IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (19)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (19)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo ottavo

MORALE E SANZIONE

Il pensiero della morte può proiettare un’ombra scura e sinistra su tutta l’esistenza terrena, se si prescinde dall’amore di Dio. Per questo il vecchio proverbio indiano, dopo d’aver osservato che di una vita umana, metà degli anni passa nel sonno, metà dell’altra nella incoscienza della fanciullezza e della vecchiaia, ed il resto nel lavoro, nelle malattie, nelle separazioni e nei dolori, si domandava: « Come possono gli uomini trovar pace in una vita, che somiglia al suono di un maroso? ». E Lenau, il poeta pessimista, esclamava: “Umano cor, cos’è il piacer quaggiù?/Un momento che, nato a mo’ d’enimma, salutato s’invola e non vien più.”

L’anima di verità del pessimismo sta appunto nel cogliere con precisione e con intensità il nulla di tutti i valori umani, quando il relativo è considerato avulso dall’Assoluto, quando il tempo è riguardato senza il nesso che ha con l’eternità, quando l’uomo è visto sotto un’altra luce che non sia la luce di Dio.

La scena si trasforma se la vita e la morte — come dicemmo — vengono illuminate dall’Amore divino e se tutto viene contemplato e vissuto come un raggio di quest’unico Sole. Allora la realtà umana non è più un’ombra lieve che dilegua, ma tutto ha un valore eterno. Il vero problema della sanzione nella morale cristiana non può essere impostato, nè tanto meno risolto, se non da chi afferra la connessione tra l’Amore di Dio e l’atto umano, tra l’azione nella sua apparenza esteriore e l’azione nella sua anima vivificatrice, tra il tempo che scorre e l’eternità che resta. Ancora una volta: bisogna ripensare ogni questione dell’etica in funzione del concetto di Amore.

1. – La triplice sanzione.

Innanzi tutto è uno sbaglio madornale credere che la sanzione della virtù o del vizio, dell’atto buono o dell’atto malvagio, sia — secondo la morale cristiana — da relegarsi solo nell’al di là, o che l’al di là sia senza collegamento organico con la vita di quaggiù. Per null’affatto.

I. Siccome l’uomo è ordinato a Dio e deve vivere secondo la legge dell’Amore di Dio, ogni volta che egli tradisce il suo dovere e resta affascinato dalle inezie, ha una prima sanzione in se stesso. « Omnis animus inordinatus pœna sui ipsius », notava sant’Agostino nelle Confessioni e le pagine intorno al rimorso abbondano in tutta la letteratura patristica ed ascetica. Ciò che di vero c’è nell’etica stoica è stato sempre dal Cristianesimo riconosciuto e proclamato. Quando la stoicismo antico e moderno insegna che « virtus pretium sui » e che « vitium pœna sui », quando ricorda che ad ogni azione umana è immanente una sanzione, non fa altro se non ripetere ciò che il Vecchio ed il Nuovo Testamento hanno proclamato e che l’esperienza di ognuno può confermare. La propria dignità, elevata, depressa o distrutta, ossia in altri termini, il vero ed illimitato amore a noi stessi, è connesso col nostro agire libero. Chi ama le cose grandi, si sente grande; chi ama Dio, è da Dio trasformato e divinizzato; chi, al contrario, pecca, si abbassa e il verme roditore della coscienza lo avverte e lo angustia. Questo premio e questo castigo immanente, però, non sono da interpretarsi come un semplice « sentimento », che potrebbe essere trascurato o impunemente disprezzato; ma sono da ridursi all’amore di Dio per noi. La gioia della coscienza e il suo intimo tormento sono un frutto della volontà nostra, che accetta o rifiuta l’Amore di Dio e ci cantano questo Amore stesso. Persino le conseguenze tristi, che talvolta ci provengono da una colpa, e soprattutto la coscienza lacerata dai rimorsi hanno un simile significato. Giustamente all’Innominato che esclamava: « Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio? », il buon cardinale Federico rispondeva: « Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v’attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate? ». Giustamente l’autore dell’Imitazione di Cristo sussurra al nostro orecchio: « Essere con Gesù è un dolce paradiso »: il paradiso o l’inferno non cominciano col momento della morte, ma con l’azione nostra quaggiù. « Ho l’inferno nel cuore », diceva ancora l’Innominato; « ho il paradiso nell’animo », asserisce il giusto. E non si tratta di metafore. Poiché, cos’è la vera essenza dell’inferno, se non la separazione da Dio e dal suo Amore? Cosa sarà il cielo, se non l’unione nostra con Dio nella visione beatifica e nell’Amore eterno? Certo il fiore pienamente sbocciato non è uguale al germe dal quale proviene; tuttavia è col germe stesso organicamente congiunto: la felicità o l’infelicità eterna non sono se non il completo svolgimento della realtà attuale.

2. Siccome noi non siamo atomi dispersi, ma costituiamo un unico organismo mistico in Cristo, è evidente che ogni colpa ha una ripercussione ed ogni atto virtuoso ha un benefico influsso su tutti i fratelli. C’è una sanzione anche su questa terra, non solo individuale, ma altresì sociale. E con questa espressione non voglio alludere tanto agli onori che la società può tributare al buon cittadino o alle pene che usa contro il disonesto; ma piuttosto, ai risultati delle nostre azioni. Come è innegabile, per dirla con Elisabetta Leseur, che « chi eleva sè innalza tutto il mondo », così non è meno inevitabile che ogni colpa divenga la prima scintilla provocatrice di un incendio distruttore. Ed anche qui, quando coi positivisti e con gli utilitaristi si illustra la sanzione sociale che accompagna il bene ed il male, si afferma una grande verità che il Cristianesimo ha sempre rammentato, inculcando il senso della responsabilità che deve illuminarci nella quotidiana battaglia. Ma, ancora una volta, è in forza dell’Amore che dobbiamo tener vigile in noi tale consapevolezza. È l’amore al prossimo nostro che rischiara questo punto essenziale dell’etica e questa sua speciale sanzione. Al Caino che dovesse dirci: « Sono forse io il custode di mio fratello? E che importa a me del benessere o del danno altrui? », il Cristianesimo ricorda che noi siamo responsabili non solo di quanto facciamo, ma anche delle conseguenze dell’azione nostra, la quale, anzi, per essere seriamente valutata, deve venir esaminata non soltanto in sè e nella sua intrinseca malizia o bontà, ma altresì in rapporto agli altri. Accendere un fiammifero per fumare una sigaretta può essere un delitto, se ci troviamo vicino ad un po’ di dinamite…

3. C’è una terza sanzione, collegata non già all’amore che dobbiamo avere e coltivare per noi stessi e per il prossimo, ma all’amore di Dio, la quale si manifesta bensì inizialmente in questa vita con le due sanzioni imperfette che abbiamo descritto, ma si sviluppa poi in quella sanzione completa dell’eternità, che si chiama paradiso, inferno, purgatorio e che dobbiamo ora studiare, sempre in rapporto all’Amore.

2. – Il paradiso e l’amore.

Notiamo subito come sarebbe pretesa assurda il volersi avviare pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desideri avanza, senza esser sorretti dall’Amore. Iddio per amore ci ha creati; per amore ci ha elevati all’ordine soprannaturale e ci ha uniti a Lui con la grazia e con la carità; per amore vuole che non siamo da Lui separati, nè in questa né nell’altra vita. Il paradiso, dunque, da parte di Dio, non è altro se non l’Amore suo per noi e il premio dell’amore nostro per Lui. Da parte nostra, in questo periodo di prova che Iddio ha voluto concederci, perché ci ama, ossia perchè con un gesto squisitamente bello d’amore, ha voluto che noi cooperassimo all’acquisto della felicità, conquistiamo il paradiso con l’amore che portiamo a Dio, osservando per amore la legge morale, amandolo sopra ogni cosa ed amando il prossimo nostro per amor suo; e secondo il grado del nostro amore sarà il grado del premio. In se stesso, cos’è il Paradiso? Esso consiste nella visione di Dio non più per speculum et in ænigmate, ma a faccia a faccia e nell’amore che ci unirà a Lui in eterno. Il paradiso sarà la immersione nostra nel mare della Trinità, per esprimerci con la Santa da Siena. Gesù Cristo ci unisce a Lui in questa vita e noi costituiamo un unico corpo mistico col Figlio, divenendo così per tale nostra incorporazione, figli adottivi di Dio. Insieme con Cristo, noi conosceremo il Padre e lo ameremo, non già con una conoscenza ed amore puramente umani, ma con la conoscenza del Verbo e con l’amore dello Spirito Santo. Pregava santa Caterina nel pio fervore dell’animo in festa: « O potente ed eterna Trinità! o dolcissima ed ineffabile Carità, chi non s’infiammerebbe a tanto amore? Qual cuore potrebbe difendersi dal consumarsi per te? O abisso di Carità! Tu sei dunque così perdutamente attaccato alle tue creature, che sembra che tu non possa vivere senza di loro! Eppure tu sei il nostro Dio! Tu non hai bisogno di noi. Il nostro bene non aggiunge nulla alla tua grandezza, poichè tu sei immutabile. Il nostro male non potrebbe cagionare alcun danno verso di te, che sei la sovrana ed eterna Bontà!… Chi porta te, Dio infinito, verso di me, piccola creatura? Nessun altro che tu stesso, o fuoco d’amore! L’amore, sempre, solo ti spinge e ti spinge ancora a far misericordia alle tue creature, colmandole di grazie infinite e di doni senza misura. O bontà superiore ad ogni bontà, tu solo sei sommamente buono! ». – La felicità eterna consiste in questo possesso sicuro e perenne dell’essere che è tutto l’Essere e che perciò sazia ogni desiderio, nella visione intuitiva che ci rivelerà i segreti della Carità infinita, nell’infinito amore di Dio. Desiderare il paradiso significa, quindi, aspirare all’Amore che incorona la vita cristiana e che, essendo eterno ed immortale in sè, sarà premio eterno ed immortale anche per noi. Il cupio dissolvi di san Paolo; il grido di Caterina da Siena: « Come il cervo sospira l’acqua della fonte, così l’anima mia deve uscire dal carcere tenebroso del corpo, per vederti in verità »; il gesto di san Filippo Neri, che prende il cappello cardinalizio, inviatogli dal Papa, e gioca lanciandolo in alto e ripetendo « paradiso! paradiso! », sono voci di amore, che non rinnegano i valori umani, che anzi li utilizzano e li svolgono, ma non in essi ripongono il cuore, quasi che avessimo quaggiù la città che rimane, bensì guardando il Cielo e di cielo riempiono la terra. Vi sarà il Cristiano imperfetto, che all’Amore eterno del paradiso penserà come ad una felicità; vi sarà il Cristiano perfetto, che volgerà di preferenza l’occhio al Dio dell’Amore; ma nell’uno e nell’altro caso il paradiso non è se non il trionfo dell’Amore.

3. – Il purgatorio e l’amore.

Evidentemente, allora, cosa implica il Paradiso? Che si ami Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Non può entrare in paradiso chi non ha la purezza dell’amore, ossia chi muore avendo ancora una soddisfazione da dare od anche un solo filo d’amore per le creature o per la colpa. Bisognerebbe poter riassumere le opere di san Francesco di Sales o la Salita del Carmelo di san Giovanni della Croce, per comprendere meglio la purificazione totale dell’essere umano, che ci rende degni — per usare una frase di san Paolo ai Colossesi — d’entrare a far parte della compagnia dei santi nella luce e ci trasferisce nel regno del Figlio dell’Amore. Fin quando, pur non avendo un peccato grave, non s’è passati per la notte oscura della mortificazione degli appetiti umani, dell’abnegazione dei piaceri umani, delle affezioni alle creature; fin quando o il peccato veniale o le pene delle colpe — gravi o leggere — perdonate non hanno compiuto l’annientamento delle macchie di ciò che è terreno, non ci è possibile entrare in cielo. Il paradiso è amore di Dio; se si amano, in modo non ordinato, le creature, ossia se in noi esiste anche un minuscolo idoletto, se ci resta ancora qualcosa da pagare alla divina giustizia, Dio non ci unisce a Lui nella gloria. Ecco la ragione del purgatorio. L’Amore di Dio l’ha creato per purificare le anime da ogni e qualsiasi altro amare e da qualsiasi macchia, per renderle capaci della visione e del possesso dell’Amore infinito. E noi, che da quelle anime non siamo divisi, ma ad esse siamo uniti in Cristo, possiamo affrettare loro la purificazione interiore assoluta, coi suffragi della carità. La preghiera per le anime purganti non è altro se non una forma di amore per il prossimo, per le glorie dell’amore di Dio.

4. – L’inferno e l’amore.

Qualcuno si stupirà ora di sentir parlare dell’inferno in funzione del concetto di Amore. Ma non si meravigliò il poeta teologo, Dante nostro, nelle sue terzine:

“Per me si va nella città dolente,/ per me si va nell’eterno dolore,/ per me si va tra la perduta gente./ Giustizia mosse il mio alto Fattore:/ fecemi la divina Potestate,/ la somma Sapienza e il primo Amore./ Dinanzi a me non fur cose create/ se non eterne, ed io eterno duro./ Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate.”

Per capire il pensiero di Dante, giova fare una riflessione. Analizziamo lo stato d’animo di coloro che non vogliono concepire un inferno eterno, ossia che lo vogliono sostituire col purgatorio. Se ben si osserva, tale pretesa ricopre l’egoismo più brutale e più sfacciato. Essa, press’a poco, si potrebbe enunciare così: Io, peccatore, adesso, in questo periodo di prova in cui dovrei dimostrare con la vita morale di amare Dio, non lo voglio amare; preferisco a Lui la carne, l’oro, il mio io e via dicendo. Fino alla morte, proprio fino all’ultimo istante, voglio conservarmi in questo mio orientamento spirituale. Poi, quando, col termine della mia esistenza terrena, più non potrò godere questi beni, allora… allora Dio sarebbe ingiusto, se non mi ammettesse al suo amore! Perché dovrebbe farmi soffrire per sempre? In quel tempo, io cambierò parere. Quando non avrò null’altro da desiderare, mi rivolgerò a Dio. Ma, intendiamoci: se anche allora io potessi godermela come oggi, non saprei che farmene di Dio… ». – Tale, dunque, si prospetta il contrasto tra Dio e il dannato. Da una parte, abbiamo l’Amore infinito; abbiamo Gesù Cristo che tanto ci ha amato da incarnarsi e da morire per noi; abbiamo una profusione di amore e di grazie, che dà diritto a Dio di chiedersi: « Che cosa avrei potuto far di più per la mia vigna, che non abbia fatto? »; abbiamo una continua insistenza di Dio verso il peccatore sino all’ultimo respiro; dall’altra parte, abbiamo il rifiuto, voluto, colpevole, ostinato dell’Amore di Dio. Con la morte, il tempo della prova finisce. Fino alla separazione dell’anima dal corpo, Dio chiama il figlio ribelle e lo avverte che da lui dipende un’eternità. Ed il Figlio re spinge l’appello del Primo Amore. Non esige forse la giustizia un castigo proporzionato alla colpa? E come si può negare che la colpa, in questo caso, sia d’una gravità infinita, essendo infinito l’Amore insultato dalla stolta ribellione? Di qui la pena del danno, in cui consiste essenzialmente l’inferno, ossia la separazione perenne dell’Amore e l’odio contro Dio; di qui anche la pena del senso, in quanto il dannato brucerà tra le fiamme, vere e proprie, che gli rammenteranno il fuoco rifiutato dell’Amore divino; di qui la definizione esattissima, che santa Caterina da Genova dava di satana: « Colui che non ama e non può amare».

5. – Conclusione

In tal modo la legge morale avrà la sua perfetta sanzione con l’Amore conquistato o perduto per sempre. E all’ultimo dei giorni, nel giudizio universale, la sanzione sarà proclamata non più solo individualmente, ma per tutta l’umanità. Sarà distrutto il mondo. I beni di quaggiù, che furono preferiti all’Amore di Dio, appariranno nel loro nulla. L’empio — descrive la Sapienza — dirà: « Che ci ha giovato l’arroganza? e la ricchezza con la boria che bene ci ha apportato? Tutto ciò è passato come ombra e come fugace notizia. Come nave che traversa l’acqua ondeggiante, che una volta passata non se ne trova più traccia, né il solco della sua carena tra le onde; e come un uccello, che vola per l’aria, non lascia segno del suo cammino… Così anche noi, messi al mondo, siam venuti meno, V’è e non avemmo nemmeno un segno di virtù da mostrare, quaggiù anzi nella nostra malvagità ci siamo spenti. I giusti invece vivono in eterno e il loro premio sta nel Signore ».

Due eserciti saranno allora di fronte: l’esercito dell’Amore e l’esercito dell’odio. Comparirà in cielo il simbolo eterno dell’amore, la Croce. Verrà Gesù Cristo e dirà il venite benedicti, ai figli dell’amore, a coloro che hanno amato Dio re di ogni cosa e che nel prossimo hanno veduto e riconosciuto Lui stesso: « Avevo fame e mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere… Ogni volta che avete fatto questo anche all’ultimo di costoro, l’avete fatto a me ». – Le offese all’Amore saranno in quel giorno riparate. L’ite, maledicti, in ignem aeternum sarà la vittoria dell’Amore, che si volle disconoscere, calpestare e distruggere. Così termineranno le vicende di un mondo, dove l’Amore di Dio è lasciato alla libera scelta dell’uomo e si inizieranno i secoli futuri. – Basta la semplice esposizione della morale cristiana per disperdere come una nube al soffio del vento le trite e ritrite obbiezioni intorno all’ingiustizia di Dio, all’utilitarismo ed all’egoismo dell’etica nostra, od alla degradazione della dignità umana a proposito di paradiso e di inferno. Sono accuse che morrebbero sulle labbra, se si approfondisse l’insegnamento del Cristianesimo. Ciò che mai morrà è il grido col quale santa Caterina da Siena chiudeva una sua lettera alla regina Giovanna di Napoli: « O Gesù dolce! O Gesù amore! ». Così deve terminare la nostra vita. Così anche terminerà la storia.

Riepilogo.

V’è una sanzione immanente ad ogni atto buono o cattivo, anche quaggiù, e consiste nell’intima gioia del bene compiuto o nel rimorso del male fatto; inoltre, v’è anche su questa terra una sanzione, non solo individuale, ma altresì sociale. Questa duplice sanzione risponde all’amore che dobbiamo avere a noi ed al prossimo nostro; ed è più o meno imperfetta. V’è una sanzione perfetta, che è collegata all’amore che dobbiamo a Dio e si ha nell’altra vita col paradiso, il purgatorio e l’inferno. Il paradiso è il trionfo dell’amore. Il purgatorio è la purificazione da tutto ciò che contrasta all’amore di Dio, ed i suffragi per le anime purganti sono una forma nobilissima di amore per il prossimo. L’inferno, per la pena del danno, consiste nella separazione definitiva dall’Amore di Dio; per la pena del senso, è un fuoco vero, che punisce le fiamme delle passioni appagate. Nel giorno del giudizio, la sanzione della legge morale sarà proclamata, non solo individualmente, ma per tutta l’umanità. Staranno di fronte l’esercito dell’Amore e l’esercito dell’odio. Trionferà il segno dell’Amore, la Croce.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (20)

FESTA DEL SANTISSIMO NOME DI MARIA (2023)

FESTA DEL SS. NOME DI MARIA (2023).

Doppio maggiore. – Paramenti bianchi.

Come qualche giorno dopo Natale si celebra il Santo Nome di Gesù, così dopo la festa della Natività di Maria, si glorifica il suo santo Nome. Otto giorni dopo la nascita della Vergine, come era uso presso i Giudei, i suoi Genitori, ispirati da Dio, dicono San Gerolamo e Sant’Antonino, la chiamarono Maria. Per ciò, durante l’Ottava della Natività, la liturgia ha una festa che ci fa onorare questo Santo nome. La Spagna, con l’approvazione di Roma, fu la prima a celebrarla nel 1513, e nel 1683 questa festa fu estesa da Innocenzo XI a tutta la Chiesa per ringraziare Maria della vittoria che Giovanni Sobieski, re di Polonia, riportò contro i Turchi, che assediavano Vienna e minacciavano l’Occidente. « Il nome della Vergine, dice il Vangelo, era Maria. » – « Il nome Maria in ebraico significa Signora » come ben dice san Pier Crisologo. Questo nome ben si conviene alla Vergine Santissima in quanto che, come Madre di nostro Signore, partecipa in qualche modo della signoria di Gesù su tutto il mondo. Pronunziare il suo nome, è affermare la sua grande potenza. Offriamo il santo Sacrificio a Dio per onorare il Santissimo Nome di Maria e ottenere, mediante la sua preghiera, di sperimentare sempre e in ogni luogo la sua protezione (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

 V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

… Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis tuis, perdúcat te ad vitam ætérnam.
S. Amen.
M. Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur vestri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis vestris, perdúcat vos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XLIV:13;15-16
Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducéntur tibi in lætítia et exsultatióne.

Ps 44:2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.

Vultum tuum deprecabúntur omnes dívites plebis: adducéntur Regi Vírgines post eam: próximæ ejus adducéntur tibi in lætítia et exsultatióne.

[I ricchi del popolo implorano il tuo volto. Dal re sono introdotte le vergini con lei: le sue compagne ti sono portate con festevole esultanza.

Vibra nel mio cuore un ispirato pensiero, mentre al Sovrano canto il mio poema.



I ricchi del popolo implorano il tuo volto. Dal re sono introdotte le vergini con lei: le sue compagne ti sono portate con festevole esultanza].

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléiso

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Orémus.

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut fidéles tui, qui sub sanctíssimæ Vírginis Maríæ Nómine et protectióne lætántur; ejus pia intercessióne a cunctis malis liberéntur in terris, et ad gáudia ætérna perveníre mereántur in cœlis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Concedi benigno, o Dio onnipotente, che i tuoi fedeli, che si rallegrano del Nome e della protezione della Vergine Maria, per la sua protezione, siano liberati da ogni male in terra e meritino di pervenire ai gaudi eterni in cielo.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Eccli 24:23-31
Ego quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchræ dilectiónis et timóris et agnitiónis et sanctæ spei. In me grátia omnis viæ et veritátis: in me omnis spes vitæ et virtútis. Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes sæculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam ætérnam habébunt.
R. Deo grátias.

[Come una vite, io produssi pàmpini di odore soave, e i miei fiori diedero frutti di gloria e di ricchezza. Io sono la madre del bell’amore, del timore, della conoscenza e della santa speranza. In me si trova ogni grazia di dottrina e di verità, in me ogni speranza di vita e di virtù. Venite a me, voi tutti che mi desiderate, e dei miei frutti saziatevi. Poiché il mio spirito è più dolce del miele, e la mia eredità più dolce di un favo di miele. Il mio ricordo rimarrà per volger di secoli. Chi mangia di me, avrà ancor fame; chi beve di me, avrà ancor sete. Chi mi ascolta, non patirà vergogna; chi agisce con me, non peccherà; chi mi fa conoscere, avrà la vita eterna].

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.
V. Virgo, Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.
V. Post partum, Virgo, invioláta permansísti: Dei Génitrix, intercéde pro nobis.

Allelúja.

[Tu sei benedetta e venerabile, o Vergine Maria, che senza offesa del pudore sei diventata la Madre del Salvatore.
V. O Vergine Madre di Dio, nel tuo seno, fattosi uomo, si rinchiuse Colui che l’universo non può contenere. Allelúia, allelúia.
V. O Vergine, anche dopo il parto tu rimanesti inviolata; o Madre di Dio, prega per noi. Alleluia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam.
R. Glória tibi, Dómine.
Luc 1:26-38
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriel a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus. Quæ cum audísset, turbáta est in sermóne ejus: et cogitábat, qualis esset ista salutátio. Et ait Angelus ei: Ne tímeas, María, invenísti enim grátiam apud Deum: ecce, concípies in útero et páries fílium, et vocábis nomen ejus Jesum. Hic erit magnus, et Fílius Altíssimi vocábitur, et dabit illi Dóminus Deus sedem David, patris ejus: et regnábit in domo Jacob in ætérnum, et regni ejus non erit finis. Dixit autem María ad Angelum: Quómodo fiet istud, quóniam virum non cognósco? Et respóndens Angelus, dixit ei: Spíritus Sanctus supervéniet in te, et virtus Altíssimi obumbrábit tibi. Ideóque et quod nascétur ex te Sanctum, vocábitur Fílius Dei. Et ecce, Elisabeth, cognáta tua, et ipsa concépit fílium in senectúte sua: et hic mensis sextus est illi, quæ vocátur stérilis: quia non erit impossíbile apud Deum omne verbum. Dixit autem María: Ecce ancílla Dómini, fiat mihi secúndum verbum tuum.

[In quel tempo, l’angelo Gabriele fu inviato da Dio in una città della Galilea, di nome Nazareth, ad una vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe, della stirpe di Davide; e il nome della vergine era Maria. L’angelo, entrando da lei, disse: «Ave, piena di grazia; il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donne». Mentre l’udiva, fu turbata alle sue parole, e si domandava cosa significasse quel saluto. E l’angelo le disse: «Non temere, Maria, poiché hai trovato grazia presso Dio. Ecco, concepirai nel tuo seno e partorirai un figlio, e gli porrai nome Gesù. Egli sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, e il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre: e regnerà sulla casa di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». L ‘angelo le rispose, dicendo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’ Altissimo ti coprirà della sua ombra. Per questo il Santo, che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, ha concepito anch’essa un figlio nella sua vecchiaia ed è già al sesto mese, lei che era detta sterile: poiché niente è impossibile a Dio ». Allora Maria disse: « Ecco la serva del Signore: sia fatto a me secondo la tua parola ».

Omelia

[E. Campana: Maria nel dogma cattolico. Ed. VI. – Marietti ed. Torino, 1945]

VII. — Ed ora, dopo la questione critico-filologica, un’ultima questione dogmatica intorno al nome di Maria. Si tratta di sapere qual valore ed efficacia abbia il nome di Maria nei rapporti della nostra salute eterna. Facciamo una tale questione perché non mancarono teologi che riconobbero nel nome di Maria una efficacia salutifera ex opere operato, simile a quella che per divina istituzione dobbiamo credere nei Sacramenti. Esposta con questa formola, la virtù e l’efficacia del nome di Maria, la crediamo esagerata, e siamo d’avviso che non si possa accettare. Altri teologi mantengono la dicitura che il nome di Maria opera salutari effetti ex opere operato, ma hanno cura di ben spiegarsi, e dicono che non intendono perciò di equipararlo ai Sacramenti. Fra questi è da porsi in prima linea Sedlmayr O. S. B., del cui trattato su Maria a nessun studioso può essere ignoto il pregio singolare. Egli pone la tesi: Dico: nomen Mariæ habet suos effectus ex opere operato. Ma poi, rispondendo alle obbiezioni, dice: « Rispondo chevi è una grande differenza tra il nome di Gesù e di Maria, ed i Sacramenti, poiché l’immediato effetto dei Sacramenti è la grazia santificante: mentre invece il nome di Gesù e di Maria producono immediatamente altri effetti; per lo meno non producono immediatamente la grazia santificante; inoltre, i Sacramenti, quando non trovino ostacolo (l’obice) producono il loro effetto infallibilmente: mentre invece l’effetto del nome di Gesù e di Maria è fallibile, e legato alla condizione, se piace a Dio, e se giova alla salute di chi lo invoca ». Date queste spiegazioni, ci pare che la cosa si riduca a questione di nome. Si dice ex opere operato quello stesso, che altri classificano per opus operanti. Noi crediamo che sia meglio non ridurre la cosa a limiti così angusti; epperò, senza voler discutere sui nomi, diremo in genere col Canisio « che il nome di Maria è di una singolare energia, ed ha in sé una forza divina » per impetrare a noi i celesti benefizi. Mariæ nomen singularem energiam, divinamque virtutem continet. E non vi può essere dubbio, perché pronunciare il nome di Maria, è impegnare in nostro favore la intercessione di Lei, della quale già sappiamo la smisurata potenza. Il nome è il simbolo della persona e del di lei valore. E così nel nome di Maria è riassunto tutto il pregio e tutto il potere di Colei che Dio elevò al di sopra di tutto il creato, facendola Madre sua, e costituendola di conseguenza per noi Madre di misericordia. Per questo non vi è per noi, non vi può essere, dopo quello di Gesù, altro nome in cui porre tutta la nostra fiducia come quello di Maria. I genitori di Lei, quando le imposero questo nome benedetto, certo erano ben lontani dal pensare di qual fascino questo nome sarebbe stato rivestito. Ma i consigli di Dio sono immensamente superiori a quelli degli uomini. Ora il nome che risuonò per la prima volta sulle labbra di Gioachino e di Anna, accompagnato forse solo dal sentimento della paternità soddisfatta, ora risuona in un concento indescrivibile di divozione da un capo all’altro del mondo. S. Bernardo toccava uno dei punti più sensibili delle aspirazioni cristiane, e più che fare un’esortazione, rilevava un fatto già da lunga mano praticato, quando scriveva: « Se si scatenano i venti della tentazione, se urti contro gli scogli delle tribolazioni, guarda alla stella, chiama Maria. Se t’accorgi che i flutti dell’ira o dell’avarizia, o della sensualità agitano la navicella della tua mente, guarda a Maria. Se turbato dalla gravezza dei tuoi delitti, se confuso dalla bruttezza della tua coscienza, se spaventato dal terrore del giudizio, ti senti calare nella voragine della tristezza, nell’abisso della disperazione, pensa a Maria. Nei pericoli, nelle difficoltà, nelle perplessità, pensa a Maria, chiama Maria: il suo nome risuoni sempre sul labbro, ti resti sempre scolpito nel cuore » (Om. su Missus). Davanti al nome, mormorato un giorno con trepidante gioia attorno alla culla della piccola figlia di Gioachino e di Anna, ora, come si esprime il celebre Idiota, « tutto il mondo genuflette: genuflette il cielo, la terra, l’inferno. Questo Nome, meglio di quello di ogni altro santo, ristora gli stanchi, sana i languenti, illumina i ciechi, commuove gl’induriti, conforta i combattenti, scuote il giogo di satana. Al sentirlo si rallegra il cielo, esulta la terra, gioiscono gli Angeli, i demoni tremano, l’inferno si conturba. È tanto grande il tuo nome, o Maria, che meravigliosamente raddolcisce, e vince persino l’induramento del cuore umano ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Luc 1:28; 1:42
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui.

Secreta

Tua, Dómine, propitiatióne, et beátæ Maríæ semper Vírginis intercessióne, ad perpétuam atque præséntem hæc oblátio nobis profíciat prosperitátem et pacem.
[Per la tua clemenza, Signore, e per l’intercessione della beata vergine Maria, l’offerta di questo sacrificio giovi alla nostra prosperità e pace nella vita presente e nella futura].

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.


de Beata Maria Virgine
…. Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitáte beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festività della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepí il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesú Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtú celesti e i beati Serafini la célebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei,

 qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beato il seno della Vergine Maria, che portò il Figlio dell’eterno Padre].

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, salútis nostræ subsídiis: da, quǽsumus, beátæ Maríæ semper Vírginis patrocíniis nos úbique protegi; in cujus veneratióne hæc tuæ obtúlimus majestáti.
[Ricevuti i misteri della nostra salvezza, ti preghiamo, o Signore, di essere ovunque protetti dalla beata sempre vergine Maria, ad onore della quale abbiamo presentato alla tua maestà questo sacrificio].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (51)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (51)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VIII-

J. DIO SANTIFICANTE MEDIANTE I SACRAMENTI.

J 1 1. I Sacramenti prima dell’istituzione della Chiesa.

Tra le leggi del Vecchio Testamento esistevano anche i Sacramenti (1310) 1348 1602.

Questi sacramenti differivano dai Sacramenti del N.T. in quanto non producevano la grazia, ma significavano che essa sarebbe stata solo in futuro da Cristo. 1310 1602.

La Circumcisione come sacramento rimetteva il peccato originale 780.

Dopo l’avvento di Cristo i Sacramenti del Vecchio T. cessarono ed il loro uso, promulgato il Vangelo divenne peccato punibile 1348.

J 2 Sacramenti del Nuovo Testamento in genere.

J 2a. a. — ESSENZA DEI SACRAMENTI.

I Sacramento sono segni sensibili ed efficienti della grazia invisibile (1310 1606) 3315 3858; sono simbolo di cosa sacra e forma visibile della grazia invisibile 1639; riprov.: [I S. sono nudi simboli o segni esterni della fede praticata] 1602 1606 3489.

Nel rito dei Sacramenti si distingue la parte essenziale (materia e forma) e la parte cerimoniale 3315.

Tre sono le cose che producono un Sacramento: (una cosa tq.) materia, (le parole tq.) forma (nella persona del suo ministro) l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. 1262 1312 1998 2536 3126 CdIC 742, § 1; l’essenza del sacramento è costituita dalla materia e dalla forma 1671.

La materia di per sé non è parte determinata (onde determinare la forma) 3315;

Pertanto l’imposizione della mano usata per sé non designa nulla di definito negli Ordini sacri, alla Confermazione, alla a.riconciliazione a110 a123 a127 a183 211 316 320 3315.

La forma dece significare l’effetto sacramentale 3315.

J 2b. b. — ORIGINE DEI SACRAMENTI.

2ba. Origine remota cioè,l’istituzione di Cristo. a.Tutti i Sacramenti del N.T. sono stati istituiti da Cristo 1864 2536 CdIC a731, § 1; si riprovano le asserzioni dei modernisti circa l’origine dei Sacram. 3439s.

I Sacramenti sono sette 860 1310 1601 1603 1864 2536.

2bb. Origine prossima o amministrazione. La Chiesa è originalmente ed universalmente dispensatrice dei Sacramenti: Cristo battezza per mezzo della Chiesa, sacrifica etc. 3806; crede nella remissione dei peccati, in resurrezione, nella vita eterna attraverso la Chiesa 21s.

Potestà della Chiesa nei Sacramenti. La Chiesa non ha il diritto di mutare ciò che attiene alla sostanza (o all’ a.integrità e al necessitare dei Sacramenti a1061 1699 1728 3556 3857.

Nel dispensare i Sacramenti la Chiesa ha il diritto di stabilire o mutare ciò che giudica meglio indicato per i tempi, i luoghi, la varietà delle cose, salvo la loro sostanza 1728.

Il Ministro dei Sacramenti ne è causa strumentale 1314.

La potestà del ministro e l’effetto dei Sacramenti non dipendono dalla probità (morale) del ministri 580 644s 793s 912 914 1019 1154 (1208) 1211-1213 1219//230 1262 1612 1684; add. condizioni del ministro del Battesimo, penit, ordin., J 3b 6b 8b.

Riprov. gli errori circa l’ambito dei ministri [Tutti i Cristiani possono amministrare i Sacramenti] 1610; [qualsiasi Sacerdote può conferire qualunque Sacramento] 1136; [la restrizione del potere di conferire i Sacramenti ai semplici Sacerdoti è stata fatta per il lucro e l’onore dei Vescovi] 1178.

Uno stesso ministro deve usare la materia e pronunziare la forma 2524.

Per l’efficienza dei Sacramenti è necessaria l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa 1262 1312 1315 1611 1617 (2536) 3126; si riprova l’opposta asserzione dell’esteriorismo 2328; chi usa la debita materia e forma, si presume abbia l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa 3318 3874:

Errore circa l’effetto del Sacramento (a. anche professato pubblicamente) per se non esclude l’intenzione di fare ciò che la Chiesa fa (3100-3102) a.3126; in questo principio è compresa la dottrina circa la validità del battesimo degli eretici (cf. J 3b), in qualunque modo sia conferito il rito cattolico; contra, mutato il rito, si dubita circa la retta intenzione 3318.

Quando i Sacramenti siano da conferire in forma condizionale CdIC 941; ved. ai singoli Sacramenti.

Si riprova l’asserzione più lassa circa l’applicazione del probabilismo nell’amministrazione dei Sacramenti. 2101.

Rito e cerimonie della Chiesa non sono condannati senza peccato, se disprezzati o mutati per qualsiasi motivo 1255 1613 1811; il S. Pontefice può tollerare diversi riti fermo che siano di necessità di Sacramento 1061.

Si rivendica la legittimità di certi riti, ctr. i denigratori 1062 1864 2631-2633.

J 2c. c. — FINI, EFFETTO, IMPORTANZA DEI SACRAMENTI.

2ca. Fini. I Sacramenti sono mezzi specifici di salvezza e santificazione 2536

CdIC “731, § 1; si riprovano errori circa il fine 1605 3441 3489.

2cb. Effetto. I Sacramenti conferiscono (o aumentano) la grazia quando a.non si pone ostacolo (b.degnamente ricevuti) b1310 a1451 a1606 1602//1608 1864 2536 a3714 (a3845) CdIC a1110.

L’efficacia dei Sacramenti è ex opere operato, cioè i Sacramenti hanno virtù da se stessi come azioni di Cristo medesimo. 3844-3846.

Alcuni Sacramenti , a.cioè. batt., confermazione, ordine, imprimono un carattere, b.pertanto non possono ripetersi 781 ab1313 a1609 a1767 a1864 2536 CdIC ab732, § 1; il carattere è un segno spirituale indelebile nell’anima 1313 1609; dunque non è il Verbo di Dio 3228; il carattere è impresso quando non è ostacolato dalla volontà contraria 781; si imprime anche nella finta ricezione del Sacramento 781.

2cc. Necessità. I Sacramenti non sono superflui 1604 1864; senza i Sacramenti reali o di desiderio, . L’uomo non è giustificato, riprovata l’asserzione: [l’uomo è giustificato dalla sola fede senza Sacramento] 1604 1605s 1608 CdIC 737.

§ 1; in certi aggiunti effetti necessari per ottenere la salvezza si può col solo voto o desiderio (a.anche implicito) (1524 1543) 3869 a3870-3872; o per la fede del Sacramento 121.

Non tutti i Sacramenti sono necessari ai singoli uomini 1604 18642536.

2cd. Dignità. Non senza peccato i Sacramenti sono disprezzati o negletti. 1259 1699 1718 1775 2523 CdIC 944.

Tra i Sacramenti del N.T. vi è diversità di dignità 1603; l’Eucarestia eccelle sopra i restanti Sacramenti 1639s (3847).

J 2d. d. – SOGGETTO DEI SACRAMENTI.

Soggetto legittimo non è l’eretico o lo scismatico anche se errante in buona fede e se non chiede di essere riconciliato CdIC 731, § 2.

Il soggetto deve avere in qualche modo l’intenzione di ricevere il Sacramento CdIC 752, § 3 754, § 3; contradicendo l’accoglienza non si riceve né l’oggetto né il carattere del Sacramento 781; per i dormienti e dementi non si ha l’effetto del Sacramento anche se prima di questo stato consentirono o contraddissero 781.

3. Sacramento del Battesimo.

J 3a. a. ESSENZA DEL GIUDICETIA BATTESIMO.

Il Battesimo è un sacramento 761 777 860 1310 1314 1601 1864 2536; succede alla circumcisione 780.

La materia (remota) è l’aqua a.naturale 802 903 1082 a1314 a1615 CdIC a737, § 1; è lecito mescolare un siero antisettico 3356; materia invalida -: saliva 787; -: birra 829.

La materia prossima è l’abluzione (per mezzo di a.immersione b.infusione o c.aspersione) a229 a589 a757 CdIC 737, § abc758.

Si riprova: [Materia essenziale del battesimo è l’acqua, il crisma, l’eucaristia] 1016.

La forma è l’invocazione del nome della Trinità divina 111 (cap. 9) 123 176s 214 445 580 582 (588) 589 592 (637) 644 646 757 802 903.

Il Battesimo “in nomine Christi” (a.resta in ambiguo, b.ammesso, c. riprovato) a111 (cap. 8) a211 c445 b646; non è valido il Battesimo nel nome degli Angeli 176.

Le parole (espressione dell’azione) “ego te baptizo” sono necessarie per la validità 757; vale la loro forma attiva e passiva 1314; la falsa pronunzia per mera ignoranza o per difetto di lingua non invalida il battesimo 588 592; asserzioni riprovate circa la forma 2327s 2627.

J 3b. b. – ORIGINE DEL BATTESIMO.

Il ministro deve essere diverso dal soggetto battezzato (non si può battezzare se stesso) 788.

Il minister del Battesimo solenne (ordinario) è solo il Sacerdote 1315 CdIC 738; min. del bpt. straordinario è il diacono CdIC 741; in caso di necessità può essere ministro-: qualsiasi uomo, che in qualche modo conservi la forma della Chiesa ed intenda fare ciò che fa la Chiesa 1315 2536 CdIC 742,

§ 1; – anche un laico 120 1315 1349 (2536); – : anche uno scismatico 356; – : eretico 110s 123 127s 183 211 214 305 315s 320 478 1315 1617 (2536) 2567-2570 3126; -: giudeo 646; -: pagano 646 1315 (2536).

La qualità morale del ministro non influisce sulla validità 580 644.

L’errore del ministro circa l’effetto del battesimo non esclude l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa 3100-3102; laddove si possa veramente dubitare circa l’intenzione, si deve conferire il Battesimo condizionato 2838; in caso di battesimo ricevuto nell’eresia non sempre è di principio il battesimo condizionato, ma è da indagare e distinguere 3128; nel dubbio è da battezzare 319 582; in qualunque caso di Battesimo condizionato si disserta 2835-2839 3128

CdIC 746, § 2-5 747-749 752, § 3; formula del Battesimo condizionato da usarsi 758.

Rito del Battesimo da tollerare ed abolire 830.

J 3c. c. — FINE, EFFETTO, VALORE DEL BATTESIMO.

3ca. Effetto. Si riceve la grazia di Cristo (a.infusione della grazia informante e delle virtù, b. l’abito della fede) 111 a780 a904 b2567; riprov.: [il Battesimo di Cristo ha la stessa virtù del battesimo di Giovanni Battista ] 1614.

Il Battesimo produce —: la rinascita spirituale (a.nuova creatura) 219(239) 1311 a1672. – : un membro della Chiesa cattolica 1314 1671 2567-2570 3685 CdIC 87 737, § I;

Il battezzato ottiene tutti i diritti ed i doveri del membro, se non oppone un ostacolo (censura), un vincolo che impedisce la comunione CdIC 87; —: membro del Corpo mistuco di Cristo 1314 1671.

— : la remissione dei peccati (a.pecc. originale, b.dei peccati attuali) (3s) 41//48 (51) 60 150 a223s a231 a239 a247 308 ab325 575 a637 a685 a741 777 a780 ab794 ab1076 ab1316 a1514s 1672 a2559; tale remissione è piena, integra 1672; i peccati non solo da imputare 1515; il Battesimo elimina egualmente a tutti il peccato orig. 637; si riprov. gli errori circa l’effetto: [è tolto solo il reato alla pena] 1957; [già il solo ricordo del Battesimo e la sua fede rimette i peccati dopo il Battesimo o li muta in veniali] 1623.

— : la remissione di ogni pena (pertanto a.ai battezzati non è da imporre nessuna soddisfazione) a1316 1543.

— l’impressione del carattere (anche nel Battesimo a.degli eretici ed b.in quello ricevuto fittiziamente). b781 1998 a2566 CdIC 732, § 1; pertanto non è lecito ritardate il Battesimo 183 316 319s (478) 580 (582) 644 758 810 855 1081 1624 1671 CdIC 732, § I: da qui la fede in un soloBattesimo 3s 41//5 I 150 319 684; riprov. l’errore circa il carattere 3228.

Sequele per la vita morale: la grazia del Battesimo per sé sola non è sufficiente ad assicurare la salvezza, ma si richiede un ulteriore ausilio della grazia e la cooperazione unana. 241, 397; il Battesimo non libera dagli obblighi della legge di Dio, della Chiesa, dei voti 1620-1622; il Battesimo pt. non dissolve i matrimoni degli infedeli (ma conferisce solo il diritto ad un nuovo matrimonio in forza del privil. Paolino) 777 2582 2585 CdIC 1126.

3cb Necessità. Il Battesimo è un mezzo prescritto da Cristo 219; è necessario o in forma o almeno a.come voto (o desiderio), questo è il Battesimo di b.fiamma (121) 184 231 b741 a1524 1672 2536 a3869 CdIC ‘737, § I; add. luoghi del Battesimo degli infanti: J 3d.

In caso di necessità il Battesimo può essere amministrato in ogni tempo, anche nella Chiesa antica, nella quale era lecito solo nei giorni di Pasqua e di Pentecoste 184; in tal caso giustifica anche la fede senza Sacramento 121.

3cc. Dignità. Il Battesimo è il primo di ogni Sacramento ed il a.loro fondamento 1314 CdIC a737, § 1; è la a.porta di entrata nella Chiesa, b.dei Sacramenti, c.della vita spirituale c1314 a1671 a3685 CdIC b737, § 1.

J 3d. d. — SOGGETTO DEL BATTESIMO.

Il soggetto del Battesimo è solo ogni uomo viatore non ancora battezzato CdIC 745; è legittimato il Battesimo degli infanti 184 219 223 (224 247) 718 780 794 802 903 1349 1514 1625-1627; il Battesimo degli infanti (richiesto) di genitori acattolici, sotto quali condizioni sia lecito 2552-2562 3296 CdIC 750s;

Ugualmente il Battesimo conferito ai moribondi adulti infedeli 3333-3335.

Nell’adulto è richiesta per una valida ricezione a.l’intenzione, per una lecita disposizione b.la fede e c.la penitenza b2380s bc2835-2839 ab3333-3135.

4. Sacramento della confermazione.

J 4a. – ESSENZA DELLA CONFERMAZIONE.

Il battezzato deve essere condotto a: a.la benedizione b.l’imposizione della mano del Vescovo b120 a121 b123; c.il crisma sulla fronte, i. e. b.l’imposizione della mano è la confermazione a785 ab794 a831 b860 a1990 a2522 CdIC 780 781, § 2.

La confermazione è un Sacramento (785 794) 860 1310 1317 1601 1628 1864 2536.

La materia (remota) è il crisma (a.dal balsamo ed olio di olivo) b. benedetto dal Vescovo a831 a1317s b1992 CdIC 734, § 1 b781, § 1.

Forma delle parole della confermazione 1317.

J4b. b. – ORIGINE DELLA CONFERMAZIONE.

Si riprova l’asserzione dei Modernist. circa l’origine remota della confermazione 3444.

Il ministro a.ordinario è (solo) il Vescovo 120 123 183 187 215 320 785 794 831 860 a1069 a1318 a1630 1768 1777 a2588 CdIC .782, § 1; ministro straordinario può essere il semplice Sacerdote (a.ma non il diacono) b.fornito di facoltà della Sede Ap. a187 215 b10705 b1318 b2522 b2588 CdIC 781, § 2 a782, § 2; in mancanza di tale delega, proibita ed invalida è la confermazione del semplice Sacerdote 1990s 2522.

Ministro del crisma è solo il Vescovo, questo pure per a.ministro straord., il crisma deve essere benedetto d Vescovo (catt.) 187 215s 1068 (1071) 1317 a1318 (a1992) a2588 (CdIC .781, § 1).

Si riprovano le asserzioni circa il ministro 866 1178 3556.

Riti tollerati nella preparazione del crisma nella confermazione 831.

J 4c. c.0- FINE, EFFETTO, VALORE DELLA CONFERMAZIONE.

Si conferisce lo Spirito Santo 215 785 831 1318s; si dà come un aumento di grazia ed un rinforzo della fede 785 1311 1319.

Si imprime un carattere, pertanto la confermazione a.non si può ripetere 1313 1609 1767 CdIC a732, § 1; riprovato: [al cresimati non è da attribuire alcuna potenza] 1629.

La Confermazione non è un mezzo necessario alla salvezza 2523 CdIC 787; ma il trascurarlo non è senza peccato 1259.

J 4d. d. – SOGGETTO DELLA CONFERMAZIONE

Soggetto è qualsiasi battezzato CdIC 786.

Per una lecita e fruttuosa ricezione si richiede lo stato di grazia. CdIC 786.

5. Sacramento dell’Eucaristia.

J 5a. a. – INSTITUZIONE DA CRISTO.

Cristo istituì: a.il Sacramento o b.Sacrificio eucar. c.nell’ultima Cena ac846 ac1637 ac1727 bc1740-1742 b1752; si riprova l’asserzione dei Modernisti 3445.

J 5b. b. – L’ESSENZA DEL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIA.

5ba. Indole sacramentale. L’Eucar. è un Sacramento 718 761 846 860 1310 1320 1601 1635-1637 1727 1864 2536.

Nell’Eucaristia il pane e il vino è “Sacramento e non cosa”, carne e sangue di Cri. “sacram. e cosa”, effetto sacramentale “cosa e non sacramento” 783.

Materia è il pane di frumento (783) 860 1320 CdIC 814, § 1; e il vino di vite (783) 1320 CdIC 815, § 2; il pane presso i latini è azimo, preso i Greci fermentato 860 1303 CdIC 816; precauzioni ctr. corruzione del vino della Messa 3198 3264 3312s.

La Forma sono le parole consacratorie di Cristo 1321 1352; l’epiclesi non ha alcuna capacità consecratoria 1017 2718 3556; nella concelebrazione di più Sacerdoti si richiede la comune pronuncia delle parole della consacr. 3928.

5bb. Presenza eucaristica di Cristo. Le parole di Cristo Sono consacratorie non in senso tropico, ma sono presentate in senso proprio 1637.

Per la consacrazione si opera la conversione di a.tutta la sostanza in corpo di Cristo e di a.tutta la sostanza del vino in sangue di Cristo. 1321 1352 a1642 a1652 a1866 a2535 a2629 a2718; questa conversione si chiama transustanziazione 782 802 860 1352 1642 1652 1866 2535 2629; post dopo la consacrazione si separano le specie (forma) del pane e del et vino, è creduta la verità della carne e del sangue di Cristo 782s, ovvero: nel sacram. dell’altare è contenuto il corpo e il sangue di Cristo a.veramente, b.realmente, c.sostanzialmente, d.essenzialmente sotto le specie del pane e del vino 690 700 794 a802 (846) abd849 abc1636 1640 abc1641 a1651 abc1866 abc2535 abc2629.

Tutto il Cristo è contenuto sotto qualunque specie (b.sia per la virtù delle parole sia per la naturale connessione e concomitanza) e c. sotto qualunque parte della specie dopo la separazione a1199 a1257 ac1321 ab1640 ac1641 a.1651 ac1653 (a1729 a1733) a1866 ac2535.

Cristo eucaristicamente presente è lo stesso Cristo nato e crocifisso 1083 1256; nell’Eucar. è contenuto il corpo e sangue di Cristo insieme all’anima e divinità di Cristo  (a.in virtù dell’unione ipost.) a1640 1651 1866 2535; Cristo è eucaristicamente presente sotto le specie, localmente (a.sec. modo di esistere naturale) è in cielo 849 a1636.

Riprov. l’asserzione negante la transustanziazione 849 1018 1151-1153 1256 (1652) 1654 3891; si riprovano le sinistre spiegazioni 3121-3124 3229-3231 3891; si disputa per come l’acqua mista al vino della Messa si trasformi in sangue 784 798.

La presenza eucaristica di Cristo non si limita al tempo di volubilità 834; remane per i giorni che restano le specie 1101-1103.

Al Sacramento dell’Eucaristia si deve il culto di latria 1643s 1656 CdIC 1255, § 1.

La presenza di Cristo in tal senso è dirsi come mistero liturgico della Chiesa 3855.

J 5c. c. — DIGNITÀ DELL’EUCARISTIA.

L’Eucaristia è come il capo e centro della religione cristiana 3847; è come l’anima della Chiesa (per questo i vari gradi del sacerdozio, sono diretti all’Euch.) 3364; pertanto la Chiesa ha tanti beni, virtù, gloria 3364.

J 5d d. — EUCARISTIA COME SACRIFICIO.

5da. Sacrificio della Messa come tale. Cristo nell’Eucaristia è sacerdote et sacrificio 802.

Nella Messa si offre il a.vero, b.proprio, c.visibile sacrificio a1740-1742 a1741 c1764 ba1866 ab2535 b3847.

Il Sacrificio eucar. è l’incruenta rappresentazione del sacrificio cruento in Croce e sua memoria 1740s 1743 3847s (S3339); le specie eucar. figurano la cruenta separazione del corpo e del sangue 3848; ita Cristo è significato nello stato di vittima 3848 3852; ill sacrificio della Messa non si discosta dal sacrificio della croce 1743 1754 7S3339.

La Messa è offerta al solo Dio (benché in onore e per l’intercessione dei Santi) 1744 1755.

Si Riprovano le asserzioni: [la Messa non è stabilita nel Vangelo] 1155; [la Messa è la nuda commemorazione del sacrificio della Croce] 1753 3316 3847 S3339; [la Messa non è sacrificio se non generale in cui di sacrifica ogni opera che si debba compiere per unirsi a Dio nella santa società 1945.

5db. Ministro. Per consacrare è richiesta la persona (ministro), la forma (le parole) e l’intenzione nel proferirle 794.

Ministro del sacrificio è solo a.il presbitero ordinato dal Vescovo (b.non il diacono c.non il laico) d.avente la debita intenzione 794 ab802 c1084 d1352 CdIC bd802; il sacerdote consacrante parla in persona Christi 1321; quando sia lecita la concelebrazione di più sacerdoti (3928) CdIC 803.

La Messa in cui si comunica il solo sacerdote non è illecita 1747 1758 3854.

La Consacrazione della materia fuori dalla Messa è illecita anche in estrema necessità.. CdIC 817. Per la lecita celebrazione della Messa è richiesto lo stato di grazia, mancando il quale il sacerdote ha urgente necessità di confessarsi quanto prima 1647 2058s CdIC 807.

5dc. Partecipazione dei fedeli alla Messa e loro sacerdozio. 3849-3853; si riprova l’asserzione -circa la partecipazione alla vittima 2628; -: circa la concelebrazione dei fedeli 3850; circa la Messa privata senza popolo 3853.

5dd. Rito dell’offerta. Sii rivendica la legittimità delle cerimonie della Messa 1746 1757 5dd 1759; si rivendica la libertà da errori (dogmatici) del canone della Messa 1745 1756.

Il vino della Messa va mescolato a un poco d’acqua 822 834 (784 798) 1320 1748 1759 CdIC 814.

Uso della lingua latina, restrizione della lingua volgare 1749 1759 CdIC 819.

5de. Effetto del sacrificio della Messa. La sua efficacia è – : ex opere operato 3844;

– la stessa del sacrificio della Croce S3339; -: non dipende dalla probità del Sacerdote 794.

La Messa è sacrificio propiziatorio per i vivi ed i defunti 1743 1753. 1866 2535 CdIC 809; si riflettono i peccati quotidiani 1740; vale per impetrare ed espiare S3339; si riprova l’asserzione circa l’applicazione del frutto speciale della Messa. 2630; applicazione per coloro il cui cadavere sia stato cremato. 3277.

J 5c. c. – EUCARISTIA COME COMUNIONE.

5ea. Modo e rito ministrante.

a.ai laici la comunione è somministrata dal Sacerdote, b.il Sacerdote comunica se stesso ab1648 b1660 CdIC a845, § 1; il diacono è ministro straordinario CdIC 845, § 2.

La Comunione sotto una sola specie del pane (non solo sotto entrambe a. Riprovata dai riformatori, b.deliberata nel Cc. Trid.) è legittima 11981200 1258 1466 a1731s 1726-1734 ‘1760 CdIC 852; questa non è non defraudata per qualche grazia necessaria 1729 1733; i laici e i chierici che non celebrano non sono obbligati alla comunione con entrambe le specie 1726s 1731s.

Si legittima la conservazione dell’Eucaristia (riprovato tuttavia l’a.abuso presso i Greci) a834 1645 1657 CdIC 1265.

5eb. Fine. Nell’Eucar. si fa grata memoria del Salvatore 846 1322 (1637) 1638; il fine non è precipuamente, procurare l’onore del Signore o per prendere quasi un premio delle virtù (ma è da cogliersi dagli effetti) 3375-3378.

5ec. Effetto. Va distinta tanto l’assunzione sacramentale, tanto spirituale sacramentale simultaneamente et spirituale 1648 (1658); si riprova: [Cristo nell’Eucaristia, è mangiato non realmente ma spiritualmente] 1658.

Il Cristo eucar. è vita dei fedeli 3360; è cibo dell’anima 847 1311 1638 3360; pertanto l’Eucaristia ha per la vita spirituale lo stesso analogo effetto del cibo materiale 1322.

Effetto singolo — remissione dei peccati 1020; (più accuratamente:) liberazione dalle lievi colpe quotidiane 1638 3375; —: attenuazione delle pene 1020; —: preservazione dai peccati mortali (846 1322) 1638 3375; —: soppressione della libidine 3375; —:  846 1020 1322; —: incremento della grazia, incremento delle virtù 846; —: unione e conformazione con Cristo 802 847 1320 1322; —: unità e carità 783 1635 (1638 1649) 3362; —: pegno della futura gloria 1638; si riprova l’asserzione che restringe l’effetto solo alla remissione dei peccati 1655.

5ed. Necessità della comunione eucaristica. Si raccomanda la comunione frequente (a.anche ai piccoli) 1649 1747 2090 (2093s) 3361 3375s 3379 3383 a3534 3854 CdIC 863; reprobatur vero: [la Com. eucar. quotidiana è di diritto divino] 2095 3377.

È comandata la comunione annuale da fare a pasqua (a.anche i bambini adulti giunti all’età della siscrezione) 812 1659 a3533 Cd1C a859; questo precetto non viene soddisfatto da una comunione sacrilega 2155 CdIC 861.

I piccoli non sono obbligati alla comunione 1730 1734 CdIC 854, § 1; il viatico deve essere preso in pericolo di morte (a.anche i piccoli dopo aver raggiunto l’uso della ragione) 121 212 1645 1657 a3536 CdIC a854, § 2 864, § I.

5ee.Soggetto della comunione eucaristica. Gli atti alla prima comm. dei piccoli 3530 (3533) 3535; dopo aver raggiunto l’uso della ragione anche ai piccoli è da dare il viatico 3536 CdIC 854, § 2; riprov. l’asserzione circa la comunione eucar. dei defunti 3232.

Disposizione e preparazione alla com. in genere: sono, riprovate simultaneamente le affermazioni a.rigoristiche e b.piu blande b1661 2090-2092 b2156 a2322s a3376-3378 3382; in specie la lecita ricezione suppone lo stato di grazia

(a.confessione, non solo acquistata con la contrizione) e b.proposito di non peccare successivamente mortalmente a1647 a1661 3379 b3381 CdIC 856; si richiede anche la retta intenzione 3379s.

Cognizione religiosa richiesta nei piccoli e nel neofito è quella di saper discernere il corpo di Cristo dal cibo comune e di adorarlo 2382 353 l s CdIC 854, § 2.

6. Sacramento della penitenza.

J 6a. a. — ESSENZA DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA.

6aa. Indole sacramentale. La confessione dei peccati ossia penitenza è un sacramento

761 (794) 860 1310 1323 1601 1667 (-1693) 1701 18642536; riprov.:

[Il potete di rimettere i peccati è rimessa solo dalla potestà di dichiarare i peccati ossia di predicare la parola di Dio] 1670 1685 1709; [la penitenza, onde ricevere grazia, è Sacramento di natura, non legge V. N.T.1 1418.

6ab. Parti della penitenza in genere. Mediante la penitenza, la confessione e le opere soddisfattorie sono rimessi i peccati 794; quasi-materia sono gli stessi atti di penitenza, cioè la contrizione, la confessione, la soddisfazione (riprovata l’asserzione negante il fondamento biblico) 1323 1455 1673 1704; riprov.: [le Parti della penit. sono terrori o una fede in una coscienza mortificata] 1675 1704.

6ac. La contrizione è il dolore del peccato commesso con il proposito di non peccare ancora a.contenente anche l’odio della vita precedente) 1323 a1676.

La contrizione è necessaria per la remissione dei peccati 1676s 3334; riprovate le asserzioni deroganti dalla contrizione. [tra le altre: la contrizione rende ancor più peccatori. 1455-1457 1461s I464s 1678 (1685) 1705.

La contrizione perfetta riconcilia l’uomo già prima di ricevere il Sacramento della penitenza, includendone tuttavia il voto (1260) 1677 1971;

riprov.: [la contrizione rende superflua la confessione esteriore] 1157 1412.

È da distinguere la contrizione in carità perfetta è la contrizione imperfetta o attrizione 1677s; la attrizione, se esclude la volontà di peccare, con la speranza di perdono, è dono di Dio a.disponendo al Sacramento della penit. 1678 a1705; infatti questa richiede l’atto di amore di Dio liberamente esposto 2070; riprov.l’asserzione a.più lassa e b.rigorista circa l’attrizione a2157 b2314s (b2462-2467 a2625 ) b2636.

6ad. Confessione dei peccati. Oggetto: si richiede la confessione integrale dei peccati (a.secondo l’istituzione di Cristo) 1323 1679-1681 1706; cioè di tutti i peccati mortali dei quali il penitente è conscio 1085 1680 1682 1707; sono da accusare anche i peccati occulti 1680 1707; -: peccati mortali commessi anche di pensiero (a.non è sufficiente il solo dispiacere). a1413 1680 1707.

I peccati sono da dichiararsi- : distintamente, nella specie, singolarmente, spiegando le circostanze (mutanti la specie) 813 1085 1411 1679 a1681 a1707 2158 CdIC .a901; : sec. il numero 1707.

I peccati omessi per dimenticanza si intendono inclusi nella confessione 1682; sono tuttavia da accusare nella prossima confessione 2031 3835.

Si enumerano le cause scusanti dall’integrità 3834; si riprova l’asserzionecontro l’integrità 1458s 1682 2192 2247s 2259s.

La confessione dei peccati veniali in confessione è: a.lecita, (recando sufficiente materia), b.utile ma c.non necessaria ab14585 bc1680 a1707 b2639 b3818 CdIC ac902.

La reiterata confessione dei peccati già debitamente rimessi è lecita, raccomandata, ma non necessaria 880 CdIC 902.

Modo di confessarsi: la confessione segreta è legittima, la pubblica anche, quando non vietata, ma non è raccomandata 323 1414 1683s 1710.

Nel Sigillo sacramentale al confessore è proibito l’uso della scienza con il rivelare il penitente 814 1989 2195 CdIC 889s; al sigillo sono tenuti anche tutti colore ai quali siano pervenuti in qualunque modo notizie della confessione CdIC 889, § 2: ugualmente è proibita anche la rivelazione del nome del complice 2543s CdIC 888, § 2.

La Confessione può essere fatta anche con un interprete CdIC (889, § 2) 903; in caso di necessità, sono sufficienti i segni del penitente è degli astanti testimoni 310; non è lecita la confessione di un sacerdote assente né l’assoluzione a distanza 1994s.

6ac. La soddisfazione è imposta ai penitenti perché a.da sè sia adempiuta 308 16891692 1714s a2035 CdIC a887; si spiega la sua ragione 1543 1692.

La Soddisfazione deve corrispondere alla qualità e al numero dei peccati

(riprovato l’uso più blando e l’uso della falsa penitenza, o parziale) 717 1692 CdIC 887: si propongono come soddisfazione (sec. l’arbitrio del sacerdote) preghiere, digiuni, elemosine, altri esercizi di pietà 1323 1543;

modo di soddisfare: è mitigato dalla Chiesa dai modi antichi e non è da ripristinarsi 129 212 231602322: come soddisfazione valgono anche (oltre alle sacramentali) le pene temporali inflitte da Dio 1693; l’abuso dell’unzione del penitente in soddisfazione 832.

Riprov. asserzione dell’efficacia della soddisfazione umana adeguata 1959 1977; riprov. (Come insufficiente): [Nuova vita è ottima penitenza] 1457 1692 1713.

6af. Assoluzione. La forma del Sacramento della penit. sono le parole dell’assoluzione 1323 1673;

Le altre preghiere non sono di necessità del Sacramento CdIC 885.

L’assoluzione è un atto giuridico 1671 1679 1685 1709 CdIC 870 888, § I; riprov. l’uso della formula deprecatoria 1013; riprovato: [l’Ass. non è se non una dichiarazione che i peccati sono rimessi] 1685 1703 1709; si riprovano le asserzioni circa l’efficacia dell’assoluzione rispetto alla sola fede del penitente 1460-1465.

Quando è lecita l’assoluzione plurima simultanea 3832-3837; formula da impiegare in tal caso 3837; riprovata l’assoluzione dimezzata in occasione di grande concorso 2159.

Al disposto non va differita l’assoluzione CdIC 886; non è da negare la riconciliazione in pericolo di morte 129 136 212 309s (325); si riprovano le asserzioni più blande ed in parte più rigide 2160s 2164 2638.

J 6b. b. — ORIGINE DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA.

6ba. Origine remota. Prima di Cristo non vi fu il Sacramento della penitenza 1670.

Il Sacramento della penit. è istituito a.dopo la resurrezione 308 348s a1542 a1670 1679 (1706); è un altro sacramento, distinto dal battesimo 1668 1702.

Il potere di rimettere i peccati a fu conferita agli Apostoli e ai loro successori nel sacerdozio 308 348 1670 1679 1764 1771; questo potete si estende ad ogni peccato: vd. D 2eb.

Si riprovano le affermazioni dei modernisti circa l’origine della penitenza 3443 3446s.

6bb. Ministro è solo il Vescovo o il Sacerdote 1260 1323 1684 1706 1710 CdIC 871; non il laico 866 1260 1463 1684 1710; mancando il Sacerdote la remissione è procurata dalla contrizione 1260; add. J 6ac.

Il Ministro deve possedere (oltre il potere dell’Ordine) giurisdizione 1323 1686 2637 CdIC 872; il potere di giurisdizione di vari ambiti ha diverso grado 1261 1265.

Il potere del ministro non dipende dalla sua probità 912 914 (1019 1262) 1684 1710.

Non è più necessario fare la Confessione, come a.un tempo dal proprio sacerdote o da altro solo su suo permesso a812 921923 1085 CdIC 905; riprov. l’asserzione negante agli Ordini mendicanti la facoltà di udire Confessioni 921-924; riprov. l’ass. lassa circa la giurisdizione dei confessori 2032s 2036 (2056 2064).

È diritto del Vescovo riservarsi dei casi 1687 1711 CdIC 893-900; in pericolo di morte la riserva è nulla 1688 CdIC 882; riprov. l’asserzione ctr. la riserva dei casi 1136 2023s 2032 2064 (2594) 2597 2644s.

6bc. Ordine della penitenza.

La maggior rigidità della Chiesa non è più ripristinabile (soprattutto il negare l’assoluzione prima della completa soddisfazione) : cf. 129 212 1415 2316//2322 2487-2489 2634s.

J 6c. c — FINE, EFFETTO, VALORE DELLA PENITENZA.

6ca. Fine è la guarigione spirituale 1311; il sacram. della penit. è più laborioso rispetto al Battesimo 1672.

6cb. Effetto. “Fatto ed effetto” è la riconciliazione con Dio 1674; il sacram. della penit. è il rimedio dei peccati commessi dopo il Battesimo 308 348s 802 855 1323 1542 1579 1668 1680 1701 CdIC 870; la remissione non avviene con la sola fede 1685 1709.

Insieme alla colpa, viene rimessa anche la pena eterna 1543; non sempre è rimessa anche tutta la pena temporale 838 1010 1543 1580 1689 1712 1715; si riprova: [Elimina solo la pena] 1957s.

La legittima assoluzione libera dalle censurr CdIC (2247) 2248 (2249).

6cc. Necessità di mezzo. Il Sacramento della penitenza ai peccatori dopo il Battesimo è necessario di a.diritto divino 1542s 1668s 1670 1672 a1679 a1706 679 CdIC 901;

è la seconda tavola dopo il naufragio della perdita della grazia 1542; in caso di necessità è sufficiente il voto della penitenza (121) 1543 3869; add. J 6ac (circa la contrizione perfetta).

N. di precetto, sci. la confessione almeno annuale 812 1683 1708 CdIC 906;

a questo precetto non soddisfa la confessione sacrilega o volontariamente nulla (2033) 2034 CdIC 907.

J 6d d. – SOGGETTO DEL SACRAMENTO DELLA PENITENZA.

Il potere della Chiesa di rimettere i peccati si restringe agli uomini viventi, non ai morti 348.

Già i bambini sono obblianti alla confessione 3533; una volta che con l’età abbiano acquisito una conoscenza religiosa 3530s 3533.

Quando l’assoluzione sia lecita allo scismatico moribondo 3635s.

7. Sacramento dell’unzione degli infermi.

J7a. a. – ESSENZA DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI.

L’U. degli infermi o Estrema u. è un Sacramento 794 (833) 860 1310 1324 1601 1694 1716 1864 2536; si riprova l’asserzione ctr. l’indole sacramentale 1699 1716s 3448.

La materia è l’unzione con l’olio di ulivo benedetto dal Vescovo (a.non dal semplice Sacerdote, b.se non ne ha facoltà dalla Sede Ap.) 216 1324 1695 a2762s CdIC 734, § 1 937 ab1945.

La forma sono le parole della formula 1324 1695.

In caso urgente è lecita l’unica unzione con una formula speciale brevissima 3391 CdIC 947, § I.

J 7b. b. – ORIGINE DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI.

L’U. degli infermi è instituita da Cristo 1694 1695 (1699) 1716.

Il Ministro è (a.solo ed ogni) Sacerdote 216 1325 1695 1697 1719 CdIC a938, § I.

L’unzione può essere fatta da uno o più ministri, purché ognuno simultaneamente usi la materia e pronunzi la forma 2524.

J7c C. c. – FINE, EFFETTO E VALORE DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI.

Fine . l’U. degli inferm. è ordinata -: alla guarigione spirituale e, se riesce, alla corporale 7ca 620 1311 1325 1696; -: a fortificare l’uscita dalla vita 1694.

7cb. Effetto. Conferisce la grazia che è a.la remissione dei peccati, b.la pulizia dei peccati residui, c.conforto all’anima del malato a620 abc1696 ab1717.

7cc. Necessità. Per sé l’u. degli infermi non è necessità di mezzo CdIC 944; peccato è in vero disprezzarla 1259 1718.

7dd. d. – SOGGETTO DELL’UNZIONE DEGLI INFERMI.

Sogge è l’uomo infermo a.dopo aver raggiunto l’uso della ragione in pericolo do morte.

1324 1698 a3536 CdIC 940.

L’Unzione può essere ripetuta ogni volta che l’uomo dopo la guarigione, ricada in pericolo di vita 1698 CdIC 940, § 2.

È richiesta nel soggetto la conoscenza religiosa e l’intenzione 2382; per se suppone lo stato di grazia: infatti un tempo era negata al non riconciliato nella Chiesa antica l’unzione degli infermi 620.

Quando sia lecito somministrare agli inf. scismatici moribondi l’unzione degli infermi 3635s.

8. Sacramento dell’Ordine.

J 8a a. – ESSENZA DEL SACERDOZIO CRISTIANO

Nel Nuovo Testamento esiste il Sacerdozio visibile esterno 1764 1771.

Il Sacerdozio del N.T. o Ordine è un (proprio) sacramento 718 860 1310 1326 1601 1764 1766 1773 1864 2536 3857: l’arruolamento nel clero non viene fatto dal popolo o dal potere secolare per chiamata o consenso, ma con l’ordinazione sacra 3850 CdIC 109.

L’Ordine è propriamente uno dei sette sacramenti (a.ugualmente un Sacramento per la Chiesa universale) 1766 a3857.

Si rivendica come legittima la diversità degli Ordini con cui ascendere al sacerdozio 1765 1772; per diritto divino esiste la gerarchia costituita dai Vescovi, presbiteri e ministri (a.diacono) 1776 Cd1C .108, § 3; si recensiscono tuttavia in tre gli Ordini sacri nella Chiesa Romana (Vesc. presb., diac.) poi sette 836; cioè sacerdote, diacono, subdiac. e quelli che sono gli ordini maggiori), accolito, esorcista, lettore, ostiario (a che sono ord. minori) 1765 CdIC a949; per altre distinzioni vd.: G 4da.

I Vescovi sono presbiteri superiori per potere di ordine 1768 1777.

Materia dell’ordinazione al diaconato, presb., Vescovo (a.unica) almeno nei tempi posteriori, è l’imposizione delle mani 326-328 826 3325 a3858-3860; è sufficiente per la validità il contatto morale, si comanda il contatto fisico 3861.

La Tradizione degli strumenti come prescrizione della Chiesa fu prescritta per la validità solo nella Chiesa latina, mentre nella Chiesa grecale ordinazioni si fecero sempre validamente senza la tradizione degli strumenti 1326 3858.

La Forma sono le parole che riferiscono il potere determinante (grazia sacramentale) in ciò che competa ad ogni ordine (a. in questo mancano gli ordini anglicani) 1326 a3316s 3858-3860.

J 8b b. — ORIGINE DEL SACERDOZIO CRISTIANO.

8ba. Istituzione. Il vecchio etus sacerdozio è passato nel nuovo 1764.

Cristo ha istituito il Sacerdozio del N.T. 1740 1752 1764 1773 3857; agli Apostoli ed ai loro successori nel sacerdozio è affidato il potere di consacrare, offrire, amministrare il corpo ed il sangue di Cristo (1740 1752) 1764 1771.

Riprov. l’asserzione dei Modernisti circa l’istituzione del sacerdozio 3449s.

8bb. Ministro dell’ordinazione. Ministro a.ordinario del sacram. dell’Oordine è (solo) il Vescovo 128 a1326 1768 1777 CdIC 951; ministro straordinario è chi senza carattere episcopale, per diritto o dalla Sede Apostolica riceve indulto per conferire alcuni ordini CdIC 951; privilegio che si traduce nella facoltà del semplice sacerdote di conferire il subdiaconato, b.diaconato, c.presbiteriato, d.tutti gli ordini sacri abc1145s d1290 ab1435; si riprovano le asserzioni: [Qualsiasi sacerdote può conferire qualunque Sacramento (quindi anche gli ordini)] 1136; [l’Ordinazione del clero si riserva al Vescovo per lucro temporale ed onore] 1178.

Validità dell’ordinazione conferita dal ministro a.scismatico o b.eretico — si riconosce a356 b478 a705; — si nega (richiedendo la “riordinazione”)

Nel caso dei a.Paulianisti e b.Anglicani (qui per difetto di forma ed intenzione) a128 b3315-3319; ambigue decisioni in caso di ordinazione simoniaca 691-694 701s 705 707 710; chi ignora la sua ordinazione è da rigettare 592.

Riprov. le asserzioni circa la amministrazione del sacram. dell’ordine 1651-1657.

J8c. c. — FINE, EFFETTO, IMPORTANZA DEL SACRAMENTO DELL’ ORDINE.

8ca. Fine è la conduzione dei fedeli ed il ministero del culto divino CdIC 948; è il governo e l’accrescimento spirituale della Chiesa 1311.

8cb. Effetto. Il Sacram. dell’Ordine conferisce la grazia per l’idoneità del ministro 1326 3857.

Si imprime il carattere, a.per cui è impedita la reiterazione 825 1767 1774 CdIC a732, § 1;

Una volta ricevuta validamente l’Ordinazione non si può più deporre CdIC 211, § 1; pertanto il a.sacerdote (più precisamente: il b.constituito negli ordini maggori) non può più tornare laico a1767 (1771) a1774 CdIC b211, § 1.

8cc. Dignità. Il sacerdote è per ufficio pubblico il deprecante e adoratore di Dio. 3757; è ministro di Cristo, in “personam Chr.” similmente a Cristo è capo dei membri. 3755 3850.

J8d. d. — SOGGETTO DEL SACERDOTE CRISTIANO.

Non tutti i fedeli sono dotati di pari potere spirituale 1767; soggetto valido del sacram. dell’Ordine è solo l’uomo battezzato CdIC 968, § 1.

Sacerdozio generale dei fedeli: concetto e sequele 3849-3853.

9. Sacramento del matrimonio.

9a. a. — ESSENZA DEL MATRIMONIO.

9aa. Concetto e varie specie di matrimonio. Il Matrimonio è una società individuale contratta da un uomo e una donna 3142.

Il Matrimonio valido tra non-battezzati si dice vero non-rato 769; o si dice legittimo CdIC 1015, § 3; il matrim. valido tra battezzati si dice vero e rato 769; oppure rato e consumato CdIC 1015, § 1.

9ab. Indole sacramentale. Il Matrim. tra fedeli è un Sacramento 761 794 9ab 860 916 1310 1327 1601 1800 1801 1864 2536 2598 2965 2973 2990s 3142 3145s 3700 3710 3713s CdIC 1012; si riprovano le asserzioni ctr. la sacramentalità del matrim. 3451 3715.

La Forma (ossia la causa efficiente) del matrimonio è solo il consenso a.tra i presenti 643 a755s 766 a776 a1327 a1497 3701 CdIC (1012) 1081.

Il Consenso matrimoniale è un atto di volontà al quale entrambe le parti si soggettano e accettano in perpetuo il potere esclusivo del corpo in ordine all’atto di per sé idoneo alla generazione della prole CdIC 1081; il consenso regolarmente è manifestato dalle parole, a.in caso di impossibilità bastano i cenni a766 1327 CdIC 1086, § I a1088, § 2.

Il contratto matrimoniale non è dissociabile dal Sacramento 2966 (2974) 3145s (CdIC 1012); su riprova: [il Sacram. matrim. consiste nella sola benedizione] 2966.

Le condizioni ctr. la sostanza del matrimonio lo rende nullo, come le condizioni turpi ed impossibili che lo hanno come oggetto, 827 CdIC 1092; i diriitti matrimoniali per l’uomo e la moglie sono uguali (778) 3144.

La professione solenne di castità invalida il matrimonio 1809 (CdIC 1119).

Il Matrimonio contratto senza il consenso dei genitori per sé non sono validi 1813:

I matrimoni clandestini di per sé sono veri e rati 1813; ma sono proibiti dalla legge eccl.; vd. J 9bb.

I Matrimoni misti per sé sono validi, anche se non si è osservata a forma Tridentina 2518s 3387; ma sono riprovati se non sussista una giusta causa 2518 3386; i matrimoni tra apostati sono validi, se non sussiste il patto di dissolubilità 2340; circa la validità dei matrimoni tra gli eretici 2515 2517; i matrimoni degli acattolici (per sé) sono validi 3388; la loro validità non dipende dalla forma stabilita dalla Chiesa 3474.

J9b. b. — ORIGINE DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

9ba. Origine remota. Il Sacramento del matrimonio è istituito da Cristo (1799) 1801 2965 2990 3142 3700 3713 CdIC 1012.

9bb. Il diritto della Chiesa nella questione matrimoniale dei fedeli si estende ad ogni causa 1812 2598 2967-2974 2990 3144-3146 CdIC 1016 1960; al potere civile compete il diritto circa l’effetto meramente civile CdIC 1016.

Da osservarsi è la legislazione della Chiesa circa la forma (in specie a.proibendo i matrim. clandestini, b.proibendo il matrim. civile, c.istituendo la pubblicazione dei prossimi sposalizi.

ac817 ac18131816 2515-2520 b2990-2993 a3385 b3386 3468-3473.

Si riprova l’asserzione circa gli sponsali 2658.

La Chiesa ha il diritto di stabilire gli impedimenti 817 860 1803s 1812 1814s 2659s 2968-2970 (2972 2974) CdIC 1038 1040; ha in essi il diritto di dispensare 1803; i matrimoni contratti nell’infedeltà non costituiscono impedimenti meramente ecclesiastici in caso della conversione dei coniugi 777.

Si richiede l’assistenza del parroco (a.eccetto il caso in cui non sia possibile averlo entro un mese) 1814-1816 a3471; modo di agire nel matrimonio misto 2590.

9c. c C. — FINE, EFFETTO, VALORE DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

9ca. Ragione e causa primaria del matrimonio è la mutua interiore conformazione dei coniugi 3707.

9cb. Fine. a.propagazione e conservazione del genere umano per b.procreazione ed educazione della prole, aumento corporale della Chiesa, d.mutuo aiuto, e.mutuo amore, f.rimedio della concupiscenza c1311 ac3143 abc3705 def3718 b3838 CdIC bdf1013, § 1; si distinguono fine primario (sci. a.generaz. ed educ. della prole) e fini secondari (b.al primo subordinati) 3718 ab3838 CdIC a1013, § 1.

9cc. Beni del matrimonio (prole, fede, Sacramento 1327 3703-3714.

9cd. L’effetto è il diritto alla grazia attuale —: nel sostenere il compito coniugale 3911 CdIC 1110; —: per confermare il nesso del mutuo amore naturale 1799 3142 3713; —: per confermare l’indissolubile unità del connubio. 1327 1799 3142 3713; —: per la santificazione dei coniugi 1799 3142 3713; il Sacramento in vero non è instituito, se non perchè l’uso del coniuge sia strumento maggiormente atto alla carità degli sposi nei confronti di Dio 3911.

9ce. Proprietà essenziali. Gli effetti del Sacramento sono l’unità e l’indissolubilità CdIC 1013, § 2: il matrimonio è un vincolo perpetuo ed esclusivo tra i coniugi (3142) CdIC 1110.

L’unità concede il nesso tra i due 778 (1797) 1798 1802 2536 CdIC 1013, § 2; non è lecito ad un uomo avere più mogli simultaneamente (b.se non a chi sia connesso per rivelazione) né c.ad una donna avere più uomini abc778s ac860 (a1497) a1802; l’unità comprende l’amore coniugale, la mutua interna conformazione, il soggettarsi della moglie all’uomo 3706-3709.

L’indissolubilità o l’inviolabile fermezza è propria al matrimonio cristiano (117) 794 1797 1799 2536 2705s 2967 3142 3710s 3724 3953 3962 CdIC 1013, § 2; nel caso in cui si è ritenuto un secondo matrimonio (es. coniuge disperso), dopo il ritorno del marito è da restaurarsi il precedente matrimonio 311-314.

L’indissolubilità non conviene ai singoli coniugi in ugual misura 3711; il matrimonio rato e consumato nessun potere umano può dissolvere 754s 3712 CdIC 1118; circa la cooperazione di ufficiali cattolici nel divorzio civile 3190-3193; anche il matrim. rato di per sé non può essere sciolto 769 3712; può essere disciolto tuttavia per la pronunzia di un voto di religione di professione solenne (a.in forza di dispensazionedel Sommo Pontefice) 754s 786 1806 CdIC a1119.

Anche al Matrimonio naturale (pertanto) e legittimo conviene l’indissolubilità

(a. Così come al legislatore secolare per cui non può sciogliere il vincolo), b.esiston comunque eccezioni di diritto divino 779 b3712 a3724; in forza del privilegio Paolino può essere sciolto il matrimonio degli infedeli 768s 779 1497 1983 1988.2580-2585 2817-2820 CdIC 1120-1123; conversione di uno dei coniugi tuttavia da sè stess9 non dissolve il vincolo del matrimonio contratto nell’infedeltà, ma produce solo il diritto a nuove nozze (Ovvero: a.scioglie, se realmente le nozze sono validamente iniziate) (777) 2582 2585 CdIC a1126; il privil. Paol. non può applicarsi —: quando si è contratto il matrimonio con l’infedele previa dispensa per disparità di culto ottenuta dalla Sede Apostolica 2584 2817 2819; —: nel caso della defezione della fede nel matrimonio tra i fedeli 769; per defezione del coniuge infedele (richiesta per diritto) a.sotto qualunque condizione dispensato a1988 a2583 2818 CdIC 1121-1123.

Non può essere sciolto il matrimonio per a.eresia, b.molesta coabitazione, c.adulterio di uno dei coniugi c756 ab1805 c1807 c2536; è invero lecito per diverse cause procedere alla separazione del talamo e della coabitazione 1327 18082536 CdIC 1129.

Sono leciti anche matrimoni plurimi successivi (secondo, terzo, etc.), più a.onorabile invero è la casta vedovanza 794 837 860 1015 a1353 CdIC a1142.

9cf. La Dignità del matrimonio è rivendicata ctr. l’accusa di peccaminosità 206 321 461-463 718 761 794 802 (916) 1012.

Il Matrim. chr. significa il mistico connubio di Cristo e la Chiesa 1327 3712.

La superiorità della verginità a.non rinnega l’indole sacramentale del matrimonio 802 1353 1810 a3911s.

J9d. d. — SOGGETTO DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

Soggetto sono l’uomo e la donna liberi da impedimenti CdIC 1035.

Si difende il diritto (in genere) dell’uomo al connubio, che non può essere eliminato dalla umana autorità 3702 3722 3771.

10. Sacramentali.

J10a. a. — SACRAMENTALI IN GENERE.

I Sacramentali sono cose o azioni che la Chiesa usa con una certa imitazione dei Sacramenti per ottenere effetti specialmente spirituali CdIC 1144; tra di essi si enumerano consacrazioni, benedizioni, esorcismi CdIC 1147-1153.

La loro efficacia è “ex opere” della Chiesa operante 3844 CdIC 1144.

È solo della Sede Ap. istituire, mutare, abolire i sacramentali CdIC 1145.

Ministro ne è il chierico istruito della debita potestà CdIC 1146.

Soggetto sono i fedeli, i catecumeni ed anche gli acattolici CdIC 1149 1152.

Si riprova la trascuratezza dei sacramentali sotto il pretesto della contemplazione 2191.

J10b. b. — INDULGENZE.

10ba. Essenza. Le indulgenze sono la remissione della pena temporale contratta con i peccati già rimessi in quanto alla colpa 1448 CdIC 911; sono concessi dal tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi 1025-1027 1398 1406 1448 1467 CdIC 911

10bb. Origine. La Chiesa, il a.S. Pontefice, b.i Vescovi episcopi (suoi sudditi) possono elargire le indulgenze a819 (868) a1025-1027 a1059 (1192) a1266 b1268 a1398 a1416 a1447-1449 1835 1867 2537 CdIC b349, §2,2 911 a912.

10bc. Efficacia. Le indulgenze si applicano per i fedeli vivi e defunti che sono le membra vive di Cristo 1266s 1448 CdIC 925; ai vivi si applicano per modo di assoluzione 1448 CdIC 911; ai defunti per modo di suffragio 1398 1405-1407 1448 CdIC 911; circa l’efficacia dell’indulgenza dell’altare privilegiato 2750; riprovata l’asserzione circa l’efficacia delle indulg. 1192 1416 1468s 1960.

10bd. Utilità. Le indulgenze si raccomandano come utili, salutari 1835 1867 2537 CdIC 911; non per questo con tanta facilità ed indiscrezione si ottengono in concessione in soddisfazione penitenziale 819 1835; asserzioni riprovate circa l’uso e l’utilità 1470-1472 2057 2216 2640-2643.

10be. Soggetto capace di indulgenza è il battezzato non scomunicato, in stato di grazia (a.contrito e confessato) almeno alla fine delle opere prescritte a1266s CdIC 925, § 1; per l’acquisto dell’indulgenza si richiede l’intenzione ed il compimento delle opere ingiunte. CdIC 925, § 2.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (52)

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. BENEDETTO XV – “IN PRÆCLARA SUMMORUM”

Questa volta non è un gran Santo della Chiesa e della fede cattolica, ad essere l’oggetto della lettera Enciclica del Sommo Pontefice, bensì il poeta medioevale Dante Alighieri nel centenario della sua morte. Il Sommo Pontefice rivendica l’importanza del poeta nel diffondere alcuni principi della religione cattolica enunciati nella sua Commedia. Su altri particolari sorvola o li scusa con indulgenza forse eccessiva, senza spiegare perché ad esempio il poeta fuggisse ramingo per tutto il territorio nazionale, la sua devozione all’imperatore e l’avversione per il potere pontificio con tanto di Papi collocati nel fondo degli inferi, e parteggiante per gli eretici “fraticelli”, senza volere approfondire nel contempo opere di dubbia morale cristiana come il Convivio o il De Monarchia, senza contare la sua “ispirazione” ultraterrena presa di sana pianta da un poema arabo a lui di poco precedente di Ibn al Arabi. Ma nel complesso, senza andare troppo per il sottile come per un’operazione di canonizzazione, di enunciati dottrinali o  teologici, viene enucleata gran parte del fondamento della fede cattolica dell’epoca in parte riferita a San Tommaso l’aquinate. Una lettura godibile che rinfresca memorie letterarie giovanili e riporta alla mente verità dogmatiche eterne.

LETTERA ENCICLICA
IN PRÆCLARA SUMMORUM

DEL SOMMO PONTEFICE
BENEDETTO XV
AI DILETTI FIGLI PROFESSORI ED ALUNNI
DEGLI ISTITUTI LETTERARI E DI ALTA CULTURA
DEL MONDO CATTOLICO
IN OCCASIONE DEL VI CENTENARIO DELLA MORTE
DI DANTE ALIGHIERI

Diletti figli, salute e Apostolica Benedizione.

Nella illustre schiera dei grandi personaggi, che con la loro fama e la loro gloria hanno onorato il Cattolicesimo in tanti settori ma specialmente nelle lettere e nelle belle arti, lasciando immortali frutti del loro ingegno e rendendosi altamente benemeriti della civiltà e della Chiesa, occupa un posto assolutamente particolare Dante Alighieri, della cui morte si celebrerà tra poco il sesto centenario. Mai, forse, come oggi fu posta in tanta luce la singolare grandezza di questo uomo, mentre non solo l’Italia, giustamente orgogliosa di avergli dato i natali, ma tutte le nazioni civili, per mezzo di appositi comitati di dotti, si accingono a solennizzarne la memoria, affinché questo eccelso genio, che è vanto e decoro dell’umanità, venga onorato dal mondo intero.

Noi pertanto, in questo magnifico coro di tanti buoni, non dobbiamo assolutamente mancare, ma presiedervi piuttosto, spettando soprattutto alla Chiesa, che gli fu madre, il diritto di chiamare suo l’Alighieri.  Quindi, come al principio del Nostro Pontificato, con una lettera diretta all’Arcivescovo di Ravenna, Ci siamo fatti promotori dei restauri del tempio presso cui riposano le ceneri dell’Alighieri, così ora, quasi ad iniziare il ciclo delle feste centenarie, Ci è parso opportuno rivolgere la parola a voi tutti, diletti figli, che coltivate le lettere sotto la materna vigilanza della Chiesa, per dimostrare ancor meglio l’intima unione di Dante con questa Cattedra di Pietro, e come le lodi tributate a così eccelso nome ridondino necessariamente in non piccola parte ad onore della fede cattolica. – In primo luogo, poiché il nostro Poeta durante l’intera sua vita professò in modo esemplare la religione cattolica, si può dire consentaneo ai suoi voti che questa commemorazione solenne si faccia, come si farà, sotto gli auspici della religione; e che se essa avrà compimento in San Francesco di Ravenna, s’inizi però a Firenze, in quel suo bellissimo San Giovanni, a cui negli ultimi anni di sua vita egli, esule, con intensa nostalgia ripensava, bramando e sospirando di essere incoronato poeta sul fonte stesso dove, bambino, era stato battezzato.

Nato in un’epoca nella quale fiorivano gli studi filosofici e teologici per merito dei dottori scolastici, che raccoglievano le migliori opere degli antichi e le tramandavano ai posteri dopo averle illustrate secondo il loro metodo, Dante, in mezzo alle varie correnti del pensiero, si fece discepolo del principe della Scolastica Tommaso d’Aquino; e dalla sua mente di tempra angelica attinse quasi tutte le sue cognizioni filosofiche e teologiche, mentre non trascurava nessun ramo dell’umano sapere e beveva largamente alle fonti della Sacra Scrittura e dei Padri. Appreso così quasi tutto lo scibile, e nutrito specialmente di sapienza cristiana, quando si accinse a scrivere, dallo stesso mondo della religione egli trasse motivo per trattare in versi una materia immensa e di sommo respiro. – In questa vicenda si deve ammirare la prodigiosa vastità ed acutezza del suo ingegno, ma si deve anche riconoscere che ben poderoso slancio d’ispirazione egli trasse dalla fede divina, e che quindi poté abbellire il suo immortale poema della multiforme luce delle verità rivelate da Dio, non meno che di tutti gli splendori dell’arte. Infatti, tutta la sua Commedia, che meritatamente ebbe il titolo di divina, pur nelle varie finzioni simboliche e nei ricordi della vita dei mortali sulla terra, ad altro fine non mira se non a glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio, che governa il mondo nel tempo e nell’eternità, premia e punisce gli uomini, sia individualmente, sia nelle comunità, secondo le loro responsabilità. Quindi in questo poema, conformemente alla rivelazione divina, risplendono la maestà di Dio Uno e Trino, la Redenzione del genere umano operata dal Verbo di Dio fatto uomo, la somma benignità e liberalità di Maria Vergine Madre, Regina del Cielo, e la superna gloria dei santi, degli Angeli e degli uomini. Ad esso si contrappone la dimora delle anime che, una volta consumato il periodo di espiazione previsto per i peccatori, vedono aprirsi il cielo davanti a loro. Ed emerge che una sapientissima mente governa in tutto il poema l’esposizione di questi e di altri dogmi cattolici.  – Se il progresso delle scienze astronomiche dimostrò poi che non aveva fondamento quella concezione del mondo, e che non esistono le sfere supposte dagli antichi, trovando che la natura, il numero e il corso degli astri e dei pianeti sono assolutamente diversi da quanto quelli ne pensavano, non venne meno però il principio fondamentale, che l’universo, qualunque sia l’ordine che lo sostiene nelle sue parti, è opera del cenno creatore e conservatore di Dio onnipotente, il quale tutto muove, e la cui gloria risplende in una parte più, e meno altrove; questa terra che noi abitiamo, quantunque non sia il centro dell’universo, come un tempo si credeva, tuttavia è sempre stata la sede della felicità dei nostri progenitori, e testimone in seguito della loro miserrima caduta, che segnò per essi la perdita di quella felice condizione che fu poi restituita dal sangue di Gesù Cristo, eterna salvezza degli uomini. Perciò Dante, che aveva costruito nel proprio pensiero la triplice condizione delle anime, immaginando prima del giudizio finale sia la dannazione dei reprobi, sia l’espiazione delle anime pie, sia la felicità dei beati, deve essere stato ispirato dalla luce della fede. – In verità Noi riteniamo che gl’insegnamenti lasciatici da Dante in tutte le sue opere, ma specialmente nel suo triplice carme, possano servire quale validissima guida per gli uomini del nostro tempo. Innanzi tutto i Cristiani debbono somma riverenza alla Sacra Scrittura e accettare con assoluta docilità quanto essa contiene. In ciò l’Alighieri è esplicito: « Sebbene gli scrivani della divina parola siano molti, tuttavia il solo che detta è Dio, il quale si è degnato di esprimerci il suo messaggio di bontà attraverso le penne di molti ». Espressione splendida e assolutamente vera! E così pure la seguente: « Il Vecchio e il Nuovo Testamento, emessi per l’eternità, come dice il Profeta » contengono « insegnamenti spirituali che trascendono la ragione umana », impartiti « dallo Spirito Santo, il quale attraverso i Profeti, gli Scrittori di cose sacre, nonché attraverso Gesù Cristo, coeterno Figlio di Dio, e i suoi discepoli rivelò la verità soprannaturale e a noi necessaria ». Pertanto Dante dice giustamente che da quell’eternità che verrà dopo il corso della vita mortale « noi traiamo la certezza che viene dall’infallibile dottrina di Cristo, la quale è Via, Verità e Luce: Via, perché attraverso essa giungiamo senza ostacoli alla beatitudine eterna; Verità, perché essa è priva di qualsiasi errore; Luce, perché ci illumina nelle tenebre terrene dell’ignoranza ». Egli onora di non minore rispetto « quei venerandi Concìli principali, ai quali tutti i fedeli credono senza alcun dubbio che Cristo abbia partecipato ». Oltre a questi, Dante tiene in grande stima « le scritture dei dottori, di Agostino e di altri ». In proposito, egli dice: « Chi dubita che essi siano stati aiutati dallo Spirito Santo, o non ha assolutamente visto i loro frutti o, se li ha visti, non li ha mai gustati ».

Per la verità, l’Alighieri ha una straordinaria deferenza per l’autorità della Chiesa Cattolica e per il potere del Romano Pontefice, tanto che a suo parere sono valide tutte le leggi e tutte le istituzioni della Chiesa che dallo stesso sono state disposte. Da qui quell’energica ammonizione ai Cristiani: dal momento che essi hanno i due Testamenti, e contemporaneamente il Pastore della Chiesa dal quale sono guidati, si ritengano soddisfatti di questi mezzi di salvezza. Perciò, afflitto dai mali della Chiesa come fossero suoi, mentre deplora e stigmatizza ogni ribellione dei Cristiani al Sommo Pontefice dopo il trasferimento dell’Apostolica Sede da Roma [ad Avignone], così scrive ai Cardinali Italiani: « Noi, dunque, che confessiamo il medesimo Padre e Figliuolo: il medesimo Dio e uomo, e la medesima Madre e Vergine; noi, per i quali e per la salvezza dei quali fu detto a colui che era stato interrogato tre volte a proposito della carità: “ Pasci, o Pietro, il sacrosanto ovile ”; noi che di Roma (cui, dopo le pompe di tanti trionfi, Cristo con le parole e con le opere confermò l’imperio sul mondo, e che Pietro ancora e Paolo, l’Apostolo delle genti, consacrarono quale Sede Apostolica col proprio sangue), siamo costretti con Geremia, facendo lamenti non per i futuri ma per i presenti, a piangere dolorosamente, di essa, quale vedova e derelitta; noi siamo affranti nel vedere lei così ridotta, non meno che il vedere la piaga deplorevole delle eresie ». – Dunque egli definisce la Chiesa Romana quale « Madre piissima » o « Sposa del Crocifisso », e Pietro quale giudice infallibile della verità rivelata da Dio, cui è dovuta da tutti assoluta sottomissione in materia di fede e di comportamento ai fini della salvezza eterna. Pertanto, quantunque ritenga che la dignità dell’Imperatore venga direttamente da Dio, tuttavia egli dichiara che « questa verità non va intesa così strettamente che il Principe Romano non si sottometta in qualche caso al Pontefice Romano, in quanto la felicità terrena e in un certo modo subordinata alla felicità eterna ». Principio davvero ottimo e sapiente, che se fosse fedelmente osservato anche oggi recherebbe certamente copiosi frutti di prosperità agli Stati.  – Ma, si dirà, egli inveì con oltraggiosa acrimonia contro i Sommi Pontefici del suo tempo. È vero; ma contro quelli che dissentivano da lui nella politica e che egli credeva stessero dalla parte di coloro che lo avevano cacciato dalla patria. Tuttavia, si deve pur compatire un uomo, tanto sbattuto dalla fortuna, se con animo esulcerato irruppe talvolta in invettive che passavano il segno, tanto più che ad esasperarlo nella sua ira non furono certo estranee le false notizie propalate, come suole accadere, da avversari politici sempre propensi ad interpretare tutto malignamente. Del resto, poiché la debolezza è propria degli uomini, e « nemmeno le anime pie possono evitare di essere insudiciate dalla polvere del mondo », chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero, per cui un animo così devoto alla Chiesa, come quello di Dante, ne doveva essere assai disgustato, quando sappiamo che anche uomini insigni per santità allora le riprovarono severamente? – Tuttavia, per quanto si scagliasse nelle sue invettive veementi, a ragione o a torto, contro persone ecclesiastiche, però non venne mai meno in lui il rispetto dovuto alla Chiesa e la riverenza alle Somme Chiavi; per cui nella sua opera politica intese difendere la propria opinione « con quell’ossequio che deve usare un figlio pio verso il proprio padre, pio verso la madre, pio verso Cristo, pio verso la Chiesa, pio verso il Pastore, pio verso tutti coloro che professano la religione Cristiana, per la tutela della verità ». –  Pertanto, avendo egli basato su questi saldi principi religiosi tutta la struttura del suo poema, non stupisce se in esso si riscontra un vero tesoro di dottrina cattolica; cioè non solo il succo della filosofia e della teologia cristiana, ma anche il compendio delle leggi divine che devono presiedere all’ordinamento ed all’amministrazione degli Stati; infatti l’Alighieri non era uomo che per ingrandire la patria o compiacere ai prìncipi potesse sostenere che lo Stato può misconoscere la giustizia e i diritti di Dio, perché egli sapeva perfettamente che il mantenimento di questi diritti è il principale fondamento delle nazioni. – Indicibile, dunque, è il godimento che procura l’opera del Poeta; ma non minore è il profitto che lo studioso ne ricava, perfezionando il suo gusto artistico ed accendendosi di zelo per la virtù, a condizione però che egli sia spoglio di pregiudizi, ed aperto alla verità. Anzi, mentre non è scarso il numero dei grandi poeti cattolici che uniscono l’utile al dilettevole, in Dante è singolare il fatto che, affascinando il lettore con la varietà delle immagini, con la vivezza dei colori, con la grandiosità delle espressioni e dei pensieri, lo trascina all’amore della cristiana sapienza; né alcuno ignora che egli apertamente dichiara di aver composto il suo poema per apprestare a tutti vitale nutrimento. Infatti, sappiamo che alcuni, anche recentemente, lontani sì, ma non avversi a Cristo, studiando con amore la Divina Commedia, per divina grazia, prima cominciarono ad ammirare la verità della fede cattolica e poi finirono col gettarsi entusiasti tra le braccia della Chiesa. – Quanto abbiamo esposto fino ad ora è sufficiente per dimostrare quanto sia opportuno che, in occasione di questo centenario che interessa tutto il mondo cattolico, ciascuno alimenti il suo zelo per conservare quella fede che sì luminosamente si rivelò, se in altri mai, nell’Alighieri, quale fautrice della cultura e dell’arte. Infatti, in lui non va soltanto ammirata l’altezza somma dell’ingegno, ma anche la vastità dell’argomento che la religione divina offerse al suo canto. Se la natura gli aveva fornito un ingegno tanto acuto, affinato nel lungo studio dei capolavori degli antichi classici, maggiore acutezza egli trasse, come abbiamo detto, dagli scritti dei Dottori e dei Padri della Chiesa, che consentirono al suo pensiero di elevarsi e di spaziare in orizzonti ben più vasti di quelli racchiusi nei limiti ristretti della natura. Perciò egli, quantunque separato da noi da un intervallo di secoli, conserva ancora la freschezza di un poeta dell’età nostra; e certamente è assai più moderno di certi vati recenti, esumatori di quell’antichità che fu spazzata via da Cristo, trionfante sulla Croce. Spira nell’Alighieri la stessa pietà che è in noi; la sua fede ha gli stessi sentimenti, e degli stessi veli si riveste « la verità a noi venuta dal cielo e che tanto ci sublima ». Questo è il suo elogio principale: di essere un poeta cristiano e di aver cantato con accenti quasi divini gli ideali cristiani dei quali contemplava con tutta l’anima la bellezza e lo splendore, comprendendoli mirabilmente e dei quali egli stesso viveva. Conseguentemente, coloro che osano negare a Dante tale merito e riducono tutta la sostanza religiosa della Divina Commedia ad una vaga ideologia che non ha base di verità, misconoscono certo nel Poeta ciò che è caratteristico e fondamento di tutti gli altri suoi pregi. – Dunque, se Dante deve alla fede cattolica tanta parte della sua fama e della sua grandezza, valga solo questo esempio, per tacere gli altri, a dimostrare quanto sia falso che l’ossequio della mente e del cuore a Dio tarpi le ali dell’ingegno, mentre lo sprona e lo innalza; e quanto male rechino al progresso della cultura e della civiltà coloro che vogliono bandita dall’istruzione ogni idea di religione. È, infatti, assai deplorevole il sistema ufficiale odierno di educare la gioventù studiosa come se Dio non esistesse e senza la minima allusione al soprannaturale. Poiché sebbene in qualche luogo il « poema sacro » non sia tenuto lontano dalle scuole pubbliche e sia anzi annoverato fra i libri che devono essere più studiati, esso però non suole per lo più recare ai giovani quel vitale nutrimento che è destinato a produrre, in quanto essi, per l’indirizzo difettoso degli studi, non sono disposti verso la verità della fede come sarebbe necessario. – Volesse il cielo che queste celebrazioni centenarie facessero in modo che ovunque si impartisse l’insegnamento letterario, che Dante fosse tenuto nel dovuto onore e che egli stesso pertanto fosse per gli studenti un maestro di dottrina cristiana, dato che egli, componendo il suo poema, non ebbe altro scopo che « sollevare i mortali dallo stato di miseria », cioè del peccato, e « di condurli allo stato di beatitudine », cioè della grazia divina. – E voi, diletti figli, che avete la fortuna di coltivare lo studio delle lettere e delle belle arti sotto il magistero della Chiesa, amate e abbiate caro, come fate, questo Poeta, che Noi non esitiamo a definire il cantore e l’araldo più eloquente del pensiero cristiano. Quanto più vi dedicherete a lui con amore, tanto più la luce della verità illuminerà le vostre anime, e più saldamente resterete fedeli e devoti alla santa Fede.

Quale auspicio dei celesti favori ed a testimonianza della Nostra paterna benevolenza, impartiamo con affetto a voi tutti, diletti figli, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 aprile 1921, nell’anno settimo del Nostro Pontificato.  
 

BENEDICTUS PP. XV 

DOMENICA XV DOPO PENTECOSTE (2023)

XV DOMENICA DOPO PENTECOSTE. (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. • Paramenti verdi.

La Lezione dell’Ufficio in questo giorno coincide spesso con quella del libro di Giobbe. Questo pio e ricco signore del paese di Hus, dapprima ripieno d’ogni bene, fu colpito dai mali più spaventosi che si possano quaggiù immaginare. « satana, dicono le Sacre Scritture, si presentò un giorno avanti a Dio e gli disse: Circuivi terram, ho percorsa tutta la terra e ho visto come hai protetto Giobbe, la sua casa, le sue ricchezze. Ma stendi la tua mano su di lui e tocca quello che possiede e vedrai come ti maledirà. Il Signore gli rispose: Va: tutto quello che lui possiede è in tuo potere, ma non togliergli la vita. E satana uscì dal cospetto del Signore. E ben presto Giobbe perdette il bestiame, i beni, la famiglia e fu colpito da satana con un’ulcera maligna dalla pianta dei piedi fino alla testa ». E Giobbe, disteso su un letamaio, fu costretto a togliere il putridume delle sue ulceri con un coccio » La Chiesa, pensando alla malizia di satana, ci fa domandare di essere sempre difesi contro gli assalti del demonio, contra diabolicos incursus (Segr.). satana ha l’impero della morte e, se Dio lo lasciasse fare, dicono i Padri, egli toglierebbe a tutti gli esseri la vita che posseggono. S. Paolo definisce una sua malattia: «L’angelo di satana che lo colpisce. « Ed il demonio, dice la S. Scrittura, riduce Giobbe ad un punto tale, che il santo uomo può gridare: « Il soggiorno dei morti è diventato la mia dimora, io ho preparato il mio giaciglio nelle tenebre, e ho detto al marciume: tu sei mio padre; alla putredine: madre mia, sorella mia. (XVII, 14). Le mie carni si sono consumate come un vestito roso dai tarli, e le mie ossa si sono appiccicate alla mia pelle ». Così la Chiesa applica ai defunti il disperato appello che Giobbe fece allora ai suoi amici: « Abbiate pietà di me almeno voi, o amici, poiché la mano del Signore m’ha colpito. Ma il suo appello rimase senza risposta; Giobbe allora si rivolse verso Dio e gridò con una salda speranza: « Io so che il mio Redentore vive e ch’io risusciterò dalla terra l’ultimo giorno; che sarò di nuovo rivestito della mia pelle e nella mia carne rivedrò il mio Dio. Lo vedrò io stesso e i miei occhi lo contempleranno: questa speranza riposa nel mio cuore ». E Giobbe descrive la gioia con la quale ascolterà un giorno la voce di Dio che lo chiamerà a una vita nuova: « Tu mi chiamerai e io ti risponderò, tu stenderai la tua destra verso l’opera delle tue mani ». – « Il Signore, mettendo fine ai mali che lo travagliavano, gli rese il doppio di quello che possedeva prima e lo colmò di benedizioni più negli ultimi anni di vita che non nei primi ». — La Chiesa, raffigurata in Giobbe, domanda a Dio « di essere purificata, protetta, salvata e governata da Lui » (Oraz.). Col Salmo dell’Introito essa dice: « Rivolgi, o Signore il tuo occhio verso di me ed esaudiscimi, che io sono povera e mancante di tutto (Versetto 1°). Signore, abbi pietà di me, che ho gridato verso di te tutto il giorno. Vieni alla mia anima che io ho elevata fino a te (Versetto 4°). Io ti loderò, o Signore, poiché mi hai liberato dall’inferno più profondo (Versetto 13°) ». Col Salmo dell’Offertorio essa aggiunge: « Io ho atteso il Signore con perseveranza, ed Egli infine si è volto verso di me, ha esaudita la mia preghiera e ha messo sulle mie labbra un cantico nuovo ». Questo cantico è quello delle anime cristiane risuscitate alla vita di grazia. « È bello, esse dicono, lodare il Signore e annunciare la sua grande misericordia » (Grad.). « Sì, davvero il Signore è il Dio onnipotente, il Gran Re che regna su tutta la terra » (All.).L’Epistola di S. Paolo è intieramente consacrata alla vita soprannaturale che lo Spirito Santo dà o rende alle anime. « Se noi viviamo per lo Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito », cioè siamo umili, dolci, caritatevoli, verso quelli che cadono, ricordandoci che noi siamo deboli e che di fronte al supremo Giudice porteremo il fardello delle nostre colpe personali. Contraccambiamo generosamente con beni temporali (denaro, cibi, vesti) le persone che ci predicano la parola di Dio (divina parola che dà la vita) e non indugiamo, perché Dio non tollera che ci burliamo di Lui. Il raccolto sarà conforme alla natura della semenza gettata. Seminiamo opere piene di spirito soprannaturale e mieteremo la vita eterna. Non tralasciamo un istante di fare il bene. Evitiamo le opere della carne che sono la mancanza di carità, l’orgoglio, l’avarizia e la lussuria, poiché quelli che commettono peccati sono morti alla vita di grazia e non mieteranno che corruzione. Usciamo, dunque, dalla morte e viviamo come veri risuscitati. — Il Vangelo ci dà questo stesso insegnamento raccontandoci la risurrezione del figlio della vedova di Naim. Gesù, vedendo il dolore di questa madre, fu mosso a compassione: si accostò al feretro e toccando il morto disse: « Giovinetto, te lo comando, alzati! ». E subito il morto si levò e cominciò a parlare. E tutti glorificavano Iddio dicendo; « un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo ». Il Verbo facendosi carne si è accostato alle anime che giacevano nella morte del peccato, e, commosso dalle lacrime della Chiesa, nostra madre, le ha resuscitate alla vita della grazia. Poi, mediante l’Eucaristia ha posto nei corpi un germe di vita, affinché essi risuscitino nell’ultimo giorno (Com.). — Fa, o Signore, che il nostro corpo e la nostra anima siano interamente sottomessi alla influenza dell’Ostia divina, affinché l’effetto di questo sacramento domini sempre in noi (Postcom.). – Vivificati dallo Spirito Santo, solleviamo con sollecitudine quelli che sono morti alla vita della grazia, aiutiamo con le nostre sostanze quelli che con la parola della verità diffondono la vita dello Spirito, e promuovono sempre più in noi la vita soprannaturale che abbiamo ricevuta nel Battesimo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.

S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXXV: 1; 2-3
Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Lætífica ánimam servi tui: quia ad te, Dómine, ánimam meam levávi.

[Allieta l’ànima del tuo servo: poiché a Te, o Signore, levo l’anima mia.]

Inclína, Dómine, aurem tuam ad me, et exáudi me: salvum fac servum tuum, Deus meus, sperántem in te: miserére mihi, Dómine, quóniam ad te clamávi tota die.

[Volgi il tuo orecchio verso di me, o Signore, ed esaudiscimi: salva il tuo servo che spera in Te, o mio Dio; abbi pietà di me, o Signore, che tutto il giorno grido verso di Te.]

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Ecclésiam tuam, Dómine, miserátio continuáta mundet et múniat: et quia sine te non potest salva consístere; tuo semper múnere gubernétur.

[O Signore, la tua continua misericordia purífichi e fortífichi la tua Chiesa: e poiché non può essere salva senza di Te, sia sempre governata dalla tua grazia.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti s. Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal V: 25-26; 6: 1-10

Fratres: Si spíritu vívimus, spíritu et ambulémus. Non efficiámur inanis glóriæ cúpidi, ínvicem provocántes, ínvicem invidéntes. Fratres, et si præoccupátus fúerit homo in áliquo delícto, vos, qui spirituáles estis, hujúsmodi instrúite in spíritu lenitátis, consíderans teípsum, ne et tu tentéris. Alter alteríus ónera portáte, et sic adimplébitis legem Christi. Nam si quis exístimat se áliquid esse, cum nihil sit, ipse se sedúcit. Opus autem suum probet unusquísque, et sic in semetípso tantum glóriam habébit, et non in áltero. Unusquísque enim onus suum portábit. Commúnicet autem is, qui catechizátur verbo, ei, qui se catechízat, in ómnibus bonis. Nolíte erráre: Deus non irridétur. Quæ enim semináverit homo, hæc et metet. Quóniam qui séminat in carne sua, de carne et metet corruptiónem: qui autem séminat in spíritu, de spíritu metet vitam ætérnam. Bonum autem faciéntes, non deficiámus: témpore enim suo metémus, non deficiéntes. Ergo, dum tempus habémus, operémur bonum ad omnes, maxime autem ad domésticos fídei.

[Fratelli: Se viviamo di spirito, camminiamo secondo lo spirito. Non siamo avidi di vanagloria, provocandoci a vicenda, a vicenda inviandoci. Fratelli, quand’anche uno venisse sorpreso in qualche fallo, voi che siete spirituali ammaestratelo con lo spirito di dolcezza, e bada a te stesso che tu pure non cada nella tentazione. Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo. Poiché, se alcuno crede di essere qualche cosa, e invece non è nulla, costui inganna sé stesso. Piuttosto ciascuno esamini le proprie opere, e allora avrà motivo di gloriarsi soltanto in se stesso, e non nel confronto con gli altri. Perché ciascuno porterà il proprio fardello. Chi poi viene istruito nella parola faccia parte di tutti i beni a chi lo istruisce. Non vogliate ingannarvi: Dio non si lascia schernire. Ciascuno mieterà quello che avrà seminato. Così, chi semina nella sua carne, dalla carne mieterà corruzione: chi, semina nello spirito, dallo spirito mieterà la vita eterna. Non stanchiamoci dunque dal fare il bene; poiché se non ci stanchiamo, a suo tempo mieteremo. Perciò mentre abbiamo tempo facciamo del bene a tutti, e in modo speciale a quelli che, per la fede, sono della nostra famiglia.]  

CONOSCI TE STESSO

L’Epistola di quest’oggi è la continuazione di quella della domenica scorsa, nella quale si inculcava di vivere secondo lo spirito. Per vivere secondo lo spirito, prosegue l’Apostolo, bisogna fuggire la vanagloria e l’invidia. Si deve correggere chi sbaglia con spirito di dolcezza; tutti hanno a sopportarsi vicendevolmente. Persuasi del proprio nulla, devono esaminar spassionatamente le proprie azioni. Siamo, inoltre, generosi con chi ci istruisce nella fede. E conclude esortando di non stancarci di fare il bene, essendo la nostra vita il tempo della semina. Se in questa vita non ci stancheremo a seminare nello spirito, a suo tempo, mieteremo la vita eterna. – Accogliamo l’invito di S. Paolo, a esaminare le nostre opere.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1921]

Graduale

Ps XCI: 2-3.
Bonum est confitéri Dómino: et psallere nómini tuo, Altíssime.

[È cosa buona lodare il Signore: inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

V. Ad annuntiándum mane misericórdiam tuam, et veritátem tuam per noctemm.

[È bello proclamare al mattino la tua misericordia, e la tua fedeltà nella notte.].

Alleluja

Allelúja, allelúja Ps XCIV: 3

Quóniam Deus magnus Dóminus, et Rex magnus super omnem terram. Allelúja.

[Poiché il Signore è Dio potente e Re grande su tutta la terra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum S. Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc VII: 11-16
“In illo témpore: Ibat Jesus in civitátem, quæ vocátur Naim: et ibant cum eo discípuli ejus et turba copiósa. Cum autem appropinquáret portæ civitátis, ecce, defúnctus efferebátur fílius únicus matris suæ: et hæc vidua erat: et turba civitátis multa cum illa. Quam cum vidísset Dóminus, misericórdia motus super eam, dixit illi: Noli flere. Et accéssit et tétigit lóculum. – Hi autem, qui portábant, stetérunt. – Et ait: Adoléscens, tibi dico, surge. Et resédit, qui erat mórtuus, et coepit loqui. Et dedit illum matri suæ. Accépit autem omnes timor: et magnificábant Deum, dicéntes: Quia Prophéta magnus surréxit in nobis: et quia Deus visitávit plebem suam.

[“In quel tempo avvenne che Gesù andava a una città chiamata Naim: e andavan seco i suoi discepoli, e una gran turba di popolo. E quand’ei fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato fuori alla sepoltura un figliuolo unico di sua madre, e questa era vedova: e gran numero di persone della città l’accompagnavano. E vedutala il Signore, mosso di lei a compassione, le disse: Non piangere. E si avvicinò alla bara, e la toccò (e quelli che la portavano si fermarono). Ed egli disse: Giovinetto, dico a te, levati su; e il morto si alzò a sedere, e principiò a parlare. Ed egli lo rese a sua madre. Ed entrò in tutti un gran timore; e glorificavano Dio, dicendo: Un profeta grande è apparso tra noi; e ha Dio visitato il suo popolo”

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

LA MADRE

Era Naim una borgata di Palestina. Fu proprio alle sue porte, che il Maestro incontrò un funerale. Portavano a sepoltura un giovane, un figlio unico: e sua madre era una vedova. Gran tratta di popolo, mossa dalla pietà del caso, accompagnava la salma. Gesù si fermò ed ecco una donna venire col viso nascosto sotto il velo oscuro, curva sotto il velo oscuro, curva sotto un’angoscia senza parola. La madre! Come la vide, il Figlio di Dio sentì il cuore pieno di misericordia per lei, per la madre. E dicendole — Non piangere! — chiamò il figliuolo fuori dal sonno della morte e lo restituì a lei: alla madre. Quam cum vidisset, motus super eam… Non il pietoso cadavere d’un giovanetta non la commiserazione d’una città, ma una madre in ambascia ha ottenuto il miracolo. Quando una Madre piange, Dio sente straziarsi le viscere (è il significato preciso della parola greca usata da Luca: « esplachnìsthe ») e non sa più resistere. « Madre », che misteriosa parola: essa è la prima che il bambino ignaro della vita riesce a balbettare. Essa è l’ultima che l’uomo esperto d’ogni amara fatica mormora nel turbine dell’agonia. Nelle ore più disperate in cui ci sentiamo schiacciati e soli nel mondo, involontariamente ognuno chiama la sua mamma: « Dov’è ella mai? Perché non sento la sua mano bianca carezzarmi la fronte ardente? » Nelle ore più benedette e fortunate, nessuna gioia è piena, nessuna gloria è colma, se manca la nostra mamma. « Dov’è ella mai? se mi potesse vedere! ». Guardando un giovane ben educato, che fa bella e onesta riuscita nel mondo, subito ci vengono in mente queste parole: « Sono i consigli, sono le preghiere di sua madre ». Incontrando invece qualche cattivo soggetto, fuorviato, depravato, noi diciamo: « Non ha avuto madre ». Ed io sono del parere di quelli che asseriscono come neppure il Figliuol Prodigo sarebbe finito a riempirsi il ventre con le ghiande dei porci, se la parabola gli avesse messo accanto una mamma. E non avete osservato con che accento d’insaziabile pietà gli orfani dicono: « La mia povera mamma… »? E non avete osservato quale tremito d’amarezza trascorre sulla bocca dell’uomo che tormentosamente esclama: « Ho fatto piangere mia madre… »? Madri, voi siete una potenza nel mondo. Perciò, permettete che vi richiami la dignità altissima a cui foste innalzate da Dio e da Cristo Salvatore. Permettete ch’io vi riguardi nella luce della nostra fede, in quella luce in cui Gesù vide la madre di Naim. Madre cristiana, significa Martire, perché la sua vita è un continuo olocausto; madre cristiana significa Angelo, perché la sua vita deve essere una continua elevazione a Dio sulle ali della preghiera. Forse questi pensieri faranno piangere molte che hanno dimenticato ciò che dovrebbero essere; faranno arrossire anche i mariti che in questa luce non hanno considerato mai la loro sposa; faranno pentire tutti i figliuoli che hanno disgustato la loro mamma. Dio voglia che avvenga così. – 1. LE MADRI DOLORANTI. Un lontano venerdì, al meriggio, una Madre ascendeva verso il sommo d’una collina appena fuori dalle mura di Gerusalemme. Era Maria, la madre di Dio: di Dio suo Figlio che agonizzava sopra una croce per la salvezza del mondo. Ed Ella dolorosa e lacrimosa stette a contemplare lo strazio del suo Unigenito. Grande come il mare fu la sua angoscia, e per ciò tutte le generazioni l’hanno riconosciuta come la più addolorata fra le donne. E dopo di Lei, dovrò ricordare tutte le madri cristiane, che l’imitarono nel sacrificio? Ricorderò Santa Sofia che vide co’ suoi occhi le tre figliuole uccise per la fede, e poi raccolse le reliquie delle tre piccole martiri, e le compose nella stessa arca e si adagiò sul loro sepolcro; e vi morì di dolore e di amore. Ricorderò anche la madre di S. Barulo. Mentre camminava per le vie di Antiochia con l’unico suo figlioletto, improvvisamente fu trascinata al tribunale del prefetto Asclepiade. Stavano processando un diacono, perché s’era rifiutato di adorare gli idoli. « Fa venire un fanciullo semplice ed innocente — diceva il martire al giudice — e sentiremo da lui se si devono onorare più dei, o un Dio solo ». E il primo fanciullo trovato, fu Barulo. « Barulo! — gli diceva Asclepiade con voce ingannevole — quella rosa che tieni fra le mani, non la potresti offrire a Giove? » « No! — rispose il bimbo — perché soltanto il Dio dei Cristiani è il Vero ». Scoppiò d’ira il prefetto: « Chi ti apprese a parlar così? ». « Mia madre rispose il piccolo — e a mia madre Iddio ». Allora fu consegnato ai carnefici perché fosse sospeso in alto e flagellato a morte in presenza della madre. E dall’alto, mentre le tenere carni percosse cadono a brani, dalle labbra riarse del fanciullo si sprigiona un lamento: « Oh, mamma, una goccia d’acqua! Ho sete ». « Figlio mio! — risponde la madre straziata — chi beve l’acqua terrena ha sete ancora… sopporta un poco e berrai al fonte dell’acqua che disseta per sempre ». Sopportò un poco ancora e gli fu troncata la testa nel grembo di sua madre! Che la Madre di Dio, che le madri doloranti dei martiri, insegnino anche alle nostre madri l’olocausto della maternità. La vita non è una festa, e i figliuoli non sono balocchi da conservare tra le carezze, gli agi, i capricci. La vita di una vera madre è un sacrificio lento, oscuro, continuo: è un immolarsi corpo ed anima, di giorno in giorno, per i figli e per lo sposo. Ma ora le giovani vanno al matrimonio sognando le rose soltanto, e di spine non vogliono saperne. Ecco perché con peccati e talvolta con delitti esecrandi si arriva fino a rifiutare d’essere madri, per sfuggire ai pesi e ai sacrifici della maternità. – 2. LE MADRI PREGANTI. Nell’infocato deserto di Bersabee da più giorni erravano una madre e un figlio: ed il figlio moriva di sete. Allora la madre lo pose sotto uno degli alberi che v’erano, s’allontanò quanto un tiro d’arco e piangendo alzava le mani e la voce al cielo: « Signore, non vedrò morire il mio fanciullo ». Quel grido fu udito da Dio, e venne un Angelo a dire: « Agar, che fai, non piangere più: prendi il figlio tuo e guarda ». In quel momento i suoi occhi scorsero non lontano un pozzo d’acqua, ove riempiendo l’otre, ella dissetò Ismaele (Gen. XXI). Ascoltate ancora di un’altra madre. Una volta che Gesù s’era spinto entro i confini della regione cananea, una donna che aveva la figlia torturata dal demonio venne a Lui, si buttò ai suoi piedi gridando: « Signore, pietà di mia figlia, e di me ». Ed il Signore dapprima la guardò senza rispondere, ma come ella raddoppiava le insistenze, i discepoli stessi lo pregarono di esaudirla. Egli allora parlò, ma per dire una parola dura: « Il mio popolo è quello d’Israele, tu sei forestiera. Donna, non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cani ». Ma quella donna era madre e pregò con eroica fede così: « E s’io sono un cane, almeno non mi sia negato il diritto dei cani che è ben quello di raccogliere le briciole cadute dalla tavola del padrone ». Gesù non poté più resistere: « La tua fede è grande! — esclamò commosso — ti sia concesso ciò che domandi ». Quante madri ancora somigliano ad Agar dell’Antico Testamento? l’anima del loro figlio, del loro sposo muore di sete nel deserto della vita, poiché da tempo hanno lasciato la Chiesa, le devozioni, l’amor del lavoro e della famiglia… Quante madri ancora somigliano alla Cananea del Nuovo Testamento; la loro figlia è tormentata dal demonio: non vuol più ubbidire, non vuol più vivere onestamente. Le mode, le gite, gli amici, le lunghe ore serotine passate fuori di casa l’hanno rovinata nell’anima… Bisogna pregare. « Signore! — dicono anch’esse piangendo — io non voglio vederlo morire di sete! Fa’ che ritorni a Te ed ai Sacramenti, fa che si disseti con l’acqua della tua grazia, fa che diventi buono » — « Signore! — dicano anch’esse — scaccia da mia figlia il demonio della leggerezza, dell’immodestia, della vanità, della disobbedienza, dello scandalo. Fa che diventi buona ». Alle madri che pregano e piangono con fede, con insistenza di anni e di anni — come santa Monica — Dio non può resistere. Ma perché dunque queste giovani madri dei nostri tempi pregano così poco? Perché non si recita più il Rosario alla sera, la preghiera prima dei pasti e del riposo, l’Angelus del mezzodì, le giaculatorie durante il lavoro? Perché non si sente il bisogno della Comunione frequente, della Messa quotidiana? – Si racconta dell’imperatore Corrado che assediò una città di Germania e la prese a discrezione. « Sia sterminata col ferro e col fuoco e nella rovina perisca ogni abitante ed ogni roba », questo era l’orrido bando. Ma le madri scarmigliate si prosternarono davanti al padiglione del terreo conquistatore e seppero singhiozzare così pietosamente che concesse a loro il permesso di fuggire con ciò che potevano portarsi dietro. E quelle con improvviso ardimento, si presero sulle spalle gli sposi e sulle braccia i figli e li sottrassero alla morte. Ah, le madri cristiane avranno forse meno zelo per sottrarre i loro cari alla morte spirituale? Ecco che il re dell’inferno cinge d’assedio le nostre case: sono mille nuovi pericoli che accerchiano la fede e il buon costume delle famiglie. Solo il sacrificio e la preghiera delle madri potrà strappare fuori dall’eterna rovina gli uomini ed i fanciulli. — LA SANTA MADRE CHIESA PIANGE. Questa donna di Naim mi ricorda un’altra mistica donna che oggi piange dietro alle anime morte non di uno solo, ma di mille e mille suoi figli giovanetti: la santa Madre Chiesa. Non è essa la sposa di Cristo vedovata per l’ascensione di Lui al cielo? Tutti i giovani che hanno perso l’innocenza della vita e l’amore alla preghiera e il desiderio della Comunione, non sono forse i suoi figliuoli morti? La gioventù non respira più nell’atmosfera cristiana, ma agonizza e muore nello spasimo di un’asma morale. V’è un attossicamento di anime, una lebbra di cuori, una tubercolosi spirituale. Perciò la Chiesa oggi piange. O Cristiani aprite una volta gli occhi e vedete la corruzione della nostra gioventù come dilaga; poi ricercatene qualche causa per opporvi rimedio. – 1. LA CORRUZIONE DEI GIOVANI. Un giorno che il Papa San Gregorio attraversava la piazza del mercato di Roma, vide un gruppo di giovani legati sopra un banco: bellissimi di forma, piacevoli di volto e tutti biondi di capelli. Erano schiavi ed aspettavano che qualcuno li comprasse. Il beato Gregorio passando vicino, domandò al mercante donde li avesse condotti. « Di Bretagna, — rispose quello — là, ove gli abitanti risplendono di simigliante bianchezza ». E ancora domandò: « Almeno sono essi Cristiani? » E il mercante rispose: « Non sono Cristiani, anzi sono involti negli orrori del paganesimo ». Allora S. Gregorio incominciò fortemente a sospirare in mezzo al mercato, e a piangere come un fanciullo, così dicendo: « Ohimè, dolente! che bellissimi giovani e che splendidi facce son venduti schiavi agli uomini pessimi e al demonio maligno ». Usciamo anche noi, e guardiamo con occhi cristiani su questa gran piazza di mercato che è il mondo: guardiamo la sorte della nostra gioventù. Sono fanciulli che a otto a dieci anni perdono di già la santa Messa nei giorni festivi; che di già non pregano più né mattina né sera. Sono giovani che non vengono mai alla dottrina cristiana, che non vogliono frequentare più l’oratorio, per divertirsi tutta la domenica e offendere il Signore. – I campi sportivi, i divertimenti; i balli rigurgitano di giovanetti: alla sera tornano a casa, ma il loro occhio non è limpido, ma la loro fronte non è più serena, ma la loro anima è una fiamma. Una fiamma d’impurità che li divora. Essi hanno visto, hanno udito, hanno imparato il male. E quando il demonio del vizio brutto entra in corpo a un nostro figliuolo lo rende muto. Subito ve ne accorgete, perché non prega più, non si confessa più come una volta, non apre più la sua bocca a ricevere il Pane degli Angeli. Allora è finita. E che cosa si può sperare ancora quando finanche le fanciulle hanno perso il senso del pudore istintivo nel cuor della donna? Voi le vedete in giro ad ogni ora, e sole: di giorno, di sera, di notte. Voi le sentite frivolmente ridere e scherzare per le strade; vestono una moda così immorale che forse non s’è vista mai, neppure al tempo dei pagani. E la gioventù ha l’anima bella. Un’anima splendente, che non vien di Bretagna come quei giovani che vide il beato Gregorio, ma viene da Dio e a Dio deve ritornare. Ma chi piange ora che sì belle anime cadono schiave di uomini pessimi e del demonio maligno? Il Papa più volte ha levato il suo grido d’allarme e contro alla moda e contro alla corruzione che dilaga. Il Papa dal Vaticano, come un giorno S. Gregorio sul mercato di Roma, sospira fortemente e piange sulla rovina della gioventù. – 2. QUALCHE CAUSA. « Oh i ragazzi adesso, non sono più come quelli di una volta! Nascono. già con un istinto più perverso… » così dicono le mamme ed anche i papà. Può darsi: ma è proprio possibile che il Signore tutti i buoni figliuoli li abbia già fatti nascere, e per i nostri tempi, abbia riserbato soltanto i cattivi? « Adesso si respira un’aria diversa. Ai nostri tempi non c’erano tanti luoghi di divertimento, tanti sports: e siamo cresciuti più sani e più onesti ». Sì, questo è vero ma non basta a spiegar tutto. Io credo, — e scusate genitori se ve lo dico, è per vostro bene — io credo che la vera colpa di tanto sfacelo morale ricada sui padri e sulle madri. Sapete perché i ragazzi di adesso non sono più come quelli di una volta? Perché anche ì genitori d’adesso non sono più come quelli d’allora. Il figlio in mano vostra è come una cera e cresce come voi lo volete. Il grande Vescovo di Costantinopoli S. Giovanni Crisostomo, quell’uomo meraviglioso che tanta orma di sé ha impresso sui secoli della storia, nacque nel 344, in una ricca e distinta famiglia. Il padre Secondo morì nel fior dell’età e lasciò vedova a vent’anni Antusa. A questa donna, ben degna dell’augusto nome di madre, si deve in gran parte la gloria del figlio. Per donarsi totalmente all’educazione del suo Giovanni, rifiutò un secondo matrimonio. Fu così fedele per ben due decenni ai suoi doveri di madre da strappare al pagano Libanio queste parole: « Che donne meravigliose ci sono tra i Cristiani! ». Or dove sono queste mamme? Che meraviglia allora che non ci siano più figli come Giovanni Crisostomo? Naturalmente non basta sorvegliare e avvisare i figli, sgridarli, castigarli: bisogna dar loro l’esempio. Perché i giovani non ragionano ancora e vivono di imitazione. Il piccolo Origene era un’anima ardente e pura. In quel tempo infieriva la persecuzione contro i Cristiani: lo sapeva il fanciullo, ma non aveva paura. Anzi agognava il martirio, per testimoniare col suggello della vita e del sangue a Cristo tutto il suo amore. Già in segreto aveva deciso di consegnarsi spontaneamente nelle mani dei carnefici. E sarebbe morto martire se l’astuzia della madre non fosse riuscita ad impedirglielo. La santa donna, che aveva intuito l’eroico disegno del suo figliuolo, prima che si svegliasse, nascose tutti i suoi abiti e l’obbligò a rimane a letto (EUSEBIO, Storia Eccl., VI, 2-5). Com’è possibile in un fanciullo tanto coraggio, tanta fede e questo entusiasmo fino alla morte? Com’è possibile? Suo padre gliene aveva dato l’esempio: il beato Leonida era morto martire. O genitori! i vostri figliuoli cresceranno secondo i vostri esempi. Li volete obbedienti? Cominciate voi ad ubbidire a tutte le leggi di Dio. Li volete devoti, che frequentino i Sacramenti? Cominciate voi ad essere devoti e a frequentare i Sacramenti. Li volete puri, onesti, lavoratori? Cominciate voi ad essere puri, onesti, lavoratori. Infine, vi raccomando: pregate per i vostri figliuoli, offrite qualche sacrificio per loro, fate per loro qualche elemosina. Perché noi ci affanniamo, ma quello che fa tutto è Dio. Una volta ho sentito una mamma che in un momento di stizza, fece questa imprecazione contro un suo bambino: « Che Dio ti faccia morire! ». No: non dite mai, non dite più questa parola. Bisogna pregar Dio per i vostri figliuoli ogni giorno, non perché li faccia morire, ma perché ce li preservi dal male, che è tanto nel mondo, che è orribile. Così pregava Gesù per i suoi Apostoli, che teneramente amava come figliuoli: « O Signore! non perché li tolga da questo mondo, ma perché li preservi dal male, io ti prego ». Non rogo ut tollas eos de mundo, sed ut serves eos a malo (Giov., XVII, 15). –  O Gesù! che un giorno hai sentito fremere il tuo cuore davanti alla desolata donna di Naim piangente sul suo giovanetto figlio, oggi ti prenda compassione anche della santa Madre Chiesa, che piange la rovina di tanti suoi figli giovanetti. Non permettere che pianga più oltre: consola il tuo Vicario. O Gesù! come un giorno alle porte di Naim, avvicinati oggi alle porte delle nostre città, alle porte dei nostri paesi, alle porte del cuore dei nostri figliuoli. Toccali Tu. Liberali dalla morte del peccato. Grida anche loro la tua parola di vita: « Giovanetto, risorgi: son Io che te lo comando ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIX: 2; 3; 4
Exspéctans exspectávi Dóminum, et respéxit me: et exaudívit deprecatiónem meam: et immísit in os meum cánticum novum, hymnum Deo nostro.

[Ebbi ferma fiducia nel Signore, il quale si volse verso di me e ascoltò il mio grido: e pose nella mia bocca un càntico nuovo, un inno al nostro Dio.]

Secreta

Tua nos, Dómine, sacramenta custodiant: et contra diabólicos semper tueántur incúrsus.

[I tuoi sacramenti, o Signore, ci custodiscano e ci difendano sempre dagli assalti del demonio.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate


Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Domine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua gloria, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretionis sentímus. Ut in confessione veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia unitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamare quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigenito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]


Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra gloria tua. Hosanna in excelsis. Benedíctus, qui venit in nomine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præceptis salutáribus móniti, et divína institutióne formati audemus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joann VI: 52
Panis, quem ego dédero, caro mea est pro sæculi vita.

[Il pane che darò è la mia carne per la vita del mondo.]

Postcommunio

Orémus.

Mentes nostras et córpora possídeat, quǽsumus, Dómine, doni cœléstis operátio: ut non noster sensus in nobis, sed júgiter ejus prævéniat efféctus.

[L’azione di questo dono celeste dòmini, Te ne preghiamo, o Signore, le nostre menti e nostri corpi, affinché prevalga sempre in noi il suo effetto e non il nostro sentire.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (268)

LO SCUDO DELLA FEDE (268)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (10)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO XI.

CATTOLICESIMO

I. La religione non s’ha da immischiare nell’avviamento esterno della società. Il. La prudenza richiede il giusto-mezzo — la moderazione,— non bisogna essere esclusivi.

Abbiamo accennato sopra tante sorti di religione che ormai sembra che dovrebbe bastare: eppure, osservando quel che accade nel mondo, ve n’ha ancora una specie di cui non si può tacere. Ed è un cattolicismo inventato da poco tempo in qua, e di così buona natura, che tollera tutto quello che gli si vuole far tollerare. È modesto e chiude gli occhi, è pacifico e tiene la lingua, è umile e non comanda, è prudente e vive ritirato, non intorbida le coscienze, non agita gli spiriti, condiscende a tutto quello che altri vuole, e restringendosi alla sagrestia ed all’interiore della famiglia non pretende di mostrarsi nell’andamento esterno della società. Questo è il cattolicesimo che è di moda principalmente nelle case di personaggi chiari, come Deputati, Ministri, Magistrati, uomini di Stato, e poi si stende a quelli che ad essi reggono il lume e tengono il sacco. Mi chiederete come si sorregga questa nuova religione? Vi risponderò che con due principii magistrali che vogliono ognuno da sé una dimostrazione: La religione s’occupa del cielo, e non s’immischia degli affari umani;- la prudenza vuole il giusto mezzo in tutte le cose, e non bisogna essere troppo esclusivi nel proprio modo di vedere: con questi sostegni essa cammina snella e non teme d’inciampi.. Vogliamo però credere che anche il Signore, li riconoscerà?

Ora lo vedremo.

I. La religione non s’ha da immischiare nell’andamento esteriore della società. Questa proposizione potrebbe in qualche modo trarsi a buon senso, ma, presa così generalmente come ella suona, è falsissima. La religione non s’ha da immischiare nell’andamento esteriore della società, cioè non ha da ordinare per sé medesima le cose civili, è chiaro. La religione non fa le leggi, non ordina le milizie, non amministra le rendite, non nomina gl’impiegati, non mette in piedi né banche né le borse, non fa le paci né le guerre, la cosa parla da sé: ma la religione non s’ha da-intromettere in tutte queste cose colla sua virtù, colle sue norme, questo è falso, in guado superlativo: Che cosa è la religione? È il complesso; l’accolta di tutti i doveri che si corrono verso il Signore: è dunque chiaro che non abbraccia solo la preghiera, il sacrifizio i sacramenti e le pratiche di pietà, ma ancora e principalmente la giustizia, l’onestà, le virtù, colle quali si presta a Dio un culto perfetto: Come dunque la religione non s’ha da immischiare nell’andamento esterno della società? E può adunque la società andare avanti senza la giustizia, l’onestà, la fedeltà, le leggi eterne di Dio? Ma allora ci farete non una società d’uomini, sebbene un covile di fiere o una mandria di armenti. – Del resto, si comprenderà vie meglio l’assurdo di quella proposizione, percorrendo alcuni di quei punti, da quali si vuole’ più di proposito rimuovere la religione: La politica è la prima ad escluderla. Ad intendere alcuni quando si tratta di vantaggi del proprio paese, delle relazioni che passano tra nazione e nazione, allora la religione non ci ha che vedere. Ma, di grazia, e le società non sono più obbligate al pari degli individui a mantenere la giustizia e ad onorare con essa la divinità? Sarebbe bella che i furti, le rapine, gli omicidii, l’irreligione fossero delitti finché si commettono dai privati ed in materia tenue, e diventassero virtù quando si commettono dalle nazioni, ed in materia tanto più ampia. È chiaro adunque che la religione ha da entrare anche in diplomazia, ha da presiedere alle relazioni internazionali, e tanto. più ha da tenere ivi gli occhi aperti, quanto sarebbero più gravi le ingiustizie o quanto più difficile ne sarebbe il rimedio. Le varie fogge di governo che possono introdursi in un paese, sono di appartenenza della religione. Verissimo; presa la cosa in astratto, poiché può darsi caso in cui sia vera autorità e diritto, e forse anche vantaggio, convenienza e, se volete, perfino necessità, d’innovare e di riformare. Ma non sarebbero possibili anche cambiamenti che pregiudicassero ai diritti preesistenti? E se questo calo si desse, la religione non dovrebbe più chiamare le cose pel loro nome, e dir furto al furto, oppure, cesserebbe ella di essere la custode della giustizia? Inoltre, se questi cambiamenti, oltre alla forma politica, si stendessero anche ad immutare le leggi o la costituzione della Chiesa; se riuscissero di grave danno alla purezza della fede o del costume, nè anche allora avrebbe nulla che dire la religione? – Alla religione sogliono per lo più fare il viso dell’armi i legislatori alla moderna. E tuttavia dove starebbe essa meglio di casa che presso di loro? Tanto hanno da essere commensurate le leggi alle norme della giustizia, della onestà, della religione, che, dove le fossero evidentemente contrarie, non hanno neppure valor di legge. E ciò fu inteso sì fattamente persino dai pagani al lume di natura, che tutti hanno fatto intervenire come assistente ai legislatori la divinità. Perché dunque la religione vera non dovrà offrire a quelli le sue norme di giustizia, di verità, di carità, sia per loro sicurezza come per guarentigia del pubblico bene? Chi pensa potere senza religione dettar leggi, sente più del tiranno che delnprincipe, e fa grande sospetto dove non voglia la religione per consigliera, di volervi solo l’interesse proprio o la passione. Senzaché la legge può essere anche o per ignoranza o per malizia del legislatore offensiva della giustizia, oppure contraria alla medesima religione; ed allora a chi tocca far sentire le sue giuste querele se non a quella che fu data da Dio agli uomini per guida suprema? La magistratura eziandio crede talvolta bastarle la lettera della legge e non abbisognare di religione, ma e chi ne abbisogna nel fatto più di lei? E dove sono leggi siffatte al mondo che non lascino infiniti casi particolari alla prudenza, alla discrezione, alla coscienza dei magistrati? Se però questi non hanno bene stabilita in cuore la religione, come resisteranno alle seduzioni dell’oro, dell’amicizia, della passione, del timore, ed a tutte le corruttele della misera umanità? – La religione viene sbandita al dì nostri dalle università, poiché si stima la scienza non abbisognare di lei. E tuttavia qual è quella scienza che, non confortata dalla religione, possa incedere sicura? Se ne togliete un poco di empirismo nelle scienze naturali, tutte le altre dalla religione ricevono la vita. E ciò per non dir nulla che uffizio così geloso, che è il dare agli uomini una seconda vita qual è l’intellettuale, esige al tutto ne’ maestri come cauzione unanprofonda religiosità: se già non s’ha da cambiare in veleno di errori il farmaco salutare della scienza. • La milizia stessa, che a prima vista può parere meno affine alla religione, pur la domanda a gran voce; conciossiaché che cosa sono i gran corpi di eserciti senza quell’ anima interiore? Sono una forza brutale, smisurata, più pronta a mettere in piedi il disordine, a difenderlo, a patronarlo, che non a tutelare la società. – In una parola, la religione non ha essa da costituire le leggi, né i magistrati, né le milizie, né niuna altra cosa meramente civile, ma ha da èssere l’anima di tutto quello che viene costituito. Ha da prescrivere all’individuo la condotta privata entrandogli fin nell’intimo della coscienza, e reggendone anche tutto l’esteriore. Ha da penetrare nel segreto della famiglia e comporre le relazioni scambievoli dei coniugati fra di sé, dei genitori verso dei figliuoli, dei padroni verso dei servi e viceversa. La religione ha da mostrarsi in pubblico ne’ fondachi, nelle botteghe, nelle officine; ha da spaziare in sulle piazze, in sui mercati, alle borse; ha da accompagnarsi coi campagnoli, coi popolani, coi soldati; ha da salire sulle scranne dei Deputati, dei giudici, dei legislatori; ha da penetrare nei gabinetti dei Ministri, dei diplomatici, e s’ha da assidere sul soglio degl’Imperatori e dei Re. Tutte le azioni dell’uomo hanno da essere informate delle sue massime, regolate co’ suoi precetti, infrenate da’ suoi divieti, confortate dalle sue promesse. I doveri vanno osservati con religione, con religione mantenuti i diritti, e ciò con una costanza saldissima, perché bisogna che sia così sino all’ultimo respiro. Né solo negativamente, in quanto non sia mai lecito in verun tempo far cosa che disconvenga alla religione; ma ancora positivamente, in quanto niuna azione possa mai farsi che non sia commensurata alle norme prescritte dalla religione. – E tuttociò è evidente dalla padronanza suprema che Gesù Cristo, autore della religione, ha sopra tutti gli uomini e grandi e piccoli, e nobili e plebei, e dotti e ignoranti, e sudditi e monarchi; dall’imporre che ha fatto a tutti le stesse norme senza eccettuare persona di sorta; dalla necessità indispensabile di rendere sempre a Dio il culto della giustizia, della verità; dalla permanenza incrollabile de’ suoi divieti, pei quali ha proibito di contravvenire a questa sua volontà sì solenne. Sopra quale fondamento adunque si stabilisce che la religione non ha da entrare nelle cose pubbliche? – Inoltre perché la religione non entri nell’esterior governo della società. sarebbe necessario ammettere una di queste due cose, o che il privato si spogli della coscienza, quando amministra la cosa pubblica, oppur che si provveda di due coscienze ad un tratto. Che si spogli della propria coscienza: poiché se vi apporta la medesima, supposto che stimi doverosa la religione in privato, quella non potrà mai presentare altro che le stesse norme per quello che è pubblico. Chi giudica, a cagion di esempio, in privato non poter rubare uno scudo, o percuotere un innocente, non potrà mai stimarsi lecito rubare un milione, o mandar un innocente al patibolo: oppure che si provveda di due coscienze ad un tratto; l’una per giudicare ad un modo gli affari suoi privati, individuali, domestici; l’altra per trattare i negozi civili, pubblici, politici. Sarebbe questo veramente un trovato meraviglioso, eppure niente raro in questi tempi di coraggio civile. Abbiamo veduto uomini incomparabili, i quali scrivevano libri devoti ed orazioni affettuose, e poi ne scrivevano altri contro dei preti e dei Cardinali: abbiamo veduto Ministri di Stato e uomini di Governo che andavano devotamente alla santa Messa, e poi rientrati ne’ loro uffici s’occupavano più divotamente a tormentare Vescovi e religiosi: abbiamo veduto diplomatici di gran vaglia disputare tutta la sera alla santa Chiesa i più incontrastabili suoi diritti, e poi fare con grand’edificazione la mattina seguente la Comunione: abbiamo veduto uomini che giuravano di esser Cattolici quanto il Papa, ma che frattanto bravavano le più orrende scomuniche con usurpazioni sacrileghe: e vediamo ed udiamo tutto giorno molti di costoro, i quali, grazie a Dio, come parlano essi, sanno quel che debbono alla religione, ma perché sanno anche quel che debbono alla politica, mantengono che è uno scandalo vedere il Sommo Pontefice alla testa di uno Stato, che è un orrore vedere il successor di san Pietro sul trono. E mentre scrivo queste parole, mi giunge alle mani un libretto, dove l’autore, fatte mille proteste di esser cattolico, e prodigati i più grandi elogi alla Sede apostolica; dice poi che il Papa ed i Vescovi ed il clero tutto quanto non conoscono più né la giustizia, né il dovere, perché non caldeggiano la santa rivoluzione d’Italia. – Colla qual religione s’ha poi anche un altro vantaggio tanto più prezioso, quanto finora meno conosciuto: ed è il comporre insieme cose che fìnquì si stimavano al tutto contraddittorie e repugnanti; soddisfare cioè a Dio senza dare troppo ombra al diavolo, acquetar la coscienza e non iscontentar la passione, accettar l’opera dei preti e dei regolari, e perseguitar preti e regolari, incontrar lode vesso i Cattolici e non incorrer biasimo presso dei miscredenti. – In tempo di fusioni siccome è questo, il trovato è inestimabile. Peccato solo che in quella composizione vi sia qualche metallo che al tutto non voglia far lega con gli altri e che Gesù Cristo abbia detto che chi non è con Lui, è contro di Lui; che chi con Lui non raccoglie, disperde; che niuno può servire a due padroni! Ma questo sel vedranno essi: forse avranno trovato il modo come persuadere a sé che la religione non ha da entrar nella cosa pubblica, così di persuadere a Gesù Cristo che non s’ha da mescolar delle cose loro; chi sa? – Voi, frattanto, o lettore, cavate dal fin qui detto una conseguenza di sommo rilievo, ed è il torto che hanno quei che pretendono, il clero non doversi immischiare nelle cose politiche, e l’equivoco da cui procedono tutte le loro declamazioni. Imperocché se vogliono significare solo che il clero non s’ha da occupare di contratti, di merci, di borse, di banche, di brighe secolaresche, di fare e disfare il mondo, noi li ringrazieremo dell’avviso, e solo pregheremo cotesti zelanti a contentarsi di lasciar fare alla Chiesa, che probabilmente se ne intenderà più di loro. Al più, al più lascino la necessaria libertà ai Vescovi per fare osservare i canoni, non prendano la protezione di qualche prete riottoso, non tengano il sacco a qualche frate impazzato che si trafora dove non debbe. Ma se vogliono dire che al clero don appartiene l’occuparsi della cosa pubblica in altri modi, lo negheremo recisamente. Il clero può trattare tutte le quistioni sociali, siccome scienza, al pari di qualunque altro, e forse più e meglio per ragione delle scienze sacre a cui è addetto. Ne’ paesi retti a libere istituzioni, il clero vi ha quel diritto che v’ha ognuno, se già l’essere di sacerdote non toglie ormai l’essere di cittadino, come pare a taluni. Il clero debbe parlare come quello che è custode della moralità, e finora non s’è recato mai in dubbio che spettasse alla Chiesa il definire come e quando la moralità rimanga o non rimanga violata. Il clero debbe parlare perché le questioni politiche, il soggetto delle leggi, i pubblici provvedimenti nella società cristiana hanno infinite relazioni col costume, colla fede, coi sacramenti, colla Chiesa. – Non solo può, ma debbe il clero in molti casi parlare e parlar alto per soddisfare all’obbligo impostogli da Gesù Cristo di mantenere i diritti di lui, di sicurare il popolo fedele contro la seduzione dell’errore. Debbono parlare i sacerdoti, e debbono parlar anche più alto i Vescovi come quelli che succedono agli Apostoli, i quali dicevano agli anziani della sinagoga: non possiamo tacere. So bene che dove non basteranno le declamazioni a farli ammutolire, saranno talora impiegate contro di essi le minacce, le violenze, gli esilii, le carceri e le mannaie; ma so ancora che il sacerdozio non per questo tacerà. Finchè rimarrà una voce (e questa non verrà mai meno), quella voce parlerà é per onore di Gesù Cristo e per salvaguardia del popolo cristiano, e parlando condannerà le leggi ingiuste, i procedimenti arbitrari, le violazioni, i soprusi, le angherie, le usurpazioni sulla Chiesa, la politica di Macchiavello, e tutte non solo le private ma pure le pubbliche iniquità. Se il mondo non ha intelletto per comprendere quanto divina istituzione sia quella che, attraverso i secoli e le passioni, mantiene sempre intatte e proclama le leggi eterne della giustizia, e sfolgora tutti gli errori, tal sia di lui; non per questo Gesù o la cambierà o la lascerà venir meno: e chi non se ne gioverà per iscampo e salvezza, la incontrerà per confusione e condanna.

II. L’altro sostegno del nuovo Cattolicesimo, di cui parliamo, è riposto in un gran numero di principii che si formulano in vari modi: Ci vuol prudenza il giust0 mezzo non esagerare…. accomodarsi non essere esclusivi: tutti segreti opportuni coi quali la religione di alcuni passa in mezzo a tutti gli scogli senza urtare giammai. Ora, o lettore, io non ho veruna difficoltà a concedervi che la prudenza sia sommamente necessaria al mondo, poiché senza di essa gli stessi provvedimenti e i fini più santi non approdano: però neppur voi negherete a Gesù Cristo che lo insegna, che ci possa essere anche una prudenza carnale, animalesca, diabolica. – Inoltre, spero che neppure farete alla Chiesa il torto di credere che proceda all’avventata, che operi per puntiglio, che sollevi pretensioni vane, che faccia e disfaccia a capriccio, che perfidii per ostinazione nelle sue determinazioni. Cento di quelle istituzioni che ora riprendono i libertini in lei, non sono altro che l’effetto della divina prudenza per cui ella s’accomodò, se così volete parlare, alle tendenze dei popoli e delle nazioni nelle varie età e circostanze. Eccovene un saggio. Dopo le invasioni che i barbari del Nord fecero dell’Impero romano, il voto di tutti i popoli già cristianeggiati era che la Chiesa prendesse in mano il governo anche temporale di loro, perché sola potente a ricoprirli colla sua egida da quei fieri padroni che li dominavano: e la Chiesa consentì che essi se ne incaricassero, e fondassero così gl’imperi moderni e la civiltà. Si risvegliò più tardi tra queste nazioni lo spirito cavalleresco e la vaghezza d’imprese ardite, e la Chiesa, cedendo a questo spirito in parte, lo santificò col volgerlo ad opere sante: onde ne nacquero li ordini militari, le crociate, la difesa e l’onore del sesso più debole. Il secolo mirava a correre avventure strane in viaggi folli e romanzeschi, e la Chiesa, cedendo in parte, santificò quei desideri ponendo loro per oggetto il visitare il santo Sepolcro, Nostra Donna di Loreto, S. Giacomo di Galizia, ed altri pellegrinaggi dívoti. Più tardi si risvegliò in mezzo al secolo la brama della vita religiosa pei luminosi esempi che ne porgevano i patriarchi Francesco e Domenico, e la Chiesa, cedendo in parte a queste brame, istituì i terzi Ordini pei laici, ed innumerevoli altre associazioni e fraternità. Ai dì nostri l’amor della umanità e delle associazioni domina soprattutto: e la Chiesa non ha difficoltà di fondare asili, orfanotrofi, ricoveri, scuole pel popolo, purché s’introduca in essi il principio cristiano; e dà vigore alle associazioni di S. Vincenzo de’ Paoli, di S. Bonifacio, di Pio IX, di S. Francesco Regis e ad innumerevoli congregazioni di uomini e di donne di tutte le classi della società. E ciò per non dir nulla delle sue condiscendenze con ogni condizione di persone; ne’ digiuni e nelle astinenze che prescrive e modifica secondo i luoghi e le circostanze; nelle predicazioni che istituisce di conferenze, di catechismi di perseveranza e di ritiri: nelle istituzioni che fa pei vecchi, pei giovani, per le pericolanti, per le ripentite: nelle quali tutte è manifesto anche ai ciechi quanto essa si attemperi ed adatti ai bisogni della società. Non vogliamo dunque escluder la vera prudenza, né distrugger la vera discrezione e la giusta condiscendenza. – Che cosa è pertanto quello che qui si condanna come sostegno fragile di un più fragile Cattolicesimo? È il nascondere che si fa sotto quel velo una vera infedeltà, una vera apostasia. Imperocché non è mai che un Cattolico di questa foggia appelli alla prudenza, al giusto mezzo, alla discrezione, che non sia col fine d’immolare qualche verità di fede, o qualche principio morale alla miscredenza, al filosofismo ed all’empietà. Se non lo credete a me, credete a voi stessi, osservando in quali quistioni ed argomenti siano essi più ordinariamente messi in campo. Fate che si metta discorso intorno alla fede, che è sì frequente a’ dì nostri, e che un Cristiano più fervoroso accenni alle felicità di esser Cattolico, all’infelicità del protestante; udrete subito i moderati dargli sulla voce come ad intollerante, e gridare: oh perché ne staremo noi meglio di loro; chi sa poi alla fine dei conti quello che ne sarà; e colla sua rara discrezione pospone il Cattolicesimo al protestantismo, vi reca in dubbio la fede cattolica, vi scema l’orrore che è giusto che si abbia dell’eresia. Si parli di pratiche religiose, e fate che alcuno esalti il fervore e la fedeltà nel soddisfarvi, che lodi qualche atto più segnalato di virtù, I’annegazione di se stesso, la penitenza, l’austerità : se uno di cotesti moderati lo sente, non fallirà a dir tosto, che ei non intende tutte queste asceticherie ed esagerazioni, che non vede male a godere onestamente i beni del mondo: e così con gran moderazione riprende la dottrina evangelica, biasima quel che hanno fatto tutti i Santi, e disconosce la giusta severità ed il santo rigor cristiano. – Intorno alla Chiesa poi sono infiniti i mezzi termini, i giusti temperamenti che si prendono per isfuggire le esorbitanze, per non essere esclusivi. La Chiesa ha vera autorità di far leggi, perchè gliel’ha conferita il divin Salvatore, ma si provi a tentarlo dinanzi al tribunale dei moderati, e vedrà come ne sarà concia. Le faccia pure, diranno certi Ministri di Stato di questa risma, le faccia pure, ma le comunichi prima a noi; dia pure la sua giurisdizione ai Vescovi, ai sacerdoti, ma quando il consentiremo noi: così lo richiede l’accordo necessario tra le due podestà. E frattanto con questo giusto mezzo si toglie alla Chiesa ogni libertà, e si grava di ceppi più che non fece nè Decio nè Diocleziano. Il Papa sfolgora colle sue costituzioni la libertà di pensiero, di stampa, di culti che si predica oggidì; ma e che gran male c’è, ripiglian costoro, a manifestare un pensiero, a levarsi una curiosità? La Chiesa condanna le società segrete di qualunque fatta, ma e chi lo persuade a costoro, che vi dicono, compassionando la Chiesa che non se n’intende, che le società segrete non sono poi per altro che per esercitare la beneficenza e la carità? Né si avveggono pure che in tutto ciò disconoscono affatto l’autorità della Chiesa, il suo Magistero, la sua infallibilità. – La Chiesa ha avuto dalla Provvidenza divina un trono per la sua indipendenza: qual è quel moderato a cui non sappia ostico quella sovranità, che non conosca a fondo che finalmente non le è poi necessaria, che non ripeta che S. Pietro non regnava sul trono; che cioè dal suo canto almeno colle parole non consenta alla spogliazione più sacrilega che si possa fare dall’empietà congiurata coll’assassinio. – Io non finirei mai se volessi enumerare tutti i punti intorno a cui la discrezione, la prudenza ha inventato mezzi termini per patteggiar coll’errore. Non si parlamenta solo, ma si capitola: si ammette la fede, ma quando la ragione il consente; si ricevono i misteri , ma purché non offendano troppo; i miracoli ma che non siano esorbitanti; l’autorità della Chiesa, ma purché usi modo e maniera; la vita cristiana, ma ben inteso che non sofistichi troppo sopra i divertimenti; l’inferno, purché si rimuova l’idea del fuoco; il paradiso e l’eternità, purché non sia mestieri rinunziare ai godimenti della terra nel tempo. Cosa incredibile ma pur vera, ho inteso colle mie orecchie taluno di costoro rifare sulle labbra del Sommo Pontefice il discorso, e trovare che nelle sue allocuzioni medesime, salve le cose, e doveva e poteva recarvi più moderazione di formole, e credere in sul serio che poteva insegnare al Papa il modo con cui parlare! – Gran Dio! Che cosa è mai tutto ciò? È un rinnegare e snaturare tutta la religione, e commettere un vero atto di apostasia. Dico snaturare la religione, perché, tranne quei punti, ne’ quali ho mostrato ragionevole la condiscendenza della Chiesa, quanto ai dogmi ed alle verità speculative, quanto ai principii ed ai precetti pratici, essa tanto non può cedere quanto non può consentire all’errore. Non sono vere per metà le cose rivelate che ci propone a credere, non sono obbligatori per metà i precetti che essa ci propone ad osservare: i suoi principii non variano colle vicende umane, il suo spirito non è vago, non è incerto, non è fluttuante, non dipende dalla nostra mutabilità. Il perché tutte quelle modificazioni, restrizioni, accomodamenti che altri v’apporta, sono un pervertimento fatto alla verità. – Che se volete comprendere anche meglio il veleno della moderazione rifatevi un istante alla sorgente da cui proviene. La falsa moderazione ha per sorgente in primo luogo la viltà dell’animo. Essa si ingenera in quegli spiriti imbastarditi, molli, infranti, i quali non hanno più veruna forza, veruna energia, e sacrificano alle esigenze della moda e dei libertini quello che v’ha di più santo tra gli uomini: essa scopre quel che cova nel fondo dei loro cuori, uno scetticismo abietto, per cui né sanno più quel che sia vero né quel che falso; quel che debbano credere, quel che discredere, e per conseguente né quel che operare, né quel che omettere per esser Cristiani. Il primo o l’ultimo che loro parla, è sempre quello che presso di loro ha ragione, e quegli stessi che talora vantano, forse per antifrasi, le profonde convinzioni, non sono altro che il ludibrio e lo scherno delle opinioni altrui. Un’altra cagione di questa falsa moderazione è il tornaconto. Non tutti tengono in ispeculazione il sistema utilitario come veritiero: ma pur molti l’abbracciano praticamente siccome comodo. Bisogna farsi degli amici per giungere ai posti, alle cariche, al denaro. Questi non si possono scegliere perchè bisogna ingraziarsi con quelli, la cui protezione può tornar giovevole: dunque se ne adottano i concetti, i pensieri, le maniere di parlare, e se la coscienza protesta in contrario, si attutisce coi mezzi termini che l’ingegno in servigio della passione va ricercando. E così si spiegano quelle trasformazioni d’uomini che vediamo sì frequenti a nostri giorni: di quelli che in pochi anni hanno servito tutte le cause, che hanno sacrificato a tutti gl’idoli, che hanno congiunto Cristo con Belial, e l’incredulità colla religione. La moderazione odierna è la figlia schifosa di una madre più vile ancora, la servilità, l’abiezione dello spirito. – Finalmente cotesto spirito di falsa moderazione è sommamente a detestare, perché è la via ordinaria per cui si introduce nel mondo ogni più grave abominazione e falsità. Chi è che stabilisce nel mondo più efficacemente i principii sovversivi della società, e promuove con miglior esito lo spirito di rivolta? Non certo que’ demagoghi più furenti, i quali dicono tutto quel che vogliono, e vogliono tutto quello che dicono: essi destano orrore. I veri ed efficaci patrocinatori della rivolta sono quegli ipocriti e moderati, i quali apportano temperamento in ogni cosa, si ricoprono sempre col manto della legalità, e tutto pretendono pel maggior bene del mondo. Quelli riescono ad ogni loro intento, poiché si fanno strada, anche presso dei buoni che non veggono troppo oltre. A cagione di esempio, quando nel parlamento subalpino si ventilò la soppressione iniquissima dei regolari, quella proposta mise orrore e non passava: due moderati la spogliarono di certe durezze e violenze, onde era rivestita, e passò, ed il delitto fu consumato. Similmente nel nostro caso; come è che si guasta nei popoli la purezza della fede cattolica ? Se si declamasse apertamente contro di essa alla foggia dei luterani o dei calvinisti non farebbe prova: ma coperte ipocritamente le obiezioni sotto il manto della moderazione, della prudenza, del maggior bene della stessa Chiesa, trovano molti inetti i quali si lasciano prendere al laccio, ed a mano a mano vengono condotti fin dove son giunti i più gran nemici della cattolica verità. Il male non entra e non si fa largo nel mondo sotto aspetto di male: vegga dunque ognuno di non lasciarselo entrar nel cuore sotto la maschera di bene, di virtù.

8 SETTEMBRE: FESTA DELLA NATIVITA’ DI MARIA (2023)

8 SETTEMBRE: FESTA DELLA NATIVITA DELLA B.V. MARIA.

Natività della B. V. Maria

(doppio di II classe)

La tua nascita, o Vergine Maria, ha portato la gioia a tutto l’universo!

I. LA NATIVITA’ DI MARIA. – Mentre la Chiesa considera, e celebra come giorno natale degli altri santi il giorno della loro morte, che li portò al cielo, per Maria e per S. Giovanni Battista fa una eccezione e celebra anche la festa del loro natale terreno. San Giovanni fu purificato dal peccato originale ancora prima della nascita; Maria fu concepita senza il peccato originale. Fin dalla nascita Ella fu la più santa fra tutte le creature. La festa che si celebra nella Chiesa fin dall’VIII secolo (ci viene dall’Oriente), è anzitutto una festa della Redenzione, una specie di avvento che annuncia la venuta del Signore e sta in linea con l’Annunciazione di Maria e con la nascita di S. Giovanni Battista. Essa è però anche una festa del cuore. Appartenenti alla famiglia di Dio, celebriamo con tanta intima gioia le nostre feste di famiglia; oggi è il genetliaco della Madre nostra! Maria è Madre di Cristo ed è Madre nostra, poiché Cristo ci ha fatti fratelli suoi.

2. DALLA MESSA (Salve, sancta). – Poiché la liturgia vede il santo del giorno presente alla Messa, noi possiamo oggi considerare la Messa come il momento in cui presentiamo le nostre felicitazioni alla santissima Madre di Dio. In ogni Messa presentiamo offerte e riceviamo doni: nella Messa dei catecumeni diamo la nostra parola e riceviamo la parola di Dio; nel Sacrificio diamo la nostra offerta e riceviamo il dono di Dio nella S. Comunione. Osserviamo come la liturgia compia in unione intima con il santo di cui ricorre la festa, i quattro atti della Messa che toccano da vicino quelli che vi partecipano (questi atti sono tutti legati ad una azione). Nell’Introito, ci indirizziamo oggi alla santa Madre di Dio : « Salve, santa Madre… ». Le rivolgiamo dunque una parola di felicitazione. E la Vergine ci risponde; Ella è tra noi e ci parla dei suoi antenati ed anche dei suoi figli; ci dà i suoi consigli. L’offerta che noi facciamo è preziosa e cara alla Madre: è l’Agnello divino, il Figlio suo che oggi presentiamo al Padre in suo onore; la Comunione è il banchetto nel quale la Madre ci ricambia il dono. Ed è il dono più prezioso che Ella possa darci: il Corpo e il Sangue del suo Figlio, carne della sua carne, sangue del suo sangue. La Messa è tolta in parte dalle Messe del Comune e in parte ha testi propri. Nell’Epistola Maria si presenta e parla sotto la figura della Sapienza; Ella era nella mente di Dio prima della creazione: « È delizia lo stare coi figli degli uomini ». Ascoltiamo anche le sue esortazioni: « Or dunque figliuoli, ascoltatemi: beati quelli che battono le mie vie. . Chi mi troverà, avrà trovata la vita e dal Signore riceverà la salvezza ». Il Vangelo ci presenta i grandi avi di Giuseppe ed anche di Maria; mentre l’Ufficio divino commemora continuamente la Natività di Maria, il testo della Messa non ne parla che nella Colletta. La Messa esalta Maria come Madre di Dio, secondo il Concilio di Efeso, e rileva la sua partecipazione speciale alla Redenzione. Vediamo oggi chiaramente come è cristocentrico il pensiero della Chiesa nelle feste di Maria. Osserviamo i cinque canti salmodici (Introito. Graduale, Alleluia, Offertorio, Communio): tutti passano dal pensiero della Madre a quello del Figlio suo, esprimendo in conclusione lo stesso concetto: Maria è degna di ogni più alta venerazione perché come Madre ha portato il Figlio di Dio nel suo seno.

3. DAL DIVINO UFFICIO. – Il divino Ufficio è tutto pervaso da sentimenti di intimo fervore; degni di speciale attenzione sono i bellissimi responsori del Mattutino, i quali salutano con grande giubilo l’anniversario della nascita della benedetta tra le donne: La tua natività, o Vergine, Madre di Dio, annunziò la gioia al mondo intero; poiché da te è sorto il Sole di giustizia, Cristo nostro Dio; il quale, distruggendo la maledizione, ci ha dato la benedizione; e confondendo la morte, ci ha donato la vita eterna. Benedetta tu sei fra le donne e benedetto è il Frutto del tuo seno ». Le lezioni del secondo Notturno sviluppano il paragone caro alla Chiesa: Maria — Eva o Ecco, o dilettissimi, il giorno desiderato dalla beata e venerabile Maria sempre Vergine. Si rallegri perciò e gioisca la nostra terra illuminata dalla nascita di tale Vergine. Ella infatti, è il fiore del campo, da cui è uscito il prezioso giglio delle valli; per la cui maternità si è cambiata la natura ereditata dai nostri progenitori e cancellata la loro colpa. Ella non ha subita la maledizione lanciata contro Eva: « Nel dolore darai alla luce i tuoi figli », avendo dato alla luce il Signore nella gioia. Eva pianse, Maria esultò: Eva portò la tristezza, Maria la gioia nel suo seno; poiché quella diede la vita a un peccatore; Maria ad un innocente. La madre del genere umano portò il castigo nel mondo; la Madre di nostro Signore ha portato la salvezza. Eva è sorgente del peccato, Maria è sorgente di grazia. Eva ci fu di danno portandoci la morte; Maria ci ha salvati portandoci la vita. Quella ci ha feriti, questa ci ha guariti. La disobbedienza è stata riparata dall’obbedienza; l’infedeltà compensata dalla fedeltà » (Sant’Agostino).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti.

V. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
M. Misereátur tui omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
S. Amen.


S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

Introitus

Sedulius.
Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cœlum terrámque regit in sǽcula sæculórum.
Ps 44:2
Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi.
V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Salve, sancta Parens, eníxa puérpera Regem: qui cœlum terrámque regit in sǽcula sæculórum.

[Salve, o Madre Santa, che hai dato alla luce il Re: che governa il cielo e la terra nei secoli dei secoli.
Ps 44:2
Erompe da mio cuore una fausta parola: io canto le mie opere al Re.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo.
R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.
Salve, o Madre Santa, che hai dato alla luce il Re: che governa il cielo e la terra nei secoli dei secoli.]

Oratio

Orémus.
Fámulis tuis, quǽsumus, Dómine, cœléstis grátiæ munus impertíre: ut, quibus beátæ Vírginis partus éxstitit salútis exórdium; Nativitátis ejus votíva sollémnitas pacis tríbuat increméntum.


[O Signore, Te ne preghiamo, concedi ai tuoi servi il dono della grazia celeste, affinché, a quanti il parto della beata Vergine fu principio di salvezza, la votiva festa della sua natività procuri incremento di pace.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ.
Prov 8:22-35
Dóminus possédit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram nonfécerat et flúmina et cárdines orbis terræ. Quando præparábat cœlos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando æthera firmábat sursum et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terræ. Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciæ meæ esse cum fíliis hóminum. Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.
R. Deo grátias.

[Il Signore mi possedette dal principio delle sue azioni, prima delle sue opere, fin d’allora. Fui stabilita dall’eternità e fin dalle origini, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi e io ero già concepita: non scaturivano ancora le fonti delle acque: i monti non posavano ancora nella loro grave mole; io ero generata prima che le colline: non era ancora fatta la terra, né i fiumi, né i cardini del mondo. Quando preparava i cieli, io ero presente: quando cingeva con la volta gli abissi: quando in alto dava consistenza alle nubi e in basso dava forza alle sorgenti delle acque: quando fissava i confini dei mari e stabiliva che le acque non superassero i loro limiti: quando gettava le fondamenta della terra. Ero con Lui e mi dilettava ogni giorno e mi ricreavo in sua presenza e mi ricreavo nell’universo: e le mie delizie sono lo stare con i figli degli uomini. Dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Udite l’insegnamento, siate saggi e non rigettatelo: Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno all’ingresso della mia casa, e sta attento sul limitare della mia porta. Chi troverà me, troverà la vita e riceverà la salvezza dal Signore.]

Graduale

Benedícta et venerábilis es, Virgo Maria: quæ sine tactu pudóris invénta es Mater Salvatóris.
V. Virgo, Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja.

[Benedetta e venerabile sei tu, o Vergine Maria: che senza offesa al pudore diventasti Madre del Salvatore.
V. O Vergine, Madre di Dio, nelle tue viscere, fatto uomo, si chiuse Colui che tutto l’universo non può contenere. Allelúia, allelúia.
V. Beata sei, o santa Vergine Maria, e degnissima di ogni lode: poiché da te nacque il sole di giustizia, Cristo, Dio nostro. Allelúia.]

Evangelium

Initium +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
R. Glória tibi, Dómine.
Matt 1:1-16
Liber generatiónis Jesu Christi, fílii David, fílii Abraham. Abraham génuit Isaac. Isaac autem génuit Jacob. Jacob autem génuit Judam et fratres ejus. Judas autem génuit Phares et Zaram de Thamar. Phares autem génuit Esron. Esron autem génuit Aram. Aram autem génuit Amínadab. Amínadab autem génuit Naásson. Naásson autem génuit Salmon. Salmon autem génuit Booz de Rahab. Booz autem génuit Obed ex Ruth. Obed autem génuit Jesse. Jesse autem génuit David regem. David autem rex génuit Salomónem ex ea, quæ fuit Uriæ. Sálomon autem génuit Róboam. Róboam autem génuit Abíam. Abías autem génuit Asa. Asa autem génuit Jósaphat. Jósaphat autem génuit Joram. Joram autem génuit Ozíam. Ozías autem génuit Jóatham. Jóatham autem génuit Achaz. Achaz autem génuit Ezechíam. Ezechías autem génuit Manássen. Manásses autem génuit Amon. Amon autem génuit Josíam. Josías autem génuit Jechoníam et fratres ejus in transmigratióne Babylónis. Et post transmigratiónem Babylónis: Jechonías génuit Saláthiel. Saláthiel autem génuit Zoróbabel. Zoróbabel autem génuit Abiud. Abiud autem génuit Elíacim. Elíacim autem génuit Azor. Azor autem génuit Sadoc. Sadoc autem génuit Achim. Achim autem génuit Eliud. Eliud autem génuit Eleázar. Eleázar autem génuit Mathan. Mathan autem génuit Jacob. Jacob autem génuit Joseph, virum Maríæ, de qua natus est Jesus, qui vocátur Christus.
R. Laus tibi, Christe.

[Libro della generazione di Gesú Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli. Giuda generò Fares e Zara da Tamar. Fares generò Esron, Esron generò Aram, Aram generò Amínadab, Amínadab generò Naasson, Naasson generò Salmon, Salmon generò Booz da Raab. Booz generò Obed da Ruth, Obed generò Iesse. Iesse generò il re Davide, Davide generò Salomone da colei che era stata di Uria. Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asa, Asa generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Achaz, Achaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amon, Amon generò Giosia, Giosia generò Geconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia Geconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiud, Abiud generò Eliacim, Eliacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliud, Eliud generò Eleazar, Eleazar generò Matan, Matan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, da cui nacque Gesù chiamato il Cristo.]

OMELIA

[OTTO HOPHAN: MARIA, Marietti ed. Torino, 1953 – imprim.]

L’annoso albero, fra i cui rami v’è misterioso stormir di Maria, ha fornita alla Vergine anche l’origine. Ella sta alla fine di quelle lunghe generazioni, è il frutto più squisito e regale dell’umanità precristiana. Quelle generazioni giunsero a maturare in Maria, il loro ultimo significato e la loro più intensa aspirazione han trovato compimento in Lei, poiché « da Lei nacque Gesù, che è detto il Cristo ». Maria è emersa dal fiume di sangue, che scorse attraverso Abramo, Giacobbe, Giuda, David, sì che il popolo israelitico non Le ha intessuto soltanto una immagine spirituale, ma anche la veste corporea; sia pure la sua dignità al di sopra del creato, Lei stessa non è una creazione eterea, dal cielo per caso libratasi quaggiù; Ella è sangue da quel sangue, figlia di quel popolo e vincolata in venerazione e fedeltà a quelle generazioni, alle quali deve il suo essere. Maria, secondo l’accenno dell’Evangelista stesso, dev’esser vista insieme con quelle generazioni; Ella non appartiene solo al Nuovo Testamento; è vero, è la prima del Nuovo Testamento, la prima cristiana; però è anche — già nel primo capitolo del Vangelo Ella annunzia la sua comunanza col popolo di Dio prima e dopo Cristo — il frutto più delicato dell’Antico Testamento, la perfetta donna israelita, la figlia di David, di Abramo, di Adamo. Maria.., la figlia di David. – La genealogia di Matteo presenta direttamente gli antenati di Giuseppe, non quelli di Maria; all’Evangelista infatti stava a cuore di provare subito, sin dall’inizio del Vangelo, ai suoi lettori giudeo-cristiani l’origine davidica di Gesù: solo se Gesù aveva per antenato David i Giudei potevano discutere se in linea di massima Egli fosse il Messia; a David infatti era stata fatta la profezia che “un frutto delle sue viscere avrebbe posseduto in eterno il trono di Israele”; ora i Giudei potevano ritenere Gesù quale “figlio di David” soltanto se suo ” padre ” Giuseppe discendesse dalla stirpe di David. Per questo Matteo fu costretto a proporre l’albero genealogico di Giuseppe, padre legale di Gesù, quale prova dell’origine di Lui da David; presso gli Ebrei la parentela e persino la paternità non si fondavano solo sul sangue, ma anche sul titolo giuridico. Non si tessevano genealogie per le donne, almeno dalla Sacra Scrittura non se ne può dedurre nessun esempio; però anche Maria per conto suo era una figlia di David. Paolo infatti sottolinea che Gesù « secondo la Carne » — non dunque solo secondo una discendenza legale! — « è figlio di David »; ma « secondo la carne » Gesù poteva risalire a David solo per mezzo di Maria, sua Madre fisica, perché Giuseppe non era padre di Gesù « secondo la carne », ma solo secondo la legge; anche Maria quindi doveva essere figlia di David; del resto, almeno sino a David, gli antenati di Giuseppe son pure gli antenati di Maria. « Noi riteniamo che Maria discenda dalla stirpe di David », scrive Agostino, « perché crediamo alle Scritture; or due cose dicono le Scritture: che Cristo secondo la carne è del seme di David, e che sua Madre Maria era una vergine, che non ebbe relazioni con nessun uomo ». I Vangeli stessi del resto alludono all’origine davidica di Maria in vari luoghi. Nel racconto, per esempio, dell’Annunciazione si dice: « Nel mese sesto l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine fidanzata a un uomo di nome Giuseppe, della casa di David »; questo inciso « della casa di David » può riferirsi a Giuseppe, ma può ben, e più probabilmente, riferirsi anche a Maria, perché Lei è qui la protagonista del racconto. E questa impressione è confermata dal seguito del discorso angelico: « Il Signore Iddio Gli (a Gesù) darà il trono di David suo padre ». Anche l’altra circostanza notata dall’Evangelista: « Giuseppe ascese dalla Galilea, dalla città di Nazaret, in Giudea, alla città di David, chiamata Betlemme, perché era della casa e della famiglia di David, per farsi iscrivere insieme a Maria », fa pensare che Maria sia stata indotta ad ascendere a Betlemme per il censimento perché Lei pure « discendeva dalla casa e dalla famiglia di David ». A buon diritto quindi già nella prima epoca cristiana il martire Ignazio di Antiochia (+ 107), il martire Giustino (+ 165) sottolineavano che “Maria fosse una figlia di David”. Anzi l’antico profeta Isaia stesso richiamò l’attenzione sull’origine davidica della Vergine nel passo conosciuto: « Uscirà un pollone dalla radice di Jesse e un germoglio ascenderà dalla sua radice »; Jesse era padre di David. «Il Profeta », spiega Agostino, « dicendo ” pollone ” indica Maria la vergine, dicendo “germoglio dalla radice » indica il Figlio della Vergine, il Signore Gesù Cristo ». Perché questo lungo discorso per l’origine davidica di Maria? Perché aveva per Lei stessa una grande importanza. Ella manifesta sin dall’Annunciazione una regale riservatezza, prudenza, chiaroveggenza e magnanimità, e mai e poi mai si scopre traccia in Lei della minima scipitezza e affettazione. Donde in questa modesta fanciulla un portamento così elevato? Certamente dalla grazia; ma la grazia anche in Maria costruisce sopra la natura. Scorreva nelle sue vene sangue regale; per quanto la stirpe di David fosse divenuta nel corso dei secoli e povera e insignificante, in quella semplice fanciulla s’era conservata la regale nobiltà dei suoi lontani antenati. Quella fanciulla di stirpe regale fu scelta da Dio a Regina del Cielo e della terra: anche nel regno della grazia non si deve stimare da poco l’origine di una persona da una tribù e casa piuttosto che da un’altra. ,Il nostro tempo crea e vuole e assiste il “proletario “, non l’aristocratico, e così il livello dello spirito e del cuore si è abbassato, in qualche luogo sino alla barbarie. Forse il compito sociale più importante consiste oggi nel risvegliare nuovamente nel così detto “proletario” l’elemento aristocratico, la sua nobiltà interiore, e dalle banalità o anche dalle volgarità elevarlo di nuovo alla regalità, alla coscienza cioè della sua dignità e del suo valore. – Maria.., la figlia di Abramo. Abramo fu scelto a capostipite del popolo di Dio, e per questo la Scrittura lo dice « principe di Dio », « amico di Dio », « prediletto di Dio », « servo di Dio ». A lui fu fatta la promessa: «Nel tuo seme saranno benedette tutte le genti della terra ». Maria è Colei, che partorì al mondo questa Benedizione. Ella quindi non è una qualunque fra le molte figlie di Abramo, ma di quell’eletto è la più eletta, il preziosissimo nocciolo di quel venerando guscio. Il Vangelo ci mette dinanzi quanto questa Figlia eletta sia stata degna di quell’eletto padre. Abramo fu l’uomo della fede eroica e di una tale dedizione a Dio, che fu pronto a offrire in sacrificio al Signore persino il suo unico figlio Isacco, sul quale riposava tutta la divina promessa. Ancor più grande di suo padre Abramo nella fede e nel sacrificio fu la sua figlia Maria: Lei pure, sostenuta dalla fede, accompagnò al luogo del sacrificio il suo Unigenito; ma a Lei non venne in aiuto nessun Angelo, che impedisse col suo comando l’uccisione: Ella dovette condurre a termine il sacrificio nella persona del suo unico e amato Figlio. – Il quadro sarebbe degno d’un artista: Abramo e Maria, il canuto Patriarca con la sua benedetta Figlia; Abramo dovrebbe imporre le sue vecchie mani su questa Fanciulla per significare che le promesse a lui fatte si son adempiute in Lei; poi dovrebbe lentamente inginocchiarsi dinanzi a Maria e adorare in Lei, ostensorio vivente di Gesù, quel Sublime, che come vero Melchisedech offre a Dio “pane santo e vino consacrato”. Ancor più commovente, ancor più profondo è l’ultimo quadro: – Maria.., la figlia di Adamo. Le chiarissime parole del libro veterotestamentario della Sapienza riguardanti l’umana esistenza valgono anche per Maria: « Sono anch’io un uomo mortale al pari di tutti, e rampollo di colui che primo fu plasmato di terra. Nel seno di mia madre fui formato uomo, nello spazio di dieci mesi coagulato in sangue per virtù di uomo, secondo il piacere sensibile. Anch’io, nato che fui, respirai l’aria comune, e caddi sulla medesima terra di tutti gli altri, e la prima voce emessa, come quella di tutti, fu un vagito. Fui nutrito in fasce e con grandi cure. Nessun re ebbe altro principio del suo essere, ma tutti hanno lo stesso ingresso alla vita come anche uguale l’uscita ». Maria non fu una fanciulla favolosa, deposta su questa terra da un altro mondo; la sua origine umana è uguale alla nostra: non fu generata dai suoi genitori in modo miracoloso o addirittura senza uso del matrimonio, come van favoleggiando graziose leggende; il Mistero del suo immacolato concepimento e anche quello della virginale concezione di Gesù non han nulla da che vedere con questo fatto umano, come talora pensano delle anime pie. Maria, come ne fan cenno Matteo e Luca nelle genealogie, sta nella stessa fila con noi, anche Lei è un membro di quella lunga catena, che comincia col primo uomo; Adamo è suo padre e la povera Eva è sua madre. Maria è così perfettamente figlia di Adamo, che il Figlio di Dio per mezzo di Lei e solo per mezzo di Lei divenne pure Figlio dell’uomo; solo per mezzo di Lei la seconda Persona divina fece ingresso nella stirpe umana, per mezzo di Maria soltanto. Il Verbo eterno di Dio non ebbe nessun padre umano che Lo potesse congiungere con Adamo; anello di congiunzione col nostro progenitore fu per il Verbo Maria; Ella introdusse quell’augusto divino Germoglio nella nostra stirpe; senza Maria Gesù non sarebbe affatto in relazione con Adamo, non sarebbe uno di noi, sarebbe al di fuori della nostra schiatta. D’altra parte questo collegamento con Adamo fu per la redenzione del genere umano estremamente significativo e prezioso: il Figlio di Dio assunse la natura umana per strapparla al peccato e ricondurla alla grazia; come il medico deve entrare dagli ammalati, così e ancor più volle il Redentore entrare, penetrare nella discendenza ammalata di Adamo per poterla risanare sin dalla sua radice. Nessuna minaccia per Lui stesso, nessuna infezione rendeva pericoloso questo suo ingresso; Gesù è il Santo, il Figlio di Dio per natura; Egli, qual nuova creazione, fu miracolosamente plasmato in Maria dallo Spirito Santo. Ma come van le cose per Lei? Ella infatti è una figlia di Adamo, sangue del suo sangue, e lo dovette essere proprio a motivo di Gesù stesso; ora il torrente di questo sangue, cui Lei deve la sua origine, è avvelenato nella sua stessa sorgente, in Adamo ed Eva: potrà mai essere che non venga travolta in questo vortice intorbidato? Quanto il peccato abbia reso pesante il torrente del sangue umano da Adamo in poi lo prova, e non senza sconcertare, quella genealogia, che sfocia ansiosa nei sublimi nomi di Maria e di Gesù. Perché veramente in quei gruppi di generazioni non sfilano soltanto venerandi Patriarchi, nobili re e santi sacerdoti; non v’è anzi vizio, non v’è crimine, che non abbia insudiciato quel succedersi di generazioni. Persino i più eletti fra quei personaggi — Abramo, Giacobbe, Giuda, David — pagarono un grosso contributo al peccato; e questo vale in modo speciale per le donne che quell’albero genealogico ricorda; rimase sorpreso lo stesso Girolamo così competente in campo biblico, che la tavola genealogica di Matteo non nomini nessuna delle nobili donne d’Israele — non Sara, non Rebecca, non Rachele —, e invece ricordi Tamar, che commise incesto col proprio suocero Giuda; Rahab, che era una nota meretrice; Ruth, che non apparteneva al popolo eletto; la moglie di Uria, come Matteo stesso scrive con pudica riservatezza a causa del delitto che perpetrò David commettendo adulterio con Betsabea, il cui sposo egli fece poi vilmente uccidere. Che vi è mai in Maria di comune con questa società, perché il suo nome quale astro errante risplenda su quelle torbide generazioni? Noi solleveremmo dei gravi dubbi per un uomo, che ereditariamente fosse gravato di così triste carico. Maria discende da questo sangue curvo sotto la maledizione; David, Giuda, Giacobbe sono i suoi progenitori; Tamar, Rahab, Ruth, Betsabea son le sue progenitrici. Eva, l’infelice madre, abbraccia piangente la più eletta delle sue creature e le confessa la propria colpa; e Adamo tace e piange, perché non può trasmettere alla più nobile delle sue figlie se non un’eredità macchiata. Maria è intrecciata alla generazione di Adamo; come potrà sfuggire al suo destino? La radice è malata: avvizziranno anche i rami; la sorgente è inquinata: tutte le acque saranno contaminate… A questo punto però avvenne qualche cosa; proprio qui, alle origini di Maria, capitò qualche cosa: all’oscura ombra della sua genealogia sbocciò un giglio; a questo primo e importante capitolo del Vangelo si appoggia il suo primo soave Mistero, siccome un delicato fiore a una frana, che s’è arrestata improvvisamente dinanzi ad esso: un fiore tutto bianco, un fiore tutto miracolo, il fiore della sua Immacolata Concezione-

La Chiesa, sin dal secolo settimo, celebra con allegrezza e con giubilo la festa della nascita di Maria: « La tua nascita, o Genitrice di Dio, ha annunziato gioia al mondo tutto; da Te infatti è sorto il Sole della giustizia, Cristo, Iddio nostro. Egli tolse la maledizione e donò la benedizione; Egli annientò la morte e diede a noi la vita eterna ». – Egli tolse via questa comune maledizione anzitutto dalla Madre sua: quando venne sulla terra questa piccola Fanciullina, la gioia piena poté nuovamente, per la prima volta, accompagnare la nascita di un figlio degli uomini, perché allora fu concepita e nacque una creatura umana quale un dì era nel paradiso, senza peccato, nel radioso splendore della grazia precorritrice di Gesù, creatura che era per noi tutti promessa della futura grazia: « … fra tutt’i terreni altri soggiorni sola tu fosti eletta, Vergine benedetta, che il pianto d’Eva in allegrezza torni ». L’immacolato concepimento di Maria fu la prima preparazione di Dio per la divina Maternità; a ogni preparazione divina deve corrispondere la prontezza umana: Maria rispose al privilegio del suo immacolato concepimento con un grazie festante, emettendo il voto della sua verginità.

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Orémus.
Beáta es, Virgo María, quæ ómnium portásti Creatórem: genuísti qui te fecit, et in ætérnum pérmanes Virgo.

[Beata sei, o Vergine Maria, che hai portato il Creatore di tutti: hai generato chi ti ha fatta e resti Vergine in eterno.]

Secreta

Unigéniti tui, Dómine, nobis succúrrat humánitas: ut, qui natus de Vírgine, matris integritátem non mínuit, sed sacrávit; in Nativitátis ejus sollémniis, nostris nos piáculis éxuens, oblatiónem nostram tibi fáciat accéptam Jesus Christus, Dóminus noster:
[Ci soccorra, o Signore, l’umanità del tuo Unigenito: affinché, Egli, che nato da una Vergine non diminuí l’integrità della madre, ma la consacrò; nella festa solenne della sua Natività, spogliandoci delle nostre colpe, Ti renda accetta la nostra oblazione, Gesú Cristo nostro Signore:]

Præfatio  …

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

… de Beata Maria Virgine

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Festivitáte beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Cæli cælorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admítti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Festività della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

Communio

Luc 1:48-49

Beáta víscera Maríæ Vírginis, quæ portavérunt ætérni Patris Fílium.

[Beate le viscere di Maria Vergine, che portarono il Figlio dell’eterno Padre.]

Postcommunio

Orémus.

Súmpsimus, Dómine, celebritátis ánnuæ votíva sacraménta: præsta, quǽsumus; ut et temporális vitæ nobis remédia præbeant et ætérnæ.

Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.

[Abbiamo ricevuto, o Signore, i sacramenti destinati a celebrare la votiva solennità; fa, Te ne preghiamo, che ci procurino i rimedii temporali e quelli della vita eterna]
R. Amen.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (VIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (VIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO

SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur: Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

PRIMA PARTE DEL CATECHISMO:

FEDE (5).

6. LA DIVINA PROVVIDENZA.

La Divina Provvidenza è la conservazione ed il governo dell’universo.

Nessuna verità è più spesso ripetuta nelle Sacre Scritture. Scritture.

1. DIO PRESERVA IL MONDO, CIOÈ PERMETTE AGLI ESSERI L’ESISTENZA FINCHÉ EGLI VOGLIA.

Una palla tenuta da un filo cade non appena il filo viene lasciato andare, e il mondo intero cadrebbe nel nulla se Dio non lo preservasse con il suo potere. Per garantire la loro conservazione, Dio dà alle creature ciò che è necessario per la loro esistenza. La moltiplicazione dei pani è un miracolo che si ripete ogni anno nei campi (S. Aug.); un chicco ne produce altri cento e una piccola patata ne produce una dozzina più grandi. I miracoli sono eventi quotidiani, ma nella loro frequenza non fanno più impressione su di noi”. (S. Aug.) – Tuttavia gli esseri non sussistono più a lungo di quanto Dio voglia; ci lascia morire quando gli piace. (Ps. CIII, 29). La luna cessa di brillare quando il sole cessa di splendere su di essa, e l’uomo cessa di vivere, non appena Dio cessa di sostenere la sua vita (Alb. Stolz). Gesù Cristo ha detto: “Il cielo e la terra passeranno” (S. Luc. XXI, 23), non saranno annientati. Ciò sarebbe contrario alle perfezioni di Dio, che cambierà l’universo in un mondo migliore. Aspettiamo un cielo nuovo e una terra nuova” (II S. Pietro III, 13).

2. DIO GOVERNA IL MONDO, CIOÈ DIRIGE TUTTE LE COSE IN MODO CHE SERVANO ALLA SUA GLORIA ED A NOSTRO VANTAGGIO.

Il mondo è governato da Dio, come un treno ferroviario dal macchinista, come una nave è governata dal pilota. Dio dirige gli astri secondo leggi fisse (Is. XL, 26), in modo che il firmamento parli della sua gloria (Sal. XVIII, 2). Egli dirige i popoli (Dan. IV, 32) e dirige il popolo giudaico in particolare. L’intervento di Dio è visibile nelle vite di Giuseppe, Mosè, Gesù Cristo e altri, e non meno nei destini della Chiesa cattolica. Tuttavia, non sempre riusciamo a comprendere gli scopi di Dio. “Questi disegni sono enigmatici come la marcia regolare delle lancette di un orologio per l’osservatore che non ne ha idea.. (Drexelius), – Quando si vede il disordine dei fili di un tappeto, ci si chiede come il disegno così regolare del viso possa rispondervi.. Così certi eventi ci sembrano dannosi a prima vista; ma Dio sa come dirigerli in modo che servano alla sua gloria e alla nostra felicità. Spesso dopo aver visto la piega che hanno preso certi eventi, ci troviamo nella posizione di esclamare con Davide: Dio ha fatto questo, ed è una meraviglia davanti ai nostri occhi. (Sal. CXVII, 23).

Non c’è un solo uomo di cui Dio non si prenda cura qui sulla terra.

Una madre si dimenticherebbe del suo bambino, ma Dio non si dimenticherà mai di noi. (Is. XLIX, 15). Egli si prende cura degli animali e degli esseri inanimati. Dio, dice Gesù Cristo, si prende cura degli uccelli del cielo, degli animali e dell’erba dei campi (S. Matth. VI, 25-30). Tutti gli esseri, volenti o nolenti, sono soggetti alla provvidenza di Dio (S. Aug.).

Dio si prende cura in modo particolare di ciò che è umile e disprezzato dal mondo.

Dio ha fatto sia gli umili che i potenti e si prende cura di entrambi in egual misura. (Sap. VI, 8). Dio è grande negli esseri più piccoli; basta guardare al microscopio una goccia d’acqua, la struttura di una piccola pianta o di un piccolo insetto. Dio è più glorioso in ciò che è umile. (I Cor ï; 27); d’ordinario uomini comuni come Giuseppe, Mosè, Davide, Daniele, ecc. vengono da Lui innalzati dall’oscurità per essere innalzati alle più alte dignità; gli Angeli annunciano la nascita del Salvatore ai pastori a preferenza dei superbi farisei; un’umile vergine viene scelta come sua madre e semplici pescatori come suoi Apostoli. È ai poveri che fa annunciare il Vangelo (S. Matth. XI, 5), agli umili dà la sua grazia (S. Giac. IV, 6), ecc. Così Davide gridava: “Chi è come il Signore, nostro Dio, che abita nei luoghi più alti e guarda gli umili. Egli solleva il bisognoso dalla polvere e innalza il povero dal letamaio per metterlo con i principi del suo popolo”. (Sal. CXII, 5-8). – È quindi una follia credere che a Dio non interessi ciò che accade quaggiù.

Nulla accade nella nostra vita senza l’ordine o il permesso di Dio.

Non è per il vostro tradimento”, disse Giuseppe ai suoi fratelli, “che sono venuto qui, ma per volontà di Dio (Gen. XLV, 8). Cristo ci dice che i capelli del nostro capo sono numerati, cioè che la Provvidenza si estende agli eventi più minuti della nostra vita. (S. Math. X, 80). Di conseguenza, nulla avviene per puro caso. Senza dubbio, non conosciamo la causa di molti eventi, ma Dio, che li dirige, la conosce. È una bestemmia alla divinità”, dice S. Efrem, “parlare seriamente del caso”. Nulla è fortuito, tutto viene dalla mano di Dio. – È importante capire quando diciamo che tutto accade per volontà di Dio. Dio non vuole che siamo uccisi, saccheggiati, insultati, ecc.; certi mali, cioè non li impedisce, anche se può farlo. Questo permesso non è un’approvazione, ma deriva dal fatto che Dio lascia l’uomo libero e ha il potere di volgere al bene il male che non ha impedito.

Dio volge al bene il male che Egli permette.

Dio ci ama infinitamente (S. Giovanni IV, 16) ed ha una sola intenzione, quella di farci del bene; le disgrazie, le tentazioni, persino il peccato, diventano strumenti della nostra felicità. (Genesi L, 80). Giuseppe, ad esempio, è stato venduto, gettato in prigione e tutto ciò ha contribuito alla sua elevazione al trono, alla salvezza degli Egiziani minacciati dalla carestia, e alla felicità dei suoi fratelli. La cattività degli Ebrei ha dato la conoscenza del vero Dio e la promessa del Redentore. (Tob. XIII, 4). Le persecuzioni dei primi secoli servirono solo a diffondere il Cristianesimo, perché l’ammirazione dei pagani per la costanza dei martiri li spinse a studiare la loro religione. Le guardie poste davanti alla tomba di Cristo sottolineavano la grandezza del miracolo della sua risurrezione , e “l’incredulità di Tommaso ci è più utile della fede degli altri Apostoli” (S. Aug.). Il peccato di Pietro lo ha reso umile e capace di perdonare i suoi fratelli, mentre quello di Giuda ha portato alla redenzione del mondo. Il demonio stesso è costretto a servire la nostra salvezza attraverso la glorificazione di Cristo. “Quanto sono incomprensibili ed imperscrutabili le sue vie! (Rm XI, 33). – Ciò che Dio Dio ci manda è buono, anche se sembra il contrario. – Ciò che ci manda è buono anche se ha apparenze contrarie.

3. IL VERO CRISTIANO, QUINDI, SI RASSEGNA NELLE DISGRAZIE ALLA VOLONTÀ DI DIO.

Gesù Cristo ci ha insegnato a dire a Dio nella preghiera: “Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”. – Pietro ci esorta a “gettare tutte le nostre angosce nel seno di Dio, perché Egli ha cura di noi” (I. S. Pietro V, 7). Chiunque con la coscienza a posto può dire con Davide: “E se un esercito si alzasse contro di me, il mio cuore non teme”. (Sal. XXVI, 3). Prima di tutto, non dobbiamo agitarci per cose insignificanti, come ad esempio una temperatura che non ci piace. Soprattutto, dobbiamo rassegnarci alla volontà di Dio in eventi che non possiamo cambiare: malattie, rovesci di fortuna, la morte dei nostri genitori, le persecuzioni, le carestie, le guerre, ecc. dobbiamo rassegnarci alla morte. Ahimè, troppo spesso siamo come quelli che seguono Gesù nella moltiplicazione dei pani e, come i suoi discepoli, lo abbandoniamo nell’Orto degli Ulivi quando si tratta di bere con Lui il calice dell’agonia. (Thomas de Kempis). – Per conservare l’affetto dei nostri amici, ci sottomettiamo a tutti i loro capricci. Non ci preoccupiamo dell’amicizia di Dio.

Chi nella disgrazia si rassegna con gioia alla volontà di Dio, ottiene la vera pace, raggiunge una grande perfezione e riceve le benedizioni di Dio.

L’anima rassegnata è come una bussola che, una volta orientata verso il polo, mantiene la sua direzione, nonostante l’agitazione esterna (Rodriguez). È possedere il cielo sulla terra, sottomettersi alla saggezza di Dio (S. Aug.). Dio rimane calmo, nonostante la tribolazione; la tribolazione scompare come una scintilla che cade nell’immensità dell’oceano. (S. G. Cris.). L’uomo rassegnato non sente il dolore, perché lo ama come proveniente da Dio e dalla sua santa volontà (Marie Lataste); non porta la sua croce in senso stretto, la porta con sé in un’auto. Chi non si rassegna è costretto a trascinarla con difficoltà. (San Doroteo). – Colui che rinuncia maggiormente alla propria felicità per sottomettersi più perfettamente a quella di Dio arriva molto presto a una perfezione altissima (Santa Teresa ); non si può fare nulla di più gradito a Dio; Dio preferisce questa virtù al digiuno, al cilicio, ad ogni tipo di sacrificio. (Marie Lataste). L’anima rassegnata raggiungerà sicuramente la felicità eterna; è come chi si trova su una nave e ne segue tutti i movimenti, ed entra con essa nel porto della salvezza (S. Francesco di Sales). L’anima rassegnata ottiene già quaggiù la felicità e le benedizioni celesti. – Si dice che i campi di un aratore fossero sempre più fertili di quelli dei suoi vicini. Uno di loro gli chiese perché? Lui rispose: “Perché ho sempre il tempo che mi conviene”. L’altro rimase sbalordito. “Questo significa – continuò, che sono sempre contento del tempo che il buon Dio fa. Gli piace ed è per questo che Egli benedice il mio lavoro”. Basta ricordare le benedizioni di cui Dio ha ricolmato Giobbe.

L’esempio più bello di rassegnazione ci è stato dato da Cristo nell’Orto degli Ulivi.

“Padre – disse Gesù Cristo nell’orto – non la mia volontà, ma la tua sia fatta”. (S. Luc XXlI, 42). Cristo è stato obbediente a suo Padre, fino alla morte ed alla morte di croce. (Filipp. II, 8). La rassegnazione del patriarca Giobbe ne è stata la figura. – Miriadi di Angeli trovano la loro felicità nel compimento della volontà di Dio. “I più crudeli tormenti – diceva Santa Maddalena dei Pazzi – e le più pesanti tribolazioni, le sopporterei con gioia non appena sapessi che provengono dalla volontà divina”; questo è il linguaggio di tutti i Santi.

Sulla riconciliazione della Divina Provvidenza con le disgrazie dei giusti e la felicità dei malvagi.

Questo mistero non deve farci dubitare della Provvidenza, perché questa disgrazia e felicità sono solo apparenti. “La felicità di coloro che sono vestiti di porpora – diceva il filosofo Seneca – spesso non è più reale della felicità degli attori sul palcoscenico che portano lo scettro o il diadema imperiale. Il piacere del peccato è tale che si finisce per non goderne più (S. Bem.).

1. Nessun peccatore è veramente felice e nessun giusto è veramente infelice.

Non c’è felicità senza felicità interiore, che esiste solo nel giusto e non nell’empio.

Il mondo, cioè le ricchezze, i piaceri della tavola e della carne, gli onori, ecc. non ci danno la vera pace (S. Giovanni XI, 27); questa la si ottiene solo praticando i comandamenti di Cristo (S. Matth. XI, 29). La pace interiore e la felicità di quaggiù sono un frutto dello Spirito Santo che si produce solo con la virtù (L. de Gr.); e chi possiede la pace dell’anima è veramente ricco, perché possiede il tesoro più grande (S. Ambr.). – Gli empi non hanno pace; sono come il mare che non si riposa mai (Is. LVII, 20), Il giusto, anche se vestito di stracci e soffrendonla fame, gode di continue delizie, è mille volte più felice del peccatore sul trono, vestito di porpora e inebriato dai piaceri. L’allegria e la gioia non vengono né dal potere, né dalle ricchezze, né dalla forza corporea, né da una tavola imbandita, né da abiti preziosi, né da nulla di simile, ma ma dalla virtù e dalla buona coscienza. (S. Giov. Chr.).

2. Inoltre, la felicità dei senza Dio è solo temporanea.

Quanto è stata breve, ad esempio, la carriera di un Napoleone che ha sacrificato la vita di tanti uomini alla sua ambizione! L’uomo senza Dio assomiglia al cedro del Libano; un momento prima alza la sua testa orgogliosa, poi viene abbattuto e scompare (Sal. XXXVI, 36). L’edificio della sua felicità poggia sulla sabbia; viene la pioggia e tutto viene spazzato via (S. Matth. V, 27).

La felicità dell’empio è come il fungo che cresce in una notte e scompare immediatamente.

3. LA VERA PUNIZIONE ARRIVERÀ SOLO DOPO LA MORTE.

Molti dei primi, dice Nostro Signore, saranno gli ultimi e molti degli ultimi saranno i primi. (Matteo XIX, 30). La parabola dell’uomo ricco e di Lazzaro ci mostra che nell’altra vita, più di un grande e ricco invidieranno la sorte di colui che è venuto a mendicare alla loro porta. “Dio prepara per i suoi una vita futura migliore e più deliziosa di quella attuale. Se non fosse così Egli non potrebbe permettere la prosperità di tanti empi e le miserie di tanti Santi. La giustizia esigerebbe da Lui che il peccato e la virtù abbiano la loro sanzione quaggiù. (S. Giov. Chr.) In questa vita il piacere è la parte dei malvagi, la tristezza quella dei buoni; nella vita futura i ruoli saranno cambiati. (Tert.)

4. Il peccatore riceve quaggiù la ricompensa per il poco bene che ha fatto; il giusto è molto spesso punito qui sulla terra per le colpe che ha commesso.

“Guai a voi, uomini ricchi – dice Gesù Cristo – perché avete già la vostra consolazione”(S. Luc. VI, 24).

Sulla riconciliazione della Provvidenza con il peccato.

Né il peccato né le sue conseguenze devono scuotere la fede e la Provvidenza in noi.

1. Il peccato e le sue conseguenze non vengono da Dio (Conc. di Tr. VI, 6) ma dall’abuso della nostra libertà.

Dio ha creato l’uomo libero; per questo non pone ostacoli, nemmeno alle sue azioni malvagie. Ha gravi ragioni per farlo. Se non potesse accadere nulla di male, non ci sarebbe alcuna opportunità per l’uomo di fare il bene; se l’uomo non avesse la possibilità di scegliere tra il bene e il male, ma fosse forzato a fare il bene come una macchina, non avrebbe diritto ad una ricompensa. (Non dimenticate la parabola della zizzania e del grano (Matth. XIII, 24). Dio non permetterebbe mai il male che deriva dall’abuso della libertà, se non fosse potente abbastanza da trarne il bene (S. Aug.).

2. Dio, nella sua sapienza, volge anche il peccato al bene.

Giuseppe disse giustamente ai suoi fratelli: “Avevate disegni malvagi contro di me, ma Dio li ha trasformati in bene.” (1 Mosè, L, 20). Dio ha realizzato la redenzione del mondo attraverso il tradimento di Giuda; ha preferito far nascere il bene dal male (S. Aug.) L’ape raccoglie il miele dalle piante velenose, e il vasaio fa vasi meravigliosi da un fango sordido; questo è il modo in cui Dio agisce.

3. Inoltre, non si addice a noi, povere creature, scrutare i disegni segreti di Dio; dobbiamo solo adorarli e sottometterci umilmente ad essi.

Queste riflessioni sul peccato si applicano anche alle conseguenze del peccato, cioè alle sofferenze terrene.

VII. IL CRISTIANO PROVATO DALLA SOFFERENZA.

L’uomo può soffrire nel corpo e nell’anima o in entrambi.

Gli Apostoli picchiati con le verghe soffrivano nel corpo, i fratelli di Giuseppe, trattati così duramente da lui, soffrivano nell’anima. (I Mosè XLII, 21) soffrivano nella loro anima; le sofferenze di Giobbe nelle sue prove erano sia spirituali che corporali. – Il dolore può essere meritato o immeritato; il figliol prodigo soffriva per sua colpa, Giuseppe e Giobbe erano innocenti. – Ma il dolore immeritato è anche una conseguenza del peccato originale.

1. NESSUNO PUÒ ESSERE SALVVATO SRNZA SOFFRIRE PERCHÉ NESSUNO SARÀ INCORONATO SE PRIMA NON COMBATTE (II Tim. II, 5).

È impossibile conquistare un regno – e quindi anche il regno dei cieli – senza lotta e vittoria. Cristo, come disse ai ai due discepoli sulla via di Emmaus, non volle entrare nella sua gloria se non attraverso la sofferenza (S. Luc. XXIV, 26). Prima aveva detto: “Chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me. (S. Matth. X, 38) Il ritorno al paradiso è possibile solo attraverso il paradiso del dolore e non attraverso il paradiso del piacere. (Mar. L at). La via del paradiso è dolorosa. Le pietre della Gerusalemme celeste sono sono tagliate qui sotto (S. P. de Sales). Il lino, dice S. Uupert, dà una bella stoffa bianca solo dopo essere stato pestato, ritrattato, steso e innaffiato; l’anima assomiglierà a questo tessuto splendente solo dopo aver subito le stesse prove. Le anime, come i covoni, restituiscono la loro ricchezza solo passando sotto il flagello. È con lo scalpello che Dio scolpisce gli angeli umani. Voler andare in cielo senza soffrire è come raggiungere un bene senza volerlo pagare (Tertulliano), è dimostrare di non essere sinceri (Gerson). – Perfezione (santità) e sofferenza sono indissolubilmente legati: non c’è opera buona senza ostacolo, non c’è virtù senza lotta.

Dio quindi non lascia nessun giusto senza un po’ di dolore.

Il medico agisce come Dio: se dispera della guarigione di un paziente, gli concede ogni tipo di cibo; se, al contrario, riesce a guarirlo, lo mette a dieta e prescrive pozioni che in genere non sono molto piacevoli. “Il latte è il cibo dei bambini, la tribolazione quella degli eletti”. (S. Vinc. Fer.). Quale santo è mai stato incoronato senza tribolazioni! Cercate e troverete che tutti hanno sofferto la croce e il dolore (Ger.).

Ai suoi santi Dio ha destinato una spada per il cuore quaggiù e una corona per la fronte lassù (Alb. Stolz). – Dio, tuttavia, non lascia il dolore dei giusti senza consolazione. Dio è come una madre che mescola la dolcezza del miele con l’amarezza della medicina, o che mostra immagini al figlio malato, in modo che senta meno il dolore. Dio tesse i giorni dei giusti con un’ammirevole varietà di gioie e di prove (S. G. Crys.). Guardate la Beata Vergine: quale dolore quando Giuseppe voleva ripudiarla! Quale gioia quando Dio salvò il suo onore mandando un Angelo a Giuseppe! Quanto è stato doloroso non trovare rifugio a Betlemme. Quale gioia quando videro i pastori che adoravano Gesù e raccontavano l’apparizione degli Angeli! Quale felicità quando i magi, raccontando le meraviglie della stella, portano i loro doni, e subito dopo quale angoscia per la Sacra Famiglia alla notizia dei piani sanguinari di Erode e l’ordine dall’Angelo di fuggire in Egitto! Che dolore avere smarrito Gesù per tre giorni! E poi che gioia alla vista dei dottori stupiti della sua grande sapienza! Che dolore la passione di Cristo! Che gioia la sua risurrezione!

2. OGNI SOFFERENZA VIENE DA DIO (Amos III, 6) eE SONO UN SEGNO DEL SUO FAVORE.

È vero che Dio non è la causa diretta delle sofferenze. Egli le permette, perciò non sono contrarie alla sua volontà. Le storie di Tobia e di Giobbe ci mostrano che più alcune persone sono giuste, più prove Dio invia loro, e queste prove sembrano essere la ricompensa della pietà. Dio, diceva San Luigi di Gonzaga, premia con le tribolazioni i servizi di coloro che lo amano. E Dio offre questa ricompensa, perché la sofferenza è un bene prezioso per l’eternità. Non è già una ricompensa molto grande poter soffrire per il proprio Dio? ” Chi ama Dio mi capisce”, diceva San Giovanni della Croce. Le sofferenze sono un dono del Padre celeste (S. Thér.), e molto più grandi del potere di risuscitare i morti (San Giovanni della Croce). – I genitori puniscono i figli per correggerli di certi difetti: lasciano questi difetti impuniti negli altri bambini, perché, essendo estranei, non hanno alcun affetto per loro. Così è per Dio, che castiga i suoi figli perché li ama (Alb. Stoltz). “Perché tu sei eri gradito a Dio”, disse Raffaele a Tobia, “dovevi essere messo alla prova dalla tentazione” (Tobia XII, 14). S. Paolo dice allo stesso modo: “Il Signore castiga quelli che ama; colpisce i figli che accoglie. (Eb. XII, 6). L’oro e l’argento sono messi alla prova nel fuoco, i prediletti di Dio sono messi alla prova nella fornace dell’umiliazione. (Eccl. II, 5). Tutti i Santi della Chiesa hanno dovuto soffrire, anche in proporzione alla loro santità. Maria, la Madre di Dio, ha sofferto più di tutti gli altri santi, perciò è la Regina dei martiri. Gli Apostoli non furono da meno: Pietro e Paolo trascorsero quasi tutta la loro vita in prigione. “Una vita pia, piena di sofferenze e tribolazioni, è il segno più certo della predestinazione” (S. Luigi di Gonz.).

– Compatiamo chi non ha nulla da soffrire; non c’è disgrazia più grande – secondo S. Agostino – della felicità dei peccatori; non c’è croce più pesante che non averne. La prosperità continua è una disgrazia, perché ciò che non soffriamo ora, lo soffriremo dopo.

Dio non ci manda nessuna sofferenza al di là delle nostre forze.

Dio, dice San Paolo, è fedele; non permetterà che siate messi alla prova oltre le vostre forze (I Cor. X, 13). Dio sarebbe meno saggio e meno buono dell’uomo meno istruito che conosce la forza di un animale e non lo carica più del necessario? Il vasaio non lascia i suoi vasi troppo a lungo nel fuoco, per non farli scoppiare. (S. Ephr.) Il musicista saggio non tende troppo le sue corde perché non si rompano, né le stringe troppo perché non si spezzino, né troppo poco perché diano un suono armonioso. – Allo stesso modo Dio non lascia gli uomini senza alcun dolore, né ne impone loro di troppo gravosi. (S. G. Chr.). Il medico prudente non ordina ai suoi pazienti di prendere rimedi tanto violenti tali da ucciderli, ed il medico celeste sa ancora meglio come misurare la dose di tribolazione che si addice ai giusti(Louis de Gr.). – Molte persone non soffrono molto e tuttavia si lamentano, perché trovano pesante ciò che è molto leggero. (B. Henri Suso.) Lamentarsi eccessivamente quando si soffre è segno di viltà.

3. DIO FA SOFFRIRE I PECCATORI PER CORREGGERLI E SALVARLI DALLA MORTE ETERNA.

Il figliol prodigo si converte nella miseria; Giona, nel ventre della balena; Manassès, nei sotterranei di Babilonia (2 Par. XXXIH); San Francesco Borgia, alla presenza del cadavere della sua protettrice, la regina Isabella. – Dio è come un padre che richiama all’obbedienza un figlio con la verga in mano (S. Bas.), come un medico che taglia e cauterizza per guarire e salvare dalla morte (S. Aug.). Si battono i vestiti per toglierne la polvere, ed è così che Dio colpisce gli uomini macchiati dal peccato (S. Thomas di Villanova). Il primo effetto della sofferenza è di disgustare il peccatore con le cose terrene; esse danno ai piaceri del mondo, l’amarezza del fiele. Ci staccano dalla terra”. Dio mise alla prova gli Israeliti in Egitto, affinché avessero un desiderio maggiore della Terra Promessa”. Allo stesso modo Dio ci visita con la sofferenza e la tribolazione, affinché possiamo da questa valle di lacrime per cercare con maggiore zelo la patria celeste. (Drexelius). Il peccatore sofferente si accorge anche della sua debolezza, del suo isolamento, e cerca aiuto nella preghiera. Il bisogno ci insegna a pregare. “Le

sofferenze che ci opprimono, ci costringono ad avvicinarci a Dio”. (S. Grég. M.). – I colpi che ci colpiscono dall’esterno ci costringono a rientrare in noi stessi e risvegliano in noi il rimorso (id.). La tribolazione è come l’inverno, dopo il quale gli alberi producono fiori e frutti (S. Bonav.). – La sofferenza, per quanto dolorosa, è quindi la via che conduce più sicuramente a Dio (S. Ter.). –

Dio mette alla prova i peccatori soprattutto attraverso il dolore corporeo, per guarire la loro anima (S. isid.).

Molti uomini hanno trovato la salute della loro anima nelle malattie del loro corpo: S. Francesco d’Assisi, Sant’Ignazio di Loyola. “Dio – dice San Gregorio Magno, – cura la malattia dell’anima con quella del corpo”. Una malattia grave rende l’anima saggia. (Ecclesiastico XXXI, 2).

Attraverso le malattie dolorose, Dio bussa alla porta del cuore per farsi aprire. (S. Grég. Msgno). La madre dà al figlio pozioni amare per curarlo, e Dio punisce il corpo del peccatore per salvare la sua anima. Purtroppo, gli uomini sono così sciocchi da considerare come effetti della sua collera ciò che è solo un effetto della sua misericordia. (Marie Lataste). “Mi rallegro sempre alla vista di un malato – diceva sant’Ignazio, “perché la malattia ci riporta a Dio”.

4. ATTRAVERSO LS SOFFERENZA DIO METTE ALLA PROVA I GIUSTI PER VEDERE SE AMINO LE CREATURE PIÙ DEL CREATORE.

Giobbe, che aveva sempre vissuto nel timore di Dio, perse tutte le sue ricchezze, i suoi figli e la sua salute, ed era ancora deriso dalla moglie e dagli amici. Tobia, che aveva corso grandi pericoli per seppellire i morti, e a forza di elemosine era diventato indigente, perse la vista e il suo sostentamento. Ecco come Dio mette alla prova i suoi! L’albero dimostra la sua solidità resistendo alla tempesta, e l’uomo retto, nella sofferenza, la misura della sua santità. – La sofferenza, come il vento, separa il grano dalla pula (S. Aug.); le erbe odorose, come la virtù, emanano il massimo della fragranza (S. Bonav.). – Dio molto spesso ci toglie ciò che ci è più caro. Abramo fu costretto a sacrificare il suo unico figlio Isacco e Giacobbe, Giuseppe, il suo figlio prediletto, gli è stato tolto; prende anche da noi ciò che è nocivo, così come un padre, nonostante le lacrime di un bambino, gli toglie il coltello che potrebbe ferirlo. (S. Aug.).

Allo stesso tempo, la sofferenza dà al giusto un grande vantaggio: lo aiutano ad espiare, già in questo mondo, le pene dovute per i peccati; lo purificano di molte imperfezioni, aumentano la sua virtù nel compimento delle opere buone, il suo amore per Dio, la sua diligenza nella preghiera, spesso la sua prosperità temporale e infine i suoi meriti per il cielo.

La sofferenza espia le pene del peccato; per questo Sant’Agostino esclamava: “Signore, brucia, cauterizza, pota quaggiù, ma risparmiami nell’eternità!”. Siate felici, diceva S. Francesco Saverio, di poter scambiare le terribili pene del purgatorio con quelle di questa vita. – La sofferenza ci purifica dalle imperfezioni. Il Padre celeste, il divino vignaiolo, pota tutti i tralci che portano frutto, perché portino ancora più frutto. (S. Giovanni XV, 2). “Dio fa passare i giusti attraverso il fuoco, li purifica come si purifica l’argento, li prova come si prova l’oro. (Zac. XIII, 9). Il giusto è purificato dai suoi peccati, come il grano vagliato; la sua anima, agitata dalle prove, respinge le impurità come il mare agitato dalla tempesta getta i depositi sulla riva. La sofferenza punge, ma lava come il sapone; morde come una lima, ma toglie la ruggine e dà lucentezza. È ruvida come una spazzola, ma pulisce (S. Fr. de S.l. – La sofferenza aumenta l’energia morale, come le tempeste rafforzano le radici dei giovani alberi. (S. G. Chr.) L’anima si rafforza nella prova, come il ferro sotto il martello, come i muscoli attraverso il lavoro. I vasi difettosi si rompono quando il vasaio li mette nel fuoco, ma quelli buoni si rafforzano: così la pietà dei buoni diventa più energica sotto il fuoco delle tribolazioni. (Louis de Gr.) “Quando sono debole, cioè quando soffro – diceva San Paolo -.è allora che sono forte. (II Cor. XII, 10). E la ragione di questo, secondo S. Bernardo, è che le soaffrenze indeboliscono il nostro nemico. – La sofferenza aumenta il nostro amore per Dio. Le acque del diluvio innalzarono l’arca al cielo; le acque della tribolazione non possono spegnere la carità, ma innalzano i nostri cuori più in alto. (S. Fr. de S.) Come la foglia d’oro si distende sotto il martello, così il canto e la santità dei buoni crescono sotto i colpi della sventura. Infatti, le prove ci allontanano dalle cose terrene e soffocano in noi l’amore per il mondo. Diceva S. Agostino: “Signore, ti prego, riempimi tutto di amarezza, perché io possa trovare la dolcezza solo in te”. Le prove aumentano così la nostra gratitudine a Dio, perché impariamo a conoscere bene i suoi doni, come la salute, solo perdendoli, ci rendono umili, perché è necessario che i malvagi facciano soffrire i buoni per preservarli dall’orgoglio (S. Isid.). – La sofferenza ci insegna a pregare, come vediamo con gli Apostoli nella barca durante la tempesta. Quando Davide era perseguitato, ha scritto i salmi più belli che fanno parte delle preghiere della Chiesa. La prosperità prolungata distrugge la vigilanza e l’energia. Le acque calme si corrompono e i pesci vi periscono. Un’anima senza tribolazioni diventa tiepida e perde gradualmente la sua virtù (S. Amb.), così come il pesce non salato si decompone, e un cavallo risparmiato dallo sprone rallenta la sua marcia. – La sofferenza a volte aumenta persino la prosperità temporale. Giuseppe non sarebbe mai stato il ministro del Faraone, se prima non fosse stato venduto e gettato in prigione. Giobbe fu restituito ai suoi beni grazie alla sua pazienza; Tobia recuperò la vista. Dio colpisce e guarisce immediatamente. (Tob. XII, 2). Dio cambia la sofferenza dei suoi amici in gioia (S. Giovanni XV, 20). – Le sofferenze aumentano la felicità eterna. Dio ha mandato al povero Lazzaro le sue miserie per poterlo glorificare dopo la sua morte. – Il momento, così breve e così leggero, delle afflizioni che soffriamo in questa vita, produce produce in noi il peso eterno di una gloria sovrana e incomparabile. L’anima, come le pietre preziose, si abbellisce con la lucidatura, e matura per la vita eterna, come la spiga di grano al calore del sole. Dio – dice S. Alfonso non ci manda le sofferenze per perderci, ma per santificarci ed elevarci ad un grado superiore di santità; le tribolazioni che ci invia, sono un segno dei grandi disegni che ha per noi e della sua chiamata alla santità. (S. Ign. L.) La nostra ricompensa in cielo sarà proporzionata alle nostre sofferenze quaggiù. Se siamo sfortunati, siamo anche scelti (S. Aug.). Tutto concorre al bene di chi ama Dio (Rm VIII, 28). Tutto ciò che dobbiamo fare è abbandonarci al bene di Dio, perché Egli non permetterà mai nulla che non ci sia utile, anche se non lo sappiamo. (S. Aug.)

5. LE SOFFERENZE, LUNGI DALL’ESSERE UN VERRO MALE, SOONOO IN REALTÀ BENEDIZIONI DI DIO, PERCHÉ CONTRIBUISCONO ALLA FELICITÀETERNA E TEMPORALE.

Un contadino non considererebbe una piaga una grandinata di diamanti che devasta i suoi raccolti! Anche noi dobbiamo convincerci che la sofferenza non ci causa alcuna perdita, ma ci assicura un guadagno. (Weninger). Ciò che noi consideriamo un male, è un rimedio. Dio, che ci ama infinitamente ha il sincero desideriodi renderci felici (S. F. Borg.). Non c’è altro male che il peccato. (San Gregorio Nazareno). La sofferenza è una sorta di sacramento, perché è il segno visibile della grazia invisibile (Santa Mechtilde). Questo è un caso di applicazione della massima: la salvezza è nella croce. – Le sofferenze, quindi, non possono renderci veramente infelici perché, nonostante esse, si può essere molto felici, come Giobbe e Tobia. S. Paolo, in mezzo alle sue tribolazioni, esclamava: “Sono pieno di gioia in tutte le mie sofferenze” (II Cor. VII 4).

6. DOBBIAMO QUINDI ESSERE PAZIENTI NELLA AFFLIZIONI E RASSWGNARCI ALLA VOLONTÀ DI DIO E PER QUESTO RRINGRAZIARLO.

Come Giobbe, dobbiamo dire: “Non è accaduto altro che ciò che è piaciuto al Signore. Il nome di Dio sia benedetto” (Giobbe I, 21), o come Cristo nell’Orto degli Ulivi:

“Sia fatta la tua volontà e non la mia”. (S. Luc. XXII, 42). Si deve essere come un paziente ragionevole che si sottopone di buon grado alle prescrizioni di un medico esperto o come un viaggiatore che segue con obbedienza la guida, nonostante le difficoltà della strada. “Dio, inoltre, ci ha alleggerito il peso della sofferenza, non solo con il suo esempio, ma anche con la promessa che ci ha fatto, della vita eterna” (Leone XIII). Dobbiamo fare di necessità virtù (S. Fil. Neri.) – Gli Apostoli si rallegrarono di essere stati flagellati (Atti V, 11); proprio come un artigiano è contento di avere molto lavoro (S. G. Chr.). L’aratore, durante le sue fatiche, si rallegra del futuro raccolto; il mercante sopporta la traversata per il guadagno che ne spera. Il cristiano deve rallegrarsi in mezzo alle sue tribolazioni in vista della futura ricompensa. (S. G. Chr.) Se un blocco di pietra avesse una ragione, gioirebbe di essere trasformato nella statua di un grande uomo. Noi dobbiamo gioire di essere nobilitati dalle disgrazie. (Corneille de la Pierre). Le disgrazie, dice S. Crisostomo, sono come una manciata di ortiche: più si esita ad afferrarle, più pungono: bisogna farlo con coraggio, ed esse non pungono. L’uomo, aggiunge, non deve essere come il vetro che si frantuma al minimo urto. In tutte le afflizioni recitiamo la preghiera: “Gloria al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo”. –

Purtroppo, la maggior parte delle persone mormora e si spazientisce al minimo imprevisto. Quando restituiamo il denaro di un creditore, lo ringraziamo. Quando Dio esige da noi ciò che ci ha affidato, mormoriamo. (S. F. Borg.) Quanti Cristiani, ahimè, assomigliano a soldati che sono pronti a servire in tempo di pace, ma disertano quando arriva la guerra. Inoltre, la nostra impazienza non cambia i nostri mali. Al contrario, ci fa soffrire doppiamente e in più offende Dio. – L’impazienza è come un pesce che si dibatte sull’amo, e si fa più male da solo. Tuttavia, le lacrime e la tristezza non sono di per sé peccati. Cristo stesso pianse e fu triste nell’Orto degli Ulivi.

La pazienza nelle prove porta rapidamente all’alta perfezione e ci fa guadagnare grandi meriti.

Abbandonandoci nelle prove alla volontà di Dio, progrediamo nella perfezione con la stessa rapidità di una nave che ha il vento in poppa o che segue la corrente (Weninger); attraverso la rassegnazione andiamo davanti a Dio con passi alati. (Alvarez) “Beato – dice san Giacomo (I, 12) – chi sopporta la prova, riceverà la corona della vita.

L’amore per la sofferenza permette di concludere di un reale progresso dell’anima verso la perfezione.

L’incenso emette il suo profumo solo sui carboni ardenti, e la virtù solo nelle afflizioni.(S. Grég. M.). Il valore di un guerriero si rivela in guerra e non in pace. (S. G. Cry.) Il peccatore mormora nelle prove; il novizio cade, ma subito si pente della sua impazienza; colui che è avanzato è spaventato, ma l’uomo perfetto non solo attende la sofferenza, ma la anticipa.(S. F. di S.) Chi ha raggiunto la perfezione non chiede a Dio che gli siano risparmiate prove e tribolazioni, e le stimano come i mondani bramano le ricchezze, l’oro e i gioielli. (Santa Teresa). Per i giusti l’afflizione è una gioia e non una preoccupazione (Cardinale Hugo). Anche il motto di s. Teresa ed altri Santi era: “Signore, o soffrire o morire.”. – “Baciare la mano di Dio – diceva san Francesco di Sales – sia quando favorisce, sia quando castiga, significa aver raggiunto l’apice della perfezione cristiana e aver trovato la propria salvezza nel Signore.

8. GLI ANGELI.

1. GLI ANGELI SONO PURI SPIRITI CHE POSSONO ASSUMERE UNA FORMA VISIBILE.

Tutti gli Angeli sono spiriti (Eb. I, 14), cioè esseri incorporei (S. Greg. Naz.). Gli Angeli sono solo spirito, gli uomini sono un composto di spirito e corpo. (S. Greg. M.) – Ma gli Angeli possono prendere in prestito forme corporee (S. Greg. M.); Raffaele, ad esempio, guida del giovane Tobia, prese le sembianze di un ricco ebreo, Azarias. (Tob. V, 13). Gli Angeli apparvero come giovani uomini alla tomba di Cristo risorto (S. Marco XVI, 5): in forma di uomini all’Ascensione. (Atti 1, 10).

Gli angeli sono superiori agli uomini, perché hanno intelligenza superiore e poteri più grandi.

Gli Angeli sono superiori in perfezione a tutti gli esseri creati. (S. Aug.) Cristo ha detto che nemmeno gli angeli conoscono il giorno e l’ora del giudizio (S. Matth. XXIV, 36); quindi implica che gli Angeli sanno naturalmente più degli uomini. – L’angelo sterminatore uccise i primogeniti d’Egitto; un altro Angelo sterminò in una notte nel campo di Sennacherib 200.000 assiri, che avevano bestemmiato il vero Dio (Isaia XXXVII); fu anche un Angelo a proteggere i tre giovani nella fornace di Babilonia (Dan. III, 49): una prova del fatto che gli angeli possiedono una forza straordinaria. Per questo la Scrittura li chiama “Potenze e virtù” (1 S. Pietro III, 22).

Dio ha creato gli Angeli per la sua gloria e il suo servizio ed anche per la loro felicità.

Gli Angeli glorificano Dio; poiché tra tutte le creature sono quelli che più assomigliano a Dio, è in loro che le perfezioni divine risplendono maggiormente, come un bel quadro porta gloria all’artista. Inoltre, glorificano Dio in cielo con i loro incessanti canti di lode. – Anche gli Angeli sono stati creati per il servizio di Dio. “Gli Angeli sono spiriti che agiscono come servitori, inviati da Dio per servire gli uomini che devono essere eredi della salvezza (Eb. I, 14). Il loro stesso nome indica che sono i servitori di Dio, perché Angelo significa messaggero. Questo è indicato anche nella terza petizione del Padre nostro. – Gli stessi angeli del male servono a glorificare Dio, perché Dio trasforma i loro attacchi nella sua gloria e nella nostra salvezza. Goethe chiama giustamente satana “una forza che vuole sempre il male e fa sempre il bene”.

Il numero degli Angeli è immenso.

Un milione di Angeli”, dice Daniele nella sua descrizione del trono di Dio, “lo servivano, e mille milioni stavano davanti a Lui (VII, 10). Spesso si parla di eserciti celesti (S. Luca II, 13; III Re XXII, 19; II Par. XVIII, 18). Cristo nell’Orto degli Ulivi disse che suo Padre poteva mandare in suo aiuto 12 legioni di Angeli. (Il numero degli Angeli supera il numero di tutti gli esseri corporei – S. Thom. Aq), quindi anche il numero di tutti gli uomini passati e futuri. Gli Angeli, dice San Dionigi l’Areopagita, sono più numerosi delle stelle del firmamento, dei granelli di sabbia dell’oceano, delle foglie degli alberi.

Gli Angeli non sono tutti uguali: sono divisi in 9 cori o ordini.

Nemmeno le stelle sono tutte uguali. C’è anche una gerarchia tra i ministri della Chiesa ove esiste una gerarchia, che corrisponde alla diversità dei loro poteri. Il Papa o capo della Chiesa, è assistito da 70 Cardinali, i Vescovi da lui inviati governano le diocesi e i loro collaboratori, i Sacerdoti che amministrano le parrocchie. – La suddivisione degli Angeli è basata sulla varietà dei doni e delle funzioni conferiti da Dio; alcuni sono destinati principalmente a lodarlo, altri a servirlo (Dan. VII, 10). I più vicini al trono di Dio sono i Serafini, cioè gli ardenti, perché, sono tutti infuocati dall’amore divino; dopo di loro vengono i Cherubini che si distinguono per la grande conoscenza di Dio. La Scrittura ci parla anche di Arcangeli, in particolare Michele, l’avversario degli angeli decaduti, Gabriele, il messaggero della nascita di S. Giovanni Battista e di Cristo, e di Raffaele, la guida, di Tobia. – Va da sé che la stessa gerarchia sussiste tra gli angeli reprobi. (Efes. VI, 12).

2. TUTTI GLI ANGELI ERANO GRADITI A DIO AL MOMENTO DELLA LORO CREAZIONE, MA MOLTI DI LORO PECCARONO PER ORGOGLIO E PER QUESTO FURONO GETTATI NELL’INFERNO ETERNO. (II S. Pietro II, 4).

Tutti gli Angeli avevano originariamente lo Spirito Santo dentro di loro. Creando la loro natura, Dio aveva aggiunto la grazia. Si potrebbe dire di loro come dell’uomo: “La carità è stata riversata in loro dallo Spirito Santo che è stato loro dato. (S. Aug.). Ma Dio incorona solo coloro che hanno combattuto (11 Tim. II, 5). Egli fece per gli Angeli quello che ha fatto in seguito per gli uomini e li ha sottoposti ad una prova, affinché potessero avere il il paradiso come ricompensa. Molti angeli soccombettero e persero, insieme alla grazia santificante lo Spirito Santo; non rimasero, dice Gesù, nella verità. (S. Giovanni VII, 44). Volevano essere uguali a Dio, secondo l’allusione al loro crimine fatta dal profeta Isaia: “Come sei caduto dal cielo, Lucifero? Hai detto in cuor tuo: salirò fino ai cieli e innalzerò il mio trono sopra le stelle di Dio… Voglio essere uguale all’Altissimo, e tu sei caduto nell’abisso”. (Is. XIV, 12). Una grande battaglia fu combattuta in cielo tra Michele e i suoi Angeli e Lucifero e i suoi angeli; e il diavolo fu gettato giù dal cielo con i suoi angeli, ed essi non apparvero più in cielo. (Apoc. XII, 8). Combattendo contro gli angeli cattivi, i buoni gridarono: “Chi è come Dio?” Tuttavia non tutti i demoni sono continuamente nell’inferno: molti sono temporaneamente nell’aria (Ef. II, 2), dove tuttavia soffrono le pene dell’inferno. – Il demone”, dice S. Asterio, “è stato punito come il cane che lascia andare la preda per le ombre. Gli angeli caduti sono chiamati diavoli o spiriti maligni e il loro capo: satana o lucifero, cioè portatore di luce, perché era senza dubbio uno degli angeli più perfetti. Che i demoni abbiano un capo è chiaro dalle parole di Cristo, che, al Giudizio Universale, dirà ai reprobi: “Andate. . al fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli” (S. Matth. XXV, 11). Il numero degli angeli caduti è inferiore a quello dei fedeli (S. Thom, Aq.); la loro caduta è stata così disastrosa, perché erano molto in alto nella luce, come la gravità della caduta di un uomo è proporzionale all’altezza del piano da cui cade. Nell’ultimo giorno gli angeli malvagi saranno giudicati, e la loro malizia e la loro punizione saranno rivelate a tutto l’universo (S. Giuda Vl; II S. Pietro II, 4). Contestare l’esistenza degli spiriti maligni è attaccare la fede cristiana e rifiutare di credere alle parole esplicite di Cristo.

3. GLI ANGELI DEL MALE SONO NOSTRI NEMICI. ESSI CI INVIDIANO, CERCANO DI INDURCI AL MALE E POSSONO, CON IL PERMESSO DI DIO, DANNEGGIARCI NRL NOSTRO CORPO O NEI NOSTRI BENI.

Gli spiriti maligni sono nostri nemici. Molti Santi sostengono che gli uomini prenderanno il posto in cielo perso dagli angeli; “Da qui la loro invidia”. – L’invidia di vedere una creatura fatta di limo prendere il suo posto, fa soffrire il diavolo più delle fiamme dell’inferno. (S. Thom. Aq.) Impotente contro Dio, egli rivolge tutta la sua rabbia contro gli uomini creati ad immagine di Dio (S. Bas.). Un solo sguardo sulla storia dei popoli mostra che il diavolo vuole spogliare gli uomini di tutto: dalla vera religione, dalla libertà, dalla civiltà, dalla loro prosperità, dalla pace, in una parola, di tutte le cose buone. – Il diavolo ha sedotto i nostri primi genitori e i Giuda; egli ha persino cercato di far cadere Cristo nel peccato; ha danneggiato Giobbe nei suoi possedimenti e a quelli posseduti dal Vangelo nei loro corpi. Le parole di Gesù Cristo (S. Matth. XVI, 18) mostrano che gli sforzi di satana sono diretti soprattutto contro la Chiesa, contro il suo capo” contro i suoi ministri; così il Salvatore dice ai suoi Apostoli: “Satana ha chiesto di passarvi al vaglio come il grano (S. Luc XXII, 31). Satana sapendo che i Sacerdoti stanno distruggendo il suo regno e che un giorno saranno associati agli Angeli per giudicarlo (I Cor. VI, 3), li perseguita per rovinarli (Tert.). Il diavolo è come un leone ruggente che gira intorno agli uomini per divorarli. (I S. Pietro V, 8). Dio dà a ogni uomo, alla nascita, un Angelo custode, e lucifero, giustamente chiamato “scimmia di Dio”, invia ad ogni uomo uno dei suoi angeli per caricarlo di tentazioni durante la sua vita. (Pietro Lombardo). Dobbiamo come gli Ebrei che lavoravano per ricostruire le mura di Gerusalemme, tenere la cazzuola in una mano per lavorare e con l’altra la spada per combattere i nostri nemici. (II Esdra IV, 17).

Il diavolo tuttavia, non è in grado di fare veramente del male a chi osserva i Comandamenti e si rifiuta di peccare.

Un cane alla catena può abbaiare a tutti i passanti, ma può mordere solo chi si avvicina (S. Aug.); il diavolo è questo cane, perché Dio lo ha incatenato. (S. Giuda VI). Egli può influenzare la nostra memoria, la nostra immaginazione, ma non ha potere diretto sulla nostra ragione e sulla nostra volontà. “Il diavolo – dice S. Agostino – può fare del male con la persuasione, ma non con la violenza. Si devono quindi respingere immediatamente e con energia i pensieri malvagi”. “Resisti a satana – dice San Giacomo – ed egli fuggirà” (IV).; inoltre, sappiamo come Gesù Cristo scacciasse il diavolo con le parole: “Ritirati satana” (S. Matth. IV, 10). Spesso è bene scacciare queste ispirazioni malvagie semplicemente con il disprezzo; (S. Fr. di S.) questo disprezzo per le tentazioni e per il tentatore consiste nel rivolgere la mente ad altri pensieri, senza affanni o tristezze. (S. G.. Cris.). – Chi si sofferma su pensieri malvagi si avvicina al cane incatenato e ne riceve i morsi. “Solo il peccato dà al diavolo il potere sull’uomo.” (id.) Nessun uomo si salverebbe, dunque, se ottenesse pieno potere sull’uomo (S. Lor. Giust.), perché ha perso la sua beatitudine, ma non la superiorità della sua natura. (S. Greg. M.).

Dio permette a satana di esercitare un potere speciale su alcuni uomini.

i. Dio infatti ha spesso tollerato che per anni i demoni tormentino straordinariamente le anime che tendono alla perfezione e le anime particolarmente favorite, al fine di umiliarle profondamente e purificarle completamente dalle loro imperfezioni.

Il cane incatenato può fare del male quando il suo padrone allunga la catena. (Scaramelli. Gesuita italiano, autore di diverse opere ascetiche molto apprezzate; 1687-1752.) Questo è ciò che Dio fa per il diavolo quando vuole purificare i suoi eletti; Dio vuole che la sua potenza risplenda maggiormente nella debolezza (II Cor. XII, 9). Molti Santi sono stati così, per lunghi anni, continuamente ossessionati da legioni di demoni e tormentati da tentazioni straordinarie, come una città assediata dal nemico. Il più delle volte i demoni apparivano loro in forme spaventose e di notte come bestie selvagge; torturavano il loro udito con ruggiti o parole oscene, soprattutto durante la preghiera, per distrarli o allontanarli; li picchiavano o li gettavano a terra; (Dio, tuttavia, ha sempre protetto le loro vite ed ha risparmiato loro anche le ferite, senza risparmiare loro la sofferenza); impedivano loro di mangiare, persino di fare la comunione, serrando loro le mascelle; li hanno sommersi di malattie, di oppressione al petto, di spossatezza, etc., curabili non tanto con rimedi medici quanto con le benedizioni della Chiesa. Ma ciò che era più terribile erano gli assalti alle virtù teologiche e morali. Le negazioni non avevano potere diretto sulle facoltà dell’anima, ma potevano disturbarle con l’immaginazione, così che queste persone erano private della loro libertà e talvolta commettevano gli atti più folli. Quando rinvenivano, non si accorgevano di nulla, ma erano molto umiliati dall’opinione dei loro vicini. È chiaro, tuttavia, che questi atti non erano colpevoli. Questi attacchi demoniaci si chiamano ossessioni; Giobbe ne soffrì a lungo, così come Nostro Signore nel deserto (S. Matth. IV) e durante la sua passione, dove fu consegnato alle potenze delle tenebre (S. Luca XXII, 53), poi S. Antonio l’Eremita, S. Teresa, S. Maddalena di Pazzi, il santo Curato d’Ars (+1859). Queste anime pie sapevano che Dio non permette che l’uomo venga tentato al di là delle sue forze (I Cor. X, 13), e permette al diavolo di fare solo ciò che può servire alle anime (S. Aug). ; essi si rassegnarono alla volontà di Dio e scacciarono satana con il loro coraggio per un periodo abbastanza lungo. – Ai demoni che minacciavano la sua vita, Santa Caterina da Siena rispondeva: “Fate quello che volete; quello che Dio vuole, io lo trovo buono”. “Non vedete – diceva Santa Maddalena dei Pazzi – che mi state dando uno splendido trionfo?” “Siete dei vigliacchi – gridò sant’Antonio – a venire così numerosi”. “Opponetevi al diavolo con il coraggio di un leone e lui sarà una timida lepre; siate una timida lepre ed il demonio diventerà un leone” (Scaramelli). I demoni vengono messi in fuga anche invocando i nomi di Gesù e di Maria, il segno della croce, l’acqua santa, le reliquie, la preghiera, la partecipazione ai Sacramenti e gli esorcismi. Più grandi sono i tormenti delle anime pie, più straordinario è l’aiuto divino: in queste prove hanno rivelazioni, apparizioni di Angeli e Santi, ecc. In questi casi, che spesso hanno dato luogo a imposture, la Chiesa procede con grande prudenza, si potrebbe dire con diffidenza. Tuttavia, considerare come impossibili e deridere tutti gli eventi che ci vengono raccontati nelle vite dei Santi, nelle lezioni del breviario, è mostrare una grande sconsideratezza. I mondani, ahimè! non hanno motivo di temere questi assalti; il diavolo li disprezza, sicuro di averli prima o poi in suo potere.: è ghiotto solo di anime sante (Ab I,16) e tormenta coloro che vivono secondo lo spirito, non coloro che vivono secondo la carne. (S. Bern.).

2. Dio permette anche spesso al diavolo di punire ed ingannare gli uomini viziosi o increduli.

I corpi di uomini che, a causa dei loro vizi, avevano consegnato interamente la loro anima a satana, sono stati spesso occupati dai diavoli, come una città presa dal nemico. Questo stato è chiamato possessione. Al tempo di Nostro Signore c’erano molti posseduti; come risultato della loro possessione essi erano muti (S. Matth., IX, ’62), o ciechi (ibid. XII, 22), pazzi furiosi (ibid. VIII 28), ecc. Il Figlio di Dio aveva uno scopo speciale nel permettere a satana di dare prova del suo potere al momento della sua Incarnazione: l’esistenza del mondo degli spiriti e dimostrare la sua missione divina attraverso l’obbedienza mostratagli dagli spiriti malvagi. – Tra le persone ossessionate e possedute che devono subire il demonio contro la loro volontà, dobbiamo distinguere coloro che continuamente hanno il diavolo in loro, perché hanno fatto un patto con lui (Act. XVI, 16; I Re XXVIII); questo è un caso che non si verifica quasi più se non tra i pagani. – Dio permette a satana di ingannare i seguaci dello spiritismo, una pratica che consiste nell’evocare gli spiriti per apprendere dei segreti. Spesso le sedute spiritiche non sono altro che imposture e portano all’immoralità. “Dio, per un giusto ritorno della sua giustizia permette in queste circostanze cose così straordinarie, che la curiosità è ulteriormente stuzzicata e noi siamo più strettamente irretiti nelle trappole del diavolo” (S. Aug.). (Questi prodigi sono opera di spiriti maligni, non di Angeli buoni, che non si prestano mai alla rivelazione di segreti solo per soddisfare la curiosità degli uomini o il loro amor proprio (Bona). Molto spesso questi cosiddetti segreti rivelati sono falsi, perché il diavolo è il padre della menzogna (S. Giovanni XI, 44). Gli spiritisti rischiano di perdere la salute e la tranquillità; molti di loro hanno pagato con la vita questa passione malvagia, o sono stati portati nella loro illusione a compiere i più grandi crimini e alle più grandi follie.

3. Gli angeli che sono rimasti fedeli a Dio vedono Dio faccia a faccia e lo lodano per tutta l’eternità.

Gesù, parlando degli Angeli custodi dei bambini, ha detto: “I loro Angeli nel cielo guardano sempre il volto del Padre mio che è nei cieli” (S. Matth. XVIII, 19). I Serafini cantano di Dio tre volte santo (Is.-VI 3) e gli Angeli benedicono Dio nella campagna di Betlemme. “I gradi della loro conoscenza e del loro amore per Dio diversificano anche il loro modo di lodare Dio. (S.-Tom. Aq.) Gli Angeli buoni sono rappresentati in forma di bambini, perché sono immortali, quindi di eterna giovinezza, con le ali, perché nel servizio di Dio sono rapidi come il pensiero, con dei visi doppi per la loro profonda conoscenza; con arpe, perché lodano Dio; con i gigli per la loro innocenza; con la testa senza tronco perché sono spiriti; vicino agli altari, perché assistono invisibilmente il santo Sacrificio. – Gli Angeli santi sono di una bellezza abbagliante. La vista di un Angelo in tutta la sua bellezza, accecherebbe per il suo splendore (S. Brig.). Un Angelo che apparisse nel firmamento in mezzo a tanti soli quante sono le stelle, li farebbe sparire come scompaiono le stelle davanti al sole (S. Ans.). Anche gli Angeli buoni, nelle loro apparizioni agli uomini, non si sono mai mostrati in tutto il loro splendore. – Gli Angeli santi saranno i nostri compagni in cielo. Essi gioiscono del nostro arrivo. “Il banchetto di nozze è preparato, ma la casa non è ancora piena; si attendono nuovi ospiti”(S. Bern.) Ecco perché gli Angeli si interessano tanto alla nostra vita spirituale; il Salvatore ci dice che si rallegrano per la conversione dei peccatori. (S. Luca XV, 10). Essi intervengono anche nella nostra vita spirituale e corporale, se non li preveniamo con i nostri peccati.

4. Ci sono Angeli buoni che sono chiamati Angeli custodi perché ci proteggono (Eb. i. u).

La scala di Giacobbe era un simbolo dei servizi resi a noi dagli Angeli buoni. Questa scala, sopra la quale Dio era intronizzato, arrivava dal cielo alla terra, e gli Angeli la salivano e la scendevano: essi scendevano per proteggere l’umanità e risalivano per glorificare Dio (Genesi XXVIII, 12). Gli Angeli buoni sono compagni che il Padre celeste ci ha dato per guidarci nel nostro pericoloso pellegrinaggio terreno, (Segneri); essi ci custodiscono con la fedeltà di un pastore verso verso il suo gregge (S. Bas.); considerano il loro più nobile dovere aiutarci a raggiungere la nostra salvezza. (S. Dion. Areop.) Non sembrerà strano che gli Angeli siano al nostro servizio, se consideriamo che il loro re sia venuto in questo mondo non per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per molti. (S. Bern.) I servizi che ci rendono, lungi dall’essere causa di fatica e preoccupazione, danno loro gioia e fanno parte della loro felicità, perché, amando Dio al di sopra di ogni cosa, non conoscono niente di più piacevole che lavorare per la salvezza delle anime e quindi per la gloria di Dio. – Questa è l’opinione dei Dottori della Chiesa, che ogni uomo ha il suo Angelo custode. “0 eminente dignità dell’anima umana che fin dalla nascita è custodita da un Angelo! (S. Ger.) “La dignità di un Angelo dipende dalla dignità della persona affidata alle sue cure. I semplici fedeli hanno un Angelo custode di grado inferiore, i Sacerdoti, i Vescovi ne hanno uno di grado superiore e il Papa, uno degli spiriti più potenti della corte celeste. Lo stesso vale per i re, principi e altre autorità della gerarchia civile. (Mar. Lat.) Inoltre, non è solo ogni individuo ad avere il suo Angelo custode; le città, le nazioni, le famiglie, le parrocchie, le comunità hanno ciascuno il proprio (ibid.).

GLI ANGELI CUSTODI CI AIUTANO NEI MODI SEGUENTI:

1. Ci ispirano pensieri buoni e stimolano la nostra volontà al bene.

Nella campagna di Betlemme, presso il sepolcro di Cristo, dopo la sua Ascensione, gli Angeli parlavano agli uomini, ma di norma agivano su di loro in modo invisibile, senza parlare loro in modo sensibile. Qualche anno fa (marzo 1890) alcuni scolari di Reichenberg, nella Boemia settentrionale, fecero un’escursione nella foresta, furono sorpresi da un violento temporale e si rifugiarono sotto un albero. All’improvviso uno di loro corse sotto un altro albero. Gli altri lo seguirono e subito un fulmine colpì il primo albero e lo fece a pezzi. Convinti che l’Angelo custode avesse ispirato questo movimento, i genitori eressero una croce in suo onore. – I pensieri che ci turbano e ci preoccupano non vengono da Dio, né quindi dai santi Angeli. Dio infatti, è un Dio di pace (S. Ter.).

2. Gli Angeli offrono a Dio le nostre preghiere e le nostre buone opere.

Lo stesso Raffaele ha dichiarato di aver presentato a Dio le preghiere di Tobia. (Tob. XII, 12). Nel canone della Messa (3a orazione dopo l’Elevazione), il Sacerdote prega ogni giorno Dio di far portare la vittima santa dal suo Angelo davanti al suo trono. Gli Angeli non presentano le nostre preghiere a Dio, perché Dio non le conoscerebbe altrimenti – Egli che conosce tutte le cose prima che siano – ma per rendere le nostre preghiere pi efficaci le nostre preghiere, uniscono le loro ad esse. (S. Bonav.) L’Angelo custode partecipa a tutti i benefici che riceviamo da Dio, perché è lui che ci ha aiutato a chiederli. (S. Thom. Aq.).

3. Ci proteggono in caso di pericolo.

Egli ha ordinato ai suoi Angeli di custodirci in tutte le tue vie. (Sal. XC, 11). Esempi di protezione indicati dagli Angeli sono: i tre giovani nella fornace (Dan. III), Daniele nella fossa dei leoni (ibid. XIV).1 – L’angelo custode ha soprattutto il potere di tenerci lontani dalle insidie del diavolo perché gli spiriti maligni sono sotto il dominio degli Angeli buoni, come ha dimostrato Raffaele nella storia di Tobia (Cap. VIII). L’apparizione dell’Angelo buono è sufficiente per mettere il demonio in fuga. (S. Francesca Rom.) Ciò deriva dalla partecipazione al governo del mondo che Dio concede alle sue creature secondo il grado di unione con Lui. Le creature perfette hanno un’influenza sugli esseri inferiori; essendo la massima perfezione la visione di Dio, ne consegue che un Angelo di ordine superiore ha sotto il suo dominio uno spirito malvagio di ordine inferiore. ^ Tuttavia, gli Angeli buoni non ci tengono lontani dalle insidie del diavolo, che devono servire alla nostra salvezza. (S. Thom. Aq.) – Un buon Cristiano invocherà quindi il suo Angelo custode prima di un viaggio. Tobia augurava questo aiuto a suo figlio, al momento della sua partenza: “che l’Angelo di Dio ti accompagni” (Tob. V, 21).

4. Spesso rivelano agli uomini la volontà di Dio.

Un Angelo intervenne al sacrificio di Abramo; Gabriele fu il messaggero di Dio per Zaccaria e la Vergine Maria di Nazareth. – Tutte le rivelazioni e le apparizioni all’inizio disturbano e spaventano, solo in seguito riempiono l’anima di gioia e consolazione. Quando gli Angeli sono apparsi, quanto si sono spaventati Tobia, Zaccaria, Maria e i pastori! Gli Angeli stessi furono costretti a rassicurarli. Il diavolo agisce in modo diverso: prima li tranquillizza, poi subentra la confusione e il terrore. – Gli Angeli buoni appaiono sempre in forma umana; il diavolo, in varie sembianze, in particolare sotto forma di bestie (tranne l’agnello e la colomba); assumono persino l’aspetto degli Angeli della luce, della Beata Vergine e di Cristo. (Benedetto XIV). Come regola generale, appaiono per sedurre coloro che, per orgoglio o curiosità, cercano cose straordinarie, ad esempio agli spiritisti.

Per ottenere la protezione degli Angeli buoni, dobbiamo cercare di di assomigliare a loro, vivendo una vita santa, onorandoli ed implorando molto spesso il loro aiuto.

L’esperienza dimostra che i bambini piccoli sono oggetto di una protezione speciale. È quindi l’innocenza a renderci loro amici. “L’amore di Dio ci rende graditi agli Angeli” (Mart. Lat.) e il peccato li allontana come il fumo le api (S. Bas.). L’Angelo custode quindi non proteggerà i bambini che si arrampicano sugli alberi per rubare gli uccelli, né gli operai che profanano la domenica; al contrario, queste colpe sono spesso accompagnate da gravi incidenti. – Naturalmente, gli Angeli buoni ci proteggeranno ancora di più se li importuniamo con le nostre preghiere. Dio stesso concede le sue grazie solo quando le chiediamo, ed anche gli Angeli osservano questo ordine della Provvidenza. Dobbiamo quindi invocare il nostro Angelo custode salutandolo quando entriamo in casa, congratulandoci per la sua fedeltà nei nostri confronti, ringraziandolo per i suoi benefici. Dobbiamo al nostro Angelo custode più gratitudine che alla madre; quest’ultima ci protegge solo durante l’infanzia, mentre egli ci protrgge per tutta la vita, non solo contro i pericoli del corpo, ma anche contro quelli dell’anima. (Hunolt). – (La leggenda narra che l’imperatore Massimiliano ottenne una protezione speciale sulla roccia di San Martino. (1496). – Si dice anche che i bambini cadano da grandi altezze senza farsi alcun male. I giornali riportano ad esempio (3 maggio 1898) che al n. 47 di rue de Clignancourt a Parigi, la piccola Henriette Ferry, di 3 anni, è caduta dal 5°piano sul marciapiede e si è rialzata sana e salva. – Il 9 luglio 1895, il figlio del principe Alexandre de Salm, un bambino di 8 anni, cadde vicino a Vienna da un coupé ferroviario scoperchiato da un uragano. Il treno passò sopra di lui ad alta velocità, e quando fu lanciato il segnale d’allarme, fu trovato, tra lo stupore di tutti, che correva dietro al treno.). La nostra gratitudine deve essere quella di Tobia, il quale disse: “Padre mio, quale salario gli daremo, o come potremo ricompensare degnamente le sue buone azioni?” (Tob. XII, 2). La Chiesa ha fissato la festa degli Angeli Custodi la prima domenica di settembre o il 2 ottobre. Il lunedì è dedicato al loro culto. Anche l’immagine dell’Angelo custode deve essere onorata. Egli è: 1° in preghiera accanto a un bambino cullato (protezione della vita); 2° conduce per mano un bambino che attraversa un ponte molto stretto (guida verso il cielo); 3° allontanando un serpente pronto a mordere un bambino che cammina in campagna (aiuto nella tentazione); 4°volare verso il cielo portando un bambino in braccio (assistenza sul letto di morte). – Il catechista reciterà la preghiera all’Angelo custode.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (IX)

SENZA GIURISDIZIONE SACERDOTALE, NON C’E’ VALIDA CONFESSIONE.

Il Sacramento della Confessione e la giurisdizione sacerdotale.

(G. Giuffré)

… da quella riserva di clero anziano, sia locale che di fuori città, sono nati 58 autentici Sacerdoti cattolici che hanno assistito la nostra congregazione per 50 anni. La validità di questi Sacerdoti cattolici veterani non è mai stata messa in dubbio. Tutti sono stati ordinati anni, o addirittura decenni, prima della distruzione dell’Ordine Sacro e dell’Ordine Episcopale nel 1968 (v. “18 giugno 1968” in ExsurgatDeus.org.). Ma, cosa altrettanto importante, tutti avevano ricevuto la delega specifica da parte di Vescovi validi e legittimi che è assolutamente necessaria per amministrare l’assoluzione ed assistere ai matrimoni. Questo perché ci sono due poteri associati al sacerdozio: 1) il potere dell’Ordine, che fa di un uomo un Sacerdote, e 2) il potere di Giurisdizione, che fa sì che il sacerdote sia un Sacerdote cattolico. Infatti, senza questo secondo potere, il sacerdote non è un confessore e non può amministrare l’assoluzione ai penitenti che si avvicinano a lui per confessare i loro peccati. Su questo requisito per l’amministrazione valida dell’assoluzione non ci possono essere dubbi. Come scrisse Padre P. Charles Augustine nella sua opera in otto volumi, “A Commentary on the New Code of the Diritto Canonico”, nel 1918, alle pagine 252-253;:”L’unico ministro di questo Sacramento [della Penitenza] è il Sacerdote, il quale, per assolvere validamente, ha bisogno non solo del potere d’ordine, ma anche del potere di giurisdizione, ordinaria o delegata, sul penitente. “Questa… è una verità dogmatica ….. La Chiesa esige il carattere sacerdotale come condizione o attitudine fondamentale, a causa dell’elemento ieratico che è intimamente connesso con il potere giurisdizionale. Ma poiché l’esercizio di questo potere è in realtà un atto giudiziario, che presuppone la giurisdizione, anche la giurisdizione è essenzialmente richiesta”. Inoltre, dai padri Spirago e Clarke, leggiamo il seguente commento tratto dalla loro opera classica, “Il catechismo spiegato” (in inglese – 1899), pagine 646-647:

“Il sacramento dell’Ordine conferisce solo il potere perpetuo, non il diritto di esercitare le funzioni di un Sacerdote. I neo-ordinati non possono quindi fare uso in nessun luogo dei loro poteri sacerdotali, fino a quando la giurisdizione ecclesiastica non sia conferita al Sacerdote dal suo Vescovo; i Vescovi la ricevono dal Papa… Un Sacerdote deve avere la facoltà di confessare dal Vescovo… Chiunque abbia l’ardire di esercitare le funzioni sacerdotali senza essere stato ammesso agli Ordini sacri o senza l’autorizzazione episcopale, sarebbe, nei Paesi cattolici, punito dal potere secolare; in ogni caso, su di lui ricadrebbero terribili castighi da parte di Dio…”. – L’eminente studioso della Chiesa, Ludovico Billot, ha scritto nel suo trattato De Ecclesiæ Sacramentis, Libro II, Tesi 23, §1, pagine 232-234, quanto segue: « Si noti che la giurisdizione, anche nel foro interno della Penitenza, non è in alcun modo data al Sacerdote in virtù dell’ordinazione … l’ordinando [sacerdote] è deputato [incaricato] ad esercitare un giudizio sacramentale sui suoi sudditi … Perciò si deve ritenere con certezza che il suddetto potere di giurisdizione non possa essere ottenuto da nessuno se non con il conferimento di un ufficio pastorale o con la delega di prelati [Vescovi] … un Sacerdote non ha giurisdizione se non per concessione del Pontefice e dei Vescovi che lo Spirito Santo ha stabilito per governare la Chiesa di Dio”. – Uno dei più prolifici canonisti e teologi del XX secolo, padre Felix Cappello, ha parlato molto chiaramente del requisito della giurisdizione sacerdotale sia concessa in modo specifico e che non possa essere semplicemente essere presunta come “automaticamente fornita dalla Chiesa”. Nella sua grande opera, De Sacramentis, II-1, pagina 398, padre Cappello scrive: “La giurisdizione per ascoltare validamente le confessioni deve essere concessa per iscritto o con parole… espressamente (can. 879, § 1).

“1º Si esclude così una concessione presunta, che in realtà non esiste, e che esisterebbe solo se venisse richiesta. …

“4º Alcuni considerano sufficiente, in caso di urgenza, una giurisdizione che si presume presente; come ad esempio “se si è moralmente certi che il Vescovo abbia ricevuto la richiesta scritta di giurisdizione e che sia stata data una risposta affermativa o al suo amministratore o per lettera, egli può, quando le circostanze sono urgenti, ascoltare le confessioni prima che le lettere siano ricevute o che ritorni colui che trasmette l’ordine”. Questa opinione, sebbene alcuni la neghino o la mettano in dubbio, sembra probabile, purché siano effettivamente presenti le due condizioni che 1) sia moralmente certo che il Vescovo abbia ricevuto la richiesta scritta e 2) sia moralmente certo che egli abbia dato una risposta affermativa.

“5º L’approvazione della giurisdizione, sia essa prudentemente presunta o addirittura certa, dopo che la confessione sia stata fatta o ascoltata, non è certamente sufficiente. …

7º Secondo tutti [gli autori], non si può presumere alcuna condizione da cui, in un caso particolare, dipenda la validità di un atto… di confessione”.

Infine, un’autorità in materia di necessità della giurisdizione come Papa San Pio X ha parlato di questa questione nel suo Catechismo del 1908, in risposta alle domande 8 e 9: “… Il ministro del sacramento della Penitenza è un Sacerdote autorizzato dal Vescovo ad ascoltare le confessioni. … Un Sacerdote deve essere autorizzato dal Vescovo ad ascoltare le confessioni perché per amministrare questo Sacramento validamente, non basta il potere dell’Ordine, ma è necessario anche il potere di giurisdizione, cioè il potere di giudicare, che deve essere dato dal Vescovo”. – Come si applica quanto sopra al clero che amministra i Sacramenti a Saint Jude’s da quasi mezzo secolo? Per rispondere a questa domanda bisogna innanzitutto capire che dal novembre 1969, al più tardi, non ci sono più state diocesi americane, con la possibile eccezione di una o due, in cui siano stati ordinati Sacerdoti validi per il rito romano o in cui siano stati consacrati Vescovi validi per il rito romano. Pertanto, gli unici Sacerdoti che i custodi di San Giuda (Stafford, Texas) hanno invitato a celebrare la Messa e ad ascoltare le confessioni presso il santuario sono stati quelli le cui ordinazioni sono avvenute prima del 1969. – Ad eccezione di tre sacerdoti in visita, inviati dall’arcivescovo Marcel Lefebvre, che abbiamo ospitato per un breve periodo 47 anni fa, tutti i Sacerdoti che hanno offerto la Messa e amministrato il Sacramento della Penitenza a Saint Jude dalla domenica di Pentecoste, il 6 giugno 1976 sono stati ordinati prima del 1969 e soddisfatto i criteri richiesti dalla Chiesa Cattolica per essere classificato come Sacerdote e confessore valido e legittimo. – Nei sei anni successivi, il Saint Jude’s sarebbe stato assistito da tre confessori anziani che avevano ricevuto la loro giurisdizione clericale dal Vescovo della diocesi di Galveston durante gli anni ’40 e ’50. Altri ecclesiastici si sono recati in Texas per servire la nostra congregazione, portando con sé la delegazione ricevuta dalle loro diocesi di origine e dagli ordini religiosi. Come funziona? Il canone 883 consente ad un Sacerdote di ascoltare le confessioni quando viaggia al di fuori della sua giurisdizione territoriale. Può ascoltare le confessioni per tre giorni durante la permanenza in una diocesi diversa dalla propria, prima di dover richiedere il rinnovo della giurisdizione al Vescovo locale. Ma il canone non pone alcun limite al tempo in cui il Sacerdote può ascoltare le confessioni in quella diocesi se il Vescovo locale non è “facilmente raggiungibile”. Ovviamente, questo descriverebbe l’attuale situazione apocalittica attuale negli Stati Uniti, dove non c’è un solo Vescovo cattolico di rito romano valido e funzionante. – Oppure si consideri anche il Canone 1098, che si rivolge alle coppie cattoliche che desiderano sposarsi davanti a un Sacerdote o a un Vescovo cattolico valido che fornisca loro un’assistenza adeguata, che offra loro la Messa nuziale tradizionale e la benedizione nuziale (quest’ultima assolutamente necessaria e richiesta dalla Chiesa), ma non sono in grado di trovare un ministro locale, autentico, che offici la cerimonia. In questi casi, i cattolici che desiderano matrimonio nella Chiesa sono tenuti a richiedere i servizi di un altro sacerdote, anche se “di un’altra diocesi”. – Infine, ci viene ricordato il Canone 2261, in base al quale un Sacerdote la cui giurisdizione è inattiva a causa di una sanzione segreta, può amministrare i Sacramenti validamente e legittimamente richiesti dai fedeli che si trovino in gravi necessità. Le richieste di Sacramenti che gli vengono rivolte da chi si trova in gravi necessità riattivano la sua giurisdizione in modo che egli possa soddisfare l’appello speciale che gli è stato rivolto. Il punto è, se la giurisdizione del Sacerdote censurato viene ripristinata affinché egli possa assistere i fedeli in difficoltà, allora quanto più la Chiesa faciliterebbe la ripresa della delega di un Sacerdote che è diventata non perché ha commesso un reato punibile, ma semplicemente perché si trova per il momento al di fuori della sua giurisdizione territoriale? – È sulla base di questi principi che i Sacerdoti cattolici anziani hanno operato come ministri validi e legittimi dei Sacramenti ai fedeli che sono stati abbandonati e traditi dalla “Chiesa ufficiale” per oltre mezzo secolo . C’è anche la ben nota circostanza descritta dal Canone 209, che viene definita “errore comune”, cioè quando un Sacerdote con la giusta giurisdizione non sa di essersi avventurato al di fuori della sua diocesi e poi viene avvicinato da qualcuno per ricevere i sacramenti. Quando sia il Sacerdote che il penitente sono ignari di trovarsi al di fuori del territorio a lui delegato, la Chiesa estende i limiti delle sue facoltà in modo che il confessore possa amministrare validamente l’assoluzione. Questo, naturalmente, non accade quando un confessore viene richiesto dai custodi del Santuario di San Giuda di assolvere i membri della loro congregazione che si mettono in fila per la confessione. Infatti, coloro che sono responsabili dell’invito del Sacerdote a Saint Jude avranno una conoscenza approfondita del suo passato. – Tuttavia, in tutti gli esempi citati sopra, la condizione chiave che debba essere soddisfatta affinché i Canoni si applichino è il requisito che al Sacerdote in questione sia già stata concessa la giurisdizione per esercitare la sua missione sacerdotale all’interno di un territorio o di un’obbedienza da parte di un vero Vescovo cattolico. Anche nelle condizioni catastrofiche in cui si trova oggi la Chiesa, non c’è alcun Canone che permetta a un Sacerdote “libero professionista”, senza alcuna missione da parte di un Vescovo della Chiesa, di operare come un autentico confessore cattolico in grado di amministrare legittimamente, e quindi validamente, l’assoluzione ai fedeli in generale. – L’unica eccezione a questa regola è prevista dal canone 882 nei casi di “pericolo di morte”, quando un penitente sia veramente in pericolo di vita e non ci sia nessun Sacerdote cattolico debitamente autorizzato ad amministrargli gli ultimi riti della Chiesa. In questi casi, qualsiasi Sacerdote valido, anche uno scismatico, come un ecclesiastico greco o russo, ortodosso, riceve direttamente dalla Chiesa cattolica le facoltà di emergenza per impartire l’assoluzione e l’Estrema Unzione ad una persona che si trovi in una situazione di emergenza ed in punto di morte non abbia altre possibilità di ricevere gli ultimi Sacramenti. Ma i canonisti di più alto rango nella Chiesa sono stati costantemente irremovibili sul fatto che in nessun’altra circostanza si può presumere una “giurisdizione fornita” in un caso diverso dal “pericolo di morte”.  Con questa unica e sola esenzione dalla necessità assoluta per il clero di ottenere la delega da una legittima autorità episcopale per poter validamente assolvere i fedeli dai loro peccati, è incomprensibile come l’arcivescovo “in pensione” Marcel Lefebvre, ex-superiore generale dei Padri dello Spirito Santo ed ex-ordinario per l’Africa. della diocesi missionaria africana del Senegal, abbia potuto in buona coscienza fondare un seminario a Econe, in Svizzera, tra l’inizio e la metà degli anni ’70, con il progetto di produrre “mezzi sacerdoti” che, nella migliore delle ipotesi, ricevevano il potere degli ordini, ma venivano mandati in giro per il mondo senza l’altra metà della loro vita. del sacerdozio, il potere di giurisdizione. A cosa pensava? Non lo sappiamo. Ma sin dall’inizio, il clero ibrido di Lefebvre è stato al centro di controversie ovunque siano apparsi, fino ai giorni nostri. Scandali su scandali continuano ad affliggere la società di Lefebvre a trentadue anni dalla morte dell’arcivescovo, mentre il tasso di ricambio e di defezione rivaleggiano con quelli della Chiesa conciliare. Che si tratti di un progetto o dell’inevitabile risultato di sacerdoti che non sono realmente cattolici, la Società di Marcel Lefebvre si è divisa in più occasioni, creando ogni volta dei cloni di se stessa, tra cui la Società dei Santi di San Pio V (SSPV) che si è anch’essa divisa in due o tre schieramenti opposti, a volte denominati “Società di San Pio X, talvolta indicati come SSP2½ e SSP1¼. Più recentemente, un’altra incarnazione della SSPX, che si sta frammentando in comitati sempre più piccoli e irrilevanti, è il cosiddetto “Riconoscere e Resistere” (R&R). – Parallelamente alla rapida suddivisione della SSPX, si sta sviluppando la cosiddetta “linea Thuc”, che si riferisce ad una progenie spirituale della SSPX cioè ad una progenie spirituale di presunti vescovi che rivendicano la loro discendenza dal defunto vescovo vietnamita Ngo Dinh Thuc. Il fratello del vescovo Thuc, Ngo Dinh Diem, fu assassinato dalla CIA nel 1963. Tre altri tre fratelli di Thuc sono stati assassinati in Vietnam. Il calvario lasciò il prelato a pezzi. Ma prima dell’uccisione di Diem, Thuc era già stato convocato a Roma per partecipare al Concilio Vaticano II, dove si era prefissato di promuovere il “dialogo” della Chiesa con i buddisti. Dopo il Concilio Vaticano II, il vescovo si stabilì ad Albano, in Italia. Albano, in Italia, ma poi si avventura a Palmar de Troya, in Spagna, dove l’11 gennaio 1976 viene ordinato, l’autoproclamato stigmatizzatore Clemente Domigues Gomez e quattro complici. Le consacrazioni facilitarono il lancio della “Chiesa palmariana”, di cui Clemente fu incoronato “papa”. Thuc fu “scomunicato” dall’antipapa Paolo VI per le consacrazioni indipendenti. Thuc “ritrattò”, si riconciliò con la Chiesa conciliare ed in seguito si stabilì a Tolone, in Francia. Nel 1981 ha ripreso a consacrare altri vescovi indipendenti, iniziando con il sacerdote domenicano Guérard des Lauriers, e poi un anno dopo consacrò due sacerdoti messicani, Moises Carmona di Acapulco e Adolfo Zamora, per volere di due medici veterinari tedeschi, Hiller e Heller. Thuc ha consacrato condizionatamente due prelati della Chiesa scismatica vetero-cattolica, Jean Laborie e Christian Datessen. Una volta che il “genio era uscito dalla bottiglia” delle consacrazioni episcopali libere e facili consacrazioni episcopali facili e gratuite, non c’era limite a chi sarebbe stato mitridatizzato in seguito. All’ultimo conteggio, la linea Thuc comprendeva un criminale condannato ed una donna stregone africana. Così, il vescovo Thuc è stato usato da opportunisti spudorati che lo importunarono per tentare diverse consacrazioni episcopali illecite e sconsiderate nei primi anni ’80, che avrebbero potuto renderlo automaticamente scomunicato, indipendentemente dalla beffarda sentenza pronunciata contro di lui da Montini, se all’epoca fosse stato sano di mente. – Ecco solo alcune delle decine, se non centinaia, di “vescovi” che oggi rivendicano la loro discendenza da Ngo Dinh Thuc, come compilato dal signor John Weiskittel, con i suoi commenti:

“Vescovo” Pierre Marie Mvondo: Un vescovo africano Thuc del Camarun, c’è un video che mostra la processione prima di una Messa di rito tridentino con molta inculturazione, favorita da Thuc nella sua autobiografia. Ecco un’omelia su Thuc che praticamente lo canonizza. https://tinyurl.com/sp7dxjz

Il “diacono” William Kamm (“Little Pebble”), leader di una setta apocalittica australiana e condannato per crimini sessuali, dice che Dio lo farà presto Papa. Fatto “diacono” dal “vescovo” della linea Thuc Malcolm Broussard. https://magnuslundberg.net/2016/05/15/modern-alternative-popes-14-william-kamm/

Nel seguente link del Daily Mail si noti che c’è un video di otto minuti su di lui che vale la pena di vedere: https://tinyurl.com/tyzpnmo

“Papa” Atanasio I (Bryan Richard Clayton) Ex seminarista del CMRI, consacrato condizionatamente dal Thuc.

Vescovo” Patrick Taylor (attraverso il ramo Datessen)

https://magnuslundberg.net/2016/05/15/modern-alternative-popes-21-athanasius-i/

Vescovo” Bernadette Meck Sì, una donna “vescovo” della linea Thuc — il suo appello V-2 per le donne nelle “sacre funzioni”. Come molti vetero-cattolici, ha molteplici linee di successione, una delle quali proviene dall’ “Arcivescovo” Peter Paul Brennan, che aveva anch’egli linee multiple, tra cui quella di Thuc (scorrere la pagina fino a “Altre linee apostoliche acquisite attraverso P.Paul Brennan”).

http://marymotherofjesusiocc.org/apostolic-lines-of-bishop-meck.html

Padre” Joseph Di Mambro Leader del culto occulto/neo-gnostico/millenarista/assassino-suicida, l'”Ordine del Tempio”, che insieme a Lucille ha avuto una linea di discendenza multipla.

Ordine del Tempio, che con Lu Jouret, un altro leader, e un terzo membro è stato ordinato dal “vescovo” Jean Laborie. Una foto in cima all’articolo linkato mostra Di Mambro che insegna alla figlia piccola (sarebbe morta con lui in una delle immolazioni della setta) come diventare una “sacerdotessa mistica”: https://www.bizarrepedia.com/order-of-the-solar-temple-cult/ Il capitolo del libro che ho linkato qui https://tinyurl.com/stbe7to fa riferimento solo all’ordinazione di Jouret del 1984, ma ho visto che Di Mambro è stato citato come un ordinato da Laborie.

Da parte sua, l’arcivescovo Marcel Lefebvre ha aggiunto alla confusione consacrando quattro vescovi senza un mandato apostolico, pur riconoscendo Karol Wojtyla come “Papa” Giovanni Paolo II. Né Thuc né Lefebvre, né alcuno dei loro discendenti episcopali è sembrato preoccuparsi della legislazione papale di Pio XII, ancora in vigore, emanata il 9 aprile 1951, con il titolo “Consacrazione di un vescovo”: “Consacrazione di vescovi non nominato o espressamente confermato dalla Santa Sede”, AAS 43-217: “Un Vescovo, di qualsiasi rito e dignità, che consacra all’episcopato qualcuno che non sia stato né nominato né espressamente confermato dalla Santa Sede, e la persona che riceve la consacrazione, anche se costretti da grave timore (Canone 2229, § 3, 3º), incorrono ipso facto in una scomunica riservata in modo particolare alla Santa Sede…”. – Ai gruppi sopra elencati con nomi abbreviati con iniziali, possiamo aggiungere anche i seguenti:

La Congregazione Maria Regina Immacolata (CMRI) è stata fondata dalla pedofila Frances Schuckardt, che poco dopo ha accettato l’ordinazione e la consacrazione da parte del vescovo canadese scismatico e vetero-cattolico Daniel Q. Brown. Anni dopo l’espulsione di Schuckardt dal gruppo per aver molestato diversi chierichetti, il CMRI si è infine incentrato su Mark Pivarunas come nuovo vescovo, che è stato consacrato da Moises Carmona, innestando così la CMRI sulla dubbia linea Thuc. Pivarunas ha appena annunciato l’apertura di un nuovo centro CMRI a Kingwood, in Texas, con l’esplicito scopo di subentrare a Padre Campbell nella cura spirituale della congregazione di Saint Jude, e ha iniziato a contattare attraverso il suo agente locale, padre Francis Miller, i membri del Saint Jude via e-mail, evidentemente fornitagli da un attuale o ex partecipante alle Messe del Saint Jude. – Nessuno di questi gruppi è minimamente interessato a ristabilire l’ordine gerarchico all’interno delle strutture occupate e visibili della vera Chiesa, a partire dalla restaurazione di un vero Papa sulla Cattedra di Pietro, ma operano senza alcuna legge per perpetuare i loro piccoli imperi. Nessuno di questi gruppi ha confessori delegati che possano assolvere i fedeli dai loro peccati, se non in pericolo di morte, e molte di queste organizzazioni non hanno nemmeno più sacerdoti indiscutibilmente validi, dal momento che praticamente tutto il clero della FSSP riceve gli ordini sacerdotali da vescovi novus ordo non validi, e la SSPX da qualche tempo ammette tra i suoi ranghi sacerdoti novus ordo senza il beneficio dell’ordinazione condizionale. Sempre più il clero “trad” e “semi-trad” comincia ad assomigliare alle sue controparti del novus ordo. In effetti, questo potrebbe essere stato predetto dalla santa suora e mistica tedesca, la venerabile Anna Catherine

Emmerick, che nel 1820 disse: “Ho visto costruire una strana chiesa contro ogni regola… Nessun angelo sorvegliava le operazioni di costruzione. In quella chiesa, nulla veniva dall’alto… C’era solo divisione e caos”. È probabilmente una chiesa di creazione umana, che segue l’ultima moda, così come la nuova chiesa eterodossa di Roma, che sembra essere dello stesso tipo”. (Yves Dupont, “Profezia cattolica; l’imminente Castigo”, 1970, Tan Books, pagina 61)

Nel frattempo, il Saint Jude rimarrà come è stato per quasi 50 anni, un avamposto della Chiesa cattolica residua, servito da veri sacerdoti cattolici. Chiesa cattolica, servita da veri sacerdoti cattolici, altri dei quali potrebbero presto unirsi a noi.

Cordiali saluti in Cristo Re,

Gary Giuffré

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (51c.)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (51c.)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -IX c-

8. Sacramento dell’Ordine.

J 8a a. – ESSENZA DEL SACERDOZIO CRISTIANO.

Nel Nuovo Testamento esiste il Sacerdozio visibile esterno 1764 1771.

Il Sacerdozio del N.T. o Ordine è un (proprio) sacramento 718 860 1310 1326 1601 1764 1766 1773 1864 2536 3857: l’arruolamento nel clero non viene fatto dal popolo o dal potere secolare per chiamata o consenso, ma con l’ordinazione sacra 3850 CdIC 109.

L’Ordine è propriamente uno dei sette sacramenti (a.ugualmente un Sacramento per la Chiesa universale) 1766 a3857.

Si rivendica come legittima la diversità degli Ordini con cui ascendere al sacerdozio 1765 1772; per diritto divino esiste la gerarchia costituita dai Vescovi, presbiteri e ministri (a.diacono) 1776 Cd1C .108, § 3; si recensiscono tuttavia in tre gli Ordini sacri nella Chiesa Romana (Vesc. presb., diac.) poi sette 836; cioè sacerdote, diacono, subdiac. e quelli che sono gli ordini maggiori), accolito, esorcista, lettore, ostiario (a che sono ord. minori) 1765 CdIC a949; per altre distinzioni vd.: G 4da.

I Vescovi sono presbiteri superiori per potere di ordine 1768 1777.

Materia dell’ordinazione al diaconato, presb., Vescovo (a.unica) almeno nei tempi posteriori, è l’imposizione delle mani 326-328 826 3325 a3858-3860; è sufficiente per la validità il contatto morale, si comanda il contatto fisico 3861.

La Tradizione degli strumenti come prescrizione della Chiesa fu prescritta per la validità solo nella Chiesa latina, mentre nella Chiesa grecale ordinazioni si fecero sempre validamente senza la tradizione degli strumenti 1326 3858.

La Forma sono le parole che riferiscono il potere determinante (grazia sacramentale) in ciò che competa ad ogni ordine (a. in questo mancano gli ordini anglicani) 1326 a3316s 3858-3860.

J 8b b. — ORIGINE DEL SACERDOZIO CRISTIANO.

8ba. Istituzione. Il vecchio etus sacerdozio è passato nel nuovo 1764.

Cristo ha istituito il Sacerdozio del N.T. 1740 1752 1764 1773 3857; agli Apostoli ed ai loro successori nel sacerdozio è affidato il potere di consacrare, offrire, amministrare il corpo ed il sangue di Cristo (1740 1752) 1764 1771.

Riprov. l’asserzione dei Modernisti circa l’istituzione del sacerdozio 3449s.

8bb. Ministro dell’ordinazione. Ministro a.ordinario del sacram. dell’Oordine è (solo) il Vescovo 128 a1326 1768 1777 CdIC 951; ministro straordinario è chi senza carattere episcopale, per diritto o dalla Sede Apostolica riceve indulto per conferire alcuni ordini CdIC 951; privilegio che si traduce nella facoltà del semplice sacerdote di conferire il subdiaconato, b.diaconato, c.presbiteriato, d.tutti gli ordini sacri abc1145s d1290 ab1435; si riprovano le asserzioni: [Qualsiasi sacerdote può conferire qualunque Sacramento (quindi anche gli ordini)] 1136; [l’Ordinazione del clero si riserva al Vescovo per lucro temporale ed onore] 1178.

Validità dell’ordinazione conferita dal ministro a.scismatico o b.eretico — si riconosce a356 b478 a705; — si nega (richiedendo la “riordinazione”)

Nel caso dei a.Paulianisti e b.Anglicani (qui per difetto di forma ed intenzione) a128 b3315-3319; ambigue decisioni in caso di ordinazione simoniaca 691-694 701s 705 707 710; chi ignora la sua ordinazione è da rigettare 592.

Riprov. le asserzioni circa la amministrazione del sacram. dell’ordine 1651-1657.

J8c. c. — FINE, EFFETTO, IMPORTANZA DEL SACRAMENTO DELL’ ORDINE.

8ca. Fine è la conduzione dei fedeli ed il ministero del culto divino CdIC 948; è il governo e l’accrescimento spirituale della Chiesa 1311.

8cb. Effetto. Il Sacram. dell’Ordine conferisce la grazia per l’idoneità del ministro 1326 3857.

Si imprime il carattere, a.per cui è impedita la reiterazione 825 1767 1774 CdIC a732, § 1;

Una volta ricevuta validamente l’Ordinazione non si può più deporre CdIC 211, § 1; pertanto il a.sacerdote (più precisamente: il b.constituito negli ordini maggori) non può più tornare laico a1767 (1771) a1774 CdIC b211, § 1.

8cc. Dignità. Il sacerdote è per ufficio pubblico il deprecante e adoratore di Dio. 3757; è ministro di Cristo, in “personam Chr.” similmente a Cristo è capo dei membri. 3755 3850.

J8d. d. — SOGGETTO DEL SACERDOTE CRISTIANO.

Non tutti i fedeli sono dotati di pari potere spirituale 1767; soggetto valido del sacram. dell’Ordine è solo l’uomo battezzato CdIC 968, § 1.

Sacerdozio generale dei fedeli: concetto e sequele 3849-3853.

9. Sacramento del matrimonio.

9a. a. — ESSENZA DEL MATRIMONIO.

9aa. Concetto e varie specie di matrimonio. Il Matrimonio è una società individuale contratta da un uomo e una donna 3142.

Il Matrimonio valido tra non-battezzati si dice vero non-rato 769; o si dice legittimo CdIC 1015, § 3; il matrim. valido tra battezzati si dice vero e rato 769; oppure rato e consumato CdIC 1015, § 1.

9ab. Indole sacramentale. Il Matrim. tra fedeli è un Sacramento 761 794 9ab 860 916 1310 1327 1601 1800 1801 1864 2536 2598 2965 2973 2990s 3142 3145s 3700 3710 3713s CdIC 1012; si riprovano le asserzioni ctr. la sacramentalità del matrim. 3451 3715.

La Forma (ossia la causa efficiente) del matrimonio è solo il consenso a.tra i presenti 643 a755s 766 a776 a1327 a1497 3701 CdIC (1012) 1081.

Il Consenso matrimoniale è un atto di volontà al quale entrambe le parti si soggettano e accettano in perpetuo il potere esclusivo del corpo in ordine all’atto di per sé idoneo alla generazione della prole CdIC 1081; il consenso regolarmente è manifestato dalle parole, a.in caso di impossibilità bastano i cenni a766 1327 CdIC 1086, § I a1088, § 2.

Il contratto matrimoniale non è dissociabile dal Sacramento 2966 (2974) 3145s (CdIC 1012); su riprova: [il Sacram. matrim. consiste nella sola benedizione] 2966.

Le condizioni ctr. la sostanza del matrimonio lo rende nullo, come le condizioni turpi ed impossibili che lo hanno come oggetto, 827 CdIC 1092; i diriitti matrimoniali per l’uomo e la moglie sono uguali (778) 3144.

La professione solenne di castità invalida il matrimonio 1809 (CdIC 1119).

Il Matrimonio contratto senza il consenso dei genitori per sé non sono validi 1813:

I matrimoni clandestini di per sé sono veri e rati 1813; ma sono proibiti dalla legge eccl.; vd. J 9bb.

I Matrimoni misti per sé sono validi, anche se non si è osservata a forma Tridentina 2518s 3387; ma sono riprovati se non sussista una giusta causa 2518 3386; i matrimoni tra apostati sono validi, se non sussiste il patto di dissolubilità 2340; circa la validità dei matrimoni tra gli eretici 2515 2517; i matrimoni degli acattolici (per sé) sono validi 3388; la loro validità non dipende dalla forma stabilita dalla Chiesa 3474.

J9b. b. — ORIGINE DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

9ba. Origine remota. Il Sacramento del matrimonio è istituito da Cristo (1799) 1801 2965 2990 3142 3700 3713 CdIC 1012.

9bb. Il diritto della Chiesa nella questione matrimoniale dei fedeli si estende ad ogni causa 1812 2598 2967-2974 2990 3144-3146 CdIC 1016 1960; al potere civile compete il diritto circa l’effetto meramente civile CdIC 1016.

Da osservarsi è la legislazione della Chiesa circa la forma (in specie a.proibendo i matrim. clandestini, b.proibendo il matrim. civile, c.istituendo la pubblicazione dei prossimi sposalizi.

ac817 ac18131816 2515-2520 b2990-2993 a3385 b3386 3468-3473.

Si riprova l’asserzione circa gli sponsali 2658.

La Chiesa ha il diritto di stabilire gli impedimenti 817 860 1803s 1812 1814s 2659s 2968-2970 (2972 2974) CdIC 1038 1040; ha in essi il diritto di dispensare 1803; i matrimoni contratti nell’infedeltà non costituiscono impedimenti meramente ecclesiastici in caso della conversione dei coniugi 777.

Si richiede l’assistenza del parroco (a.eccetto il caso in cui non sia possibile averlo entro un mese) 1814-1816 a3471; modo di agire nel matrimonio misto 2590.

9c. c C. — FINE, EFFETTO, VALORE DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

9ca. Ragione e causa primaria del matrimonio è la mutua interiore conformazione dei coniugi 3707.

9cb. Fine. a.propagazione e conservazione del genere umano per b.procreazione ed educazione della prole, aumento corporale della Chiesa, d.mutuo aiuto, e.mutuo amore, f.rimedio della concupiscenza c1311 ac3143 abc3705 def3718 b3838 CdIC bdf1013, § 1; si distinguono fine primario (sci. a.generaz. ed educ. della prole) e fini secondari (b.al primo subordinati) 3718 ab3838 CdIC a1013, § 1.

9cc. Beni del matrimonio (prole, fede, Sacramento 1327 3703-3714.

9cd. L’effetto è il diritto alla grazia attuale —: nel sostenere il compito coniugale 3911 CdIC 1110; —: per confermare il nesso del mutuo amore naturale 1799 3142 3713; —: per confermare l’indissolubile unità del connubio. 1327 1799 3142 3713; —: per la santificazione dei coniugi 1799 3142 3713; il Sacramento in vero non è instituito, se non perchè l’uso del coniuge sia strumento maggiormente atto alla carità degli sposi nei confronti di Dio 3911.

9ce. Proprietà essenziali. Gli effetti del Sacramento sono l’unità e l’indissolubilità CdIC 1013, § 2: il matrimonio è un vincolo perpetuo ed esclusivo tra i coniugi (3142) CdIC 1110.

L’unità concede il nesso tra i due 778 (1797) 1798 1802 2536 CdIC 1013, § 2; non è lecito ad un uomo avere più mogli simultaneamente (b.se non a chi sia connesso per rivelazione) né c.ad una donna avere più uomini abc778s ac860 (a1497) a1802; l’unità comprende l’amore coniugale, la mutua interna conformazione, il soggettarsi della moglie all’uomo 3706-3709.

L’indissolubilità o l’inviolabile fermezza è propria al matrimonio cristiano (117) 794 1797 1799 2536 2705s 2967 3142 3710s 3724 3953 3962 CdIC 1013, § 2; nel caso in cui si è ritenuto un secondo matrimonio (es. coniuge disperso), dopo il ritorno del marito è da restaurarsi il precedente matrimonio 311-314.

L’indissolubilità non conviene ai singoli coniugi in ugual misura 3711; il matrimonio rato e consumato nessun potere umano può dissolvere 754s 3712 CdIC 1118; circa la cooperazione di ufficiali cattolici nel divorzio civile 3190-3193; anche il matrim. rato di per sé non può essere sciolto 769 3712; può essere disciolto tuttavia per la pronunzia di un voto di religione di professione solenne (a.in forza di dispensazionedel Sommo Pontefice) 754s 786 1806 CdIC a1119.

Anche al Matrimonio naturale (pertanto) e legittimo conviene l’indissolubilità

(a. Così come al legislatore secolare per cui non può sciogliere il vincolo), b.esiston comunque eccezioni di diritto divino 779 b3712 a3724; in forza del privilegio Paolino può essere sciolto il matrimonio degli infedeli 768s 779 1497 1983 1988.2580-2585 2817-2820 CdIC 1120-1123; conversione di uno dei coniugi tuttavia da sè stess9 non dissolve il vincolo del matrimonio contratto nell’infedeltà, ma produce solo il diritto a nuove nozze (Ovvero: a.scioglie, se realmente le nozze sono validamente iniziate) (777) 2582 2585 CdIC a1126; il privil. Paol. non può applicarsi —: quando si è contratto il matrimonio con l’infedele previa dispensa per disparità di culto ottenuta dalla Sede Apostolica 2584 2817 2819; —: nel caso della defezione della fede nel matrimonio tra i fedeli 769; per defezione del coniuge infedele (richiesta per diritto) a.sotto qualunque condizione dispensato a1988 a2583 2818 CdIC 1121-1123.

Non può essere sciolto il matrimonio per a.eresia, b.molesta coabitazione, c.adulterio di uno dei coniugi c756 ab1805 c1807 c2536; è invero lecito per diverse cause procedere alla separazione del talamo e della coabitazione 1327 18082536 CdIC 1129.

Sono leciti anche matrimoni plurimi successivi (secondo, terzo, etc.), più a.onorabile invero è la casta vedovanza 794 837 860 1015 a1353 CdIC a1142.

9cf. La Dignità del matrimonio è rivendicata ctr. l’accusa di peccaminosità 206 321 461-463 718 761 794 802 (916) 1012.

Il Matrim. chr. significa il mistico connubio di Cristo e la Chiesa 1327 3712.

La superiorità della verginità a.non rinnega l’indole sacramentale del matrimonio 802 1353 1810 a3911s.

J9d. d. — SOGGETTO DEL SACRAMENTO DEL MATRIMONIO.

Soggetto sono l’uomo e la donna liberi da impedimenti CdIC 1035.

Si difende il diritto (in genere) dell’uomo al connubio, che non può essere eliminato dalla umana autorità 3702 3722 3771.

10. Sacramentali.

J10a. a. — SACRAMENTALI IN GENERE.

I Sacramentali sono cose o azioni che la Chiesa usa con una certa imitazione dei Sacramenti per ottenere effetti specialmente spirituali CdIC 1144; tra di essi si enumerano consacrazioni, benedizioni, esorcismi CdIC 1147-1153.

La loro efficacia è “ex opere” della Chiesa operante 3844 CdIC 1144.

È solo della Sede Ap. istituire, mutare, abolire i sacramentali CdIC 1145.

Ministro ne è il chierico istruito della debita potestà CdIC 1146.

Soggetto sono i fedeli, i catecumeni ed anche gli acattolici CdIC 1149 1152.

Si riprova la trascuratezza dei sacramentali sotto il pretesto della contemplazione 2191.

J10b. b. — INDULGENZE.

10ba. Essenza. Le indulgenze sono la remissione della pena temporale contratta con i peccati già rimessi in quanto alla colpa 1448 CdIC 911; sono concessi dal tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi 1025-1027 1398 1406 1448 1467 CdIC 911

10bb. Origine. La Chiesa, il a.S. Pontefice, b.i Vescovi episcopi (suoi sudditi) possono elargire le indulgenze a819 (868) a1025-1027 a1059 (1192) a1266 b1268 a1398 a1416 a1447-1449 1835 1867 2537 CdIC b349, §2,2 911 a912.

10bc. Efficacia. Le indulgenze si applicano per i fedeli vivi e defunti che sono le membra vive di Cristo 1266s 1448 CdIC 925; ai vivi si applicano per modo di assoluzione 1448 CdIC 911; ai defunti per modo di suffragio 1398 1405-1407 1448 CdIC 911; circa l’efficacia dell’indulgenza dell’altare privilegiato 2750; riprovata l’asserzione circa l’efficacia delle indulg. 1192 1416 1468s 1960.

10bd. Utilità. Le indulgenze si raccomandano come utili, salutari 1835 1867 2537 CdIC 911; non per questo con tanta facilità ed indiscrezione si ottengono in concessione in soddisfazione penitenziale 819 1835; asserzioni riprovate circa l’uso e l’utilità 1470-1472 2057 2216 2640-2643.

10be. Soggetto capace di indulgenza è il battezzato non scomunicato, in stato di grazia (a.contrito e confessato) almeno alla fine delle opere prescritte a1266s CdIC 925, § 1; per l’acquisto dell’indulgenza si richiede l’intenzione ed il compimento delle opere ingiunte. CdIC 925, § 2.