UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. BENEDETTO XV – “IN HAC TANTA”

Il Santo Padre esalta in questa Lettera Enciclica la figura dell’apostolo della Germania, san Bonifacio, Santo che evangelizzò in lungo e largo quelle terre allora dedite all’idolatria ed all’errore. L’elemento che il Sommo Pontefice particolarmente sottolinea, è l’attaccamento del gran Santo alla Sede Apostolica romana alla quale segnalava ogni sua mossa e da cui accettava consigli ed ordini come da Dio stesso. Questo è l’esempio che tutti i Cristiani oggi dovrebbero seguire e la cui inosservanza è causa di disgrazie sociali e personali, soprattutto spirituali che conducono a certa dannazione. La condizione preliminare che conduce alla salvezza è proprio l’unione tenace al soglio di s. Pietro che rende la fede degna di meriti e grazie per la vita eterna. Modernisti, scismatici pseudotradizionalisti, eretici di ogni risma battono la via che conduce lontano dal Vicario di Cristo in terra, lontano da Cristo, da Dio e dalla eterna beatitudine. Che s. Bonifacio ci aiuti ad amare e seguire il Santo Padre validamente eletto, voce dell’unico ed invariabile Spirito Santo, anima della “vera” unica immutabile Chiesa.

Benedetto XV
In hac tanta

Lettera Enciclica

Ai Vescovi di Germania, rievocando il dodicesimo centenario della Missione Apostolica in quel Paese.

Fra tanti affanni e difficoltà d’ogni genere che Ci turbano in tempi cosi’ penosi e ancora più, per usare l’espressione dell’Apostolo, ” oltre queste preoccupazioni esteriori, la cura quotidiana che da Noi attende la Chiesa “, abbiamo seguito, cari Figli e Venerabili Fratelli, con la più viva apprensione lo svolgersi di questi avvenimenti imprevisti, improntati ad anarchia e a disordine, che si sono ultimamente svolti presso di voi e presso i vostri popoli e che ancora tengono gli animi sospesi nell’incertezza dell’avvenire. In questi momenti torbidi ed oscuri un raggio di luce sembra venire dal vostro paese, messaggio di speranze e di gioia: il lieto ricordo del saluto portato alla Germania, or sono dodici secoli, da Bonifacio, legato del Seggio Apostolico, che l’autorità del Pontefice aveva designato araldo del Santo Vangelo. Ci è quindi sommamente gradito l’intrattenerci ora con voi, perché reciproca consolazione ne venga ai nostri spiriti, e per esprimervi il Nostro paterno compiacimento. – Ci uniamo a voi in questa speranza e in questa gioia, e vi confermiamo il Nostro amore e la Nostra paterna benevolenza verso la vostra nazione, commemorando questa antica unione del popolo tedesco con la Sede Apostolica, da Noi vivamente desiderata.
Scaturirono da essa per la vostra patria i primi elementi della fede, che presto ebbero un superbo sviluppo, allorché dal Seggio Apostolico a un tale uomo fu affidata la legazione romana, resa nobile dalla gloria delle gesta compiute e sublimata dal sangue dei martiri. Dopo dodici secoli di questo felice inizio della religione cristiana, Noi vediamo giustamente prepararsi da voi, compatibilmente con le circostanze dei tempi, solennità secolari, che celebreranno con la memore riconoscenza degli uomini e con degne lodi, questa nuova era di civiltà cristiana, iniziata dalla missione e dalla predicazione di Bonifacio e sviluppata dai suoi discepoli e successori, per la salute e la prosperità della Germania. – Sappiamo, amati Figli e Venerabili Fratelli, che voi indirizzate questo lieto ricordo e questa felice celebrazione del passato a perfezionare il presente ed assicurare, per l’avvenire, l’unità e la pace religiosa, che Noi cosi vivamente desideriamo. Questo immenso bene, che emana solamente dalla fede e dalla carità cristiana, fu portato dal cielo da Gesù Cristo, nostro Dio e Signore, e da Lui affidato alla Sua Chiesa e al suo Vicario in terra, il Pontefice Romano, per custodirlo, propagarlo, difenderlo. Donde la necessità dell’unione con la Sede Apostolica; unione di cui Bonifacio fu l’araldo perfetto; di qui anche il sorgere di più strette relazioni di amicizia e buoni uffici fra la Santa Sede romana e la vostra nazione, che Bonifacio stesso ha cosi meravigliosamente avvicinato a Cristo e al Suo Vicario sulla terra. Evocandone il ricordo, facciamo voti perché questa unione e questa armonia perfetta si ristabiliscano presso tutti i popoli, si che “Cristo sia tutto in tutti” (Coloss. III, 11). E dopo tanti secoli, è impossibile ricordare senza un vivo sentimento di gioia ciò che così fedelmente gli scrittori di quell’epoca lontana, e particolarmente i compagni di Bonifacio, fra cui il noto Vescovo Willibaldo, riportarono intorno alle virtù e alle opere di questo Santo e soprattutto intorno all’inizio e al felice sviluppo della legazione romana a Lui affidata presso il popolo germanico. Per la lunga pratica di vita religiosa, che fin dalla più tenera età nella sua patria aveva abbracciato, e per l’esperienza di apostolato acquisita fra le nazioni barbare in qualche tentativo fatto, egli comprese come non avrebbe raccolto frutti durevoli senza il consenso e l’approvazione della Sede Apostolica e senza la sua missione e il suo mandato. Così, dopo aver rifiutato l’onorevolissima dignità d’abate e detto addio ai religiosi, suoi fratelli, malgrado le loro preghiere e le loro lacrime, egli parti e attraverso vaste terre e vie ignote di mari giunse felicemente alla sede dell’Apostolo Pietro. Qui s’intrattiene col Santo Padre Gregorio II, che allora sedeva sul seggio papale, e “gli racconta il suo viaggio, gli espone la ragione della sua venuta e il desiderio che da lungo tempo lo tormenta”. Il Papa accoglie questo Santo “col viso sorridente e lo sguardo pieno di dolcezza”. E non solo lo ammette più volte in udienza, ma “colloqui tiene con lui ogni giorno importanti” (Vita di San Bonifacio, di Willibaldo, c. V, 13-14) e infine gli affida nei termini più solenni e per lettere ufficiali, la missione di predicare il Vangelo fra i popoli della Germania. Le quali lettere (Ep. Exigit manifestata, inter Bonifacii epistulas XII, al. 2) spiegano meglio e mettono maggiormente in rilievo lo scopo e l’importanza della missione, di quanto non facciano gli scrittori di quell’epoca nel ricordare il mandato del “Seggio Apostolico” o del “Pontefice Apostolico”. – I termini che egli usa sono improntati ad una tale gravità e a tanta autorità, che difficilmente se ne possono trovare di più espressivi. “Lo scopo che tu ti sei proposto e che Ci rivela il tuo ardente amore per Cristo e la tua fede purissima che si è manifestata a Noi, esigono che Noi Ci serviamo di te come aiuto per la diffusione della parola divina, che la Provvidenza Ci ha affidato”. -Infine, dopo averne lodato la cultura, l’indole, i propositi, e l’autorità suprema del Seggio Apostolico, da Bonifacio stesso invocata, solennemente conclude: “Perciò, nel nome dell’indivisibile Trinità, per la saldissima autorità del Beato Pietro, Principe degli Apostoli, Noi, che da Lui abbiamo ereditato il Magistero della dottrina e che nella Santa Sede ne occupiamo il posto, riconosciamo la purezza della tua fede ed ordiniamo che tu, con la grazia infinita di Dio, vada tra quei popoli che vivono nell’ignoranza e nell’errore, per insegnar loro la verità, far loro conoscere l’avvento del regno di Dio e il nome Santissimo di Nostro Signor Gesù Cristo”. L’esorta infine ad osservare sempre nella somministrazione dei Sacramenti : “la forma rituale della Sede Apostolica” ed a ricorrere al Santo Pontefice ogni qualvolta egli ne avesse bisogno nell’esercizio del suo ministero. – Dopo questa lettera solenne, chi potrebbe dubitare della benevolenza di questo Santo Pontefice e del suo sincero e rispettoso affetto verso Bonifacio, e della sua paterna sollecitudine verso il popolo germanico, al quale inviava questo pio e tanto caro predicatore? La coscienza della sua missione, unita al profondo amore per Cristo, incitava continuamente all’azione quest’Apostolo; era per lui motivo di consolazione nei momenti più tristi, gli infondeva nuovo coraggio quando le forze sembravano abbandonarlo. Ciò si vide chiaramente al suo arrivo in Frisia e in Turingia quando, come narra un cronista dell’epoca, “secondo il mandato della Sede Apostolica, parlò della religione cristiana ai senatori, ai capi del popolo, indicando loro l’unica e vera via per la conoscenza di Dio e per la fede in Lui”. Questa coscienza della sua missione lo tenne lontano dall’ozio, impedendogli di desiderare il riposo e di fissarsi in un posto qualunque come in un porto tranquillo; e sempre lo indusse ad affrontare le più aspre difficoltà e i più umili lavori, unicamente per procurare di accrescere la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Con tale devozione e tale pietà religiosa che lo rendevano sottomesso alla volontà della Sede Apostolica, alla quale offriva il servizio tanto prezioso della sua opera, inviava a Roma lettere e messaggi, “si da rendere noto — fin dall’inizio della sua missione — al Venerabile Padre della Sede Apostolica tutto ciò che la grazia di Dio aveva per mezzo suo operato” e “chiedeva consiglio alla Sede Apostolica sulle quotidiane necessità della Chiesa di Dio e sulla salvezza dei popoli” (Vita di San Bonifacio, c. VII, 19) Un sentimento tutto particolare di venerazione animava lo spirito di Bonifacio, come egli, negli ultimi anni, ebbe a confessare in un momento disincerità al Papa Zaccaria: “Con l’approvazione e per ordine del Papa Gregorio II, di venerabile memoria, io mi legai per quasi trent’anni con un voto, quello cioè di vivere in amicizia e al servizio della Sede Apostolica; per questo motivo “io ero solito comunicare al Santo Pontefice Romano le mie gioie e i miei dolori, per poter insieme lodare Dio nei momenti felici, e per trovare nella sua parola e nei suoi consigli la forza di resistere alle mie pene” (Ep. LIX, al. 57). Si trovano qua e là preziosi documenti che attestano uno scambio ininterrotto di corrispondenza e un perfetto accordo di volontà fra questo insigne predicatore del Vangelo e la Sede Apostolica, accordo continuato e favorito successivamente da ben quattro Pontefici di gloriosa memoria. I Pontefici Romani non trascurarono alcuna occasione ed ebbero la massima cura per aiutare e favorire questo attivo Legato, mentre Bonifacio da parte sua nulla tralasciava e tutto il suo zelo e il suo operato erano rivolti a compiere santamente e largamente la missione ricevuta dal Pontefice, ch’egli venerava ed amava come figlio. – Papa Gregorio quindi, in considerazione dello sviluppo e dell’estensione acquistata dal campo evangelico affidata a Bonifacio e vedendo crescere la bella messe dei popoli, che per mezzo suo erano entrati nel grembo della Santa Chiesa, decise di conferire a lui il grado più alto del Sacerdozio, imponendogli l’Episcopato su tutta la provincia germanica.

E Bonifacio, che pure aveva resistito di fronte al suo intimo amico Willibaldo, accettò ed obbedì, non osando opporsi al desiderio di un sì grande Pontefice”. Il quale Pontefice Romano aggiunse a questo alto onore un altro favore del tutto particolare e degno d’essere segnalato ai posteri del popolo tedesco, poiché accordò l’amicizia della Sede Apostolica a lui e ai suoi soggetti per sempre (Vita di San Bonifacio, c. VII, 21). Gregorio aveva già dato chiara prova di una siffatta amicizia quando scriveva, rivolgendosi ai Re, ai Principi, ai Vescovi, agli Abati e a tutto il Clero, ai popoli barbari o noviziati della fede cristiana, per invitarli “a dare il loro appoggio e il loro concorso a questo grande servitore di Dio, mandato dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana per diffondere nel mondo la luce della verità”. – La particolare amicizia fra Bonifacio e la Sede Apostolica fu confermata dal successivo Pontefice Gregorio III, allorché Bonifacio gli mandò messaggeri per felicitarsi della Sua elezione Questi gli fecero conoscere il patto d’amicizia che il Suo predecessore aveva concluso con Bonifacio e i suoi e “lo assicurarono della completa dedizione del Suo umile servitore per l’avvenire” e infine, secondo quanto era stato loro segnalato, chiesero che “il missionario devoto fosse ancora beneficato dell’amicizia e del legame col Santo Pontefice e la Santa Chiesa” (Vita di San Bonifacio, c. VIII, 25)..Il Papa accolse i messaggeri con benevolenza, e dopo aver loro rimesso per Bonifacio nuove dignità, fra l’altro “il pallio dell’Arcivescovado, li rimandò al loro paese, carichi di doni e di diverse reliquie di Santi”. Si può a mala pena esprimere “la riconoscenza di questo Apostolo per tali dimostrazioni d’affetto e il conforto che al suo spirito derivò dalla benevolenza della Santa Chiesa verso di lui, colpito dalla misericordia divina” (Vita di San Bonifacio, c. VIII, 25 e segg.). Egli attinse nuove forze per intraprendere più grandi e difficili compiti: edificare nuovi templi, ospedali, monasteri, fondare nuovi villaggi; percorrere nuove regioni predicando il Vangelo; creare nuove diocesi e riformare le antiche, estirpandone i difetti, gli scismi e gli errori; gettare ovunque i germi della fede e della vita cristiana; diffondere i veri dogmi e le vere virtù; portare la civiltà fra nazioni barbare, spesso terribilmente crudeli, servendosi di discepoli ch’egli aveva educato alla pietà, e di alcuni compatrioti venuti d’Inghilterra. In mezzo a questo immenso lavoro, già nobilitato da importanti opere sante, fra le opposizioni, le sciagure, le inquietudini quotidiane, non ostante l’età avanzata che l’induceva a riposarsi dopo una cosi lunga fatica, egli non dava adito alcuno a sentimenti d’orgoglio, ne a desiderio dì riposo; aveva costantemente dinanzi agli occhi la missione da compiere e gli ordini del Pontefice. Perciò “data la sua intima unione col Papa e con tutto il clero, venne a Roma una terza volta, accompagnato dai suoi discepoli, per intrattenersi col Santo Padre e raccomandarsi alle preghiere dei Santi, poiché si sentiva molto avanti negli anni (Vita di San Bonifacio, c. IX, 27 e segg.). Ancora una volta egli fu affabilmente accolto dal Pontefice, “colmato di nuovi doni e di reliquie di Santi” e fornito di preziose e importanti lettere di raccomandazione come lo dimostrano quelle a noi pervenute..I due Gregori ebbero per successore Zaccaria, erede del loro Pontificato e del loro interessamento verso i tedeschi e il loro Apostolo. Non contenti di rinnovare l’antica unione, l’accrebbero ancor più colla testimonianza di una maggior fiducia — se ciò era possibile — e benevolenza verso Bonifacio. Il quale ebbe con Zaccaria lo stesso comportamento, come ne fanno fede i numerosi messaggi e le amichevoli lettere che furono scambiate. Fra le altre cose, che sarebbe troppo lungo riferire, il Papa si rivolge al suo Legato con questi termini affettuosi: “Sappia, carissimo Fratello, la tua santa fraternità, che ti amiamo al punto da desiderarti ogni giorno vicino a Noi, per averti nel Nostro consorzio quale ministro di Dio e della Chiesa di Cristo” (Ep. Susceptis, inter Bonifacii ep. LI, al. 50). A buon diritto quindi, qualche anno prima della sua morte, l’Apostolo della Germania così scriveva al Pontefice Stefano, successore di Zaccaria : “II discepolo della Chiesa Romana domanda costantemente dal più profondo dell’animo l’amicizia e l’unione con la Santa Sede Apostolica” (Ep. LXXVIII). Mosso da una fermissima fede, infiammato di pietà e di carità, Bonifacio conservò sempre intatta e non tralasciò giammai di raccomandarla a quelli che egli aveva formato con la parola evangelica, con una tale assiduità che sembrava volesse assegnarla loro per testamento, questa fedeltà e rara unione con la Sede Apostolica; fedeltà che egli sembrava avere attinto dapprima nella sua patria, nel segreto della vita monastica; fedeltà che in seguito aveva promesso a Roma attraverso un giuramento sul corpo del Beato San Pietro, capo degli Apostoli, prima di affrontare le difficili vie dell’Apostolato; fedeltà che egli aveva infine mostrato fra mille pericoli e mille lutti, come il simbolo del suo Apostolato e la regola della sua missione. – Sfinito dagli anni e dal lavoro intenso, sebbene si definisse umilmente “l’ultimo e il peggiore dei Legati che la Chiesa Cattolica Apostolica Romana avesse eletto onde predicare il Vangelo” (Ep. LXIII, al. 22), teneva ben alta questa missione romana ed amava chiamarsi, ringraziando Iddio : “il Legato della Santa Chiesa Romana per la Germania” desiderando essere il devoto servitore dei Pontefici successori di San Pietro e loro discepolo sottomesso e ubbidiente. Aveva profondamente fissato nell’animo, osservandola con ogni scrupolo, l’affermazione del martire Cipriano, testimone dell’antica tradizione cristiana: “Dio è uno, Cristo è uno, la Chiesa è una, ed una la Cattedra fondata con San Pietro per la parola del Divino Maestro” (San Cipriano, Ep. XLIII, 5); come anche il detto di Sant’Ambrogio, grande Dottore della Chiesa: “Dove è Pietro, là è la Chiesa; ove è la Chiesa, non esiste la morte, ma la vita eterna” (Enarr. in Ps. XL, n. 30); e ciò che infine insegnava il dotto Gerolamo: “La salvezza della Chiesa dipende dall’autorità del Sommo Pontefice, e se a Lui non viene attribuito un potere indipendente e sovrano. Egli avrà in seno alla Chiesa tanti eretici quanti preti” (Contro Lucif., 9). Questo è provato dalla triste storia delle antiche discordie e confermato dall’esperienza dei mali che ne sono derivati. Non dobbiamo richiamarci al passato in momenti come questi, in cui siamo oppressi da ogni genere di sventure e da sanguinose stragi, ma piuttosto dobbiamo deplorarlo, e lasciarlo in eterno oblio. Ciò che importa è invece ricordare e celebrare l’antica unione e gli intimi rapporti che legarono Bonifacio, primo Apostolo della Germania, e lo stesso popolo tedesco alla Sede Apostolica; unione da cui derivò per i Germanici la fonte della fede, e tanta prosperità e civiltà. – Sarebbe possibile, voi ben lo sapete, cari Figli e Venerabili Fratelli, segnalare prove e dettagli degni di essere citati, ma la cosa è così chiara e conosciuta, che non occorre indugiare con lunghi discorsi. Se Noi Ci siamo soffermati più a lungo di quanto fosse necessario su questo argomento, è stato perché Ci è piaciuto richiamare con voi questi antichi ricordi, al fine di trame consolazione per sopportare con maggior coraggio i momenti presenti, resi forti dalla speranza di un prossimo risorgere di questa unione e di questo attaccamento alla Chiesa, “nella speranza della pace e nei vincoli della carità”. D’altra parte, Ci è soprattutto gradito il fatto che l’esempio e le nobili virtù di Bonifacio, vostro predecessore, e in particolar modo i rapporti di amicizia e di unione, che abbiamo voluto celebrare in questa lettera, Ci siano oggi palesi nel vostro attuale comportamento, destando tutta la Nostra ammirazione. Si, egli vive ancora in voi, vive gloriosamente, l’Apostolo della vostra patria; egli vive, come si era definito: “il Legato della Chiesa Cattolica Romana per la Germania”; egli continua ancora la sua missione per mezzo delle sue preghiere, del suo esempio e del ricordo delle sue opere, per le quali “colui che è morto ancora parla”. Sembra con ciò che esorti il suo popolo ad essere unito con la Chiesa Romana, sicuro interprete ed araldo di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, che predica soprattutto ai suoi figli d’essere uniti. Invita i fedeli discepoli della Chiesa a rinsaldare più strettamente i vincoli della loro pietà religiosa; invita i dissidenti a ritornare con amore e con fiducia in seno alla Nostra Madre Chiesa, abbandonando gli antichi odi, le rivalità, i pregiudizi; invita tutti i credenti in Cristo, vecchi e nuovi, a perseverare con sentimento, perché da questa divina concordia fioriscano la carità e la pace del mondo. — Chi può non ascoltare questo invito e questa esortazione d’un padre?
Chi può disprezzare questo paterno avvertimento, questo esempio, queste parole? Poiché (per usare, la frase cosi bella e appropriata di un antico scrittore, vostro Compatriota, nel momento in cui celebrate il centenario della missione di Bonifacio nel vostro paese) se, come disse l’Apostolo, abbiamo avuto per educatori i nostri padri naturali e li veneriamo, a maggior ragione non dovremmo forse obbedire al padre delle anime? E non soltanto Iddio è nostro padre spirituale, bensì anche tutti coloro, la cui dottrina e il cui esempio ci indicano la via della verità, e ci esortano ad aderire fortemente alla religione. Come Abramo con la sua fede e la sua obbedienza, che rimangono per tutti un esempio, è chiamato il padre di tutti coloro che credono in Cristo, cosi San Bonifacio può essere chiamato il padre dei Germanici, dal momento che li ha iniziati alla fede cristiana con la sua predicazione, li ha rafforzati col suo esempio, e ha immolato la sua vita per loro, dando con ciò la più grande prova d’amore che sia possibile all’uomo concedere” (Vita di San Bonifacio del monaco Otlono, lib. I, cap. ult.). – Noi aggiungiamo pertanto, cari Figli e Venerabili Fratelli, sebbene già lo sappiate, che questa meravigliosa carità di Bonifacio non si è limitata alla nazione germanica, bensì ha abbracciato tutti i popoli, anche quelli ostili fra loro; ed è cosi che, secondo la legge dell’amore, l’Apostolo della Germania affratella particolarmente la vicina nazione di Francia, della quale fu saggissimo riformatore, e ai suoi compatrioti, “discendenti da stirpe inglese, egli, fratello di razza, Legato della Chiesa, universale e servitore della Sede Apostolica”, affida la diffusione della Teligione cattolica, loro già precedentemente annunciata dai Legati di San Gregorio Magno, per ristabilirla presso i Sassoni e i popoli affini, raccomandando loro di conservare preziosamente “l’unione e l’intima comunione degli spiriti”.

Poiché la carità — per usare ancora le parole dello scrittore più sopra citato — è la sorgente e il fine di tutti i beni, fermiamoci su questo punto, cari Figli e Venerabili Fratelli.

E confidiamo dunque con tutto cuore che sorga presto il giorno in cui, nel mondo turbato e sconvolto, i diritti di Dio onnipossente e della Chiesa, le loro leggi, il culto e l’autorità siano restaurati, così che la carità cristiana riviva per mettere un freno tanto alle guerre e agli odi furiosi, quanto alle discordie, alle eresie e agli errori che ovunque hanno invaso la terra, e per legare i popoli con un patto più saldo che non siano i poveri trattati degli uomini, cioè a dire per l’unità della fede soprattutto e per le relazioni, o meglio, per l’intima e antica unione con la Sede Apostolica, stabilita da Cristo come base della Sua famiglia sulla terra e consacrata dalla virtù, dalla saggezza, dalle fatiche di tanti Santi e dal sangue dei martiri, specialmente di Bonifacio. Una volta raggiunto sulla terra questo accordo di fede e di spiriti, Noi potremo a buon diritto rivolgere alla cristianità intera quanto il Papa Clemente, conscio della superiorità romana e dell’autorità della Santa Sede, scriveva ai Corinzi fin dai primi secoli del Cristianesimo: “Voi Ci procurerete immensa gioia se, obbedendo a ciò che vi abbiamo scritto, illuminati dallo Spirito Santo, metterete da parte l’ardore illegittimo della vostra rivalità, secondo la Nostra esortazione alla pace e alla concordia universale” (San Clem. Rom., Ep. I ai Corinzi, 63).
Possa l’Apostolo e Martire Bonifacio ottenere tutto ciò a Noi e soprattutto ai popoli che più direttamente sono i suoi, per origine o per elezione, perfezionando in Cielo ciò ch’Egli non cessò mai di ricercare sulla terra. “Tutti coloro che Dio si compiacque di inviarmi durante la mia missione, come uditori o come discepoli, io non cesso di invitare e di incitare alla sottomissione alla Sede Apostolica” (Ep. I, al. 49). – Frattanto, quale pegno di speranza e di felice risultato della vostra solennità, vi accordiamo di tutto cuore la Benedizione Apostolica; e per dare maggiore importanza a questa festa vi concediamo dal sacro tesoro della Chiesa i seguenti favori:

1. – In qualunque giorno del mese di giugno e luglio prossimo, salvo quelli della Pentecoste, del Corpus Domini e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, in tutte le Chiese e oratori pubblici o semipubblici della Germania, dove si festeggia il centenario, ogni prete potrà celebrare la Messa del Santo, sia durante il triduo, sia nel giorno stesso della festa.

2. – II giorno della festa i Vescovi potranno impartire di persona o per delega la Benedizione Papale.

3. – Chiunque visiterà le Chiese di Germania nel giorno della celebrazione del centenario, potrà acquistare ogni volta un’indulgenza plenaria secondo l’uso della Porziuncola.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 maggio 1919, anno V del Nostro Pontificato.

6 AGOSTO: TRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO

6 AGOSTO

TRASFIGURAZIONE DI NOSTRO SIGNORE

« O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Unigenito confermasti con la testimonianza dei patriarchi i misteri della fede, e con la voce uscita dalla nube luminosa proclamasti mirabilmente la perfetta adozione dei figli, concedici, nella tua bontà, di divenire coeredi della gloria e partecipi della medesima » (Colletta del giorno). Nobile formula, che riassume la preghiera della Chiesa e ci presenta il suo pensiero in questa festa di testimonianza e di speranza. Senso del mistero. Ma è bene osservare subito che la memoria della gloriosa Trasfigurazione è già stata fatta due volte nel Calendario liturgico: la seconda Domenica di Quaresima e il Sabato precedente. Che cosa significa ciò, se non che la solennità odierna ha come oggetto, più che il fatto storico già noto, il mistero permanente che vi si ricollega, e più che il favore personale che onorò Simon Pietro e i figli di Zebedeo, il compimento dell’augusto messaggio di cui essi furono allora incaricati per la Chiesa? Non parlate ad alcuno di questa visione, fino a quando il Figlio dell’uomo non sia risuscitato dai morti (Mt. XVII, 9). La Chiesa, nata dal costato squarciato dell’Uomo-Dio sulla croce, non doveva incontrarsi con Lui faccia a faccia quaggiù; e quando, risuscitato dai morti, avrebbe sigillato la sua alleanza con lei nello Spirito Santo, solo della fede doveva alimentarsi il suo amore. Ma, per la testimonianza che supplisce la visione, nulla doveva mancare alle sue legittime aspirazioni di conoscere. La scena evangelica. A motivo di ciò, appunto per lei, in un giorno della sua vita mortale, ponendo tregua alla comune legge di sofferenza e di oscurità che si era imposta per salvare il mondo, Egli lasciò risplendere la gloria che colmava la sua anima beata. Il Re dei Giudei e dei Gentili (Inno dei Vespri) si rivelava sul monte dove il suo pacifico splendore ecclissava per sempre i bagliori del Sinai; il Testamento dell’eterna alleanza si manifestava, non più con la promulgazione d’una legge di servitù incisa sulla pietra, ma con la manifestazione del Legislatore stesso, che veniva sotto le sembianze dello Sposo a regnare con la grazia e lo splendore sui cuori (Sal. XLIV, 5). La profezia e la legge, che prepararono le sue vie nei secoli dell’attesa, Elia e Mosè, partiti da punti diversi, si incontravano accanto a Lui come fedeli corrieri al punto di arrivo; facendo omaggio della loro missione al comune Signore, scomparivano dinanzi a Lui alla voce del Padre che diceva: Questi è il mio Figlio diletto! Tre testimoni, autorizzati più di tutti gli altri, assistevano a quella scena solenne: il discepolo della fede, quello dell’amore, e l’altro figlio di Zebedeo che doveva per primo sigillare con il sangue la fede e l’amore apostolico. Conforme all’ordine dato e alla convenienza, essi custodirono gelosamente il segreto, fino al giorno in cui colei che ne era interessata potesse per prima riceverne comunicazione dalle loro bocche predestinate. Data della festa. Fu proprio quel giorno eternamente prezioso per la Chiesa? Parecchi lo affermano. Certo, era giusto che il suo ricordo fosse celebrato di preferenza nel mese dell’eterna Sapienza: Splendore della luce increata, specchio immacolato dell’infinita bontà (Verso alleluiatico; cfr. Sap. VII, 26). – Oggi, i sette mesi trascorsi dall’Epifania manifestano pienamente il mistero il cui primo annuncio illuminò di così dolci raggi il Ciclo ai suoi inizi; per la virtù del settenario qui nuovamente rivelata, gli inizi della beata speranza sono cresciuti al pari dell’Uomo-Dio e della Chiesa; e quest’ultima, stabilita nella pace del pieno sviluppo che l’offre allo Sposo (Cant. VIII, 10), chiama tutti i suoi figli a crescere come lei mediante la contemplazione del Figlio di Dio fino alla misura dell’età perfetta di Cristo (Ef. IV, 13). Comprendiamo dunque perché vengano riprese in questo giorno, nella sacra Liturgia, formule e cantici della gloriosa Teofania. Sorgi, o Gerusalemme; sii illuminata; poiché è venuta la tua luce, e la gloria del Signore s’è levata su di te (I Responsorio di Mattutino; cfr. Is. LX, 1). Sul monte, infatti, insieme con il Signore viene glorificata la sua Sposa, che risplende anch’essa della luce di Dio (Capitolo di nona; cfr. Apoc. XXI, 11). Le vesti di Gesù. Mentre infatti « il suo volto risplendeva come il sole – dice di Gesù il Vangelo – le sue vesti divennero bianche come la neve » (Mt. XVII, 2). Ora quelle vesti, d’un tale splendore di neve – osserva san Marco – che nessun tintore potrebbe farne di così bianche sulla terra (Mc. IX, 2), che altro sono se non i giusti, inseparabili dall’Uomo-Dio e suo regale ornamento, se non la tunica inconsutile, che è la Chiesa, e che Maria continua a tessere al suo Figliuolo con la più pura lana e con il più prezioso lino? Sicché, per quanto il Signore, attraversato il torrente della sofferenza, sia personalmente già entrato nella sua gloria, il mistero della Trasfigurazione non sarà completo se non allorché l’ultimo degli eletti, passato anch’egli attraverso la laboriosa preparazione della prova e gustata la morte, avrà raggiunto il Capo nella sua resurrezione. O volto del Salvatore, estasi dei cieli, allora risplenderanno in te tutta la gloria, tutta la bellezza e tutto l’amore. Manifestando Dio nella diretta rassomiglianza del suo Figliuolo per natura, tu estenderai le compiacenze del Padre al riflesso del suo Verbo che costituisce i figli di adozione, e che vagheggia nello Spirito Santo fino alle estremità del manto che riempie il tempio (Is. VI, 1). Il mistero dell’adozione divina. Secondo la dottrina di san Tommaso, infatti (III, q. 45, art. 4), l’adozione dei figli di Dio, che consiste in una conformità di immagine con il Figlio di Dio per natura (Rom. VIII, 29-30), si opera in duplice modo: innanzitutto per la grazia di questa vita, ed è la conformità imperfetta; quindi per la gloria della patria, ed è la conformità perfetta, secondo le parole di san Giovanni: « Ora noi siamo figli di Dio; ma non si è manifestato ancora quel che saremo. Sappiamo che quando si manifesterà saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è » (I Gv. III, 2). Le parole eterne: Tu sei il mio Figliuolo, oggi io ti ho generato (Sal. II, 7) hanno due echi nel tempo, nel Giordano e sul Tabor; e Dio, che non si ripete mai (Giobbe XXXIII, 14) non ha in ciò fatto eccezione alla regola di dire una sola volta quello che dice. Poiché, per quanto i termini usati nelle due circostanze siano identici, non tendono però allo stesso fine – dice sempre san Tommaso – ma a mostrare quel modo diverso in cui l’uomo partecipa alla rassomiglianza con la filiazione eterna. Nel battesimo del Signore, in cui fu dichiarato il mistero della prima rigenerazione, come nella sua Trasfigurazione che ci manifesta la seconda, apparve tutta la Trinità: il Padre nella voce intesa, il Figlio nella sua umanità, lo Spirito Santo prima sotto forma di colomba e quindi nella nube risplendente; poiché se, nel Battesimo, egli conferisce l’innocenza indicata dalla semplicità della colomba, nella resurrezione concederà agli eletti lo splendore della gloria e il ristoro di ogni male, che sono significati dalla nube luminosa (III, qu. 45, ad 1 et 2). Insegnamento dei padri. « Saliamo il monte – esclama sant’Ambrogio; – supplichiamo il Verbo di Dio di mostrarsi a noi nel suo splendore e nella sua magnificenza; che fortifichi se stesso e progredisca felicemente, e regni nelle anime nostre (Sal. XLIV). Alla tua stregua infatti, o mistero profondo, il Verbo diminuisce o cresce in te. Se tu non raggiungi quella vetta più elevata dell’umano pensiero, non ti appare la Sapienza; il Verbo si mostra a te come in un corpo senza splendore e senza gloria » (Comm. su san Luca, 1. VII, 12). Se la vocazione che si rivela per te in questo giorno è così santa e sublime (VII Responsorio di Mattutino; cfr. Tim. 1, 9-10), « adora la chiamata di Dio – riprende a sua volta Andrea da Creta (Discorso sulla Trasfigurazione): – non ignorare te stesso, non disdegnare un dono così sublime, non ti mostrare indegno della grazia, non essere tanto pusillanime nella tua vita da perdere questo celeste tesoro. Lascia la terra alla terra, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt. VIII, 22); disprezzando tutto ciò che passa, tutto ciò che muore con il secolo e con la carne, segui fino al cielo senza mai separartene Cristo che per te compie il suo cammino in questo mondo. Aiutati con il timore e con il desiderio, per sfuggire alla caduta e conservare l’amore. Donati interamente; sii docile al Verbo nello Spirito Santo, per raggiungere quel fine beato e puro che è la tua deificazione, con il gaudio di indescrivibili beni. Con lo zelo delle virtù, con la contemplazione della verità, con la sapienza, arriva alla Sapienza principio di tutto e in cui sussistono tutte le cose » (Col. 1, 16-17). Storia della festa. Gli Orientali celebrano questa festa da lunghi secoli. La vediamo fin dagli inizi del secolo iv in Armenia, sotto il nome di « splendore della rosa », rosæ coruscatio, sostituire una festa floreale in onore di Diana, e figura tra le cinque feste principali della Chiesa armena. I Greci la celebrano nella settima Domenica dopo Pentecoste, benché il loro Martirologio ne faccia menzione il 6 di agosto. In Occidente, viene celebrata soprattutto dal 1457, data in cui il Papa Callisto III promulgò un nuovo Ufficio e la rese obbligatoria in ringraziamento della vittoria riportata l’anno precedente dai Cristiani sui Turchi, sotto le mura di Belgrado. Ma questa festa era già celebrata in parecchie chiese particolari. Pietro il Venerabile, abate di Cluny, ne aveva prescritto la celebrazione in tutte le chiese del suo Ordine quando Cluny ebbe preso possesso, nel secolo XII, del monte Thabor. La benedizione delle uve.

Vige l’usanza, presso i Greci come presso i Latini, di benedire in questo giorno le uve nuove. Questa benedizione si compie durante il santo Sacrificio della Messa, al termine del « Nobis quoque peccatoribus ». I Liturgisti, insieme con Sicardo di Cremona, ci hanno spiegato la ragione di tale benedizione in un simile giorno: « Siccome la Trasfigurazione si riferisce allo stato che dev’essere quello dei fedeli dopo la resurrezione, si consacra il sangue del Signore con vino nuovo, se è possibile averne, onde significare quanto è detto nel Vangelo: Non berrò più di questo frutto della vite, fino a quando non ne beva del nuovo insieme con voi nel regno del Padre mio » (Mt. XXVI, 29). – Terminiamo con la recita dell’Inno di Prudenzio, che la Chiesa canta nei Vespri ed al Mattutino di questo giorno: INNO O tu che cerchi Cristo, leva gli occhi in alto; ivi scorgerai il segno della sua eterna gloria. La luce che risplende manifesta Colui che non conosce termine, il Dio sublime, immenso, senza limiti, la cui durata precede quella del cielo e del caos. Egli è il Re delle genti, il Re del popolo giudaico, e fu promesso al patriarca Abramo e alla sua stirpe per tutti i secoli. I Profeti sono i suoi testimoni, e sotto la loro garanzia, testimone egli stesso, il Padre ci ordina di ascoltarlo e di credere in lui. Gesù, sia gloria a te che ti riveli agli umili, a te insieme con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.

 (Dom P. Guèranger: L’Anno Liturgico, vol. II, Ed. Paoline, Alba Cuneo, 1957).

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

. Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
M. Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat vos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps 76:19
Illuxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: commóta est et contrémuit terra.

[I lampi sfolgoravano sul mondo, e la terra si è scossa ed ha tremato.
Ps 83:2-3]

Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit, et déficit ánima mea in átria Dómini.
[Quanto amabili sono le tue dimore, o Signore degli eserciti! L’anima mia spasima ed anela verso il tempio del Signore.]
V. Gloria Patri…

lluxérunt coruscatiónes tuæ orbi terræ: commóta est et contrémuit terra.

[I lampi sfolgoravano sul mondo, e la terra si è scossa ed ha tremato.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Deus, qui fídei sacraménta in Unigéniti tui gloriósa Transfiguratióne patrum testimónio roborásti, et adoptiónem filiórum perféctam, voce delápsa in nube lúcida, mirabíliter præsignásti: concéde propítius; ut ipsíus Regis glóriæ nos coherédes effícias, et ejúsdem glóriæ tríbuas esse consórtes.

[O Dio, che nella gloriosa trasfigurazione del tuo unico Figlio hai confermato i misteri della fede con la testimonianza dei profeti; e hai mirabilmente preannunciato, con la voce uscita dalla nube luminosa, la nostra definitiva adozione a tuoi figli: concedi a noi di diventare coeredi del re della gloria e partecipi del suo trionfo.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli
2 Petri 1:16-19
Caríssimi: Non doctas fábulas secúti notam fecimus vobis Dómini nostri Jesu Christi virtútem et præséntiam: sed speculatores facti illíus magnitudinis. Accipiens enim a Deo Patre honórem et glóriam, voce delapsa ad eum hujuscemodi a magnifica glória: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi complacui, ipsum audíte. Et hanc vocem nos audivimus de cœlo allatam, cum essemus cum ipso in monte sancto. Et habémus firmiórem propheticum sermónem: cui bene facitis attendentes, quasi lucérnæ lucénti in caliginóso loco, donec dies elucescat et lucifer oriátur in córdibus vestris.
[Carissimi, noi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non seguendo favole ingegnose, ma dopo aver visto con i nostri occhi la sua grandezza. Egli, infatti, ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando dalla gloria maestosa discese a lui una voce: «Questo è il mio figlio diletto, nel quale ho posto la ·mia compiacenza: ascoltatelo». Questa voce noi l’abbiamo udita venire dal cielo, quando eravamo insieme con lui sul santo monte. Così, manteniamo più ferma la parola dei profeti, alla quale voi fate bene a prestare attenzione, volgendovi come ad una lampada che risplenda in un luogo tenebroso: finché spunti il giorno, e la stella del mattino sorga nei vostri cuori.]

Graduale

Ps 44:3; 44:2
Speciosus forma præ fíliis hóminum: diffúsa est grátia in lábiis tuis.
V. Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi. Allelúja, allelúja
[Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, la grazia è riversata sopra le tue labbra.
V. Il mio cuore vibra un piacevole motivo, io recito a un re la mia composizione. Alleluia, alleluia.]
Ps 7:26

Eccli 7:26
Candor est lucis ætérnæ, spéculum sine mácula, et imágo bonitátis illíus. Allelúja.
[Egli è splendore della luce eterna, egli è specchio senza macchia e immagine della divina bontà. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum
Matt 17:1-9
In illo témpore: Assúmpsit Jesus Petrum, et Jacóbum, et Joánnem fratrem ejus, et duxit illos in montem excélsum seórsum: et transfigurátus est ante eos. Et resplénduit fácies ejus sicut sol: vestiménta autem ejus facta sunt alba sicut nix. Et ecce, apparuérunt illis Moyses et Elías cum eo loquéntes. Respóndens autem Petrus, dixit ad Jesum: Dómine, bonum est nos hic esse: si vis, faciámus hic tria tabernácula, tibi unum, Móysi unum et Elíæ unum. Adhuc eo loquénte, ecce, nubes lúcida obumbrávit eos. Et ecce vox de nube, dicens: Hic est Fílius meus diléctus, in quo mihi bene complácui: ipsum audíte. Et audiéntes discípuli, cecidérunt in fáciem suam, et timuérunt valde. Et accéssit Jesus, et tétigit eos, dixítque eis: Surgite, et nolíte timére. Levántes autem óculos suos, néminem vidérunt nisi solum Jesum. Et descendéntibus illis de monte, præcépit eis Jesus, dicens: Némini dixéritis visiónem, donec Fílius hóminis a mórtuis resúrgat.

[In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello, e li condusse in disparte, su un alto monte; e, davanti a loro, si trasfigurò. II suo volto si fece splendente come il sole, le sue vesti divennero candide come la neve. Ed ecco, apparvero Mosè ed Ella, in colloquio con lui. Pietro allora, prendendo la parola, disse a Gesù: «Signore, è bene per noi stare qui. Se vuoi, facciamo qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia». Mentr’egli ancora parlava, ecco una nube luminosa li avvolse, e una voce dalla nube disse: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale ho riposto la mia compiacenza: ascoltatelo». A questa voce, i discepoli caddero faccia a terra, e furon presi da grande spavento. Ma Gesù si accostò a loro, li toccò e disse: «Alzatevi e non abbiate timore». Ed essi, alzati gli occhi, non videro più alcuno, all’infuori di Gesù. Mentre scendevano dal monte, Gesù diede loro quest’ordine: « Non fate parola ad alcuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo sia risorto dai morti ».]

Omelia

Sermone di san Leone Papa
Sermone sulla Trasfigurazione, prima della metà
Il Signore manifesta la sua gloria davanti ai testimoni che ha scelto, e quella forma corporale che gli è comune col resto degli uomini la fa risplendere di tale fulgore, che la sua faccia è scintillante come il sole, e le sue vesti bianche come la neve. Con questa trasfigurazione egli certo si proponeva soprattutto di togliere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce; e far sì che l’ignominia volontaria della sua passione non sconcertasse coloro davanti ai quali avrebbe svelato l’eccellenza della sua nascosta dignità. Ma con non minore provvidenza egli fondava la speranza della santa Chiesa, con che conoscendo l’intero corpo di Cristo quale trasformazione gli era riservata, ciascun dei membri potesse ripromettersi di partecipare alla gloria onde aveva visto risplendere il capo. Ma volendo confermare gli Apostoli ed elevarli ad una scienza perfetta, egli racchiuse un altro ammaestramento in questo miracolo. Mosé infatti ed Elia, la legge cioè e i profeti, apparvero in conversazione col Signore; così che nella presenza di queste cinque persone si compiva esattamente ciò che sta scritto: «Sul deposto di due o tre testimoni si stabilisce ogni cosa» Deut. 19,15. Che di più stabile, che di più certo di questa cosa, cui la tromba del vecchio e del nuovo Testamento annunziano concordemente, intorno alla quale gli istrumenti delle antiche testimonianze concordano colla dottrina evangelica? Infatti le pagine delle due alleanze s’accordano insieme perfettamente; e colui che le figure aveano preannunziato sotto il velo dei loro misteri, ora si mostra scoperto nello splendore della sua gloria. Pertanto l’Apostolo Pietro animato da queste rivelazioni di cose misteriose, sprezzante del mondo e infastidito della terra, si lascia trasportare fuori di sé fino all’estasi dei desideri eterni; e nel colmo della gioia per tutto quello che vede, domanda di rimaner con Gesù là dove lo diletta la manifestazione della sua gloria. E perciò esclama: «Signore, è bene per noi lo stare qui; se vuoi, facciamo tre tende, una per te, una per Mosé e una per Elia» Matth. 17,4. Ma a questa proposta il Signore non rispose, mostrando così che il suo desiderio, sebbene non fosse cattivo, però non era ordinato; perché il mondo non poteva essere salvato se non colla morte di Cristo, e perché la fede dei credenti dall’esempio del Signore apprendesse, che, nelle tentazioni di questa vita, se non si deve mai dubitare delle promesse della beatitudine, tuttavia occorre domandare piuttosto la pazienza che la gloria.

IL CREDO

Offertorium

Orémus.
Ps 24:1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
[A Te, o Signore, ho innalzata l’ànima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.
[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster, qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps 50:21
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.
[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)