IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (14)
FRANCESCO OLGIATI,
IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.
Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.
Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.
Capitolo QUINTO (3)
III. — IL CRISTIANO E L’AVIDITA’ DELLE RICCHEZZE.
Si attribuisce ad Alessandro Magno un detto curioso: « In una città assediata difficilmente potrà penetrare un filo di paglia; entrerà, però, sempre un asino con un carro carico d’oro ».
L’auri sacra fames fa scoppiare un nuovo conflitto. Tra l’Amore infinito di Dio e le ricchezze, l’uomo resta spesso esitante e poi molte volte si decide per l’idolo seducente del denaro. Né illudiamoci. Il ladruncolo della strada e l’elegante ladro della Borsa; il truffatore rinchiuso nel carcere ed altri imbroglioni che passeggiano fuori, e magari son decorati, il mercante o l’industriale che rubano all’ingrosso e l’oste che truffa al minuto con la subdola ripetizione del miracolo di… Cana (perchè, dopo tutto, anche egli… converte l’acqua in vino); i retroscena di certi fallimenti, di certe réclames giornalistiche, di crak improvvisi e di improvvise fortune; in una parola, le innumerevoli violazioni del settimo comandamento, nelle loro forme più svariate, dall’usura alla mancanza di onestà di una domestica, non costituiscono gli unici casi quotidiani in cui la battaglia viene perduta. – Siccome non siamo puri spiriti ed abbiamo tutti i nostri bisogni economici, la tentazione è sempre presente. È facile che il nostro cuore, quasi senza che ce ne accorgiamo, palpiti non per il Padre che è nei cieli, ma per il portafoglio che è nella tasca o per la cassaforte che è nell’ufficio. – Carlo Marx ha senza dubbio esagerato, quando con la sua concezione materialistica della storia ha sostenuto che in ultima istanza ogni fatto storico si spiega per via della sottostante struttura economica; ed i suoi discepoli hanno esagerato più ancora, sino al ridicolo, quando hanno voluto ridurre la storia e la vita ad una Magenfrage, ad una questione cioè puramente di stomaco. Sarebbe come un ridurre il poema dantesco all’inchiostro col quale è stato scritto. Tuttavia, chi può negare che un’anima di vero vi sia nel materialismo storico? La potenza del denaro domina, s’impone, tiranneggia; nazioni e individui, dinanzi ad essa, dondolano ed ondeggiano, si chinano e cedono. – Guerre di popoli e inimicizie personali, atteggiamenti politici e condotta individuale sono spesso influenzati e determinati anche e soprattutto dalla avidità del denaro. Del resto, la questione sociale che agita il mondo non ha forse anche un carattere economico? Ed allora i problemi s’impongono: com’è possibile essere praticamente Cristiani? Dobbiamo forse per seguire la morale di Cristo, che dichiara « beati i poveri », distruggere l’economia mondiale, o rovinare l’industria ed il commercio nazionale? I popoli han bisogno di ricchezza; povertà significherebbe la negazione della civiltà. La famiglia e gli individui debbono cercare d’arricchire; altrimenti verrebbe meno una fonte di progresso. Oh che vorreste convertire la terra in un ampio convento? A queste difficoltà s’aggiunge l’altra domanda: qual è la tattica che il Cristianesimo ci prescrive di fronte alla ricchezza? Come si vede, il problema storico, la questione sociale e la condotta individuale sembrano allearsi, per rendere più ardua la lotta, più oscura la risposta.
1. – Il principio fondamentale.
Bisogna sempre partire dal principio fondamentale: Dio è il centro della realtà e tutte le cose dipendono da Lui e debbono essere a Lui subordinate. Perciò non è lecito capovolgere l’ordine e porre a centro di tutto il denaro. O si riconosce come Essere supremo Iddio e il suo Amore infinito: altrimenti cadiamo nell’idolatria. « Non si può servire a Dio e a Mammona », ammonisce Cristo. E tutto lo spirito della sua predicazione contro l’abuso delle ricchezze è riassunto in tale concetto. Perché mai volete rifiutare Dio e rendervi schiavi dell’oro? « Badate e guardatevi da ogni cupidigia, perché la vita d’alcuno non stà nella ridondanza de’ beni che possiede ». Il valore d’un uomo non si misura dalla sua condizione economica; anzi, sovente la « seduzione delle ricchezze soffoca la buona semente della parola divina e la rende infrutuosa ». a Quelli che vogliono arricchire, commenta poi san Paolo, scrivendo a Timoteo, cadono nella tentazione e nel laccio del diavolo ed in molti desideri inutili e nocivi, che sommergono gli uomini nella morte e nelle perdizioni. Radice, infatti, di tutti i mali è la cupidigia ». I beni terreni non sono sicuri: “Non cercate, quindi, di accumulare tesori sulla terra, dove ruggine e tignola consumano e dove i ladri dissotterrano e rubano. Ma accumulatevi dei tesori nel cielo… ». Inoltre sono beni che bisogna un giorno abbandonare con la morte, come rammenta la parabola: « A un uomo ricco fruttava bene la campagna; e andava ragionando fra sè: — Come farò, che non ho dove riporre la mia raccolta? — E disse: — Farò così: demolirò i miei granai e ne fabbricherò di più vasti e ci metterò tutti i miei prodotti e i miei beni; e dirò all’anima mia: o anima, tu hai messo da parte i beni per molti anni: riposati, mangia, bevi e godi. — Ma Dio gli disse: — Insensato, questa notte ti si richiederà l’anima tua; e quanto apprestasti, di chi sarà? — Così, chi tesoreggia per sè e non arricchisce avanti a Dio». – Ecco, dunque, la base essenziale: dobbiamo amare Dio sopra ogni cosa, non il denaro; chi vive per il denaro, praticamente rinnega Dio e lo sostituisce con un idolo di oro.
2. – Ciò che non insegna la morale cristiana.
Non si deducano da un simile principio elementare conseguenze che nulla hanno a che fare con esso. 1. La morale di Cristo non condanna la ricchezza, in quanto ricchezza. Non proviene forse anch’essa da Dio? Non è forse uno dei doni che il suo Amore infinito fa all’umanità? L’uso della ricchezza è santo; solo l’abuso viene stigmatizzato. Nessuna meraviglia, quindi, se Gesù entra nelle case dei ricchi, se si asside alla loro mensa, se ha fra i suoi amici persone facoltose. Il fatto di Zaccheo (convertito da una visita gentile del Maestro) che restituisce con generosità ciò che aveva rubato, ma non dà tutte le sue sostanze, e che pure sente la bella assicurazione: « Oggi la salvezza si è fatta per questa casa », è significativo. E quando dovrà istituire l’Eucaristia, Gesù vorrà un cenacolo riccamente addobbato, che preludeva alla ricchezza dei suoi templi e delle basiliche cristiane, dove, essendo essa subordinata a Dio ed al suo servizio, l’ordine è rispettato. Ma non sembra — si chiederà qualcuno — che Cristo abbia condannato non solo l’abuso, ma anche l’uso della ricchezza? Non leggiamo noi forse in san Luca: « Guai a voi, o ricchi, perché avete ricevuto la vostra consolazione? ». No, Il vae vobis divitibus non è l’esclusione del ricco dalla Chiesa, ossia dal regno de’ cieli; ma è l’ammonimento dei pericoli che il denaro porta con sé. L’affetto sregolato ai beni che si possiedono sorge in noi facilmente e ci rende febbricitanti, come nota il santo di Ginevra; simili a chi è divorato dalla febbre e beve acqua con avidità, così il denaro ci comunica la febbre di una avarizia mai sazia. Inoltre, la fame dell’oro suggerisce mezzi illeciti per procurarselo e per conservarlo. E l’ansia per tale conquista e per tale difesa fa dimenticare i beni più alti e la vita morale. Se l’animo non è staccato dall’oro, osserva san Vincenzo de’ Paoli, somiglia ad una persona legata mani e piedi ad un albero, la quale non può né fuggire, né recarsi a domandar soccorso, e che pure si crede libera. Il denaro è spesso una chiave ingannatrice: essendo dorata, tutti la guardano e la bramano; e non sanno che essa ci rinchiude nella prigione dell’egoismo, dove più non si pensa ad amare Dio, più non ci si preoccupa del povero Lazzaro, ricoperto di piaghe, che invano sospira le briciole della mensa. t solo per questa antitesi tra l’egoismo e l’amore a Dio ed ai fratelli che Gesù dichiara: « È più facile che un cammello passi per la cruna d’un ago, che un ricco entri nel regno de’ cieli ». E chi riflette a tutti gli sfruttamenti compiuti nei secoli dagli Epuloni, comprende e conclude: è giusto. O si ama Dio e il prossimo, e si è Cristiani; o il dio nostro è il denaro, ed allora non lo siamo più. – Certo, può essere Cristiano il ricco, che usa delle sue ricchezze, ispirandosi al precetto dell’amore. Vorrete forse rifiutare il nome di « Cristiano a Leone Harmel, che a Valdebois fu il bon père dei suoi operai e che mostrò a fatti come anche l’atmosfera industriale può essere resa ottima dall’ossigeno dell’amore? Il ricco, non egoista, che nell’uso dei beni terrestri non viola il piano divino, non merita di sentirsi un giorno rivolgere da Cristo la terribile sentenza: « Avevo fame e non mi desti da mangiare… ». Egli, non solo con l’elemosina, ma con tutte le iniziative che la funzione sociale della ricchezza può suggerire in una determinata epoca e nelle circostanze concrete in cui vive, ama veramente Dio e il prossimo; ossia è veramente Cristiano.
2. Il Cristianesimo non giustifica la trascuratezza nei doveri che ognuno ha a proposito delle sue necessità economiche. Potrebbe, ad esempio, dire d’essere fedele al comando dell’amore un padre di famiglia che non si curasse dei bisogni della sua casa, o una mamma che sciupasse somme forti nel lusso ed in spese superflue, col pretesto che non bisogna avere il cuore attaccato al denaro? Il vero precetto non è negativo, ma è positivo: amare Dio e il prossimo. Lo sciupio del denaro, la noncuranza del risparmio, il criminoso disinteresse di fronte alle necessità dei propri cari, cosa sono in ultima analisi se non l’egoismo, ossia la negazione assoluta della morale cristiana? Chi profonde somme pazze nel gioco; chi sperpera il salario all’osteria; chi fa debiti per divertirsi e per condurre una vita di lusso sproporzionata alle proprie entrate, è egoista sempre. Non cerca Dio, ma se stesso, e resta nel disordine. Gesù Cristo, al contrario, c’insegna a preoccuparci anche delle cose economiche, ispirandole col senso del retto amore. Dinanzi alla folla immensa, che attratta dalla sua divina parola, l’aveva seguito nel deserto, ha forse esclamato: « Beati i poveri, perchè possono morire di fame »? No. Ha pronunciato, piuttosto, la sua sublime esclamazione: « Misereor super turbam » ed ha sfamato il povero popolo. È moralmente doveroso, quindi, ed è un’applicazione evidente del precetto dell’amore, interessarsi dell’economia propria, dell’economia domestica, delle finanze nazionali e dell’economia sociale. Oh, non è forse un amare il prossimo anche il procurare il benessere economico dello Stato, il promuovere la legislazione sociale, il contribuire all’organizzazione sindacale, cristianamente animata, del proprio Paese? – L’unica cosa che il Cristianesimo esclude è il capovolgimento dei valori. Quando, ad es., si asserisce che tutto è una questione di stomaco, la morale cristiana protesterebbe; ma quando si dovesse concludere: « Dunque il Cristiano non deve preoccuparsi dell’economia », si direbbe uno sproposito. Anche la Magenfrage si trasforma per noi in un problema morale, che dev’essere risolto non come lo potrebbe fare un bruto, non come lo potrebbe fare un economista puro, ma come ha il dovere di scioglierlo un economista discepolo dell’Amore. Queste due parole: economia e Cristianesimo non fanno a pugni. Quantunque la missione di Gesù sia stata di ordine essenzialmente spirituale e quantunque sia vano ricercare nel Vangelo un trattato di economia politica od un programma di riforme economiche, tuttavia è chiaro che la morale cristiana dev’essere l’anima ispiratrice anche del movimento economico. È la grande idea, che nella Rerum Novarum Leone XIII, contro le negazioni della scuola liberale e della corrente socialista, ha illustrato col suo genio, col suo cuore, con la sua autorità di Pontefice e di Padre.
3. – La povertà di spirito.
Nel discorso della Montagna, con una espressione semplicissima e divinamente profonda, Gesù Cristo ha espresso la sua dottrina riguardo alla ricchezza, proclamando beati i poveri di spirito. Chi sono i « poveri di spirito »? Forse gli imbecilli, come ha interpretato qualche scemo? Per null’affatto! La morale cristiana vuole che noi abbiamo compassione dei deficienti, ma non li propone a modello; bensì ci invita ad invocare, fra i doni dello Spirito Santo, quello della sapienza, della scienza, dell’intelletto…
I « poveri di spirito » sono coloro che, possedendo o non possedendo ricchezze, non hanno il cuore legato ad esse; che, quindi, riconoscono praticamente la centralità di Dio, e non adorano il dio Quattrino. Può essere « povero di spirito» un milionario, che usa le sue fortune secondo il comandamento della carità, non solo beneficando il prossimo, ma utilizzando i suoi capitali in opere che ridondano a vantaggio sociale. E può essere « ricco di spirito » un indigente, che, non avendo nulla, è minato dalla cupidigia e non aspira se non al denaro, invidiando chi lo possiede. È insomma il distacco dell’animo e del cuore dai beni del mondo, che esige Gesù Cristo; è lo spogliamento affettivo, anche se non è reale; è la condanna sia della ricchezza eretta a divinità, sia della povertà subita a malincuore. La prima delle Beatitudini si riferisce, quindi, ad ogni persona, ai ricchi ed ai poveri. È qui che bisogna allora distinguere, fra il comando della povertà evangelica, imposto a tutti, ed il consiglio rivolto solo a coloro che tendono allo stato di perfezione.
4. – Il comando della povertà.
A tutti è comandato di essere « poveri di spirito», senza eccezione. Tutti, pur servendosi del denaro, non debbono esserne schiavi. Non noi per il denaro, ma il denaro per noi, per il prossimo, per Dio: ecco la norma obbligatoria della vita cristiana. Chi calpesta una simile legge, nega l’amore d Dio, perchè lo pospone ed un bene creato; causa disastri sociali, che sono in opposizione all’amore del prossimo; rovina se stesso, perché si prepara mille disillusioni. – Mai, come in punto di morte, colui che ha vissuto per il denaro coglie tutta la verità della morale cristiana. Nella propria giovinezza, forse, era giunta la benedizione di Dio: gli affari erano prosperati, il benessere economico aveva recato il suo sorriso nella casa e la ricchezza aveva portato il proprio bacio. Invece di essere riconoscenti al Datore di ogni bene, forse il nuovo ricco si è dimenticato di Lui. Arricchirsi e allontanarsi da Dio è sempre stata la storia di molti, in ogni secolo, ma specialmente nel secolo nostro. L’attivitànfebbrile nel mondo degli affari assorbe tutte le facoltà dell’animo: qualche operazione fruttuosa, ma poco scrupolosa, viene a celebrare i funerali dei vecchi precettuzzi di morale; il problema più importante lo si trova enunciato ogni giorno nel costo del cotone, della seta, dei cereali o nel listino di Borsa. Alle antiche preghiere del mattino si sostituisce lo sguardo avido alle oscillazioni nel prezzo delle azioni, alla media dei consolidati e dei cambi, alle notizie dei fallimenti e dei concordati. E gli anni passano a questo modo.., ed a questo modo arriva un’indisposizione ed una malattia. Dapprima la cosa pare trascurabile; qualche giorno di riposo e tutto sarà riparato… Poi, si aggiungono le complicazioni…
L E fra una ricetta e l’altra, fra una visita del medico e quattro parole con un amico, par di sentire il rumore di un passo, come di chi s’avvicini alla camera nostra. Che c’è?nNulla… È la signora Morte, in cammino,.. Ma come? Chi l’ha chiamata? Non ha essa rispetto per gli uomini d’affari? Ahimè! Che volete? La Morte non ha mai avuto tempo di leggere il Galateo di monsignor della Casa… Nel frattempo la malattia s’aggrava. Il medico curante ed i familiari suggeriscono un « consulto ». Si telegrafa, si telefona. E giungono gli uomini della scienza; visitano accuratamente, gentilmente; sussurrano le loro strane parole mezzo greche e mezzo italiane, che al profano destano l’impressione di pietose etichette utilissime per velare la dotta ignoranza. Che volete? Se l’organismo si sfascia, il « professore » anche più celebre potrà se mai esprimervi il fenomeno in termini scientifici; ma potete esigere da lui qualcosa di più? È allora, in qualche momento di quiete, che la signora Morte comincia a mostrare la sua faccia. Dapprima un sospetto lontano, un’idea pallida, un baleno improvviso e rivelatore. Ma è sufficiente per turbare, per provocare un sussulto d’angoscia, di terrore e di raccapriccio… – Officine? stabilimenti? campi? palazzi? ville? depositi alle Banche? ricchezze?… Tutto questo che giova? Bisognerà provvedere al testamento; ma nel testamento si ripete insistente un unico verbo; lascio, lascio, lascio… E nulla più. – L’esame della propria vita s’impone. In quella ricca stanza elegante, di notte, quando il sonno ristoratore tarda a venire, mentre qualcuno veglia al capezzale, d’improvviso il quadro della propria esistenza si affaccia alla mente dell’infermo. Dopo tanti bilanci a fine d’anno e a fine del semestre è purtroppo giunto il momento in cui bisogna pensare al bilancio della propria vita. Il Dio dei primi anni innocenti riappare. Forse riappare accanto alla figura della vecchia mamma, morta pregando e che come un giorno ha congiunto le manine del bimbo, sembra che oggi voglia riunire in atto di preghiera le mani del figlio morente… – La speranza, ultima dèa, tenta sorridere; ma ormai quel pallido sorriso appare bugiardo. Le forze sfuggono. Nell’animo agitato, sconvolto, il dramma prosegue. Ricordi di colpe, proteste di deboli, obblighi di restituzioni, rimorsi oscuri, quasi personaggi viventi, balzano nella coscienza, minacciano e scompaiono. La vanità di una esistenza intera, assorbita nel danaro e ad esso sacrificata, s’impone allo sguardo. È il crollo d’un meraviglioso palazzo, illuminato di illusioni; là, sulle rovine, sta lei, vendicatrice, la signora Morte… E guai se allora non giunge, col Ministro del perdono, il conforto di Dio dimenticato negli anni della prosperità e ritrovato nell’amaro e desolato tramonto…
5. – Il consiglio evangelico della povertà.
Al giovane, che l’interrogava sul modo di salvarsi, Gesù — ce lo riferisce il Vangelo di san Matteo — rispose: « Se brami di arrivare alla vita, osserva i comandamenti ». Ed il giovane a Lui: « Ho osservato tutto questo dalla mia giovinezza; che mi manca ancora? ». Allora Gesù: « Se vuoi essere perfetto; va, vendi ciò che hai e distribuiscilo ai poveri; ed avrai un tesoro nel cielo; e vieni, e seguimi ». A tutti la morale cristiana impone di non esser adoratori del denaro; alla schiera di chi vuol tendere alle alte vette, suggerisce e consiglia la rinuncia reale e l’abbandono effettivo, non solo affettivo, d’ogni ricchezza, uno spettacolo meraviglioso quello che Cristo ci offre. – In questo mondaccio, dove per un soldo moltissimi son pronti ad abdicare ad ogni senso di onestà e di pudore, quell’espressione del Vangelo è bastata per suscitare eserciti di anime, che hanno preso la Povertà in isposa. E passano dinanzi al memore pensiero i Monaci e gli Eremiti, tutti gli Ordini antichi e moderni, le Congregazioni e le Famiglie religiose. Son folle sterminate di persone, che con un gesto sorprendente, dànno un addio ai beni, alle comodità, all’oro, per condurre una vita di mortificazioni e di penitenze. Era opportuno che simile scena si rinnovasse nel succedersi dei tempi. La povertà evangelica, in mezzo alle cupidigie umane, è un rimprovero, un mònito, un appello. Se la sua voce oggi risuona per tante anime come una lingua incomprensibile, la ragione è che la morale cristiana non è conosciuta. Poichè, lo si noti bene, la vera povertà evangelica si riduce ad un atto di amore per Dio e per il prossimo. Non è solo il poverello d’Assisi che dalla povertà fu condotto all’Amore e che dall’Amore fu condotto al più alto grado della povertà; ma in ogni anima consacrata a Dio, che a Lui si lega con un voto, si verifica lo stesso fenomeno. Chi volontariamente si spoglia di quanto legittimamente gode, dice al Signore, con l’eloquenza del fatto: « Per tuo amore, o Signore, io rinuncio a tutto; il mio gesto è un gestond’amore per Te. Io voglio Te solo, in questo e nell’altro mondo, perchè Tu sei il mio Dio e la mia felicità ». Colui che è perfetto nella povertà, ama Dio sopra ogni cosa in modo evidente; e si capisce come debba amare anche i fratelli suoi, più di ogni e qualsiasi altra persona. Il suo cuore non è occupato da ossessioni per i beni terreni; perciò resta aperto a tutti i bisognosi. Chi mai, per portare un piccolo esempio, ama di più il suo prossimo, di quelle vergini spose di Cristo e della povertà che si consumano silenziosamente negli ospedali? E nella storia dell’economia qual è quell’anticlericale così ignorante, che possa cancellare l’influsso esercitato dagli Ordini religiosi sullo sviluppo sociale avvenuto col passaggio dall’economia a schiavi all’economia dei servi della gleba ed ai liberi cittadini del Comune medievale? – Sono esilaranti alcuni economisti, che indicano il Cristianesimo quasi fosse fautore di una trasformazione del mondo in un grande chiostro. No. C’è bisogno a questo mondo della prosa e della poesia. E guai se dovessimo abolire la prosa! Guai, se per comperare un po’ di pane o un po’ di prosciutto, la buona massaia dovesse parlare in versi col prestinaio o col salumiere! Così anche nella questione della ricchezza: occorre la prosa dell’economia e la bella poesia della povertà assoluta. Oh chel vorreste distruggermi Dante, perchè nelle vicende della giornata voi parlate non componendo terzine? State tranquilli. Di Alighieri non ne nascono dodici al giorno: e di persone che si consacrano alla povertà evangelica e che cantano la poesia del distacco dal denaro, non ve ne saranno mai troppe. Sia benedetta la poesia e sia benedetta la prosa! Ciò che importa è che, nell’una e nell’altra, non si commettano errori di grammatica, di sintassi, o di senso… Non basta indossare un saio per essere perfetti: e le degenerazioni di alcuni Ordini, come gli Umiliati, ce lo ricordano. Nessuno è da riprovarsi, se resta nel mondo e utilizza i suoi averi; solo si richiede che non cada in certi sbagli, per i quali, invece di servirsi del denaro, lo serve indecorosamente ed ignobilmente.
6. – Il cristiano e la ricchezza.
La vittoria completa nella lotta contro la cupidigia dei beni terreni il Cristiano la raggiunge con l’unione a Cristo. Basta risvegliare in noi questo senso della incorporazione nostra col Maestro divino, che volle nascere in una stalla, che volle vivere poveramente, che scelse come suoi Apostoli uomini privi di fortuna, per rendere sempre più vigile la coscienza riguardo al distacco del denaro. Basta riflettere che vive in noi quel Gesù, che soccorreva e provvedeva ad ogni miseria, per capire l’ammonimento della prima lettera di san Giovanni: « Se alcuno ha de’ beni del mondo e vede che il suo fratello ne ha bisogno e gli chiude le sue viscere, come può rimanere l’amor di Dio in lui? Figlioletti miei, non amiamoci con parole e con la lingua, ma con opere e in verità ». È questo dogma dell’unione mistica di Cristo con noi, che deve farci scorgere Gesù nei poveri e deve caratterizzare la elemosina cristiana: la quale è per definizione, come vedemmo, il soccorso nostro non al povero, ma a Cristo vivente nel povero. È questo il pensiero che anima gli scritti dei Padri e la vita dei Santi, e che un venerdì santo induceva Bossuet a dimenticare quasi il Redentore, per non parlare che del povero: « Non vi domando — egli esclamava dinanzi al suo uditorio — che voi contempliate qualche dipinto di Gesù crocifisso; io ho un’altra pittura da proporvi, pittura viva, che ha l’espressione naturale di Gesù morente. Sono i poveri… In essi Gesù soffre, langue e muore di fame. In essi Gesù è abbandonato, disprezzato ». – Finalmente l’unione di Cristo con noi ci ricorda Giuda, la sua battaglia, la sua sconfitta, il suo tradimento. Uniti a Cristo come lui, anche ad ognuno di noi si propone il dilemma: o l’amore fedele al nostro Dio, o trenta denari infami. “Non si creda che Giuda sia scomparso dalla terra. Egli rivive in molti Cristiani, che ripetono la sua offerta: « Quanto mi volete dare, perchè io ve lo consegni?». Ed il turpe mercato si rinnova e ancora si vende il Figlio dell’uomo… Unica differenza fra Giuda ed i suoi successori è che questi ultimi talvolta sono pronti a tradire per una somma minore di trenta denari… Ma anche se i Giuda divenissero sempre più numerosi, anche se il vile mercimonio continuasse e si diffondesse, Giuda, simbolo dell’avidità dell’oro, ha torto e la morale nostra conserva i suoi sacri ed imprescrittibili diritti.