IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (9)
FRANCESCO OLGIATI,
IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.
Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.
Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.
Capitolo QUARTO (1)
L’AMORE NEL SACRIFICIO
Fu un sogno, il nostro? La fiamma dell’amore di Dio, che incendi le anime e tutte le unisca in un’anima sola, nella generosità operosa dell’amore fraterno, non è forse un ideale roseo, fulgente nella credula fantasia come una stella lontana, ma in antitesi assoluta con la realtà delle cose? Oh, se tutti tenessero fisso lo sguardo ed il cuore in Dio e nel suo Cristo; se lo spirito dominante d’ogni individuo e d’ogni iniziativa fosse davvero lo Spirito Santo; se nessuno s’avvicinasse al prossimo senza pensare che si avvicina a Gesù velato da quelle apparenze; se la giustizia e l’amore non ottenessero solo il plauso della retorica e dell’ingenuità, ma fossero attuate nella vita quotidiana; se la pace fra i popoli non belasse nei Congressi o nelle Carte, e non fosse divorata immediatamente dai denti dell’odio e degli interessi; se uomini e Stati non facessero concorrenza alla concordia proverbiale che regna fra cani e gatti, oh, allora il mondo sarebbe pur bello e l’esistenza pur lieta. Ma, ahimè! è inutile che Gerolamo Savonarola predichi nella città di Lorenzo de’ Medici la morale cristiana e rizzi i suoi roghi. Ironicamente gli risponde in ogni tempo l’anima umana col verso di Ovidio:
aliudque cupio, Mens aliud suadet: video meliora proboque; Deteriora sequor.
(Met. VII, 19 e seg.)
Beffardo gli guarda il Rinascimento folgorante a da tutte le parti, da tutti i marmi scolpiti, da tutte le tele dipinte, da tutti i libri stampati in Firenze e in Italia », da mille e mille manifestazioni, in cui irrompeva la ribellione della carne contro lo spirito… Tra le ridde dei suoi piagnoni non vedeva, povero frate, in qualche canto della piazza sorridere pietosamente il pallido viso di Nicolò Machiavelli ». Il quale, in un famoso capitolo del suo Principe, ancor oggi mormora con malizia arguta: « Se gli uomini fossero tutti buoni… » …e dovunque poi, in ogni momento della sua vita ed in ogni passo delle sue opere, con viso severo ci rammenta il dovere di non perder d’occhio « la verità effettuale », ossia il ciò che è, per il ciò che dovrebbe essere e che non esiste. – Sarebbe forse l’etica dell’Amore un’utopia irrealizzabile? Lo scetticismo morale lo sostiene e lancia il grido disperato: “Virtù, tu non sei che un nome vano!”.. I vili vanno ripetendo una tale parola, rispondente alla debolezza del loro carattere e cedono le armi. Gli uomini ” pratici “, col loro caratteristico sussiego, rammentano che la vita è lotta, è contrasto, è cozzo di interessi; non è amore. La vita non è bacio di fratelli, bensì baci di Giuda, insidie, opposizioni, guerre. Come mai può il Cristianesimo dimenticare la realtà dura, sì, ma inesorabile? Si racconta che Carlo V, quando, verso il tramonto dei suoi anni, si ritirò in un monastero, talvolta si ricreava a regolare gli orologi; e constatando l’impossibilità di accordarne anche soltanto due di essi, esclamò: « Disgraziato! Non riesco ad accordare due orologi; ed ho preteso di accordare fra loro gli uomini! ». Non è forse, questa, l’utopia cristiana? La legge cristiana dell’Amore non teme simili obbiezioni. Noi esporremo brevemente come essa risolva l’antitesi fra reale e ideale, mediante il concetto di sacrificio e di formazione della propria volontà.
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I. – REALE ED IDEALE
Il Cristianesimo non è un ideale astratto; anzi è la negazione assoluta dell’astrattismo, di questa merce, bella in apparenza, ma ingannatrice, proprietà dell’umanitarismo illuministico, del democraticismo moderno e delle ideologie contemporanee. Appunto perché il Vangelo è il libro più alto per la soluzione del problema della vita, è anche il libro che ci infonde e cura in noi al massimo grado il senso della concretezza. La Chiesa di Cristo non è mai stata una bottega di lattemiele. E Gesù, se da un lato dice: « Amate », dall’altro soggiunge. « Son venuto a portare non la pace, ma la spada ». Svolgiamo l’idea principe dell’amore e tutto sarà chiaro.
1. – L’amore e la lotta
Il vero amore non ha nulla in comune con le sdolcinature sentimentali, che — ripetiamo ancora — hanno una origine fisiologica, più che psicologica. I genitori che amano i loro figli non li allevano a carezze solo ed a caramelle; ma quando è necessario, battono e castigano: e tale castigo non è l’antitesi dell’amore; anzi è esso stesso amore! Il chirurgo, che ama l’ammalato, non lo lusinga con paroline soavissime e con illusioni mendaci; ma prende il bisturi e taglia senza misericordia. Una nazione, che viene aggredita e minacciata nella sua esistenza, dal cancro d’un invasore ingordo, dev’essere difesa in nome del precetto stesso della carità; poiché, se noi amiamo Dio ed il prossimo, come possiamo permettere che un popolo venga ingiustamente schiacciato, iniquamente torturato e sfruttato? È l’amore ai fratelli, che nella guerra giusta può portare la guerra. È la spada, che dona la pace agli uomini di buona volontà, agli unici, ai quali il canto natalizio la augura. Un castigo necessario, una operazione chirurgica ben fatta, una guerra giusta possono essere la vera realizzazione concreta del precetto dell’amore, in quanto non sono un’ingiuria a Cristo nei nostri fratelli, ma uno sforzo legittimo e spesso doveroso per liberare gli altri dall’involucro esteriore, che nulla ha a che fare con Cristo ed attenta, anzi, all’amore cristiano nella vita o nella storia. Ciò che il Cristianesimo proibisce è, ad es., il castigo inflitto ad un figliolo, non perché lo meriti, ma perché il padre è di cattivo umore; la correzione, che tratta il prossimo come un nemico da distruggere e non un fratello da guarire; la guerra suscitata dall’ingordigia e dalla prepotenza. Ciò che vieta è lo stato d’animo passionale, per colpa del quale non ci poniamo più dal punto di vista di Cristo, ma dal punto di vista della nostra ira, delle nostre cattive tendenze e degli istinti brutali che in noi fremono ed urlano. Ed, in pari tempo, condanna una pace senza giustizia. È bello, è cristiano il voto del poeta che nei Canti da Castelvecchio diceva:
a’ piedi dell’odio che, alfine,
solo è con le proprie rovine,
piantiamo l’ulivo;
ma il solo ulivo vero della pace vien distribuito nella domenica delle palme ed accompagna il sereno trionfo di Gesù nella storia: in altre parole, il vero amore e la vera pace non sono se non l’amore e la pace di Cristo, che tutti — individui e nazioni — debbono affrettare, attuando la morale cristiana, ossia combattendo.
2. – La vita è una milizia
Nell’altro mondo non sarà così: ma quaggiù l’Amore è necessariamente connesso con la battaglia: ed è per questo che la Scrittura ci ammonisce: « La vita dell’uomo sulla terra è una milizia ».
Noi abbiamo bensì consapevolezza degli esseri; possiamo conoscere il loro ordine e le conseguenze pratiche che ne risultano; la coscienza e le tavole del Sinai ci gridano, l’una con la parola della ragione, l’altra con quella della rivelazione, la voce di Dio. Ma obbedire a questa voce significa sacrificarsi; seguirla importa spesso insorgere contro di noi, contro le consuetudini dell’ambiente, contro i suggerimenti di satana. L’ideale è bello; ma la lotta è aspra, e la passione è prepotente, e le insidie allettatrici sono numerose. Comincia a combattere il ragazzo, appena giunge all’età della ragione. Vedetelo là, dinanzi alla zuccheriera. La piccola coscienza gli intima: « Piccolo, quello zucchero non lo devi toccare »; ma l’acquolina in bocca gli sussurra: « Allunga la mano: è così dolce lo zucchero ». Tutta la vita è una ripetizione d’una simile scena. Invece della zuccheriera, sarà una cassaforte; e l’impiegato si soffermerà e si svolgerà nell’intimità del suo cuore il conflitto: « Allunga la mano… No; non rubare, sii onesto ». Invece dello zucchero dolce, sarà la dolcezza d’un’altra qualsiasi tentazione. Come a Cleopatra, il serpente sempre ci è presentato in un vaso di fiori. Il ruggito della belva, il fremito passionale, la tendenza malvagia ci sospingeranno verso l’abisso, mentre il comando del dovere echeggerà dentro di noi categorico e minaccioso. Siamo liberi; e possiamo scegliere. Non siamo solo intelligenza; da questa procede una volontà. Ed essa può indurci a fuggire dal pericolo. Può comandare all’intelligenza di rivolgere la sua attenzione ad uno o ad un altro motivo d’azione, che in tal modo diverrà prevalente, non già perchè i motivi siano come pesi posti sulla bilancia della nostra decisione per determinarci, ma, al contrario, perchè il nostro stesso libero volere li prende e li usa. La volontà decide, sovente immersa nella nube e nei miasmi della passione, talvolta nella serenità dell’animo tranquillo, talvolta sentendo che una mano l’afferra e la trascina; potrebbe resistere, ribellarsi, liberarsi; ma non sempre lo vuole. Non tanto sui campi sanguinosi delle guerre antiche e recenti occorre recarsi, quanto nel silenzio delle coscienze nostre: ecco qui il più spaventoso campo di battaglia che mai si possa immaginare. Spesso è la ferita, la morte, la desolazione della sconfitta; talora, il peana della vittoria.