DOMENICA DI CRISTO-RE 2023

DOMENICA DI CRISTO-RE (2023)

DÒMINE Iesu Christe, te confiteor Regem universàlem. Omnia, quæ facta sunt, prò te sunt creata. Omnia iura tua exérce in me. Rénovo vota Baptismi abrenùntians sàtanæ eiùsque pompis et opéribus et promitto me victùrum ut bonum christiànum. Ac, potissimum me óbligo operàri quantum in me est, ut triùmphent Dei iura tuæque Ecclèsiæ. Divinum Cor Iesu, óffero tibi actiones meas ténues ad obtinéndum, ut corda omnia agnóscant tuam sacram Regalitàtem et ita tuæ pacis regnum stabiliàtur in toto terràrum orbe. Amen.

DOMENICA In festo Domino nostro Jesu Christi Regis ~ I. classis

L’ULTIMA DOMENICA D’OTTOBRE

Festa del Cristo Re.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di prima classe. – Paramenti bianchi.

La festa del Cristo Re, per quanto d’istituzione recente, perché stabilita da Pio XI nel dicembre 1925, ha le sue più profonde radici nella Scrittura, nel dogma e nella liturgia. Merita, a questo riguardo d’esser riportato qui integralmente in versione italiana dall’ebraico, il famoso salmo messianico, che nel Salterio reca il n. 2. Il salmista comincia dal descrivere la congiura di popoli e governanti contro il Messia, cioè il Cristo:

A che prò si agitano le genti

e le nazioni brontolano vanamente?

Si sollevano i re della terra

e i principi congiurano insieme

contro Dio ed il suo Messia:

« Spezziamo i loro legami

e scotiamo da noi le loro catene ».

Popoli e governanti considerano come legami e catene intollerabili i precetti divini e cercano di ribellarvisi: tentativo ridicolo, conati di impotenti contro l’Onnipotente:

Chi siede nei cieli ne ride,

il Signore se ne fa beffe.

Poi loro parla con ira

e col suo sdegno ti sgomenta.

Dio stesso dichiara che il Re da Lui costituito su tutto il mondo è il Messia:

« Ho consacrato io il mio Re,

(l’ho consacrato) sul Sion, il sacro mio monte »..

Alla sua volta il Cristo Re dichiara:

« Promulgherò il divino decreto.

Dio m’ha detto: Tu sei il mio Figlio;

Io quest’oggi t’ho generato.

Chiedi a me e ti darò in possesso le genti

e in tuo dominio i confini della terra.

Li governerai con scettro di ferro,

quali vasi di creta li frantumerai ».

Il Salmista conchiude, rivolgendo un caldo appello al governanti:

Or dunque, o re, fate senno:

ravvedetevi, o governanti della terra!

Soggettatevi a Dio con timore

e baciategli i piedi con tremore;

affinché non si adiri e voi siate perduti,

per poco che divampi l’ira sua.

Felici quelli che ricorrono a Lui!

(Trad. Vaccari)

Un altro salmo (CIX), il più celebre di tutto il salterio, insiste sugli stessi concetti: regalità del Cristo, il quale, nello stesso tempo che re dei secoli, è anche sacerdote in eterno; ribellione di re e popoli contro il Cristo; trionfo finale, schiacciante ed assoluto del Cristo sui propri nemici:

Responso del Signore (Dio) al mio Signore (il Cristo):

« Siedi alla mia destra,

finché io faccia dei tuoi nemici

lo sgabello dei tuoi piedi ».

Da Sionne stenderà il Signore

lo scettro di tua potenza;

impera sui tuoi nemici…

Il Signore ha giurato e non se ne pentirà;

« Tu sei sacerdote in eterno

alla guisa di Melchisedecco…».

(Ps. CIX).

Attraverso queste espressioni metaforiche ed orientali infravediamo delle grandi verità religiose e storiche: la dignità assolutamente regale e sacerdotale del Cristo; i suoi diritti, per generazione divina e per la redenzione del genere umano (vedi Merc. Santo, lez. di Isaia, c. LIII 1-12); la signoria di tutto il mondo (vedi Fil. II, 5-11); la feroce guerra mossa al Cristo dagli avversari in tutto ciò che sa di religioso e particolarmente di cristiano; la vittoria del Cristo Re. Venti secoli di storia cristiana dicono eloquentemente quanto siasi già avverata la Scrittura. Da Erode, cosi detto il Grande, che s’adombra del Cristo bambino, a Caifa, che paventa per la sua nazione, e Pilato, che teme per la sua sedia curule, ai Giudei, uccisori del Cristo e persecutori degli Apostoli, agli imperatori romani, che ad intervalli perseguitano la Chiesa per oltre due secoli, fino alle moderne rivoluzioni,, che tutte si accaniscono anzitutto e soprattutto contro la Chiesa, è una lunga incessante storia di ribellioni di popoli e principi contro Dio ed il Cristo Re. Se guardiamo semplicemente al nostro secolo, alla persecuzione sanguinosa dei Boxer contro i Cattolici cinesi, alle persecuzioni del Messico, a quelle di quasi tutta l’Europa, dalla Russia alla Spagna, che guerra al Cristo Re! È fatale; ma altrettanto fatale la vittoria del Cristo. Ai suoi discepoli il Cristo Re dice: Confidate: io ho vinto il mondo (Giov., XVI, 33). Ai suoi nemici: Chiunque cadrà su questa pietra sarà spezzato; e colui sul quale la pietra cadrà sarà stritolato, Luc. XX,18). Per impartirci tale dottrina « un’annua solennità è più efficace di tutti i documenti ecclesiastici, anche i più gravi » (Pio XI, enciclica 11 dic. 1925). La festa di oggi è una grande lezione per tutti: lezione specialmente di illimitata fiducia pei veri fedeli: Felici quelli che ricorrono a Lui (al Cristo Re). Lezione anche di devoto, generoso servizio sotto il vessillo del Cristo Re. La Messa odierna ricorda soprattutto la gloria tributata al Cristo Re dai beati del Cielo (Introito); il regno del Figlio Unigenito, ed il suo primato assoluto in tutto e su tutto (Epistola); quel regno celeste che Gesù ha rivendicato davanti a Pilato, il quale non credeva che al proprio grado e stipendio (Vangelo). il Prefazio canta le caratteristiche sublimi del regno del Cristo.  – Gesù-Cristo è il Verbo creatore, è l’Uomo-Dio seduto alla destra del Padre, è il nostro Salvatore. Sono questi i tre titoli di regalità.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum.

[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza, forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Ps LXXI: 1
Deus, iudícium tuum Regi da: et iustítiam tuam Fílio Regis.

[Dio, da al Re il tuo giudizio, ed al Figlio del Re la tua giustizia] –

Dignus est Agnus, qui occísus est, accípere virtútem, et divinitátem, et sapiéntiam, et fortitúdinem, et honórem. Ipsi glória et impérium in sǽcula sæculórum…

[L’Agnello che fu sacrificato è degno di ricevere potenza, ricchezza, sapienza. Forza, onore, gloria e lode; a Lui sia per sempre data gloria e impero, per …]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui in dilécto Fílio tuo, universórum Rege, ómnia instauráre voluísti: concéde propítius; ut cunctæ famíliæ géntium, peccáti vúlnere disgregátæ, eius suavissímo subdántur império: Qui tecum …

[Dio onnipotente ed eterno, che ponesti al vertice di tutte le cose il tuo diletto Figlio, Re dell’universo, concedi propizio che la grande famiglia delle nazioni, disgregata per la ferita del peccato, si sottometta al tuo soavissimo impero: Egli che …].

Commemoratio Dominica XXII Post Pentecosten

Deus, refúgium nostrum et virtus: adésto piis Ecclésiæ tuæ précibus, auctor ipse pietátis, et præsta; ut, quod fidéliter pétimus, efficáciter consequámur.

[Dio, nostro rifugio e nostra forza, ascolta favorevolmente le umili preghiere della tua Chiesa, Tu che sei l’autore stesso di ogni pietà, e fa che quanto con fede domandiamo, lo conseguiamo nella realtà]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses.
Col 1: 12-20
Fratres: Grátias ágimus Deo Patri, qui dignos nos fecit in partem sortis sanctórum in lúmine: qui erípuit nos de potestáte tenebrárum, et tránstulit in regnum Fílii dilectiónis suæ, in quo habémus redemptiónem per sánguinem ejus, remissiónem peccatórum: qui est imágo Dei invisíbilis, primogénitus omnis creatúra: quóniam in ipso cóndita sunt univérsa in cœlis et in terra, visibília et invisibília, sive Throni, sive Dominatiónes, sive Principátus, sive Potestátes: ómnia per ipsum, et in ipso creáta sunt: et ipse est ante omnes, et ómnia in ipso constant. Et ipse est caput córporis Ecclésiæ, qui est princípium, primogénitus ex mórtuis: ut sit in ómnibus ipse primátum tenens; quia in ipso complácuit omnem plenitúdinem inhabitáre; et per eum reconciliáre ómnia in ipsum, pacíficans per sánguinem crucis ejus, sive quæ in terris, sive quæ in cœlis sunt, in Christo Jesu Dómino nostro.

[Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui infatti che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potestà. Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in Lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio di fare abitare in Lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di Lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.]

Graduale

Ps LXXI: 8; LXXVIII: 11
Dominábitur a mari usque ad mare, et a flúmine usque ad términos orbis terrárum.
[Egli dominerà da un mare all’altro, dal fiume fino all’estremità della terra]

V. Et adorábunt eum omnes reges terræ: omnes gentes sérvient ei.

[Tutti i re Gli si prostreranno dinanzi, tutte le genti Lo serviranno].

Alleluja

Allelúja, allelúja.
Dan VII: 14.
Potéstas ejus, potéstas ætérna, quæ non auferétur: et regnum ejus, quod non corrumpétur. Allelúja.

[La potestà di Lui è potestà eterna che non Gli sarà tolta e il suo regno è incorruttibile]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. – Joann XVIII: 33-37

In illo témpore: Dixit Pilátus ad Jesum: Tu es Rex Judæórum? Respóndit Jesus: A temetípso hoc dicis, an álii dixérunt tibi de me? Respóndit Pilátus: Numquid ego Judǽus sum? Gens tua et pontífices tradidérunt te mihi: quid fecísti? Respóndit Jesus: Regnum meum non est de hoc mundo. Si ex hoc mundo esset regnum meum, minístri mei útique decertárent, ut non tráderer Judǽis: nunc autem regnum meum non est hinc. Dixit ítaque ei Pilátus: Ergo Rex es tu? Respóndit Jesus: Tu dicis, quia Rex sum ego. Ego in hoc natus sum et ad hoc veni in mundum, ut testimónium perhíbeam veritáti: omnis, qui est ex veritáte, audit vocem meam.

[In quel tempo, disse Pilato a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”. Gesù rispose: “Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?”. Pilato rispose: “Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?”. Rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù”.  Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesù: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”].

OMELIA

 [Mos. Giacomo Sinibaldi: Il Regno del SS. Cuore di Gesù. – Soc. Edit. Vita e Pensiero, Milano – 1924]

Deus caritas est:

Dio è amore (I Joan., IV, 8).

DIO È AMORE! — Quanta luce e quanta soavità di Paradiso ha condensato in così poche e semplici parole il glorioso Apostolo S. Giovanni! Dio, in sé stesso, è tutto l’essere: è verità, è sapienza, è giustizia, è onnipotenza, è ogni perfezione. Ma, riguardo a noi, è specialmente amore, perché, amando, Egli ci trae dal nulla e ci comunica i suoi beni. E, quanto più tenero e più intenso è l’amore, onde previene le sue creature, tanto più rari e preziosi sono i doni, che ad esse dispensa. Se l’uomo, nella scala degli esseri visibili, occupa il grado più elevato, e perciò è chiamato il re della creazione, tale preminenza Egli deve esclusivamente all’amore specialissimo, che Dio gli ha portato. Di fatti, la Santa Scrittura c’insegna che Dio, mentre gli esseri visibili avea chiamato dalla materia, non volle trarre lo spirito umano che dal suo seno, come un alito, un sospiro affettuoso (Gen. II, 7). – Creato dall’amore e nell’amore, il nostro spirito deve portare necessariamente in se stesso il raggio e il calore del suo divino Principio. L’uomo pure ama, e, amando, tende al bene, se non sempre a scopo di comunicarlo, sempre però nell’intento di raggiungerlo. Analizzando i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere., ci convinceremo agevolmente che tutti questi prodotti della nostra attività, quantunque molteplici, diversi e perfino contrari, hanno però tutti una stessa radice, dalla quale germogliano, uno stesso centro, dal quale partono e al quale convergono. Questa radice, questo centro è l’amore. L’amore è la nostra vita. Dal bene, al quale tende e si stringe, prende l’amore la sua natura specifica; perciò, secondo che il bene amato è un bene vero, o soltanto apparente, il nostro amore è bello o deforme, santo o vizioso, retto o disordinato. — L’amore di Dio è sempre e necessariamente bello, santo, retto. Egli non ama e non può amare che la sua Bontà infinita e in Essa, e per Essa, ogni altra cosa; e la Bontà di Dio è santa e principio di ogni santità. L’amore nostro, al contrario, può essere e molte volte è deforme, vizioso, disordinato; perché, potendo abusare della libertà, tende ad oggetto, che di bene ha soltanto le apparenze che, nella realtà, è male. Naturalmente defettibile nella sua tendenza, deve l’amore dell’uomo sottostare ad una regola, che di necessità sia retta, infallibile. Questa regola non può essere altra che l’amore stesso di Dio. Come Dio ama sé e in sé e per sé tutte le altre cose, così l’uomo deve amare Dio e in Lui e per Lui ogni altro oggetto. È la legge che Dio impose al cuore umano, quando in esso destò il primo palpito, la prima tendenza al bene. – Era defettibile l’amore umano, e disordinò. Istigato da fallaci promesse, credé l’uomo trovar la felicità fuori di Dio, anzi contro Dio, e commise il peccato. Fu grande la sua colpa, perché significava mancanza di fiducia nell’amore di Dio, e sembrava irreparabile la sua rovina, perché sulla terra, l’oltraggio fatto all’amore rende quasi impossibile la speranza del perdono. Ma l’amore di Dio non dipende, come il povero amor nostro, dai meriti o dai demeriti delle persone, che ne sono l’oggetto. Amando la sua Bontà infinita, Iddio incontra nella stessa Bontà il motivo di amarci e ci trae gratuitamente dal precipizio del peccato, come gratuitamente ci aveva tratto dall’abisso del nulla. Le manifestazioni di Dio nella redenzione del genere umano sono tanto generose e, diremo, tanto eccessive, che il nostro cuore, commosso e vinto, sa appena ripetere: Dio solo può amare così! Dio ha un Figlio, generato da tutta la eternità fra gli splendori della gloria, immagine sostanziale e perfettissima della sua Essenza divina, e perciò oggetto di una compiacenza infinita. A questo Figlio, così grande e così amato, Dio comanda che scenda dal Paradiso, si rivesta della somiglianza dei peccatori, e, dopo una vita piena di privazioni e di sofferenze, agonizzi e muoia su di un patibolo d’infamia, e il suo sangue innocente plachi la giustizia divina, irritata dai peccati del mondo. E non sarà eccessivo questo amore di Dio, che, a fine di perdonare ai peccatori ingrati, non perdona al proprio Figlio innocente?… Compresa da alta meraviglia, la S. Chiesa esclama: « O inestimabile dilezione della carità! Per salvare lo schiavo colpevole, dannasti a morte il proprio Figlio innocentissimo! » Talché la morte di Gesù fu la vita della umanità. Infrante le catene, che ci tenevano avvinti al peccato ed alla pena, fummo pietosamente ridonati all’antica dignità di figli di Dio e riacquistammo il diritto alla eredità del Paradiso. Tuttavia l’Eterno Padre, se inviò al mondo il suo Unigenito come Vittima, lo inviò pure come Re; e appunto Re, perché Vittima. Sebbene assoluto e universale, il Regno del Figlio di Dio doveva essere tutto di pace e di dolcezza, concentrando e sintetizzando tutte le sue leggi nella grande legge dell’amore. Non si potrebbe immaginare un regno più amabile né più conforme ai sentimenti del cuore umano. Questo cuore deve necessariamente portare il giogo dell’amore, deve essere lo schiavo, anzi la vittima dell’amore. E vi potrà essere, un amore più puro, più soave, più generoso dell’amore di Gesù? Re di diritto, Gesù è Re anche di fatto? A certo, e lo constatiamo con gioia: Gesù regna sopra innumerevoli anime colla dolce potenza del suo amore. Sì, Gesù è amato; amato, non ostante la incostanza del nostro cuore e la ripugnanza delle nostre passioni; amato oggi, venti secoli dopo la sua morte; amato teneramente, generosamente, come lo amavano gli Apostoli, i Martiri, che gli dettero il supremo attestato dell’amore — l’attestato del sangue. — Il nome dei grandi conquistatori della terra, se si vuole trasmettere ai secoli futuri, deve essere scritto nelle pagine di una storia, o scolpito nella superficie di una pietra: monumenti inerti e freddi, che attestano, più che la grandezza dell’eroe, la grandezza di tutte le vanità del mondo. Solo Gesù è superiore a queste leggi, che regolano ogni cosa mortale. Il suo Nome benedetto sta scolpito in tanti monumenti vivi, quanti sono i cuori che lo amano, e la sua dolce e santa Immagine sta impressa nelle anime nostre, d’onde irraggia a tutte le potenze una luce così celeste, una forza così eroica, una consolazione così pura ed intima, che il nostro cuore, sotto il peso della sua felicità, è costretto ad esclamare con S. Paolo: « Io vivo, ma non sono io che vivo, è Gesù che vive in me » (Gal. II, 20). In questo modo, sulle sconfitte del nostro amor proprio, sulle rovine del nostro egoismo, Gesù innalza il trono del suo bello e santo amore. Eppure questo Gesù, tanto amabile e tanto amante, non è la delizia, non è l’amore di tutti i cuori umani. La maggior parte degli uomini non conosce Gesù, e perciò non lo ama, e mena vita povera e priva di ogni luce e gioia celeste, nella soddisfazione dell’amor proprio e delle passioni sregolate. – Molti conoscono Gesù, ma non lo amano, e giungono perfino a portargli odio! La ragione di quest’odio è la sua stessa bontà. Teneramente sollecito della nostra salvezza, Gesù ci comanda la repressione delle nostre tendenze disordinate, le quali ne spingono al peccato, alla morte eterna. Se molti danno ascolto alle sue voci e sono docili ai suoi voleri, molti altri invece preferiscono ai consigli pietosi di Gesù gli stolti suggerimenti dell’amor proprio, e il giogo tirannico delle passioni attestato al soavissimo peso del Signore, ripetendo, almeno colle opere, la blasfema protesta: « Non vogliamo che Gesù regni sopra di noi — Nolumus hunc regnare super nos » (Luc. XIX, 14). E non solo rigettano da sé stessi la sovranità del Redentore, ma animati da spirito satanico, gli muovono guerra spietata, e tentano ogni mezzo per cacciarlo anche dal cuore degli altri individui, e dal seno delle famiglie e delle nazioni. — specialmente delle nazioni, — pretendendo di elevare sopra le rovine del trono di Gesù — l’unico amico nostro — il trono di satana, implacabile avversario del genere umano. E si è eseguito questo piano tenebroso, cacciando Gesù dalle sale dei Comuni, dove provvedeva al bene delle città — dalle aule dei tribunali, dove ispirava la osservanza della giustizia, — dalle scuole, dove illuminava tante menti, — dagli ospedali, dove leniva tanti dolori, — e perfino dai cimiteri, dove alle ossa dei morti, dormienti in pace all’ombra della Croce, pareva ripetesse le consolanti parole: « Io sono la risurrezione e la vita! » (Giov. XI, 25). Tuttavia, è necessario che Gesù regni: oportet Christum regnare (I Cor. XV, 25) ; lo esigono i suoi diritti, lo implorano i nostri bisogni. — Sebben cieco, sedotto da ree passioni, dominato da immenso amor proprio, il cuore dell’uomo può trovare nella gravità stessa delle sue colpe il principio della sua rigenerazione, lo stimolo del suo ritorno a Gesù. Il peccato non ha fatto, né potrà far mai la felicità dell’uomo; anzi è fatale veleno, che riempie il cuore di amarezza e noiosa gli rende ogni gioia della vita. Sentendosi vuoto, deluso, oppresso sotto il peso di una tristezza immensa, l’empio può tornare a migliori sentimenti, e, mentre tutto è scuro per lui sulla terra, può ancora innalzare gli occhi al cielo e, al raggio di una luce benefica, la quale non manca mai, nemmeno agl’ingrati, intravvederà la santa Immagine di Gesù, che, tenero e compassionevole, ripete: « Venite a me; prendete sopra di voi il mio giogo, e troverete pace alle anime vostre » (Matt. XI, 25). La misericordia di Gesù, aspettando ed accogliendo il peccatore pentito, è senza dubbio immensa, ma non ha raggiunto ancora il suo limite. Non solo aspetta la umanità errante, ma la previene ancora, e in una maniera così delicata ed affettuosa. che solo l’amore di un Dio può escogitare. — Se al nostro cuore, stanco e amareggiato, si manifestasse un altro cuore, puro, santo e magnanimo, e, nel suo linguaggio misterioso, ci contasse tutto l’amore, onde da lungo tempo si è per noi dolcemente consumato, e tutte le pene, alle quali questo amore lo rese soggetto, sarebbe possibile, in tal caso, restar freddi, insensibili, ingrati? No, con certezza. Attaccato nel suo lato debole, il cuor nostro dovrebbe cedere, e cederebbe, e dimentico di ogni meschino egoismo direbbe a quel cuore: « Hai vinto, cuore generoso: sii tu il re del mio cuore! » — Ebbene, è appunto a questo spediente che ha fatto ricorso il buon Gesù. Quando il cuore dell’uomo, sedotto da un’apparenza di felicità, se ne andava più che mai ramingo da Lui, l’amore di Gesù fece l’ultimo e il più tenero sforzo per richiamarlo al seno della sua misericordia. Scoprendosi il petto sacrosanto, Gesù mostrò all’umanità intera il suo Cuore divino, infiammato di carità, ferito dalla lancia e circondato di spine, e disse quelle dolci e lamentose parole: « Ecco quel Cuore, che ha tanto amato gli uomini e che n’è così ingratamente corrisposto. È per questo Cuore che Io voglio regnare sul cuore di tutti gli uomini. Il mio Cuore regnerà! … » Santa Margherita Maria Alacoque, la quale raccolse e tramandò a noi le parole di Gesù, scriveva ad un’anima religiosa: « Abbiamo fiducia: il S. Cuore regnerà. Egli me lo ha affermato. Sì, non ostante tutte le insidie di satana e dei suoi seguaci, regnerà il divin Cuore. » E non erano forse questi i desideri di Gesù, quando esclamava: « Sono venuto a portar fuoco al mondo, e che voglio Io, se non che si accenda? » (Luc. XII, 49). Un regno del cuore, e del Cuore di Gesù! La degnazione di un Dio non potrebbe essere più delicata, né la nostra beatitudine più perfetta. – Ispirandosi a questi teneri sentimenti e giusti desideri del Redentore, il Santo Padre Leone XIII, di venerata memoria, pubblicava, il 25 Maggio 1899, la memorabile Enciclica Annum Sacrum. Riassumendo la tradizionale dottrina della Chiesa, l’augusto Pontefice proclama che Gesù è Re per diritto di nascita e per diritto di conquista, e che l’impero, che Egli esercita su tutti i popoli e su tutte le nazioni, è l’impero della verità, della giustizia, della carità, specialmente della carità, e perciò del suo Cuore. E additando al mondo questo Cuore divino, il grande Papa esclama: « Ecco un segno faustissimo e divinissimo — il Sacro Cuore di Gesù, sormontato dalla Croce e risplendente tra fiamme di celeste candore. In Esso dobbiamo collocare tutte le nostre speranze, e da Esso aspettare la salvezza e la felicità ». Vicario e rappresentante di Colui, che è il Re di tutti gli uomini e di tutte le nazioni, esortava, con efficaci parole, tutta l’umana famiglia a consacrarsi al Cuore amantissimo di Gesù. — Ricordiamo ancora la santa letizia e il tenero trasporto col quale il popolo cristiano, strettosi il giorno 11 Giugno di quell’anno, intorno all’Immagine del S. Cuore pronunziava, al cospetto del cielo e della terra, queste affettuose parole: « O Signore, siate il Re non solo dei fedeli, che non si allontanarono mai da Voi, ma anche di quei figli prodighi, che vi abbandonarono: fate che questi ritornino presto alla casa paterna, onde non muoiano di miseria e di fame. Siate il Re di coloro che vivono nell’inganno dell’errore o sono separati da Voi per discordia: richiamateli al porto della verità e alla unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile e un sol Pastore. Siate finalmente il Re di tutti quelli che sono avvolti nelle superstizioni del gentilesimo, e non ricusate di trarli dalle tenebre al lume e al regno di Dio. Fate che da un capo all’altro della terra risuoni questa voce: Sia lode a quel Cuore divino, dal quale venne la nostra salute ». –  Queste considerazioni, così belle e salutari, che sono il celeste alimento delle anime cristiane, ci convincono che Gesù è Re di tutta l’umana famiglia — non solo per la forza del suo potere, — ma anche, e specialmente, per la tenerezza del suo amore, simbolizzato nel suo Cuore divino. — Ah! se fosse conosciuto e apprezzato questo impero di amore, che Gesù vuole esercitare su tutte le anime e su tutte le nazioni, un effluvio di grazia celeste si riverserebbe sulla umanità intera, e ai rimorsi, agli odii, alle guerre, si vedrebbe succedere la calma, la benevolenza, la fraternità universale! A noi, fedeli Cristiani, incombe il dovere di affrettare questo regno di amore, — a noi, che, prevenuti da speciali benedizioni, abbiamo promesso a quel Cuore divino di promuovere la sua gloria e la salvezza dei nostri fratelli.

Dalla Lettera Enciclica di Papa Pio XI
Lett. Encicl. Quas primas, del dì 11 Dicembre 1925

Avendo questo Anno santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il regno di Cristo, ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al nostro ufficio Apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia da soli che collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In tal modo infatti, si dice ch’egli regna nelle «menti degli uomini» non solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché egli è Verità, ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la verità; similmente « nelle volontà degli uomini », sia perché in Lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché colle sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra, in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto « Re dei cuori » per quella « sua carità che sorpassa ogni comprensione umana » e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e lo sarà in seguito al pari di Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti devono riconoscere ch’è necessario rivendicare a Cristo-uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di re; infatti soltanto in quanto è uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la «potestà, l’onore e il regno» perché, come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune col Padre ciò ch’è proprio della divinità; e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero. Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che: « Egli, per dirla in una parola, ha il dominio su tutte le cose create, non estorto con violenza né venutogli da altri, ma per la sua stessa essenza e natura »; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile, ch’è chiamata unione ipostatica. Dal che segue, che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma che anche a Lui come Uomo debbono e gli Angeli e gli uomini essere soggetti ed obbedire: cioè che pel solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente ch’esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, già non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato. Le testimonianze attinte dalle sacre Lettere circa l’impero universale del nostro Redentore provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto, ed è dogma di fede, che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbano ubbidire. I santi Vangeli non soltanto ci narrano che Gesù abbia promulgato delle leggi, ma ce lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare: e il divino Maestro afferma in varie circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti, darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità. Lo stesso Gesù davanti ai Giudei che l’accusavano di aver violato il Sabato coll’aver ridonata la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: « Ché il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giustizia al Figlio » Joann. 5, 21. Nel che è compreso anche il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita (perché ciò non può disgiungersi da una certa forma di giudizio). Inoltre la potestà esecutiva devesi parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e ai supplizi da Lui stabiliti. Che poi questo regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo mostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo, ed avrebbe ripristinato il regno d’Israele, egli cercò di togliere loro dal capo questa vana attesa e questa speranza; e così pure quando stava per essere proclamato re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, egli declinò questo titolo e questo onore ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo regno « non è di questo mondo » Joann. XVIII, 36. Questo regno nei Vangeli viene presentato in tal modo, che gli uomini debbono prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il battesimo, il quale sacramento, benché sia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore; questo regno è opposto unicamente al regno di satana e alla potestà delle tenebre, e richiede dai suoi sudditi non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi e la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita col suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di Lui rivesta il carattere spirituale dell’uno e dell’altro ufficio? D’altra parte gravemente errerebbe, chi togliesse a Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, dato ch’Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Pertanto, colla nostra apostolica autorità istituiamo la festa di Nostro Signor Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l’ultima Domenica dì Ottobre, cioè la Domenica precedente la festa di Tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore Santissimo di Gesù.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps II: 8.
Póstula a me, et dabo tibi gentes hereditátem tuam, et possessiónem tuam términos terræ.

[Chiedi a me ed Io ti darò in eredità le nazioni e in dominio i confini della terra]

Secreta

Hóstiam tibi, Dómine, humánæ reconciliatiónis offérimus: præsta, quǽsumus; ut, quem sacrifíciis præséntibus immolámus, ipse cunctis géntibus unitátis et pacis dona concédat, Jesus Christus Fílius tuus, Dóminus noster:Qui tecum …

[Ti offriamo, o Signore, la vittima dell’umana riconciliazione; fa’, Te ne preghiamo, che Colui che immoliamo in questo Sacrificio, conceda a tutti i popoli i doni dell’unità e della pace: Gesù Cristo Figliuolo, nostro Signore, Egli …]

Præfatio
de D.N. Jesu Christi Rege

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui unigénitum Fílium tuum, Dóminum nostrum Jesum Christum, Sacerdótem ætérnum et universórum Regem, óleo exsultatiónis unxísti: ut, seípsum in ara crucis hóstiam immaculátam et pacíficam ófferens, redemptiónis humánæ sacraménta perágeret: et suo subjéctis império ómnibus creatúris, ætérnum et universále regnum, imménsæ tuæ tráderet Majestáti. Regnum veritátis et vitæ: regnum sanctitátis et grátiæ: regnum justítiæ, amóris et pacis. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che il tuo Figlio unigenito, Gesú Cristo nostro Signore, hai consacrato con l’olio dell’esultanza: Sacerdote eterno e Re dell’universo: affinché, offrendosi egli stesso sull’altare della croce, vittima immacolata e pacifica, compisse il mistero dell’umana redenzione; e, assoggettate al suo dominio tutte le creature, consegnasse all’immensa tua Maestà un Regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVIII:10;11
Sedébit Dóminus Rex in ætérnum: Dóminus benedícet pópulo suo in pace.

[Sarà assiso il Signore, Re in eterno; il Signore benedirà il suo popolo con la pace]

Postcommunio

Orémus.
Immortalitátis alimóniam consecúti, quǽsumus, Dómine: ut, qui sub Christi Regis vexíllis militáre gloriámur, cum ipso, in cœlésti sede, júgiter regnáre póssimus: Qui

[Ricevuto questo cibo di immortalità, Ti preghiamo o Signore, che quanti ci gloriamo di militare sotto il vessillo di Cristo Re, possiamo in cielo regnare per sempre con Lui: Egli che …]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (275)

LO SCUDO DELLA FEDE (275)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (18)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVIII

PROFEZIE

I. Le profezie sono oscure; II. Mai non si può aver certezza di esse. III. Un uomo si adattò a certe vaghe tradizioni e si spacciò come Dio.

Dopo i miracoli, le profezie sono, secondo affermazione di Gesù Cristo, un testimonio splendidissimo della verità cristiana. Ed il divin Salvatore che diceva che le opere che Ei faceva, cioè i miracoli, rendevano a Lui testimonianza, affermava pure che tutte le Scritture parlavano di Lui e lo annunziavano. Il perché la santa Chiesa fece sempre grandissimo conto di esse, e se ne valse i tutti tempi, sia presso i popoli gentileschi, cui annunziava la fede la prima volta, sia presso i fedeli che già l’avevano abbracciata, per confermarli viepiù in essa. Ma che? Anche queste dovevano essere dalla incredulità recate in dubbio. Ed in qual modo? Eccolo.

.I. Le profezie, dicono in primo luogo, sono piene di oscurità: come dunque venire in cognizione di cose oscure, per mezzo di ragioni anche più oscure? Per rispondere a questa difficoltà, chiediamo in primo luogo, sono esse oscure prima che si avverino, oppure se anche quando sono avverate? Se almeno dopo il loro compimento non fossero chiare, fossero manifeste, sicché al tutto non si potessero negare, non basterebbero a rendere piena testimonianza alla verità? Certo sì: allora si vedrebbe che quelle parole, che per un qualche tempo tenevano le menti incerte, avevano un chiaro significato, e riscontrandole coll’evento, sarebbero l’espressione di una verità: questa verità poi, dall’essere stata con profezia autenticata, riceverebbe tutta la sua forza. Così, a cagione di esempio, vien detto al serpente, dopo la caduta dei nostri primi padri, che la stirpe della donna gli schiaccerà il capo: similmente ad Abramo, ad Isacco, a Giacobbe, che nella loro stirpe, saran benedette tutte le genti. Ora poniamo che fino al Messia non si veda ancora chiarissimo, né chi sia quegli che debbe operare sì grandi fatti, né in qual modo debbano essere operati; tuttavia, dopoché Gesù Cristo figliuolo di Maria e discendente della stirpe di Abramo, d’lsacco, di Giacobbe è comparso al mondo ed è diventato fonte d’ogni benedizione, quelle profezie divengono chiarissime ed innegabili. Quanti detti arcani, misteriosi, non si ripetono tutto giorno di filosofi, di poeti, di oratori, i quali, al primo udirli, non s’intendono; ma poi, appressati ad un fatto, da tutti si comprendono, sicché più niuno dubita del loro significato! Ora se anche fossero misteriose le profezie in questo modo, non proverebbero ugualmente che è divino quello spirito che le ha dettate, poiché ha potuto per mezzo di esse indicare fatti lontani fuori di ogni umana cognizione? Ma la verità è poi che se vi sono alcune profezie di questa fatta, che cioè si schiariscono solo col metterle a confronto dei fatti, ve ne ha poi moltissime che sono sì chiare, che non possono non intendersi da chiunque le prenda a leggere: però il dire universalmente che le profezie sono oscure è fuori d’ogni verità. Il patriarca Giacobbe, per esempio, afferma che non uscirà la dominazione temporale dalla tribù di Giuda, prima che venga quello che dev’essere mandato. Mosè dice chiaro ai Giudei che Iddio loro susciterà un profeta simile a lui, e che se non l’ascolteranno, Iddio ne sarà vindice. Nel salmo 109 David parla chiaramente di un sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco. Il salmo 21 descrive a lungo tutte le pene del divino Salvatore, con tutte le più minute circostanze di esse. Lo stesso si ripete nel cap. 53 d’Isaia e con tanta esattezza che sembrano piuttosto due Evangelisti che scrivano dopo il fatto, che non due profeti che annunzino avvenimenti, che tarderanno tanti secoli ad avverarsi. Similmente qual cosa più chiara della profezia di Michea, che determina Betlem qual luogo della nascita del Messia? Qual Profezia più manifesta che quella di Daniele, il quale definisce 490 anni prima il momento della sua morte? Come poteva dirsi più chiaramente l’indole mansueta, le virtù, i prodigi d’ogni sorta che avrebbe fatti Gesù, di quello che lo scrivesse Isaia? La venuta nel tempio, che allora si stava solo fabbricando, fu scritta da Aggeo; la sostituzione del sacrifizio dei nostri altari alle antiche oblazioni, da Malachia; la risurrezione di Gesù Cristo, da David; le glorie della santa Chiesa, da Isaia; e ciò per tacere d’innumerevoli altre profezie chiare, solenni, autentiche, riconosciute come appartenenti al divin Redentore perfino dai Giudei. Né niun dica che se fossero state sì chiare, i Giudei le avrebbero riconosciute: perocché anzi se i Giudei le avessero riconosciute, già più non sarebbero vere le profezie. Imperocché quelle medesime profezie che annunciavano Gesù e la sua vita e le sue opere divine, annunziavano pure che il suo popolo non l’avrebbe riconosciuto, che per pena di ciò ne sarebbe stato ripudiato e disperso per tutta la terra, senza tempio, senza altare, senza sacerdote, senza sacrifizio: che in sua vece sarebbe subentrato il popolo gentile; che questo avrebbe riconosciuto Gesù, e che fra le genti sarebbe stato grande il nome di Dio, che esse avrebbero avuto l’oblazione monda, e che sarebbero state il popolo del Signore. – Le quali profezie tutte noi vediamo con alto nostro stupore pienamente e chiaramente verificate. Non può dunque in niun modo rifiutarsi la validità della prova che si trae dalle profezie in favore del Cristianesimo sotto il pretesto dell’oscurità.

II. Altri invece dicono che, qualunque cosa si tenga delle profezie, mai non si potrà avere certezze intorno ad esse. Imperocché onde faccia prova una profezia, si richiedono tre cose: che io sia testimone della profezia; che io sia testimone dell’avveramento di essa; che mi sia dimostrato che non per caso l’effetto si accordò col predicimento. Ora come posso io mai esser certo di tutto ciò, e senza questa certezza come posso fidarmi di una profezia? Questa difficoltà che viene ripetuta da vani increduli, quasi fosse senza replica, ha poi veramente qualche forza? Non è altro che una triplice falsità e gravissima chi ben la consideri. Perché io sia certo di una profezia, dicono in primo luogo, si chiede che io sia testimonio di essa: e questo è al tutto falso. Imperocché non accade menomamente che io l’abbia intesa coi miei orecchi, basta che mi sia testificata con prove al tutto certe che essa fu fatta. Ora nel caso nostro le profezie che riguardavano il Redentore, erano confermate da tutto il popolo giudeo diffuso e sparso per molte nazioni, erano scritte in molti libri, erano tradotte in molte lingue diverse, erano conosciute fino dai Gentili, e ciò molti secoli prima che il Redentore apparisse al mondo. Quindi, senza averle udite di proprio orecchio, io sono più sicuro che esse esistevano, che se le avessi udite. – Che io sia testimonio del loro compimento: e questa è una solennissima falsità. lmperocché il compimento di essa è un fatto, ed i fatti mi possono constare per mille prove al tutto indubitate, senza che io li abbia veduti cogli occhi miei, se già non vogliamo negare tutti i fatti della storia antica e moderna, ai quali noi non siamo intervenuti colla presenza. Nel caso poi speciale dei fatti che riguardano il divino Redentore, non solo noi abbiamo le storie sacre e le profane, diciotto secoli di testimonianze, ed ogni sorta di monumenti che ci fan fede di quanto gli appartiene; ma fino ai dì nostri rimangono in piedi le prove parlanti che Egli fu sulla terra, che operò, che fondò una Chiesa, che le diede leggi, che istituì riti, che stabilì una religione con sacrifizi, sacramenti e pratiche speciali di divin culto. Il perché non vi ha nessun bisogno di aver veduto cogli occhi proprio quello, di che rimangono prove così patenti: come non vi ha bisogno per credere che esista l’America, di averla veduta cogli occhi propri, in faccia a tante testimonianze che noi possediamo della sua esistenza. È falso finalmente che non si possa conoscere se l’avveramento di esse sia opera del caso; oppure di una sapienza provvida che l’abbia disposto. Imperocché si conosce invece benissimo che il caso non può operare con senno, e combinare insieme tante profezie così disparate, quali sono quelle che riguardano il Redentore con tutte le circostanze del suo tempo, della sua venuta, della sua nascita, della sua infanzia e gioventù, dei miracoli, della vita, morte e risurrezione, della fondazione della Chiesa, e somigliante. – Un caso che operasse con tanto senno, sarebbe infinitamente più meraviglioso che non qualunque profezia per quanto straordinaria. Inoltre, tanto è impossibile che il caso abbia verificate le profezie, quanto molte di queste profezie non si potevano verificare se non per una virtù al tutto superiore alla naturale, cioè miracolosa, ed i miracoli sono opera dell’onnipotenza divina. Il profetizzare eventi che non possono aver luogo senza miracolo, è lo stesso che dire, ché Iddio concorrerà a suo tempo con la sua onnipotenza a sostenere quello che il profeta prenunzia, cioè che l’opera dell’uomo si congiungerà con quella di Dio; e se la profezia fosse una pura invenzione umana, che Dio a suo tempo, per darle credito, si farà complice dell’umana perversità. Eppure è indubitato che le profezie, di cui parliamo, contengano il predicimento di molti eventi miracolosi, quali sono che Gesù sia per nascere di Madre Vergine, che sia per dare la vista ai ciechi, la favella ai intitoli, la dirittura agli storpi, agli infermi la sanità, che abbia da risorgere da morte a vita per virtù propria, che abbia a salire in cielo, ed andate dicendo. In tutti questi eventi il caso non poteva avere luogo, né la natura, poiché sono opere che superano la forza dell’uno e dell’altro: ed appare limpido che come Dio solo poteva sapere quello che avrebbe fatto liberamente; così Dio solo poteva ispirare ai profeti tanto tempo prima quello che avrebbe fatto. Resta dunque che la difficoltà, proposta con tanta sicumera, non sia altro che un sofisma da illudere le menti più grossolane.

III. Finalmente, ripiglian altri, un uomo della Galilea avendo osservato che il popolo giudaico, secondo certe tradizioni popolari, aspettava un liberatore, egli stesso si presentò qual desso, e adempiendo in sè alcune di quelle condizioni, che, secondo quelle menti rozze, dovevano accompagnare il sospirato liberatore, ottenne credito ed ingannò un popolo sempre vago di scuotere il giogo della straniera dominazione. Ecco tutta la forza dell’argomento tratto dalle profezie in favore del Cristianesimo. Così essi. Per verità ci voleva tutta la empietà del secolo passato ad apportare siffatta spiegazione, e tutta la leggerezza del presente per accettarla. – Vi erano certe tradizioni popolari che promettevano un futuro liberatore. Ma e dunque chi aveva formate queste tradizioni? Come si era destata una tale espettazione? E come aveva preso piede sì ampiamente che tutta la Giudea ne era piena? Come si era sparsa fra Gentili per modo che gli storici greci e romani la conoscessero? Come la cantavano i poeti sotto di Augusto, in Roma stessa, applicandola per adulazione ora all’uno ed ora all’altro dei Cesari? Un effetto così universale, così solenne. non dovette avere qualche fondamento? Sarebbe strano se dicessimo che vi erano veramente delle profezie? Ma come poi negarle, se il popolo giudeo aveva dei libri, nei quali era descritta profeticamente tutta la vita del futuro liberatore, e se questi libri erano noti a’ Gentili e trasportati già in lingua greca qualche centinaio d’anni prima che il liberatore comparisse? Come negare, io torno a chiedere, che vi fossero profezie? Gesù Cristo le applicò a sé senza che le appartenessero, dicono. È meraviglioso questo trovato. Se le applicò a sé, dunque vi erano; se vi erano, ad alcuno dovevano appartenere, e finora non si sa che nessuno, da Lui in fuori, le abbia in sé stesso verificate. Ma poi tanto è impossibile che altri le applicasse a sé per frode, quanto è impossibile che gli uomini abbiano azione prima di esistere. In queste profezie abbiamo appuntato il popolo, la tribù, la famiglia da cui sarebbe nato, la patria e la madre che avrebbe avuto, la fuga che fanciullo avrebbe dovuto fare in Egitto, il modo onde lo avrebbero perseguitato; la morte che avrebbe sostenuta, la sua risurrezione, la fondazione della sua Chiesa colle lotte e colle vittorie di lei. Or di grazia, come poteva un uomo far verificare di sé tutte quelle circostanze, che evidentemente non dipendevano dalla sua volontà? Come piegare e trarre tutte le volontà a cospirare colla sua? Era vaticinato che sarebbe nato in Betlemme dalla famiglia di David, morto nella settimana determinata da Daniele, nel termine del regno di Giuda annunziato da Giacobbe: come, dunque, prima di nascere ha potuto un uomo ordinare sì fattamente le predizioni a sé, o sé alle predizioni, sì che coincidessero per l’appunto? Come ha fatto ancor fanciulletto a combinare la persecuzione di Erode per dover fuggire in Egitto, secondo la profezia? Come ispirare ai suoi nemici il consiglio di dargli morte e dargliela di croce, colle circostanze tutte degl’insulti, del fiele, del dividersi le sue vesti e trarle a sorte, siccome esigevano le profezie? Abbiamo la vita di Gesù scritta nei profeti tanti secoli prima e con tanta minutezza, che sembra più una storia, narrata dopo il fatto, che un predicimento dell’avvenire; l’abbiamo sì autentica, che non la possono negare i Giudei medesimi, sfidati nemici di Gesù Cristo, e potè tuttavia Gesù Cristo fingere e mostrare in sé verificate quelle circostanze che non erano in sua mano, perché dipendevano dalla libera volontà di uomini svariatissimi nel pensare e negli interessi? – Per fermo non potrà negare di avere una fede molto robusta chi si sente la forza d’ammettere tali assurdi: noi Cattolici, per quanto siamo tacciati di troppa credulità, noi non sentiamo la forza di crederli. – Meno strani riuscivano gl’idolatri, i quali, al sentirsi recitare le antiche profezie, ed al vedersele mostrate così per l’appunto verificate nella persona di Gesù Cristo, dicevano che noi le avevamo inventate dopo il fatto; poiché rispondevano troppo esattamente all’evento: ma noi, che non possiamo dubitare dell’anteriorità di esse per la testimonianza che ce ne fanno i Giudei sfidati nemici di Gesù, per la testimonianza dei filosofi gentili, i quali già prima della morte di Gesù le conoscevano; noi, non potendo ricorrere allo spediente di negarle, non possiamo, finché vogliamo operare ragionevolmente, disconoscerne l’autorità. Che se le profezie sono di quel peso che ognun vede, quanto è dunque sicura quella fede che ne può vantare tante e così solenni in suo favore!