetto » (1 Cor 3, 10) del regno di Dio. Non gli basterà una vasta e profonda scienza teologica; dovrà anche conoscere le scienze profane relative all’esercizio dei suoi compiti; altrimenti, se gli mancheranno queste conoscenze sacre e profane, il missionario, guidato unicamente dal suo zelo, rischierà di costruire sulla sabbia. Pertanto, a somiglianza del divino Maestro, che « passò facendo del bene e sanando tutti » (At 10, 38), e obbedendo al mandato di Lui, che disse: « curate gli infermi » (Lc 10, 9) e « insegnate a tutte le genti » (Mt 28, 19), il missionario aprirà la bocca per parlare con sapienza e dottrina del regno di Dio, e stenderà le mani, convenientemente preparate e mosse da carità cristiana, per alleviare i corpi dalle malattie e dalle miserie che li affliggono; con i corpi sanerà unitamente le anime. Egli saprà pure elevare l’intelligenza di tanti poveri schiavi di superstizioni degradanti e immersi « nell’ombra della morte »; con l’istruzione aprirà in quelle intelligenze ottenebrate il varco alla luce dell’evangelo. – Infatti, a lato della casa di Dio, la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha innalzato in ogni parte, ma soprattutto nelle terre di missione, orfanotrofi, ospedali e scuole. Ora chi sarà il « sapiente architetto » di queste sante opere, se non il missionario che annuncia la verità cristiana? E come potrà esserlo senza la necessaria preparazione per avere quelle doti e virtù? Identiche raccomandazioni facciamo a quanti si dedicano alla formazione di quell’esercito silenzioso, ma laboriosamente benefico, aiuto quasi indispensabile delle missioni, che sono le suore missionarie. Sappiamo che in Portogallo, per la misericordia di Dio, si stanno moltiplicando le Congregazioni religiose femminili. In esse si curino con diligenza il reclutamento e l’educazione delle vocazioni missionarie, in modo che le suore, pronte a partire verso terre di infedeli, siano ogni volta più numerose e meglio preparate a esercitare con successo i compiti di maestre, infermiere, catechiste, in una parola, tutte le incombenze particolari che si riferiscono all’apostolato missionario. – Tutti coloro cui compete questo dovere considerino bene che le suore missionarie potranno cogliere frutti tanto maggiori, quanto più adeguata e completa sarà la loro formazione, non solo religiosa, ma anche intellettuale. E piaccia a Dio che tra breve tempo vediamo collaborare con le suore missionarie molte zelanti suore indigene! – Non dimentichiamo certo voi, dilettissimi figli, che già avete obbedito all’invito del divino Maestro: « Prendi il largo! » (Lc 5, 4) A voi, che già vi trovate in alto mare, che lottate e vi affaticate per estendere il regno di Dio, va più sollecito il nostro pensiero e si dirigono più cordiali il nostro saluto ed esortazione. Infondendovi nuovo coraggio, preghiamo e scongiuriamo tutti e ciascuno in particolare, con le parole dell’Apostolo delle genti: « Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi » (2 Tm 2, 15). « Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza » (1 Tm 4, 12). Con lo stesso san Paolo, all’esortazione uniamo il suggerimento dei mezzi necessari per metterla in pratica, riassumendoli tutti nel seguente consiglio: « Tendi… alla pietà » (1 Tm 6, 11). Se la grazia di Dio dimorerà nel vostro cuore, non potrà mancare di diffondersi intorno a voi e sulle vostre opere, poiché questa è la legge del regno di Dio. Infatti « il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti » (Mt 13, 33). – La storia delle vostre missioni conferma eloquentemente la verità di questa legge divina. Mentre le cosiddette missioni laiche, che dovevano sostituire le missioni cattoliche, rimasero sempre infruttifere, quali immensi beni, non solo spirituali, ma pure – per logica conseguenza – temporali, a vantaggio e prestigio del Portogallo, operarono degli uomini apostolici come Francesco Saverio e Giovanni de Brito! Imitateli dunque degnamente! – Come sapete, il 15 marzo di quest’anno si è compiuto il quarto centenario della divina vocazione di Saverio verso le missioni dell’India portoghese. Questa vocazione divina gli fu manifestata dalla lettera che Giovanni III, re del Portogallo, scrisse al suo ambasciatore a Roma, incaricandolo di cercare saggi e virtuosi missionari per le Indie. Quanto bene Saverio ricompensò il Portogallo per il grande aiuto offerto alla vocazione divina del santo protettore delle missioni! Certamente non avrebbe potuto fare di più a servizio del Portogallo, se fosse stato portoghese di nascita. Tale è l’efficacia benefica della santità. In essa si trova il segreto del felice risultato della vostra missione. Il vostro programma missionario fra gli infedeli sia lo stesso del divino Maestro: « Santifico me stesso perché essi siano santificati » (Gv 17, 19) che fu anche il programma di san Francesco Saverio, del beato Giovanni de Brito e di tutta la gloriosa schiera di Santi missionari portoghesi, che tanto onore hanno recato alla Religione e alla nazione portoghese. – Ed ora, prima di concludere, una parola per il generoso e a Noi caro popolo portoghese. Cristo Signore confidò a coloro che già godono degli incomparabili benefici della redenzione, l’incarico di condividerli con i fratelli, che ancora ne sono privi. Nelle vostre magnifiche colonie avete milioni di fratelli, la cui evangelizzazione vi è in modo particolare affidata. Per questo noi vi convochiamo tutti a una santa crociata in favore delle vostre missioni. Come i vostri gloriosi predecessori, dei quali quest’anno celebrate la memoria, si stringevano intorno a capitani e cavalieri, che agitavano la bandiera crociata o, quando non potevano seguirli, li accompagnavano con le preghiere, con la solidarietà o con l’aiuto finanziario, così anche voi impegnatevi con l’offerta dei vostri figli, le vostre orazioni e il vostro obolo generoso per le missioni. – In questa nobile crociata un compito privilegiato spetta a quanti militano nell’Azione cattolica. Dio benedirà la vostra santa crociata e la vostra nobilissima nazione. Da Fatima, nostra Signora del Rosario, la grande Madre di Dio che vinse a Lepanto, vi assisterà con il suo potente patrocinio. San Francesco Saverio, il Santo protettore delle missioni cattoliche, portoghese di adozione, il beato Giovanni de Brito e tutta la nobile falange di Santi missionari portoghesi sarà con voi. – Intanto la benedizione apostolica che con tutta l’effusione del nostro cuore impartiamo a voi, nostro amato figlio e venerabili fratelli, e a tutti e ciascuno dei vostri fedeli, sia per voi pegno di grazie celesti e testimonianza della nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, 13 giugno 1940, festa di sant’Antonio, anno II del nostro pontificato.

PIO PP. XII