TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (50)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (50)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -VIII-

H. – DIO DOCENTE MEDIANTE IL MAGISTERO DELLA CHIESA

  1. Diritto ed ufficio del Magistero ecclesiastico.

H1a. a. – IN GENERE

Cristo affidò il deposito della fede alla Chiesa a. istituendo il Magistero autentico perenne a3305 CdIC 1322, § 1; Cr. È egli stesso che insegna attraverso la Chiesa per giuridica missione 3806.

La Chiesa ha il diritto e l’ufficio di esporre la dottrina rivelata in quanto sua custode e maestra 807 3012 3020 3540 CdIC 1322, § 1; in questo ufficio essa è indipendente dal potere civile CdIC 1322, § 2.

In generale si richiede la sottomissione al Magistero -: 125 2020 2390 2875-2880 3020 3625 3884s; – anche i capi di dottrina che per comune e costante consenso dei Cattolici sono ritenute come verità teologiche e conclusioni certe 2880; -: a pro delle dottrine filosofiche 2860s 2865s 2910 3018.

Esempi di soggezione e riduzione degli autori 807 980 990s 2351 2751 2811 2828.

Affermaz. impugnanti ctr. autorità magistrale della Chiesa 1477-1480 3401-3408.

H1b. b. – DIRITTO ED UFFICIO DEL MAGISTERO QUANTO ALL’OGGETTO.

1ba. Ambito della competenza del Magistero. Oggetto è la dottrina rivelata, il deposito della fede (a. giudizio circa il vero suo senso) a1507 a1863 3012 3018 3071).

Col Magistero nulla di nuovo si aggiunge al deposito della fede, ma o si chiarisce ciò che in precedenza poteva sembrare oscuro o si stabilisce di considerare per fede ciò che si dibatteva in controversia 3683; al S. Pontefice con assistenza dello Spirito Santo non è dato di annunciare nuove dottrine 3070.

Si rivendica anche l’autorità dottrinale della Chiesa -: in ambito filosofico 2860s 2865s 2910 3018; add. proposizioni in tal caso giudicate (passim); -: in ambito economico e sociale come regola di costumi 3725 3938 3997.

La Chiesa giudica circa la santità in ordine alla canonizzazione 675.

La Chiesa non giudica circa la mente o l’intenzione (ossia a. di cosa occulta) in quanto vi sia di interiore a1814 a2266s 3318; solo deve giudicare fin dove appare all’esterno 3318; la Chiesa giudica fino al senso delle parole degli autori 2010-2012 2020 2390.

1bb. Al Magistero è affidata la libertà di intendere ed insegnare. Ambito degli oggetti: gli oggetti rivelati non ammettono libertà di sentenza 3042; questa è ristretta alle cose ove non si interiore il giudizio della Sede Apostolica 3625 3667 (3885).

Questa libertà si evidenzia-: in questione circa l’ausilio della grazia 1997 2008 2509s 2564s.(2679) S1997; -: in qu. circa un attrito 2070; – Circa la separazione del sangue di Cristo dalla divinità nel triduo della passione 1385; -: in qu. circa sistematiche morali 2175-2177 (2679) 2726: -: quanto a sentenze della scuola tomistica 21671 2509 36010 3667; —: vietando libri “censurati” per mezzo della Cgr. dell’Indice” 3154s; nell’investigare questioni bibliche 3831.

Tutela dalla libertà di investigazione scientifica da non sospetti di spirito e dalla cieca opposizione a qualunque novità, ma da giudicare con somma carità 3831.

In cose di libera disputa non è lecito in questa sospettare circa la fede per degli avversari o arguire di non buona disciplina 3625; a nessuno è lecito imprimere la censura teologica 142612167 2665 2679.

H1c. c. — DIRITTO ED UFFICIO DEL MAGISTERO SULLE SINGOLE PERSONE.

1ca. Il Summo Pontefice è il sommo dottore della Chiesa 1307 3059 3068 3074 (CdIC 218); la sua autorità dottrinale è pienamente legata al primato vd. G 4db, ancor più nello specifico 181s 217 221 235 343 353 365 1064 3065-3073 3074s; la stessa è riconosciuta dai Concili 218 306 398-400 402 (444) 664 1848; per questo la Chiesa (essa è la Sede) Romana è chiamata “maestra” 774 1850 1868.

Il S. Pontefice ha il diritto di definire le questioni di fede 861 3067 3885; —: di interpretare i decreti dei Concili 447 1849s 3067.

Nel S. Pontefice è distinguere il dottore della Chiesa universale nella libertà di favorire delle scuole, e il dottore privato favorevole all’opinione tra varie lecite 2565.

Circa i decreti del S. Pontefice (a.ove dati come opera data sentenza) non è lecito ritrattarli o liberamente disputare né si ammettono divagazioni 182 217s 221 232 235 343 353 2331 a3885; ctr. la dottrina del S. Pontefice non vale la sentenza di Agostino 2330.

1cb. Vescovi, anche singoli, sono veri dottori dei loro sottoposti CdIC 1326; ad esse compete il giudizio circa la fede 761.

1cc. Concili generali. La loro autorità — affermata 343 352 (364) 517s 521s 550 575 587 1869 2526-2539; —: riconosciuta e convocata a teste 402 412 (433) 436-438 444 472 548 640 652 686 1986s.

Il Concilio generale o ecumenico rappresenta l’intera Chiesa 1247s; la suprema Potestà prevale sulla Chiesa tutta CdIC 228, § 1; pertanto non è superiore al Papa (così da a. potersi appellare contro il Papa)

233 115100 a1375 (2935s) a3063 CdIC a228, § 2: ciò che stabilisce il Conc. gen. In materia di fede e di morale, deve essere da tutti osservato 1248-1251; si riprovano le asserzioni circa la facoltà di dissentire 587 1479.

Si riprovano le asserzioni che esagerano l’autorità del sinodo diocesano o nazionale e dei loro atti sinodali 2609-2611 2693 2936.

1cd. Congregazioni curiali. Si esclude dalla loro autorità 2880 2912 3408 3503.

H 1d. d. — MODALITÀ SPECIALI DI ESERCITARE IL MAGISTERO.

Tra i mezzi del Magistero si recensiscono precipuamente i concili generali ed i sinodi particolari 3069.

Il Magistero procede in modo straordinario e più solenne, quando deve evidenziare gli errori e vuole spiegare in modo più efficace e sottile i capi della sacra dottrina 3683.

Il Magistero stabilisce ed approva le professioni di (a. come il principio, a cui tutti i fedeli devono convenire) 398 400 a1500.

Il Magistero sottopone alla sua censura ed approvazione gli scritti circa le cose di fede e di morale, proibendo libri nocivi 202 213 353s 686 807 980 1851- 1861 2065 2668 CdIC 1384-1405.

Il Magistero proscrive le sentenze della fede e dei costumi non consentanee, infliggendo anche al bisogno censure teologiche sia globali sia a.in particolare 721-739 840-844 891-899 a921-924 941-946 a951-979 1028-1049 a1087-1097 1101-1103 1110 1116 1121-1139 1151-1195 1201-1230 1361-1369 1391-1396 1411-1419 1451-1492 1901-1980a2001-2006 2021-2065 2101-2166 2170s 2201-2268 2281-2285 a2290-2292 2301-2332 2351-2374 2400-2502 2571-2575 a2601-2685 a2791-2793 3201-3241 3401-3465.

Censure specifiche (qualificazioni) illustrate con l’esempio di proposizioni per le quali sono giudicate in un determinato modo: proposizione —: eretica 951-965 977s 1087 1089-1091 1093 1095s 2001-2005 2203 2213-2215 2241-2253 2290 2602-2604 2615 2659 2693; —: prossima all’eresia 2221 2223 2257 2260s; che sa di eresia (ossia a.sospetta eresia) 2202 2204-2210 2212 2216-2219 2231s 2235s 2255s 2258 a2618 a2620

2622 2628; —: scismatica 2606 (2607s) 2693; —: falsa 1087-1093 1095-1097 2004s 2609-2613 2616 2619//2630 2635-2637 2640//2653 2661//2668 2673-2680 26823 2793; —: temeraria 2001 2005 2170s 2211 2214s 2217-2220 2223s 2226s 2230-2235 2238s 2241-2268 2291 2331s 2358 2360 2365-2370 2372 2609-2614 2617 2625-2627 2630// 2648 2651-2654 2662//2673 2676-2679 2683 2763; —: erronea 1087 1089-1091 1095-1097 11145 2204-2206 2208-2210 2213-2219 2221s 2224 2232 2235 2241-2253 2258 2291 2351-2357 2360s 2363 2367-2369 2372s 2606//2612 2622 2628 2637 2646s 2664 2677s 2791; —: scandalosa 1092 1391-1395 2021-2065 2101-2165 2206s 2209-2211 2214- 2220 2224s 2230-2252 2254 2258-2260 2263s 2266 2291 2357 2360 2362 2369-2371 2619 2634 2643 2664 2668 2673s 2678 2681 2791s SI309; —: blasphema 2001 2005 2210 2214s 2241-2253 2260; —: empia 2001 2005 2619 SI309; —: offensiva per le orecchie pie 2206 2230 2258 2291 2358 2368 2633 2642s 2662 2671 2678; —: risuonante malamente 2354- 2356 2373 2644 2665; —: perniciosa 2352 2364 2367 2612 2614 2623 2625 2629s 2637 2639 2644 2646 2649 2662 2664s 2670 2678 2680 2692.

2.. Certezza del Magistero ecclesiastico.

H 2a. a. — IN GENERE.

La Chiesa di Cristo esponendo la dottrina rivelata gode dell’assistenza dello Spirito Santo CdIC 1322; il S. Pontefice ed i Concili richiamano lo Spirito S. congregante, illuminante 102 265 444 631 702 707 115100 1500s 1600 1635 1667 1726 1738 1820 1848.

Alla Chiesa (in genere) è attribuita l’infallibilità 2922 3020: alla Sede Apostolica si rivendica l’inerranza 363 775 1064 1807s 2329 2923 3066; si riprovano le proposizioni implicitamente asserenti che la Chiesa possa errare [sci. accusa circa l’ingiusta condanna degli articoli, circa l’ingiusta scomunica, l’oscuramento delle verità] 1225 1480 2491-2501 2601 2612-2614.

La sentenza magistrale del dubbio senso continente è da prendere sempre in quel senso in cui la locuzione sia veramente intesa. 1407.

Per altra parte i libri non riprovati dalla Sede Ap. o “lasciati passare” e da sé stessi consentiti non sono da considerare liberi da errore 2047 3154s.

H 2b. b. — INFALLIBILITÀ DEGLI ATTI SOLENNI.

2ba. Soggetto dell’infallibilità. Il giudizio solenne circa la fede divina e cattolica da credere compete al Rom. Pontefice parlando ex cathedra e dal concilio ecumenico CdIC 1323, § 2.

Dal S. Pontefice è rivendicata l’infallibilità (221 353) 2329s 2539 2781 3069s 3074s CdIC 1323, § 2.

2bb Natura e condizioni dell’infallibilità. Il dono dell’infallibilità consiste a.non in una qualche nuova rivelazione, ma sed in nell’assistenza dello Spirito Santo, perché la rivelazione tramandata dagli Apostoli sia fedelmente esposta a3070 3074 (3116).

Il S. Pontefice pertanto è infallibile, sia se funge per la sua suprema autorità quale dottore di tutti i fedeli, sia se parla ex cathedra 3074 CdIC 1323, § 2.

L’infallibilità è legata e alla dottrina della S. Scrittura e alle definizioni già pronunciate 3070 3074 a3116; non è riferita alle questioni di governo del S. Pontefice 3116.

La definizione dogmatica è solamente ciò che come tale sia stato dichiarato, CdIC 1323, § 3.

Le definizioni del S. Pontefice, dal momento che sono infallibili, sono irreformabili di per sé indipendentemente dala consenso della Chiesa 3074.

Il dono dell’infallibilità non dispensa il Pontefice dall’obbligo di usare i mezzi naturali di operazione: a.deliberazione, b.inquisizione, c.discussione, d.consiglio per gli altri a182 c810 c844 d899 c904 c974 c930s ac1848 b2011; add. I detti in diverse note di introduzione a proposizioni condannate.

2bc. Accettazione dei decreti infallibili. A tutte le cose che si propongono a credere, sia per solenne giudizio, sia per il Magistero ordinario e universale, sia rivelazioni, si deve una fede divina e cattolica 2879 2922 3011 (3885) CdIC 1323, § 1; il silenzio ossequioso non soddisfa i decreti dottrinali 2390. Circa l’obbligazione a credere cf. anche K 2a.

H 2c. c . — CERTEZZA DI CERTI ATTI DEL MAGISTERO.

I decreti della Sede Ap., che sono mutabili in meglio o sono aggiunti temporaneamente od ordinati per necessità (mutabili) 641; anche può accadere che siano soppressi dalla Sede Ap. 641.

Anche ai decreti non infallibilmente proposti (tra i quali si tratta di materia per sé non infallibile, di numerose lettere encicliche e prescrizioni di errori) si deve l’assenso 2922 3407 3885; tuttavia il tale assenso non può essere assoluto (in quanto in cosa che non ha vigore dell’infallibilità immune dall’errore), ma solo condizionato, revocabile in favore della decisione o evoluzione successiva in altro senso, rese illegittime ed illecite; o che possano indurre in contraddizione con altre parole, dissolto l’assenso assoluto, incondizionato a qualunque documento dottrinale della Sede Ap., come per istruzione di esempi storici, —: gli atti di Papa Liberio nella causa dei Semiariani (138-143), soprattutto la condanna di S. Attanasio, facilmente poterono indurre in detrimento della fede Nicena e generare una venerazione prestata da tutti i fedeli al propugnatore di questa fede; —: Le parole di Leone I Magno 294: “Assunta è dalla madre del Signore la natura, non la colpa”, per cui gli intelletti sono stati giacenti per secoli sotto questa sentenza un tempo comune, il cui assenso accettato, precludeva la via alla definizione dell’Immacolata Concezione della B. Maria Vg. 2800s5; —: Si discosta il giudizio circa l’ortodossia di Teodoreto e Ibe: sono condannati (riprovati nel Sinodo Efesino da Leone I M. come “latrocinio”) nel Conc. Costantinopolítano II, da Gregorio I M. e nel Libro diurno, riconosciuti ortodossi nel Conc. Calcedonense e da Pelagio I cf. 300°° 436s 444 472;

—: Nella causa di Onorio I Papa (la cui ortodossia fu attaccata solo dagli Orientali) si discosta dal giudizio circa il modo di agire di Onorio con in capi dei Monoteliti tra Giovanni IV di lui benevolmente interpretando e proteggendone l’onore e Leone II al Concilio Costantinopolitano III scusandolo per la condanna acritica, mentre Martino I con il Sinodo Lateranense, condannando i Monoteliti lasciò nel silenzio Papa Onorio: cf. 487s 496-498 518 550 552 561° 563; — :

Nicolò I oltre alla forma trinitaria del Battesimo validò espressamente anche la forma: “In nomine Christi“, a cui specialmente contraddice la dottrina posteriore: cf. 646! (211) compar. con 123 176s 214 445! 478- 580 589 592 644 757 802 903; —: nella questione circa la validità delle ordinazioni dei simoniaci nessun decreto si oppone alla sentenza già da secoli comunemente riportata: cf. 691-694 701s! 705 710; —: Circa l’ambito del privilegio Paolino dissentono Celestino III e Innocenzo III: cf. 768;

—: Circa l’effetto del consenso matrimoniale Alessandro III dissente da alcuni predecessori 756; — : Tra i casi illustrissimi vi è la sentenza di Giovanni XXII circa la beatitudine ottenuta nel solo modo imperfetta ottenuta dopo la morte fino al giorno del giudizio generale, alla quale cardinali ed il re della Gallia, non solo non diedero assenso, ma vi resistettero contro, inducendo il Papa alla revoca e a sancire la sentenza opposta: cf. 990s 1000ss.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (51).

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (13)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (13)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo QUINTO (2)

II. – IL CRISTIANO E L’EGOISMO DEI SENSI

Ricorda Giosuè Carducci nelle sue Prose che « gli abitanti d’una città greca, alla rappresentazione d’un dramma d’Euripide, invasi di sacro entusiasmo, deliraron tre giorni, tre giorni aggiraronsi per la città ricantando i versi del coro, che celebrava la potenza d’amore ». Non tre giorni, ma 365 giorni all’anno, e 366 negli anni bisestili, mi pare che in questo mondo si celebri la potenza di amore. Parlano forse e pensano ad altro gli uomini? si chiede il Gratry nella Connaissance de l’ame. Di che discorre la giovinezza e che cosa rimpiangono i vecchi? aggiunge Bossuet. Si entri in un teatro. Drammi, tragedie, commedie, persino le farse, sono tutte intessute con un identico filo. Si visiti un cinema, uno dei molti cinema che nelle città e nei paesi sono rigurgitanti di folle avide. Quando non è una scena di furto, è uno spettacolo più o meno immorale, che attira la gente, la incatena, la soggioga. Si passeggi in una strada, o si entri in un salotto. La moda con le sue stranezze e con le sue impudenze; i balli coi loro capricci e con le diverse novità; le edicole dei giornalai con le riviste, le pubblicazioni ed i romanzi a dispensa; i discorsi con frasi a doppio senso, attestano sempre il medesimo fenomeno. Quante copie si venderebbero dei romanzi moderni, se non trattassero d’amore e non fossero espressioni di lussuria?… Ovunque gli appelli del piacere si alzano, in mille toni, con mille sfumature. Tutto ormai sembra divenuto lecito. La figliola disgraziata, che nell’aprile dei suoi anni ha distrutto la sua primavera; le povere creature del peccato, che portano sul volto lo stigma della colpa; il giovanotto libertino, incapace di arrossire o dimentico d’ogni più elementare rispetto che dovrebbe a sé ed agli altri, sono fatti così frequenti, che quasi più non sorprendono. Anzi, come diceva Lacordaire nelle sue Conférences de Notre Dame, un omicida è riprovato dal mondo; ma il profanatore dei giuramenti più santi, il violatore del santuario domestico, l’adultero passa a fronte alta e viene riverito. Guardo alla letteratura ed alla storia. Giovanni Boccaccio, scapolo e nemico dell’amore regolato, s’avanza con spensierata giovialità. Mentre Dante unisce il mondo sacro e profano per spiritualizzare quest’ultimo, egli sbattezza tutto l’universo e tutto materializza. Il suo Decamerone, ben fu scritto, è la nuova Commedia, non la divina, ma la umana Commedia. Il mondo dello spirito se ne va; viene il mondo cinico e malizioso della carne; e l’Italia lo segue. La dissolutezza, che anticamente aveva templi e sacerdoti, dilaga; le vecchie divinità, incarnazioni del vizio, e le vecchie infamie risorgono, avvolte nei veli dell’arte e nel fascino della bellezza; la corruzione penetra ovunque, anche nel santuario e tutto profana: bianche vesti di Papi, porpore di Cardinali, mitre di Vescovi, anime di preti e di vergini sono macchiate di fango, fra lo sghignazzare osceno dell’incoscienza e gli splendori abbaglianti della superficialità. La storia si sarebbe svolta ben diversamente, se la cosiddetta « potenza d’amore » troppo spesso non ne avesse avuto nelle mani le redini. Se Lutero non ne fosse stato dominato, ci avrebbe portato un’altra Riforma, non certamente quella che si ispirò al programma del « crede firmiter et pecca fortiter » e che lo condusse non solo al suo, ma al « matrimonio universale », per usare l’ironica frase di Erasmo. La faccia attuale d’Europa non sarebbe quella che è, se i Riformatori fossero stati padroni dei loro sensi ed avessero inculcato a tutti il dominio delle proprie passioni. Il Maomettanesimo non esisterebbe più, se non avesse annientato la legge morale, lasciando libero sfogo agli istinti brutali. E, senza soffermarsi sulla storia, credo che da nessuno sarà messo in dubbio che la vita individuale di moltissime persone avrebbe avuto un orientamento diverso dal presente ed una differente fisionomia, se una.., malattia di cuore non le avesse tormentate. – Il contrasto tra la morale cristiana e la vita non mai si fa così stridente, come su questo terreno. Un rimprovero, un’accusa, una condanna vengono scagliati, come frecce contro l’etica del Vangelo: « Voi, ci si dice, siete i fautori d’una esistenza malinconica e tetra, senza gioia. Siete i nemici della vita… Ci parlate continuamente di sacrificio, di rinnegazione, di morte. Oh, lasciateci amare! Noi vogliamo l’amore ». – Un’altra battaglia dev’essere, dunque, da noi contemplata. Ognuno la può trovare in sé, prima ancora, e più ancora che nel mondo. E la lotta diventa accanita e feroce, specialmente perché le due bandiere portano scritto nelle loro pieghe la stessa parola programmatica: Amore. Bisogna scegliere; bisogna decidere. Dov’è il vero amore?

1. – Il gregge d’Epicuro e l’amore.

Il gregge d’Epicuro ciancia d’amore, ma non ama. La sacra parola ricopre solo l’egoismo furioso dei sensi. Non l’affetto per un altro essere, ma il proprio piacere, ma il proprio godimento, ma la propria soddisfazione qui impera e comanda, sacrifica e calpesta, danza ed irride. Io non ho giammai incontrato anime che sapessero veramente amare, fra i dissoluti, esclamava un giorno nella cattedrale di Parigi Lacordaire: « Quando, infatti, ci si abitua alle emozioni violente, come volete che il cuore, pianta così delicata che si nutre di qualche goccia di rugiada caduta qua e là dal cielo per lui; che si scuote ad un leggero soffio, che è felice per giorni interi al ricordo d’una parola detta, d’uno sguardo lanciato, d’un incoraggiamento dato dalle labbra d’una madre o dalla mano d’un amico; il cuore, il cui battito è così calmo nella sua vera natura, quasi insensibile a cagione della sua stessa sensibilità e per paura che si sarebbe spezzato ad una sola goccia di amore, se Dio l’avesse fatto meno profondo; come mai, dico, volete voi che il cuore opponga le sue dolci gioie delicate al godimento grossolano ed esagerato del senso depravato? Questo è egoista: il cuore è generoso. L’uno vive di sé; l’altro fuori di sé; e tra queste due tendenze, una deve prevalere. Se il senso depravato vince, il cuore avvizzisce a poco a poco, non sente più la forza delle gioie semplici, non va verso altri, e finisce per non battere più se non per dare il suo corso al sangue e per segnare le ore d’un tempo ignominioso, del quale la dissolutezza precipita la fuga. E cosa v’è di più abbietto dell’uccidere il cuore nell’uomo? Che resta dell’uomo, quando il suo cuore non vive più? ». Il gregge d’Epicuro non sa amare. Il cuore, per dirla con una forte espressione biblica, diventa cenere. « Le risorse dell’amore elevato, nota il Gratry, le poesie dell’adolescenza pronte a sbocciare, gli entusiasmi della giovinezza, il senso dell’infinito, le forze future della ragione virile, la sapienza promessa all’autunno della vita, tutto è perduto anticipatamente… Quest’uomo si suicida ». – Che importa a lui l’abbrutimento nauseante, la rovina della sua anima, le viltà che per avvoltolarsi nel fango bisogna compiere, le malattie che contrae, le conseguenze in genere che nella intelligenza, nella volontà, nell’organismo sono gli effetti tristi della caduta? Il mortale egoismo del senso perverso è il suo Dio ed il suo tiranno: a parole ama; in realtà vuol godere, brutalmente, animalescamente. Si avvicina, è vero, ad un’altra creatura; nasconde il suo egoismo sotto il gesto dell’amore e sotto promessa della fedeltà; poi passata l’ora dell’ebbrezza folle, va, abbandona, tradisce, in cerca di altre soddisfazioni egoistiche, sempre nascoste sotto le bugiarde dichiarazioni dell’amore. Nel gregge d’Epicuro non si ama. Osservatela la signorina moderna, alla caccia del marito. Uno qualsiasi, purché venga, purché domani la vita sia bella e piacevole e si possa godere!… E tutte le reti tese, e tutti i lacci posti qua e colà sapientemente distribuiti, e tutte le debolezze volute ed incoraggiate, e le abdicazioni anche al senso più elementare della propria dignità e del pudore, e tutti gli episodi che si succedono finché « si è trovato il merlo », son battezzati col nome dell’amore! Guardate il giovanotto moderno, che assicura di voler amare. Egli s’incretinisce nel vizio; il centro dei suoi sentimenti, delle sue preoccupazioni, dei suoi discorsi è il godimento egoistico. Beve, dirò ancora col Gratry, i veleni mortali che la natura mescola alle sue gioie colpevoli, senza pensare alla futura famiglia, ma pensando solo a sé ed alla sua soddisfazione. Che gl’importa dei contagi velenosi e delle loro tracce indelebili, trasmissibili per eredità? Questi lebbrosi della dissolutezza, che restano segnati con piaghe vive o con cicatrici sempre terribili, portano poi, con la perfida impudenza dell’egoismo, una simile loro dote in dono alla fidanzata verginale ed in eredità imprevista ai figli. E tutto questo lo chiamano amore! Vigliacchi! E chi potrà far credere che, in nome dell’amore, le grandi nazioni hanno introdotto nelle loro leggi il divorzio? La donna, dopo qualche anno di matrimonio, la si butta via, come un limone spremuto; ed il problema dei figli lo si risolve in qualche modo. Mentre si mormora che il nemico della donna e dell’amore è il Cristianesimo, senza posa la voluttà criminale va alla ricerca di nuovi calici, ai quali spegnere la sete inestinguibile dell’egoismo più abbietto. Il gregge d’Epicuro non sa amare. Se qualcuno non è convinto, vada e scriva la parola profanata dell’amore sulle case del disordine… Mai si è così poco amato come ai giorni nostri e mai così scarso è stato il sorriso della pace e della gioia: l’egoismo dei sensi ha come ineluttabile conseguenza la « tristezza atroce della carne immonda ». Invece della vita, si ha l’abisso della morte. Se l’autore del Decamerone, dinanzi al frate inviatogli dal certosino Piero Petroni, si pentì della sua vita dissoluta, si commosse, si spaventò, si convertì; mille e mille altri, anche se non ritornano al Cuore dell’Unico che sa e dona l’Amore, al termine della loro vita, debbono confessare a se stessi le disillusioni più gravi ed il disgusto più amaro; è la disfatta completa non dell’amore ma dell’egoismo.

2. – La morale cattolica e l’amore.

Esponiamo, ora, i principi della morale cattolica, con esattezza, con precisione, con la tranquilla serenità della ragione e della fede, che nulla hanno a che fare con la torbida irrequietezza del senso e della passione.

1. Iddio tutto crea santamente. E tutto è razionale nell’organicità del tutto. La natura tende sempre ad un fine giusto, determinato ed efficace. Anche gli istinti del senso, perciò, non sono da riguardarsi in sè come un male. Il male, come diremo, dipende dall’abuso che noi possiamo fare, dopo che la colpa originale ha rotto la subordinazione del senso alla ragione, cosicché tale subordinazione è oggi non una dolce necessità, ma il risultato d’uno sforzo e d’una personale vittoria. Perché mai Dio permette che noi sentiamo così fortemente il fremito della carne? Perché, anche in anime sante e nobili, abbondano « le tentazioni » e la fantasia diventa una piazza, dove pensieri, immaginazioni, desideri cattivi si rincorrono e s’avvicendano? Perché persino un san Paolo deve esclamare: « Sento un’altra legge nelle mie membra, che ripugna alla legge della mia coscienza »? Perché nel deserto della Calcide ed a Betlemme vediamo un san Gerolamo, con un sasso tra le mani, che si batte il petto e cerca di allontanare da sé i ricordi osceni di Roma, in parte ancora pagana? Perché  san Benedetto ed il Santo d’Assisi si gettano nudi fra le spine, ed insanguinano le loro carni pure? La ragione è semplicissima. Dio ha posto in noi queste tendenze, per indurre l’uomo e la donna alla costituzione della famiglia. Ciò che noi chiamiamo l’ « istinto », ciò anche che suscita nella mente della fanciulla sogni e speranze, ciò che fa commuovere un’anima giovanile dinanzi ad una culla ed alla poesia dei riccioli biondi, è questa forza, che spinge l’umanità alla sua conservazione. – L’importanza della famiglia per la società corrisponde ai sacrifici che essa costa. La procreazione e l’educazione dei figli, fine primario ed essenziale della famiglia, è un compito nobilissimo, ma ricchissimo di responsabilità, di dolori, di abnegazioni. Si rifletta un istante all’abnegazione d’una mamma… Noi potremo ridere dinanzi ad una qualsiasi signorina, soprattutto se ha i capelli alla bébé e se si presenta a noi dopo una laboriosa toilette con un viso imbellettato; ma non ridiamo mai, non possiamo ridere dinanzi ad una mamma. La mamma è qualcosa di grande e di sacro. Non si dica che il Cristianesimo è nemico della donna. Una Vergine Madre rifulge in alto e proclama da un lato la grandezza della maternità e dall’altro la bellezza della verginità. Certo, per noi, la donna è la figlia, è la sorella, è la madre; non è un essere anfibio, più o meno mascolinizzato, che non sa più quale segreto scoprire per diventare ridicolo; non è la sciagurata che dimentica di avere un’anima, per vendere, magari anche in una forma elegante e perciò più obbrobriosa, la sua dignità. La vera donna, cioè, andiamo a cercarla nel focolare domestico, non nella Dea Ragione della Rivoluzione francese e nelle altre sue seguaci.

2. Di tutto, però, noi possiamo abusare, specialmente quando si tratta di questi sensi nostri, che, invece di essere un mezzo, tendono a diventare fine a se stessi. Come il bisogno della nutrizione è ragionevole e necessario per la conservazione dell’individuo, ma produrrebbe mille mali quando noi non mangiassimo per vivere, ma vivessimo per mangiare, così l’istinto dei sensi nostri ci conduce ad una serie di disastri, quando non viene riguardato come un mezzo — ragionevole e necessario — per il fine altissimo della famiglia e per la conservazione della società, ma quando, al contrario, anela ad una soddisfazione indipendente da ogni bene che gli conferisce l’utilità e la santità. E come l’abuso della gola sregolata, invece che alla nutrizione ed alla vita, incammina verso la malattia e la morte, così questa ammirabile facoltà può sviluppare in noi un uragano, o, per dirla col libro di Giobbe, un fuoco che tutto consuma, e che brucia la vita in tutti i suoi germi ed in tutte le sue radici.

Che il Cristianesimo giustamente combatta questo abuso, bisogna esser ciechi per non ammetterlo. « Non avete voi incontrato, vi chiede Lacordaire, qualcuno di quegli uomini, che sul fiore dell’età, appena onorati dai segni della virilità, portano già le ferite del tempo; che, degenerati prima d’aver raggiunto lo sviluppo totale dell’essere, con la fronte carica di rughe precoci, con gli occhi incerti ed infossati, con le labbra impotenti ad esprimere la bontà, trascinano sotto un sole sempre giovane una esistenza caduca? Chi ha fatto questi cadaveri? Chi ha colpito questo figliuolo? Chi gli ha rubato la freschezza dei suoi anni? Chi ha posto sul suo volto secoli di vergogne? Non è forse questo senso, nemico della vita degli uomini? Vittima della sua depravazione, il disgraziato ha vissuto solitario, non ha aspirato se non a scosse egoiste ed a spaventevoli pulsazioni, che l’uomo o il cielo non vogliono vedere; ed eccolo, se ne va, inebbriato dal vino della morte e con passo sprezzante, a portare il suo corpo alla tomba, ove i suoi vizi dormiranno con lui e disonoreranno la sua cenere sino all’ultimo dei giorni ». L’egoismo dei sensi non si ferma a queste devastazioni. S’aggiungono, come abbiamo già accennato, le depravazioni del cuore; il dispotismo ignobile, che la passione esercita sopra le sue vittime; i misfatti che la gioia omicida della gioventù esige e reclama; e sono matrimoni infelici; son le famiglie senza figli; son le patrie spopolate, tremanti dinanzi alle case che non il sorriso dei bimbi, ma solo conoscono i calcoli piccini dell’egoismo e preparano i tramonti delle nazioni. – Ripeto: bisogna esser folli, per non approvare la morale cristiana nei suoi sforzi contro questa fiumana di fango e di danni. Bisogna esser pazzi per non scorgere come non vi siano che due vie: o le conseguenze descritte, ovvero l’intransigenza assoluta: ogni pensiero, ogni sentimento, ogni affetto, ogni desiderio, ogni lettura, ogni sguardo, ogni azione che non è nell’ordine, debbono essere respinti inesorabilmente. Illudersi di venir a transazioni in questo campo, sarebbe come pretendere di gettarsi sì dall’alto della montagna nel precipizio, ma di fermarsi poi dopo due metri. O si sta sulle altezze, o si cade in fondo. La realtà, del resto, ce lo insegna con la sua logica schiacciante.

3. Solo con tale intransigenza l’amore vero nasce, sboccia, si sviluppa, è fecondo e diventa virtù. Qui, contro il Boccaccio sorge Alessandro Manzoni; e di fronte al Decamerone salutiamo i Promessi Sposi e la pagina immortale dell’addio ai monti di Lucia, in cui si enuncia la tesi cristiana. Gli altari di Dio non sono la condanna dell’amore, ma ne sono la consacrazione: è là dove « il sospiro segreto del cuore » è « solennemente benedetto. e l’amore viene « comandato » ed è chiamato « santo ». – Cos’è la famiglia per noi? Un affetto gentile, che si apre come il calice d’un fiore nella primavera d’una giovinezza buona e che è reso santo dalla rugiada di Dio; due anime, che si donano l’una all’altra per l’eternità, con l’unica parola consentita dall’amore vero, ossia con un sì eterno; due cuori, consapevoli che nella vita non v’è solo esultanza di festa e sereno di allegrezza, ma non mancano sacrifici e dolori, e che per esser fedeli alla severa poesia del dovere si stringono le destre e nel nome del Signore procedono verso l’avvenire; la fecondità dell’unione, coi teneri esseri, splendido coronamento dell’amore; una casa, cioè, resa bella da pampini verdi e dalla gioia dei figli, simili a rampolli d’ulivo intorno alla mensa; tutto questo, nello stesso ordine naturale, fa del matrimonio e della famiglia qualcosa di sacro e di ineffabilmente grande. Gesù, poi, suggellando il matrimonio col dono soprannaturale e la spirituale aureola d’un Sacramento, sublimandolo dal mondo della natura al mondo della grazia e rendendolo simbolo delle Sue mistiche nozze con la Chiesa, conferì alla famiglia una nuova e divina bellezza; il Vangelo, le Epistole paoline, così luminose e limpide, tutta la tradizione cattolica di venti secoli, ce lo rammentano. – Cos’è la famiglia per noi? Ce lo ha detto Enrichetta Blondel, quando un giorno nella villa di Brusuglio mostrò al suo Alessandro, che tanto amava la moglie sua, due virgulti, da lei piantati ed attorcigliati insieme, sussurrando soavemente al poeta lombardo: « Vedi? Questi due virgulti rappresentano i nostri due cuori insieme uniti ». Il Manzoni allora pianse e volle che là intorno si facesse un’aiola, non più dimenticata. E con lui s’intenerisce ogni nobile anima. – Cos’è la famiglia cristiana per noi? Essa è chiamata a concorrere all’opera creatrice di Dio, a plasmare le coscienze, a popolare il paradiso. Da essa zampillano le acque rinnovatrici della società. Da essa tanto si attende la patria, perchè, come ha notato il Bismarck, la grandezza delle nazioni riposa sulle ginocchia delle madri. E solo con la rinnovazione di questa cellula sociale potranno prepararsi le glorie future della Chiesa santa di Cristo. In una graziosissima poesia intitolata Les deux anges gardiens, Federico Ozanam esprimeva le sue idee a proposito della famiglia: due angeli, che erano sempre stati amici in cielo, domandano a Dio di amarsi anche in terra a fianco di due giovani, che si giurano fede di sposi. E quando la sua casa fu allietata dalla nascita della prima bambina, così egli ne dava l’annuncio al Foisset: « Avevamo pregato assai, e preghiamo anche ora, perchè mai come adesso abbiamo avuto bisogno dell’assistenza divina. Siamo stati esauditi oltre ogni nostra speranza. Ah, che momento fu quello in cui intesi il primo vagito della mia creatura, quando vidi quella creaturina, così piccola eppure immortale, che Dio affidava alle mie mani, che mi apportava tanta consolazione ed insieme tanti obblighi! Le abbiamo dato il nome di Maria, che era quello di mia madre e in memoria della possente Patrona, all’intercessione della quale noi attribuiamo questa nascita fortunata. Ora la madre, quasi del tutto ristabilita, ha la consolazione di dare il latte alla bambina; e questo è un piacere molto costoso, ma pieno di soddisfazioni. In tal modo non perderemo i sorrisi del nostro angioletto e potremo incominciare tosto l’educazione. Frattanto rifaremo da capo la nostra, perché  credo che il Cielo ce l’abbia mandata per insegnarci molto e per renderci migliori. Io non posso contemplare quella dolce figura, piena di innocenza e di purezza, senza scorgervi la sacra immagine del Creatore meno velata che in noi. Non posso pensare a quest’anima immortale di cui dovrò un giorno render conto, senza che mi senta maggiormente penetrato dei miei doveri. Come, infatti, potrei insegnarle ciò che io non pratico per il primo? Poteva Iddio scegliere un mezzo più amabile per istruirmi, per correggermi, per mettermi sul cammino del Cielo? – Solo nella concezione cristiana l’amore non è parola vuota di senso, non è una menzogna, non è ad ogni istante turbato da temporali e da nubi. Dove si pratica la morale di Cristo, si ama. Anche quando insieme si piange, il raggio di sole conforta, abbellisce, santifica la lagrima umana. E la stessa purezza giovanile, l’illibato candore dell’animo, e non solo dei sensi, è in relazione all’amore della futura famiglia. Nessuno, come la giovane anima pura, conosce l’intensità e la freschezza dell’affetto. In questo amore cristiano palpita senza dubbio l’amore di Dio; ma non è ancora la vetta più alta dell’amore. Qui si va a Dio attraverso l’amore di una creatura quantunque si tratti d’un amore casto, nobile, giusto, subordinato a Dio. – Tale potenza d’amore si può sublimare; si può anche in questo caso, morire ai sensi, per vivere d’un amore perfetto nello spirito. È il consiglio evangelico della verginità. Nella sua intima natura, la verginità non implica solo la assenza di ogni macchia che possa offuscare il candore; anche un tavolo non commette nessun peccato, eppure nessuno discorrerà della verginità del legno. Dire verginità è dire amore, ed amore perfetto di Dio, in quanto l’anima verginale con fedeltà e con generosità consacra tutto il suo essere, anima e corpo, e tutte le fibre del suo cuore, tutto il suo affetto a Gesù Cristo. « L’uomo animale non percepisce le cose che sono proprie dello Spirito di Dio », avverte san Paolo. Nè, quindi, c’è da stupirsi se il mondo non sospetti neppure questa riduzione del concetto di verginità al concetto di amore perfetto. Eppure in quel gioiello di poesia ispirata che è il Cantico dei cantici l’idea è enunciata ad ogni parola con vigore impareggiabile: Il mio Diletto è sceso nel suo giardino fra le aiuole di balsamo a pascersi tra i giardini, a cogliere gigli. Io sono del mio Diletto ed Egli è mio: Lui, che si pasce fra i gigli. Potente al par della morte è l’amore. I suoi sprazzi son sprazzi di fuoco. Le sue fiamme, fiamme divine. È essenzialmente diversa la verginità materialmente conservata d’una Vestale pagana e la verginità cristiana, vivificata dall’Amore divino. Ed è per questo che, dai primi decenni del Cristianesimo nascente ai giorni nostri, fu la verginità che scrisse nella storia della Chiesa le pagine più fulgide di amore a Cristobed ai fratelli. Il grido di Agnese, il canto di Cecilia, il velo di Marcellina ce lo assicurano; ce lo dicono i candidi eserciti verginali che san Vincenzo de’ Paoli ed altri Ordini religiosi hanno disperso negli asili del dolore, nelle corsie degli ospedali, fra le tetre mura d’un carcere, in tutte le case che raccolgono orfani, vecchi, derelitti, bisognosi. Le anime verginali sanno amare; sanno sacrificarsi, affrontano le imprese più difficili, superano gli ostacoli più gravi, salvano le anime, beneficano i corpi, asciugano lagrime, dànno ali a tutti per i voli della fede e dell’amore. Per ogni miseria del mondo, è stato ben detto, la morale cristiana ha preparato una verginità che ne doveva essere la madre e la sorella. – Cos’è una vocazione alla verginità? È una vocazione ad amare. La verginità cristiana, perciò, è feconda e non la si può concepire senza una famiglia; la famiglia infinitamente più grande e più bella della famiglia naturale, la sacra famiglia delle anime. – Ai giovani, che aspirano al sacerdozio, la Chiesa comanda di amare. Debbono rinnegare se stessi, far tacere il grido dei sensi, mortificarsi, per amore dei fratelli. Viene un giorno, ha cantato Lacordaire, che la Chiesa prende questa giovinezza ardente e la getta bocconi per terra nelle sue basiliche: « Ed andranno poi, andranno questi giovani per tutto il mondo, sotto la guardia della loro virtù; penetreranno nel santuario dei santuari, quello delle anime; ascolteranno confidenze terribili: vedranno tutto, sapranno tutto; mille tempeste passeranno sul loro cuore. Questo cuore resterà di fuoco per la carità, di granitonper la castità. È a questo segno che i popoli riconoscerannonil prete ». Ecco, quindi, la spiegazione del sacerdote, del missionario cattolico, delle Suore di carità, di ogni Ordine, di ogni Congregazione e di ogni Famiglia religiosa, sia che si dedichi ad un’intensa attività quotidiana, sia che si consacri alla contemplazione. La verginità e l’apostolato son sempre congiunti, appunto perchè la verginità è amore. Il divino fascinatore delle giovani coscienze verginali, che è venuto sulla terra a predicare l’Amore, non per nulla si è circondato di gigli. Il « figlio della Verginità », come l’ha salutato san Bernardo, che volle anime verginali come Madre, come Padre putativo, come precursore, come discepolo prediletto, sempre, in ogni tempo, ha rivolto il suo appello ad una schiera di puri e di forti, dagli occhi sfavillanti di luce, pronti alle dedizioni totali per l’amore di Dio e per l’amore del prossimo. «Dunque, si domanda Cesare Angelini nei suoi Commenti alle cose con animo di poeta, ancora nascono gigli su questa terra, ove i figli degli uomini han rinunciatona ogni candidezza per un gusto di fragile peccato?… Ogni volta che gli Angeli e i Santi han fatto le loro comparse (rade!) fra noi, non han scelto altro bastone che il giglio per appoggiarsi nel loro andare terreno. Così, esso risplende in lor diafane mani, nelle tele immortali dei pittori. E che senso di eterna frescura dà all’anima e all’occhio che lo vagheggia! Par di sentir in lontananza non so che aria di Paradiso. – « Intanto noi abbiamo il dono di saperci incantare innanzi al giglio vero e alla sua immagine perfetta. Snello, elegante come un candeliere di argento che il cesello di Benvenuto non seppe mai atteggiar così bene, il giglio ride sul popolo dei fiori che, sospendendo la loro conversazione, gli fanno festa, estatici; poichè, se anche hanno gala di colori per la meraviglia degli occhi, riconoscono che il bianco del giglio non è più colore, ma è luce.

Di candor lucidoso

riluce la sua vesta.

a Poteva il Bianco da Siena prestarci due versi più belli per salutare la creatura del divino biancore? Pur nel nome è qualcosa che diletta. Giglio è parola che ride tutta, tant’è ricca di suoni limpidi e sottili. Giglio è un nome perlaceo, anzi, è già una perla trovata in certi gentili giardini del cielo e lasciata cadere in dono, ma per breve stagione, sulla terra… ». Ed il poeta si rivolge ai gigli e dice loro: « Gigli, che vi innalzate limpidi e quasi gloriosi della vostra castità gentile, ad ammonirmi, con la forza del simbolo, che il casto è il vittorioso del mondo e la sua aria è quella del vincitore; gigli, che tornate a fiorire alti e lontani forse per dirmi che tutto ciò che nasce di terra deve dare un fiore per il cielo, e insegnarmi che la carne non è la vera ricchezza della vita, ma è un peso, e la sola ricchezza è lo spirito che s’eleva al cielo; gigli, nostalgie di immacolatezze perdute, perchè richiamate alla memoria con un misto di tenerezza e di accoramento i versi di Saffo: “Verginità, verginità, dove sei mai fuggita? “. Questi versi non sono la parola definitiva della storia. Il fango ci circonda, è vero; ma ogni volta che Cristo nella storia risorge, sorridono nuove fiorite di gigli, in cui « nel pudor del prepuscolo » sbocciano i gigli delle anime verginali. Sempre, finchè il sole rifulgerà nel cielo, « soccorrendo due gocce di rugiada, i bei petali lisci si disinvolgeranno con grazioso scompiglio e guarderanno, estatici e meravigliati d’essere fioriti così bianchi su dalla terra così nera. E poichè i petali son puri, tutto lo stelo sarà limpido e puro. Il paese d’intorno resterà preso nell’incanto e nell’ebbrezza di quel loro fulgore spalancato e di quella fragranza che è passione e vibrazione… ». E sempre, fra i gigli, passeggerà vittorioso il Re dell’Amore.

3. – Conclusione.

Rileggiamo, insieme, alcuni versi dell’Odissea, al canto decimo. Omero racconta le avventure d’un gruppo di compagni di Ulisse, che Circe mutò in animali immondi:

Edificata con lucenti pietre

Di Circe ad essi la magion s’offerse,

Che vagheggiava una feconda valle.

Montani lupi e leon falbi, ch’ella

Mansuefatti aveva con sue bevande,

Stavano a guardia del palagio eccelso.

Né lor già s’avventavano: ma invece

Lusingando scotean le lunghe code,

E sull’anche s’ergeano. E quale i cani

Blandiscon il signor, che dalla mensa

Si leva, e ghiotti bocconcelli ha in mano,

Tal quelle di forte unghia orride belve

Gli ospiti nuovi, che smarriti al primo

Vederle s’arretriro, van blandendo.

Giunti alle porte, la deessa udiro

Dai ben torti capei, Circe, che dentro

Canterellava con leggiadra voce,

Ed un’ampia tessea, lucida, fina,

Meravigliosa, immortal tela, e quale

Dalle man delle dive uscir può solo.

Polite allor, d’uomini capo, e molto

Più caro e in pregio a me, che gli altri tutti

Sciogliea tai detti: — Amici, in queste mura

Soggiorna, io non so ben se donna o diva,

Che tele oprando, del suo dolce canto

Tutta fa risentir la casa intorno.

Voce mandiamo a lei. — Disse, e a lei voce

Mandaro: e Circe di là tosto, ov’era,

Levossi, e aprì le luminose porte,

e ad entrare invitavali. In un gruppo

La seguian tutti incautamente, salvo

Euriloco, che fuor, di qualche inganno

Sospettando, restò. La Dea li pose

Sovra splendidi seggi: e lor mescea

Il pramnio vino con rappreso latte,

Bianca farina e mel recente: e un succo

Giungeavi esizial, perchè con questo

Della patria l’oblio ciascun bevesse.

Preso e votato dai meschini il nappo,

Circe batteali d’una verga, e in vile

Stalla chiudeali: avean di porco testa,

Corpo, setole, voce: ma lo spirito

Serbavan dentro, qual da prima, integro.

Veramente, era superfluo che ci soffermassimo su questa scena. In ogni tempo, il gregge d’Epicuro è così numeroso, che non val la pena di disturbare Omero. Apriamo, piuttosto, il Vangelo: ad una festa nuziale, a Cana di Galilea, Gesù compie il suo primo miracolo e santifica l’amore dei giovani sposi. La famiglia è a Lui cara; Egli va, visita, porta gioia e salvezza, in una parola, benedice e sublima l’amore. Il mondo non dev’esser un’immensa stalla di Circe. L’amore deve trionfare nelle case, come pur deve sorridere sulle alte cime, ricoperte di bianca neve.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (14)