TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (47) “INDICE DEGLI ARGOMENTI – VI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (47)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VI-

E. – DIO SALVATORE PER MEZZO DI GESÙ CRISTO.

E. – DIO SALVATORE PER MEZZO DI GESÙ CRISTO.

1. Costituzione del Dio-uomo Salvatore.

E 1a. a. – NATURA DIVINA

Fede dei simboli antichi in Gesù Cristo Figlio di Dio 2-5 10-30 36 41//51 60-64 71 76 125 150.

Gesù Cr. è detto vero Dio 29 41//51 72 74 105 125 142 150 189 209 252s 256 272 293s 301 317s 325 402 427 431 442 547 554 619 681 852 2529; Cristo non è solo coappellato Dio 259; reprob. l’ass. negante la divinità: [il Verbo è assimilato agli ordini celesti] 406: [Il Figlio di Dio non fu prima del parto di Maria] 157 453; Cristo è falsamente equiparato a Platone, a Mani, Epicuro, a Marcione 435. Gesù Cr. è Dio perfetto 72 76 272 301 402 442 491 496 500 534 545 554 561 564 681 852 2529; è chiamato Dio pienamente 564; Dio tutto 355 413 -442; si riprova: [Cristo ha una minore divinità] 149. Gesù Cristo è chiamato a. Verbo, b. Virtù, c. Sapienza abc113 a178 a250.

Gesù Cristo (in quanto Figlio di Dio) è ugùale al Padre, consustanziale etc.: cf. B2cb; si riprova l’affermazione opposta 1880.Gesù Cristo sec. divinità non fu passibile (violabile) (a. ribattendo contro i teopaschiti) 166 a196s 293s 297 a300 318 a358s a367 442 492 504

635s 681 801 852 a2529; la sua inanizione non fu un difetto di potestà 293.

La Divinità di Cristo può essere dimostrata dai miracoli 3428; Cristo compì i miracoli non per altrui virtù 260.

In quanto Dio, Gesù Cristo non fu un predestinato 536.

E 1b. b. – NATURA UMANA

1 ba. Similitudine in tutte le cose essenziali alla natura umana. Gesù Cristo è vero uomo 72 74 189 293s 293s 301 325 (401) 402 414 442 454 533 547 554 619 681 852 1337 2529; la verità è assunta dal corpo della Madre Maria 292; 1. Cristo è formato dall sostanza della madre 76; Gesù Cristo è chiamato “figlio dell’uomo” 189 250 317 368 420 442 491 535 619 791.

La natura assunta non fu altra sostanza celeste 300; si riprova err. docetisti: [il Figlio di Dio non prese nulla da Maria, ma passò per Ella con il suo corpo celeste] 1341; [il Figlio assunse un corpo fantastico, imaginario] 46 48 189 357 359 401 1340]; di cotr. alcuni errori si efferma: Cristo è veramente nato, ha patito etc. 1338.

Gesù Cristo è uomo perfetto 44 46 48 72 76 144 146 272 293 301 357 402 442 485 491 500 534 554 561 564 852 2529 3923; è chiamato uomo pienamente 564: uomo totale 148 355 413; uomo senza limite 505 3923; costituì l’Adamo integro 147s; si riprova l’affermazione opposta [il Figlio di Dio assunse una umanità imperfetta] 74 146 149; [il Corpo di

Cristo era privo di anima (nei sensi), che la divinità sostituì] 148 159 195 359 534 1342s; [Cristo come uomo non è nulla] 749s.

Gesù Cristo è consustanziale agli uomini (a. alla madre) 272 301 357 430 442 504 547 a619 2529.

Gesù Cristo assunse a. anima umana (razionale) b. intelletto, c. senso, d. corpo, e carne abd44 bd46 abde48 abce72 e60 abc 148 159 ac166 ac250 ad272 ad299 ad301 ae325 ad357 ac485 ac547 ad554 ae791 ac801 ad900 ad2529; assunse natura umana in alcun modo mutata in spirituale e da quanto attiene alle cose corporee d corporea, l’appetito dei sensi, piena di ogni impulso naturale 3923.

Il corpo di Cristo dominava perfettamente la forza del sentire e del percepire più che gli altri corpi di tutti gli uomini 3924.

In quanto uomo Cristo è limitato 605.

Come uomo Cristo fu soggetto alle umane indigenze: ebbe fame, sete, pianse, sopportò tutte le ingiurie del corpo 189 791; cf. E 5b; soprattutto fu passibile

(a. Ciò riportando contro gli errori opposti) 105 166 189 a197 a293 297 442 492 504; dell’umana sostanza ebbe il potere e il non volere morire 564.

Come uomo Cristo fu predestinato 536.

Il giorno natale di Cristo ed il giorno della domenica sono onorati per la fede della vera umanità di Cris.

lbb Dissimilitudine con gli uomini quanto al peccato. Il Figlio di Dio assunse l’uomo tranne il (solo) peccato 44 46 48 74 148 159 293 301 442 487 490 496 505 533 539 547 554 561 564 619 1347 2529; non conobbe peccato 261; il peccato non lo poté contaminare 291; assunta è dalla madre del Signore la natura, non la colpa 294.

Non erano in Cristo i vizi delle umane passioni 130 148; non discordia dei desideri, contrasti di volontà, tentazioni allettanti 299:

Gli affetti erano sotto la moderazione della divinità e della mente 299.

Si spiega il detto “Cristo è fatto per noi peccato” 539.

E 1c. c. — UNIONE DELLE DUE NATURE.

1ca. Fatto dell’unione. Cristo è nello stesso tempo Dio ed uomo 76 253 272 292-295 402 534.

Cristo è a. da due ed b. in due nature b302 ab414 ab420 ab442 ab506

(ab543) ab545 ab548 ab555 b681 ab852 b2529.

Concezione insolita di Giuliani Tolet. (a. rigettata): Cristo esiste da tre sostanze: Verbo, corpo, anima 535 567 a613.

Gesù Cristo è una, non due (persone), è lecito Dio ed uomo 76 272 302 555;

coesiste una vera unione di natura 250; questa unione è compara all’unione dell’anima e della carne nell’uomo 76.

Questione del sangue di Cristo nel triduo della morte, ossia sarà stato fuerit separato dalla divinità 1385 (cf. 2663).

1cb Modo dell’unione delle nature tra loro. Questa unione è fatta salvando la proprietà di entrambe le nature 293 302 (317) 402 413 442 509 543 548 555 561 (564) 1337 2529; la differenza delle nature non è abolita per l’unione 250

302 507 548 555 2529.

Il Figlio di Dio è tutto nella sua e tutto nella nostra [natura] 293 413 442.

In Cristo vi sono azioni comuni: la carne non agisce senza il Verbo. Il Verbo non senza carne 317s: l’operazione comune è chiamata deivirile (teandrica) 515.

Le azioni di Cristo conservano le specifiche proprietà naturali: agisce in entrambe le forme con la comunione che è propria ad ognuna 294 (317 488) 548 557 (558): pertanto l’operazione teandrica è da concepire come doppia: divina ed umana 515.

Si rivendicano le due naturali volontà ed operazioni in Cristo contro i monoteliti 498 500 510s 512-516 543-545 548 553 556s 558 561 564 572 681 1346 2531; volontà in Christo non sono tra esse contrarie (a. solo come Onorio I pp. le intendeva e respinse) a487 496-498 544 556 (564) 572 2531.

Le nature in Cristo sono unite non confuse (ctr. err. monofisiti) 76 272 (300) 302 359 368 402 413s 425 428 430 442 488 500 506-508 543 548 555-557 561 564 619 2529; Cristo è uno senza mescolanza 297 317 358s 681.

Il Verbo fatto uomo è a. immutabile, b. inconvertibile, è senza mutazione o conversione della materia del Verbo e della carne a302. ab357s c402 b413 c442 b488 a543 b555-557 b564 1345 a2529; la carne non è trasformata nella natura del Verbo (294) 428 548; il Verbo non è convertito né in carne né in anima. (a. in nessuna sua parte) 76 250 a297 357-359 428 534 548; non dalle due nature non è fatta una natura o sostanza di divinità e carne 203 300 (359) 429.

Il Figlio di Dio incarnandosi non smise ciò che era 72; non ricevette né un danno né un a. aumento in sé 72 a291 a297 318; rimanendo tuttavia nella carne si rese inferiore al Padre 165 294 369 442 485 540 619; dalla sua sede mai mancò 1097

Le Nature in Cristo sono unite inseparabilmente (non possono disgiungersi) 302 317 420 534 543 555-557 561 564 619 (1337) 2529; parimenti le volontà e le operazioni 544; Verbo e carne restano in uno e uno in entrambe 297.

Le nature in Cristo sono unite e indivise 297 302 317 413s 420 (430) 442 488 506-508 548 555-557 561-564 681 1337 2529; sec. La scuola cirilliana le nature si uniscono sec. una unione naturale, o sec. composizione o sec. sostanza 254 424-426 430 436 508; in questo sec. la stessa scuola in Cristo vi è “una natura incarnata del Verbo Dio” 505; di discernere la differenza delle nature soltanto dell’intelletto 428 543 548.

si riprova l’affermazione nestoriana delle unioni delle nature [in specie: a. sono congiunte solo per continuità sec. dignità, autorità, potenza; b Cristo è un puro uomo denominato divino in ragione di una maggiore grazia; c. chiamato “uomo deifer”, “deifico” 252-263 a254 a256 a262 a401 ab424 a425s c613 b1339 S251a-e.

1cc. Modo dell’unione della nature in una Persona.

L’incarnazione è fatta a. nel solo Figlio. Non b. nel Padre o Spirito Santo o c. in tutta la Trinità ab325 a491 a533 ab535 a571 ab791.

Il Figlio di Dio assunse l’uomo in ciò che è proprio del Figlio, non in ciò che è in comune alla Trinità 491 535; Vb. Dio rivendica a sé come propria la generazione della sua carne 251 (355).

Il Verbo di è fatto, assumendo a Sé nell’unità della sua ipostasi il corpo e l’anima intellettiva (s. carne animata dell’anima razionale) (44) 250s 253 413 (442) 900; l’unione in Cristo è unione di nature sec. sussistenza (76) 416s; nella Persona del Figlio si unì la divinità e l’umanità in un Cristo unico 2528; Cristo assume la stessa persona nella divinità del Verbo 299.

La Proprietà di entrambe le nature di Cristo concorre in una stessa Persona e sussistenza. 189 302 3I7s 325 359 413 485 2529 3905.

La natura umana così non è assunta come creata prima di essere assunta, ma creata nella stessa assunzione 251 298s 402 405 416s 419 442 479;

l’anima di Cristo non esisteva prima dell’Incarnazione 404; il Verbo non portò dal cielo il cotpo 359; la carne di Cristo non fu creata dal nulla 299.

In Cristo non vi sono due figli, uno prima l’altro dopo l’incarnazione, ma è il medesimo unico Figlio 148 158 272 301s 325 359 420 485.

Cristo non è diviso in due persone 302 402 423//428 500 548 555 1344 2529; tale divisione condurrebbe alla Trinità una quaternità di persone 402 (426) 491 534.

Cristo non è puro uomo (a. nuda divinità), in cui si è riversato il Verbo inabitando in esso 251 262 a420 1344 (S251 c-e); non è persona umana unita a Dio solo per grazia 401 (424 1339) 1344; si riprova L’appellativo “homo deifer”, “deificus” 256 613.

Il Verbo di Dio esiste come figlio dell’uomo non per assunzione della persona né per sola volontà 250; si riprova la voce “uomo assunto” nel senso dell’integra autonomia della natura umana 3905; idem per “Dio umanizzato” 613.

Riprobate le spiegazioni dell’unione ipostatica 3227 3427-3431.

1cd. Permanenza dell’unione. Unione delle nature in Cristo resta a. indissolubile a355 358 414; anche nel Cristo glorificato, che ascese in cielo nella medesima carne, siede alla destra del Padre, verrà a giudicare 46 48 167 297 502 791.

1ce. Indole misteriosa dell’unione ipostatica. L’Incarnazione come a.”mirabile singolare generazione” è incomprensibile, inesplicabile 250 a292

2. Conseguenze dall’unione ipostatica.

E 2a. a. — DOTI DI GESÙ CRISTO

2aa. Filiazione naturale. Fede in Gesù Cristo Figlio di Dio: vd. E 1a.

Gesù Cristo è Figlio di Dio non per adozione o grazia, ma propriamente per natura. 526 595 610-615 619 681 852; si riprov.: [Cristo meritò la filiazione] 434.

2ab. Visione beatifica.

A Cristo si conveniva dal primo momento dell’incarnazione 3812.

2ac. Scienza infusa ed acquisita. L’anima di Cristo ebbe la scienza già fin dall’ incarnazione 3812.

Cristo è onnisciente 476; conosce anche il giorno ultimo del giudizio (a. ma solo per potenza di Dio) 419 a474-476. Si riprovano gli errori circa la scienza e la coscienza dell’anima di Cristo 419 3428 3432-3435 3645-3647.

Impeccabilità e santità. Il Vb. incarnato differisce dagli uomini solo quanto al peccato: vd. E lbb; il volere di Cristo non è a Dio contrario, ma totalmente deificato 556; reprob.: [Cristo compì un progresso morale e divenne impeccabile solo dopo la resurrezione] 434; [In Cristo non vi fu lo spirito di timore di Dio] 731.

2ad. Culto di adorazione. A Cristo si deve culto di latria CdIC 1255, § 1; è da adorare dagli Angeli e dagli uomini a. nelle due nature indivise a420 1823 3676; è da adorare mediante un’adorazione con la propria stessa carne (in quanto unita alla divinità), non invero nelle due (escl. una al Verbo, l’altra all’uomo) né b. coadoratione dell’uomo assunto b259 431 a2661; si riprova: [Cristo è da adorare nella persona del Verbo a somiglianza dell’immagine imperiale] 434.

Da riprovare è l’adorazione in cui si adora in se stessa l’umanità di Cristi e la carne, prescindendo dalla divinità, 431 2661 2663; si giudica la questione dell’adorazione del corpo di Cristo nel triduo della morte. 2663; l’adorazione del sangue effuso nella passione dipende da una questione non ancora decisa, se il sangue fu o non separato dalla divinità 1385.

È lecito rivolgere orazioni alla Persona di Cristo (in quanto mediatore) 3820.

Il Culto al Cuore di Gesù è legittimo, come inteso dalla Chiesa 2661; specie referito allo stesso Cristo 3353; si adora il Cuore di Gesù unito alla Persona del Verbo inseparabilmente 2663 3922s; nel Cuore di Gesù si venera il simbolo e l’espressa immagine della carità di Cristo 3353 3922-3925.

E 2b. b. — MODI NEL PARLARE DEL CRISTO.

2ba Comunicazione idiomatica. Si può dire —: “Verbo nato secondo la carne” 251; “Cristo è uno della (o: dalla) Trinità” oppure “una delle tre Persone”) 401s 432 485 561; — “uno della Trinità ha patito” 401; a. Dio (b. Verbo di Dio) ha patito nella carne” b263 a401; il “Figlio di Dio

fu passibile, è morto” 105; si riprova: [Dio Verbo è mortale] 359.

Sulla stessa comunicazione idiomatica si fonda il titolo “Madre di Dio”, “genitrice di Dio Dei”, “Deipara” 251 401; cf. E 6ba.

2bb. Distribuzione dei detti di Cristo. Talvolta i detti di Cristo sono da concepirsi come di una Persona,talvolta sono distribuiti ad una sola natura 273 295; invero le voci non sono da distribuire come di nature divise o come due persone 255 418.

3. Cause dell’incarnazione.

E3a. a. — CAUSA EFFICIENTE DELL’INCARNAZIONE.

La Trinità divina ha cooperato tutta all’incarnazione. 491 535 571 801.

Allo Spirito Santo si attribuisce (per appropriazione) l’incarnazione 10//30 42 61-64 72 150 291 442 485 571 801 3923; lo Spirito Santo fecondò la Vergine 292 533; formò il Corpo di Cristo nel seno della Vergine 3924.

La volontà del Figlio di Dio: volle assumere la natura umana 3274 patì volontariamente (a. non spinto da necessità) 6 62s 423 442 502 a1364.

E3b. b. — CAUSA FINALE DELL’INCARNAZIONE.

Il Figlio Dio assunse la natura umana perché conveniente all’uomo, e contrasse un mistico connubio con l’universale genere umano 3274.

Il Figlio di Dio venne per la a. salvezza di tutti gli uomini (b. Per la salvezza del genere umano) 40//63 a64 172 76 125 150 272 301 b442 500 681 b881 a901 b1337 2529; per la redenzione (liberazione) degli uomini dal peccato 146 485 491s 533 1400; si riprova l’affermazione che nega la redenzione come fine 723 1880.

4. Compiti o uffici di Gesù Cristo.

E4a. a. — SALVATORE E MEDIATORE.

Cristo è per Se stesso principio di salvezza 3915; portò salute pienissima 149; ogni nostra glorificazione è in Cristo 1691; necessità della grazia di Cristo e la sua volontà salvifica: in F 2b-c.

All’uno e solo Cristo conviene il nome di perfetto conciliatore 2821 3320 è l’unica fonte (di giustizia) e mediatore di ogni grazia 1526 3370 (3820);

Cristo è causa meritoria della giustificazione degli uomini 1529 (1534); meritò de condigno ogni grazia 3370; nessuno divenne giusto se non comunicando con i meriti di Cristo 1523 1530 1560; la dottrina cattolica della giustificazione non deroga dai meriti di Cristo 1583; si riprova l’affermazione negante la ragione del merito speciale proveniente dalla dignità di Cristo 1819. I meriti di Cristo sono anche applicati agli uomini anti Cristo 3329.

L’opera della redenzione di Cristo è a. sovrabbondante, tesoro immenso a1025 1027 (1406) 3805; i meriti di Cristo sono infiniti 1027; della loro efficacia non c’è da dubitare 1534.

Il compito della redenzione di Cristo comprende tutto il genere umano anche la B. Maria Vg. 3909; questa opera ha in sé che è a vantaggio degli uomini 624; se non tutti si salvano, ciò non è da attribuirsi all’insufficienza del prezzo pagato da Cristo, ma alla difettosità degli uomini 624; si riprova l’errorepereccesso circa l’efficacia della redenzione: [tutti gli uomini dannati nati prima di Cristo sono liberati dall’inferno.] 587 630 (1011 1077).

La redenzione intesa come ricapitolazione 3915; antiparallelismo: primo (il vecchio) Adamo — secondo (nuovo) Adamo 9011 1524 3328 3915; uomo terreno— uomo celeste 413.

La redenzione propriamente è l’indole soddisfattoria o espiatoria. 1529 S3339 3438 3891.

La forza della redenzione si riferisce precipuamente alla passione e morte di Cristo 485 904 1523 1529s 1741 3370 34388 3805 3957.

A Cristo per il suo compito di redentore conviene una dignità infinita 3909

Meriti di Cristo per sé stesso: solo l’umanità di Cristo fu capace di un aumento di gloria. 318.

E4b. b. – SACERDOTE.

Cristo nella Chiesa è sacerdote e sacrificio 802.

Cristo si offrì in sacrificio non per sé, ma per gli uomini 261; da sé stesso si offri vittima (1083) 1740 3678 3847; la morte in Croce fu un sacrificio 1083 1740s 1743 1753s (3316) 3847s S3339.

Il sacrificio di Cristo, benché a. compiuto una sola volta sulla croce, è continuato dopo la morte 1740 aS3339.

E4c. c. – RE E SIGNORE.

Christus è non solo redentore, ma anche legislatore 1571. Fede dei simboli antiqu. in Cristo re e mel suo regno 3s; add.: L 7e.

Cristo uno è di significato propriamente e assolutamente Re 3916; è re anche in quanto uomo 3250-3252 3675; fondamento della sua dignità regale è l’unione ipostatica ed i meriti come redentore 3250-3252 3676 3913-3915.

Forza e natura della potestà regale 3677; la sua podestà regale si estende sull’intero genere umano 791 3350s 3678s.

Cristo nei simboli è indicato come a. unus dominus 2s a4 5 11//30 36 a40//51 60 62s a71 76 a125 a150; è Signore di tutte le cose 3913.

Si riprova l’equiparazione di Cristo e la sua podestà a Mosè e Maometto 1365.

E 4d. d. – DIVINO INCARICATO E MAESTRO

Cristo prima della Legge e nel tempo della Legge spesso è dichiarato anche promesso 1522.

Per la missione del Figlio di Dio nel mondo: vd. B 2ec.

Cristo ebbe sempre la coscienza messianica (3432) 3435; operò miracoli profezie, per dimostrare che Egli fosse il Messia (178) 2753 (3006) 3009 (3034) 3428 3485.

Cristo mostrò la via della vita 801.

5. Storia della salvezza.

E 5a. a. – SALVEZZA DEGLI UOMINI PRIMA DELL’AVVENTO DI CRISTO.

Prima di Cristo alcuni uomini dalla legge di natura, altri dalla legge di Mosè sono stati salvati per la speranza dell’avvento di Cristo 341; non erano impotenti ad osservare la Legge 2619; attingevano anche la grazia di Cristo dal a. desiderare la salvezza sovrannaturale e dalla giustificazione (1521) 1551 a2618 a2620; della loro giustizia si deve merito a Cristo 3329; si riprova.: [Nessuna delle persone da Adamo fino a Cristo è salvo per la legge di natura, i. e. per la prima grazia di Dio] 336.

Lo Spirito Santo si insedia (agisce) in tutti i Santi già da tempo, non soltanto dal giorno della Pentecoste 60 3329.

Dio emanò la salutare dottrina per il genere umano attraverso Mosè, i profeti, altri servi, 302 800.

La colpa originale nella antica Legge era rimessa con la circoncisione 780; tuttavia il regno dei cieli fu chiuso fino alla morte di Cristo 780.

I precetti dell’antico Testamento, le ceremonie, i sacrifici, i sacramenti, praefiguravano l’avvento di Cristo 1347; i sacrifici (anche della Legge di natura) praefiguravano il Sacrificio della croce S3339; – il sacrificio eucaristico 1742.

Sopo l’avvento di Cristo cessarono i precetti, così che non era piu lecito osservarli come mezzi necessari alla salvezza 1348.

Reprob.: [la legge cristiana sarà sostituita infine da un’altra legge successiva, così come la legge di Mosè dalla cristiana] 1369.

E 5b. b. – VITA DI GESÙ CRISTO SALVATORE.

E5ba. Ingresso nel mondo (fede dei simboli antichi). Il Figlio di Dio discende dal cielo 41//51 60 72 125 150.

Il Verbo si è a. fatto uomo (inumanato), b. incarnato, c. concepito, d. nato d6, d 10-23 c 25-30 d36 b4o ab42 abd44//48 d50 ab51 b55 b60 d61 a62s (d64) cd72 ab 125 ab150.

Dallo Spirito Santo (incarnato) 10//30 42 61-64 72 150; lo Sp. S. non è il Padre del Figlio incarnato 533.

(nato) dalla Vergine (natus) (a senza seme virile) 10-3042 a44 46//5I 55 60s a62s 64 72 a144 150 a189.

Da Maria (nato): vd. E 6b.

5bb. Consorzio con gli uomini. Cristo ha conversato tra gli uomini 44 55 60; mangiato, bevuto, dormito0 791; ha avuto fame. sete, ha sopportato tutte le ingiurie del corpo 189; la povertà di Cristo (ctr. le esagerazioni degli spirituali) 930 1087-1094.

5bc Passione (fede dei simboli antichi). Cristo ha patito 6 13s 19 23-30 36 40 42 44 46 48 60 76 125 150; crucifisso 6 10-12 14-30 41s 46 48 50 55 60-64 150; morto 10 13 19 21 27s 30 35 60-61 72; sepolto 6 10-17 21-30 41s 46 48 50 55 150.

Cristo ha patito volontariamente 6 62s 423 442 502 1364; ctr. I docetisti si afferma “vera” la passione 325; il Figlio di Dio sentiva i dolori nella carne e nell’anima 166; la ferita nel fianco fu inferta solo dopo la morte 901; si riprova l’affermazione circa la rinunzia di Cristo in morte 1095-1097.

5bd. Discesa agli inferi con la sua a. anima (b. da se, non tanto per potenza) 16 27-30 76 369 587 b738 a801 852

Descese per liberare i Santi (a. legati) a62s 485; non per liberare anche gli empo o per distruggere l’inferno inferiore 587 1011 1097.

5be. Resurrezione (fede dei simb. antichi) Cristo risuscitò dai morti 6 10-30 40//64 72 76 125 150 189; risuscitò per virtù propria (a. senza bisogno della resurrezione dal Padre) a359 539; nella resurrezione riacquistò l’anima sua 325 369 791.

Risorgendo il Verbo ha operato la risurrezione della nostra natura 358 (414 485).

5bf. Ascensione in cielo (fede dei simb. antichi) 6 10-30 40//64 72 76 225 150 189; è assunto in cielo 22.

5bg. Seduta alla destra del Padre (fede dei Simb. antichi) 6 10-30 41// 64 72 76 125 150 189.

Avvento alla fine del mondo: vd. L 7a.

6. Parte della B. Maria Vg. nell’opera della salvezza

E6a. a. – PRAEPARAZIONE AL RUOLO DELLA MADRE DEL SALVATORE.

6aa. Predestinazione e pre-redenzione. La Divina Provvidenza elesse e predestinò Maria 1400 2800 3902.

Anche Maria è da annoverare tra i posteri di Adamo compresi nella redenzione universale di Cristo 3909s; Maria è redenta in modo perfettissimo 3909.

6ab. Preservazione dal peccato. Dal peccato originale: come eccezione dalla legge generale del peccato originale non ci si esprime ancora che dopo Leone I: natura assunta dalla Madre di Dio, non con colpa (insinuata per lo più col peccato originale) 294; evoluzione circa la sentenza libera (la sentenza contraria fu per lo più repressa) fino alla a. definizione del dogma: l’Anima di Maria fin dal primo istante della creazione, in previsione dei meriti di Cristo fu preservata immune dal peccato originale 1400 1425s 1516 1973 2324 a2800s a2803s a3554 a3908s a3915; riprov. la spiegazione errata del dogma 3234.

Libertà dal peccato personale (o attuale): Maria non fu mai soggetta al peccato 2800 3908 3915; Maria ha usufruito del privilegio speciale di evitare anche i piccoli peccati veniali. 1573.

Santità: Maria eccelle sopra tutti i Santi per santità, innocenza, grazia ed abbondanza di carismi 2800s 3370 3917.

E6b. b. – COMPITO ESPLEYATO DALLA MADRE DEL SALVATORE

6ba. Fatto ed essenza della maternità. Fede dei simboli 10-30 42//64 72 150.

Il Verbo di Dio trasse il corpo da Maria con un’anima perfetta intelligente a cui è unito secondo l’ipostasi. 251 442; Maria generò carnalmente il Verbo divinuto carne 252; tuttavia il Verbo non trasse il suo principio derivato della natura divina da Maria 251; il Vb. di Dio da se stesso concepito unì a sé il tempio assunto da Maria 272; si riprov. l’assunto che nega la vera maternità [a. il Figlio di Dio con il corpo celeste transitò per Maria senza nulla prendere da ella; b. Maria generò un uomo puro] b427 b437 a1341 1880.

Maria pertanto (forza della comunicazione idiomatica) è chiamata a.vere e b.propria Deipara, Dei genitrice di Dio, theotókos 251 271s 300 416 427 442 485 ab547 ab555 a2528s; si riprova l’affermazione ciò negante [“la genitrice di Dio” è termine solo abusivo e sec. relazione si concede il titolo di “christotókos”] 427 437 (S251d).

6bb. Proprietà della maternità. Verginità: in genere 10-30 42//64 72 144 150 251s 271s 291s 299 442 533 571 748 1880; senza seme virile (in questo senso a.”immacolata“) 44 62s 189 368 a503 a533 a547 a619 a1337 a1400 (qui nel duplice sens9); fui sempre vergine (anche a. nel parto e b. dopo il parto, ossia Cristo è nato solo da Ella) 44 46 b291 ab299 a368 ab442 b485 491 502 b503 547 ab571 572 619 681 801 852 b1400 1425 ab1880; si riprova l’affermazione della concezione dal seme di Giuseppe 1880.

Assenza di sequele del peccato originale: concupiscenza 294 299; dolore nel parto 748.

Consenso libero nell’incarnazione 357 3274.

6bc. Dignità della maternità. Nella madre di Cristo Dio-uomo Maria eccelle sopra le altre creature 3260 3917; in questa dignità è fondata la sua gloria 3900.

E6c. c. – DONI NECESSARI ALLA SALVEZZA DEGLI UOMINI.

6ca. Partecipazione nell’opera della redenzione. a.Maria come socia del divino Redentore partecipa all’opera sua b.In maniera temperata ed in ragione dell’analogia a3902 3914s ab3916 3926; of

fre sostegno ai tesori dei meriti di Cristo (come anche gli altri Santi) 1027.

Questa partecipazione è fondata sul a.consenso di Maria all’elezione; b.sulla comunione dei dolori e della volontà col Redentore a3274s b3370 b3926; (in forza dell’antiparallelismo) Maria è la nuova Eva 3901 3915.

6cb. Mediazione delle grazie. Intercessione in genere 1400 2187 3274s 3370 3926; intermediatrice secondo quanto conviene a Maria maggiormente accresciuta da tale titolo 3320s; si può chiamare “mediatrice al Mediatore” 3321; è mediatrice “de congruo” 3370; dispensatrice (a. come mediatrice di tutte le grazie) dei tesori della grazia di Cristo a3274s 3370 3916.

Ma per nulla è da attribuirle la forza della grazia efficiente 3370.

6cc. Maternità spirituale. (a.generante Cristiani in mezzo alle sofferenze del Redemptore) a3262 3275.

E6d. d. – GLORIFICAZIONE.

6da. Assunzione in cielo sec. corpo ed anima 3903 3900-3904; passò dalla vita senza e corruzione 748.

6db. Dignità regale. Maria è la Signora dei fedeli 547; regina 1400 3902 3913-3917.

6dc. Culto. A Maria è dovuto il culto di iperdulia CdIC 1255, § l; riprov.: [La lode riferita a Maria in quanto Maria è vana] 2326.

Culto delle immagini a Lei conviene (a. riprovate negligenze e restrizioni indebite) 1823 a2187 a2236 2532 a2671; si riprovano le immagini di Maria che veste abiti sacerdotali 3632.

E7. 7. Parti di S. Giuseppe nella storia della salvezza.

Gesù Cristo non viene dal seme di Giuseppe 1880; add. E 6bb (nat. dalla Vergine).

S. Giuseppe è fonte eccellente in quanto fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo 3260; il suo vincolo nunziale con la genitrice di Dio lp eleva alla dignità di suo sposo e non di più 3260.

Il Patrocinio di S. Giuseppe sulla Chiesa ha per fondamento la patria potestà di S. Giuseppe sulla casa divina 3262s.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (48)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (I)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (1)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano. 1909.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

ALLA GLORIOSA REGINA DEL CIELO.

L’autore ha ricevuto la seguente lettera dal Cardinale Rampolla:

N° 63522

Onoratissimo Signore,

le sono molto grato per avermi gentilmente inviato una copia del suo Catechismo cattolico per i giovani. La velocità con cui sono apparse le nuove edizioni, gli elogi ricevuti dai Vescovi, l’introduzione del suo libro in un grande numero di scuole mi fanno riconoscere il suo merito. Desidero congratularmi cordialmente con lei. Posso assicurarle che Dio benedirà grandemente il suo lavoro, e sono lieto di esprimerle i miei sinceri sentimenti di alta stima.

Roma, 29 maggio 1901.

M. Card. Rampolla.

Al signor François Spirago, Trautenau.

PREFAZIONE.

Questo catechismo, nella sua forma attuale, è un libro di istruzioni popolari, adattato alle esigenze del nostro tempo ed un manuale per catechisti e predicatori.

Sono soprattutto le parti stampate in piccolo a dargli questo carattere. L’autore ritiene utile fornire le seguenti spiegazioni:

1. Questo catechismo è composto da tre parti: la prima tratta dei dogmi, la seconda della morale e la terza della grazia. Nella prima parte, Cristo appare come maestro; nella seconda, come re; nella terza, come pontefice. – Poiché questo catechismo risponde soprattutto alla domanda: “perché siamo su questa terra?” e che mette in particolare evidenza il sublime destino dell’uomo, è particolarmente adatto alla nostra epoca materialista, sensuale ed alla ricerca del piacere. Quasi tutti i discorsi del Salvatore riguardano anche il necessario. Il catechismo non è altro che un breve riassunto della dottrina di Cristo. Per questo il catechismo è come una guida, come una tabella di marcia del Cristiano verso il cielo. Prima tratta la meta del viaggio e poi del viaggio e poi i sentieri che portano ad essa. La prima parte comprende gli atti richiesti alla nostra intelligenza (dobbiamo cercare di conoscere Dio per fede nelle verità da Lui rivelate); la seconda, ciò che la nostra volontà debba fare (dobbiamo sottomettere la nostra volontà alla volontà di Dio, cioè osservare i suoi comandamenti); la terza parte si occuperà di ciò che dobbiamo fare per ottenere l’illuminazione della nostra intelligenza oscurata dal peccato originale e la forza della volontà indebolita da questo stesso peccato (dobbiamo acquisire la grazia dello Spirito Santo attraverso l’uso dei mezzi di santificazione; è infatti con la grazia  dello Spirito Santo che la mente viene illuminata e la volontà rafforzata). – Le parti principali di questo catechismo sono quindi ben coordinate, e le loro suddivisioni sono a loro volta così ben concepite e sistemate tra loro, che il collegamento logico delle verità della Eeligione è chiaramente evidente al lettore. Questo è molto importante, perché quanto più conosciamo l’intima connessione di tutte le verità religiose nel loro insieme, più saremo in grado di penetrare ciascuna di esse isolatamente. Infatti Ketteler dice giustamente: “L’intero catechismo è un sistema di verità fondamentali della Religione.. Se i bambini sono in grado di riconoscere questa grande, mirabile e celestiale struttura di insegnamenti divini in tutta la sua armonia, i colpi dell’inferno cadranno impotenti ai loro piedi.

2. Questo catechismo è stampato in caratteri di tre dimensioni. I caratteri GRANDI, formano come l’ossatura, quelli medi, come la muscolatura, quelli piccoli, come il sangue del catechismo. Quest’ultima parte avrebbe potuto essere omessa, senza che il catechismo cessasse di contenere le verità della Religione Cattolica; ma somiglierebbe come ad un uomo completamente anemico. Ora, di questi catechismi e manuali di istruzione religiosa, ce ne sono fin troppi, anemici e rivolti solo all’intelletto. E come un uomo privo di sangue non è in grado di lavorare, così la maggior parte di questi libri è rimasta incapace di smuovere il cuore dei Cristiani, e di accendere in loro il fuoco dell’amore per Dio e per il prossimo, un effetto che dovrebbe produrre ogni libro religioso, sermone o catechismo degno di questo nome.. Soprattutto, a questi libri mancava il calore dell’espressione che convince e va al cuore, quella forza giovanile e vivificante che è propria della parola dello Spirito Santo..

3. Lo scopo di questo catechismo è quello di formare in modo uguale e simultaneo le tre facoltà dell’anima, l’intelligenza, il cuore e la volontà; non ruota quindi intorno a semplici definizioni. Lo scopo principale di questo libro non è quello di trasformare l’uomo in una sorta di filosofo religioso, ma di farne un buon Cristiano, che pratichi la sua Religione con gioia. Per questo motivo ho semplicemente lasciato da parte, o perlomeno non ho trattato in modo approfondito le questioni di pura speculazione, né soprattutto le questioni controverse, che non servono alla vita pratica. In generale, mi sono sforzato di togliere alle verità religiose ogni parvenza di alta scienza e di presentarle in forma popolare e facilmente comprensibile. I termini di sapienza e tecnici che sono così spesso usati nei catechismi, anche da bambini (ricordate, ad esempio, la miriade di termini di cui sono pieni i nostri manuali nel capitolo sulla grazia) si troveranno invano in questo libro. Questi termini tecnici sono adatti alle scuole di teologia o, come dice padre Cl. Fleury, ai teologi di professione, ma devono essere evitati a tutti i costi in un catechismo o in un libro per il popolo. Tutto ciò che è scritto per i bambini o per la gente comune deve essere scritto in un linguaggio semplice e senza artefatti, come quello che hanno usato il Salvatore e gli Apostoli: questi scritti sono pensati per essere compresi, per muovere i cuori e le volontà, non per formare studiosi e tanto meno per torturare la mente con termini sfuggenti e rendere noiosa la Religione – . Il presente catechismo costituirà quindi un netto contrasto con la maggior parte dei libri simili apparsi finora: non si tratta di una rielaborazione di uno o più catechismi e manuali, è un’opera originale, basata sui principi della pastorale e della pedagogia. – Allo stesso tempo, vorrei sottolineare che la dottrina della Chiesa non è presentata in maniera arida, ma è stata resa interessante – per così dire, trasformata in lezioni di cose – attraverso figure, esempi, massime, citazioni di uomini illustri, il che dà a tutti questi insegnamenti piacere e fascino. Non c’è quindi da temere che un Cristiano si stanchi rapidamente di questo libro. Tuttavia, le citazioni dei Padri e di altri autori non sono sempre letterali; spesso ho preso in prestito solo i loro pensieri. I Padri in particolare (per poter agire più efficacemente sulle volontà) hanno prestato attenzione alla bellezza dell’espressione, ai periodi simmetrici ecc. che sono più dannosi che utili per i bambini o per il popolo. Per essi bisogna avere espressioni chiare e facili da afferrare. Gli stessi Apostoli non citano sempre l’Antico Testamento alla lettera, ma quanto al senso. Non c’è alcun inconveniente a riassumere i passi di un Padre: basta rendere esattamente il suo pensiero. Del resto io cito i Padri, non per dimostrare una verità, ma per rendere l’espressione più concreta e chiara.

4. Questo catechismo popolare è stato scritto secondo i principi della pedagogia. Ho quindi cercato di suddividere gli argomenti in modo pratico e con tabelle, di ordinare i pensieri in modo logico, di scegliere espressioni semplici, di usare proposizioni brevi, ecc.; in questo ho seguito il consiglio di Hirscher e i consigli dei più illustri Vescovi e catechisti contemporanei. – Allo stesso modo ho unito in un unico sistema – senza farne parti separate – tutti i rami dell’insegnamento religioso: catechismo, storia sacra, liturgia, apologetica, storia ecclesiastica; questa disposizione evita ovviamente la noia ed interessa anche la mente., il cuore e la volontà. Se in questo catechismo ho lasciato da parte la forma interrogativa che ci è stata tramandata dal Medioevo, credo di aver avuto ragioni molto serie per farlo. In primo luogo queste continue interrogazioni non corrispondono al principio della fede cattolica, perché la fede nasce dall’affermazione e non dalla domanda. Le verità della nostra santa Religione non sono così conosciute da poterle far approfondire al pubblico, devono essere comunicate prima con il metodo esplicativo. Non dobbiamo interrogarci su ciò che sia già noto. Inoltre, il metodo interrogativo, ostacola la brevità dell’insegnamento e, in parte, la sua chiarezza; infatti queste numerose domande impediscono una visione d’insieme, così come nell’esaminare gli alberi, non è più visibile la foresta. Non è bene ridurre in farina il seme della parola di Dio, essa non crescerebbe più nel cuore degli uomini. Una proposizione diversa da quella interrogativa è intelligibile almeno quanto una domanda e una risposta. Se un libro fosse destinato principalmente a sostenere un esame, il metodo interrogativo sarebbe ammissibile, ma quando le verità devono essere comprese a fondo il metodo espositivo è più conveniente.

5. Ho tenuto conto anche delle esigenze del mondo contemporaneo. Ho cercato di combattere il più possibile il materialismo egoista e sensuale. Questo è dimostrato dall’inizio del libro e dalla cura con cui ho trattato la morale. Non mi sono accontentato di aride definizioni e nomenclature di peccati e virtù, ma ho mostrato le virtù in tutta la loro bellezza, con tutte le loro felici conseguenze, i vizi in tutta la loro bruttezza e malizia, con tutte le loro disastrose conseguenze, ed ho sempre indicato i loro rimedi. I punti che sono di particolare importanza per il nostro tempo, lungi dall’essere tralasciati, sono stati trattati in dettaglio. Troveremo quindi qui parti che spesso mancano in altri catechismi.; al 3° comandamento di Dio, in accordo con le indicazioni del Concilio di Trento, si troverà il dovere di lavorare e la nozione di “lavoro”; nel 4° comandamento, i doveri verso il Papa ed il Capo dello Stato e i doveri elettorali dei Cattolici; 5° il prezzo enorme della salute e della vita, degli avvisi circa i danni alla salute causati da mode dannose, dall’abuso di alimenti contrari alle norme igieniche (alcol, caffè), l’abuso dei piaceri, l’adulterazione degli alimenti. Nel 10°, i principi socialisti sono trattati in modo molto popolare e immediatamente dopo c’è l’impiego della fortuna, del rigoroso dovere della elemosina. (Le opere di misericordia, da cui il Salvatore fa dipendere in particolare la mostra salvezza eterna, non sono relegate a caso in un angolo, ma occupano un posto di rilievo, in quanto scaturiscono direttamente dal decalogo). Quando si parla di occasioni di peccato, io parlo della frequentazione di cabaret, del ballare, andare a teatro, e così via, all’abbonamento a giornali cattivi; quando parlo di orgoglio, metto nella sua vera luce l’abuso delle toilettes e la follia delle mode del nostro tempo. Sul tema del matrimonio si affronta la questione del matrimonio civile, e subito dopo le confraternite religiose, le associazioni cristiane (laiche). Ho trattato ampiamente l’amore per Dio e per il prossimo che manca a tanti uomini di oggi, e approfitto della dottrina della Provvidenza per mostrare come dobbiamo sopportare i mali di questo mondo. Il modo di sopportare la povertà ed il dovere della gratitudine sono spiegati con non minori dettagli. In diversi passaggi, faccio presenti le apparenze ingannevoli dei beni terreni, e raccomando la pratica della rinunzia a se stessi. Parlo anche della cremazione dei cadaveri, dei congressi cattolici, delle rappresentazioni drammatiche della Passione e di altre pratiche contemporanee. Quindi nessuno può affermare che, in termini di contenuto e forma, questo catechismo sia un ritorno al Medioevo.

6. Questo catechismo, nella sua forma attuale, è indubbiamente soprattutto un libro di volgarizzazione ed un manuale per i catechisti e per i pastori d’anime; questi ultimi risparmieranno molto tempo, perché fornisce loro una miriade di paragoni e di esempi e suggerisce molte spiegazioni. Tuttavia, è scritto in modo tale che, abbreviando le parti in caratteri piccoli e, naturalmente, cambiando il formato, potrebbe essere facilmente trasformato in un catechismo scolastico, in linea con la pedagogia, che potrebbe essere utilizzato in tutte le classi. Le parti in caratteri grandi sarebbero sufficienti per i principianti (non mi riferisco ai bambini del primo e del secondo anno che conoscono solo la Storia Sacra); basterebbero anche per bambini di livello più avanzato, ma non molto dotati. Le parti in carattere medio sono destinate ai bambini più avanzati. Come nell’istruzione religiosa cattolica, è la parola viva del catechista che rimarrà sempre l’elemento capitale, poiché la fede viene dall’ascolto e non dalla lettura o dalla recitazione, sarà certamente sufficiente anche perché gli adulti conoscano bene queste due parti. Esse sono il fondamento su cui si costruirà l’edificio dell’istruzione religiosa attraverso la parola viva del catechista. In seguito si tratterà di estendere questa conoscenza attraverso una sorta di educazione teologica, ma di spiegarle in modo più tangibile, utilizzando nuove figure e nuovi paragoni e di motivarli più profondamente, in altre parole, di radicare maggiormente la convinzione religiosa. – La sezione in caratteri piccoli dovrebbe senza dubbio essere notevolmente accorciata, se questo libro dovesse essere utilizzato nella scuola; tuttavia, non dovrebbe essere eliminata del tutto. Infatti, questa parte offre ai bambini la possibilità di rinfrescare la memoria su ciò che hanno ascoltato nel catechismo. Il catechista, inoltre, è costretto ad introdurre nel suo insegnamento cose importanti, senza contare che questa parte facilita considerevolmente la preparazione ed il lavoro a scuola. Inoltre, rende possibile mantenere il libro per le scuole secondarie e sarà utile anche ai genitori degli alunni. Infatti, i genitori che si occupano dell’educazione religiosa dei propri figli a casa, dovranno necessariamente gettare lo sguardo sui passaggi in caratteri piccoli e saranno introdotti, quasi giocando, alla comprensione della dottrina cristiana. Mediteranno sulle verità religiose, senza rendersene conto, e possiamo vedere dalle vite dei Santi e dei personaggi illustri quanto sia potente la leva di questa meditazione per perfezionare la vita e rafforzare le convinzioni cristiane. – I nostri tempi burrascosi in particolare hanno bisogno di portare lo spirito cristiano nelle famiglie attraverso la scuola. – Hirscher, quel famoso catechista, diceva: “Il catechismo non ha forse lo scopo di suggerire al catechista i punti principali mezzi di edificazione? O dovremmo lasciare a ciascuno il compito di scoprire cosa possa contribuire all’edificazione? Ed ancora, ciò che è stato detto per l’edificazione, non dovrebbe essere messo stampato nei punti essenziali davanti agli occhi dei catecumeni, affinché si ricordino delle impressioni ricevute e che la lettura rinnovi in loro i sentimenti che erano stati risvegliati in precedenza? Ahimè! tutto ciò che non viene messo davanti agli occhi dei catecumeni viene di solito dimenticato in fretta! Quindi, se vogliamo che le emozioni, i primi propositi, ecc. persistano, dobbiamo conservare l’espressione nel testo del catechismo ed i punti di dottrina. Il catechismo sarà allora un libro di istruzione, ma altrettanto essenzialmente un libro di edificazione. E se il catechismo non è attraente a causa della parte riservata all’edificazione, sarà un libro che verrà rifiutato al più presto e non sarà certo toccato in seguito. (Le mie preoccupazioni sull’utilità del nostro insegnamento religioso sono sopra esposte). – Si consideri, inoltre, il notevole sviluppo degli attuali libri scolastici. E sarebbe il libro destinato all’insegnamento più importante a ridursi ad un formato più ristretto!!? Il catechismo, al contrario, dovrebbe essere il libro di divulgazione per eccellenza, da cui il popolo attinga la propria fede! Le verità religiose non dovrebbero essere presentate sotto forma di uno scheletro con i contorni più elementari, esse non devono essere insegnate con un tono arido e uniforme. Vorrei aggiungere che ho cercato di dare al mio catechismo popolare lo sviluppo di un essere organizzato: un tale catechismo estende la conoscenza religiosa nei bambini, come per cerchi concentrici, ed è così che vedo un buon catechismo. Così come un albero nella sua crescita non cambia continuamente il suo tronco e i suoi rami, così il Cristiano, crescendo nella conoscenza della verità religiosa (II. S. Pietro III, 12) non deve modificare continuamente la base su cui poggia questa conoscenza. Un architetto non strapperà mai le fondamenta per alzare un po’ l’edificio! Ecco perché è bene utilizzare un solo manuale di istruzione religiosa. Chiunque lo abbia studiato a fondo, nella sua vita non sarà un Cristiano solo di nome; di lui si dirà: “Temo l’uomo di un solo libro”. E se sono assolutamente necessari diversi manuali, che almeno siano scritti secondo un unico e medesimo sistema. Il grande catechismo deve contenere completamente il piccolo. In altre parole, il catechismo grande deve nascere dal piccolo. Ora, se il catechismo grande si è distinto per la differenza dei caratteri, la materia per i piccoli e per i grandi, i catechismi piccolo e medio non sono più indispensabili accanto a quello grande. Se i bambini hanno sempre lo stesso libro, la memoria locale sarà molto più facile per loro. – Che questo piccolo libro cristiano inizi il suo viaggio nel mondo! Che possa contribuire molto alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime: possa soprattutto alleggerire il carico di lavoro dei catechisti! Per assicurargli la benedizione di Dio, l’ho dedicato alla Madre di Dio, all’Immacolata Concezione.

Francesco Spirago.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (II)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (8)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (8)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo terzo (3)

LA LEGGE DELL’AMORE

III. – L’AMORE DI NOI STESSI

E’ famosa nella storia della Chiesa la polemica svoltasi un giorno fra Bossuet e Fénelon. Il Vescovo di Cambrai, nel suo Livre des maximes des Saints, sosteneva che il timore dell’inferno o la speranza del paradiso corrompevano la purezza dell’amore e che non v’era amore vero, se non quando l’anima amava Dio esclusivamente per Lui stesso, senza pensare a sé. « V’è uno stato abituale d’amore di Dio — diceva Fénelon — che è una carità pura, senza miscuglio alcuno dei motivi di interesse nostro. Nè paura di castighi, né desiderio di premio hanno parte a questo amore ». Un’anima, anzi, può essere persuasa, d’una convinzione invincibile e riflessa, che è riprovata da Dio ed in pari tempo amare Dio e fargli il sacrificio assoluto della propria eterna felicità. La ricompensa è il motivo specifico e l’oggetto formale di un’altra virtù: la speranza. – Il Vescovo di Meaux, invece — ed il suo Traité sur les états d’oraison sviluppa la sua idea, appoggiandosi su tutti i Padri, e specialmente sui due suoi preferiti, san Bernardo e sant’Agostino, ragionava press’a poco così: se noi amiamo Dio, dobbiamo volere tutto ciò che Egli vuole ed amare tutto ciò che Egli ama; orbene, Dio ama noi e vuole la nostra beatitudine; perciò, il vero e puro amore di Dio comprende l’amore di noi stessi, l’aspirazione alla nostra beatitudine, il timore di perderla. « E’ dunque chiaro che tale desiderio e la domanda della felicità futura, malgrado le raffinatezze dei nuovi mistici, secondo i sentimenti di tutti i santi cominciando dagli Apostoli, appartengono alla carità ed alla carità perfetta ». Gesù, del resto, nel Vangelo continuamente ci incita a pensare alla salvezza della nostra anima, ad agire bene per conquistare la vita eterna, a fuggire il male per non cadere nell’inferno. Noi sappiamo come la Chiesa sia intervenuta nella polemica ed abbia dato ragione a Bossuet, mentre Fénelon umilmente s’inchinava e si sottometteva al giudizio della Santa Sede. Ma sappiamo anche come l’episodio sia il simbolo d’un conflitto, che nel campo della morale dura da secoli, tra la felicità e la virtù, tra l’utile ed il bene. Questi due concetti hanno dato del gran filo da torcere ai moralisti ed intorno a questo problema, da Socrate a Platone, da Aristotele sino a Hobbes ed all’utilitarismo inglese, da Cartesio e da Leibniz sino a Rousseau, a Kant ed a Hegel, si è travagliata la filosofia e si è suscitata viva la discussione fra coloro stessi che sono profani ai dibattiti filosofici. Da un lato, è innegabile che esiste in noi una tendenza irresistibile alla felicità. Per quanto i filosofi discordino nel resto, nota il Cathrein, su questo punto si trovano tutti all’unisono. Scegliamo alcune testimonianze dalle più svariate tendenze filosofiche. Aristotele, che in tutte le sue indagini muove da fatti sperimentali sicuri, nel primo capitolo della sua Etica a Nicomaco prese come punto di partenza di tutta la sua teoria la tendenza naturale alla felicità. Egli affermò esser manifesto che tutti aspirano alla felicità perfetta. Allo stesso fatto accennò spessissimo Platone nei suoi Dialoghi, specialmente nel Convito, nel Gorgia e nel Politico. Cicerone, nell’Ortensio, partiva dalla massima assolutamente costante, di cui nessuno può dubitare: cioè, dal desiderio ardente di essere felice, comune a tutti gli uomini. Gli stessi Stoici, del resto avversi a ogni genere di soddisfazione, qualificavano la felicità come fine etico dell’uomo. Ad essi tenne dietro lo stoico dell’età moderna. « Esser felice, pensava Kant, è necessariamente il desiderio di ogni creatura ragionevole, finita; conseguentemente un motivo inevitabile del suo appetito.. Che abbia seguito la medesima opinione tutta la turba degli eudemonisti moderni, i quali rappresentavano la felicità possibile ed immaginabile con la suprema norma morale, è inutile ricordarlo. Anche il padre del pessimismo moderno, Schopenhauer, fu della stessa opinione: « L’uomo vuole incondizionatamente conservare la sua esistenza; vuole esser assolutamente libero di dolori; vuole la maggior quantità possibile di benessere ed ogni godimento di cui è capace ». Lo stesso Fénelon riconosceva che « l’inclinazione naturale e indeliberata alla beatitudine è invincibile come l’amore alla vita »; e solo aggiungeva che si può non seguirla negli atti deliberati, alla stessa guisa che, nonostante l’inclinazione spontanea alla vita, si può risolvere deliberatamente di morire. Tutti, dunque, vogliono essere felici; e l’utile è voluto da tutti, anche dai filosofi che cercano di deprezzarne il valore a vantaggio del bene. Dall’altro lato, però, non si può neppure negare che la coscienza morale, se non fa le necessarie distinzioni, quando uno aspira alla propria utilità e tende al suo vantaggio personale, si rifiuta di parlare di atto virtuoso. Molti, anzi, restano perplessi e scombussolati dinanzi a certi disinteressatissimi pensatori e scrittori dei giorni nostri, i quali accusano Cristo di avere insegnato una morale interessata, basata sul paradiso e sull’inferno, e dicono: « Si deplorano gli strozzini, quando fanno dei prestiti al cinquanta per cento; ma che si deve dire del Cristiano, che, agendo per una felicità eterna, fa dei prestiti a Dio all’infinito per uno? Il motivo utilitario del cielo o del fuoco infernale altera il carattere morale di un’azione e ci spinge fra le braccia dell’egoismo. È immorale agire per l’inferno o il paradiso. V’è un’etica più alta, più nobile, più disinteressata, che ripudia cupidità di calcoli, volgarità di compensi, tenebre di paure, e vive nelle serene regioni del disinteresse.

Come si vede, l’argomento non potrebbe essere più interessante.

1. – L’utile ed il bene

Per non giocare con le parole e per non cadere negli equivoci, gioverà premettere un’osservazione. L’utile può essere considerato in due modi: in astratto ed in concreto.

1. In astratto, il concetto di utilità nulla dice pro e contro la morale. È ridicolo confondere l’utilità con l’egoismo, tant’è vero che si può ricercare la propria utilità, senza essere egoisti. Ad es., gli operai di una grande società anonima odierna vanno all’officina, lavorano e sudano non già perché si sdilinquiscano d’amore per gli azionisti che non conoscono neppure, ma per avere il loro salario giornaliero o settimanale, ossia per il loro utile; c’è forse qualche puritano che vuol scagliare pietre contro questi lavoratori, accusandoli di egoismo? – L’aspirazione alla nostra felicità è stata posta da Dio nei nostri cuori ed è fonte di mille benefiche conseguenze: sveglia, eccita, suscita energie: sprona, suggerisce ed incoraggia iniziative; e quando è regolata, ossia subordinata alla morale, è una delle forze umane più provvidenziali. Oh, che dovremmo forse agire per essere infelici? Ciò non sarebbe la negazione dell’egoismo; sarebbe uno schietto cretinismo.

2. In concreto, possiamo tendere alla nostra utilità in due maniere: o facendo di noi il centro della realtà (concezione antropocentrica); o ponendo a centro dell’universo Iddio (visione teocentrica). Nel primo caso, sì, abbiamo un utile egoistico, e che perciò contrasta con la morale. L’egoismo consiste nell’erigere il proprio io ad Assoluto, a Dio, e nel sacrificare gli altri a noi. Mi è utile avere un’automobile: e la rubo. Mi è utile stracciare un trattato: e lo definisco un pezzo di carta. Si scorge allora la miseria, intellettuale e morale, dell’etica utilitarista. Sia che si tratti d’un utile individuale, oppure d’un utile nazionale o collettivo, non è mai riducibile il concetto morale a quello di utile e, quando si tenta una simile operazione, si nega la moralità. Mi è utile avere un milione; ma posso forse appropriarmelo indebitamente, pur sfuggendo alle reti del codice penale? Mi è utile opprimere un’altra nazione libera ed indipendente; ma è forse morale questo? Fra l’altro, la morale deve dirmi se un’azione è buona o cattiva, prima che io la compia. Se avessero ragione gli utilitaristi, io non potrei sapere se un atto è buono o cattivo, se non dopo averlo compiuto, perché solo allora è possibile giudicare della sua utilità. Ad es., la Germania nel 1914 ha invaso il Belgio per passare in Francia: era lecito un simile procedimento? Secondo gli utilitaristi, il governo tedesco sarebbe stato moralissimo facendo invadere il Belgio, se la ciambella fosse riuscita col buco; dato che l’invasione del Belgio ha cominciato a rovinare tutto il piano prestabilito dagli invasori, bisognerebbe oggi concludere che quel governo ha agito in modo immorale. È forse lecito un simile sragionamento?.-Nel secondo caso, quando poniamo non solo teoricamente, ma anche praticamente Dio al centro della realtà, il cercare la propria utilità, ossia la propria felicità, non solo non fa a pugni con la morale, ma non ci può essere atto morale che non sia utile e non ci orienti alla felicità. Si può concepire un Dio, Ragione perfetta e perfetto Amore, il quale costituisca un universo, in cui chi agisce moralmente debba affrontare quaggiù mille sacrifici e battaglie e che poi in compenso, debba andare incontro alla propria infelicità? Può un Dio-Amore crearci per renderci infelici, non per colpa nostra, ma per suo volere? Essenzialmente diverse sono l’utilità egoistica e questa felicità che consegue all’amore nostro per Dio. La prima fa del proprio io l’Assoluto; l’altra considera come fine ultimo Dio e la propria felicità come fine subordinato. La prima è l’aspirazione all’utilità immediata (anche scevra d’onestà), che passa e sfuma; l’altra è l’utilità immedesimata con l’onestà e giudicata dal punto di vista di Dio, ed è la sicurezza che l’atto morale conduce alla gioia nonostante le angustie, i sacrifici, i dolori del presente. L’uno ripone la felicità nelle piccole cose transeunti; l’altra la ripone (come vedremo, parlando della sanzione della morale) in Dio, ossia nella visione intuitiva e nell’amore di Dio, che saranno il massimo perfezionamento soprannaturale del nostro spirito e della nostra personalità.

2. – Amore perfetto ed imperfetta di Dio

Quali sono, adunque, i principi della morale cristiana a proposito delle azioni fatte con l’aspirazione alla felicità? Si possono ridurre a due. Li esporremo con semplicità.

1. Se uno dovesse fare il bene od evitare il male escludendo l’amore di Dio, ma unicamente per amore di sè, non compirebbe un atto naturalmente onesto, nè un atto cristianamente buono. E quando Ippolito Taine ha definito la virtù: « Un egoismo, munito di cannocchiale lungimirante », ha semplicemente preso un grazioso granchiolino.

2. Perchè ci sia un atto cristianamente buono, occorre l’amore o imperfetto o perfetto di Dio. Supponiamo che una persona ci aiuti, ci soccorra disinteressatamente, ci dimostri un vero amore. Nel cuore nostro noi distinguiamo due sentimenti, che si intrecciano insieme, che anzi si fondono in una sola cosa, tanto che solo all’analisi minuta si mostrano distinti. Noi, cioè, siamo contenti per i benefici ricevuti da quella persona (e ciò si riferisce a noi) e sentiamo gratitudine per il benefattore (e ciò riguarda non noi, ma l’altra persona). Questa gratitudine è amore, che non è confondibile col vantaggio ricercato, che resta anche quando io non abbia più bisogno di aiuto, che ci fa amare quella persona in quanto è buona in sè e buona per noi. La sua bontà noi l’abbiamo conosciuta attraverso l’utile nostro; e fu l’utile nostro ciò che ha suscitato in noi l’amore; ma l’amore che portiamo poi alla persona non è proporzionato alla quantità di bene che ci ha fatto, ma alla sua intima bontà. Noi l’amiamo, quindi, e perché è degna in sé di essere amata e perché ci ha beneficato. Tale amore noi lo chiamiamo imperfetto, perché, pur non essendo riducibile all’egoismo né ispirato al gretto utilitarismo, ha però come motivo anche il proprio utile. Qualora invece noi, da questo primo gradino dell’amore, dovessimo ascendere più in alto ed amare quella persona prescindendo dai benefici avuti, solo per se stessa, perché è degna di essere amata, avremmo un amore perfetto e d’amicizia. – Amare Dio per i beni ricevuti, per la rugiada di grazie naturali e soprannaturali che ha fatto piovere sopra di noi, per il paradiso che ci prepara; amarlo perché gli siamo grati di essere morto per noi sulla Croce e d’averci redenti; non offenderlo, e perché gli siamo riconoscenti ed anche perché non vogliamo perdere la nostra vera felicità ed anzi la speriamo da Lui, non è un male; anzi è buona ed ottima cosa; e l’azione immorale calpesta tutti questi nobilissimi motivi, che il Vecchio ed il Nuovo Testamento ci inculcano, ci raccomandano, ci ingiungono; ma in questo caso noi amiamo imperfettamente Iddio. Il nostro diventa amore perfetto, quando — da questo trampolino della riconoscenza, del santo timore suo (da non confondersi col timore servile), dalla speranza, in una parola dall’amore per Dio che implica anche, subordinatamente, l’amore giusto e ragionevole per noi — spicchiamo il salto a Dio amato unicamente per sé, per le sue perfezioni infinite. – Si tratta di due categorie di amore, nelle quali l’amore perfetto racchiude l’imperfetto e lo supera. Io le paragonerei al raggio ed al sole. Con l’amore imperfetto noi guardiamo Dio nei suoi benefici, ossia nei raggi del suo Amore; con l’amore perfetto noi ci tuffiamo nel Sole, dal quale partono bensì i raggi, ma è infinitamente più bello in se stesso ed è la pienezza dell’Amore. Felicità nostra (utile) e amore non son cose che contrastino tra loro, né se ci poniamo a guardarle in rapporto a Dio, né in rapporto a noi, né in rapporto all’atto morale. Dio, perché Amore, deve volere la nostra felicità e la vuole; e noi volendo Dio e amandolo, vogliamo la nostra felicità, che consiste in Lui e in Lui si assomma. Noi, se amiamo Dio, ossia se viviamo moralmente e cristianamente bene, siamo felici: abbiamo, nello stesso periodo della prova, la tranquilla dignità della nostra coscienza e la convinzione del vantaggio che al prossimo nostro deriva dal dovere compiuto e dall’amore fraterno praticato; avremo, nell’altra vita, il coronamento supremo degli sforzi fatti, ossia il paradiso, in cui la felicità consiste nella visione e nel possesso di Dio e nell’amore. Là, nel paradiso, utile e bene coincidono. In se stesso, l’atto morale è sempre utile, come la vera utilità (non effimera e passeggera) è sempre morale, procedendo l’utile ed il bene dall’unico Dio, che essendo Amore, ci vuole felici e buoni e che, quanto più noi dimentichiamo il nostro piccolo io e trascuriamo noi stessi per amor suo, tanto più ci rende e ci renderà felici e contenti. Chi è più felice del vero e perfetto Cristiano? Colui che ama Dio solo per Dio, ogni volta che ha un dolore lo santifica e lo cambia in un atto di amore; ogni volta che ha una gioia, invece di fermarsi al raggio, sale al Sole e benedice ed ama Dio in se stesso, ed in questo raggiunge la massima gioia.

3. – Conclusione

Nei laboratori di biologia si fanno tante volte esperimenti sopra animali che si uccidono e si tagliano a pezzi. Uccidere un cane, un gatto o un coniglio, non è difficile per lo scienziato; ma ciò che nessun laboratorio riesce a fare, è l’operazione inversa: raccogliere, cioè, le varie parti divise in un tutto unico e vivificarle ancora. press’a poco, se non erro, ciò che capita in morale. I filosofi prendono l’atto morale, vivo, uno ed unico, e lo uccidono, lo tagliuzzano, lo esaminano pezzo a pezzo, e sovente conservano un pezzo solo, gettando via le altre parti. Ed ecco allora pullulare i sistemi, ognuno dei quali ha nelle sue mani un lato dell’atto morale e si illude di possedere il tutto unico, già precedentemente rovinato. E chi si sofferma sulla materia dell’atto morale, chi sulla forma; chi parla dell’utilità dell’atto buono e chi discorre di ciò che costituisce la moralità dell’azione; chi guarda il vantaggio sociale dell’atto morale e chi mira al perfezionamento intimo della personalità umana da esso causato. E, di divisione in divisione, si vanno moltiplicando i punti di vista, i metodi d’indagine, le costruzioni sistematiche. Queste ultime, non possono abbracciare l’azione etica nel suo complesso e nelnfremito della sua vita: la sintesi è impossibile, quando nel processo analitico si è perduta l’anima unificatrice.

Il Cristianesimo, mi pare, è più profondo, più comprensivo. Nessun punto di vista è da esso trascurato. Materia e forma dell’atto morale, utile e bene, natura e soprannatura formano un unico tutto, dove Dio, l’amore del prossimo ed il nostro bene sono tre punti organicamente congiunti. Non si può amare Dio, senza amare noi e gli altri; non è possibile raggiungere la felicità, se non nell’amore di Dio e del prossimo; non è possibile considerare gli altri, prescindendo da Dio e da noi. Le verità parziali degli altri sistemi sono qui raccolte, e non in una somma; ma in una sintesi vivente. Anche per questo motivo i sistemi di morale, persino i più alti, hanno avuto un’efficacia scarsissima nella formazione delle coscienze; mentre da venti secoli Cristo è il grande educatore dell’umanità.

Riepilogo.

Gesù stesso ha sintetizzato la sua morale nel precetto dell’amore: dobbiamo amar Dio sopra ogni cosa ed il prossimo come noi stessi. E’ necessario, perciò, analizzare questa legge suprema dell’etica cristiana, studiando l’amore di Dio, l’amore del prossimo e l’amore che dobbiamo a noi.

I. – L’AMORE DI DIO. – Il vero amore di Dio, nel quale consiste la morale di Cristo, non è il semplice amore della creatura per il Creatore, bensì l’amore soprannaturale, il cui principio ci è infuso dallo Spirito Santo, col quale amiamo Dio come Padre. Tale amore presuppone quaggiù la fede ed implica la speranza. Di conseguenza, l’amore di Dio, voluto da Cristo:

a) non è l’amore sensibile, ossia non può essere confuso col sentimentalismo

b) non è un amore di pure parole. Esso, al contrario esige:

a) che si ami Dio con tutto il cuore;

b) con tutta la mente;

c) con tutte le forze, ossia con la volontà e le azioni nostre.

E si distingue:

a) in un amore comandato, che ci dà il campo del dovere o dei precetti;

b) e in un amore consigliato, che è il campo dei consigli.

L’amore di Dio implica che si faccia la sua volontà. Di qui deriva sia il vero concetto della rassegnazione cristiana e della santa indifferenza ignaziana, come altresì la valutazione esatta intorno alla vita attiva o contemplativa.

II. – L’AMORE DEL PROSSIMO. — E’ un comandamento « nuovo», portato da Cristo, perché non consiste solo in un amore umano, a base di pura umanità, ma in un amore umano divinizzato. Essendo tutti i Cristiani uniti a Gesù Cristo e formando con Gesù un unico organismo, noi:

a) siamo tutti fratelli in Cristo;

b) amiamo con Cristo — ed il nostro amore umano per il prossimo è sublimato dalla sua grazia soprannaturale;

e) amiamo Cristo nei nostri fratelli, né potremmo dire di amare Gesù, se non amassimo anche il nostro prossimo.

III. – L’AMORE A NOI STESSI. — I filosofi discutono da secoli intorno ai rapporti esistenti fra l’utile e il bene, fra la felicità e la virtù, cioè fra l’amore a noi e l’amore a Dio o agli altri. La morale cristiana risolve tali questioni osservando che noi possiamo tendere alla nostra felicità in due modi: o amando noi sopra ogni cosa, facendo del nostro io il centro dell’universo e subordinando tutto a noi (ed in questo caso siamo egoisti, non Cristiani); ovvero amando Dio sopra ogni cosa. È evidente che amare Dio significa volere ciò che Egli vuole; e siccome Egli vuole e non può non volere la nostra felicità, anche noi dobbiamo tendere a quest’ultima, come a fine subordinato. Quindi:

a) chi dovesse fare il bene od evitare il male unicamente per amore di sé escludendo l’amore di Dio, non compirebbe un atto morale, cristianamente buono;

b) chi fa il bene od evita il male solo per amore di Dio, agisce moralmente, con amore perfetto.

Novena a San LORENZO

NOVENA A S. LORENZO (inizia 1 agosto, festa 10 agosto)

martirizzato col Papa S. Sisto sotto Valeriano nel 257.

I. O glorioso S. Lorenzo, che, fatto pel vostro disinteresse, pel vostro zelo, il primo dei sette diaconi della Chiesa romana, quindi custode e amministratore di tutti i di lei beni per il sollievo dei poveri e pel decoro del culto divino, chiedeste ardentemente ed otteneste di seguire il sommo Pontefice S. Sisto nella gloria del martirio, ottenete a noi tutti la grazia di viver sempre staccati da tutte le cose del mondo, e di riguardare come guadagni i patimenti e i travagli di questa terra. Gloria.

II. Glorioso S. Lorenzo, che, prossimo a spargere il sangue per la fede di Gesù Cristo, vi esercitaste in tutte le opere dell’umiltà e della carità evangelica, lavando i piedi ai ministri degli altari, dispensando ai poveri tutte le ricchezze, restituendo alla fede  Ippolito, custode del vostro carcere, ottenete a noi tutti la grazia di non consumare il sacrificio di nostra vita senza aver prima colla pratica delle cristiane virtù adunati grandi meriti pel Paradiso. Gloria.

III. Glorioso S. Lorenzo, che dopo aver con eroica intrepidezza sostenuti gli slogamenti della tortura, i laceramenti degli scorpioni di ferro, con un eroismo non più veduto, vi rideste dei carnefici e dei tiranni mentre eravate arrostito a fuoco lento su d’una ferrea graticola, per cui si estese la vostra fama a tutto il mondo, ottenete a noi tutti la grazia di mantenerci sempre immobili nella fede, malgrado tutte le tentazioni del demonio e le persecuzioni del mondo, e di vivere in tale maniera da meritarci nell’altra vita la vostra beata immortalità. Gloria.

(G. Riva: Manuale di Filotea, XXX Ed.1888, Milano)

1 AGOSTO (2023) FESTA DI SAN PIETRO IN VINCOLI

Sotto l’imperatore Teodosio il giovane, Eudossia, sua sposa, essendo andata a Gerusalemme per sciogliere un voto, vi fu colmata di numerosi doni. Il più prezioso di tutti fu il dono della catena di ferro, ornata d’oro e di gemme, colla quale si affermava essere stato legato l’Apostolo Pietro da Erode. Eudossia, dopo aver venerato piamente detta catena, l’inviò in seguito a Roma, alla figlia Eudossia, che la portò al sommo Pontefice. Questi a sua volta glie ne mostrò un’altra colla quale lo stesso Apostolo era stato legato sotto Nerone.

Mentre dunque il Pontefice confrontava la catena conservata a Roma con quella portata da Gerusalemme, avvenne ch’esse si unirono talmente da sembrare non due, ma una catena sola fatta dallo stesso artefice. Da questo miracolo si cominciò ad avere tanto onore per queste sacre catene , che la chiesa del titolo d’Eudossia all’Esquilino venne perciò dedicata sotto il nome di san Pietro in Vincoli, in memoria di che fu istituita una festa al 1° Agosto.

Da questo momento, gli onori che usavasi tributare in questo giorno alle solennità dei Gentili, si cominciò a darli alle catene di Pietro, il contatto delle quali guariva i malati e scacciava i demoni. Il che avvenne nell’anno dell’umana salute 969 a un certo conte, famigliare dell’imperatore Ottone, il quale essendo posseduto dallo spirito immondo, si lacerava coi proprii denti. Condotto per ordine dell’imperatore dal Pontefice Giovanni, non appena le sante catene n’ebbero toccato il collo, il maligno spirito se ne fuggì all’istante lasciando libero l’uomo: dopo di che la devozione alle sante catene si diffuse in Roma sempre più.

Omelia di sant’Agostino Vescovo
Sermone 29 sui Santi, alla metà


Pietro è il solo degli Apostoli che meritò di udire: «In verità ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» Matth. 16,18; degno certo d’essere, per i popoli di cui sarebbesi formata la casa di Dio, la pietra fondamentale, la colonna di sostegno, la chiave del regno. Così leggiamo nel sacro testo: «E mettevano fuori, dice, i loro infermi, affinché, quando Pietro passava, almeno l’ombra sua ne coprisse qualcuno» Act. 5,15. Se allora l’ombra del suo corpo poteva portare soccorso, quanto più ora la pienezza del suo potere? se, mentr’era sulla terra, si sprigionava al suo passaggio tal fluido salutare per i supplicanti, quanta maggior influenza non eserciterà ora ch’è nel cielo? Giustamente, dunque in tutte le chiese cristiane si ritiene più prezioso dell’oro il ferro delle catene onde egli fu legato.

Se fu sì salutare l’ombra del suo passaggio, quanto più la catena della sua prigionia? Se la fuggitiva apparenza d’una vana immagine poté avere in sé la proprietà di guarire, quanta maggior virtù non meritarono d’attrarre dal suo corpo le catene onde egli soffrì e che il peso impresse nelle sacre membra? S’egli a sollievo dei supplicanti fu tanto potente prima del martirio, quanto più efficace non sarà dopo il trionfo? Benedette catene, che, da manette e ceppi dovevano poi cambiarsi in corona, e che toccando l’Apostolo, lo resero così Martire! Benedette catene, che menarono il loro reo fino alla croce di Cristo, più per immortalarlo, che per farlo morire!

Omelia di sant’Agostino Vescovo
Trattato 28 su Giovanni

Quando dunque [Gesù] si nascose come uomo, non dobbiamo credere che perdesse la sua potenza, ma volle dare un esempio alla (nostra) debolezza. Giacché quando volle Lui, fu preso: quando volle, fu ucciso. Ma siccome più tardi i suoi membri, cioè i suoi fedeli non avrebbero avuto quel potere che aveva Lui

l’Iddio nostro nascondendosi, sottraendosi quasi per evitare di essere ucciso, faceva capire che i suoi membri agirebbero così, e, in questi suoi membri, c’è Lui stesso.

Dal Breviario romano.

Psalmus 96

96:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: * læténtur ínsulæ multæ.
96:2 Nubes, et calígo in circúitu ejus: * justítia, et judícium corréctio sedis ejus.
96:3 Ignis ante ípsum præcédet, * et inflammábit in circúitu inimícos ejus.
96:4 Illuxérunt fúlgura ejus orbi terræ: * vidit, et commóta est terra.
96:5 Montes, sicut cera fluxérunt a fácie Dómini: * a fácie Dómini omnis terra.
96:6 Annuntiavérunt cæli justítiam ejus: * et vidérunt omnes pópuli glóriam ejus.
96:7 Confundántur omnes, qui adórant sculptília: * et qui gloriántur in simulácris suis.
96:7 Adoráte eum, omnes Ángeli ejus: * audívit, et lætáta est Sion.
96:8 Et exsultavérunt fíliæ Judæ, * propter judícia tua, Dómine:
96:9 Quóniam tu Dóminus Altíssimus super omnem terram: * nimis exaltátus es super omnes deos.
96:10 Qui dilígitis Dóminum, odíte malum: * custódit Dóminus ánimas sanctórum suórum, de manu peccatóris liberábit eos.
96:11 Lux orta est justo, * et rectis corde lætítia.
96:12 Lætámini, justi, in Dómino: * et confitémini memóriæ sanctificatiónis ejus.
V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (46): “INDICE DEGLI ARGOMENTI – V”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (46)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -V-

 DIO PERMETTE IL PECCATO

  1. Il peccato angelico.

D 1a. a. – IL FATTO

Il diavolo decadde dal sommo bene 286; il diavolo e gli altri demoni da se stessi (ossia per il proprio arbitrio) sono diventati malvagi 325 794 800.

D 1b. b. – CATTIVE CONSEGUENZE.

1ba. Male personale. La pena del diavolo fu la dannazione a. eterna (286) a411 a801; Si riprova: [In futuro ci sarà la conversione ossia la reintegrazione del demonio mediante la crocifissione di Cristo] a409 411.

1bb. Male sociale. Il diavolo cerca l’occasione per nuocere, soprattutto nell’ora della morte 1694; per la suggestione del diavolo l’uomo ha peccato 800.

Il peccato è il cadere in potere del diavolo, ossia è il dominio del diavolo (sull’uomo) 1347 1349 1521 1668; il diavolo è (nel senso stretto suddetto) l’autore del peccato e della morte del genere umano 291; ottiene l’impero della morte 291 1511; Spiegazioni riprovate dell’influsso (o violenza) dei demoni nel peccato dell’uomo 736 2192 2241-2253 3233s.

2. Il peccato umano in genere.

D 22a. a. — NATURA DEL PECCATO.

Il peccato è —: l’avversione a Dio 1525; — : offesa a Dio 3891; —: trasgressione libera della legge d Dio 2291; il peccatore è nemico di Dio 1528.

Il concetto erroneo circa il peccato si presuppone nelle affermazioni riprovate —: circa la concupiscienza che non è propriamente e veramente un peccato nei rinati, ma si chiama così, perché è dal peccato e ad esso inclina 1012 1452 1515 1950s 1974-1976; —: [Dio può comandare l’odio di Dio] 1049: [né l’azione,, né la volontà né la concupiscenza né il piacere sono peccato, né dobbiamo cercare di estinguerlo] 739; — circa il peccato filosofico 2291.

Condizioni del peccato: vd. In K la (Condizioni dell’atto morale).

D 2b. b. — DISTINZIONI DEL PECCATO.

2ba. Distinzione teologica. Esiste una ragione discriminatoria tra i peccati: peccati capitali (ossia criminali, gravi, a. mortali) e peccati piccoli (ossia minuti, b. lievi, c. veniali) a795 a835 a838s a858 a897 a926 a965 a1002 a1306 bc1537 a1577 a1638 ac1680 b1920 ac2257 b3375 ac3381.

Si riprova: [l’unico peccato mortale è l’infedeltà] 1544 1577.

Effetto del peccato mortale: l’inimicizia con Dio 1680; perdita della grazia giustificante 1544; perdita dell’eterna beatitudine (1456) 1705; esclusione dal regno di Dio 835; sottomissione al potere del diavolo 1347 1349 1521 1668: la dannazione eterna, l’inferno 780 839 858 1002 1075 1306; add.: L 6c

(Cause della dannazione); oltre alla pena eterna è inflitta anche una pena temporale (1543) 1715.

Tuttavia col peccato mortale di per sé non è persa la fede 1544 1578.

Il peccato veniale è di tal fatta che pur gli uomini santi cadono in esso durante questa vita. 1537 1680; l’uomo può evitare i peccati veniali per tutta la vita, solo per uno speciale privilegio 1573; sempre l’uomo potrà dire di avere con sé il pecccato 228-230; si riprova.: [Per via interna il quietismo perviene ad un tale stato d’animo per cui non si commette alcun peccato veniale] 2256-2258.

Col peccato veniale l’uomo non è escluso dalla grazia (giustific.) 1537 1680; ma anche dopo la morte può essere fatta la necessaria purgazione 838; si riprova [Nessun peccato per sua natura è veniale, ogni peccato merita la pena eterna] 1920; remissione dei veniali: vd. in D 2e.

2bb. Distinzione specifica. Riprov. asserz. più lassa di a. godere del male altrui, b. tristezza per il bene dell’altro, c. desiderio del male altrui abc2113 c2114 a2115.

D 2c. C. — CAUSA DEL PECCATO

Solo la medesima volontà dell’uomo è la causa del peccato: non pecca se non consenziente alla tentazione della concupiscenza 1515 1950 1966s.

Non è Dio la causa: si condanna: [Dio opera il male non solo permettendolo, ma anche in senso proprio] 1556; Dio non comanda cose impossibili (397) 1536 1568 (1572) 1954 2001 2406 2619 (3718).

Il diavolo è causa solo per modo di persuasione: cf. D lbb.

D 2d. d. — OCCASIONI DEL PECCATO.

Le occasioni del peccato sono da fuggire: è riprovata l’affermazione più blanda 2161-2163.

Bisogna resistere alle tentazioni: non è sufficiente una resistenza meramente negativa quietistica 2192 2217 2224 2137 2241-2253.

D 2c. C. — REMISSIONE DEL PECCATO.

2ea. Fede nella remissione a. di ogni peccato 1 11-22 a23 26-30 36 50s (62s 71) 72 a540 a684 a854; il peccato contro lo Spirito Santo è irremissibile: modo di intenderlo 349.

2cb. Potere di rimettere. L’autore della remissione è Cristo per la sua passione] 485 1523 1530 1741 3370 3438 3805; si riprova: [la passione di Cristo senza altro dono non è sufficiente] 1014.

La Chiesa media la remissione di a. tutti i peccati 348 a349 a684 794 802 a854; add.: J 6b (amministr. della penitenza).

2ec. Modo di rimettere i peccati. Battesimo: vd. J 3c; per i peccati dopo il Battesimo si ricorre al Sacramento della Penitenza: vd. J 6; la contrizione perfetta già prima della ricezione del Sacramento della penitenza ottiene la remissione includendo tuttavia il voto del Sacramento: vd. J 6ac.

Il solo dispiacere non è sufficiente a rimettere i cattivi pensieri 1413.

L’effusione del sangue degli animali non opera la remissione 1079.

Il solo ricordo del Battesimo non ottiene la remissione o la commutazione dei peccati gravi in veniali 1623.

I peccati veniali si possono espiare con mezzi diversi (oltre la confessione sacram.) 1680; come loro antidoto si raccomanda l’Eucaristia 1638 3375 (3380).

2ed. Condizioni e modalità di remissione Si riprov. L’afferm.: [La remissione si ottiene per la fiducia nella remissione dei peccati ] 1460-1462 1533 1563s 1709; [solo un peccato è occulto] 3235; [Rimessa la colpa e il reato della pena eterna non rimane alcuna pena temporale da cancellare] 1580; [La carità perfetta non è necessariamente congiunta con la remissione dei peccati] 1918 1932s 1943; [la remissione è solo la liberazione dal reato del peccato ossia dall’obbligo della pena] 1956-1958.

3. Peccato di Adamo.

D3a. a. — PECCATO COME PERSONALE

Adamo peccò usando male il suo libero arbitrio 621.

Sequele del peccato per Adamo: perse la nobile origine della prima immagine 496; perse la santità e la giustizia 1511s; fu mutato in peggio nella sua anima e corpo 371s 385 1511; incorse nella schiavitù del diavolo 151; è indebolito nel suo libero arbitrio 383: dovette subire la morte e la pena del peccato 222 231 413 1511.

D 3b. b. — PECCATO IN QUANTO ORIGINALE.

Si afferma l’esistenza del peccato trasmesso da Adamo (in genere) 223 239 341 361 371s 391 470 491 621s 1073 1512 1865 2538.

3bb. Essenza. s . il peccato originale è un in origine 1513; gli uomini per effetto della propagazione da Adamo, appena concepiti contraggono dalla sua prevaricazione, l’ingiustizia (239) 1523.

Si contrae senza consenso 780; è proprio ad ognuno 1513; si riprova: gli errori della volontarietà 1948s 2319; riprov.: [da Adamo i posteri contraggono la pena, non la colpa] 728 (1006) 1011.

Si riprova la spiegazione del modo in cui la B. Maria potette essere preservata dal pecc. or. 3234. Nozione del peccato or. In tempi recentissimi è perversa 3891.

3bc. Propagazione. avviene non per a. imitazione, ma per generazione da Adamo 223 231 a1513 1523 3705; il peccato originale pertanto si estende a tutti gli uomini anche infanti a223 a231 239 a1514; non tuttavia solo Cristo è libero dal peccato or., ma anche la B. Maria 1973; cf. E 6ab.

3bd. Sequele. Stato della stessa natura: Adamo perse per i suoi posteri la santità, l’innocenza, la giustizia 239 1512 1521; il buono della natura è depravato 400; l’uomo sec. anima e corpo è mutato in peggio 371; l’uomo dominato è soggetto al diavolo 1347 1349 1521.

Piu difficilmente comprende la cognizione religiosa 2756 2853 3875.

L’osservazione lella legge divina èfatta con maggiore difficoltà: il libero arbitrio è attenuato nell’uomo (146) 339 378 383 396 622 633 1521; il fomite del peccato ossia la concupiscenza inclina al peccato 1515.

Non tuttavia l’uomo è destituito dall’uomo morale, cosicché gli sia impossibile condurre una vita morale: gli resta la libertà dell’arbitrio, l’intelletto per cui la libertà non è mossa solo dalla a. violenza o b. coartazione o da ciò che il peccato originale fu volontariamente sua causa (Adam) 1939 1941 1952 a1966s b2003 c2301; la libertà dell’arbitro non vale sono per peccare 1927- 1930 1965 2438-2440; si difende il valore del libero arbitrio ctr. l’affermazione: [a. in tutto è estinto, b è di solo titolo c. è rappresentazione di satana] a331 a336 a339 b1486 abc1555 3245s.

Si difende la facoltà dell’uomo nell’opera naturalmente buona ed alla vita onesta.

ctr. L’asserzione: [l’uomo pecca in ogni opera] 1481s 1486 1539 1557 1575 1916 1922 1925 1935-1937 (1940) 1961//1968 2308 2311 2401-2407 (2408-2425) 2439 2459 2866.

Si deve ammettere anche l’amore naturale onesto: [Esiste solo un duplice amore, sci. Amore buono dalla grazia et l’amore dalla concupiscenza peccaminoso] 1934 1938 2307 2444-2448 (2449112458) 2619 2623s.

La concupiscenza dell’uomo non consenziente non può nuocere 1515: reprob. affermazione circa la peccaminosità della concupiscenza o fomite del peccato 1012 1453 1515 1950s 1974-1976.

Sorte futura dell’uomo infetto dal peccato originale: Morte del a. corpo e b. dell’anima 222 231 ab3715 (b1400) ab1512 1521; privazione della visione di Dio (219) 780:

Esclusione dal regno celeste (184) 224 1347; pena del danno (ma a. diversa dalla pena per propria colpa del dannato, i. e. Oltre la pena del fuoco) a858 a1306 b2626; l’omo diventa “massa di perdizione” 621; add. J 3c (circa l’effetto del Battesimo nella restituzione della perdita dei beni).

3be Rimedi. Non le forze umane eliminano il pecc. or., ma i meriti (intercessione) di Cristo 341 1514.

Nella Legge Antica il peccato or. era cancellato dalla circoncisione 780; nella Legge Nuova dal Battesimo: vd. J 3.

Si riprov. l’ass. della rivalidazione del peccato originale dopo aver amministrato il Battesimo 334.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (47) “INDICE DEGLI ARGOMENTI – VI”