IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (17)
FRANCESCO OLGIATI,
IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.
Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.
Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.
Capitolo SESTO
LA MORALE CRISTIANA E LA VITA
Fra voli e cadute, tra canti di gloria e gemiti di disfatte, fra ideali sognati, sforzi compiuti e l’infrangersi spesso di propositi generosi al contatto della dura realtà, passa la vita umana. Perché essa non appaia mai una farsa da godere o una tragedia da maledire, bensì un’alta missione da svolgere, gioverà riguardare il valore della vita nostra in sé, in rapporto alla famiglia ed in relazione allo Stato, sempre alla luce della morale cristiana.
1. – La vita.
In sé considerata, la vita è un grande tesoro, sia nell’ordine naturale, sia nell’ordine soprannaturale. Purtroppo molti non apprezzano l’importanza della loro esistenza e la sciupano miseramente. Si appagano di mirare ai loro anni, prescindendo ,da Dio e dal suo Amore; ed allora la vita necessariamente appare come l’attimo fuggente, come l’onda rapida e fugace, come il fiore che sboccia, appassisce e muore. Il pessimismo e lo scetticismo morale sono in questo caso inevitabili; ed il sorriso beffardo del gaudente o il gesto folle del suicida ne sono la conseguenza. Ma chi non dimentica che la vita nostra non è l’Assoluto, ma dev’essere sempre, in ogni istante, posta in rapporto con Dio e con l’Amore divino, supera gli egoismi del dilettantista e del pessimista, coglie in sé il valore divino della vita umana ed utilizza i suoi giorni con cristiana sapienza.
2. – La vita nell’ordine naturale
Ragioniamo con tutta semplicità. Se si parte dall’esistenza di Dio e, perciò, dalla sua centralità nell’universo, subito, per la forza dell’evidenza più abbagliante, dobbiamo ammettere tre principi ricchi di pratiche applicazioni.
1. Ogni uomo che viene al mondo ha una missione particolare, a lui affidata da Dio. L’universo è un poema, in cui ciascuna creatura rappresenta una lettera. E come ogni lettera alfabetica in un libro ha una funzione da compiere, così ogni essere e specialmente ogni uomo ha un compito da assolvere. Guai se in una pagina, dove si dice che « il nostro Dio è il centro della realtà », io togliessi il D, ne risulterebbe che « il nostro io è il centro della realtà ». E se in una parola volessi aggiungere qualche lettera in più, imiterei quel bravo tedesco, che studiava a Firenze la lingua di Dante e che, essendo stato stupito nel trovare per la strada uno spazzino con tanto d’occhiali, riferiva ai suoi ospiti il fatto, narrando loro d’aver visto « uno spazzolino con gli occhiali ». Era un semplice ol che egli aveva graziosamente aggiunto, ma era un’appendice inutile, anzi.., un’appendicite che esigeva un’operazione chirurgica. Non sono soltanto gli Eroi di Carlyle, che costituiscono la storia; ogni persona, da Napoleone alla povera vecchierella del villaggio, concorre a scrivere il volume delle umane vicende. E se nessuno disprezza le lettere maiuscole, — volevo dire gli uomini grandi, — non si debbono però trascurare nemmanco gli uomini piccoli, le lettere minuscole, le virgole ed i punti fermi. Dio non sarebbe la suprema Ragione, se dovesse creare un essere senza che questo avesse uno scopo preciso, una finalità concreta nell’ordine totale. Non sappiamo, è vero, con esattezza e con completezza qual è il valore della nostra attività; ma anche il soldato, durante il conflitto mondiale, in uno dei punti del fronte, non conosceva il motivo e l’importanza della sua azione: solo il generale vedeva il valore delle singole mosse ed anche la necessità talvolta di sacrifici, che all’eroe che li compiva potevano sembrare irrazionali, mentre tali non apparivano e non erano all’occhio di colui che considerava l’esercito nel complesso organico della sua avanzata e della sua difesa. Bisogna ben persuadersi di questa verità, troppo trascurata. Bisogna, soprattutto nelle ore difficili del combattimento e del dolore, ricordare a sé che la nostra vita è una missione, assegnataci dall’amore di Dio e che non rappresenta qualcosa di superfluo, ma di utile nel piano provvidenziale.
2. Ogni vita particolare, ogni missione individuale è una « nota » nella musica universale. La vita nostra, se ha un rapporto con Dio, lo ha pure coi nostri simili. È il filo d’una tela: sottilissimo, se volete; ma guai se voi lo togliete! Imitereste il ragionamento di un gruppo d’amici, i quali si avvicinassero a me, e ciascuno, con la scusa che un capello è una piccola cosa, me ne strappasse uno. In poco tempo la mia testa diverrebbe pelata completamente, simile ad una piazza senza neppure un monumento! Non rinchiudiamoci nel nostro piccolo io oscuro: apriamo le finestre della nostra anima: tendiamo l’orecchio: sentiremo la musica della storia e comprenderemo come la nostra debole voce entra anch’essa nel grande coro. La realtà è un tutto sistematico. Non è un’accozzaglia di esseri, simile a pezzi separati e sconnessi, atomisticamente indipendenti. No. Nella natura e nella storia noi troviamo un’unità, quasi d’un organismo. Persino una goccia dell’oceano esiste, ed esiste come oggi è, perché tale e non diverso fu lo svolgimento della nebulosa primitiva, della terra, dell’atmosfera e via dicendo. Così ciascuno di noi è legato al tutto con un’intima solidarietà. La civiltà nostra ha le sue sorgenti nella civiltà dei secoli scorsi; la nostra vita presente ha le sue radici nella profondità dei millenni; e la libera attività coopera allo svolgersi degli avvenimenti. Una relazione intima collega la generazione attuale alle tombe del passato e alle culle dell’avvenire; e non è solo « il naso di Cleopatra », accennato dal Pascal, che può dare un indirizzo nuovo alla storia, ma ogni azione nostra influenza più o meno profondamente il corso degli eventi. – Come nella costruzione d’un palazzo ogni muratore porta il suo contributo, così ogni uomo è un muratore del palazzo della storia, è un cooperatore della storia della sua famiglia, della sua città, della sua patria, del mondo in cui vive.
3. Soddisfare a questa missione assegnataci da Dio e contribuire al bene comune non è un compito che possiamo impunemente trascurare. Noi non siamo i padroni assoluti della vita nostra, ma solo i depositari: liberamente traffichiamo i talenti ricevuti e di essi dovremo un giorno rendere ragione. È quindi una colpa, innanzi tutto, il suicidio, fosse pure quello di Catone, che non volle sopravvivere alla perduta libertà della patria, o di Lucrezia, che non volle sopravvivere ad un’onta. Nessuna ragione può giustificare il gesto di chi fugge dal campo di battaglia, dove il dovere lo ha posto. Nessun pretesto deve diminuire l’orrore che suscita in noi la giovanetta ingoiante pastiglie di sublimato corrosivo; il disperato, che si spara un colpo di rivoltella; Roberto Ardigò che a novant’anni afferra il rasoio, si taglia la gola e mormora: « A che serve la vita? »; o qualsiasi Petronio, più o meno in sessantaquattresimo, che a mensa, tra musiche e profumi, leva in alto la coppa murrina, vi beve, la scaraventa a terra in polvere e frantumi, e poi porge il braccio al medico, perché v’apra le vene, e muore esangue. No. La vita non è una coppa, che si possa lecitamente scagliare al suolo. E come è un delitto il suicidio, così è un peccato lo sciupio del tempo. « Fugit irreparabile tempus », ammoniva già Virgilio. Chi rifletta all’immenso numero di ore, di giorni e di anni sciupati con inqualificabile leggerezza da molti, esclama con Schiller, in una delle sue Kleine Gedichte, intitolato: Der Samann: « Guarda: pieno di speranza tu affidi alla terra il seme dorato e nella primavera aspetti lieto che esso germogli. Solo nei solchi del tempo sarai tu esitante a gettare azioni buone, che, seminate dalla saggezza, fioriscano tranquillamente per l’eternità? ». – La preziosità del tempo e l’obbligo del lavoro sono proclamati dalla stessa morale naturale. I santi del Cristianesimo ci hanno dato poi in questo gli esempi più luminosi: sant’Alfonso aveva fatto voto di non perdere mai neppure un istante; san Filippo Neri non lasciava inutilizzata nemmeno una piccola particella di tempo; san Camillo de Lellis si fermava dinanzi alle tombe e si chiedeva: « Cosa farebbero questi morti per la vita eterna, se potessero ritornare in vita? ». In una parola, vi sono Santi protettori del lavoro, come un san Benedetto; vi sono i patroni dei sarti, dei calzolai, dei giornalisti e così via; ma il santo protettore dell’ozio non è mai esistito. Tutto questo è vero anche dal punto di vista dell’ordine naturale. E la vita, concepita in tal modo, fu, persino dagli Stoici, dichiarata la vita che glorifica il Creatore. Che posso far io, vecchio e zoppo, se non cantare la gloria di Dio? — diceva Epitteto nei suoi Discorsi. — Se io fossi usignolo, farei la parte di usignolo; se fossi un cigno, la parte del cigno. Io sono un essere ragionevole e debbo innalzare un canto a Dio. Ecco la mia parte, ed io la farò, finché potrò; ed invito voi tutti a cantare con me ». È l’espressione, questa, della stessa ragione umana. La rivelazione la conferma e soggiunge che la vita nostra non solo deve essere vissuta a gloria di Dio, ma a gloria del Dio uno e trino, del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
3. – La vita nell’ordine soprannaturale.
Nell’ordine soprannaturale, nulla di quanto abbiamo accennato viene distrutto; al contrario, tutto è consacrato e sublimato.
1. La vita del Cristiano è una missione, che il Padre affida al Figlio. Non schiavi, non pure creature, ma figli di Dio mediante la grazia che eleva la nostra natura umana e ci fa partecipi della natura divina, quando noi viviamo senza il peccato mortale la vita nostra è un Pater noster recitato con l’attività quotidiana.
Il vero Pater noster non è quello che biascichiamo tante volte distrattamente, ma è il grido d’amore che al Padre rivolgono i figli fedeli, mentre compiono il suo volere nel mondo. Sono i nostri atti, dalle preghiere che pronunciamo, ai sacrifici generosamente accettati, che glorificano il Signore e gli ripetono: Sanctificetur nomen tuum. Sono essi che concorrono alla realizzazione del suo regno: adveniat regnum tuum. È mediante tutta la nostra vita cristiana,più che a fior di labbra, che noi pronunciamo veramente legrandi parole: fiat voluntas tua. Ed il buon Padre ci fornisceil pane soprasostanziale, che vivifica le anime e l’altropane, che nutre i corpi; ci perdona i peccati nostri, comandandocidi perdonare le offese ricevute; ci mette in guardiadalle tentazioni e dal male, ossia dalla colpa, che potrebbe,se mortale, farci perdere la grazia ed in tal modo rovinarela nostra vita. Ogni azione buona, fatta senza la grazia, nonparte da un’anima divinizzata, ha quindi un valore puramenteumano e non merita un premio soprannaturale; è unaazione, insomma, senza l’amore. La vita nostra, al contrario,dev’essere l’attuazione della nostra missione umana, volutada Dio e svolta con la grazia santificante. Noi, ad imitazionedel beato de La Colombière, dobbiamo essere fautori del« momento presente santificato » e con lui ognuno deve proporsiquesto programma: « Se anche tutta la terra si dovesserivoltare contro di me, biasimarmi, canzonarmi, compassionarmi,bisogna che io faccia tutto quello che Dio comanda,tutto quello che Dio mi ispira per la sua gloria ».
2. Il Padre non ci lascia soli: ci unisce, ci incorpora al Figlio suo unigenito, Cristo Gesù, e mediante il « primo tra i fratelli », ci unisce a tutti gli altri fratelli, nel corpo mistico della Chiesa. Allora la vita nostra, cristianamente vissuta, non solo è divinamente preziosa in sé, ma giovevole anche per tutti. È amore a Cristo, col quale formiamo un unico organismo; è amore al prossimo, col quale comunichiamo nella Comunione dei Santi; è un portare un sassolino a quella cattedrale, che è dedicata alla Regalità del Salvatore; è apostolato; è missione d’amore fraterno. Gesù è insieme con noi. Pone il suo capo sul nostro cuore e ci incita al dovere, al sacrificio, all’amore. Se cadiamo, ci solleva; se siamo tristi e stanchi, ci ripete: « Venite a me voi tutti che siete affranti e affaticati, ed io vi ristorerò »; se soffriamo, raccoglie le nostre lagrime; se lavoriamo, santifica la nostra fatica; se preghiamo, unisce la nostra alla sua preghiera e la offre al Padre. La disperazione del suicida è impossibile in questo caso: lo sperpero del tempo costituisce un rimorso; il sudore quotidiano si tramuta in gioia soprannaturale; e la nota che poniamo nella musica della vita è una nota di amore.
3. Sarebbe, del resto, possibile una diversa ipotesi, quando si pensa che lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa e perciò l’anima della nostra anima? Spesso nei nostri templi festosamente si canta: « Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto »; e noi forse non riflettiamo che simile dossologia è solo una eco della gloria al Signore uno e trino, quale s’innalza da ogni vita cristiana e da tutta la vita della Chiesa. Abbiamo perduto molte volte il senso del soprannaturale. L’esistenza ha smarrito il Sole che doveva illuminarla e resta immersa nelle tenebre sconsolate dei dolori, dei pettegolezzi e delle meschine umane miserie. Ed allora la vita non è più una gloria alla Trinità, ed il suo valore non lo si percepisce. – Se Montalembert un giorno si volgeva ai giovani, e, per scuoterli dal loro torpore ed animarli ad opere egregie, diceva loro: « Dateli a me i vostri vent’anni, se non sapete che farne », anche noi potremmo ripetere lo stesso appello ad una gioventù, spesso fiacca ed inconcludente, che tratta la vita come una sigaretta… Quattro volute di fumo; e, poi, le tombe raccolgono i mozziconi. No. Ciò non è da tollerarsi. Ripetiamolo ancora che ognuno di noi (il pensiero geniale è di san Francesco di Sales) si può paragonare al musico valentissimo, che divenne completamente sordo. Il suo orecchio non percepiva un suono. Tuttavia, egli continuò a cantare e a suonare con mano delicata il suo liuto per accontentare il suo principe. Ed anche quando il principe non gli testimoniava il suo gradimento, continuava nel canto. – Anche noi, a questo mondo, siamo sordi. Non percepiamo, cioè, tutto il significato ed il valore della vita; non sappiamo quale influenza essa avrà, per volere di Dio, nel trionfo di Cristo; non possiamo comprendere la bellezza soprannaturale d’una esistenza, magari in sé umile e nascosta, ma preziosa agli occhi del Signore. Non importa. La nostra vita dev’essere sempre bella come un inno e come la musica d’un liuto, toccato non già da una mano qualsiasi, ma dallo Spirito divino.
4. – La famiglia, la scuola ed i problemi sociali
Con lo stesso principio, la morale cristiana risolve i grandi problemi sociali, cominciando dalla famiglia. L’individuo non esiste isolato; il concepirlo in tal modo è fior di astrattismo. E neppure vive insieme con gli altri, come un essere accanto ad altri esseri uguali. La realtà concreta è ben diversa.. L’essere individuale è membro d’una famiglia, come le famiglie sono membra dello Stato, come gli Stati sono membra della grande famiglia umana. L’amore del prossimo non può prescindere da questa costituzione sociale. E sarebbe stolto chi volesse amare i suoi genitori come ama i beduini lontani e sconosciuti, oppure la patria sua come può amare il Capo di Buona Speranza. Siccome l’amore del prossimo si ispira all’amore di Dio, noi dobbiamo amare gli altri come vuole Dio; e siccome la volontà divina si esprime nella concretezza della realtà creata con le sue determinate ed essenziali esigenze, ne risulta che non si amerebbe Dio se non si amasse la famiglia, la patria e lo Stato. In una unità armonica di visione e di conseguenze pratiche, anche la famiglia (come la patria e lo Stato) è da concepirsi in funzione del concetto di amore. Il matrimonio non è un contratto qualsiasi, fatto in base ad interessi volgari; ma è un patto di amore ed appunto per questo, dallo stesso punto di vista naturale, è indissolubile. Il vero amore non è un « contratto a scadenza », ma è eterno e non conosce se non queste due parole: « Tu solo e per sempre ». Due cuori che, in un momento grande della loro esistenza, si stringono in un santo vincolo, dal quale dipende la trasmissione della vita e la conservazione del genere umano, non si amerebbero, se non si giurassero a vicenda un affetto eterno. Quale amore sarebbe il loro, se dovessero dirsi: « Sì, noi ci ameremo solo per due anni »? Le passioni, che hanno creato il divorzio sono la negazione dell’amore; sono l’egoismo schietto; e sono, di conseguenza, la rovina della famiglia e dei popoli. Il matrimonio indissolubile — e monogamico — è il solo che attua il concetto di amore nella formazione della nuova famiglia; il solo che di due esseri fa quasi una sola personalità mediante il mutuo affetto e li può rendere capaci, qualora gli sposi comprendano il valore della loro unione — di compatirsi nei bisogni, nelle debolezze, nelle malattie, nelle disgrazie; il solo che riguarda la famiglia in relazione al frutto dell’amore, i figli, e che mediante la legge dell’amore, rende possibile l’educazione. – Cristo, come vedemmo, ben lungi dal ripudiare questo amore santo, l’ha santificato con la grazia e con la grandezza d’un Sacramento. La famiglia cristiana è quella che è tutta pervasa di amore, è quella in cui l’amore è la sorgente, l’atmosfera, il vincolo, lo scopo. La prima manifestazione della carità verso il prossimo la si deve avere nella famiglia, negli sposi fra loro, fra i genitori od i figli, fra i figli ed i genitori. – Se ben si osserva, ogni peccato che può essere commesso in una famiglia è una violazione dell’amore. Dall’infedeltà alla parola giurata, all’egoismo brutale che profana il Sacramento ricevuto; dalla trascuratezza o dalle mancanze nell’educazione della prole, a qualsiasi insubordinazione dei figli verso il padre o la madre, non è possibile immaginare una colpa nell’ambiente familiare, che non sia contro l’amore. E la famosa antitesi tra libertà ed autorità scompare al soffio dell’amore: la correzione ed il castigo, quando non sono abbandonati all’impeto passionale dell’istante, ma sono ispirati e diretti dalla ragione, dal cuore e dal proposito di « formare Cristo » (come dice San Paolo) nelle anime dei figli, non sono un’autorità che schiaccia ed uccide, bensì che libera e vivifica. – Questi semplici concetti dovrebbero essere svolti a proposito delle relazioni fra maestro e scolaro, fra padroni ed operai, fra sovrani e sudditi. Nella concezione cristiana tutto si colorisce d’amore. Anche, ad es., i rapporti fra il padrone ed i lavoratori da lui dipendenti non sono regolati da un semplice criterio di giustizia. Persino alle stesse esigenze della giustizia si deve rispondere in nome dell’amore fraterno, il cui frutto è l’equità. Persino le stesse forme economiche, che dall’economia a schiavi al capitalismo attuale sono andate evolvendosi e che sempre, sia pur gradatamente, si trasformeranno, non sono altro se non un reale e progressivo perfezionamento dell’amore. Né, senza questa idea fondamentale, è possibile una soluzione della questione sociale: non già nel senso che basti per il grande problema una dichiarazione di principi ideali, ma nel senso che la stessa realtà economica dev’essere realizzazione del precetto divino della carità.
5. – Lo Stato
Anche lo Stato dev’essere riguardato con identico occhio dal Cristiano. Non soltanto la Chiesa, l’organismo spirituale, vivificato dallo Spirito Santo, ma lo Stato stesso è la « società degli spiriti chiamati all’amore ». Cosa significa « lo Stato »? Significa che nessuno di noi è stato creato per vivere egoisticamente, per proprio conto, ma che Dio ci ha creati in modo che fosse per noi di necessità naturale l’essere riuniti nella società familiare e statale. Non è la volontà nostra, come favoleggiava Rousseau, che costituisce lo Stato; ed in esso non dobbiamo mai vedere qualcosa di formato da noi e che dipenda dal nostro arbitrio individualistico. Nello Stato dobbiamo scorgere la volontà di Dio ed appunto per questo dobbiamo avere rispetto, venerazione, obbedienza alla maestà dello Stato. Ciò facendo, noi amiamo Dio. Soggiungiamo: amiamo anche il prossimo. Non è forse vero e doveroso amore del prossimo l’attività di coloro che governano, quando non proclamano paganamente con Luigi XIV: « Lo Stato sono io », ma quando tendono con ogni sforzo al bene comune, che è appunto il fine dello Stato? E non è vero e doveroso amore dei fratelli la disciplina del cittadino, il suo ossequio all’autorità, il rispetto alle leggi, la cooperazione volonterosa e quotidiana alla prosperità dello Stato, il sacrificio di sé, quando occorre, sino alla completa immolazione della vita? Ciò facendo, il Cristiano non fa altro se non il suo dovere; e non sarebbe Cristiano agendo diversamente, perché calpesterebbe il precetto della carità. Per noi, quindi, lo Stato ha sempre avuto un carattere etico e la Chiesa ha condannato le teorie liberali dello Stato agnostico, dello Stato neutro, dello Stato che protestava di non avere una morale, quasi che di fronte ad un tale mostro di Stato non fosse logico il cittadino che, al di sopra di tutte le cose degne di sprezzo, poneva l’autorità dello Stato. – Il carattere etico dello Stato non implica affatto che lo Stato crei una sua morale. Come la vita individuale ha un valore etico, non in quanto ognuno di noi si foggia una norma di condotta a proprio talento, ma in quanto osserviamo la morale; così anche lo Stato ha un valore morale, non in quanto elabora un nuovo decalogo in cui, ad esempio, si dica: « Disprezza il padre e la madre; uccidi; ruba » e via dicendo, ma in quanto si riconosce nella sua costituzione essenziale come qualcosa che dipende non dall’arbitrio umano, ma da Dio, ordinatore e legislatore; in quanto nella sua attività si ispira al bene generale dei sudditi; in quanto rispetta e fa rispettare le norme etiche, che, sole, possono condurlo ad una vera grandezza. Di qui appare l’indissolubilità fra il Cristiano ed il buon cittadino: è un binomio, in cui l’uno dei termini implica l’altro. Di qui, anche l’assurdo d’un Cristiano che non ami la patria sua. Di qui la ridicolaggine d’un astrattismo vacuo e dannoso di utopie umanitaristiche, che propugnano il sogno d’un’umanità senza patrie, sogno che potrebbe stare alla pari dell’altro d’uno Stato senza famiglie o di un organismo senza diversità di membra. Certo: le necessità ogni giorno più limpide, persuasive, fatali, di legare i popoli in rapporti sempre più stretti di fraternità e di comuni interessi per garantirne, con la pace, la prosperità; il logico sviluppo di questi nuovi vincoli internazionali, che dai primi nuclei più omogenei, andranno abbracciando successivamente, per connessione spirituale, altri popoli, altre terre, altre forze, porteranno un giorno ad una futura unione organica di Stati, ciascuno dei quali non si ispirerà più unicamente al proprio egoismo, ma coopererà al bene di tutti. Questo giorno bisogna prepararlo con tutte le energie e con tutti i sacrifici; ma esso sarà solo possibile, attraverso la vita, il rispetto e lo sviluppo delle unità nazionali.
6 . Conclusione
Nei sepolcri dei vecchi Faraoni, furono trovati grani di frumento, che, dopo tanti secoli, gettati in buon terreno, hanno dato ancora una spiga. La morale cristiana mi pare assomigli a quei grani di frumento. L’hanno nascosta nei bui ipogei della dimenticanza e del disprezzo e gli individui, le famiglie, le scuole, le officine, gli Stati hanno mangiato il pane dell’egoismo. Ne derivano mille danni alla vita individuale e familiare, all’educazione, all’economia, alla vita civile delle nazioni. Suicidi e divorzi, limitazione della prole e formazione spirituale mancata, lotta di classe e conflitti di popoli indicano i tristi effetti dell’abbandono del Cristianesimo. Al sepolcro di Cristo, che ha racchiuso la vittima dell’Amore, ,dobbiamo recarci per riprendere l’antico granello di frumento, che sempre conserva il fremito della vita. Solo il pane della carità può essere la salvezza delle genti; solo questo pane può essere mutato nel cibo soprannaturale di vita eterna.
Riepilogo.
La vita è una missione ed ha un divino valore, sia che la si riguardi in sé, sia che la si consideri in rapporto alla famiglia od in relazione allo Stato.
a) In sé, la vita di ognuno ha uno scopo speciale, che forma una nota nella musica dell’universo, che deve cantare l’amore a Dio ed ai fratelli e deve esser di gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo. Perciò è un delitto il suicidio; è una colpa lo sciupio del tempo; è un dovere il lavoro.
b) In rapporto alla famiglia, la morale cristiana propugna la concezione della vita come amore, sia che affermi l’unità e l’indissolubilità del matrimonio e proibisca il divorzio, sia che comandi l’affetto fra i coniugi o l’amore dei figli ai genitori. c) Anche lo Stato è per la morale cristiana la società degli spiriti chiamati all’amore. Portando rispetto ed ubbidienza alla maestà dello Stato noi amiamo Dio, che non ci ha creati per vivere egoisticamente, ma ha voluto che fosse per noi di necessità naturale costituire lo Stato; inoltre, amiamo il prossimo, lavorando e tendendo al bene comune, sia con l’attività di coloro che governano, sia con la collaborazione devota ed ossequiente del cittadino. Di qui anche il dovere per il Cristiano d’amare la sua patria.