LO SCUDO DELLA FEDE (265)
P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,
Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (8)
4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864
CAPO VIII.
RELIGIONE
I. Basta far bene. II. Io non rubo, io non ammazzo. III. È un uomo onesto, gli manca solo un poco di religione.
Oltre la religione del cuore ve n’ha un’altra, alla quale ricorrono non pochi a questi giorni, sempre in cerca d’ evitare quanto possono l’esercizio verace del Cristianesimo. Potrebbe chiamarsi questa la religione del far bene. Che necessità, dicono essi, di rompersi il capo e di angustiarsi il cuore a fare tanti studi, ed a distillarsi l’ingegno in una moltitudine di verità che non s’intendono, e di esercizi che annoiano, quando a Dio basta tanto meno? Faccia io bene, e Dio si terrà per soddisfatto, e non può domandare altro un Padre sì buono alle sue creature. Per quanto sia inetto questo aforisma, per quanto sia vano, non lascia a certi cervelli leggerissimi di fare qualche forza e di persuaderli a trascurare tutto il culto. Vediamo dunque se esso regga punto al martello della discussione.
I. Che cosa vogliono essi significare dicendo che basta far bene? Se nulla vogliono dire, è che la bontà della vita scusa ogni religione. Or la bontà della vita, gli onesti costumi, le maniere savie, la condotta irreprensibile, la purezza del vivere sono certo cose molto lodevoli; ma, di grazia, bastano esse a costituire un uomo veramente buono? La vita buona abbraccia tre parti: la pietà verso Dio, la giustizia verso il prossimo, la sobrietà verso sè stessi; e qualunque di queste parti venga meno, vien meno con essa la bontà. Ora diamo pure per un momento che costoro non facciano torto al prossimo, non rubino, non ammazzino, come se ne vantano; concediamo anche loro che non si lascino trasportare a sfrenatezze, a lascivie, a dissolutezze (di che neppur essi si vantano); accordiamo loro che nulla sia a ridire sulla loro condotta, ma e dunque, il mancare totalmente della pietà verso Dio, degli esercizi del culto, lo stimano un nonnulla siffattamente che non impedisca neppure più l’essere buono? – Abbiamo accennato sopra fino a qual punto sia doverosa la religione; ebbene essi sono buoni, mentre violano quei doveri sì sacrosanti? Iddio impone la religione. con fanti titoli, quanti sono qi suoi attributi, e costoro sono buoni calpestandoli tutti? Iddio la impone con tante ragioni, quante sono quelle della nostra dipendenza e sudditanza, ed essi son buoni col contravvenire a tutte, e tutte porle in non cale? Il Figliuolo di Dio, per ammaestrarci nella religione e stabilirla presso di noi, si degnò di venir sulla terra, facendosi uomo; si compiacque di pubblicarla colla sua bocca divina, di autenticarla co’ suoi miracoli, di allettarvici colle sue’ promesse, di minacciarci con eterni castighi se l’avessimo trasandata, di prometterci eterni premii se vi fossimo stati fedeli; e costoro, disprezzando e conculcando le degnazioni divine, le sue minacce, i suoi premii ed i suoi castighi, le sue proibizioni ed i suoi comandi , si spacciano come buoni, e, se il ciel li salvi, si tengono tali? Bisogna davvero, oltre la fede, avere smarrita ariche la ragione per parlare in tal modo. No, no, non sono buoni costoro, mentre loro manca il primo fondamento della vera bontà, che è la pietà verso Dio, quand’anche avessero nel rimanente la condotta la più pura ed incontaminata.
II. Del resto cotesti, buoni hanno poi almeno questa esemplarità che pur vantano? Non vi abbiate a male, se io alquanto ne dubito. Ponderate i motivi che mi tengono perplesso, e poi risolvete da voi la questione. Costoro per lo più tra loro precetti, non ne contano se non due: non rubare, non ammazzare; e questo, lo accorderete facilmente, è un restringerne un po’ troppo il catalogo. Tra le virtù ne conoscono una sola, ed è la beneficenza; e questo non è senza qualche pregiudizio delle virtù teologali, cardinali, morali. Ridotta tutta la vita a quei doveri sì scarsi, voi vedete che trovano anche luogo molte altre azioni che compromettono un poco il basta essere buono. Trovano ancora luogo tutte le vanità per cui s’idolatra il mondo e non si respira altro che spassi, trastulli, feste, teatri, giuochi, divertimenti. Trovano anche luogo tutti gli eccessi della gola, dell’intemperanza, del viver molle. Trovano luogo le trame, le conventicole delle cospirazioni, delle società segrete. Trovano luogo principalmente tutte le dissolutezze della carne. Ristretti i comandamenti all’io non rubo, io non ammazzo, resta luogo all’insidiare la donna altrui ed al prostituire la propria; resta luogo ai pensieri immondi, ai discorsi laidi, alle scollature indecenti, alle compiacenze ree, a tutte le turpitudini in che si coinvolgono gli animali. Tutte queste abominazioni non sono punto vietate da quel decalogo compendiato. Né un poco di beneficenza corregge gran fatto l’errore, o apre un campo più spazioso all’esercizio della bontà. Non impone l’obbligo di reprimer sé stesso, né di combattere le proprie inclinazioni, né di superare duri contrasti, o di rinnegare il proprio spirito. Per mettere in tutta la sua mostra un po’ di beneficenza, basta anche intervenire solo a qualche ballo umanitario, a qualche rappresentazione teatrale, a qualche accademia di musica, massimamente in quaresima, prendere qualche biglietto di una lotteria, o contentare qualche signora elegante, che graziosamente vi presenta dinanzi un vassoio a stimolare la vostra inesauribile filantropia. Ora non potete negare che anche questo esercizio di bontà non sia la cosa più ardua del mondo. – Ad incalzare questi miei dubbi si aggiunge per noi Cattolici un’altra ragione affatto stringente. Ed è che, senza la grazia divina, noi sappiamo non poter niuno durare lungamente nel bene, specialmente poi in mezzo a pericoli e tentazioni sì gravi, quali son quelle che s’incontrano in mezzo al mondo. Per noi Cattolici questa verità è al tutto fuori di controversia, poiché la fede ce l’intima assai chiaro. Per ottenere poi questa grazia le vie ordinarie sono due senza più, la preghiera ed i sacramenti; tantoché allontanarsi o da questi o da quella, è lo stesso che mettersi disarmato in un campo di battaglia e non volere essere ferito, cioè un impossibile. Or chi riduce la sua religione al non rubare e non ammazzare, non ha consuetudine di pregare, non di confessarsi, non di comunicarsi, e quindi non ha gli aiuti che gli sono di assoluta necessità per resistere alle tentazioni, per superare gli ostacoli che al tutto si hanno da vincere per giungere alla vera bontà. Di che è forza il conchiudere che questi buoni senza religione debbono per necessità cadere in una moltitudine di peccati, secondo le occasioni che lor si presentano. La conseguenza è innegabile. – Aggiungete che, per esser buono alla maniera cattolica, non basta neppure il contentarsi di non far male, bisogna positivamente fare ancora di molto bene. Bisogna (altro che un po’ di beneficenza!) portare rispetto ai superiori anche discoli, amore agli uguali anche inamabili, trattare con mansuetudine anche gl’inferiori, e far del bene ai proprii nemici. Bisogna, non dico, non mormorare il prossimo, ma ricoprirlo, ma aiutarlo, ma assisterlo nelle sue necessità. Bisogna non solo non rapire l’altrui, ma dare il proprio superfluo ai overelli. Bisogna non solo non ispiantar gli emoli e scavalcarli perché fanno uggia, ma serbar l’umiltà nel cuore ed il sentimento giusto del proprio nulla. Queste ed altre simili a queste sono le virtù, senza le quali niuno è buono alla maniera cattolica. Ciò presupposto, sarei io troppo ardito se dubitassi un poco, che tutte queste virtù si trovino in coloro, che gridano tanto: basta esser buono, la mia religione è far del bene? I Santi che mai non restavano dal pregare, dal piangere, dal digiunare, dal faticare in servigio altrui, non osavano vantarsi di esser buoni, e costoro facendo nulla, come tanto si assicurano di aver imbroccata la vera religione? Forse più di un lettore, percorrendo queste ragioni, si riderà nel suo cuore di me che buonamente le adduco. E che? vorrebbe egli dire, non basta la sperienza per dimostrare fino all’evidenza, che cotesta è una maschera, sotto cui covano tutte le malvagità? Se chi legge queste carte fosse di quelli che hanno qualche sperienza del mondo, senza dubbio non avrebbe avuto bisogno di esse; ma v’ha sempre un cotal numero di coloro i quali, o per una leggerezza inarrivabile o per una semplicità miracolosa, sono disposti a credere tutto quello che altri ha il coraggio di profferire: e questi abbisognano di disinganno.
III. E con ciò vorrei correggere eziandio il modo di parlare, che si ode persino sulla bocca di persone non cattive ma incaute, quando di alcuno che ha gettato affatto la religione, solo che abbia conservato nell’esteriore qualche naturale onestà, si fanno elogi sperticati, soggiungendosi al fine, che non gli manca altro che un poco di religione, poiché del resto. . . Come? Ed è un uomo onesto quello a cui manca solo un poco di religione? Ma dunque il grande Iddio è caduto sì basso nell’estimazione dei Cristiani, che il metterlo da parte, il trascurarlo non sia quasi più colpa da farne caso? Non toglie neppur più la fama d’onestà il violare i diritti del Creatore, del Redentore, del Padre, dell’ogni bene che è Dio? Non è neppur più una colpa il distruggere tutti i disegni, pei quali Dio unicamente ci ha collocati sulla tetra, e per cui ci ha forniti di tutte quelle qualità che possediamo? – Che cosa ve ne parrebbe se io vi dicessi d’un uomo che egli è onesto sì, ma che solo ha la tacca che talvolta avvelena il suo prossimo, ché dà qualche pugnalata, e che talora, o per suo diletto o perché è scarso a denari, scanna qualcheduno? Che cosa direste di una donna, della quale vi si predicasse ogni gran bontà sola piccola aggiunta, che le è rimasto il debole di offrirsi sulle pubbliche strade a quanti passano? Vi parrebbe una beffa. E il dire di una persona, che non manca alle convenienze ma solo manca a quelle dovute a Dio, che onora gli uomini e che solamente a Dio non porta alcun rispetto, non vi sembra una beffa molto maggiore? Non vi lasciate dunque mai sfuggire dal labbro che vi sia onestà senza religione, poiché il parlare così toglie l’orrore, che è giusto che tutti abbiano verso quei sepolcri imbiancati e fetenti, che ricoprono con un poco d’onestà naturale un animo senza religione; leva a quegli infelici medesimi lo stimolo che avrebbero a convertirsi dove si vedessero in dispetto a tutti, siccome sarebbe giusto; e soprattutto diminuisce il concetto altissimo che si ha da avere di Dio e della cristiana pietà. – Se non si usassero dal mondo tanti riguardi, come scioccamente si usano verso costoro, le città cattoliche non avrebbero tanti audaci, i quali, con la fronte proterva e col cuore corrotto, menassero vanto di rigettare le credenze cristiane e di calpestarne le pratiche: ma siccome i più, per tema di non essere tacciati d’intolleranza, si rappicciniscono, non osano fiatare, oppure anche peggio per dappocaggine e viltà d’animo li approvano; così quei felloni imbaldanziscono senza misura. Guai però a coloro che non si curano di Dio, se Dio un giorno non si curerà più di loro!