DOMENICA XIII DOPO PENTECOSTE (2013)

DOMENICA XIII dopo PENTECOSTE (2023)

La Chiesa ci fa leggere in questo tempo nel Breviario il principio del libro dell’Ecclesiaste: « Vanità delle vanità, dice l’Autore sacro, tutto è vanità. Si dimentica ciò che è passato, e le cose che debbono ancora venire non lasceranno ricordi presso quelli che verranno più tardi. Io ho vedute tutte le cose che avvengono sotto il sole, ed ecco che sono tutte vanità e afflizione dell’anima. I perversi difficilmente si correggono e infinito è il numero degli insensati » (7° Nott.). « Dopo che Salomone poté contemplare la luce della vera sapienza, dice S. Giovanni Crisostomo, uscì in questa esclamazione sublime e degna dei cielo: « Vanità delle vanità, tutto è vanità! ». A vostra volta, se volete, potete rendere simile testimonianza. È vero che nei secoli passati, Salomone non era tenuto a una diligente ricerca della sapienza, poiché l’antica legge non considerava vanità il godimento dei beni superflui; tuttavia, malgrado questo stato di cose, si può vedere quanto siano vili e dispregevoli. Ma noi, chiamati a virtù più perfette, saliamo a cime più alte, ci esercitiamo in opere più difficili. Che dire di più se non che ci è stato comandato di regolare la nostra vita su virtù celesti, che non hanno nulla di materiale e che sono tutta intelligenza? » (2° Nott.). Queste virtù celesti sono per eccellenza, le tre virtù teologali: « fede, speranza, carità » che l’Orazione ci fa chiedere a Dio affinché noi « non amiamo se non quello che Egli ci comanda ». Ed è per questo motivo che la Chiesa fa leggerenin questo giorno l’Epistola di S. Paolo ai Corinti, che ha per oggettonla fede in Gesù Cristo, fede che agisce mediante la carità e che ci fa mettere, come già Abramo, la nostra speranza nel divino Salvatore. Infatti, solo per questa fede operante e confidente, le anime coperte dalla lebbra del peccato vengono guarite come ci mostra il Vangelo. I dieci lebbrosi che rappresentano in qualche modo le trasgressioni fatte dagli uomini ai dieci comandamenti, scorgono il loro divino Medico e, ponendo subito in Lui ogni speranza:« Maestro, abbi pietà di noi! » gridano. La fede loro è operante,bperché quando Cristo li mette alla prova dicendo: « Andate, mostratevi ai sacerdoti », essi vanno senza esitare e, andando, sono guariti. Ma questa guarigione è confermata da uno solo di quelli che tornò indietro per mostrare la sua riconoscenza a Gesù « Quando uno di essi si vide guarito, tornò sui suoi passi, glorificando Dio ad alta voce e cadendo con la faccia a terra ai piedi di Gesù, lo ringraziò ». Gesù allora gli disse: « Va, la tua fede ti ha salvato ». Questo mostra che è la fede in Gesù che salva le anime. Ora se è la fede in Gesù che salva le anime, la Chiesa ha precisamente ha da Gesù la missione di far penetrare nelle anime questa fede mediante la predicazione e la lettura. Questo passo del Vangelo ci indica anche l’espulsione dei Giudei che sono stati ingrati verso Colui che era venuto per guarirli, mentre i Gentili gli sono stati fedeli. Dei dieci lebbrosi infatti nove erano Giudei e uno solo non lo era, ed è a questo solo — che era Samaritano, e tornò indietro a ringraziare il Salvatore —che Gesù dice: La tua fede t’ha salvato. Da ciò si vede non essere soltanto ai figli d’Abramo secondo il sangue che è stata fatta questa promessa, ma ancora a tutti coloro i quali sono suoi figli perché partecipi della sua fede in Gesù Cristo. Infatti, è per questa fede che la promessa di vita eterna fatta ad Abramo si estende a tutti i popoli. Così l’Orazione della III Profezia del Sabato Santo dice che « col Battesimo, Dio, moltiplicando i figli della promessa stabilisce Abramo, suo servo, padre di tutte le genti secondo la profezia ». « Fate, soggiunge la quarta Orazione, che tutti i popoli della terra diventino figli d’Abramo e partecipino della grandezza toccata in sorte al popolo d’Israele ». I Gentili occupano dunque il posto dei Giudei. « I nove, commenta S. Agostino, gonfi d’orgoglio, credevano di umiliarsi col ringraziare; non ringraziando sono stati riprovati e rigettati dall’unità che si trova nel numero dieci (vi erano dieci lebbrosi), mentre l’unico che ringrazia è approvato dall’unica Chiesa. — Così per il loro orgoglio, i Giudei perdettero il regno dei cieli dove regna la più grande unità; mentre il Samaritano, sottomettendosi al re col suo ringraziamento, ha conservata l’unità del regno per la sua devozione piena di umiltà » (Mattutino). I Giudei entreranno in massa nel regno dei cieli alla fine del mondo, allorché crederanno in Gesù, ed è a ciò cui fa allusione l’Introito quando essi chiedono che la loro esclusione dalla Chiesa non sia irrevocabile: « Ricordati, o Signore, della tua alleanza, non abbandonare le anime dei poveri alla fine.  Perché, o Dio, ci hai rigettati? Perché la tua collera si è accesa contro le pecore del tuo ovile? ». E la Chiesa chiede a Dio « d’essere propizio al suo popolo, e, placato dal sacrificio che gli viene offerto, di perdonare la sua ingratitudine » (Secr.). Quanto ai Gentili, essi dicono a Gesù che ripongono in Lui tutta la loro speranza (Off.) perché si è fatto loro rifugio di generazione in generazione (All.) e li nutre del suo pane celeste, come fece per gli Ebrei nel deserto, allorché dette la manna che conteneva ogni sapore ed ogni dolcezza (Com.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXIII: 20; 19; 23
Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le anime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Ps LXXIII: 1

Ut quid, Deus, repulísti in finem: irátus est furor tuus super oves páscuæ tuæ?

[Perché, o Signore, ci respingi ancora? Perché arde la tua ira contro il tuo gregge?]

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum, et ánimas páuperum tuórum ne derelínquas in finem: exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam, et ne obliviscáris voces quæréntium te.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto e non abbandonare per sempre le ànime dei tuoi poveri: sorgi, o Signore, difendi la tua causa e non dimenticare le voci di coloro che Ti cercano.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, da nobis fídei, spei et caritátis augméntum: et, ut mereámur asséqui quod promíttis, fac nos amáre quod prǽcipis.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità: e, affinché meritiamo di raggiungere ciò che prometti, fa che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti S. Pauli Apóstoli ad Gálatas.

[Gal. III: 16-22]

“Fratres: Abrahæ dictæ sunt promissiónes, et sémini ejus. Non dicit: Et semínibus, quasi in multis; sed quasi in uno: Et sémini tuo, qui est Christus. Hoc autem dico: testaméntum confirmátum a Deo, quæ post quadringéntos et trigínta annos facta est lex, non írritum facit ad evacuándam promissiónem. Nam si ex lege heréditas, jam non ex promissióne. Abrahæ autem per repromissiónem donávit Deus. Quid igitur lex? Propter transgressiónes pósita est, donec veníret semen, cui promíserat, ordináta per Angelos in manu mediatóris. Mediátor autem uníus non est: Deus autem unus est. Lex ergo advérsus promíssa Dei? Absit. Si enim data esset lex, quæ posset vivificáre, vere ex lege esset justítia. Sed conclúsit Scriptúra ómnia sub peccáto, ut promíssio ex fide Jesu Christi darétur credéntibus”.

[“Fratelli: Le promesse furono fatte ad Abramo ed alla sua discendenza. Non dice la scrittura: E ai suoi discendenti, come si trattasse di molti; ma come parlando di uno solo: E alla tua discendenza; e questa è Cristo. Ora, io ragiono così; un’alleanza convalidata da Dio non può, da una legge venuta quattrocento anni dopo, essere annullata, così da rendere vana la promessa. Poiché, se l’eredità viene dalla legge, non vien più dalla promessa. Ma Dio l’ha donata ad Abramo in virtù d’una promessa. Perché dunque la legge? È stata aggiunta in vista delle trasgressioni, finché non venisse la discendenza a cui era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo degli Angeli per mano di un mediatore. Ora non si dà mediatore di uno solo, e Dio è uno solo. Dunque la legge è contraria alle promesse di Dio? Niente affatto. Se fosse stata data una legge capace di procurarci la vita, allora, sì, la giustizia verrebbe dalla legge. Ma la Scrittura ha racchiuso tutto sotto il peccato, affinché la promessa, mediante la fede in Gesù Cristo, fosse data ai credenti»”.

UNO SGUARDO AL CROCIFISSO

S. Paolo aveva insegnato ai Galati che la giustificazione non dipende dalla legge di Mosè, ma dalla fede in Gesù Cristo, morto per noi in croce. Ma Gesù Crocifisso, dipinto tanto vivamente dall’Apostolo ai Galati, era stato ben presto dimenticato da essi, lasciatisi affascinare da coloro che insegnavano dover noi attendere la nostra salvezza dalla legge. S. Paolo, rimproverata la loro stoltezza, nota come Gesù, morendo sulla croce, maledetta dalla legge, libera i Giudei dalla maledizione, e conferisce a tutti, Giudei e Gentili, che si uniscono nella fede in Gesù Cristo, lo Spirito promesso. Passa poi a far osservare come vediamo nell’epistola di quest’oggi, che la promessa dei beni celesti, fatta ad Abramo e alla sua discendenza, cioè al Cristo, nel quale si sarebbero unite tutte le nazioni a formare un solo popolo, essendo incondizionata, fatta ad Abramo direttamente da Dio, e da Dio confermata, aveva tutto il carattere d’un patto irremissibile. Non poteva, quindi, venir indebolita o modificata dalla legge di Mosè venuta 430 anni dopo, con un contratto temporaneo. La legge, del resto, non escludeva la promessa, dal momento che essa non poteva giustificare e dare la vita, come fa la promessa. E neppure fu inutile; perché, facendo conoscere i numerosi doveri da compiere, senza porgere l’aiuto necessario, metteva l’uomo nella condizione di dover sperimentare tutta la propria debolezza e di sentir la necessità d’un Redentore; e di riconoscere, per conseguenza, che le celesti benedizioni non possono essere effetto della legge, ma della promessa, e che non si ottengono che con la fede in Gesù Cristo. Gesù Cristo, che morendo in croce, adempie le promesse fatte da Dio, sarà l’argomento di questa mattina. – Gesù Cristo Crocifisso, così presto dimenticato dai Galati, fermi la nostra attenzione.

 [A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1920]

Graduale

Ps LXXIII:20; 19; 22.

Réspice, Dómine, in testaméntum tuum: et ánimas páuperum tuórum ne obliviscáris in finem.

[Signore, abbi riguardo al tuo patto: e non dimenticare per sempre le ànime dei tuoi poveri.]

Exsúrge, Dómine, et júdica causam tuam: memor esto oppróbrii servórum tuórum. Allelúja, allelúja

[V. Sorgi, o Signore, e difendi la tua causa e ricordati dell’oltraggio a Te fatto. Allelúia, allelúia].

Alleluja

Ps LXXXIX: 1
Dómine, refúgium factus es nobis a generatióne et progénie. Allelúja.

[O Signore, Tu fosti il nostro rifugio in ogni età. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XVII: 11-19

In illo témpore: Dum iret Jesus in Jerúsalem, transíbat per médiam Samaríam et Galilaeam. Et cum ingrederétur quoddam castéllum, occurrérunt ei decem viri leprósi, qui stetérunt a longe; et levavérunt vocem dicéntes: Jesu præcéptor, miserére nostri. Quos ut vidit, dixit: Ite, osténdite vos sacerdótibus. Et factum est, dum irent, mundáti sunt. Unus autem ex illis, ut vidit quia mundátus est, regréssus est, cum magna voce magníficans Deum, et cecidit in fáciem ante pedes ejus, grátias agens: et hic erat Samaritánus. Respóndens autem Jesus, dixit: Nonne decem mundáti sunt? et novem ubi sunt? Non est invéntus, qui redíret et daret glóriam Deo, nisi hic alienígena. Et ait illi: Surge, vade; quia fides tua te salvum fecit.”

[“In quel tempo andando Gesù in Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando por entrare in un certo villaggio, gli andarono incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono in lontananza, e alzarono la voce dicendo: Maestro Gesù, abbi pietà di noi. E miratili, disse: Andate, fatevi vedere da’ sacerdoti. E nel mentre che andavano, restarono sani. E uno di essi accortosi di essere restato mondo, tornò indietro, glorificando Dio, ad alta voce: e si prostrò per terra ai suoi piedi, rendendogli grazie: ed era costui un Samaritano. E Gesù disse: Non sono eglino dieci que’ che son mondati? E i nove dove Sono? Non si è trovato chi tornasse, e gloria rendesse a Dio, salvo questo straniero. E a lui disse: Alzati, vattene, la tua fede ti ha salvato”]

OMELIA

 (G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

LA CONFESSIONE

Gli uomini del mondo hanno una grande smania di piacere alle creature. Molta cura pongono nei profumi, nei capelli, nell’eleganza del loro vestire: vanno ricercando le stoffe più delicate, vanno seguendo le fogge più strane per adornare l’esteriore del loro corpo, che spesso divien lo scandalo del prossimo. Oh, se avessimo almeno altrettanta cura di piacere a Dio!… invece, no. E mentre sospirano dietro la bellezza materiale e sciocca dei corpi, trascurano la vera bellezza che è nell’anima. E mentre anche con sofferenza sanno usare tutti i soccorsi della vanità per rendersi avvenenti, non vogliono ricorrere al facile e divino espediente che rende bella e graziosa l’anima: la confessione [in assenza di un vero Sacerdote, l’esame di coscienza con contrizione perfetta, il proposito di non più peccare e la penitenza, col desiderio implicito della confessione sacramentale appena possibile -ndr. -]. Questo è appunto il senso mistico del Vangelo di oggi. Nelle folte campagne di una borgata giudaica viveva un gruppo di dieci lebbrosi, tra cui uno almeno era samaritano. Ma il male aveva sopito tra loro ogni dissidio nazionale, curvandoli tutti sotto la medesima piaga, il medesimo destino. Con occhi terribilmente dilatati, e non protetti più dalle sopracciglia ch’erano cadute a pelo a pelo, con orecchie ingrossate e deformi, con dita smozzicate, e con tutto il corpo in tormento, andavano per quella terra dolorando, quando Gesù passò di là. Tutti, senza avvicinarsi, ché la gente li avrebbe lapidati, levarono a Lui un grido straziante: « Gesù! pietà di noi ». Gesù si volse a quelle carni martoriate, a cui d’umano non restava niente fuor che la voce crucciosa, e disse: « Andate, presentatevi ai sacerdoti ». Ite: ostendite vos sacerdotibus. Andando, un nuovo flusso di sangue ascese per le loro vene; ogni piaga stagnò; tessuti corrosi si rinnovarono subitamente: per virtù di miracolo furono mondati e tornarono belli. Nel mondo c’è pure un’altra lebbra che fa strage, non nei corpi, ma nelle anime: il peccato. Il peccato, infatti, ci priva d’ogni bellezza e ci rende cancrenosi e fetenti davanti a Dio. E come gli immondi di lebbra erano scacciati fuori dalle città e dai paesi con sassi e con ingiurie, così gli immondi di peccato sono scacciati via dal paradiso, via da Dio e dagli Angeli suoi, e solo il demonio hanno compagno. È strano però che gli uomini, che non sapevano sopportare nelle loro case la puzza della lebbra, sanno tenere nel loro cuore marcio il fetore del peccato. Eppure, è soprattutto per la lebbra spirituale che Gesù disse: ostendite vos sacerdotibus. Andate, aprite tutte le vostre miserie al Sacerdote nella confessione, poiché la confessione guarisce e preserva dalla lebbra del peccato. – 1. LA CONFESSIONE GUARISCE DAL PECCATO. Nelle vite dei Padri c’è un’espressiva leggenda che a tutti piaceva sentire, in quei primi tempi. In una certa città viveva un uomo peccatore. Quantunque i richiami al bene non gli fossero mancati, pure s’era pazzamente buttato nel vortice della colpa, suscitando intorno uno scandalo rumoroso. Un Vescovo santo, nel vederlo passare, corse al suo cammino e cominciò a piangere amarissimamente per ciò ch’egli, più sollecito a piacere al mondo che a Dio, non si curava della rovina della sua anima piena di peccati, come il corpo di un lebbroso è pieno di piaghe. Mentre il Vescovo pregava e piangeva sulla nuda terra, vide venire verso lo sciagurato una cornacchia nerissima. Il santo, levandosi, la prese e l’immerse nell’acqua: l’uccello subito si tramutò in candida colomba. Il giorno dopo il peccatore, che aveva pur visto il miracolo, venne ai piedi del Vescovo con le lacrime agli occhi; e colui che prima era nerissimo per tanto peccare, fu lavato dalla confessione e divenne candido come una colomba e la sua anima divenne candida come l’anima da lebbrosa divenne, agli occhi di Dio, graziosissima. Ecco un simbolo della confessione che guarisce l’anima dalle nere brutture del peccato. Se gli uomini potessero, così facilmente, con la sola confessione guarire i malati del corpo, chi sa come sarebbero sempre affollati i confessionali!… Invece, siccome si tratta dell’anima, gli uomini preferiscono trattenere la lebbra in cuore, vivere nella maledizione di Dio e degli Angeli, ma non presentarsi al Sacerdote. Non è l’anima da più del corpo, infinitamente? « Non ho bisogno di confessarmi davanti a un uomo, forse più colpevole di me,  — si dice: so intendermela direttamente con Dio ». Allora rispondetemi: a chi tocca stabilire le condizioni del perdono? All’offeso o all’offensore? senza dubbio, all’offeso. Ma l’offeso è Dio. E quel Dio ha voluto guarire i lebbrosi nel corpo solo mandandoli ai sacerdoti, ha stabilito di guarire i lebbrosi nell’anima solo per il ministero dei suoi Sacerdoti. « È tanta — si dice — la vergogna che sento! » È appunto questa umiliazione che vi renderà meno indegni del perdono divino. —. Ma il mio peccato è troppo grande per aver perdono… ». Non bestemmiate, così come Caino, la misericordia del Signore. Se il vostro peccato è grande, la bontà di Dio è più grande ancora. – 2. LA CONFESSIONE PRESERVA DAL PECCARE. S’era presentato a S. Filippo Neri un giovane sfiduciato. Il santo lo raccolse tra le sue braccia, lo riscaldò col suo palpito di padre, e gli disse tante parole incoraggiandolo a cominciare una vita nuova. Il giovane, ad occhi chiusi, ascoltò fino alla fine, poi rispose: « È inutile, padre ». « Perché dici così? ». – « Perché non so resistere: ho già tentato altre volte, ed ho fatto sempre peggio. Adesso non voglio nemmeno formare un proposito; per non aver poi il rimorso di trasgredirlo ». S. Filippo gli sorrise, raggiando fuori da quei suoi occhi grandi la luce ed il calore della sua anima santa. « Non disperare. C’è un rimedio che fa per te, è facile. Prometti a Dio che ti forzerai con tutta l’energia a non cadere per un giorno, e torna domani. » Al domani il giovane torna. « E così? » gli dice, sorridendo, S. Filippo. « E così, risponde il giovane, oggi non sono caduto. Solo un momento d’incertezza; ma fu un attimo. Pensai che dovessi tornare qui, stasera, a confessarmi e respinsi la tentazione. Ma io ho paura per domani, per dopo… ». Non temere: prega e torna domani e dopo. E quel giovane torna domani e dopo, e poi torna tutti gli otto giorni, sempre più lieto, con l’anima pura e preservata dai peccati. Davvero che la confessione è un freno meraviglioso a reprimere i nostri istinti e i cattivi desideri! Il solo pensiero di confessare il peccato, e confessarlo presto, ci trattiene spesse volte sull’orlo dell’abisso. Ma quando l’uomo ha scosso il giogo della confessione, e non si confessa che una volta sola all’anno (povera confessione pasquale!) che meraviglia se di volta in volta si ripetono i medesimi peccati, o si aumentano? Credetelo: non si può essere buoni Cristiani senza la confessione e frequente confessione. Essa è ciò che c’è, praticamente, di più utile nella Religione. E perché, allora, nessuna pratica religiosa è più trascurata, più calunniata, più odiata di questa? Perché c’è di mezzo il demonio. Ma voi volete dar ascolto al demonio? – Le vie, le piazze, il sagrato della cattedrale di Tours erano assai frequentati dalla gente disgraziata. Alcuni, rasenti il muro, ciechi; altri, seduti nella polvere, sciancati: donne con grucce e fanciulli cenciosi: tutti ostentavano la propria miseria e i propri stracci alla pietà e, più ancora, alla borsa dei cittadini. Talvolta, tutta questa umanità pezzente si spaventava improvvisamente, come se passasse una folata di vento a ruzzolarsi sul selciato: chi si nascondeva dietro le porte, chi imbucava un vicolo vicino, e, chi poteva, fuggiva lontano. « Che c’è? ». « Viene Martino, il Vescovo della città ». « E per questo? ». Ma è un santo: che fa miracoli…  « Oh fortuna! ». « Oh disgrazia! Se ci prende, ci risana: e allora più nessuno ci farà la carità; e saremo costretti a lavorare ». – Ci sono altre persone che fan miracoli nelle anime: e sono i Sacerdoti che guariscono dalla lebbra del peccato. E c’è una turba d’uomini che fugge via da loro che non li vuol vedere, che non si vuol confessare. La Messa alla festa, sì; qualche offerta a S. Antonio, pure; qualche lumino per la Madonna, anche. Ma la confessione, no, no! Perché? Perché se si confessano dovranno promettere di non peccare più; di restituire, di lasciare quella compagnia. Invece queste cose non piacciono a loro. –IL SACERDOTE. Ite: ostendite vos sacerdotibus. Gesù, che da solo aveva guarito il sordomuto, che da solo aveva dato la vista al cieco nato, che col solo comando della sua voce destò Lazzaro da morte, perché ha voluto che i dieci lebbrosi andassero dai sacerdoti? Fu per insegnarci il grande potere che dovevano avere i Sacerdoti della nuova legge, di cui quelli giudaici erano una figura. Gesù non doveva rimanere sempre sulla terra: eppure le anime nostre avrebbero sempre sentito bisogno di Lui, della sua parola viva che risuona alle nostre orecchie sensibili, del suo ministero. Ed allora Gesù istituì il Sacerdozio: e mandando i dieci lebbrosi ai sacerdoti di Gerusalemme per essere guariti, ci voleva insegnare come ogni potere sopra le anime nostre Egli avrebbe affidato ai suoi Sacerdoti. Ite: ostendite vos sacerdotibus. Il Sacerdote, dunque, è colui che visibilmente perpetua Cristo nei secoli; è un altro Cristo. Alter Christus. Allora avrà la medesima sorte: sarà anch’egli il segno della contraddizione; ed anch’egli come il Maestro avrà gioia ed umiliazione, dignità e disprezzo; molta gioia e molto dolore. – 1. DIGNITÀ DEL SACERDOTE. L’uomo più grande di tutto il Vecchio Testamento è, senza dubbio, Mosè. Giovanetto ancora pascolava la greggia sul monte, quando vide un roveto che ardeva e che gli affidò tutto il popolo da condurre. Sul Sinai il Signore gli darà le tavole della legge e quando scenderà dal monte due raggi di luce circonderanno la sua fronte. Ebbene: il Sacerdote è il Mosè del Nuovo Testamento, ma più grande, ma più divino: a lui Dio ha affidato la nuova Legge e il nuovo popolo, e attorno alla sua fronte brillano tre raggi di luce che rappresentano il triplice potere di cui è insignito: istruire, nutrire, guarire le anime. a) Istruire: quando Gesù risuscitò da morte apparve agli Apostoli e disse loro: « Andate in tutto il mondo e predicate la mia dottrina a tutte le genti ». Da quel giorno i Sacerdoti furono i maestri della terra, e la luce che, splendendo sul candelabro, rischiara tutti coloro che sono nella casa. Rischiara i piccoli: e i Sacerdoti, con pazienza ed umiltà, si consacrano ad innestare in quelle piccole anime il germoglio che li farà onesti cittadini e sinceri Cristiani. Rischiara i giovani: è il Sacerdote che negli oratorii e nei circoli insegna alla gioventù le prime battaglie della vita, è dal Sacerdote che imparano ad essere puri e forti. Rischiara i popoli: dal pulpito, ogni festa e più spesso, insegna la via che ognuno nella sua condizione deve percorrere se vuol raggiungere il paradiso. « Uno solo è il Maestro » sta scritto nel Vangelo, ed è Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo insegna per la bocca de’ suoi Sacerdoti. Quindi: « Uno solo è il Maestro » possiamo ripetere noi, ed è il Sacerdote. b) Un altro potere, e più grande, fu dato ai Sacerdoti, quello di nutrire le anime. Quaggiù sulla terra noi siamo come il vecchio Elia: siamo perseguitati dal demonio e dalle nostre passioni, abbiamo tanto da patire in questa valle di lagrime; talvolta, come il vecchio profeta ci sentiamo scoraggiare e dal labbro ci sfugge il grido di angoscia: « Signore, fammi morire che sono troppo stanco ». Ma ecco l’Angelo di Dio: è il Sacerdote che alle nostre anime stanche e sfinite dona un pane misterioso: la Santa Comunione. È il Sacerdote che ogni giorno sull’altare rinnova l’ultima cena di Gesù Cristo e sopra la bianca ostia ripete le parole della consacrazione e Dio alla sua voce discende suoi nostri altari e si fa cibo alle anime nostre. c) Infine al Sacerdote fu dato il potere di sanare le anime dai peccati: ed ogni giorno al confessionale si rinnova il miracolo dei dieci lebbrosi. « Ma chi può perdonare i peccati! » esclamavano un giorno i Giudei scandalizzati, « chi può perdonare i peccati se non Dio? ». Ed il Sacerdote non ha poteri divini? Egli è un altro Cristo: Alter Christus. – 2. DOLORE DEL SACERDOTE. Se il Sacerdote è la dignità più grande sulla terra, Dio gli ha però riserbati i sacrifici più duri. Gesù ai due figliuoli di Zebedeo che volevano diventare suoi ministri, uno alla destra ed uno alla sinistra, domandò: «Potete voi bere il calice di dolori ch’io berrò? ». « Possiamo! ». Questa parola ogni Sacerdote la ripete presentandosi alla sacra ordinazione: Dominus pars hæreditatis meæ et calicis mei. Ed ecco che la tonsura, quasi corona di spine, gli segna la testa; e la stola quasi fune gli avvince il collo, e la pianeta quasi croce gli viene addossata; e così s’incammina all’altare come Cristo al Calvario. Sul Calvario Cristo si sacrificò per il popolo, e il Sacerdote deve sacrificare la sua vita per il popolo. Pro hominibus constituitur (Hebr., V, 1). Forse che gli uomini lo ricompensarono con amore? Troppo spesso il mondo perseguita il Sacerdote come un giorno ha perseguitato Gesù. Il discepolo non è da più del maestro. I primi preti tutti subirono il martirio: e chi fu messo in croce e chi fu gettato in pasto alle belve, e chi fu immerso nell’olio bollente, e a chi fu stroncata la testa. E poi, giù nei secoli, la storia del Sacerdozio fu una storia di dolore. Noi sappiamo che dalla Francia, non molti anni or sono, furono scacciati: ed essi lasciarono le loro opere d’amore e di bene ed esulando si volgevano a benedire e a pregare per la patria che li maltrattava. – Durante la persecuzione messicana (1927), un sacerdote fu martirizzato. Si chiamava Librando Arreola. « Perché m’imprigionate? ». « Perché sei un prete ». « È forse un delitto esserlo? ». Ma era l’odio contro Cristo che li inferociva sopra quella santa creatura. E nell’oscurità della prigione, con la scure, gli tagliarono via tutte e due le mani. E ghignando gli dissero: « Così non dirai più la Messa… ». Egli allora nello spasimo atroce alzò i moncherini grondanti, ed asperse i carnefici col suo sangue: « O Dio, perdona… ». E poiché si sentiva morire per il dissanguamento, raccolse le ultime forze, nell’agonia esclamò: « O America, ascoltami: io muoio, ma Dio non muore.. ». – Un uomo, abbandonato a tutti i vizi e tormentato dal demonio, avendo sentito che S. Domenico era in Bologna, corse a vederlo, ascoltò la sua Messa, e poi si presentò a lui per baciargli la mano. Appena diede il bacio, ne sentì un tal profumo di paradiso, quale mai aveva gustato in vita sua fino allora. Meravigliosamente si spense in lui il fuoco della lussuria, e si convertì a una vita cristiana. Ite: ostendite vos sacerdotibus. O Cristiani, quando le tentazioni vi sopraffanno, quando il demonio tormenta nei peccati l’anima vostra, presentatevi anche al Sacerdote per ascoltare la S. Messa o meglio per confessarvi. Anche voi come quell’uomo di Bologna sentirete un profumo di paradiso, anche voi come i dieci lebbrosi sarete mondati.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXXIII:15-16
In te sperávi, Dómine; dixi: Tu es Deus meus, in mánibus tuis témpora mea.

[O Signore, in Te confido; dico: Tu sei il mio Dio, nelle tue mani sono le mie sorti.]

Secreta

Popitiáre, Dómine, pópulo tuo, propitiáre munéribus: ut, hac oblatióne placátus, et indulgéntiam nobis tríbuas et postuláta concedas.

[Sii propizio, o Signore, al tuo popolo, sii propizio alle sue offerte, affinché, placato mediante queste oblazioni, ci conceda il tuo perdono e quanto Ti domandiamo.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias
ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Sap XVI: 20
Panem de cælo dedísti nobis, Dómine, habéntem omne delectaméntum et omnem sapórem suavitátis.

[Ci hai elargito il pane dal cielo, o Signore, che ha ogni delizia e ogni sapore di dolcezza.]

Postcommunio

Orémus.
Sumptis, Dómine, coeléstibus sacraméntis: ad redemptiónis ætérnæ, quǽsumus, proficiámus augméntum.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, ricevuti i celesti sacramenti, progrediamo nell’opera della nostra salvezza eterna.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (266)

LO SCUDO DELLA FEDE (266)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (9)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO IX.

RELIGIONE

I. Un galantuomo non cambia di religione.

Certe massime sono come le mode del vestire che in breve tempo fanno il giro del mondo. Quella che ho messa in fronte a questo capo, che un galantuomo non cambia di religione, è proprio una di esse. I protestanti, non meno che certi Cattolici, gli scismatici, non meno protestanti, l’hanno spesso sul labbro. In certe conversazioni poi è la rima obbligata, in cui vanno a finire tutti i discorsi di controversia o di notizie religiose; né manca perfino qualche Cattolico, al tutto indegno del nome che porta, il quale, per parere spregiudicato, la fa sentire all’occasione che altri riferisca qualche conversione dal protestantismo o dallo scisma alla cattolica verità. E ciò non ostante quel detto, per quanto volgarmente ricevuto, al modo con cui s’intende comunemente, non è altro che un gravissimo errore. – Volete vederlo? Se è vero universalmente che un galantuomo non cambia di religione, dovrà esser vero per tutti i paesi dell’universo. La verità non si muta col variare dei meridiani o dell’altezza polare: dunque il galantuomo cinese non dovrà mai lasciare la religione del suo Confucio, il galantuomo indiano dovrà starsene sempre attorno al suo Budda, il galantuomo maomettano intorno al suo Maometto, il galantuomo giudeo dovrà continuare a disconoscere ed a bestemmiare Gesù Cristo, e così andate dicendo; tutti gli idolatri, tutti i Gentili, benché sprofondati nel baratro delle più schifose superstizioni, non dovranno mai allontanarsi un passo dai loro errori. E come no? Se è vero che un galantuomo non cambia di religione, tutte quelle conseguenze sono innegabili. Più, tutto l’Apostolato stabilito da Gesù Cristo è affatto inutile. Andate, disse Egli ai suoi Apostoli, ed insegnate a tutte le genti che osservino quello che ho detto a voi. Ma gli Apostoli avrebbero dovuto rispondere prontamente: Signore, ed a qual fine ci mandate? E non sapete voi che mai non potremo rivolgerci ai galantuomini; perché questi non cambiano di religione? Scusate adunque se non vi possiamo servire. Che se essi sono andati senza questa replica, bisogna tutti condannarli senza riparo. E dietro a loro bisogna condannare tutti i successori di S. Pietro, che spedirono in tutti i secoli i loro inviati per far cambiare ai popoli gentili la religione, bisogna condannare i più gran Santi della Chiesa, i quali con tanto zelo si adoperarono per ottenere quel cambiamento, bisogna condannare tutti i Martiri, i quali sostennero al prezzo del loro sangue quel cambiamento improvvido. Bisognerebbe perfino (inorridisco a dirlo) condannare lo stesso Gesù, il quale, venuto sulla terra e presentatosi al popolo giudeo, sostituì all’antica la nuova legge, alle figure le verità, con un cambiamento né piccolo, né leggero. Eppure, se è vera quella premessa, l’illazione è innegabile. Il fatto è però che è falsissima quella premessa. Imperocché l’intelletto dell’uomo è fatto per aderire al vero, come il cuore per posarsi nel bene, e dove ei lo trovi è obbligato ad abbracciarlo. Quando poi si tratti del vero religioso è molto più grave un tal obbligo, quantoché il vero religioso non è solo perfezionamento dell’uomo nella vita presente, ma è anche mezzo unico per la beatitudine avvenire; e non solo riguarda il bene della creatura, ma principalmente la gloria del Creatore. Non può dunque l’uomo, quando Iddio gli rappresenti il vero, non abbracciarlo, senza fare un gravissimo danno a sé stesso. Danno a sé, perché, non abbraccia la verità conosciuta, in questo caso rinunzia all’ultimo suo fine: torto a Dio, perché chiudendo, come suol dirsi, le finestre in faccia al sole, ricusa di glorificare quel Dio che ha la degnazione immensa di farsi da lui conoscere. – Che se alcuno limitasse quel detto solo a coloro, i quali professano alcuna delle sette cristiane, neppure così schiverebbe l’empietà che qui si riprende. Imperocché forse delle varie società, che vantano d’appartenere a Gesù Cristo, ve ne può essere più d’una che possegga la verità? Se la verità non può essere in due proposizioni contraddittorie, in due sette che si avversano, in dottrine che a vicenda si escludono; convien dire che non possano essere tutte vere’. Se la verità è quella sola che fu rivelata da Gesù Cristo, e Gesù Cristo non ha fatto altro che una rivelazione, quella sola adunque, che possederà la rivelazione da Lui fatta, possederà il vero. Pertanto, ricorre la ragione Medesima “toccata di sopra, che dove alcuno abbia la ventura di conoscere dove sia la verità, è obbligato ad abbracciarla. – Sapete in qual caso solo si verifica che un galantuomo non cambia di religione? Quando si parla del cattolico, poiché egli ha tal moltitudine di ragioni e testimonianze in suo favore, che, per cambiare religione, bisogna che prima rinunzi alla stessa ragione. Solo la Chiesa cattolica sfolgora di tanta luce, che non può subito non riconoscersi per la fonte d’ogni verità. Ella sola ha quella perfettissima unità di dottrina data da Gesù Cristo per tessera della sua Chiesa; essa sola ha per suo fondamento la rocca, sopra cui Gesù Cristo protestò d’edificarla; essa sola ha quella pienissima santità che le fu lasciata in dote dal suo sposo divino; essa sola ha i doni straordinarii dei miracoli e dei carismi, che l’accompagnano; essa sola ha vedute tutte le potestà della terra avventarsele .contro, senza che abbiano mai potuto nulla a sterminarla; essa sola ha veduto tutte le eresie levatesi nel suo seno, l’una dopo l’altra cadere affrante ai piedi; essa sola, veleggiando tranquilla in mezzo a tutte le burrasche che le hanno saputo eccitare contro le passioni degli uomini congiurate con le furie dei demoni, i nemici estrinseci d’accordo cogl’interni traditori, non ha mai urtato nelle secche, non ha mai patito naufragio. Ed avendo essa sola queste ed altre infinite ragioni umane e divine in suo favore, chi vive nel suo seno, non può al certo, senza rinunziare all’aperta verità, cambiare di religione. Ma che un protestante, un anglicano possa dire altrettanto, questo è il più portentoso errore che mai siasi immaginato. – Essi sono nati ieri e ripetono la loro origine dagli uomini più sordidi e scellerati della terra. Colle stragi e col sangue hanno conquistato paesi e seguaci. Appena nati si divisero in tante sette, quanti sono i cervelli, con sempre nuove divisioni ogni giorno. Essi senza tradizione che risalga al Capo divino Gesù Cristo, senza miracoli che confermino la loro dottrina, senza carismi spirituali che la illustrino; essi che non formano una Chiesa, perché non hanno unità di credenza; che non formano una società religiosa, perché non hanno un’autorità infallibile che li levi di dubbio; essi che se sanno quel che credono quest’oggi, non sanno quel che porterà la dimane di nuove credenze; che essi in tal condizione debbano dire che un galantuomo non cambia di religione, chi può sopportarlo? Dunque, neppure se sfolgorasse loro limpida e serena la luce della verità non dovrebbero ammetterla? Ed un Cattolico può, per parere spregiudicato, accordar loro una tale assurdità? – Per buona sorte che vi sono tali verità che, malgrado tutti i sofismi, se si possono oscurare, non si possono togliere di mezzo. E questa è appunto una di quelle. Imperocché si è riconosciuto apertamente che dove un Cattolico è passato al protestantismo, era tutt’altro che un uomo onesto; e per converso quelli che tra di loro sono venuti a noi, sono tutt’altro che disonorati. Ne abbiamo esempi sì chiari e solenni che non si possono non riconoscere. I Desanctis, gli Achilli, i Bonavini, i Gavazzi, che cosa son eglino? Son uomini che abbiano abbracciato il protestantismo per menare una vita più pura, più perfetta, più santa? Né essi il credono, né noi, quando la loro vita è sì abominevole, che i protestanti medesimi di qualche onestà li hanno a schifo. – Come pel contrario quei protestanti che hanno cambiato religione e si sono fatti Cattolici in questi ultimi tempi, forse hanno perduta la fama di persone oneste? Tutto l’opposto. L’Europa intiera li ha ammirati, mentre i protestanti stessi, se ne hanno provato dolore, non han potuto metterli in dispregio, giacché le loro virtù li mettevano al coperto da ogni calunnia. Abbiamo veduti principi e principesse della Germania, che sono diventati lo specchio d’ogni virtù. Abbiamo veduti nobili signori dell’Inghilterra, i quali colla fede, carità ed esempii di ogni maniera sono diventati il sostegno dei poverelli e l’edificazione persino dei protestanti nelle loro contrade. L’università di Oxford, ed in parte anche quella di Cambridge, ha mandati i suoi più profondi dottori, i suoi oratori più eloquenti, i suoi Ministri più esemplari alla Chiesa cattolica, e l’Europa ha veduto nella rinunzia, che dovettero fare anche molti di loro di ogni terreno interesse, la sincerità delle loro conversioni. – E per verità le virtù che esercita chi cambia religione in tal modo, sono sì cospicue, sì chiare, che meritano ogni ammirazione. Il protestante che torna al seno della cattolica Chiesa, vince la vergogna che, soprattutto in persone di buona nascita, di civile educazione, e molto più di lettere, è grandissima a dichiararsi vissuto sino a quel punto in errore; si sottomette ad un’autorità, che era avvezzo fino dalle fasce a considerare come avversaria: deve superare le difficoltà, che oppongono bene spesso gl’interessi, e sempre i congiunti, gli amici, i parenti; deve abbattere gli ostacoli che frappongono le abitudini della vita, passate ad esser quasi una seconda natura. Il far tutto ciò richiede tanta elevatezza di sentimenti, tanta grandezza di cuore, un amore alla verità così sincero che con ragione forma l’ammirazione d’ognuno che sia capace di comprenderlo. Le quali cose essendo così, chi non vede il torto che hanno quelli che pur proclamano che un galantuomo non cambia di religione? – È vero che alcuni pronunziano quella sentenza senza comprendere forse tutta la malizia, e chi sa che non anche per un cotal sentimento di compassione verso di loro: ma ciò non si può fare a spese della carità e della verità. Se volete compatire quei miseri son nati senza lor colpa nell’errore, e che pur troppo vi si convolgono per entro, compatiteli pure, e nella vostra compassione rivolgere a Dio un atto di ringraziamento, perché senza alcun merito ne abbia preservato voi. Andate anche più oltre: raccomandateli con tutto il fervore al Padre della misericordia, a Gesù che illumina ogni UOMO che viene nel mondo, affinché sia loro di scorta a conoscere il vero, e di virtù per abbracciarlo: e se a tanto vi basta la conoscenza della vostra religione e lo zelo della salvezza dei vostri prossimi, adoperatevi anche con industria per illuminarli, e questa sarà verissima compassione degna di cattolico. Ma il dar loro coraggio a perseverare nell’ errore, sul pretesto che un valent’uomo non cambia di religione, non solo non è compassione, ma è crudeltà: poiché è uno sviare dal bene, un confermare nel male, e uno stabilire sempre più il pessimo di tutti i disordini che è la indifferenza in fatto di religione.