IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)
CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA
DI
FRANCESCO SPIRAGO
Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.
Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.
Trento, Tip. Del Comitato diocesano.
N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.
Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.
PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:
FEDE (14).
11 e 12 Art. del Simbolo: i fini ultimi.
I. LA MORTE.
La terra è come un campo di battaglia, dove ogni giorno migliaia di persone cadono. In tutto l’universo ci sono 88.000 morti al giorno, cioè 60 al minuto, 1 al secondo e 32.000.000 all’anno. – Il sonno è un’immagine della morte.
1. LA MORTE DELL’UOMO AVVIENE CON LA SEPARAZIONE DEL CORPO DALL’ANIMA, QUEST’ULTIMAVA NELLA DIMORA DEGLI SPIRITI, IL CORPO SI DECOMPONE IN POLVERE.
Alla morte l’anima si separa dal corpo. Non appena il vapore esce da una macchina, questa si ferma; è lo stesso quando l’anima, il respiro divino, lascia il corpo. S. Paolo chiama la morte una dissoluzione. (II Tim. IV, 6). Il corpo è per l’anima come un involucro, un abito che si toglie al momento della morte. La permanenza dell’anima nel corpo assomiglia alla permanenza delle anime dei giusti nel limbo. Il momento della morte è il momento della liberazione (Marie Lat.). L’anima viene allora liberata dalla sua prigione (S. Aug.). La prova evidente della separazione dell’anima è la cessazione della vita; ciò che animava il corpo è assente. – Alla morte lo spirito ritorna a Dio che lo ha dato (Eccles. XII, 7); questo è il suo viaggio verso l’eternità. (S. G. Cris.). È quindi un errore credere che le anime emigrino in altri corpi umani o animali (metempsicosi egizia, greca, indù), o credere che l’anima cada in un sonno da cui si risveglierà solo nell’ultimo giorno. Al contrario, è il corpo che dorme durante questo sonno. – Dopo la morte, il corpo si decompone. Esso è della terra e ritorna alla terra, secondo la sentenza del paradiso. (Gen. III, 19); fanno eccezione, per un ovvio motivo, i corpi di Gesù e di Maria. Miracolosamente, alcuni corpi o alcuni membri dei santi sono rimasti intatti fino ad oggi. Ma nell’ultimo giorno tutti i corpi risorgeranno; il sonno della morte è quindi un sonno con la speranza di una futura risurrezione. (S. Th Aq.). La morte è rappresentata sotto l’immagine di uno scheletro, perché ci dà questa forma orrenda; essa tiene in mano una falce, perché pone fine alla vita dell’uomo con la stessa rapidità con cui il mietitore taglia l’erba del prato. (Sal. CII, 15). Dovrebbe piuttosto essere rappresentata con una chiave, perché ci apre la porta dell’eternità.
2. TUTTI GLI UOMINI SONO SOGGETTI ALLA MORTE, PERCHÈ È UNA CONSEGUENZA DEL PECCATO ORIGINALE.
Con la loro disobbedienza, i nostri primi genitori hanno perso il dono dell’immortalità corporea. Pertanto siamo tutti soggetti alla morte. “Poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo di un solo uomo e la morte per mezzo del peccato, la morte è passata in tutti gli uomini per mezzo di quell’unico uomo nel quale tutti hanno peccato”. (Rom. V, 12). L’uomo che voleva essere uguale a Dio viene profondamente umiliato dalla morte che lo rende capace di espiare la sua superbia. Hênoch (Gen. V, 24) ed Elia (IV Re II) furono gli unici ad essere tolti dalla terra senza morire, ma riappariranno all’ultimo giudizio (Eccl. XLIV, 16; S. Matth. XVII, 11) e poi moriranno, insieme a tutti gli uomini che saranno ancora in vita al momento dell’ultimo giudizio. (S. Th. Aq.) Solo Cristo non era soggetto alla morte, perché era di per sé libero dal peccato; morì, perché l’ha voluto liberamente. – La morte mette i poveri sullo stesso piano dei ricchi; la vita non è altro che un teatro in cui recitiamo, per un breve periodo, il ruolo di un generale, di un giudice, di un re o di una regina, un magistrato, un soldato, ecc. e non rimane nulla del costume che si è indossato. (S. G. Cris.) Anche negli scacchi, ogni pezzo ha il suo posto speciale sulla scacchiera, ma dopo la partita tutti sono rimessi in una scatola; anche nel gioco della vita gli uomini hanno ranghi diversi e alla morte vengono tutti messi nella stessa terra. (Diez). Quando il ricco muore, non può portare nulla con sé. (Giobbe, XXVII, 16). La morte toglie tutte le dignità e tutti gli onori (S. Amb.), anche a coloro che quaggiù primi saranno ultimi e quelli che erano ultimi saranno primi. (Matteo XIX, 30). – La vita è come un sogno che passa in fretta (S. G. Cris.); i nostri piaceri sono come un’ombra (Giobbe VIII, 9), come una tela di ragno, come un vapore visibile per un momento e poi sparito. (S. Giac. IV, l6). – L’ora della morte ci è ignota. Moriremo nell’ora in cui non lo sospettiamo (S. Matth. XXIV, 14); la morte arriverà come un ladro (ibid. 43), ci ghermirà come uno sparviero su uno sparviero, come un lupo su un agnello. (S. Efr.) La vita è una fiaccola che un leggero soffio di vento spegne. (S. Greg. Nis.) Siamo come soldati in congedo che non sono sicuri per un momento che non saranno richiamati (Curato Eneipp). Alcuni rari Santi hanno avuto rivelazioni sull’ora della loro morte; Dio la nasconde agli uomini con grande bontà e saggezza. Infatti, se conoscessimo l’ora della nostra morte, alcuni cadrebbero nella disperazione e altri sprofonderebbero nei disordini più terribili. – Questa ignoranza ci deve portare ad essere sempre pronti a morire. “Siate pronti – disse Gesù – perché il Figlio dell’uomo verrà in un’ora che non conoscete” (S. Matth. XXIV, 44). È anche a questo scopo che ha raccontato la parabola delle 10 vergini (ib. XXV). La morte è un gran signore: non vuole aspettare nessuno, ma esige che tutti lo attendano. (S. Efr.) Se in questo momento non siete pronti, temete di morire male; per una tale vita, una tale morte Coloro che rimandano la loro conversione fino al momento della morte sono come gli studenti che rimandano il lavoro alla vigilia degli esami.
3. LA MORTE È TERRIBILE PER IL PECCATORE, MA NON PER IL GIUSTO.
Perché è la fine della loro presunta felicità e l’inizio della loro eterna infelicità, la morte non è per loro che l’inizio della loro eterna disgrazia, la morte fa paura solo agli uomini sensuali e voluttuosi; non è così per gli uomini pii e virtuosi. “L’uomo giusto alla morte è un albero potato per produrre frutti ancora più belli nell’aldilà; il peccatore è un albero che viene tagliato alla radice per essere gettato nel fuoco”. (S. Vinc. Fer.) Per il giusto la morte è solo il passaggio alla vita eterna. (S. Ant. di P.) Tutti i Santi sospiravano di felicità dopo la morte; come San Paolo, desideravano la dissoluzione dei loro corpi e di essere con Cristo (Fil. I, 23.). Il lavoratore a giornata desidera al più presto ricevere il suo salario, così l’uomo virtuoso desidera morire presto per ricevere la sua ricompensa in cielo. (Card. Hugues), I Santi sospirano dopo la morte, come il marinaio dopo l’arrivo nel porto, il viaggiatore dopo la meta del suo viaggio, l’agricoltore dopo il raccolto. (S. G. Cris.) Alla morte l’uomo giusto si rallegra come chi lascia una casa fatiscente per una splendida dimora (id.). Tutti i Santi sono morti con gioia. Quanto è dolce morire, diceva S. Agostino, quando si è vissuto piamente! Gli uomini stolti pensano che sia una gioia morire in fretta (senza soffrire molto); non è la velocità della morte a renderla felice, ma lo stato d’animo del morente, perché l’albero rimane dove è caduto (Eccl. XI, 3), o meglio l’albero cade dalla parte in cui pesano i suoi rami. Se sono rivolti verso Nord, cade verso il Nord; se sono diretti verso il Sud, cadrà verso il Sud. È lo stesso per l’uomo: la sua volontà rimarrà diretta, dopo la morte, verso gli oggetti a cui era diretta al momento della morte. Felice l’uomo che ha la volontà inclinata principalmente verso Dio, che ha avuto l’amore di Dio e quindi la grazia santificante, perché contemplerà Dio. Infelice, invece, è l’uomo la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, la cui volontà è inclinata verso le cose terrene, che ha amato il mondo e si è trovato in disgrazia presso Dio, perché rimarrà separato da Lui.
4. PER MORIRE FELICEMENTE, DOBBIAMO CHIEDERNE A DIO LA GRAZIA E DISTACCARCI FIN DA ORA DAI BENE EVDAI PIACERI TERRENI.
Si muore felici quando ci si è prima riconciliati con Dio e si è messo ordine nei propri affari temporali. – Dobbiamo quindi chiedere a Dio soprattutto la grazia di poter ancora ricevere gli ultimi Sacramenti. Bisogna anche fare testamento in tempo. In questo imitiamo i marinai che, nel pericolo di un naufragio, gettano tutto in mare e sfuggono così alla morte. Una morte improvvisa non è quindi indesiderabile, perché ci impedisce di fare ordine tra i nostri interessi temporali ed eterni. Per questo nelle litanie diciamo: Da una morte improvvisa e inaspettata liberaci, Signore! – La preghiera per una buona morte ha già il vantaggio di farci spesso pensare alla morte. La Chiesa ama fare questo, ci ricorda la morte il mercoledì delle ceneri, quando si suona la campana a morto, e così via. Il pensiero della morte è molto salutare e ci allontana dal peccato. “Pensa alla tua fine – dice il figlio di Sirach – e non peccherai mai” (VII, 40). Chi pensa spesso alla morte sarà poco attaccato alle cose terrene, rispetto così a chi, condannato a morte, troverà piacere nel buon cibo, o come Damocle nel suo banchetto teneva sospesa con un filo la spada sopra la sua testa. Dio stesso ci ricorda la morte in natura con il tramonto del sole, la notte, il sonno, l’inverno. – Dobbiamo ora distaccarci volontariamente dai beni e dai piaceri di questo mondo. Dopo la morte i nostri occhi non vedranno più, le nostre orecchie non sentiranno più, le nostre bocche non parleranno più, ecc. bisogna porsi dunque in questa situazione inevitabile, combattendo la curiosità della vista e dell’udito, la loquacità, la smodatezza nel mangiare e nel bere; in una parola, dobbiamo cominciare a morire. “Moriamo – dice San Basilio – per vivere”. Le buone opere che Dio reclama da noi, la preghiera, l’elemosina e il digiuno non sono altro per il cuore che un distacco dalle cose terrene. Solo coloro che si trovano in questo stato di distacco vedranno Dio dopo la morte, secondo le parole di Cristo: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”. (S. Matth. V, 8).
2. IL GIUDIZIO PARTICOLARE.
1. SUBITO DOPO LA MORTE HA LUOGO IL GIUDIZIO PARTICOLARE.
“È stato decretato – dice San Paolo – che tutti gli uomini moriranno, e la morte è seguita dal Giudizio”. (Eb. IX, 27). La parabola del ricco malvagio e di Lazzaro ci insegna che entrambi sono stati giudicati dopo la loro morte. Gli stessi pagani credevano nell’esistenza di tre giudici negli inferi. Al momento della morte, Dio ci rivolgerà le parole del padrone all’amministratore: “Rendi conto della tua amministrazione”. (Luca XVI, 22). Subito dopo avviene il giusto pagamento del salario. Dio stesso chiede agli uomini di non trattenere il salario dell’operaio dopo la sua giornata di lavoro. Tanto più dobbiamo aspettarci che Dio non trattenga il salario duramente guadagnato da un uomo durante la sua vita. La morte è il momento del pagamento del salario”. (S. Àmbr.) Se alcuni uomini subiscono un ritardo nel pagamento della loro giornata, cioè se sono prima sottoposti alla prova del purgatorio, la colpa è solo loro; non ne è Dio il responsabile. – Sarà Cristo a fare il giudizio particolare; Egli rivelerà tutta la nostra vita e ci tratterà come noi abbiamo trattato i nostri simili. – Gesù Cristo ha detto che Lui stesso avrebbe fatto questo giudizio: “Il Padre – ha detto – non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (S. Giovanni V, 22); nell’ultima cena promise ai suoi Apostoli di tornare dopo la sua ascensione per “portarli con sé” (id. XIV, 3). Ovviamente intendeva il momento della morte. Gesù dice lo stesso di San Giovanni: “Voglio che rimanga fino alla mia venuta” (id. XXI, 22). Gli stessi Apostoli dicevano che, finché fossero vissuti, sarebbero stati lontani da Lui. (II. Cor. V, 6) – 11 Tuttavia, non dobbiamo pensare a questo giudizio come ad un’ascesa dell’anima verso Cristo o una discesa di Cristo verso l’anima sulla terra; questo movimento non è affatto necessario. Cristo illumina l’anima mentre lascia il corpo in modo tale da farle vedere immediatamente e con perfetta chiarezza che il suo Salvatore sta emettendo un giusto giudizio su di essa. Questa illuminazione fa sì che l’anima comprenda che Dio rivela l’intera vita dell’uomo. Allo stesso modo”, dice il Cristo, “come il lampo parte dall’Oriente e appare all’improvviso fino all’Occidente, così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo (S. Matth. XXIV, 27), il che significa che al momento della morte, che è la venuta di Gesù, tutta la nostra vita apparirà davanti alla nostra anima con la rapidità e la velocità del lampo (B. Clém. Hofbauer). Quando verrà l’ora della giustizia divina, Dio metterà davanti ai suoi occhi tutti i dettagli della vita del morente. (Mar. Lat.) Al momento della sua morte, le opere dell’uomo saranno rivelate. (Sir. XI, 29). Tutti coloro che sono stati vicini alla morte affermano che in quel momento eventi dimenticati da tempo e azioni giovanili sono tornati vividamente alla mente. Al momento della morte, le azioni più nascoste saranno rivelate. Non c’è nulla di segreto”, dice Cristo, “che non debba essere scoperto”. (S. Luc. VIII, 17). Noi ricordiamo e rendiamo conto di ogni parola oziosa (S. Matth. XII, 36). Il nostro spirito assomiglia a un pittore, che disegna nel nostro interno ogni genere di pensieri, progetti e immagini. Fino alla morte queste immagini sono coperte come da un velo; e quando questo cade, si rivolgeranno alla gloria dell’artista o al suo disonore, se rappresentano la vergogna del vizio. (S. Bas.) Quando un uomo muore, il suo testamento viene aperto; è facile spiegare perché lo stesso è facile spiegare perché lo stesso si possa dire della sua coscienza. Un raggio di sole illumina mille granelli di polvere in una stanza; sarà lo stesso per le nostre minime colpe, quando il sole della giustizia penetrerà nelle nostre anime. – Nel giorno del giudizio vedremo il volto di Dio verso di noi, come noi ci siamo mostrati verso il nostro prossimo: Dio è uno specchio che rende perfettamente l’immagine di chi gli sta davanti. (Louis de Gr.) “Sarà usata la stessa misura che avete usato verso gli altri”, dice Cristo. (S. Matth. VII, 2). – Al giudizio segue la retribuzione.
2. DOPO IL GIUDIZIO PARTICOLARE LE ANIME VANNO IN PARADISO, ALL’INFERNO O IN PURGATORIO.
La parabola del ricco e di Lazzaro ci mostra che la sentenza del giudice viene eseguita immediatamente. (S. Luc. XVI). La Chiesa insegna che le anime che non hanno peccato dopo il Battesimo, che quelle che dopo aver peccato hanno completamente espiato i loro peccati, sia in terra che in purgatorio, sono ricevute subito in Cielo, e che coloro che muoiono in peccato mortale cadono immediatamente all’inferno. (2° Conc. di Lione, 1274). Le anime dei giusti, che sono perfette, vanno in cielo non appena hanno lasciato il corpo. (S. Greg. M.) Non appena un’anima giusta esce dal corpo, viene separata dalle anime peccatrici e portata in cielo dagli Angeli. (S. Giustino). È un errore credere che le anime giuste abbiano solo un’anticipazione della beatitudine eterna fino alla resurrezione del corpo, e che i peccatori saranno sottoposti completamente alla dannazione solo dopo il Giudizio Universale. (Opinione dello scisma greco) – Pochi uomini entrano subito in paradiso, perché “nulla di impuro può entrare in cielo” (Apoc. XXI, 27); pochi giusti sfuggono al purgatorio. (Bellarmino). Ci sono teologi che sostengono che i dannati saranno più numerosi degli eletti; essi si basano su queste parole di Gesù: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. (S. Matth. XX, 6). Molti devono essere salvati, ma pochi collaborano con la grazia e si salvano (Suarez). Minore è il numero di coloro che andranno in cielo. (S. Th. Aq.) – Oltre al giudizio particolare, ci sarà un giudizio generale. Questo guarda solo all’anima come principale agente del bene e del male da premiare o punire. L’altro includerà nella retribuzione anche il corpo come strumento degli atti dell’anima.
3. IL CIELO.
1.IL CIELO È LA DIMORA DELLA BEATITUDINE ETERNA.
Il cielo è la dimora della beatitudine eterna. Cristo diede ai suoi Apostoli un assaggio del cielo sul monte Tabor (San Matteo XVII), Il cielo si aprì al battesimo di Gesù (id. III, 16), Santo Stefano vide il cielo aperto. (Act. Ap. VII, 551. S. Paolo fu assunto in cielo. (II. Cor. XII. 2). – Il cielo è sia un luogo che uno stato. Come luogo si trova, secondo alcuni teologi, al di là del mondo siderale. È solo un’opinione, ma è fondata sul senso delle parole di Cristo: che discese dal cielo, che sarebbe risalito, che sarebbe tornato. – Il cielo è anche uno stato dell’anima; consiste nella visione di Dio (S. Matth. XVIII, 10), nella pace e nella felicità dello spirito (Rom. XIV, 17). Quando gli Angeli e i Santi ci visitano quaggiù, non cessano di essere in cielo, perché non possono essere privati della visione di Dio. (San Bernardo). Gesù Cristo è il Re del cielo. “Io sono un re – disse a Pilato – ma il mio regno non è di questo mondo” (S. Giovanni XVIII, 36). Il buon ladrone riconobbe questa regalità quando disse al Salvatore: “Signore! Ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (S. Luca XXIII, 42). In cielo vedremo gli Angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo. (S. Giovanni I, 51). In cielo gli Angeli adorano Cristo (Eb. I, 6). – Il cielo è la nostra vera patria; quaggiù non siamo che forestieri (II, Cor. V, 6), è la verità che ci viene rappresentata dalle processioni.
Le gioie del cielo sono ineffabilmente grandi, sono libere da ogni male, godono della visione di Dio e dell’amicizia di tutti gli abitanti del paradiso.
Le gioie del paradiso sono ineffabilmente grandi. “Ciò che l’occhio non ha visto – dice S. Paolo – ciò che l’orecchio non ha udito, ciò che il cuore dell’uomo non ha mai intuito Dio ha preparato per coloro che lo amano” (I Cor. Il, 9). Questa beatitudine può essere meritata, ma non descritta. (S. Aug.) “Gli eletti – dice Davide a Dio – saranno inebriati dall’abbondanza della tua casa, e tu li farai bere dal torrente delle tue delizie” (Sal. XXXV, 8). Rispetto alla beatitudine eterna, la nostra vita presente è piuttosto simile alla morte. (S. Greg. M.) Le gioie degli eletti sono così grandi che tutte le torture dei martiri non ne meriterebbero nemmeno un’ora. (S. Vinc. Fer.) In cielo godremo della felicità stessa di Dio. (S. Matth. XXV, 21); perché lì saremo della natura divina (II. S. Piet. I, 4), saremo simili a lui (I. S. Giovanni III, 2). Saremo trasformati in cielo, come il ferro nella fornace. (Cat. rom.) “La divinità si rifletterà in ogni anima, come il sole del mattino nelle milioni di gocce di rugiada. – In cielo ci sono molte dimore. (S. Giovanni XIV, 2). Il cielo è come un grande banchetto (S. Matth. VIII, 11; S. Luca XIV, 16) dove Dio stesso serve i suoi ospiti (ibid. XII, 87). Il cibo lì non sarà corporeo, ma spirituale. (Tob. XII, 19). In cielo brilla una luce intensa (I. Tim. VI, 16), vi si odono i canti degli Angeli (Sal. LXXXIII, 5), i Santi vi indossano vesti bianche (Àpoc. VII, 14), ricevono una magnifica corona dalla mano di Dio (Sap. V, 17). I Santi hanno piena libertà e sono posti su tutti i beni di Dio {S. Matth. XXV, 21); essi sono dove si trova Cristo (S. Giovanni XVII, 24), che restituisce loro il centuplo di quanto hanno rinunciato per Lui su questa terra.(S, Matth. XIX, 29). – Il firmamento visibile è già così bello, la terra è così piena di gioie, specialmente in primavera, in alcuni luoghi notevoli, eppure non è che un deserto rispetto al cielo! “Signore – grida S. Agostino, se ci tratti così in questa in questa prigione, come sarà nel tuo palazzo?” Ma cosa c’è che Dio non possa esaudirci, perché è onnipotente! Tuttavia, le gioie del cielo non sono sensuali (S. Matth. XXJI, 80) come quelle del paradiso promesse da Maometto. Se un cavallo fosse capace di pensare, non immaginerebbe che il suo padrone gli ha servito del fieno nel giorno delle nozze! – Gli eletti sono liberi di fare il male. È più facile enumerare i mali da cui sono liberati che le gioie di cui godono (S. Aug.). Essi non soffrono né fame né sete (Apoc. VII, 16), in cielo non ci sarà più morte, né lutto, né lamento, né dolore (ib. XXI, 4), né notte (ib. XXV, 4). Essi saranno incapaci di peccare; la loro volontà sarà assorbita da quella di Dio, come una goccia d’acqua. mescolata ad una coppa di vino ne prende il gusto ed il colore. (S. Bern.) – Gli eletti vedono continuamente il volto di Dio (S. Matth, XVIII, 10); riconoscono chiaramente l’immensità, le perfezioni e tutte le opere di Dio (S. Aug.); vedono Dio così come è (I. S. Giovanni III, 2); lo vedono faccia a faccia (I. Cor., XIII, 12); vedono Dio non in un’immagine, ma presente alla loro intelligenza come l’albero ad un occhio che lo vede (S. Th. Aq.); essi sono incapaci di questa visione per mezzo delle loro forze naturali, quanto noi lo siamo per la fede; ne sono resi capaci da un’azione speciale di Dio che si chiama “luce della gloria“. Questa visione rende gli eletti simili a Dio (1. S. Giovanni III, 2) e dà loro delizie ineffabili. Tuttavia, essi si rallegrano più della beatitudine di Dio che della propria (S. Bonav.). – La conoscenza delle cose create è già un grande godimento, quanto più grande sarà quella del Creatore stesso! (S. Car. Borrom.) Anche Agostino grida: “Rallegrarsi in te, Signore, per te e a causa tua, ecco cosa è la vita eterna!”. Questa conoscenza di Dio genera necessariamente l’amore per Dio; l’uno cresce in proporzione all’altro. “Gli eletti – dice sant’Anselmo – ti ameranno, Signore, nella misura in cui ti conosceranno! La conseguenza di questa grande felicità è la completa assenza di ogni tristezza, perché una gioia viva è incompatibile con il dolore e viceversa. (Aristotele). – Anche i santi si amano tra loro; sono tutti uno (S. Giovanni XVII, 21). L’amore che è la vita degli eletti in paradiso è così grande che l’eletto, estraneo a noi, ci ama anche più di quanto i genitori quaggiù amino i loro figli. (Suso). Solo l’amore distingue i figli del regno celeste dai figli della perdizione. (S. Aug.) E quale gioia non proveremo quando ritroveremo lassù i nostri genitori e amici dopo una crudele separazione! Grande fu infatti la gioia di Giacobbe quando trovò suo figlio Giuseppe pieno di onori. In cielo ci attende una schiera di amici! (S. Cipr.).
LE GIOIE DEL CIELO DURANO ETERNAMENTE.
I giusti, dice Gesù, entreranno nella vita eterna, cioè in una vita beata che non avrà fine. Lo S. Spirito rimarrà eternamente unito a loro (S. Giovanni XIV, 16), nessuno potrà togliere loro la gioia (S. Giovanni X, 29). I grandi signori, principi e re sono soliti ricompensare i loro servi quando questi ultimi non possono più continuare i loro servizi; ma Dio è il più grande di tutti i signori e deve essere il più magnifico nelle sue ricompense. Egli ne dà una eterna, l’unica degna di lui. Se le gioie del cielo non fossero eterne, gli eletti sarebbero perennemente nel timore di perderle; il cielo cesserebbe di essere il cielo. È per l’eternità della felicità del cielo che esso è chiamato possesso di Dio.
LA FELICITÀ DEI SANTI VARIA IN PROPORZIONE AI LORO MERITI.
Nel Vangelo, il Maestro dà 10 città al servo che ha guadagnato 10 talenti e 5 città a colui che ha guadagnato 5 talenti. (S. Luc. XiX, 16). Questo padrone è Dio che premia con una maggiore felicità colui che ha compiuto più opere buone. Con questo glorifica la perfezione della sua giustizia. Dice S. Paolo, “chi semina con parsimonia raccoglierà poco; chi semina generosamente raccoglierà un ricco raccolto” (II Cor. IX , 6). I giusti vedono tutti Dio chiaramente, ma uno vede più perfettamente dell’altro a causa dei suoi meriti. (Concilio di Firenze). Altro è lo splendore del sole – Gesù Cristo -, altro quello della luna – Maria -, altro quello delle stelle – i santi – (I. Cor. XV, 41). Lo stesso sole è visto in modo più fissamente dall’aquila che dagli altri uccelli. Il fuoco riscalda di più chi gli è vicino che chi gli è lontano. (Bellarmin). È lo stesso in cielo; la conoscenza di Dio, la carità e le delizie sono maggiori in un Santo che in un altro. Il piacere è infatti proporzionale alla conoscenza. Secondo una certa opinione, gli uomini dovrebbero occupare il posto degli Angeli caduti, e tra gli Angeli ci sono nove cori. Il grado di gloria celeste dipende dal grado di grazia santificante in cui l’uomo si trovava al momento della morte, in altre parole il grado di gloria corrisponde alla misura in cui si possedeva lo Spirito Santo e la carità al momento della morte. – Il grado di gloria di un Santo non può mai aumentare o diminuire; tuttavia, esiste in cielo una felicità estrinseca, quando il santo è oggetto di una gioia o di un onore speciale. “C’è – dice Cristo – una felicità in cielo ogni volta che un peccatore si converte. (S. Luca XV, 7) Beatificazione, canonizzazione, celebrazione di una festa, invocazioni, il santo Sacrificio e gli atti virtuosi offerti a Dio in onore di un Santo, contribuiscono certamente alla sua felicità. È probabile che in queste occasioni il Santo sia onorato in modo particolare dagli Angeli. (Cochem). San Gertrude vedeva i Santi in queste circostanze vestiti con abiti più brillanti e serviti da servi più nobili; la loro felicità sembrava aumentata – Nonostante la ricompensa, non c’è invidia tra i Santi. Tutti hanno ricevuto un denaro dal padre di famiglia. (S. Matth. XX). Quando due bambini, dice San Francesco de Sales, ricevono dal padre abiti della stessa stoffa, il più giovane non invidia il più grande, perché non sarebbe in grado di usare i suoi stessi abiti. È così anche in cielo, ognuno si rallegra della felicità dell’altro, la gioia e la felicità dell’uno fanno la gioia e la felicità dell’altro.
2. IL PARADISO È CONCESSO SOLO ALLE ANIME CHE SONO PERFETTAMENTE PURE DEL PECCATO E DELLE PENE DEL PECCATO.
Entreranno in Paradiso solo le anime che, dopo il Battesimo, non hanno commesso alcun peccato, o hanno espiato completamente le loro colpe, sia sulla terra che in purgatorio. (Conc. de Fir.) Nulla di impuro entrerà in cielo. (Apoc. XXI, 27). – Il cielo è stato aperto solo con la morte del Salvatore; le anime dei giusti sono state costrette ad attendere la loro redenzione nel limbo (cfr. il 5° art. del Simbolo).
IL PARADISO SI CONQUISTA ATTRAVERSO LA SOFFERENZA E LE VITTORIE SU SE STESSI.
S. Paolo dice: “Bisogna entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. (Act. Ap. XIV, 21). Il legname destinato al tempio di Gerusalemme veniva tagliato e preparato nel Libano stesso, in modo che potessero essere collocati senza rumore; gli eletti devono soffrire qui sulla terra, in modo da poter essere tagliati qui sulla terra per poter gioire senza dolore nella Gerusalemme celeste. – Non c’è beatitudine eterna senza vittoria su se stessi; il regno dei cieli è come un tesoro o una perla preziosa; per acquistarlo bisogna dare tutto (S. Matth. XIII, 44), cioè rompere ogni attaccamento disordinato alle cose terrene. Una grande ricompensa per un grande sforzo. (S. Greg. M.) Il regno dei cieli soffre di violenza (S. Matth. XI, 12); la porta e la via che conducono alla vita sono strette (ib. VII, 11). Solo chi corre con rapidità e perseveranza ottiene il premio nella corsa, chi si spoglia di tutti gli abiti superflui. (I. Cor. IX, 24). Per ottenere la corona con la lotta, è necessario inizialmente astenersi da tutto ciò che possa indebolire il corpo (ib. 25). Per raggiungere il cielo bisogna quindi essere martiri almeno incruenti, per questo la festa di Santo Stefano è immediatamente successiva a quella del Natale. Gesù ha detto: “Chi ama la propria vita la perderà e chi disprezza la propria vita in questo mondo la troverà”. (S. Giovanni XII, 25), cioè chi cerca i piaceri e i godimenti di questo mondo sarà dannato e chi si sforza di distaccarsene sarà salvato. – Ma più ci impegniamo nella nostra santità, più grande sarà la nostra gioia:la gioia meritata porta una gioia doppia.
Per i giusti, il paradiso inizia in parte proprio qui sulla terra, perché cercando la vita eterna la stanno già godendo (S. Aug.).
I giusti possiedono lacvera pace dell’anima (S. Giovanni XIV, 28), quella pace di Dio che sorpassa ogni comprensione (Fil. IV, 7); così sono sempre allegri, anche quando digiunano (S. Matteo VI, 17) o quando soffrono (ib. V, 12). I giusti possiedono lo Spirito Santo. Spirito, essi sono quindi fin da quaggiù uniti a Dio (1. S. Giovanni IV, 16), Cristo abita già nei loro cuori (Efes. III, 16), hanno dentro di sé il regno di Dio (B. Luca XVII, 21). – Chi pensa al cielo, sarà sicuramente paziente nelle prove e disprezzerà le cose ed i piaceri di questo mondo. Pensate alla corona e soffrirete volentieri (S. Aug.). Le sofferenze di questo mondo non possono essere paragonate alla gloria che sarà rivelata in noi (Eb. XII, 9). Meditando le cose celesti, quelle del mondo ci sembreranno inutili. (S. Grég. Gr.) Chi si trova sulla cima di un monte non vede gli oggetti nella valle, li vede solo molto piccoli (S. G. Cris.); l’uccello che vola molto in alto è fuori dalla portata del cacciatore (id).