DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2023)

Semidoppio – Paramenti verdi.

La Chiesa nella liturgia di questo giorno ci insegna come Dio accordi il suo aiuto divino a tutti quelli che lo domandano con confidenza. Ezechia guarì da una malattia mortale, grazie alla sua preghiera, come pure liberò il suo popolo dai nemici; mercè la sua preghiera sulla croce, Gesù cancella i nostri peccati (Ep.) e risuscita il suo popolo a nuova vita mediante il Battesimo di cui è simbolo la guarigione del sordo muto, dovuta pure alla preghiera di Cristo (Vang.). Così, dato che per la virtù dello Spirito Santo, Gesù cacciò il demonio dal sordo muto e che i Sacerdoti di Cristo cacciano il demonio dall’anima dei battezzati, si comprende come questa XI Domenica dopo Pentecoste si riferisca al mistero pasquale ove, dopo aver celebrata la risurrezione di Gesù si celebra la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa, e si battezzano i catecumeni nello Spirito Santo e nell’acqua affinché, come insegna S. Paolo seppelliti con Cristo, con Lui resuscitino. – Il regno delle dieci tribù (regno d’Israele) durò 200 anni circa (938-726) e contò 19 re. Quasi tutti furono malvagi al cospetto del Signore e Dio, allora, per castigarli, dette il loro paese ai nemici. Salmanassar, re d’Assiria, assediò Samaria e trascinò Israele schiavo in Assiria nell’anno 722. I pagani, che presero il posto nel paese, non si convertirono totalmente al Dio d’Israele e furono detti samaritani dal nome di Samaria. — Il regno di Giuda durò 350 anni circa (938-586) ed ebbe 20 re. Una sola volta questa stirpe regale fu per perire, ma venne salvata dai sacerdoti che nascosero nel tempio Gioas, al tempo di Atalia. Parecchi di questi re furono malvagi, altri finirono come Salomone nel peccato, ma quattro furono, fino alla fine, grandi servi di Dio. Questi sono Giosafat, Gioathan, Ezechia, Giosia. L’ufficio divino parla in questa settimana di Ezechia, tredicesimo re di Giuda. Egli aveva venticinque anni quando diventò re e regnò in Gerusalemme per ventinove anni. Durante il sesto anno del suo regno, Israele infedele fu tratto in schiavitù. « Il re Ezechia, dice la Santa Scrittura, pose la sua confidenza in Jahvè, Dio d’Israele e non vi fu alcuno uguale a lui fra i re che lo precedettero o che lo seguirono; così Jahvè fu con lui ed ogni sua impresa riuscì bene ». Allorché Sennacherib, re d’Assiria, voleva Impadronirsi di Gerusalemme, Ezechia salì al Tempio e innalzò una preghiera a Dio, pura come quelle di David e Salomone. Allora il profeta Isaia disse a Ezechia di non temere nulla poiché Dio avrebbe protetto il suo regno. E l’Angelo di Jahvè colpì di peste centosettantacinque mila uomini nel campo degli Assirii. Sennacherib, spaventato, ritornò a marce forzate a Ninive ove morì di spada. Dio accordò più di cento anni di sopravvivenza al regno di Giuda pentito, mentre aveva annientato il regno d’Israele impenitente. — Ma Ezechia cadde gravemente malato e Isaia gli annunciò che sarebbe morto: « Ricordati, o Signore, disse allora il re a Dio, che io ho proceduto avanti a te nella verità e con cuore perfetto, e che ho fatto ciò che a te è gradito » (Antifona del Magnificat). E Isaia fu mandato da Dio ad Ezechia per dirgli: « Ho intesa la tua preghiera e viste le tue lacrime; ed ecco che ti guarisco e fra tre giorni tu salirai al Tempio del Signore ». Ezechia infatti guari e regnò ancora quindici anni. Questa guarigione del re che uscì, per così dire, dal regno della morte il terzo giorno, è una figura della risurrezione di Gesù. Così la Chiesa ha scelto oggi l‘Epistola di S. Paolo nella quale l’Apostolo ricorda che il Salvatore è « morto per i nostri peccati, è stato seppellito ed è resuscitato « nel terzo giorno » e che per la fede in questa dottrina noi saremo salvi come l’Apostolo stesso. Per questo stesso motivo è preso per l’Introito il Salmo 67, nel quale lo stesso Apostolo ha visto la profezia dell’Ascensione (Ephes., IV, 8).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

V. Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor

Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtù e potenza.]

Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.

[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.

Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.

[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtù e potenza.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.

[O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

[“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, apparve anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.”].

LA SINTESI DEL CREDO IN S. PAOLO.

Una delle cose che ci stupiscono davanti a certi monumenti costrutti dalla mano dell’uomo, monumenti materiali, è la loro antichità. Quando dinanzi all’arco di Tito, ancora così ben conservato nelle sue linee maestose, e anche in certi, in molti particolari secondarî, possiamo dire: ha duemila anni circa… ci pare d’aver fatto un grande elogio. Eppure questo è monumento morto. Noi ci troviamo oggi dinanzi a un monumento vivo, una costruzione ideale, cioè di idee, di concetto, di verità: il Credo, quello che voi sentite cantare ogni domenica. Ebbene il Credo ha duemila anni di vita. E noi ci troviamo oggi davanti al primo Credo, quale lo insegnava Paolo ai suoi convertiti. Non c’è tutto, c’è però la sostanza, il midollo centrale. Alcuni articoli sono sottintesi come presupposto necessario e implicito: altri saranno da lui stesso accennati altrove come corollari, ma il nucleo centrale è il Cristo Gesù, e Gesù è crocifisso e risorto. La sostanza, il centro del Vangelo è lì: Dio, Dio Creatore fa parte del credo religioso; cioè proprio di ogni religione che voglia essere appena appena non indegnissima di tal nome. Anche i Giudei credono in Dio Creatore e Signore del cielo e della terra. San Paolo non ricorda questo articolo, qui dove sintetizza il suo Credo, il Credo dei suoi Cristiani, non perché essi possano impunemente negare Dio, ma perché è troppo poca cosa per noi l’affermarlo Creatore. Il nostro Credo incomincia dove finisce il Credo della umanità religiosa. Ed eccoci a Gesù Cristo. Uomo-Dio, Dio incarnato, uomo divinizzato, mistero di unione che non è confusione e non è separazione. Ebbene, questi due aspetti che in Gesù Cristo Signor nostro si sintetizzano, San Paolo li scolpisce, da quel maestro che è, nella Crocifissione e nella Resurrezione di Lui. « Io, – dice Paolo ai suoi fedeli suoi… da lui istruiti, da lui battezzati, da lui organizzati, — io vi ho prima di tutto trasmesso quello che ho ricevuto anch’io, vale a dire: che Cristo è morto per i nostri peccati, come dicono le Scritture, che fu sepolto ». È il poema, grandioso poema, e vero come la più vera delle prose, delle umiliazioni di N. S. Gesù Cristo: l’affermazione perentoria e suprema della sua vera e santa umanità: patire, morire, patir sulla Croce, morire sulla Croce. – San Paolo tutto questo lo ha predicato ai Corinzi, come egli stesso dice altrove, con santa insistenza. A momenti pareva che non lo sapessero: era inebriato della Croce; ossessionato dal Crocefisso. Lo predicava con entusiasmo. E veramente questo Gesù che soffre e muore è così nostro. È così vicino a noi. Non potrebbe esserlo di più. « In labore hominum est: » è anch’egli soggetto al travaglio degli uomini. Travaglio supremo, supremo flagello: la morte. Tanto più ch’Egli è morto non solo come noi, ma per noi, per i nostri peccati e per la nostra salute; per i nostri peccati, causa la nostra salute, scopo e risultato della Redenzione. Ma per le loro cause sono morti anche gli eroi: Gesù Cristo è quello che è, quello che Paolo predica, la Chiesa canta nel Credo: Figlio di Dio unigenito, e la prova, la dimostrazione: la Sua Resurrezione. Uomo muore, Dio vive di una vita che vince la morte, e va oltre di essa immortale. Perciò Paolo continua: « Vi ho trasmesso che Cristo risuscitò il terzo giorno, come dicono le Scritture ». E della Resurrezione cita i testimonî classici, primo fra tutti Cefa, ultimo Lui, Paolo, ultimo degli Apostoli, indegno di portarne il nome, ma Apostolo come gli altri. La morte univa Gesù a noi, la vita non lo separa da noi. Gesù Crocifisso è il nostro amore mesto e forte. Gesù Risorto è la nostra grande speranza, primogenito quale Egli è di molti fratelli. Da venti secoli la Chiesa canta questo inno di fede, di speranza, d’amore.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XXVII:7 – :1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.

[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja

[A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Alleluja

Allelúia, allelúia
Ps LXXX:2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venit per Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.

[“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”


Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI  ediz. Soc. Ed. Vita e pensiero – Milano)

APRI L’ANIMA ALLA PREGHIERA

Condussero a Gesù un uomo sordo e muto perché, toccandolo con la sua mano, lo sanasse. Egli lo trasse fuori dalla calca: gli toccò con le dita le orecchie e gli pose un po’ di saliva tra le labbra. Poi, guardando in alto, sospirò: « Apriti! » disse. A quel comando divino il sordomuto cominciò a udire e a parlare. La folla intorno ammirava stupefatta e magnificava la potenza del Signore, dicendo: « Ogni cosa gli riesce bene. Ma che uomo è costui che ai sordi dà l’udito, ai muti la parola? ». – I gesti di Gesù in questo miracolo, ci ricordano il rito del santo Battesimo. È ancora Gesù che nella persona del suo ministro tocca l’orecchio e bagna di saliva le labbra del battezzando, e ripete il suo comando miracoloso: « Apriti! ». Apriti! E l’anima ch’era sorda e muta alla vita soprannaturale si apre alla grazia che da ogni parte scaturisce in lei e la rende una nuova creatura, innestata a Cristo come un tralcio nel tronco della vite, figlia anch’essa di Dio e perciò erede delle divine sostanze. Questi sono gli effetti del Battesimo. Ma l’immenso tesoro di grazie che Dio pone in noi deve essere accuratamente conservato, rinnovato, accresciuto con una continua preghiera. È necessario che il battezzato preghi sempre senza mai cessare. In un libro molto noto di letteratura umoristica si parla di un buffo barone (quello di Münchausen) il quale pretendeva di sollevarsi da terra aggrappandosi ai capelli. Illusi nella medesima stoltezza sono quei Cristiani che pensano di vivere il loro Battesimo e di salvarsi senza pregare continuamente, soltanto aggrappati alle proprie forze. – Nell’ordine soprannaturale noi, colle nostre forze, non possiamo tener fronte ai nostri nemici spirituali così astuti e così forti. Non possiamo nella nostra debolezza sostenere il peso della legge di Dio e osservare i comandamenti. Non possiamo compiere il minimo atto di virtù. Esplicita la parola di Gesù Cristo: « Senza di me non potete far nulla » (Giov., XV, 5); è ben esplicita la parola dell’Apostolo Paolo: « Noi non siamo capaci di pensare, da per noi stessi, qualche cosa di buono; la nostra capacità è da Dio » (II Cor, III, 5). Da ciò risulta che la preghiera è il linguaggio indispensabile della vita cristiana e che ogni mutismo in proposito è ingiustificabile. – 1. LA PREGHIERA È IL LINGUAGGIO DELLA VITA CRISTIANA. Lo Spirito Santo provoca continuamente l’anima battezzata con queste parole: « apriti alla preghiera! ». Anzi Egli stesso forma nel profondo dei cuori quei gemiti inenarrabili, quegli atti di domanda fiduciosa che attraversano i cieli e vanno a toccare il cuore di Dio. a) Quando alla vista di un cielo stellato, d’un ridente mattino, d’un campo promettente copioso raccolto, d’una cerchia di monti, di un’azzurra conca di lago, dello sconfinato orizzonte del mare, voi assurgete ad ammirare la grandezza, la bellezza, la forza di Dio autore di tutte le cose; quando considerando le vicende degli uomini e i casi stessi della vostra vita, voi intravvedete la trama della sapienza e della bontà di Dio che tutto dispone soavemente; e nel medesimo tempo di fronte alla Maestà Divina sentite la nullità del vostro essere, e v’inchinate col vostro pensiero profondamente davanti a Lui, riconoscendolo per vostro Padre, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di adorazione. È un dovere la preghiera di adorazione; è un dovere del figlio riconoscere suo padre; del suddito riconoscere il suo sovrano; del servo riconoscere il suo padrone; della creatura riconoscere il suo Creatore. È poi una delle forme più belle di preghiera, perché l’anima non chiede nulla per sé, dimentica se stessa e si immerge in Dio: lo loda, lo adora, lo benedice, lo glorifica per nessun motivo interessato, ma solo per la sua gloria. Propter magnam gloriam tuam! Quando ripensando ai molti e segnalati benefici ricevuti da Dio, voi sentite in fondo all’anima vostra sgorgare l’onda della gratitudine verso di Lui, e mentre il cuore si effonde in teneri affetti, il labbro non sa contenere calde espressioni di ringraziamento, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di ringraziamento. È un dovere la preghiera di ringraziamento, perché è un dovere del beneficato essere riconoscente dei benefici ricevuti. Un soldato indigeno durante la guerra africana faceva questa pungente osservazione: « I soldati bianchi, quando si sentono colpiti dalla disgrazia, allora implorano soccorso: aiutami, buon Dio! buon Dio, aiutami! Quando invece tutto procede bene, a loro gusto, allora se ne fregano di Dio, anzi lo bestemmiano con le parole e lo insultano con le opere ». Quel soldato nero forse esagerava, ma diceva una dolorosa verità. Infatti, quanti sospiri, quante novene, lumini, fiori per ottenere una grazia! Ed ottenutala, intenti a godersela, si dimentica il benefattore. I più grandi benefici del Signore sono tre:— la Creazione; e di questo lo dovete ringraziare con le preghiere del mattino e della sera; — la Incarnazione del suo Figlio; e di questo lo dovete ringraziare con la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. E perché fuggire via prima delle tre «Ave Maria » finali? È forse segno di riconoscenza?  — la vostra divinizzazione mediante la grazia santificante; e di questo lo dovete ringraziare con la fuga dalle occasioni di peccato.  c) Quando alla considerazione dei vostri sbagli, vi sentite profondamente penetrati di umiliazione e di dolore per le offese fatte a Dio, e inorridendo alla vostra perfidia e miseria cominciate a rivolgervi a Lui implorando perdono, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate. Questa è preghiera di propiziazione. È un dovere la preghiera di propiziazione perché è dovere dell’offensore chiedere perdono all’offeso, dichiararsi pronto alla riparazione. – d) Quando nei dubbi, nei pericoli, nelle lotte, nelle tribolazioni, nelle amarezze, voi sentite il bisogno di Dio e a Lui ricorrete chiedendo aiuti materiali e spirituali, invocando specialmente per l’anima luce, assistenza, forza di adempire fedelmente la Sua divina volontà, allora l’anima vostra si eleva a Dio: voi pregate! Questa è la preghiera di domanda. È un dovere la preghiera di domanda (o impetrazione), perché è un dovere indeclinabile per ciascuno di provvedere alla propria eterna salvezza, e così raggiungere il fine vero per cui è stato creato. Siccome nel presente ordine di Provvidenza Dio ha legato la concessione delle sue grazie alla preghiera, è ben chiara la conseguenza che ne deriva: chi prega si salva, chi non prega si danna. – 2. INGIUSTIFICABILE MUTISMO. Ho l’impressione incresciosa che in questo nostro tempo si preghi troppo poco. -a) La società moderna, in quanto tale, non prega più: le nazioni sono diventate o atee o indifferenti. Nei parlamenti e dai governi non si nomina più il Nome di Dio, né per invocarlo, né per ringraziarlo. – La famiglia moderna va perdendo il suo linguaggio cristiano. Il Rosario in troppe case non risuona più, e quella sua dolce e intima monotonia non solleva più i cuori oppressi dalla faticosa giornata. b) Degli individui, molti non aprono più bocca col Signore: moltissimi aprono ancora la bocca ma non il cuore e non è preghiera la loro. Sono Cristiani che non possono vivere, e in realtà non vivono, in grazia di Dio. In essi il Battesimo è ridotto ad un’energia soffocata, ad un germe isterilito. satana, ritornandovi con la sua tirannia, li ha rifatti sordi e muti: sordi agli inviti di Dio, muti a chiamarlo e a rispondergli. — Non prego, perché è inutile pregare: Dio vede bene che al mondo ci sono anch’io e sa già i miei bisogni. Dio sa che ci sei al mondo, ma tu non sai che al mondo c’è anche Dio, Dio sa i tuoi bisogni, ma tu non sai i suoi desideri e le sue volontà sopra di te. — Non prego perché non ho mai ottenuto nulla. Senza dubbio tu sbagli le cose da chiedere. Dio non nega mai nulla di ciò che è necessario o utile alla nostra salvezza eterna. I beni temporali che gli vai chiedendo, tu non puoi sapere se siano favorevoli o dannosi alla tua anima. Fidati di Lui. Guai se ascoltasse tutte le sciocchezze che gli chiediamo! Molte nostre preghiere assomigliano a quelle di una fanciulla che pregava perché cessasse la febbre di sua madre così: « Fate che la febbre scenda a zero, fate che  scenda a zero ». — Non prego, perché non ho ottenuto nulla anche quando chiedevo beni spirituali. T’inganni: non ti avrà esaudito in quella forma che t’aspettavi. Dio non ha promesso di esaudirci a modo nostro, ma al suo. S. Monica aveva pregato che Dio non lasciasse partire dall’Africa il suo Agostino, altrimenti non si sarebbe convertito più. Dio lo lascia partire per l’Italia. Monica dunque non fu esaudita? Anzi meglio e più presto: in Italia Agostino doveva convertirsi e porre le basi della sua santità. — Non prego perché non ho fede: mi pare di buttar via il tempo a parlare con nessuno. Appunto perché la tua fede è quasi spenta hai bisogno di pregare di più. La preghiera è l’olio della lampada della fede. S. Tommaso d’Aquino, il più sapiente dei Santi e il più santo dei sapienti, diceva: « Ho visto più luce ai piedi del Crocifisso che in tutti i libri dei sapienti ». L’uomo che non prega è un viaggiatore sperduto in una foresta e senza lume. — Non prego perché sono sempre quel medesimo peccatore. E lo sarai, finché non ti metterai a pregare veramente. Senza preghiera si è incapaci di essere puri, di essere umili, di perdonare, di amare. – Ma la più grave disgrazia di quelli che non pregano è che a poco a poco si rendono incapaci di pregare. È un incensiere spento, che non solleverà più alle sfere celesti una nube di profumo attesa e gradita. È un’arpa dalle corde consunte e infrante, che non vibrerà più nessuna nota che s’accordi ai canti angelici. — L’APOSTOLATO DELLA PREGHIERA. Fermate la vostra attenzione sull’atteggiamento delle turbe: ognuno dimentica per un istante se stesso, non pensa che all’infelice che è sordo e muto e per lui implora la grazia della guarigione. E furono degni di vedere il miracolo..  Ai nostri tempi capita spesso di sentire mormorare così: « Il mondo va male è ritornato nel paganesimo. Non ha l’udito per ascoltare la voce di Dio, la voce dei suoi ministri, la voce dei comandamenti e dei precetti. Non ha più la bocca per pregare, per confortare, ma solo per le imprecazioni, per i giudizi temerari, per le liti, per discorsi osceni ». Tutto questo è vero: ma che cosa facciamo noi per migliorare il mondo? che cosa possiamo fare? Pregare. – La città di Catania, una volta era stata sorpresa da un incendio terribile. La siccità prolungata e il vento avevano secondata la fiamma nell’opera devastatrice. Gli abitanti con gli occhi pieni di lacrime guardavano la rovina delle loro case, impotenti a salvarle. Quand’ecco il Vescovo esclamare: « E non abbiamo noi un rimedio miracoloso? Contro le sventure la beata Agata non ci ha forse lasciato il velo suo? Si prenda il velo di santa Agata ». Appena la preziosa reliquia, tra i singhiozzi e le suppliche, fu levata contro le fiamme, queste perdettero ardire e si spensero come se mancasse materia da consumare. Il vizio impuro, la follìa dei piaceri, l’indifferenza religiosa devastano la vita cristiana e tentano di travolgerla in una fiamma infernale. È inutile perdere il tempo in constatazioni oziose e in piagnistei: bisogna ricorrere ai rimedi. Ed il rimedio infallibile è la preghiera. Essa, come il velo miracoloso di S. Agata, soffocherà l’incendio del male divampante e farà trionfare Gesù Cristo. Invece sono pochi i Cristiani che pregano; e sono troppo pochi quelli che nelle loro preghiere sanno oltrepassare l’orizzonte dei propri interessi personali per occuparsi degli interessi delle anime e della Chiesa. « Noi dobbiamo pregare per tutti perché Dio vuole la salvezza di tutti ». Così c’invita S. Paolo. Ma specialmente dobbiamo pregare per i Sacerdoti perché Iddio li renda santi e li preservi da ogni sordità e mutolezza spirituale. Dobbiamo pregare per i peccatori, perché Gesù ritorni vicino a loro e li tragga dalla sordità e mutolezza del peccato, come un giorno ha guarito il povero sordo-muto. – 1. LA PREGHIERA PER I SACERDOTI. Nella vita dei frati predicatori si racconta una mirabile storia. Dal convento i frati sono usciti per lontane regioni a predicare. Ma ecco che la stagione delle piogge e lo sciogliersi delle nevi hanno ingrossato le acque, ed un fiume vorticoso taglia loro la via. Veramente si scopre una barca, ma senza remi… Dall’altra parte le folle aspettano, ansiose della parola di Dio, ansiose dei sacramenti di Dio. Ad un tratto dal vertice d’un monte vicino discese correndo una bambina di forse otto anni, con un grosso ramo sulle spalle: si slanciò nella barca, con quello fece da remo, e traghettò i frati predicatori alla sponda opposta, ove poterono incominciare la loro missione. Ebbene, quante volte i Sacerdoti, come già quei frati predicatori sono impossibilitati a compiere la loro opera di bene! Talvolta è il demonio che suscita infiniti ostacoli, che indurisce i cuori; tal’altra mancano i mezzi materiali, il tempo, il danaro, la salute; e intanto le anime attendono invano l’opera del ministro di Dio. È necessario accompagnare il loro ministero con ferventi preghiere perché dal cielo la grazia del Signore, come la misteriosa bambina della leggenda, cali a fecondare l’apostolato sacerdotale. S. Vincenzo de’ Paoli, quando tornava a casa stanco per una giornata di faticoso lavoro, raccoglieva i suoi amici e li conduceva a pregare per i sacerdoti. « In questo momento forse sono afflitti, in questo momento forse stanno persuadendo un moribondo a ricevere i sacramenti, in questo momento forse il demonio tenta la loro fede, il loro fervore, la loro virtù… preghiamo, perché ne hanno bisogno. Se il sale diventa insipido, che cosa mai potrà salare la terra? ». S. Francesco Saverio scriveva a S. Ignazio che egli aveva potuto convertire l’India, solo perché in Europa si era pregato molto per lui. Pochi anni or sono un Vescovo di Cina fu interrogato sul mezzo che egli credesse migliore per convertire a Cristo tutto quell’immenso impero. « Avremmo bisogno, rispose, di qualche Carmelitana di più, di qualche Trappista di più, di molte anime che pregassero di più per i missionari ». – 2. PREGHIERA PER I PECCATORI. S. Giovanni l’Evangelista in una lettera ha scritto: « Se alcuno possiederà ricchezze di questo mondo e vedrà che c’è un altro il quale soffre nell’indigenza, e chiuderà la sua borsa e la sua mano in un egoismo crudele, costui è uno scomunicato e la grazia di Dio non è in lui ». Se l’Apostolo prediletto ha scritto parole così terribili per le necessità materiali della vita, pensate, o Cristiani, quale condanna avrà l’uomo che, vedendo il suo prossimo in sciagure spirituali, non avrà fatto nulla per la salvezza di quell’anima! E Gesù ha detto: « Io conoscerò se voi siete miei discepoli, se vi amerete gli uni e gli altri come io vi ho amati ». Or bene, l’amore che il Figlio di Dio ci ha voluto, fu soprattutto l’amore per le anime. Per le anime sotto la condanna del peccato originale Egli si fece uomo; per le anime oppresse dai peccati ha istituito il Sacramento della Penitenza; per lavare le anime da ogni macchia non ha esitato a lasciarsi tradire, flagellare, mettere in croce, e spargere tutto il suo sangue, e financo le ultime stille di acqua rimaste nel suo cuore squarciato. Dopo questo, c’è forse qualcuno che può dire in verità di essere seguace di Gesù Cristo se non sente il bisogno di pregare per i peccatori, di riparare per loro, di affrettarne la conversione? Quanto diversa invece è la condotta di molti tra noi. Si viene a sapere che un tale ha commesso uno sbaglio e subito, con acre compiacenza, si sparge in pubblico il peccato altrui e si diffonde lo scandalo. Molto meglio invece pregare per quell’anima, ascoltare qualche Messa, offrire a Dio qualche nostra mortificazione. Così hanno fatto le turbe per il povero sordo-muto: non l’hanno scacciato, non l’hanno deriso, ma presolo per mano lo condussero davanti a Gesù e scongiurarono il Signore di guarirlo. Quanto meglio se invece di portar rancore e di cercare la vendetta contro quelli che ci hanno fatto del male, noi imparassimo a pregare per loro! Penserebbe il Signore a illuminarli, e a sospingerli alla dovuta riparazione. E quanto di guadagnato sarebbe se invece delle mormorazioni, noi avessimo sulle labbra delle preghiere! In breve si cambierebbe la faccia al mondo. Le sorelle di Lazzaro con la preghiera hanno saputo strappare a Gesù il miracolo grande della resurrezione. Ogni uomo che è caduto in peccato è pure un nostro fratello che è morto nell’anima: la sua sventura è così grave che ci deve fare compassione, poiché a questo mondo l’unico vero male è l’offesa di Dio. Tocca a noi imitare le sorelle di Lazzaro, e tanto supplicare da ottenere la resurrezione spirituale. O genitori, se nella vostra casa c’è qualche figliuolo lontano da Gesù, è solo con la preghiera che voi potrete convertirlo. È con la preghiera, o buone sorelle, che dovete ottenere dal Signore che vostro fratello ritorni sulla via della bontà e della salvezza, è con la preghiera che le spose otterranno la grazia per il loro marito, e i figli per il loro padre. Dio ascolta queste suppliche ardenti, e certamente le esaudisce, anche se talora ci fa alquanto aspettare. Del resto, se nessun vincolo umano ci lega al peccatore, c’è sempre — e più forte — il vincolo divino: egli è il figlio di Dio come noi, egli è redento dal sangue di Cristo come noi. Felici quelli che avranno la fortuna di salvare almeno un’anima, perché saranno sicuri di essere salvi. Animam salvasti animam prædestinasti. – È scritto nella Leggenda aurea che Bartolomeo apostolo, arrivando nell’estrema regione dell’India, entrò in un tempio ov’era l’idolo d’Ascaroth e molti altri nelle loro nicchie con davanti bracieri e profumi ardenti. L’Apostolo angustiato di quella demoniaca idolatria, si portò nel mezzo e levando le mani in alto e sospirando cominciò a pregare e a piangere. Subito i fuochi si spensero e Ascaroth e tutti gli altri idoli furono rovesciati dalle loro nicchie e travolti, da una forza invisibile, in una rovina miseranda. Nei cuori di molti uomini, come in altrettanti templi viventi, il demonio col peccato ancora oggi si è acceso molti fuochi e si è innalzato molti idoli. Leviamo le mani in preghiera verso il Cielo: supplichiamo e piangiamo affinché venga finalmente il regno di Cristo. Dio a noi pure, come in quel giorno al suo Apostolo, farà grazia di vedere nelle anime spegnersi i fuochi delle passioni e frantumarsi gli idoli dei peccati.

 IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIX:2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.

[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium.

[O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster,

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.

[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio  

  Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.

[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’anima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1

)ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (264)

LO SCUDO DELLA FEDE (264)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (6)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO VII.

CULTO ESTERNO

I. Iddio non ha bisogno di culto esterno. II. Iddio non ritrae verun vantaggio dal nostro culto.

Simigliante alla massima precedente è un’altra, che pur gode gran credito ai giorni nostri, ed è l’affermare che a Dio bastando il cuore, Ei non abbisogna di culto esterno, e che Egli non cura le forme esteriori del culto, che altro non sono che vane superfluità, e che Egli non abbisogna dei nostri ossequi. Coll’antecedente miravano ad abbattere ogni culto, con questa mirano ad annientare almeno il culto esteriore come si pratica nella Chiesa; con quella assalivano direttamente la Religione, con questa l’assaltano indirettamente, ma con niente minor efficacia e perversità.

I. A Dio bastando il cuore, voi dite, ei non si cura del culto esterno; ma siete poi ben certa che a Lui basti il cuore? Io invece son certo che non gli basta né punto, né poco, e la mia ragione è semplicissima, perché è impossibile il dargli il cuore, senza darglielo per mezzo di riti, di cerimonie, di atti anche esteriori. Volete vederlo? Che cosa è l’uomo? È un composto di anima e di corpo essenzialmente. Se prendete la sola anima, è uno spirito separato, se prendete il solo corpo, è un cadavere: bisogna prendere l’uno e l’altro per avere un uomo. Come opera egli adunque in forza di questa unione? Opera con quel genere di operazione che risulta dall’uno e dall’altra. Provatevi un poco ad ammettere nel vostro cuore un qualche affetto, senza che tosto traspaia anche nell’esterno. Il timore vi fa impallidire, la gioia vi fa tripudiare, la collera vi fa tremare a verga a verga, l’amore vi si conosce in faccia a mille miglia lontano: tantochè quando volete simulare anche alcuno di questi affetti, la commozione vi tradisce e vi scopre quando il volete meno. Che cosa vuol dire ciò? Che il corpo e lo spirito in questo stato d’unione vanno così d’accordo e sono così dipendenti l’uno dall’altro, che non possono non avere un’operazione comune. Ora se questo si verifica in tutte le nostre operazioni, perché non dovrà verificarsi anche nell’esercizio della Religione? Oh che? Saremo di una natura per le cose terrene e di un’altra per le cose celesti? Guardate, questi capi scarichi vorrebbero disfarci uomini per farci filosofi. Appunto come quel bottaio che per ripulire una botte cominciava coll’appiccarvi il fuoco! Del resto fosse pure anche possibile il venirne a capo, e l’uomo potesse esercitare tutta la religione solamente col cuore, sarebbe allora lecito il farlo? Punto punto. Poiché la Religione è un dovere che appartiene non alla sola persona individuale, ma a tutta la società, cioè è tale, a cui debbono tutti gli uomini prender parte in comune. Vi dichiarerò le cose con un esempio., Se un monarca va a visitare una sua provincia, basta forse che ciascun cittadino in particolare gli faccia atto di riverenza? Certo no: ma la città tutta in corpo con atti e feste pubbliche lo riconosce. E ciò perché? Perché quel monarca è superiore non solo degl’individui, ma di tutta la città e di tutta la provincia. Ora Iddio non è solo padrone degl’individui, ma è padrone e autore della società tutta quanta, ed ha diritto di essere dalla società stessa riconosciuto con atti di Religione. Ed in qual modo si praticherà questa Religione in comune senza atti esteriori? Sto a vedere che gli uomini potranno congiungersi insieme coi soli atti della mente, come fanno gli Angeli, e non avranno più bisogno dei sensi per intendersi! Forse questa sarà una proprietà di quei signori della religione del cuore, e tal sia di loro: ma per noi, poveri figliuoli d’Adamo, ci vuole la Religione del cuore, ma non disgiunta da quella dei sensi. E che sia così, voi potreste convincervene anche per altra via. Quando vi abbatterete con alcuno di quegli che con piglio filosofico levano tanto alto la religione del cuore, chiamatelo un poco in disparte e fategli qualche interrogazione. Il mio valentuomo, ditegli confidentemente ed a quattro occhi, questa religione del cuore sì perfetta, e di cui voi avete il profondo segreto, come riesce poi all’opera? la praticate voi davvero? La ‘praticate spesso? La praticate almeno qualche volta? Su dite, vi ritirate voi talvolta nel segreto del vostro cuore, e là solo con Dio, vi umiliate profondamente, gli chiedete perdono delle vostre colpe, prendete delle generose risoluzioni di non più offenderlo? In una parola gli fate poi l’omaggio di quel vostro gran cuore, che è il solo incenso che deve ardere, come voi dite, sull’altare della divinità? Su, parlate schietto, dite la verità una volta, fate tutto ciò, o non ne fate nulla? Mio lettore, a questa domanda, qualcuno vi cadrà dalle nuvole, altri vi guarderà trasognato, ed altri, per sbrigarsi più presto, vi manderà a tutti i diavoli. Oh che è mai questo? Eccovi decifrato il mistero. La religione del cuore, cioè la religione senza atti esterni, è un impossibile, e que’ ribaldi che cercano di metterla in onore, il sanno al pari di noi, e non se ne valgono che come di uno stratagemmandi guerra. Veggono benissimo’ che il ricusare al tutto un qualche culto è cosa brutale e da parerne meno che uomini, anche presso del mondo, il quale pure non la guarda così per sottile: dall’atra parte il professarne alcuna è lo stesso che accollarsene la obbligazione in faccia alla società; e questo è un fardello che non si vuole sulle spalle: epperò si è fatto ricorso ad una religione invisibile, comenè quella del cuore, e si protesta che quella è la propria religione; ma come nel cuore nessuno può vedere, così non si ha obbligo di farne altro. Diceva un bell’umore, che costoro fingono la natura dell’Angelo per poter essere bestie impunemente. A questo modo si fugge la taccia di non aver religione di sorta, e non si ha la noia di praticarne alcuna; anzi si sale ancora in riputazione di filosofo, mentre si mena una vita da sciocco: non è bello questo trovato? Bellissimo invero! peccato solo che, come si fa gabbo agli uomini, così non si possa fare a Dio scrutatore dei cuori! E che questa sia la spiegazione vera del tanto magnificare la religione del cuore che si fa ai dì nostri, voi lo potrete raccogliere ancora da ciò che i medesimi, dimenticandosi la parte che fanno in scena, lascino poi sfuggire talvolta chiaro chiaro il loro intendimento in un’altra massima ugualmente perversa: Che bisogno ha Dio delle nostre meschinità, dei nostri atti di religione? Che vantaggio ne può egli ritrarre? Colle quali parole tradiscono apertamente il loro segreto, e mostrano fino al fondo tutta la corruzione dei loro cuori, dando a conoscere che non vogliono praticarne veruna. Seguitiamoli tuttora in questa nuova loro massima portentosa.

II. Iddio non ha bisogno dei nostri ossequi meschini e non ne ritrae nessun vantaggio, dicono essi. Sapevamocelo. E che però? Dunque, non gli si debbono rendere? Ma siamo noi, noi proprio quelli che ne abbiamo bisogno, non è Dio. Mai nessuno al mondo è stato così stolido che abbia inculcata la religione, perché Dio ne avesse bisogno. Già si sa che il bisogno è tutto nostro. Noi siamo creature di Dio e tali, che tutto che abbiamo e che speriamo, tutto è nelle sue mani: quindi dobbiamo aver da Lui una dipendenza continua per ricevere da Lui tutto quello onde abbisogniamo. Se Egli non ci conservasse continuamente, noi ad ogni istante cadremmo nel nulla; se Egli non ci assistesse ad ogni momento, in ogni momento rimarremmo sopraffatti da qualche calamità. Fingete che la luna non volesse dipendere dal sole, sul pretesto che il sole non ha bisogno di lei, che cosa direste voi? Direste che non è per bene del sole che essa deve dipendere, ma è per bene suo, perocché essa, senza del sole, sarà in perpetua scurità. – Immaginate che una pecorella non volesse star soggetta e dipender dal suo pastore, sul pretesto che il pastore non abbisogna di lei, e voi direste a questa pecora matta che essa è che ne ha bisogno, poiché, senza il pastore, non saprà dove ire a pascolare e morrà di fame, oppure, rimasta senza difesa, sarà sbranata dai lupi. Similmente Iddio essendo il solo nostro padre, il solo nostro aiuto, la sola nostra sicurezza, il solo che possa condurci all’altissimo nostro fine, noi non possiamo fare senza di Lui: abbiamo da stargli d’intorno ad ogni istante, perché Egli ad ogni istante sparga soprandi noi le sue grazie. Soprattutto però questo si vede rispetto ai peccati. Iddio non ha bisogno di noi, ma è egli vero che noi l’offendiamo pur troppo colle nostre colpe? Se è vero che trascuriamo e calpestiamo moltenvolte la legge che ci ha imposta, è vero che siamo rei. Or chi non vede, che abbiamo bisogno e bisogno grande e bisogno stretto di ottenere il perdono, se pur non vogliamo incorrere la sua vendetta,ne, non ostante le nostre reità, finalmente giungere alla salute? Il giudice senza dubbio non ha bisogno del reo, il ricco non ha bisogno del povero, il potente non ha bisogno del debole; ma i languenti, i colpevoli hanno bisogno di chi li aiuti e li protegga. Così noi abbiamo bisogno di Dio per rendercelo favorevole, onde sospenda i suoi castighi, ed accettando le nostre umiliazioni, ci usi misericordia. Andate adesso a dire che il Signore non abbisogna della nostra religione, se vi basta l’animo. Senzachè, quando anche noi non ne avessimo bisogno, sarebbe egli vero che fossimo disobbligati dal prestargli i nostri ossequi? Nulla meno. Iddio ne ha il diritto, e diritto così essenziale, così assoluto, inalienabile, che non può rinunziarvi senza cessare d’essere Dio. Potrebbe mai un padre spogliarsi della dignità ed autorità paterna da render lecito ad un figliuolo il vilipenderlo, batterlo, maltrattarlo? Sarebbe una violazione delle leggi sacrosante della natura. Potrebbe uno sposo rinunziare ai suoi diritti per modo da consentire ad una sposa delle infedeltà? Sarebbe un orrore. Potrebbe un principe svestire la sua qualità di sovrano al punto di mettere in mano de’ suoi sudditi ogni autorità? Sarebbe una sovversione di tutto l’ordine sociale. Ma quando tutti essi potessero rinunziare a sì essenziali loro diritti, non potrebbe ancora rinunziarvi Iddio. Egli può non formar creature, ma non può, formate che le abbia, a sè non dirigerle, perché non può non essere, com’è, il loro principio, così ancora l’ultimo loro fine. Il perché quando anche noi non avessimo bisogno di Lui, Egli non potrebbe non esigere il nostro culto, se pure egli non può cessare d’essere Dio e noi creature. – Questa osservazione mi somministra anche un’altra ragione non meno chiara. Se Dio, anche per impossibile, ci proibisse di onorarlo, di ossequiarlo, di prestargli il nostro culto, noi non potremmo neppure allora farne a meno tanto è necessaria a noi la religione verso di lui! Vi ammirate forse di questa proposizione! Ebbene, rispondete a me. Se Dio prescrivesse alla luce di non illuminare, al fuoco di non bruciare, all’acqua di non bagnare, al vento di mai non soffiare, agli alberi di non spiegar mai rami, fronde, fiori e frutti, e così via via, se levasse ad ogni creatura la propria naturale operazione, che cosa potrebbero rispondere tutti questi esseri? Che tanto varrebbe per loro l’essere annichilati: posciaché, se tutto quello che sono, il sono solamente in ordine a quelle opere; levate queste, essi sono vani ed inutili. Or sappiate che è lo stesso dell’uomo riguardo a Dio. L’uomo ha un intelletto fatto per conoscer Lui, un cuore per amarlo, come l’albero è fatto produrre, l’uccello per volare mentre l’intelletto mai non si posa, il cuore mai è sazio finché non si congiungano a Dio; se voi però togliete all’uomo la religione, che è il solo mezzo per cui stringersi a Lui, e voi avete annientato e distrutto l’uomo. Vedete dunque quanto errino quelli che credono, che Iddio li abbia dispensati dall’obbietto della Religione! E ciò per dir nulla del torto che fanno costoro alla bontà di Dio, la quale esigerebbe, se tanto si potesse, un’infinità di amore e di servigio. Come no? Una bontà da nulla e’ incanta, ed una bontà, qual è quella di Dio, non ci ha pure a muovere? Un raggio di beltà creata ci affascina, e non ci hanno a rapire raggi infiniti di una bellezza increata? Un’aura di sapienza ci tiene assorti di maraviglia, e possiamo rifiutare le nostre ammirazioni ad una infinita sapienza? Non possiamo vietare al nostro cuore di amare gli oggetti amabili, e potremo impedirgli di amare un oggetto amabile infinitamente? E potremo tutto ciò quand’anche quest’oggetto infinitamente buono, bello, santo, amabile sia verso di noi largo de’ benefizi più squisiti, delle grazie più preziose, dell’amore il più tenero? Ma che? Siamo noi tigri dell’Africa, pantere, leopardi? Abbiamo noi un cuore dentro il petto, oppure un macigno? Eppure tant’è. O negare che quanto abbiamo l’abbiamo da Dio, o consentire che gli stiamo continuamente d’intorno con ogni maniera d’ossequio che ci può mettere sul labbro e nel cuore la religione. – Finalmente se Dio non si cura del nostro culto, perché è venuto sulla terra per stabilirlo? Perché l’ha istituito, perché l’ha propagato, perché ha fatto tutto ciò con tanta sollecitudine? Perché ha mandato i suoi Apostoli a tutta la terra? Qui vi vuole una risposta, e non può essere altra che questa: O negare recisamente tutta la grand’opera dell’Incarnazione divina, o concedere che a Gesù infinitamente importa del nostro culto. Il primo non osaron dirlo neppure i demoni, poiché confessarono che Gesù era il Figliuolo di Dio; come dunque negare il secondo?