DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XX DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Le lezioni dell’Ufficio divino in questo tempo sono spesso ricavate dai libri dei Maccabei. Dopo la cattività di Babilonia, il popolo era ritornato a Gerusalemme e vi aveva ricostruito il Tempio. Ma lo stesso popolo ben presto fu di nuovo punito da Dio perché gli era stato nuovamente infedele: Antioco Epifane s’impadronì di Gerusalemme e saccheggiò il Tempio, quindi pubblicò un editto che proibiva in ogni luogo la professione della religione giudaica. Furono allora da per tutto eretti altari agli idoli e il numero degli apostati crebbe in guisa che sembrò che la fede di Abramo, Mosè e Israele dovesse scomparire. Dio suscitò allora degli eroi: un sacerdote, chiamato Mathathia raccolse tutti coloro che erano ancora animati da zelo per la legge e per il culto dell’Alleanza e designò suo figlio Giuda Maccabeo come capo della milizia, che suscitò per rivendicare i diritti del vero Dio. E Giuda col suo piccolo esercito combatté con gioia i combattimenti di Israele. Nella battaglia era simile ad un giovane leone, che ruggisce sulla sua preda. Sterminò tutti gli infedeli, mise in fuga il grande esercito di Antioco e ristabilì il culto a Gerusalemme. Animati dallo spirito divino i Maccabei riconquistarono il loro paese e salvarono l’anima del loro popolo. « Le sacrileghe superstizioni della Gentilità, disse S. Agostino, avevano insozzato il tempio stesso; ma questo fu purificato da tutte le profanazioni dell’idolatria dal valoroso capitano, Giuda Maccabeo, vincitore dei generali di Antioco » (2a Domenica di ottobre, 2° Notturno). – « Alcuni, commenta S. Ambrogio, sono accesi dal desiderio della gloria delle armi e mettono sopra ogni cosa il valore guerresco. Quale non fu mai la prodezza di Giosuè, che in una sola battaglia fece prigionieri cinque re! Gedeone con trecento uomini trionfò di un esercito numeroso; Gionata, ancora adolescente, si distinsi per fatti d’arme gloriosi. Che dire dei Maccabei? Con tremila Ebrei vinsero quarantottomila Assiri. Apprezzate il valore di capitano quale Giuda Maccabeo da ciò che fece uno dei suoi soldati: Eleazaro aveva osservato un elefante più grande degli altri e coperto della gualdrappa regale, ne dedusse dover essere quello che portava il re. Corse dunque con tutte le forze precipitandosi in mezzo alla legione e sbarazzatosi anche dello scudo, si slanciò avanti combattendo e colpendo a destra e sinistra, finché ebbe raggiunto l’elefante; passando allora sotto a questo, Io trafisse con la sua spada. L’animale cadde dunque sopra Eleazaro che perì sotto il suo peso. Coperto più ancora che schiacciato dalla mole del corpo atterrato, fu seppellito nel suo trionfo » (la Domenica di ottobre, 2° Notturno). – Per stabilire un parallelo fra il Breviario e il Messale di questo giorno, possiamo osservare che, come i Maccabei, che erano guerrieri, si rivolsero a Dio per ottenere che la loro razza non perisse, ma che conservasse la sua religione e la sua fede nel Messia (e furono esauditi), cosi pure nel Vangelo è un ufficiale del re, che si rivolge a Cristo perché il suo figliuolo non muoia; egli con tutta la sua famiglia credette in Gesù, quando vide il miracolo compiuto in favore di suo figlio. Constatiamo inoltre che i Maccabei opponendosi agli uomini insensati che li circondavano, cercarono presso Dio luce e forza per conoscere la sua volontà in circostanze difficili (5° responsorio, Dom. 1° respons. del Lunedì) ed esauditi nel nome di Cristo che doveva nascere dalla loro stirpe, resero in seguito azioni di grazie nel Tempio, « benedicendo il Signore con inni e con lodi » (2° responsorio del Lunedi). – Cosi pure S. Paolo, nell’Epistola, parla di uomini saggi che, in tempi cattivi, cercano di conoscere la volontà di Dio e che, liberati dalla morte (f. 14 di questa Epistola) per la misericordia dell’Altissimo, gli rendono grazie in nome di Gesù Cristo, cantando inni e cantici. Tutti i canti della Messa esprimono anch’essi sentimenti simili in tutto a quelli dei Maccabei. « Signore, dice il 5° responsorio, i nostri occhi sono rivolti a te, affinché non abbiamo a perire » e il Graduale: « Tutti gli occhi si alzano con fede verso di te, o Signore ». Il Salmo aggiunge: « Egli esaudirà le preghiere di coloro che lo temono, li salverà e perderà tutti i peccatori ». – « O Dio, canterò i tuoi gloriosi trionfi », dichiara l’Alleluia, e termina con queste parole: « Con Dio compiremo atti di coraggio ed Egli annienterà i nostri nemici ». L’Offertorio è un cantico di ringraziamento dopo la liberazione dalla cattività di Babilonia e la riedificazione di Gerusalemme e del suo Tempio. (Ciò che si rinnovò sotto i Maccabei). Il Salmo del Communio, che è il medesimo di quello del Versetto dell’Introito, ci mostra come Iddio benedica coloro che lo servono e venga loro in aiuto nelle afflizioni. L’Introito,finalmente, dopo aver riconosciuto che i castighi piombati sul popolo eletto sono dovuti alla sua infedeltà, domanda a Dio di glorificare il suo Nome, mostrando ai suoi la sua grande misericordia. – Facciamo nostri tutti questi pensieri. Riconoscendo che le nostre disgrazie hanno per origine la nostra infedeltà, uniformiamoci alla volontà divina (Intr.) domandiamo a Dio di lasciarsi commuovere, di perdonarci e di guarirci (Vangelo), affinché la sua Chiesa possa servirlo nella pace (Orazione). Poi, pieni di speranza nel soccorso divino epieni di fede in Gesù Cristo riempiamoci dello Spirito Santo, che deve occupare tutta la nostra attenzione in questo tempo dopo la Pentecoste e nel nome del Signore Gesù cantiamo tutti insieme nei nostri templi Salmi alla gloria di Dio, che ci ha liberati dalla morte e che nei giorni difficili della fine del mondo (Epistola) libererà tutti coloro che hanno fede il Lui (Vangelo). – « Sorgi d’infra i morti, dice S. Paolo, e Cristo ti illuminerà » (v.14). Salvati dalla morte per opera dì Cristo, non prendiamo più parte alcuna alle opere delle tenebre (v. 11), ma viviamo come figli della luce (v. 8). Approfittiamo del tempo che ci è stato dato per fare la volontà di Dio. Non conosciamo altra ebbrezza che quella dello Spirito Santo e, uniti gli uni agli altri nell’amore di Gesù, rendiamo grazie al Padre, che ci ha liberati per mezzo del Figlio suo e che ci libererà nell’ultimo giorno ». –  Gesù salvò dalla morte il figlio dell’ufficiale, per dare la vita della fede a lui ed a tutta la sua famiglia. Questo miracolo deve cooperare ad aumentare la nostra fede in Gesù, per opera del quale Dio ci ha liberati dalla febbre del peccato e dalla morte eterna, che ne è la conseguenza. « Quegli che chiedeva la guarigione del figlio, dice S. Gregorio, senza dubbio credeva, poiché era venuto a cercare Gesù, ma la sua fede era difettosa ed egli chiedeva la presenza corporale del Signore, che con la sua presenza spirituale si trova dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta, avrebbe senza dubbio saputo, che non esiste luogo ove Dio non risieda; egli crede bensì che Colui al quale si rivolge abbia il potere di guarire, ma non pensa che sia invisibilmente vicino al figlio che sta per morire. Ma il Signore, che egli supplica di venire, gli prova che è già presente là dove egli gli chiedeva di andare; e Colui che ha creato tutte le cose, rende la salute a questo malato col semplice suo comando. (Mattutino).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Dan III: 31; 31:29; 31:35
Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non obœdívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.)

Ps CXVIII: 1
Beáti immaculáti in via: qui ámbulant in lege Dómini.

[Beati gli uomini di condotta íntegra: che procedono secondo la legge del Signore.]

Omnia, quæ fecísti nobis, Dómine, in vero judício fecísti, quia peccávimus tibi et mandátis tuis non oboedívimus: sed da glóriam nómini tuo, et fac nobíscum secúndum multitúdinem misericórdiæ tuæ.

[In  tutto quello che ci hai fatto, o Signore, hai agito con vera giustizia, perché noi peccammo contro di Te e non obbedimmo ai tuoi comandamenti: ma Tu dà gloria al tuo nome e fai a noi secondo l’immensità della tua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Largíre, quǽsumus, Dómine, fidélibus tuis indulgéntiam placátus et pacem: ut páriter ab ómnibus mundéntur offénsis, et secúra tibi mente desérviant.
[Largisci placato, Te ne preghiamo, o Signore, il perdono e la pace ai tuoi fedeli: affinché siano mondati da tutti i peccati e Ti servano con tranquilla coscienza.]

Lectio

 Ephes. V. 15-21.

Fratres: Vidéte, quómodo caute ambulétis: non quasi insipiéntes, sed ut sapiéntes, rediméntes tempus, quóniam dies mali sunt. Proptérea nolíte fíeri imprudéntes, sed intellegéntes, quae sit volúntas Dei. Et nolíte inebriári vino, in quo est luxúria: sed implémini Spíritu Sancto, loquéntes vobismetípsis in psalmis et hymnis et cánticis spirituálibus, cantántes et psalléntes in córdibus vestris Dómino: grátias agéntes semper pro ómnibus, in nómine Dómini nostri Jesu Christi, Deo et Patri. Subjecti ínvicem in timóre Christi.

(“Fratelli: Badate di camminare con circospezione, non da stolti, ma da prudenti, utilizzando il tempo, perché i giorni sono tristi. Perciò non siate sconsiderati, ma riflettete bene qual è la volontà di Dio. E non vogliate inebriarvi di vino, sorgente di dissolutezza, ma siate ripieni di Spirito Santo. Trattenetevi insieme con salmi e inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando coi vostri cuori, al Signore, ringraziando sempre d’ogni cosa Dio e Padre nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.).”

IL CONTAGOCCE DELLA VITA.

Se fossi un poeta seicentista o un predicatore, anche solo un predicatore di quel secolo stravagante, definirei il tempo: «il contagocce della vita», perché la vita ci è proprio data così goccia a goccia, minuto per minuto, scorre la vita e si compone di istanti. Potremmo anche dire che il tempo è la misura della vita. Perciò noi con la vita stessa lo identifichiamo. Fare buon uso del tempo è la misura della vita. La saggezza cristiana San Paolo la fa consistere nel buon uso del tempo, come nel rovescio, cioè nello sciupìo del tempo consiste la incoscienza, la leggerezza pagana. Del tempo, ossia della vita, di tutte le sacre energie che la costituiscono ora per ora, noi possiamo fare tre usi: possiamo usarne male, cioè per fare il male. Il mondo non adopera questa parola, la copre, la maschera. Dice: per divertirci, per distrarci. Chiamano anche questo: godere la vita. Il paganesimo pretende sia questo l’uso vero, saggio della vita. Quelli che sfrenatamente, bassamente, non ne godono come egli fa e insegna a fare, li chiama stolti. Per noi Cristiani il tempo speso così nei bagordi, nel trionfo della materia, è tempo perduto… anzi perduto è un aggettivo troppo blando, è tempo sciupato, è vita sciupata, sciupata energia. Sciupare un oggetto prezioso è più che perderlo: è un disfarlo, un farlo a rovescio. Così è il tempo speso nel peccato, nel male morale, comunque mascherato. Ma c’è anche il tempo perduto. Ed è quello che noi passiamo non facendo niente, né bene né male. Nell’ozio, o nella futilità della vita. La neutralità è veramente un sogno, un’utopia. Non si riesce alla neutralità, al far niente. In realtà l’ozio, la frivolezza, il conato di neutralità morale nell’azione, è un’utopia: far niente vuol dire far del male. Il tempo speso così è tempo perduto. E perder tempo è già un male, come il non guadagnare denaro in commercio, come il perdere un bell’oggetto. E quanto tempo si perde, specialmente, in chiacchiere inutili! che poi, viceversa, non sono inutili, sono dannose, dannosissime. Educano l’anima di chi vi si abbandona alla superficialità, alla frivolezza. Spianano la via alla cattiveria vera e propria, quando non sono già cattiveria matricolata, insulti costanti alla carità cristiana, alla purezza con le loro insinuazioni e le loro larvate oscenità. Sottraggono il tempo all’operosità buona. La quale costituisce l’impiego savio e sacro, cristiano del tempo. « Dum tempus habemus operemur bonum.» Questa è la vita per noi, Cristiani; fare il bene. Farlo in tutti i modi: parlando, tacendo (perché spesso il silenzio è d’oro, spesso ci vuole più virtù a tacere che a parlare, e si fa più bene al prossimo con un silenzio dignitoso, paziente, che con mille chiacchiere), operando, lavorando, soffrendo: farlo in tutte le forme, bene a noi stessi, bene agli altri, gloria e cioè bene a Dio. Il tempo che si passa così è tempo bene speso, veramente bene speso. È un tempo impiegato. Speso bene, perché, a parte anche le considerazioni soprannaturali, noi siamo fatti per il bene, e quando mettiamo a servizio della buona causa le nostre energie, a servizio della verità il nostro intelletto, a servizio delle carità la nostra influenza sociale, a servizio dei poveri il nostro denaro; quando facciamo così, stiamo bene. Ma è anche bene impiegato, perché il bene resta. Il piacere passa, finisce inesorabilmente. Goduto una volta non c’è più. Il bene fatto una volta resta sempre. San Paolo parla di riscatto, di redenzione del tempo. E cioè dobbiamo tanto più intensificare la nostra attività nel bene, quanto più scarsa è stata la nostra attività nel bene, quanto più abbondante è stata forse la nostra operosità cattiva. La morte si avanza e incalza: prima che essa giunga a troncare le possibilità del bene e del premio, avaramente, spendiamo per Dio il tempo ch’Egli ci dona.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps CXLIV:15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

Aperis tu manum tuam: et imples omne ánimal benedictióne.

[Tutti rivolgono gli sguardi a Te, o Signore: dà loro il cibo al momento opportuno. V. Apri la tua mano e colmi di ogni benedizione ogni vivente.]

Allelúja.

Ps CVII:2
Allelúja, allelúja
Parátum cor meum, Deus, parátum cor meum: cantábo, et psallam tibi, glória mea. Allelúja.

[Il mio cuore è pronto, o Dio, il mio cuore è pronto: canterò e inneggerò a Te, che sei la mia gloria. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia   sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.
Joannes IV: 46-53
In illo témpore: Erat quidam régulus, cujus fílius infirmabátur Caphárnaum. Hic cum audísset, quia Jesus adveníret a Judaea in Galilæam, ábiit ad eum, et rogábat eum, ut descénderet et sanáret fílium ejus: incipiébat enim mori. Dixit ergo Jesus ad eum: Nisi signa et prodígia vidéritis, non créditis. Dicit ad eum régulus: Dómine, descénde, priúsquam moriátur fílius meus. Dicit ei Jesus: Vade, fílius tuus vivit. Crédidit homo sermóni, quem dixit ei Jesus, et ibat. Jam autem eo descendénte, servi occurrérunt ei et nuntiavérunt, dicéntes, quia fílius ejus víveret. Interrogábat ergo horam ab eis, in qua mélius habúerit. Et dixérunt ei: Quia heri hora séptima relíquit eum febris. Cognóvit ergo pater, quia illa hora erat, in qua dixit ei Jesus: Fílius tuus vivit: et crédidit ipse et domus ejus tota.

(“In quel tempo eravi un certo regolo in Cafarnao, il quale aveva un figliuolo ammalato. E avendo questi sentito dire che Gesù era venuto dalla Giudea nella Galilea, andò da lui, e lo pregava che volesse andare a guarire il suo figliuolo, che era moribondo. Dissegli adunque Gesù: Voi se non vedete miracoli e prodigi non credete. Risposegli il regolo: Vieni, Signore, prima che il mio figliuolo si muoia. Gesù gli disse: Va, il tuo figliuolo vive. Quegli prestò fede alle parole dettegli da Gesù, e si partì. E quando era già verso casa, gli corsero incontro i servi, e gli diedero nuova come il suo figliuolo viveva. Domandò pertanto ad essi, in che ora avesse incominciato a star meglio. E quelli risposero: Ieri, all’ora settima, lasciollo la febbre. Riconobbe perciò il padre che quella era la stessa ora, in cui Gesù gli aveva detto: Il tuo figliolo vive: e credette egli, e tutta la sua casa”)

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).

LA PRESENZA DI DIO.

Davide, profeta e re secondo il cuore di Dio, con una sola parola ha descritto la desolazione del mondo: Terra oblivionis. Terra della dimenticanza. E in realtà, dove trovare nel tramestio furioso del mondo chi pensi a Dio? A che cosa pensano i ragazzi?… dove hanno la mente i giovani?… di che cosa si occupano la maggior parte delle donne? Quali sono i pensieri del letterato, del negoziante, dell’operaio, del contadino? L’ubbriaco, il bestemmiatore, l’empio, a che pensano?… forse a Dio? le loro iniquità provano il contrario. Dio riempie della sua presenza i cieli e la terra, ma per la maggior parte degli uomini è uno sconosciuto. Ma guai a loro perché, dimenticato Iddio, il cuore nostro non è che una terra abbandonata dove lussureggiano le ree semenze delle passioni… Terra oblivionis! Terra della dimenticanza. Ascoltiamo dunque il Vangelo, e raccogliamone il prezioso insegnamento della presenza di Dio. Gesù si trovava sulle alture di Cana, ove, tempo addietro, aveva cambiato l’acqua in vino. Ed ecco gli fu annunziato che una persona d’importanza chiedeva di parlargli urgentemente. Era un ricco giudeo che abitava a Cafarnao sulla riva del lago, e che occupava un’alta carica nella corte di Erode Antipa. Aveva fatto trenta chilometri di cammino con l’angoscia nel cuore, e scongiurava Gesù che volesse discendere fino alla sua casa, ove un figlio suo era in pericolo di morte, e glielo salvasse. « Signore, muoviti prima che muoia! ». La fede era sincera, ma imperfetta, poiché supponeva che il Signore non fosse in grado di fare un miracolo restando dove si trovava. Ma alle insistenze di quel cuore paterno, Gesù non resistette, e concesse più di quello che gli era stato domandato: «Va! tuo figlio vive ». Il sole dardeggiava sulle bianche case di Cana: era l’una pomeridiana. Proprio in quell’ora, a Cafarnao, nel palazzo del funzionario regio, i servi mandavano grida di gioia; il giovanetto moribondo subitamente era guarito. Udite un commento di S. Gregorio: « Il padre esigeva che Gesù discendesse fino alla sua casa per guarirgli il figlio. Voleva la presenza umana di Colui che con la sua divinità è dappertutto. Se la sua fede fosse stata perfetta avrebbe senza dubbio saputo che non c’è luogo dove Dio non sia e non operi » (In Prover., 28). Questo è lo sbaglio, non di quel magistrato soltanto, ma di moltissimi altri uomini, i quali benché abbiano studiato sul catechismo che Dio è l’onnipotente, nella pratica della vita vivono come se ciò non fosse. Eppure, la terra è piccola come uno sgabello per la divina immensità (Is., LXVI 1) e tutte le acque del mare possono stare accolte nel pugno di Dio, e i cieli possono essere sostenuti dalle palme delle sue mani (Is., XL, 12). Dice Geremia: « Ingannatore e impenetrabile è il cuore dell’uomo, e nessuno lo può conoscere. Ma il Signore lo indaga e lo scruta, e vede ogni secreto ed a ciascuno dà il suo in proporzione giusta delle sue opere » (XVII, 9-10). – Oh, se il pensiero della presenza di Dio illuminasse i giorni della nostra vita, noi avremmo un presidio nel male, e un conforto nel dolore. – 1. UN PRESIDIO NEL MALE. Ricordati che Dio ti vede e non cadrai in peccato. Tra le leggende antiche si trova anche che il re Antioco, avendo fermato l’esercito in una pianura, udì dal suo padiglione due soldati che mormoravano contro dì lui. Il monarca cacciò fuori la testa dalla tenda e disse ai due imprudenti: « Fatevi più in là che io non vi senta ». Quei miseri tremarono dallo spavento e fuggirono. Ma dove potranno fuggire coloro che discorrono di cose oscene e blasfeme perché Dio non li senta? E allora, chi può determinarsi ad offendere Iddio, ove pensi che è presente, e lo vede, e conosce anche i suoi desideri malvagi e i suoi pensieri maligni? lo scellerato più infame non osa commettere un omicidio davanti al giudice che potrebbe sull’istante punirlo; il servo non osa trasgredire gli ordini in presenza del padrone; il disonesto arrossisce e fugge appena s’accorge d’essere veduto; il ladro non ha coraggio di rubare quando sa che un bambino lo vede. Ebbene, se la presenza anche di un fanciullo, o del più volgare uomo arresta il colpevole in mezzo a’ suoi disordini, come non ci arresterà dal commettere il male la presenza di Dio accusatore, testimone, giudice, e vendicatore della colpa, d’un Dio che tutto vede? Ci fu un tempo sulla terra in cui tutti gli uomini erano diventati cattivi, ed ogni pensiero del loro cuore, era sempre rivolto al male così che Dio si pentì d’averli creati. Eppure, uno ve n’era che in mezzo all’orribile corruzione universale aveva saputo conservarsi buono. Come aveva fatto? Non sentiva egli l’impeto delle passioni, la lusinga del peccato, il fascino dei cattivi esempi? Forse egli era di una meno debole natura? No; anch’egli era di carne e di sangue come gli altri: Noè camminava davanti a Dio (Gen., VI, 9). Dopo molte peripezie un giovanotto giudeo era capitato a servire una famiglia ricca d’Egitto. Ma la padrona di casa voleva indurlo a peccato. « Come potrò io peccare davanti a Dio? » ripeteva Giuseppe alla donna di Putifar; e fuggì lasciandole nelle mani il mantello suo (Gen., XXXIX). E chi diede forza a Susanna di sventare l’insidia di due uomini? «Meglio cadere vittima — esclamò — che peccare in presenza di Dio » (Dan., XIII, 23). E levò un grido che accorse gente nel giardino. Il pensiero della presenza di Dio non solo ci deve salvare dal peccato; ma ci deve anche aiutare a risorgere se mai in esso per disgrazia fossimo caduti. Adamo ed Eva dopo la colpa corsero a nascondersi: ingenui! s’illudevano d’occultarsi all’occhio di Dio. Ma tosto udirono la sua terribile voce avvicinarsi: « Adamo, dove sei? », Ramingava Caino per i deserti e le boscaglie, disperatamente fuggendo dalla faccia di Dio; ma l’occhio di Dio batteva implacabile la sua coscienza lorda di sangue fraterno. La voce di Dio, l’occhio di Dio sono continuamente sull’anima dei peccatori: e come possono resistere essi in tale stato senza confessarsi? Egli li guarda, ed essi non hanno la veste nuziale: ma perché non temono di momento in momento d’essere gettati nelle tenebre esteriori dell’inferno? Dio mi vede! questo pensiero strozza il peccato e lo mette in fuga. Quando il demonio muove all’assalto dei vostri cuori, dite: Dio mi vede! Quando le passioni cercano di sedurvi, dite: Dio mi vede! Se gli amici, i compagni vi vogliono indurre al male, dite: Dio mi vede! Con questo pensiero, vincerete! E non solo vincerete il male, ma avrete conforto nel dolore. – 2. CONFORTO NEL DOLORE. Il primo conforto è quello della preghiera sincera e affettuosa. Quando si pensa che Dio è con noi, ci vede, ci ascolta, ci ama teneramente, dal nostro cuore s’elevano le orazioni più belle, le parole ci spuntano sulle labbra, senza cercarle, e noi parliamo a Dio lungamente senza stancarci mai. Questa preghiera fatta alla viva presenza di Dio è la più efficace, è la più consolatrice. Si rimane meravigliati davanti a quegli uomini di preghiera che furono i santi. Come facevano a pregare notti intere, settimane e settimane, senza quasi interruzione? Essi sapevano stare alla presenza di Dio così da sentirlo vicino, da vederlo con gli occhi. Questo ci spiega ancora perché i santi, nonostante le molte afflizioni, apparivano sempre lieti. Quale forza, e quale sollievo non sentiremmo noi nelle fatiche del lavoro e del commercio quotidiano, se dicessimo frequentemente: « Dio vede tutto, tutto esamina, terrà conto d’ogni sorta di sudore ch’io verso per il pane de’ miei figliuoli, per il sostentamento della mia famiglia? ». Un santo religioso ripeteva nella sua semplicità: « Quando devo fare qualche lavoro, io prendo con me Gesù, lavoro insieme con Lui; per verità, in due il lavoro rende di più e pesa di meno, specialmente poi se uno di questi due è il Signore ». Cristiani, santificate le vostre fatiche d’ogni giorno con la presenza di Dio. Questo pensiero ci reca ancora un gran conforto in tutte le tribolazioni. Certe volte gli uomini ci calunniano, e noi innocenti siamo guardati con disprezzo, con risa maligne: certe altre volte ci sentiamo incompresi in casa nostra, poco amati, poco considerati, troppo trascurati; certe volte ancora abbiamo soffocanti apprensioni per il nostro avvenire e ci angustiamo per le strettezze finanziarie, per le difficoltà d’ogni genere… Oh, come in questi momenti è dolce, è buono; pensare che Dio è con noi, sa tutto, può tutto. Una volta Santa Teresa era angosciatissima: i suoi dispiaceri erano tanti e tali che non le riusciva più d’inghiottire un boccone e la sola vista del cibo le provocava vomiti strazianti. Trovandosi in questo stato, una sera, mentre stava a tavola e non sapeva decidersi a tagliare il pane, si fece coraggio pensando che Gesù la vedeva presente così, che Gesù comprendeva la sua tribolazione amara. E Gesù a un tratto le apparve visibilmente, e a lei sembrò che spezzasse il pane e glielo avvicinasse alla bocca, dicendo: « Mangia, figlia mia! Mi rincresce che tu soffra: ma in questo momento conviene che tu soffra… ». Subito una gran dolcezza le entrò in cuore e si sentì la forza di portare avanti la sua pesante croce. La nostra pesante croce noi pure potremo portarla in rassegnazione cristiana, se sapremo trarre il conforto dalla presenza di Dio. La qual presenza sarà l’unico conforto nei dolori e nei timori del passo estremo. Alessandro Manzoni saliva a Stresa, sulla ridente sponda del lago Maggiore, per visitare l’amico suo morente, il sacerdote filosofo Antonio Rosmini: Lo trovò pallido nel letto, e intravvide ne’ suoi occhi grandi l’ombra della morte imminente. « Come state? ». « Sono nelle mani di Dio: dunque sto bene », Animœ iustorum in manibus Dei sunt et non tanget illos tormentum mortis. (Sap., III, 1). –  Giuda; il Maccabeo valoroso, muoveva guerra contro Timoteo. Ma egli disponeva solo di seimila uomini, e questo di ben centoventi mila fanti e duemila cinquecento cavalieri. I soldati di Giuda, però, camminavano alla presenza di Dio, e Dio combatteva con loro. Ebbene: appena apparve la prima coorte di Giuda, l’esercito immenso di Timoteo si spaventò, e si diede a fuga scompigliata così che venivano travolti gli uni dagli altri, e cadevano colpiti dalla loro spada: avevano visto, in mezzo alla corte di Maccabeo, Dio presente. La vita è una milizia, e noi ogni giorno muoviamo contro nemici fisici e morali visibili e invisibili. Ma se Dio è con noi, chi ci potrà vincere? non la morte, non l’afflizione, non la spada, non la povertà, non le passioni, non il mondo, non il demonio. — ALCUNI DIFETTI DEI GENITORI. Un Regolo giunse a Gesù e lo supplicò: « Signore, ho un figlio che sta male: vieni a guarirmelo ». Il Signore rispose: « Voi chiedete sempre miracoli, e se non vedete prodigi non credete ». Osservate, o genitori cristiani, con quale impeto questo padre è corso a chiamare Gesù per il suo figliuolo, e come voleva condurlo in casa sua davanti al letto della sua creatura malata. « Signore, ho un figlio che sta male: tu me lo devi guarire! Vieni in fretta, altrimenti morrà ». Quanto diversa è la condotta di molti padri e di molte madri che s’affannano a procurare tutto ai loro figli, tranne quello di cui hanno maggiormente bisogno: Gesù. Ci sono genitori che si affaticano per far dei loro figli degli avvocati, dei medici, vi sono altri che si logorano la salute per farli ricchi; altri che s’industriano a renderli abili commercianti, valenti operai; e nessuno penserà seriamente a far dei propri figli dei Cristiani? Questo è vergognoso: eppure in troppi casi è la realtà. Perché, — si domanda continuamente, — il mondo è diventato così corrotto? Perché le nuove generazioni crescono con un’aria d’insubordinazione, di indifferenza religiosa, di malignità? Perché i figli di adesso non sono più come i figli d’una volta? Io penso che a queste domande, vi sia un’unica risposta, perché i genitori d’adesso non sono timorati di Dio come quelli d’una volta. In essi, per venire al pratico, tre sono i difetti principali che li fanno cattivi educatori: la fiacchezza del carattere, l’avarizia, la poca fede. – 1. LA FIACCHEZA DEL CARATTERE. In Silo, ad offrire i sacrifici nel tempio di Dio stava Heli con i suoi due figliuoli. Ma questi erano empi: rubavano nelle offerte, mangiavano le vittime prima di sacrificarle, vivevano lussuriosamente perfino nel recinto sacro. Il vecchio padre sapeva tutto quello che i figli commettevano contro Dio e contro il popolo, e s’accontentava di sgridarli così: « Figliuoli, da tutta la gente sento mormorare per le brutte azioni che fate. Non va bene così! » Naturalmente i figli non se ne curavano. Un uomo di Dio, sospinto dallo spirito profetico, passò davanti alla casa di Heli, e biecamente guardandola disse: « Guai a te, Heli! Sapevi quanto i tuoi figli agivano indegnamente, e non li hai corretti. Perciò ho giurato che la casa di Heli cadrà; e il vostro peccato né da vittima né da offerta si potrà espiare in eterno ». Ed ecco, poco tempo dopo scoppiare la guerra coi Filistei, e Ophni e Phinees furono uccisi. Un soldato corse ad annunciare la sciagura al vecchio padre, che seduto sopra un’alta sedia guardava la strada per cui li aveva visti andare al combattimento. « Che è accaduto? » chiese Heli. E quell’uomo rispose: « Tutto Israele è sconfitto. I tuoi figliuoli sono morti. L’arca di Dio fu presa ». Appena dette queste parole, Heli cadde all’indietro dalla sua sedia, vicino alla porta, e rottosi il collo morì (I Re, II-IV). Questo pauroso esempio della Storia Sacra esprime molto chiaramente che la debolezza nel correggere diventa la rovina eterna dei genitori e dei figli. Chi risparmia il castigo meritato, odia, e non ama i figliuoli. È così appunto che il tiranno di Siracusa, Dionigi il Vecchio, sfogò il suo odio contro il genero Dione. Gli prese il figliuolo e gli concesse ogni libertà; comandò che ubbidissero ad ogni suo capriccio, senza rimproverarlo o castigarlo mai, in qualunque eccesso riuscisse. Dopo qualche anno lo restituì a Dione, il quale non seppe più riconoscere il figlio, e morì di crepacuore. I grandi nemici dei giovani sono quelli che li lasciano crescere senza insegnar loro la virtù e il timore di Dio. E spesso si trovano dei padri che picchiano brutalmente le loro creatura perché hanno rotto un vaso, prodotto un guasto nella casa: e poi quando li sentono bestemmiare, tenere cattivi discorsi, quando li vedono rubare o trasgredire altri comandamenti di Dio e della Chiesa, non dicono che qualche parola languida di rimprovero e li lasciano fare. Quante volte capita di fermare un padre o una madre e dirle con amorevolezza: « Sentite: le vostre figliuole vestono così sommariamente che fanno scandalo… » e sentirsi rispondere: « Le ho già sgridate cento volte, ma non mi vogliono ubbidire »; Ecco dei genitori fiacchi: ma chi è che comanda in casa? ma chi paga i vestiti? ma chi deve ubbidire? Il Signore anche contro di questi ripete la sua maledizione: « Magis honorasti filios quam me ». Voi potete osservare a qualche mamma: « Sentite: la vostra figlia sta fuori di casa anche quando è troppo tardi e troppo oscuro. Non ha niente da ricamare, da rammendare? dica il Rosario, ma stia in casa » e vi sentirete rispondere: « Il Rosario, la mia figliuola va a dirlo tutte le sere al cimitero ». « Allora è meglio che vada a letto, e non lo dica ». Sembra strano, eppure è così. Possibile che i genitori non vedono le cartoline, i fogli, le illustrazioni che entrano in casa? Possibile che solo essi non sappiano quello che sa tutto il paese? E se lo sanno, perché non hanno energia per metterci un severo rimedio? « Magis honorasti filios quam me ». Se poi fate notare a questi genitori che i loro figli si vedono di raro in chiesa ai Sacramenti, alla Dottrina cristiana, all’Oratorio, vi risponderanno che la colpa è dei preti che non li sanno attirare. Ma prima dei preti, la responsabilità dei figli l’avete voi, o genitori. – 2. AVARIZIA. Spesso, in quelle famiglie dove la religione è quasi spenta, i figliuoli sono considerati come fastidi fin tanto che sono piccoli; e fatti grandicelli diventano oggetto di speculazione e di guadagno. E pur di guadagnare si mandano i figliuoli, giovani e innocenti ancora, a lavorare lontano: non si bada più se sui treni dovranno sentire discorsi e bestemmie, se nelle città si incontreranno in pericoli tremendi per la loro virtù; si guarda soltanto che la giornata sia pingue. O beati quei tempi quando i genitori preferivano avere qualche lira in meno, ma i figliuoli più buoni, più obbedienti, più timorati! Quanto pochi sono quelli che prima di collocare un loro figliuolo a lavoro, riflettono se quel posto è adatto per lui: alle sue forze fisiche, alla sua anima buona, se si troverà tra bestemmiatori, tra gente corrotta, tra persone di sesso diverso. Quanto pochi sono quelli che prima di mettere un fanciullo in un albergo, in un negozio fanno il patto col padrone perché gli lasci il tempo di compiere i doveri di religione. Quando non si ha più nessun interesse se non l’interesse materiale, si comprende come possa avvenire un colloquio simile tra un prete e una mamma. Domanda il prete: « La vostra fanciulla dov’è? ». « È a servizio di una famiglia, in quella città » risponde la madre. « Vi siete informata se è una famiglia onesta e ben composta? » « Non c’è da dubitare: appena scocca la fin del mese, arriva il vaglia. Sono onesti pagatori ». E il prete, sentendosi stringere il cuore, continua: « Anche questo non va trascurato. Ma e in quanto a moralità, a buoni costumi; si trova bene? E la madre, meravigliata quasi della domanda, risponde: « Qui, ci deve pensare il Signore… ». Ci deve pensare il Signore! E allora perché accanto ai figli ha messo un padre e una madre? Il Signore ci penserà, ma per richiederne ai genitori un conto esoso al momento opportuno. Molti in quel momento piangeranno perché non hanno custodito i loro figli, immersi com’erano negli affari. Molti in quel momento piangeranno perché unendoli in matrimonio hanno guardato soltanto al ricco partito, e non alla salvezza spirituale della nuova famiglia. Piangeranno, ma troppo tardi. – 3. POCA FEDE. La causa più dannosa nell’educazione odierna dei figli è la mancanza di fede nei genitori. Mancanza di fede nel ricevere i figli dalle mani di Dio: anzi calpestando ogni più sacra legge della natura, della società, del Signore, si cerca di rifiutarli. Mancanza di fede nel far amministrare a loro i Sacramenti. E si comincia a ritardare il Battesimo, per sciocchi pretesti: aspettiamo da lontano i padrini, aspettiamo che la madre sia in grado di partecipare alla festa. E intanto si lascia una creatura sotto il giogo del demonio, priva della grazia di Dio per giorni e settimane; e se morisse?… Una madre fervente cristiana, dopo molti anni di sterilità fu rallegrata da una bambina. A coloro che gliela porgevano perché la baciasse: « No — rispondeva — adesso no; ma tra breve, appena avrà ricevuto il Battesimo, e sarà fatta figlia di Dio, rigenerata nel sangue di Cristo ». Poche madri vivono di fede così. Mancanza di fede nel pregare. Che differenza fra tante madri d’oggigiorno e quelle dei Santi! Le madri dei Santi quante belle e fervorose orazioni elevavano a Dio e alla Vergine per il loro figlio, quando ancora lo portavano in seno! E poi, in fasce, lo portavano sovente in chiesa nelle ore in cui è più deserta per offrirlo al Signore, e giuravano di morire piuttosto che lasciar cadere in peccato per colpa loro quella santa creatura. E se, cresciuto, lasciava qualche preoccupazione, non imprecavano, non si disperavano, ma pregavano e facevano penitenza. Mancanza di fede nella presenza di Dio. Voi sapete che il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo, è come una pisside di carne in cui è venuto ad abitare il Signore. È quindi con un senso di religiosa adorazione che i genitori si devono accostare alle loro piccole creature, e devono avere orrore di poterle scandalizzare in qualunque modo. Sarebbe un delitto pessimo quello di uccidere la vita dell’anima a quelli a cui si è dato la vita del corpo. A questo pensiero nessun rimorso addolora la nostra coscienza? Nessuna madre può dire di aver mancato di delicatezza nel vestire, portare, fasciare, nutrire i propri bambini? E magari in presenza dei più grandicelli? Infine, mancanza di fede nell’offrire i figliuoli a Dio in una vita di perfezione. Mancano i sacerdoti, i missionari, i religiosi; perché? Perché mancano i padri e le madri degni di ricevere la grazia immensa d’avere un figlio Sacerdote, missionario, religioso. Perché, o genitori, non chiedete a Dio questa grazia? O forse Iddio già ve l’ha fatta e voi gliel’avete rifiutata? Un giovane si presentò al guardiano di un convento di Cappuccini in Francia per esservi accettato. Fu ammesso. Ma i suoi genitori furenti accorsero e lo strapparono dal coro ove pregava e lo condussero nel mondo. Passarono pochi anni, e quel giovane divenne un sanguinario massacratore di innocenti: Massimiliano Robespierre. – Nel 1271 un cavaliere del re di Navarra, conducendo sui monti il principino ereditario, per sbadataggine lo lasciò precipitare nell’abisso. Vedendolo sul fondo insanguinato e immobile, il cavaliere fu preso da un tremito di disperazione. « Non c’è perdono per me — gridò — non c’è misericordia! ». E dicendo così, egli pure si precipitò nel vuoto. Genitori, i vostri figliuoli non sono proprietà vostra assoluta, ma vi furono affidati da Dio, il Re dei re e il Signore dei signori, perché li conduciate salvi attraverso i monti della vita! Guai, se per colpa vostra, al giudizio finale dovreste vederne qualcuno cadere nell’abisso dell’inferno. Non più perdono ci sarebbe allora per voi, non più misericordia! Tutta la Trinità santissima vi maledirebbe: vi maledirebbe l’Eterno Padre perché avendovi scelto a partecipare del suo nome di Padre, voi ne usaste in rovina delle anime! vi maledirebbe il Figlio perché invece di cooperare alla redenzione, avete aiutato il demonio alla perdizione! vi maledirebbe lo Spirito Santo, perché gli avete ostacolato la santificazione dei vostri figliuoli. Gli Angeli custodi, a cui avete reso inutile la vigilanza, accorrerebbero contro di voi, a precipitare voi pure nell’abisso dell’inferno in cui, per colpa vostra, avete lasciato cadere un vostro figlio. Ma non sia così.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps CXXXVI: 1
Super flúmina Babylónis illic sédimus et flévimus: dum recordarémur tui, Sion.

[Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti e abbiamo pianto: ricordandoci di te, o Sion.]

Secreta

Cœléstem nobis præbeant hæc mystéria, quǽsumus, Dómine, medicínam: et vítia nostri cordis expúrgent.

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che questi misteri ci siano come rimedio celeste e purífichino il nostro cuore dai suoi vizii.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

 Sanctus

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps CXVIII: 49-50
Meménto verbi tui servo tuo, Dómine, in quo mihi spem dedísti: hæc me consoláta est in humilitáte mea.

[Ricordati della tua parola detta al servo tuo, o Signore, nella quale mi hai dato speranza: essa è stata il mio conforto nella umiliazione.]

Postcommunio

Orémus.
Ut sacris, Dómine, reddámur digni munéribus: fac nos, quǽsumus, tuis semper oboedíre mandátis.

[O Signore, onde siamo degni dei sacri doni, fa’, Te ne preghiamo, che obbediamo sempre ai tuoi precetti].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (273)

LO SCUDO DELLA FEDE (273)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (16)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XVI

MIRACOLI

I. I miracoli sono impossibili. II. Dei miracoli più non se ne sono. III. Magnetismo, tavole parlanti. IV. È impossibile conoscere se un fatto sia miracolo o no.

I miracoli sono la prova più splendida che la religione vantano a suo favore, e prova che parla ai sapienti, non meno che agli ignoranti, e prova che s’intende eziandio da chi non ha gran forza d’intendere. Non è dunque maraviglia che dagl’increduli sia così frequentemente impugnata e così spesso derisa: ma chi consideri alquanto a bell’agio le ragioni con cui viene impugnata, vedrà chiaro con quanto infelice successo il facciano.

I. Dicono in primo luogo alcuni che i miracoli siano impossibili. A un solista che negava la possibilità del moto e che difendeva questa sua balordaggine con infinite ragioni, un antico non diede altra risposta che questa. Presolo sotto il braccio, gli fece fare il giro per tutta la sala ove disputava, e poi l’interrogò: È egli possibile il moto? Or noi potremmo dire il somigliante nel nostro caso. Vi ha egli dei miracoli? Sono essi provati con tutto rigore? se vi sono, dunque sono possibili: questa risposta non ammette replica. E tuttavia questa prima osservazione può afforzarsi con un’altra d’immenso peso. Se i miracoli sono impossibili, non per altro il sono se non perché involgono una intrinseca repugnanza. Ora che cosa diventa tutto il Vangelo, il quale ne racconta tanti operati da Gesù Cristo e dagli Apostoli, se ci narra come verità fatti impossibili, perché repugnanti intrinsecamente? Tutto il Vangelo, quindi tutto il Cristianesimo con tutte le sue opere e tutte le sue meraviglie, diventano una favola. Eppure tant’è; se essi involgono intrinseca contraddizione, niuno ha mai potuto operarne pur un solo. Come al contrario se un solo miracolo è stato operato, non è più impossibile operarne migliaia. – Tuttavia, ascoltiamo un poco la ragione di questa pretesa impossibilità. Se succede un miracolo, dicono, questo sarebbe una violazione delle leggi fissate ab eterno da Dio; dunque, Iddio cambierebbe i suoi decreti, dunque diventerebbe mutabile siccome noi. Ho sentito io più d’una volta fare questa difficoltà e con tal aria di trionfo come se per mezzo di essa si dovessero confondere tutti i dottori ed atterrare tutto l’edilizio della santa Chiesa. Orsù adunque vediamone tutta la forza. Iddio ha stabilite le leggi della natura? Signor sì. Iddio le ba stabilite immutabilmente? Sia pure. Le ha stabilite da tutta l’eternità? Concediamo anche questo. Dunque non può più farvi eccezione di sorta coi miracoli? State attento che non vi sguizzi di mano la conseguenza. Imperocché Dio non aveva da tutta l’eternità anche presente quell’occasione in cui, per un suo giusto fine, poteva fare a quelle leggi una eccezione ? Certo sì, se non gli negate la scienza del futuro. Or se nel sancire ab eterno le leggi della natura, avesse sancito anche che quelle leggi rimanessero sospese in determinate occasioni, non sarebbero anche queste sospensioni decretate ab eterno? Un orologio dispone il moto continuo delle sue ruote, ma per aver poi al debito tempo lo scocco delle ore, ha egli bisogno di mutare il meccanismo dell’oriuolo? niente affatto. Egli prevede l’uno e l’altro insieme, e mentre dispone il moto successivo delle ruote, ordina anche lo scocco a tempi opportuni. Così Iddio mentre sancisce le leggi ordinarie e continue della natura, costituisce eziandio le eccezioni che Egli vuol farvi a tempo determinato. Or dov’è qui il cambiamento di Dio, la violazione de’ suoi decreti e tutta la pretesa impossibilità?

II. Dei miracoli or più non se ne fanno. Ebbene fosse anche vero che più non se ne facessero al presente, forse perciò rimarrebbero astratti quei che si fecero in passato? Dunque non sarebbero le attestazioni di cose pubbliche, avvenute al cospetto di moltitudini intiere? Dunque non sarebbero più da credere i Santi più grandi e gli uomini più dotti, che resero testimonianza a quello che videro coi loro occhi? Se non ci fossero al presente miracoli, niuno però distruggerebbe il fatto dei miracoli passati, i quali comprovano la verità del Cristianesimo. – Ma è poi falsissimo che non ve ne siano più al presente. Nella Chiesa cattolica non vennero meno in verun secolo, ed essi durano fino ai di nostri. Se io volessi citarne alcuno avvenuto sotto i miei occhi, io il potrei fare; ma io non ho diritto di essere creduto sulla parola: ben citerò quelli che nelle cause dei Santi ogni giorno sono esaminati in Roma. Non si tratta in esse di miracoli , de’ quali possono essere molti e di ogni fatta i sindacatori? Si istituisce l’esame di essi dinanzi ad uomini d’ogni nazione, sulla fede di testimonii oculari e tanti in numero, che escludo ogni possibilità d’errore; si consultano gli uomini più esperti delle scienze per verificare se gli effetti, di cui si tratta, possano spiegarsi in qualche modo naturalmente; e si ventila tutto ciò con tutto rigore, che fino a tanto che resta un’ombra di dubbio in contrario, si soprassiede al tutto dall’approvazione di essi. In niun giudizio criminale si richiedono tante prove per mandare un accusato al patibolo, quante ne richiede la Chiesa prima di definire la verità di un miracolo. Si veggano queste cautele enumerate da Benedetto XIV, si leggano i processi, le posizioni, le consultazioni che si fanno in proposito, e poi s’impugni la loro certezza e verità. Ora di questi ve ne ha una sequela continua di età in età fino a’ dì nostri. – E mi limito a questi soli, per non dir nulla di quei tanti più che sono indubitatissimi, e che tuttavia accadono di frequente anche ai nostri tempi. La Vergine benedetta ne’ suoi santuarii ne impetra ogni anno di molti e solenni e strepitosi. In Italia S. Antonio da Padova, S. Luigi Gonzaga, S. Filippo Neri, S. Francesco di Girolamo, ne sono una inesauribile sorgente. In Francia alla tomba di S. Francesco Regis ne succedono ogni anno ed indubitati secondo ogni regola di critica più severa. In Ispagna l’Apostolo S. Iacopo e S. Isidoro non vengono mai meno alla fede dei lor devoti. S. Francesco Xaverio ne ha riempito tutto l’Oriente, e fino a’ dì nostri è un verissimo taumaturgo. Io so bene che con un sorriso di disprezzo certi profondi filosofi de’ nostri tempi si spacciano di queste testimonianze: ma possiamo anche noi con un sorriso di compassione spacciarci di tutte le loro beffe ed irrisioni, e mantenere esser falsissimo che il tempo dei miracoli sia passato. – Quel che solo può accordarsi è che ora non procedano con quella frequenza onde già accadevano nei primi tempi, ma anche di ciò vi è buona ragione che dimostra così dover essere. S. Gregorio osserva opportunamente, che agli arboscelli s’infonde l’acqua più frequentemente finché sono teneri, poiché non reggerebbero ai venti ed al solleone altrimenti, ma gettate che abbiano profonde radici e cresciuti in bel corpo si abbandonano a quelle piogge che il cielo manda a’ tempi consueti. Similmente nei primi anni ed in faccia agl’infedeli che avevano da convertirsi, erano più necessari i miracoli, quali mezzi straordinari che rendevano credibile la fede; laddove ai nostri tempi, stabilita già essa universalmente ed allevati in essa i fedeli fin dalle fasce, più non abbisogniamo di questi mezzi tanto straordinari. – Molto più che la fede allora di niun’altra prova poteva confortarsi meglio, che di quella che si trae dai miracoli, mentre a’ dì nostri ve ne sono altre molte che tengono le veci di quella. A’ dì nostri può la fede schierare in bella mostra tante profezie che di secolo in secolo si sono avverate; può la Chiesa romana mostrare la sua durata, la sua dilatazione, le sue lotte, le sue vittorie, la costanza dei suoi martiri, la successione non interrotta dei suoi pastori, e andate dicendo. Tutte queste prove, col volgere dei secoli, acquistano sempre forza maggiore, e però non è meraviglia che essa non abbisogni più tanto di quelle prove, che ai primi tempi erano quasi le sole. Nel che finalmente si discopre la bellissima economia con cui Iddio regge tutta la Chiesa, rifornendola in vari tempi di vani aiuti, secondo che essa ne abbisogna.

III. Se non che una nuova difficoltà presenta il nostro secolo contro i miracoli, colla quale si crede di atterrarli tutti e per sempre. Il mesmerismo o magnetismo animale, che vel vogliate chiamare, non basta esso solo coi suoi fatti stupendi a decifrare tutti i miracoli? Basta considerare i fenomeni della lucidità magnetica per rimanerne convinti. E se a questo primo ordine di fatti voi aggiungete le tavole parlanti, semoventi e gli spiriti che vengono sino dall’altro mondo per recarci novelle di loro, avrete tolta perfino l’ombra dei miracoli. Così discorrono non pochi a voce, ed alcuni anche in istampa. Veramente se non si udissero colle proprie orecchie certe assurdità, non si potrebbero credere; ma pure è così. – Prima però di rispondere direttamente a queste difficoltà, vi prego, o lettore, a fare un’osservazione generale. I libertini dicono sempre che essi non possono credere, che la ragione loro nol consente, che noi Cattolici siamo troppo creduloni; e poi quando si viene al fatto, non vi è razza al mondo che creda più di loro e di primo slancio ad ogni assurdità, purché col favore di essa possano discredere a Gesù Cristo. – Nel secolo scorso, come ognun sa, l’incredulità toccò il sommo a cui possa pervenire, mercè i filosofi e gli enciclopedisti. Ebbene, qual cosa non fu creduta? Quelli che, per ragione di critica, non potevano credere al vecchio ed al nuovo Testamento, poterono credere subito a tutte le fole degli annali cinesi, scritti evidentemente per adulare il popolo con una favolosa antichità, sperando di potere con essi dimostrare falsa la cronologia della Genesi. Credettero che un codice scoperto nell’India, ed opera di un recente missionario, fosse di un’età antichissima, sperando di potere con esso dimostrare, essere bastante la ragione a scoprire il vero senza il lume della rivelazione. Credettero che due emisferi scoperti in Egitto rappresentassero una configurazione del cielo non possibile ad aver luogo, se non tanti secoli prima dell’epoca di Mosè determinata al mondo. Credettero sulla fede di viaggiatori umoristici che vi avessero popoli senza culto; credettero che in certe parti d’America v’avessero uomini colla coda; credettero che al di là del Giordano i Giudei avessero regni fiorentissimi: e che non credettero sulla speranza di poter impugnare un testo della Scrittura o recare in dubbio un fatto di essa? Come va dunque che, mentre credono tante cose incredibili, penano poi tanto a credere mirali pubblici, solenni, attestati da uomini dotti, comprovati da uomini santi, che incontrerebbero mille morti piuttostoché mentire in sì grave materia? Se alcuno rispondesse che il solo odio portano alla cattolica verità ne è la causa, andrebbe poi forse lungi dal vero? – Ciò presupposto, veniamo a noi: il mesmerismo e lo spiritualismo possono forse torre fede ai miracoli? Niente affatto: neppure indebolirla presso chi ragioni anche per poco. Io dirò nel capo seguente qualche cosa della malizia e perversità di questi tentativi, qui mi limiterò a sciogliere la difficoltà che da essi si trae contro i miracoli. Suppongo per un momento che siano verissimi tutti i fenomeni, che ci spacciano i più esperti ammiratori di cotesta nuova scienza. Concedo che i magnetizzati leggano ad occhi chiusi ciò che è scritto anche in lingue ignote, che scoprano nelle viscere degl’infermi i malanni che li tormentano, che conoscano i rimedi che stanno occulti nelle viscere della natura, che vedano il presente e l’avvenire, quel che han dappresso e quel che è lontano. Similmente concedo che le tavole si muovano da sè medesime, parlino, rispondano ai quesiti che lor si fanno, che gli spiriti vengano dall’altro mondo e si diano a conoscere e rivelino arcani segreti e tutto quello che volete. Ammetto per un momento quanto sanno chiedere da noi gl’impugnatori dei miracoli: ma dopo tutto ciò fo loro alcune domande. Come dite adunque che sono scoperte del nostro secolo tutte queste scienze, quando poi pretendete che gli antichi non solo le conoscessero, ma se ne valessero a fare quei prestigi, che poi vendevano alle moltitudini come miracoli? Qui vi è contraddizione. Dovreste dire piuttosto che il secolo nostro ha messe fuori tutte queste invenzioni, perché le aveva vedute nei nostri taumaturghi. – In secondo luogo, come avvenne poi che nell’antichità, a conoscere tali segreti, non fossero altro che gli uomini riconosciuti di virtù più perfetta, di vita più incolpata, mentre tutti i loro coetanei, d’ingegno e di espertezza anche maggiore, non ne ebbero mai sentore? È strano davvero l’accoppiamento dello spiritualismo e del magnetismo antico colla santità; certo a’ nostri giorni è meno schizzinosa cotesta scienza e si affratella con tutti, ed i maligni dicono anzi che bazzica più frequente coi dissoluti e colle baldracche. – Terzo, i miracoli de’ tempi andati li leggiamo costantemente operati in ordine a confermare qualche verità importante per fini di gloria del Signore o per vero vantaggio delle anime, non mai per leggerezza o motivi frivoli, e molto meno peccaminosi; ora come avviene che al presente i fenomeni dello spiritualismo e del magnetismo si adoprino per curiosità vanissime, spesso gravemente peccaminose? Come è avvenuto questo cambiamento? – Di più il magnetismo e lo spiritualismo potranno fare le più nuove maraviglie del mondo, ma quando sono attuati in quella maniera che viene prescritta dai professori di codeste arti. Per esempio, affine di avere consulti in fatto di sanità, bisogna prima che si trovino due persone, un magnetizzatore ed una magnetizzata; bisogna che questi sia dotato di un fluido magnetico più gagliardo che non è quello dell’altra; bisogna che si accordino insieme con la volontà; bisogna che questi operi sopra di essa non fosse altro che col guardo o col comando, o con un atto di volontà, affinché ella entri nel sopore voluto: da questo stato deve ella passare a quello che chiamano di lucidità: finalmente s’ha da porre la magnetizzata in relazione colla persona intorno a cui si consulta, o si faccia poi per mezzo della viva presenza, o dei capelli, o di checché altro abbia alla medesima appartenuto. Similmente, per evocare uno spirito dall’altro mondo, ci vuole una persona che faccia da mezzana (medium); bisogna che vi sia una convenzione di segni che equivalgano a parole; bisogna far domande per averne risposte, e che so io. Poi tutto si riduce in ultimo ad avere dei consigli, delle parole, non mai dei fatti. – Ora, quando si tratta dei miracoli de’ nostri Santi, non si vede nulla di tutto ciò; poichè sono fatti nelle circostanze che escludono persino la possibilità d’attuare que’ mezzi, con cui voi affermate che diventerebbero effetto naturale, ed escludono le operazioni magnetiche e spiritualistiche, se mi è lecito parlare così, sino alle ultime tracce. – I nostri miracoli avvengono talora intorno all’aria, al fuoco, all’acqua, o ad altra creatura insensata. Ad un segno di croce vedete incendi spenti, turbini acquetati, tempeste sedate, veleni rimasti senza virtù, e che so io: si può dunque magnetizzare l’aria, i turbini, l’oceano, la natura inanimata? I nostri miracoli si operano spesse volte da un solo, il quale risorge tutto improvviso da un letto ove giacevasi moribondo, o cammina sopra le acque, o non brucia tra le fiamme: or dov’è qui la magnetizzata o il medium per cui mettere in atto quelle cause? Succedono i nostri miracoli frequentemente alle tombe dei Santi, dove altri ricovera le forze, altri la mente, altri le membra perdute, altri la calma di spirito. Or come avviene ciò? Forse i morti magnetizzano i vivi, o fanno essi da medium ed ogni cosa? Succedono i nostri miracoli ad una semplice invocazione dei Santi che regnano in cielo, o col contatto d’una reliquia, o col riverirli in una immagine. Potrà dunque ognuno che il voglia da sè magnetizzarsi e da sé imperare agli spiriti per averne qualunque effetto? – Ma soprattutto i nostri miracoli non sono parole, sono fatti. Tutte le dicerie dei magnetizzati, tutte le rivelazioni degli spiriti si riducono a consigliarvi quel che avete da fare o dire per giungere ad un vostro intento, ma non vel fanno ottenere nel punto stesso. Nei nostri miracoli interviene tutto l’opposto. Non vi prescrivono le medicine che avete a prendere per divenir sano, ma vi dànno la sanità; non vi consigliano quel che avete a fare per raccattare il senno, ma ve lo restituiscono; non v’indicano come spegnere un incendio, come abbonire l’aria, come far rivivere un defunto, ma nell’atto medesimo vi conferiscono la grazia desiderata. – Prendete dunque qualche miracolo dei più indubitati e provatevi a darcene la spiegazione. Sia, per esempio, il miracolo insigne del SS. Sacramento avvenuto in Torino, che diede origine alla bella chiesa innalzata in onore del Corpo santissimo del Signore. Il fatto fu così: un ladro sacrilego tolse ad una chiesa una pisside con dentro un’ostia consacrata, ed ascosala dentro un sacco p0sto sopra un giumento, attraversava con esso una piazza. Giunto a cotal luogo, la bestia si ferma e non vuol più dare un passo, il sacco da sé si scioglie, l’ostia si sprigiona, e raggiante tutta di si leva in aria e si mostra sì a lungo, che tutta la città, tutto il clero, tutta la magistratura con una turba innumerevole di cittadini hanno tempo ad accorrervi, e sono testimoni che ella scende da sé medesima in una nuova pisside che l’Arcivescovo le presenta. Ora, in un fatto tale, io chiedo dove trovate le condizioni richieste dal magnetismo e dallo spiritualismo? E quando Francesco Xaverio, benedicendo parecchie botti di acqua di mare, le fa con un segno di croce diventar dolci, per provvedere ad oltre cinquecento persone che si morivano di sete e che sono testimoni del fatto, dove trovate voi le condizioni volute dalla scienza di cui parliamo? E se non vi sono le condizioni richieste da voi medesimi ottenere l’effetto, come non riconoscete per ottenere che l’effetto non di può spiegare con quelle cagioni? – Il perché ogni qualvolta impugnerete i nostri miracoli, dicendo che quegli effetti si possono ottenere naturalmente col favore dei vostri trovati, noi avremo sempre ragione di rispondervi: sia pure che li possiate ottenere, ma ciò sarà sempre, impiegandovi i mezzi voluti dalla vostra arte; ma se i nostri Santi li ottengono senza quei mezzi, non vedete voi che l’effetto, come è prodotto da loro, non può essere naturale? Voi coll’aiuto delle vostre arti farete mirabilie, guarirete infermi, camminerete sul mare, volerete per l’aria, commoverete la terra, farete balzare anche i cadaveri dalla tomba: vogliamo concedervi tutto; ma farete tutto ponendo in atto le vostre scoperte, i vostri mezzi, i segreti della vostra scienza: laddove i nostri Santi, facendolo senza quei mezzi, produrranno sempre un effetto miracoloso, un vero miracolo. – Per ultimo, se tutti que’ fatti che noi chiamiamo miracoli, non sono altro che effetti naturali, perché non li rinnovate ogni volta che l’occasione vi si presenta? La natura è costante ne’ suoi effetti; voi avete in mano la natura, perché dunque non la fate agire a vostro talento? Perché non ci scoprite le cose lontane, perché non curate le infermità, perché non estinguete gl’incendi, perché non frenare le piogge, perché non risuscitate anche qualche cadavere da morte a vita? Gli altri effetti naturali si rinnovano ogni qual volta riescono necessari, perché non anche questi che sarebbero sì nuovi, sì utili, sì meravigliosi? Per verità, onde acquetarsi a simili spiegazioni dei miracoli, bisogna non solo avere un grado di malizia superlativo, ma averne ancora uno maggiore di dabbenaggine e di ignoranza. Non sapere quel che sia miracolo, non sapere quel che sia magnetismo né spiritualismo, e parlare solo perché si ha la potenza fisica di parlare. E questa risposta vale, come ognun vede, nella supposizione che siano veri tutti i fenomeni che si attribuiscono allo spiritualismo. – Ora, se si consideri poi che molti di que’ fenomeni altro non sono che imposture e giuochi di mano, come il concedono gli stessi loro fautori; se si aggiunga che molti di quei tentativi non sono altro che gravi e mostruosi delitti, invocazioni diaboliche, superstizioni già dannate in antico da santa Chiesa; comprenderà ognuno quanto ne fossero alieni quegli uomini Santi, ai quali la storia ascrive il potere di far miracoli. Da qualunque capo pertanto si consideri la proposta difficoltà, essa non regge per verun modo.

IV. Insistono tuttavia col dire: eppure chi conosce tanto la forza della natura, da potere affermare con sicurezza, che quell’effetto da noi chiamato miracoloso, non sia poi invece un segreto della natura che ancora non conoscevamo? Bisognerebbe, per poter dire che un effetto è miracoloso, saper prima sin dove possano giungere le forze della natura. Or chi può presumere tanto di sé? sarà dunque sempre incerta l’esistenza di un miracolo. È mirabile come gli uomini, che a’ nostri giorni si vantano di sapere ogni cosa, di avere spiati gli arcani più riposti della natura, confessino poi tanto volentieri la loro ignoranza, quando credono di potere da essa trarre un dardo da avventare contro la religione. Concediamo dunque loro e di buon grado, che siano ignoranti delle stesse forze della natura: aggiungiamo anzi che non si credano tali soltanto per modestia, ma che si persuadano che sono tali in verità; dunque che ne conchiudono? Perché non sappiamo fin dove si estendano le forze della natura, non sapremo almeno questo, che esse qualunque siano, non possono contraddire a sè medesime? e che sono rette da leggi costanti? Se sappiamo questo, ne abbiamo assai per riconoscere i veri miracoli. Impero ché ogni qual volta vedrò in un essere un’operazione contraria alla sua natura, oppure una violazione di quelle leggi che l’esperienza mi ha fatto conoscere costanti, quando vedrò una legge costante ad universale della natura essere cambiata senza cagione naturale, sempre affermerò senza tema di errare, che vi è intervenuta una causa superiore all’umana, cioè il miracolo. Così, a cagione di esempio, senza conoscere tutte le virtù del fuoco, io so almeno che esso abbrucia un corpo umano nello stato naturale, qualora ad esso si apprenda; ora se vedrò che un corpo umano nello stato naturale non solo non ne resti da esso abbruciato, ma ne riceva anzi refrigerio, e ciò per un mezzo non proporzionato allo scopo, qual sarebbe un segno di croce, io, senza tema di errare, dirò essere accaduto un miracolo. E perché così? Perché non può comporsi insieme alla virtù disgregante che ha il fuoco, la virtù opposta che qui esercita; sarebbe un essere in sè medesimo contraddittorio. – La costanza delle leggi naturali mi somministra un’altra ragione non meno invitta. Qualunque siasi il termine a cui può arrivare una forza creata, certo è che nelle stesse occasioni e nelle stesse circostanze sempre opera il medesimo. La sperienza di tutti i secoli, per non ricorrere qui alle ragioni, il dimostra sì chiaro, che non è possibile il negarlo. L’acqua ha sempre bagnato, sempre bruciato il fuoco, sempre illuminato il sole, sempre germinato la terra, sempre ferito il coltello e andate dicendo. Nelle circostanze medesime è costante l’averne gli stessi effetti della natura. Ma se dunque io vedo ad una benedizione data, all’invocazione di un Santo, al contatto di una reliquia, cambiarsi siffatte leggi in qualche caso particolare; come non sarò certo che non è opera della natura, ma che vi è un intervento di virtù straordinaria? Se fossero naturali quei fatti, si dovrebbero ripetere ogni volta che si pongono in atto le medesime cause: e con una benedizione, e con una reliquia si opererebbero costantemente le stesse meraviglie. Che se ciò è evidentemente falso, resta dunque chiarito che é tutt’altro che impossibile l’accertare l’esistenza dei miracoli. – Finalmente, dicono certuni, io non posso ridurmi a credere certi fatti che leggo in alcuni libri…. mi pare che siano sì poco provati, sì strani…. Voi non potete crederli? La risposta è molto facile non li credete. Quando propugniamo l’esistenza e la verità dei miracoli, non vogliamo dire che tutto quello che si spaccia per miracolo sia veramente tale. – Fra i miracoli, che abbiamo obbligo di credere, sono quelli che si leggono nelle sacre Scritture, sia del vecchio, sia del nuovo Testamento, i quali sono testificati dallo Spirito Santo autore della Scrittura. Dopo di questi meritano tutta la nostra fiducia quelli che la santa Chiesa esamina ed approva per la beatificazione dei Santi, posta l’assistenza che essa ha in tutte le sue indagini, e non sarebbe senza temerità l’impugnarli; ma gli altri che si registrano nelle vite dei Santi non hanno altro diritto alla nostra credenza. che quello che loro danno e l’autorità di chi li racconta e le testimonianze che essi allegano, e la critica con cui sono raccontati e confermati. Che se si trovino fatti raccontati senza la debita critica, non solo non vi ha nessun obbligo a crederli, ma è prudenza non crederli: che anzi quando si tratti dei miracoli che posano intieramente sull’umana autorità, ancora che siano confermati dalle leggi della critica, non vi ha obbligo di tenerli per indubitati. Chi non vuol credere nelle cose umane ad un fatto provato vero, sarà ridicolo, se volete, sarà stravagante, sarà ostinato, sarà soverchio diffidente; ma non pecca perciò contro la fede: similmente chi non crederà ad un miracolo che è provatissimo per tutte quelle vie per cui umanamente si prova un fatto, si renderà ridevole e meriterà taccia d’ostinato; ma siccome non gli è proposto dalla santa Chiesa, non per questo sarà infedele. E ciò è sì vero, che la santa Chiesa stessa non vuole che gli scrittori di simili miracoli, non approvati da essa, diano maggior peso d’autorità alle meraviglie che narrano, di quello che meriti un’autorità puramente umana, e vuole che lo protestino fino negli stessi libri in cui li raccontano. Ora, vi può egli esser cosa in sè più discreta, ed agli uomini più agevole? Così lo intendessero tutti i fedeli, come cesserebbero subito tutti i pregiudizi che esistono contro i miracoli! Ma frattanto dove vanno a parare le grandi obbiezioni de’ miscredenti? A disvelare il mal talento di chi le promuove.