DOMENICA XVIII DOPO PENTECOSTE (2023)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Semìdoppio. – Paramenti verdi.
Questa Domenica, inserita nel Messale dopo il Sabato delle Quattro-Tempora, era anticamente libera. La liturgia della vigilia si prolungava, infatti, fino alla Domenica mattina, e quindi questo giorno non aveva Messa propria. La lezione del Breviario nella Domenica che segue le Quattro Tempora (4a Domenica di settembre) è quella del libro di Giuditta, che S. Ambrogio, nel 2° Notturno riporta a questo tempo di penitenza, attribuendo al digiuni e all’astinenza di quest’eroina la sua miracolosa vittoria. Per continuare il riavvicinamento che abbiamo stabilito fra il Messale e il Breviario, possiamo anche studiare la Messa del Sabato delle Quattro Tempora, che era anticamente quella di questa Domenica in rapporto con la storia di Giuditta. – Nabuchodonosor, re degli Assiri, mandò Oloferne, generale del suo esercito, a conquistare la terra di Canaan. Quest’ufficiale assediò la fortezza di Betulia. Ridotti agli estremi, gli assediati decisero di arrendersi nello spazio di cinque giorni. Viveva allora in questa città una vedova chiamata Giuditta, che godeva grande riputazione. « Facciamo penitenza per i nostri peccati disse ella, e imploriamo il perdono da Dio con molte lacrime! Umiliamo le anime nostre davanti a Lui e preghiamolo di farci sperimentare la sua misericordia. Crediamo che questi flagelli, con i quali Dio ci castiga, ci sono mandati per correggerci e non per rovinarci ». E questa santa donna entrò allora nel suo oratorio rivestita di cilicio e con la testa cosparsa di cenere si prostrò a terra davanti al Signore. Compiuta la sua preghiera, mise le sue vesti più belle ed uscì dalla città con la sua ancella. Sul far del giorno giunse agli avamposti dei Caldei e dichiarò che era venuta per dare i suoi nelle mani di Oloferne. I soldati la condussero dal generale che fu colpito dalla sua grande bellezza « che Dio si compiacque di rendere ancor più abbagliante, poiché aveva per scopo non la passione, ma la virtù ». Oloferne credette alle parole di Giuditta e offrì in suo onore un gran banchetto. Nel trasporto della gioia bevve con intemperanza maggiore del solito e oppresso del vino si distese sul letto e si addormentò. Tutti si ritirarono allora e Giuditta restò sola presso di lui. Ella pregò il Signore di dar forza al suo braccio per la salvezza di Israele; poi, staccata la spada appesa al capo del letto, tagliò coraggiosamente la testa di Oloferne, la consegnò all’ancella ordinandole di nasconderla nella borsa da viaggio e ambedue rientrarono a Betulia quella notte medesima. Quando gli Anziani della città appresero quello che Giuditta aveva fatto, esclamarono: « Benedetto sia il Signore, che ha creato il cielo e la terra! ». L’indomani la testa sanguinante di Oloferne venne esposta sulle mura della fortezza. I Caldei gridarono al tradimento ma, inseguiti dagli Israeliti, furono massacrati o messi in fuga. Quando il Sommo Sacerdote venne da Gerusalemme con gli Anziani per festeggiare la vittoria, tutti acclamarono Giuditta, dicendo: «Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu la letizia di Israele, tu l’onore del nostro popolo ». S. Ambrogio, nel 2° Notturno della IV Domenica di Settembre commenta questa pagina della Bibbia dicendo: « Giuditta tagliò la testa ad Oloferne in forza della sua sobrietà ». Armata del digiuno, essa penetrò arditamente nel campo nemico. Il digiuno di una sola donna ha vinto le innumerevoli schiere degli Assiri ». La Messa del Sabato delle Quattro Tempora è piena di sentimenti analoghi. Le Orazioni implorano il soccorso della misericordia divina, appoggiandosi sul digiuno e sull’astinenza che ci rendono più forti dei nostri nemici. Perdonaci le nostre colpe, Signore, dice il l° Graduale. Vieni in nostro aiuto, o Dio nostro Salvatore; liberaci, per l’onore del nome tuo ». – « O Signore, Dio degli eserciti, continua il 2° Graduale, presta l’orecchio alle preghiere dei tuoi servi ». « Volgi il tuo sguardo, o Signore; sino a quando volti da noi la tua faccia? Aggiunge il 3° Graduale, abbi pietà dei tuoi servi ». — Le Lezioni fanno tutte allusioni alla misericordia di Dio verso il popolo, che ha fatto penitenza. Così parla il Signore degli eserciti: « Come ebbi l’intenzione di far del male ai vostri padri quando essi provocarono la mia collera, cosi in questi giorni ho avuto l’intenzione di fare del bene alla casa di Gerusalemme ». – Il racconto della liberazione del popolo ebreo dalla servitù assira per mezzo di Giuditta (nome che è il femminile di Giuda) dopo che essa ebbe digiunato è un’immagine della liberazione del popolo di Dio alla Pasqua, per mezzo di Gesù (della stirpe di Giuda) dopo la Quaresima. – Più tardi, allorché non si attese più la sera per celebrare il santo Sacrificio il Sabato delle Quattro Tempora, si prese per la 18° Domenica dopo Pentecoste, la Messa che era stata composta al VI secolo per la Dedicazione della Chiesa di San Michele a Roma e che fu celebrata il 29 settembre; infatti tutto il canto si riferisce alla consacrazione di una Chiesa. « Mi rallegrai quando mi dissero “Andremo nella casa del Signore” (Versetto All’Introito e Graduale). Mosè consacrò un altare al Signore, dice l’Offertorio. « Entrate nell’atrio del Signore e adoratelo nel Tempio Suo santo », aggiunge al Communio, e questa è una immagine del cielo ove affluiranno tutte le nazioni quando verrà la fine dei tempi indicata da questa Domenica e dalle seguenti che vengono alla fine del Ciclo. L’Alleluia è infatti quello delle Domeniche dopo l’Epifania, che annunziava l’ingresso dei Gentili nel regno dei cieli. L’Epistola parla di coloro che attendono la rivelazione di Nostro Signore al suo ultimo avvento; allora essi godranno eternamente, nella casa del Signore, la pace che, come dissero i Profeti, Egli accorderà a quelli che lo attendono (Intr., Graduale). Questa pace Gesù ce l’ha assicurata morendo sulla croce, che è il sacrificio vespertino. Questa pace e questo perdono noi lo godiamo già nella Chiesa, in grazia del potere accordato da Gesù ai suoi Sacerdoti. Questa Messa, che segue il sabato delle Ordinazioni fa infatti allusione anche al sacerdozio. Come il Salvatore, che esercitò il suo ministero e guarì l’anima del paralitico guarendone il corpo, quelli che sono ora stati ordinati Sacerdoti predicano la parola di Cristo (Epistola), celebrano il santo Sacrifizio (Offert.) e rimettono i peccati (Vangelo). E cosi preparano gli uomini a ricevere irreprensibili il loro divin Giudice (Epistola).
La predicazione evangelica è una testimonianza resa a Gesù Cristo. Quelli che l’accettano ricevono doni celesti in sovrabbondanza e possono attendere con fiducia l’avvento glorioso di Gesù alla fine dei tempi.
Giovanni Crisostomo così commenta la risposta data da Gesù agli Scribi che non gli riconoscevano la facoltà di perdonare i peccati: « Se non credete la potestà di rimettere le colpe, credete la facoltà di conoscere i pensieri, credete la virtù del sanare da malattie incurabili i corpi. Più facile sanare il corpo; ma giacché non credete alla maggiore meraviglia, ve ne mostrerò una minore ma aperta ai sensi. »
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
Eccli XXXVI: 18
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël.
[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]
Ps CXXI: 1
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.
[Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore].
Da pacem, Dómine, sustinéntibus te, ut prophétæ tui fidéles inveniántur: exáudi preces servi tui et plebis tuæ Israël
[O Signore, dà pace a coloro che sperano in Te, e i tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del tuo servo e del popolo tuo Israele.]
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Dírigat corda nostra, quǽsumus, Dómine, tuæ miseratiónis operátio: quia tibi sine te placére non póssumus.
[Te ne preghiamo, o Signore, l’azione della tua misericordia diriga i nostri cuori: poiché senza di Te non possiamo piacerti.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor 1: 4-8
Fratres: Grátias ago Deo meo semper pro vobis in grátia Dei, quæ data est vobis in Christo Jesu: quod in ómnibus dívites facti estis in illo, in omni verbo et in omni sciéntia: sicut testimónium Christi confirmátum est in vobis: ita ut nihil vobis desit in ulla grátia, exspectántibus revelatiónem Dómini nostri Jesu Christi, qui et confirmábit vos usque in finem sine crímine, in die advéntus Dómini nostri Jesu Christi.
[“Fratelli: Io rendo continuamente grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù; perché in lui siete stati arricchiti di ogni cosa, di ogni dono di parola e di scienza, essendosi stabilita solidamente in mezzo a voi la testimonianza di Cristo, in modo che nulla vi manca rispetto a qualsiasi grazia; mentre aspettate la manifestazione di nostro Signor Gesù Cristo, il quale vi manterrà pure saldi sino alla fine, così da essere irreprensibili nel giorno della venuta del nostro Signor Gesù Cristo”.]
LE RICCHEZZE DEL CRISTIANESIMO.
Anche il lettore più zotico e disattento capisce subito che quando San Paolo afferma arricchiti in Gesù e per Gesù i Cristiani, arricchiti in tutti i modi, non parla di ricchezze materiali: il discorso dell’Apostolo si svolge su un piano diverso e superiore al piano della materia, che è il piano dello spirito. Però in quel piano la frase di San Paolo ha una verità, una esattezza matematica: N. S. Gesù col suo Vangelo ha, spiritualmente, arricchito l’umanità. C’è più vita al mondo e nella storia dopo di Lui, maggiore e migliore, più intensa e più alta. C’è più luce. La fede non è una barriera, un limite, è un progresso, uno slancio. Dove si ferma la ragione con la sua luce umana, comincia la fede con la sua luce divina, divina e umanizzata, messa per opera di Gesù, il Rivelatore, il Maestro, alla portata dell’umanità. Prima di Gesù c’è la filosofia, dopo Gesù accanto e oltre la filosofia c’è la Teologia. Prima c’è Dio — mistero — poi ci sono i Misteri di Dio. Il Cristiano sa tutto ciò che sapeva il pio pagano e sa molto di più. E anche il patrimonio di verità comuni, nella mente del Cristiano è più luminoso. Le stesse cose noi le sappiamo meglio. Meglio la sua grandezza, meglio la sua bontà, la giustizia così severa, la misericordia così grande. Il più umile Cristiano, sotto questo rispetto, è più avanti del più grande filosofo pagano. C’è una vita morale più ricca. Si vive nella sfera morale più intensamente, con maggiore severità e maggiore dolcezza. Nostro Signore ci ha tenuto ad affermare questa superiorità morale del Suo Vangelo sulla antica Legge, non discutendo neanche la superiorità della Legge mosaica sulla etica pagana. Sinteticamente ha detto che la giustizia, la bontà dei suoi seguaci, deve essere superiore a quella degli Scribi e dei Farisei. E ha specificato una serie di superiorità morali, spirituali. La parola nostra è più sincera, deve essere tersa come uno specchio. – Non bisogna solo non nascondere la verità delle parole, bisogna non velarla. La morale giudaica, salvo le apparenze, provvede ad evitare il male sociale, la morale cristiana va al fondo della realtà, mette l’anima nella luce e al contatto di Dio. Dove il Cristianesimo trionfa è nel regno della carità, dell’amore. Dopo N. S. Gesù c’è più amore al mondo, un amore più operoso. Chi li aveva mai neanche lontanamente sognati i miracoli della carità cristiana nell’inverno dell’età pagana? Cera a Roma la vestale; non c’era la Suora di carità. L’ha creata Gesù. Tra il paganesimo e il Cristianesimo, c’è la differenza dal verno alla primavera. Il nostro amore è più intimo. Non si benefica solo nel Cristianesimo, non si fa solo del bene, si fa del bene, perché si vuole bene. C’è la fratellanza dell’anima, oltre le divisioni sociali. Rimangono materialmente i poveri e i ricchi, ma poveri e ricchi non conta nulla; si è fratelli. La carità cristiana va oltre la divisione nazionale; ci sono ancora i greci, i romani, i barbari, ma greci, romani e barbari si sentono fratelli, si chiamano con questo bel nome, si amano con questo bel titolo.
(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)
Graduale
Ps CXXI: 1; 7
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus.
[Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore.]
Alleluja
V. Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. Allelúja, allelúja
[V. Regni la pace nelle tue mura e la sicurezza nelle tue torri. Allelúja, allelúja]
Ps CI: 16
Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. Allelúja.
[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: e tutti i re della terra la tua gloria. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Matthæum.
Matt. IX: 1-8
“In illo témpore: Ascéndens Jesus in navículam, transfretávit et venit in civitátem suam. Et ecce, offerébant ei paralýticum jacéntem in lecto. Et videns Jesus fidem illórum, dixit paralýtico: Confíde, fili, remittúntur tibi peccáta tua. Et ecce, quidam de scribis dixérunt intra se: Hic blasphémat. Et cum vidísset Jesus cogitatiónes eórum, dixit: Ut quid cogitátis mala in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta tua; an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta, tunc ait paralýtico: Surge, tolle lectum tuum, et vade in domum tuam. Et surréxit et ábiit in domum suam. Vidéntes autem turbæ timuérunt, et glorificavérunt Deum, qui dedit potestátem talem homínibus”.
[“In quel tempo Gesù montato in una piccola barca, ripassò il lago, e andò nella sua città. Quand’ecco gli presentarono un paralitico giacente nel letto. E veduta Gesù la loro fede, disse al paralitico; Figliuolo, confida: ti son perdonati i tuoi peccati. E subito alcuni Scribi dissero dentro di sé: Costui bestemmia. E avendo Gesù veduti i loro pensieri, disse: Perché pensate male in cuor vostro? Che è più facile, di dire: Ti sono perdonati i tuoi peccati; o di dire: Sorgi e cammina? Or affinché voi sappiate che il Figliuol dell’uomo ha la potestà sopra la terra di rimettere i peccati: Sorgi, disse Egli allora al paralitico, piglia il tuo letto e vattene a casa tua. Ed egli si rizzò, e andossene a casa sua. Ciò udendo le turbe s’intimorirono e glorificarono Dio che tanta potestà diede ad uomini].
Omelia
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano).
LE ABITUDINI CATTIVE
Portavano a Lui perché lo guarisse un paralitico sul suo giaciglio. Il Maestro divino, davanti alla fede di quella povera gente, sentì l’anima sua piena di commozione e rivolse al malato delle parole piene di bontà: « Figliuolo! » lo chiamò, « confida: i tuoi peccati ti sono perdonati ». A queste parole, alcuni maligni cominciarono a pensare male, « Ma cosa crede di essere costui? Le sue parole sono bestemmia: Dio solo può cancellare i peccati ». E non s’accorgevano quegli uomini gretti che Gesù intanto leggeva i loro pensieri: « Perché pensate male in cuor vostro? Secondo voi, è più facile perdonare i peccati o far camminare un paralitico? Ebbene, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha la potestà sopra la terra, di rimettere i peccati: sorgi! – gridò, volgendosi all’infermo, – prendi il tuo letto e vattene a casa tua! » Quegli si rizzò e, caricatosi sulle spalle il giaciglio, si diresse a casa: per tutta la folla passò un fremito di meraviglia. Qualcuno, a gran voce glorificava il Signore. Questo è il brano del Vangelo: deduciamo alcune riflessioni per l’anima nostra. Il male che affliggeva il povero paralitico io lo assomiglio al male che affligge molte anime: l’abitudine cattiva. Osservate quanto è vero. Il paralitico da solo non poteva fare un passo: ma anche quelli che si trovano da anni e anni irretiti nelle abitudini peccaminose non sanno più muovere un passo sulla via del bene. Essi si lasciano trasportare dalle passioni, come una fragile barchetta senza remi da una rapace fiumana. Non una preghiera sincera, non più un proposito efficace, non più uno sforzo per uscire dal terribile stato in cui ogni giorno affondano maggiormente. Il paralitico notte e dì giaceva sul letto duro: anche l’abitudine cattiva è un letto duro per i disgraziati che vi giacciono. Capiscono che rovinano la propria anima, quella degli altri, dissipano magari la salute e la sostanza, trascurano la moglie e i figli: capiscono e soffrono ma una fune invisibile li tiene legati al vizio. Una fune non di ferro né di corda, ma formata dalla loro volontà, quella volontà che hanno ceduto al demonio perché ne facesse le catene d’imprigionare la loro anima (S. Ag. Conf., VIII, 5). Il paralitico fu guarito, non per i propri meriti, ma per la fede che era negli altri; così è ben difficile che chi vive in abitudine cattiva possa guarire, se qualche persona buona tra i parenti e gli amici non prega per lui e non lo conduce con dolcezza ai Sacramenti dove troverà Gesù che gli dirà: « Sorgi e cammina! ». Ma il danno più grave che l’abitudine cattiva cagiona nell’uomo è quello di sconvolgerlo così che la sua anima non capisce più il bene, non sente più nessun affetto per ciò che è nobile e soprannaturale, non conosce più nemmeno Iddio che l’ha creata. Questo è il primo pensiero. Esaminiamo poi la nostra coscienza: e se, Dio non voglia, siamo proprio anche noi travolti da qualche abitudine cattiva, con uno sforzo eroico corriamo ai rimedi per guarire. – 1. L’ABITUDINE CATTIVA SCONVOLGE TUTTA L’ANIMA NOSTRA a) Non capisce più i suoi eterni interessi: Un padre visitava una fiera con la sua figliuola; nel trambusto, nella folla, nel clamore smarrisce la figlia. Subito la cerca; la fa cercare; senza utilità. Passarono quattro anni: quattro lunghi anni di trepidazione, di attese, di speranze e di accascianti delusioni. Finalmente, passando per Londra, scorge sopra un palco di lottatori una fanciulla. Non ha dubbio alcuno: è sua figlia. Penetra nel palco… « Figlia mia! » le dice; ma la piccina, guasta per la dimora prolungata coi saltimbanchi, contaminata dai loro cattivi discorsi, già aveva dimenticato la sua prima infanzia: aveva dimenticato la sua casa tiepida e linda, il riso delle sue sorelle, i baci della mamma che sempre l’aspettava e piangeva; aveva dimenticato perfino il volto di suo padre. E non lo riconobbe più. « Voi, mio padre? » rispondeva. « Indietro: non vi conosco! ». « Bimba mia! » le diceva l’infelice signore col cuore spezzato, « bimba mia, guardami in viso: non ti ricordi più di quando ti cullavo sulle ginocchia, di quando ti compravo i balocchi, di quel giorno fatale in cui ti condussi alla fiera? ». « No, no! » insisteva la fanciulla. « Con voi non voglio venire: il mio vero padre è questo qui ». E accennava un sinistro ciarlatano, che voleva intervenire per non lasciarsi sfuggire la preda! (Mons. DE SÉGUR Semplici storie). Quante volte accade così all’uomo come a quella fanciulla! Attirato da una gioia di bassi istinti, ingannato dal demonio, grande ladrone di anime, abbandona la dolce casa di famiglia, perde l’amicizia del Padre che sta nei cieli. Divenuto preda delle passioni, a poco a poco si abitua a convivere con loro; fatto schiavo dal demonio, e poco a poco si persuade di esserne il suo servitore. Dio va a cercarlo: moltiplica gli appelli, ripete gl’inviti: « Figliuolo, eccomi, sono Io: tuo Padre, te ne supplico! Oh, se sapessi quanto io bramo di riaverti come mio figliuolo! » Ma l’uomo, abituato nei peccati, non capisce più niente, non riconosce più la voce di Dio, non sa più d’avere un’anima; e con la sua condotta risponde al Signore: « Non so nemmeno chi tu sia: a me piace fare la mia volontà, il mio padrone è il demonio ». Suo padrone è il demonio?… E non sa più che da Dio è stato creato, che da Gesù Uomo-Dio è stato redento, che a Dio deve ritornare per essere giudicato? E non sa più che il demonio, è il nemico acerrimo dell’uomo, e che le sue passioni lo precipiteranno nell’inferno per tutta un’eternità di tormenti e di paure? b) Non capisce più nemmeno i suoi interessi temporali: Ecco un uomo abituato nella passione del gioco: ha sperperato così l’eredità de’ suoi poveri genitori, ha rovinato l’avvenire a’ suoi figliuoli, ha già fatto debiti; eppure gioca ancora. Prevede che i creditori tra poco lo assalteranno, e non potendo pagare sarà chiamato in tribunale; eppure gioca ancora. Tutti già sussurrano di lui, il suo onore e quello della famiglia è già intaccato, eppure gioca ancora. – Ecco un uomo abituato nella passione del bere: ogni domenica, ed anche più spesso, nella casa avvengono scene ributtanti. Egli torna dall’osteria dove ha sciupato il guadagno di molti giorni; entra in casa in uno stato pietoso; gli occhi stravolti, la persona scomposta e dondolante, parole insensate, bestemmie orribili. I figlioletti hanno paura del loro padre e si nascondono vicino alla mamma che tace e piange. Come farà quella famiglia a prosperare? Come farà quell’infelice a guadagnare se le continue ubriacature gli bruciano lo stomaco e dànno a tutte le sue membra un tremito nervoso? Come cresceranno quei figliuoli sotto l’influsso degli esempi paterni? Forse, dopo l’ebbrezza, queste cose le pensa, e pensa a qual calvario condanna la sua sposa; eppure, si è formato una tale abitudine a cui non è più possibile resistere. – Ecco un uomo abituato nella passione dell’impurità: tutto il giorno la sua mente freme sotto il soffio di mille demoni; i suoi occhi non sono mai custoditi; la sua lingua è un carbone d’inferno. La sua anima è discesa al livello dei bruti; i suoi interessi vanno male, ma egli pensa ben altro. La sua famiglia soffre, ma egli non ha più cuore per i nobili affetti. L’abitudine cattiva l’ha sommerso nel fango, e non ricorda più nemmeno se esiste il cielo. Ecco un uomo abituato nella passione dell’avarizia; non dorme, non mangia abbastanza. Sempre in ansietà, è pronto nel ghermire l’altrui, è lento nel concedere il proprio. Non un’elemosina ai poveri, non una beneficenza alle opere pie, non un suffragio a’ suoi morti. Trascura perfino la doverosa educazione dei figli, a cui non concede nemmeno il necessario per vestirsi: è schiavo del danaro. E dopo una vita di stenti sanguinosi, le ricchezze accumulate di chi saranno? Non importa: alla sua passione non può dire di no. – 2. RIMEDI CONTRO LE ABITUDINI CATTIVE. Quello strambo filosofo ch’era Diogene, un giorno, prese un uomo che aveva la cattiva abitudine di rubare, cominciò a sgridarlo e a dimostrargli il male che commetteva e la necessità di correggersi. Per caso, passò da quelle parti un amico del filosofo che gli chiese: « Diogene! che stai dicendo, che parli con tanto calore? ». Il filosofo rivolse uno sguardo all’amico passante e gli disse: « Sto lavando la faccia al moro ». Io non sono così pessimista come l’antico sapiente, ma sono persuaso che non sia cosa facile correggersi da un’abitudine cattiva. Come l’uccello s’accorge d’esser legato al filo quando tenta di volarsene via, così l’uomo si lascia impaniare dalla cattiva abitudine senza accorgersi, ma quando tenta di liberarsene si trova davanti a difficoltà gravissime. E prima di tutto bisogna vincere le difficoltà che il demonio suscita contro quelli che vogliono ricominciare una vita nuova. Quel gran monte a cavaliere del Lazio aspro e della ridente Campania per molti anni fu la sede degli dei bugiardi e del demonio: anche quando in tutta Italia il culto idolatrico era scomparso, là rimanevano ancora i boschetti sacri a Venere e il simulacro d’Apollo. Un giorno su quel monte salì una compagnia d’uomini vestiti di nero, cinti di cuoio: erano S. Benedetto e i suoi primi compagni, i quali a colpi di scure, cantando inni di gloria al Cristo vittorioso, rovesciarono ogni residuo di paganesimo. Si dice che mentre i monaci lavoravano, il demonio escogitava le sue vendette. Una volta mentre rovesciavano un idolo dal suo piedestallo, si destò tutto intorno una fiamma gagliarda che minacciava di incendiare la montagna. Un’altra volta, massi ciclopici, ruinavano giù dalla vetta, schiacciando ogni cosa, e rintronando spaventosamente. I monaci inorriditi fecero per fuggire, ma S. Benedetto tranquillo li arrestò e li incoraggiò con la preghiera. O Cristiani, quando il monte della vostra anima l’avete lasciato in possesso dell’idolo per anni e anni: quando avete permesso al demonio di rizzare dentro di voi un piedistallo per esservi adorato; quando nel vostro cuore avete lasciato che l’impurità impiantasse i suoi boschetti, non meravigliatevi se al momento in cui prenderete la scure per abbattere in voi il regno del demonio, questi vi abbia a spaventare per non lasciarsi sfuggire una preda che già credeva sua. E saranno incendi di passioni che si svilupperanno al primo tentativo di conversione; e saranno macigni che rotoleranno contro l’anima vostra ad abbatterla ogni volta che tenterà di alzarsi dal vizio e dal fango. Ed anche a noi mancherà il coraggio come ai primi monaci benedettini alla conquista di Montecassino. Non disperiamoci. Non è facile vincere una abitudine cattiva, ma non è neppure una cosa disperata come lavare la faccia al moro. Non importa, se qualche volta ricadremo: il Signore, quando c’è tutta la buona volontà e lo sforzo, sa compatire e aiutare maggiormente. Vinti gli inganni del demonio, attacchiamoci alla preghiera con quella bramosia con cui il naufrago s’attacca alla tavola della salvezza: La preghiera è il cibo dell’anima nostra, e come il corpo che non mangia s’indebolisce e muore, così l’anima che non prega s’indebolisce e soccombe. Il demonio è molto più astuto e più forte di noi; ma se preghiamo, Dio scenderà al nostro fianco: e se Dio è con noi, chi può essere contro di noi? Più necessaria ancora della preghiera, per quelli che vogliono liberarsi dall’abitudine cattiva è la frequenza ai sacramenti della Confessione e della Comunione: l’uno purifica e l’altro fortifica. Prima di farlo camminare, Gesù ha liberato il paralitico da’ suoi peccati: « Confida, figlio: i tuoi peccati ti sono rimessi ». Prima di muovere il primo passo sulla via del bene, bisogna liberarci dal fardello del male nella santa Confessione. La Comunione poi irrobustirà le nostre forze e ci renderà temibili anche al demonio. Infine bisogna agir contro all’inclinazione che l’abitudine cattiva ha formato in noi. Chi ha deviato dalla via giusta deve rifare in senso opposto tutta la strada sbagliata: così è pure nelle cose spirituali: « Age contra! ». Finora sei stato troppe indulgente col tuo corpo? da oggi incomincia a castigarlo con qualche mortificazione di occhi, di gola, di lingua. Finora sei stato troppo inclinato all’avarizia? da oggi sii più generoso coi poveri, con quelli che ti cercano aiuto e più giusto con te e con la famiglia. – Dall’esercito Filisteo accampato contro i soldati di Saul, uscì fuori un terribile gigante, armato di placche di ferro dalla testa fino ai piedi: « Avanti — sfidò — venite a combattere con me! ». Ed ecco dalla parte d’Israele venire un giovanetto, senz’elmo, senza spada: soltanto portava il bastone, col quale tante volte aveva guidato sui pascoli il gregge e una piccola fionda con cinque pietruzze bianche; lui solo contro il gigante. Disse Goliath: « Sono io un cane, perché tu venga col bastone? Vieni e ti farò preda d’uccelli e di belve ». Disse David: « Tu hai spada, asta, scudo: io vengo inerme, però nel nome del Signore, Dio degli eserciti e Dio delle armate ». Dopo qualche tempo, un enorme troncone giaceva insanguinato sulla terra, ed un giovanetto correva verso il campo di Saul portando un capo mozzo, ancora grondante (1 Re, XVII). Se anche l’abitudine cattiva, — o del gioco, o del vino, o dell’avarizia, o della sensualità, o del furto — in cui siamo caduti è per noi terribile da vincere come un gigante armato, non scoraggiamoci! È vero che siamo deboli per natura e per peccato, ma se noi davvero vogliamo convertirci, il Dio degli eserciti, il Dio delle armate combatterà con noi e per noi, E vinceremo. — CARITÀ VERSO I PECCATORI. La malattia di quel poveretto era ben grave. Inchiodato in un letto, non poteva fare il minimo gesto, non sapeva muovere neppure un dito. Solo negli occhi aveva la vita, ma il corpo era immobile come un cadavere. Per guarirlo i medici non avevano nessun rimedio: perché nelle sue vene rifluisse la linfa vitale ci voleva la parola di Gesù che faceva i miracoli. Ma se non ci fossero stati quei buoni uomini a prenderlo e a portarlo a Gesù quell’infermo non si sarebbe certo mai più trovato col Maestro divino. Forse venivano anche da lontano perché se fossero stati tutti di Cafarnao avrebbero saputo che Gesù era partito con la barca e così non sarebbero andati, con quel peso, ad incontrarlo al porto, ma nella casa che Lo ospitava. Quanta carità in questi uomini che dimenticano per un giorno i loro interessi, la loro casa per curarsi di un loro fratello che ha bisogno di vedere Gesù e di essere da Lui veduto. Certo erano uomini di fede viva; perché uno che non crede a Gesù non farebbe neppure un passo, neanche il minimo sforzo per portare qualcuno da Lui. Dice anzi il Vangelo che il Signore rivolse la sua parola al malato quando vide la fede degli uomini che lo portavano e pregavano per lui. Io paragono alla malattia di quell’infelice lo stato deplorevole di quei Cristiani che sono morti alla grazia di Dio, se ne stanno lontani dalla Chiesa o vanno appena qualche rarissima volta forse più per superstizione che per spirito di fede. Oppure potremmo paragonare al paralitico del Vangelo di oggi i Cristiani che riguardo all’anima hanno quel poco di vita sufficiente per dire che non c’è la morte, ma non esiste un po’ di slancio per frequentare i Sacramenti, pregare di gusto, amare davvero il Signore. Ebbene, con questi Cristiani noi dobbiamo fare come gli uomini del Vangelo. Cioè se non abbiamo anche noi la stessa malattia, bisogna che li portiamo a Gesù col nostro buon esempio, bisogna che preghiamo il Signore con vivissima fede perché li guarisca. E non è forse vero che l’esempio trascina e che la preghiera è onnipotente? – 1. COL BUON ESEMPIO. Ai tempi di Nostro Signore Gesù Cristo, comandava da per tutto l’Impero Romano. I sudditi dovevano pagare ciascuno il proprio tributo secondo quello che possedevano, ma questo obbligo era diventato odioso a tutti per il modo con cui le tasse erano pagate. Alcuni ricchi coi loro danari compravano dal governo il diritto di ricevere i tributi di una determinata regione e tutti dovevano portare i denari a questi esattori che si chiamavano pubblicani. Gente, per lo più odiata da tutti perché liberi nei loro affari, senza nessuna sorveglianza delle autorità romane facevano grandi ingiustizie, succhiando il sangue alla povera gente che doveva tacere e pagare. Gesù che era venuto per evangelizzare i poveri e predicare la giustizia non poteva approvare questi disordini. Ora con la bontà e la mansuetudine, ora con la forza dei suoi rimproveri cercava di arrivare fino al cuore di quei pubblicani per convertirli alla giustizia ed all’amore. Ma tutti lo schivavano perché… seguire Gesù voleva dire rinunciare ai denari rubati, voleva dire aiutare i poveri, non pretendere di più di quanto era giusto. Questo costava fatica e nessun pubblicano si sentiva capace di compierlo. Un giorno però il Maestro passa vicino al banco di un pubblicano che stava proprio riscuotendo le tasse. Si chiamava Matteo. Gesù lo fissa in volto e gli dice: « Vieni dietro a me ». Il pubblicano senza esitare lascia tutto e si mette a seguire Gesù. Ed è così contento di stare con Lui che vuole imbandire un sontuoso banchetto in suo onore. E pensare che Gesù certamente da quell’uomo ha voluto una riparazione di carità, di elemosine per tutte le ingiustizie commesse in passato. Eppure, osservate: da quel momento i pubblicani si fanno coraggio, vincono la loro vergogna e cominciano a stare con Gesù. Vedete come era stato efficace l’esempio di Matteo! Sembrava dovesse essere da tutti compianto perché rovinava i suoi affari ed invece si è visto seguito da moltissimi altri. Cristiani, guardando attorno troviamo di quelli che possiamo paragonare al paralitico del Vangelo di oggi od ai pubblicani che pensano solo alle cose del corpo. Ma non mettiamoci in mente di far loro del bene con tante parole, con prediche lunghe o consigli studiati. Avviare un’anima alla conversione, alla grazia di Dio è dare a quest’anima la vita che le manca. Ora che possono dare la vita sono soltanto i vivi: un morto non può far nulla. Ci vuol dunque prima in noi la vita spirituale davvero vissuta, vita fatta di fedeltà assoluta ai propri doveri. Quando uno non manca mai alla Chiesa, frequenta con sincerità e fervore i Sacramenti, lavora con onestà, educa cristianamente i suoi figlioli, sta lontano dai divertimenti pericolosi, e rifugge da ogni discorso cattivo, e legge i giornali buoni questi vive la sua vita. Ebbene senza che egli se ne accorga, va gettando semi di bene in quelli che lo avvicinano, lo vedono, lo ascoltano. Soltanto in paradiso noi potremo comprendere bene tutta l’efficacia di una vita di buoni esempi. – 2. CON LA PREGHIERA. Tra i molti miracoli avvenuti a Lourdes v’è anche il seguente. Una giovane suora da parecchi giorni era gravemente inferma. Aveva già completamente perduto la vista ed ora cominciava ad irrigidirsi in una paralisi che le rendeva impossibile ogni movimento del capo e delle gambe. I medici dicevano tutti che il caso era disperato; per questo il sacerdote le aveva già amministrato gli ultimi Sacramenti. Ma in quell’Istituto c’erano delle anime che pregavano per la povera malata, c’erano soprattutto i piccoli innocenti che ogni giorno innalzavano al Cielo suppliche ardenti perché — se al Signore fosse piaciuto — la loro maestra riacquistasse la salute. Ed ecco che proprio quando tutto pareva perduto, quando la malata e le consorelle cominciavano già a pregare perché il giorno dell’Assunta fosse il giorno della dipartita da questa terra, una mano invisibile accarezza per tre volte quella fronte arsa dalla febbre. Credendo, perché non vedeva, che fossero state le suore a lei vicine a far le carezze, le pregò di desistere. Passano alcune ore e la inferma che dormiva è risvegliata da un’altra carezza sulla fronte e scorge distintamente la radiosa figura della Madonna, ammantata di celeste e cinta il capo di stelle, che si eleva soavemente magnifica dalla sponda del suo letto verso l’alto. La suora, fino allora immobile e cieca, si slanciava dal letto e alla suora infermiera che la tratteneva gridava: « Ho visto la Madonna! Ci vedo! Sono guarita ». Ed è così. Scomparsa la febbre, liberi i movimenti, nuovamente completa la vista. È impossibile descrivere la commozione di tutti, ma specialmente dei piccoli che avevano finalmente ottenuto la grazia implorata con tante preghiere. Cristiani, lo sa il Signore perché ha compiuto questo miracolo, ma io penso che la preghiera di tante anime deve aver fatto violenza sul Cuore di Dio. e penso anche a tanti ammalati nell’anima che camminano sull’orlo dell’inferno e pei quali ogni speranza di ravvedimento sembra perduta. Sono quelli che hanno abbandonato la Chiesa e i Sacramenti, sono quelli che bestemmiano come demoni e vivono pensando solo al corpo, senza un palpito per Dio e per l’anima. Questa è la vera infermità, la vera agonia, l’unico vero male. Solo il Signore è buono di portare un rimedio. Ma noi possiamo pregare, possiamo come quei piccoli innocenti forzare il Cuore di Dio a concedere un po’ di luce a quelli che sono ciechi, a dare un po’ di vita a quelli che sono morti. Ecco allora che, quando tutto sembra inutile, la mano invisibile di Dio e della Vergine comincia a toccare le menti riarse dalla febbre del peccato. È un pensiero di fede, un rimorso, una compagnia, una parola buona che si fa sentire e penetra in fondo al cuore. Dapprima forse non si vuole credere, ma poi… il Signore ottiene la vittoria completa. – Di quante conversioni e diciamo pure di quante santità raggiunte, la causa deve essere ricercata nelle preghiere, nelle immolazioni, nei sacrifici di anime sconosciute nei conventi o nelle case o nelle botteghe o nelle officine strappano a Dio i miracoli! – Ai primi Cristiani di Corinto, S. Paolo scriveva così: « Voi siete una lettera di Cristo » Che cosa voleva dire? Vedete, la lettera è fatta per esprimere ad uno lontano i nostri pensieri. Se Gesù dovesse scrivere una lettera agli uomini quali pensieri esprimerebbe? « Seguite la mia legge di amore, ascoltate le mie parole perché io sono stato mandato dal Padre a salvare i peccatori ed ora sto sempre davanti a Lui a pregare per voi ». Ebbene S. Paolo dice che noi, la nostra vita deve essere questa lettera, questa predica vivente col buon esempio e con la preghiera perché tutti si salvino.
Offertorium
Orémus
Exod. XXIV: 4; 5
Sanctificávit Móyses altáre Dómino, ófferens super illud holocáusta et ímmolans víctimas: fecit sacrifícium vespertínum in odórem suavitátis Dómino Deo, in conspéctu filiórum Israël.
[Mosè edificò un altare al Signore, offrendo su di esso olocausti e immolando vittime: fece un sacrificio della sera, gradevole al Signore Iddio, alla presenza dei figli di Israele.]
Secreta
Deus, qui nos, per hujus sacrifícii veneránda commércia, uníus summæ divinitátis partícipes éfficis: præsta, quǽsumus; ut, sicut tuam cognóscimus veritátem, sic eam dignis móribus assequámur.
[O Dio, che per mezzo dei venerandi scambii di questo sacrificio, ci rendi partecipi della tua sovrana e unica divinità, concedi, Te ne preghiamo, che, come conosciamo la verità, cosí la conseguiamo con degna condotta.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
Ps XCV: 8-9
Tóllite hóstias, et introíte in átria ejus: adoráte Dóminum in aula sancta ejus.
[Prendete le vittime ed entrate nel suo atrio: adorate il Signore nel suo santo tempio.]
Postcommunio
Orémus.
Grátias tibi reférimus, Dómine, sacro múnere vegetáti: tuam misericórdiam deprecántes; ut dignos nos ejus participatióne perfícias.
[Nutriti del tuo sacro dono, o Signore, Te ne rendiamo grazie, supplicando la Tua misericordia di renderci degni di raccoglierne il frutto.]
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)