IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (7)
FRANCESCO OLGIATI,
IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.
Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.
Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.
Capitolo terzo (2)
II. – L’AMORE DEL PROSSIMO
Al comandamento dell’amore di Dio Gesù soggiunge l’altro dell’amore del prossimo. È un « comandamento nuovo che vi dò, disse il Maestro divino, « d’amarvi scambievolmente. Amatevi l’un l’altro così come io vi ho amato. Da questo riconosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore l’uno per l’altro. Forse non vi sono in tutto il Vangelo parole più conosciute; ma fors’anche, non vi sono parole meno comprese e meno praticate. Molti obbiettano: un comandamento nuovo? Ma noi Prima di Gesù, il cuore umano, nelle antiche civiltà, già possedeva questo tesoro. Prendiamo, ad es., gli Egiziani: sugli epitaffi dei grandi signori d’Egitto leggiamo attestazioni di beneficenza di questo genere: « Ho dato del pane a chi aveva fame, delle vesti a chi era nudo, da bere a chi aveva sete.. « Entef… ha reso giustizia al pianto dei poveri; era il padre dei deboli, l’asilo dell’orfano ». E nel Libro dei morti troviamo massime come la seguente: « Se tu diventi ricco, non divieni se non l’amministratore dei beni di Dio; non porre dopo di te il prossimo, che è tuo simile; sii per lui come un compagno ». Sembra che non occorra aprire il Vangelo, per raccogliere il precetto dell’amore fraterno; anche gli Stoici, per tacere di altri, ci forniscono lo stesso insegnamento. Marco Aurelio s’allieta, perché — dice — « ogni volta che io volli soccorrere alcuno, o povero o bisognoso, non mi fu mai risposto che io non avessi denaro per farlo.. Egli nei suoi Ricordi concepisce « tutte le cose… reciprocamente collegate fra loro; sacro è il legame che le unisce, e niuna cosa può dirsi estranea ad un’altra. Esse sono tutte coordinate insieme. E, come Seneca, soggiunge che « la società umana somiglia ad una volta, ove le differenti pietre, tenendosi le une le altre, fanno la sicurezza dell’insieme… Quella relazione che hanno fra loro le membra del corpo nell’animale individuo hanno fra loro gli esseri intelligenti nel corpo collettivo della società; tutti sono fatti per cooperare insieme ad uno scopo comune. Noi, quindi, non dobbiamo odiare, perché chi odia cessa di essere un ramo unito alla grande pianta dell’umanità e diviene un ramo divelto. Dobbiamo perdonare le ingiurie, non solo perché « il miglior modo di vendicarsi d’un’ingiuria è il non rassomigliare a chi l’ha fatta », ma anche perché, come suona l’ammonimento di Antistene, « operare bene ed essere lacerato è opera da re ». – Orientati in questa direzione, molti hanno cercato il precetto dell’amore del prossimo presso gli antichi Ebrei, in India, ad Atene; ne sono sorti confronti fra la morale di Cristo e quella di Mosè, di Buddha, di Platone; e si è giunti, certe volte, a sostenere la superiorità delle altre religioni sull’etica cristiana. Altri hanno fatto ricorso a Schopenhauer, il quale, in nome stesso del suo pessimismo, ideò la morale della pietà e della simpatia e persino agli utilitaristi inglesi, che la morale volevano fondata sul bene sociale. Si è chiamata in questione anche la vita politica; ed il magico grido della « fratellanza », lanciato dalla Rivoluzione francese, parve dovesse avere efficacia maggiore del precetto cristiano dell’amore. Fu anzi dopo quella proclamazione di « fraternité », che si sono intensificati i tentativi di mettere a riposo la vecchia charitas, per sostituirla con la fresca e giovane filantropia, vestita all’ultima moda e trionfante fra balli di beneficenza ed i calici di uno champagne che spumeggia come i cuori teneri delle dame e dei loro cavalieri. – Un Sillabario non può muovere a battaglia contro teorie desunte dalla storia delle religioni, dalla storia della filosofia, dalla storia politica e sociale, antica, moderna e contemporanea. Noi vogliamo solo esporre la dottrina morale cristiana. La nuda enunciazione, che, ancora una volta, potrà persuadere certi illustri della loro ignoranza in fatto di Cristianesimo, sarà una implicita confutazione di tutte le obbiezioni e mostrerà come l’amore naturale di uomo ad uomo (omne animal diligit simile sibi) non è la carità inculcata da Cristo, ma solo l’amore filantropico degli etnici e dei pubblicani. L’amore cristiano del prossimo ha la stessa radice dell’amore di Dio e si stende anche là dove la filantropia non giunge, fino cioè alla dilezione dei nemici.
1. – Il vero concetto cristiano della carità del prossimo.
Precisiamo, innanzi tutto, il concetto vero dell’amore fraterno, secondo il Cristianesimo. Un individuo, ad esempio, un antico egiziano, vedeva un’altra persona sofferente; e, mosso a compassione, la soccorreva. Era questo un atto di carità cristiana? Non ancora: non abbiamo ancora in ciò nulla che si riferisce all’ordine soprannaturale. E’ un atto caritatevole umano, che nell’atto di carità cristiana è un elemento indispensabile, ma non sufficiente. Per capire l’amore cristiano del prossimo, occorre partire dalla nostra unione con Gesù Cristo. Noi, come vedemmo, non siamo separati da Lui; ma costituiamo con Gesù un unico organismo, di cui Egli è il capo, noi le membra, lo Spirito Santo è l’anima. Ora, come ogni tralcio, unito alla vite, vive della vita di questa, così in ogni Cristiano, unito a Cristo, è presente Cristo, il quale lo vivifica. Ogni Cristiano, perciò, è un altro Gesù —
Christianus alter Christus. E noi, col P. Plus — nel suo facile e bel volumetto: Gesù Cristo nei nostri fratelli — possiamo esclamare: « Ad ogni passo, o Signore, io ti incontro. In virtù di questa meraviglia della nostra divina incorporazione alla tua sacra persona, non posso fare un movimento senza essere alla tua presenza. Rivolgo gli occhi verso di me: Tu vi sei. Guardo il prossimo: Tu vi sei. Dovunque, se voglio vedere, sono circondato da tabernacoli viventi! ». È questa l’idea che tutto chiarisce. Nel discorso dopo l’ultima Cena, nel quale appunto spiegò il « comandamento nuovo », Gesù ebbe cura di indicarne la vera nota essenziale: « Che tutti quelli che crederanno in me, o Padre, siano tutti uno, come tu sei in me, Padre, ed io in te; siano anch’essi uno in noi… Io in loro e tu in me, affinché siano perfetti nell’unità ». In altre parole: noi siamo figli adottivi di Dio, perché uniti a Cristo, Figlio naturale del Padre: appunto per questo siamo fratelli tra noi, perché partecipi di questa divina figliolanza, per la quale Cristo è il « primo tra i fratelli ». La nostra fratellanza, di conseguenza è a base soprattutto di divinità, non come quella della Rivoluzione francese, a base puramente di umanità. Noi amiamo Dio in Cristo, e amiamo il prossimo per amore di Dio, in quanto, amando il fratello, amiamo Cristo in lui. – « Come posso io amare il mio schiavo? », si chiedeva inorridito Petronio. Ed è vero: se nel mio prossimo io dovessi vedere solo l’individuo umano, ben poche persone io amerei e molte le detesterei; ma per me il prossimo è Gesù Cristo presente in lui; è un astuccio, più o meno bello, ricco anzi di difetti al pari di me, che racchiude un diamante, nasconde, cioè, nostro Signore. Che importa se l’astuccio mi mostra una persona antipatica, un avversario, un delinquente? Come nel tralcio io non amo un po’ di legno, così nel prossimo io non mi soffermo all’uomo, ma guardo a Cristo. E l’atto cristiano di carità consiste appunto nell’amare il prossimo riconoscendo in lui nostro Signore, presente o di fatto (con la grazia, se si tratta d’un giusto) ovvero di diritto (se si tratta d’un peccatore o d’un infedele). Io non soccorro Tizio, Caio o Sempronio; ma Gesù in Tizio, in Caio, in Sempronio. Ciò che faccio, lo faccio per amore di Gesù; ossia l’amore di Dio e l’amore del prossimo non sono due cose diverse o divisibili: ma « il secondo precetto è simile al primo . Fin quando non ho conquistato un simile punto di vista, non ho capito il precetto cristiano dell’amore. Chi lo raggiunge, ha una forza nuova immensa in sé: perché è d’intuitiva evidenza che, se noi sapessimo che Gesù è venuto ancora sulla terra visibilmente ed ha bisogno di essere aiutato da noi, ci sentiremmo felici nel toglierci anche il pane di bocca, per darlo a Lui; faremmo sforzi e prodigi, per soccorrerlo. Il Cristiano non ha bisogno di contemplare con gli occhi del corpo Gesù; ha lo sguardo, ben più profondo, della fede, e Gesù lo vede, come sotto le apparenze di un’Ostia, così sotto le sembianze dei suoi fratelli. Allora tutto il Vangelo ed il Nuovo Testamento divengono intelligibili. E’ proprio un comandamento nuovo, questo. E’ ridicolo cercarlo in Egitto e nell’India, nella Grecia, o a Roma, nelle tombe dei Faraoni, nella dottrina di Buddha, accanto alle ghigliottine della Rivoluzione francese, nei libri di Marco Aurelio o di Schopenhauer, ovvero nelle cosiddette feste di beneficenza: è Cristo solo che l’ha insegnato. In san Matteo, là dove si descrive il giudizio universale, Gesù annuncia che, nell’ultimo dei giorni, il Figlio dell’uomo, il Re dell’universo apparirà e dirà a quelli della sua destra: « Venite, benedetti del Padre mio, possedete il regno preparatovi fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame, e mi rifocillaste; ebbi sete, e mi deste da bere; fui pellegrino, e mi ricettaste; ignudo, e mi copriste; infermo, e mi visitaste; carcerato, e veniste da me ». « Allora gli risponderanno i giusti: — Signore, quando mai t’abbiamo visto affamato e t’abbiamo rifocillato; assetato e ti demmo da bere? Quando t’abbiamo visto pellegrino, e ti abbiamo ricettato; ignudo, e t’abbiamo coperto? Quando mai t’abbiamo visto infermo e carcerato, e venimmo a visitarti? « E il Re risponderà loro così: In verità vi dico: quante volte avete fatto qualche cosa a uno di quelli de’ minimi miei fratelli, l’avete fatta a me ». Ed ai reprobi, dopo il rimprovero per non averlo soccorso, e dopo il loro stupore, « risponderà: In verità vi dico: quante volte non avete ciò fatto a uno di questi più piccoli, non l’avete fatto a me ». Il povero, il bisognoso, il sofferente, il prossimo nostro è Gesù Cristo. Ciò che si fa per il fratello, lo si fa per Gesù. Se si perseguita il fratello, Gesù si lamenta come con Paolo, sulla via di Damasco: « Perchè perseguiti Me? . Se noi possediamo dei beni, soggiunge san Giovanni, e, vedendo il fratello nella necessità, chiudiamo il nostro cuore, « come può rimanere in noi l’amore di Dio? »; chi non ama il prossimo, non ama Cristo, e perciò non ama il Padre. Da ciò è derivata tutta la predicazione di carità del Discepolo dell’amore e tutta la storia della carità cristiana nei secoli, dalle catene spezzate degli schiavi agli asili del dolore opposti ai circhi ed ai Colossei. E se noi ci interessassimo un pochino dell’anima grande dei Santi, faremmo forse una scoperta: Non ve n’è uno, il quale abbia concepito la carità verso il prossimo in modo diverso di quanto abbiamo esposto: tutti hanno amato nel loro prossimo Gesù Cristo. – Spesso, scrive san Girolamo nelle sue Lettere, Fabiola trasportava gli infelici e lavava loro le immonde piaghe vincendo ogni disgusto, poiché nelle piaghe dei poveri sapeva bene che medicava quelle del Salvatore ». San Benedetto, nella sua Regola comanda che a tutti gli ospiti che arrivano siano ricevuti tamquam Christus, come Gesù » e che sian salutati anche alla partenza con grande umiltà: « Cristo in loro sia adorato ». Soggiunge che è da avere, innanzi a ogni cosa e sopra tutte le cose, la cura degli infermi e che a loro, come a Cristo, sia reso servizio ». San Bernardo, rudemente, si esprime così: « Nelle vostre relazioni col prossimo, lasciate da parte l’uomo esteriore colnsuo involucro di fango; e non vi fermate se non all’uomo interiore, creato ad immagine di Dio, redento dal sangue di Gesù Cristo, tempio dello Spirito Santo, dimora di Gesù e destinato alla beatitudine eterna ». Cercate di veder Dio e Gesù Cristo nel prossimo », insiste sant’Ignazio. Il Vescovo san Martino, Angela da Foligno, Elisabetta d’Ungheria, Giuseppe Cottolengo, Federico Ozanam e Ludovico da Casoria non hanno mai parlato diversamente. Vincenzo de’ Paoli giunge persino, affinché non sia sottratto un tempo prezioso all’azione, a limitare le preghiere delle sue Figlie della Carità: « Che i poveri, prescrive loro, siano il vostro Uffizio, le vostre litanie. Bastano. Per loro lasciate tutto. Facendo così, è come abbandonare Dio per Dio ». – « Fratelli, ripeteva spesso Camillo de Lellis, il santo fondatore dei Camilliani, ai suoi compagni infermieri, pensate che gl’infermi sono pupilla e cuore di Dio e quello che fate a questi poveretti è fatto a Dio stesso ». « Non solo, affermava un testimonio del processo di canonizzazione, Camillo amava gli infermi, ma in certo modo li adorava, perché in ciascun povero adorava la persona di Cristo « Io l’ho visto molte volte piangere intorno a detti infermi, depone un altro, per la veemente considerazione che faceva che in quelli fosse Cristo ». Un giorno che il Priore di Santo Spirito lo mandò a cercare, Camillo stava tutto occupato a ripulire un infermo: « Dite che io sto occupato con Gesù Cristo; ma come avrò finita la carità, sarò da Sua Signoria Illustrissima ». Del resto, siamo sinceri, guai se la morale cristiana fosse diversa! Guai se nel prossimo dovessimo vedere solo l’uomo! Come potremmo sopportarci a vicenda, con tutti i difettacci del nostro più o meno amabile carattere? Come potremmo amarci? Come si potrebbe ottenere da una Suora di carità di passar tutta la sua esistenza, non per denaro, ma col voto di povertà, nelle corsie degli ospedali? E’ inutile: per capire le signore nei balli di beneficenza, basta la considerazione dell’uomo; ma una giovane Suora non sacrificherebbe mai nell’austera penitenza una vita severa e pura, se nell’ammalato — spesso brontolone ed incontentabile — non scorgesse Gesù Cristo. – Con questa semplice chiave nelle mani, voi potete entrare in quelle sale, che si chiamano i capi del Vangelo, o le meraviglie dei secoli cristiani. L’odio sarà riprovato, perché, come ben osserva san Giovanni nella sua prima Lettera, « chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre »; ancora non vede il Salvatore nel prossimo. Ed aveva insistito Gesù: « Io vi dico: amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, e pregate per coloro che vi perseguitano e calunniano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli »; « perdonate e vi sarà perdonato ». Non fermatevi all’involucro esterno, non al fragile recipiente: rammentate il « tesoro » che ivi si nasconde.
2. – Amore umano e amore cristiano del prossimo.
Se ora volessimo confrontare la carità umana con la carità cristiana, potremmo venire alle seguenti conseguenze. Innanzi tutto, non intendiamo fare un processo alla carità, che di fatto si è avuta nel campo estraneo al Cristianesimo.
Ln sappiamo bene con quanta ragione san Paolo definisce i pagani: « Gentes sine affectione; — gente senza amore » e con quanta esattezza la definizione si può applicare al paganesimo odierno, col cacio della filantropia sui maccheroni delle feste di beneficenza. Sappiamo benissimo quali siano state le delizie della schiavitù e gli orrori verificatisi ogni volta che si è calpestato il Vangelo. Ed alla fraternité astrattista od agli eterni principi dell’89 noi crediamo press’a poco come al cuore dell’anticlericalissimo farmacista Homais — così artisticamente ritratto da Gustave Flaubert — il quale, imbattutosi in un povero cieco, gli consigliò di bere buon vino, buona birra, di mangiare carne arrostita e finalmente aprì la borsa: « Toh! ecco un soldo! rendimi due centesimi; e non dimenticare le mie raccomandazioni; te ne troverai bene ».- Prescindiamo da simili bazzecole e da fatti storici non troppo lontani, come quello avvenuto all’inizio di questo secolo in Francia, quando si soppressero le Congregazioni religiose e si rubarono i loro beni, per un motivo di… fratellanza umana, ossia per accumulare il miliardo occorrente alle pensioni operaie. Ahimè! il miliardo sfumò e dopo la “liquidazione” non restò nulla: l’amore del prossimo, fra le mani del massonismo francese e dei suoi alleati, — il socialismo ed il radicalismo, — si era mutato nell’amore del proprio portafoglio. Diciamo solo che nel confronto fra l’amore del prossimo, quale si può incontrare in un sistema di morale umana, ed il precetto cristiano, non bisogna mai fermarsi all’enunciazione della norma etica. Anche il buddhista può comandare il perdono ai nemici; in apparenza può sembrare talvolta che parli in modo eguale a Gesù; ma in realtà il suo ragionamento né questo: “Noi dobbiamo abolire il dolore. Abbandoniamo, quindi, l’attività e tutto ciò che può turbare la tranquillità nostra. Tuffiamoci nel Nirvana. Se tu ti vendichi del nemico, egli si vendicherà poi di te; avrai noie ed inquietudini ». In breve: l’enunciazione verbale della massima morale è identica: lo spirito è semplicemente opposto da un lato, dobbiamo perdonare per amore di noi stessi; dall’altro, per amore del prossimo! E scusate se è poco! Ma anche nelle forme più alte della morale filosofica, anche nello sviluppo più severo della ragione, noi non possiamo avere mai se non un amore dell’uomo per l’uomo. Questo — ripetiamolo fino alla noia — è un elemento prezioso, indispensabile. La morale cristiana lo prende, lo perfeziona, lo divinizza con la grazia e con l’unione a Cristo, in modo che ci fa amare Gesù Cristo in tutti i nostri fratelli. I giovani d’Italia hanno guardato con entusiasmo santo alla figura di Pier Giorgio Frassati, fulgido esempio di carità cristiana per il prossimo. La documentazione, che di recentenha pubblicato la sua buona sorella, può servire, più di qualsiasi elucubrazione, ad illustrare il comandamento di Cristo.
Quindici giorni prima di morire, Pier Giorgio andò a Valsalice a parlare con don Cojazzi d’una famiglia disgraziatane bisognosa. Venendo a discorrere del fondatore delle Conferenze di San Vincenzo, mirabile frutto di questa pianta dell’amor cristiano, il Sacerdote ricordò al giovane il modo col quale Ozanam soleva celebrare la Pasqua. Dopo la Comunione pasquale, prima di recarsi a casa, andava a trovare il più povero dei suoi protetti « per restituire la visita ricevuta a Gesù nella persona del povero ». Sul ciglio di Pier Giorgio Frassati brillò una lagrima, una di quelle lagrime buone, che vorremmo vedere negli occhi puri della gioventù nostra, chiamata ad asciugare il pianto, a sollevare il debole, a diffondere l’amore di Cristo.