LO SCUDO DELLA FEDE (262)
P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,
Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (5)
4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864
-CAPO V.
RELIGIONE (2)
I. I Cattolici sono intolleranti. II. Mancano di carità.
Quel che abbiano discorso nel capo antecedente somministra ad alcuni l’occasione di tacciare i Cattolici d’intolleranza: e siccome quest’accusa ai nostri giorni, in cui sono di moda la discrezione, la prudenza e l’umanità, riesce pungentissima, così tutti cercano di declinarla. Tuttavia, non vi commovete di soverchio, piuttosto cercate di comprendere quel che sia l’intolleranza dei Cattolici, che forse potreste trovare in essa piuttosto materia di vanto e di onore, che di torto e di confusione.
A. I Cattolici sono intolleranti, dicono in primo luogo, quando si tratta di religione. Ora avvertite che quei che muovono questa accusa sono i protestanti, o grandi ammiratori della tolleranza protestantica, che vorrebbero vedere trapiantata fra di noi. Epperò prima di ogni altra cosa interrogateli con tutto segreto e tutta confidenza, come stiano a casa loro in fatto di tolleranza; che vi dicano, per esempio, come l’intesero i tollerantissimi Inglesi per lo spazio di tre secoli coi Cattolici dell’Inghilterra, della Scozia e soprattutto dell’Irlanda; come l’hanno mantenuta nelle parole, nelle leggi, nella libertà. Sentite un poco da loro, se per caso non abbiano mai fatta nessuna legge che riguardi i medesimi. Dite pur loro che per la nostra edificazione vi parlino a fidanza… Ipocriti (Hanno coraggio di parlare di tolleranza con un codice che spira oppressioni, taglie, multe, soprusi, carneficine d’ogni fatta contro un popolo che ebbe la gran colpa di volersi mantener fedele alla Religione dei suoi padrine di tutto il mondo incivilito; con una storia che ricorda i fatti di Arrigo VIII, di Edoardo VI, di Lisabetta, di Cromwello di Inox, ecc. ecc. Vi dicano come abbiano inteso la tolleranza gli Svizzeri di Berna e dei Cantoni protestanti con i Cantoni cattolici fino a questi ultimi anni. Vi dicano come la intendano in questi giorni i luterani nella Svezia, nella Danimarca, nella Norvegia.- Se dopo d’aver isterminata la religione cattolica col ferro e col fuoco, non hanno poi stabilito il loro culto con leggi affatto draconiane contro il Cattolicismo, allora levino pure la testa e parlino di intolleranza, che ascolteremo le loro accuse. Ma se la cosa va tuttonì altrimenti, ed essi non riescono a cancellare tre secoli intieri di storia ed a nasconderci tutti i giornali, allora hanno mal garbo a parlare d’intolleranza. – Ma venendo a rispondere direttamente, osservate che in due maniere si può intendere che altri sia intollerante in fatto di religione: o che perseguiti chi non pensa come lui, o che disapprovi con la voce e colla voce si opponga a chi insegna diversamente da lui. Quanto al primo modo d’intolleranza ne dirò più sotto ed a luogo opportuno qualche cosa, quanto al secondo ne dirò qui una parola. – I Cattolici non possono patire che altri si opponga alla loro Religione e disapprovano tutte le sètte che sono da lor divise. Evoi, lettore, sareste così soro da farne le maraviglie? Comprendereste ben poco, non dico l’indole della Religione Cattolica, ma neppure la natura dell’uomo, se poteste credere o possibile o doveroso il contrario. Niuno v’ha al mondo che non sia intollerante, quando creda di possedere una qualche verità, e se voi volete convincervene io mi impegno a farvene fare la confessione solenne di bocca del più fervente patrocinatore dell’universale tolleranza. Io lo interrogherò pertanto alla vostra presenza. Di grazia, signore, se alcuno venisse ad impiantare nella vostra città un nuovo culto, che richiedesse il sacrifizio di vittime umane, lo tollerereste voi? risponderà: No certo. E perché? Perché è un delitto, ed un delitto non si può tollerare. Ma dunque voi siete intollerante, voi fate violenza alla coscienza altrui, proscrivendo come delitto quello che è un ossequio degno della divinità, secondoché ne pensarono tanti popoli dell’antichità e secondoché ne pensano anche tanti popoli ai dì nostri. Con qual diritto volete dunque che la vostra coscienza prevalga sopra la loro? La risposta unica che potrebbe dare è, che la sua intolleranza sarebbe per bene dell’umanità. Sia pure, ma non negate più adunque che possa darsi tal caso, in cui l’intolleranza, rispetto ad un culto, vi paia un dovere ed un diritto. Che se proscrivete questo culto atroce, permettereste almeno che si proclamasse nell’insegnamento come santa e salutare la pratica de’ sacrifici di umane vittime? Tolgalo Iddio, poiché sarebbe un insegnare l’assassinio. Ebbene eccovi di bel nuovo una dottrina che voi non potete tollerare. Andiamo oltre, voi conoscete senza dubbio i sacrifici che offrivansi un tempo alla Dea di amore, e l’infame culto che le si offriva in Babilonia ed a Corinto: ora se un culto simile rinascesse fra di noi, parrebbevi da tollerare? No certo, poiché sarebbe contrario alle leggi del pudore. Ma permettereste almeno che s’insegnasse la dottrina sopra cui quel culto è fondato? Neppure, e per la stessa ragione. Eccovi dunque un altro caso, in cui voi vi credete in diritto ed in dovere di essere intollerante, di far violenza alla coscienza altrui, e ciò perché così ve lo impone la vostra coscienza. Più ancora: immaginate che qualche testa fervida, riscaldata anche più dalla lettura della Bibbia, volesse fondare un nuovo Cristianesimo, sulla foggia di quello già vagheggiato da Mattia Harlem o Giovanni di Leyden, e già cominciasse a spargere la sua dottrina, fare attruppamenti e si trascinasse dietro una parte del popolo, parrebbevi da tollerare questa nuova religione? No certo, poiché questi infelici potrebbero rinnovare le tragedie del secolo XVI, quando in Allemagna gli anabattisti, conculcata ogni proprietà, per ordine dell’Altissimo abbattevano le podestà costituite, trucidavano i signori e spargevano dappertutto la desolazione e la morte. Benissimo, e l’infrenarli sarebbe giustizia non meno che carità e prudenza. Ma adunque che cosa diventa quel principio sì chiaro, sì evidente, sì giusto nell’universale tolleranza, se ad ogni tratto siete costretto dalla forza delle cose a rinnegarlo? Direste per ventura che la sicurezza dello Stato, il buon ordine della società, la pubblica morale vi ci costringono? Ma allora, io ripeto, che sorta di principio è quello che si trova sì spesso in lotta colla morale, coll’ordine, colla pubblica sicurezza? (Balmes).È dunque evidentissimo che quel principio è una assurdità, checché si dica e si ripeta in contrario da gran baccalari. – Applichiamolo adesso al nostro caso. Che cosa crediamo noi Cattolici? Noi crediamo di possedere in fatto di religione la verità; crediamo che siano per sovrastarci mali gravissimi nel tempo ed ancora più nell’eternità, dove lasciamo corrompere in noi questo vero; noi crediamo che tutti gli altri culti tanto più si distinguano dal vero, quanto più si allontanano dalle nostre credenze: e crediamo tutto ciò appoggiati ai fondamenti più incontrastabili di ragione, di autorità, di fede: sicché siamo disposti a dare tutto il sangue delle nostre vene in mezzo a tormenti più spietati, piuttostoché rinunziare ad una sola delle nostre credenze: e con questa persuasione nel cuore, protremmo mai tollerare che altri assalisse od in noi o ne’ nostri prossimi o nella nostra patria la verità cattolica? Per tollerare tranquillamente l’errore, bisogna non esser uomo, od esser la feccia più vile degli uomini; ma per tollerarlo in materia così rilevante come la Religione, bisogna esser caduto sotto la condizione dei bruti ed accostarsi a quella dei demoni. – La natura d’uomo, anche sola, esige che chiunque possiede la Verità non la lasci oscurar dall’errore. Niun matematico consentirà mai ad alcuno che non sia vera quella proposizione, di cui la sua scienza ha fornita la dimostrazione: niun naturalista consentirà che sia negabile quella sperienza, che egli ha fatta e ripetuta le mille volte: niun legale consentirà che si rechi in dubbio l’esistenza d’una legge, la quale è registrata nel codice. Anzi niun artigiano accorderà anche all’uomo più dotto del mondo che non siano vere quelle regole, che egli esercita tuttodì nella sua officina. Ed il Cattolicismo, che possiede verità che ha ricevute da Dio stesso, le prostituirà ad ogni umana fantasia, come si fa d’una favola o d’una finzione? – All’assurdità si aggiungerebbe l’empietà: perocché sapendo di certo il Cattolico che quelle credenze sono anche mezzo, ed unico mezzo per la salvezza sua e dei suoi prossimi, col rinunziarvi, col lasciarle recare in dubbio, farebbe non solo un danno a sé, ma un tradimento nerissimo a’ suoi prossimi. Che direste di chi si lagnasse e strepitasse perchè non si lasciano impunemente spacciare pugnali, pistole, veleni, e gridasse che è violata l’umana libertà, e che è una tirannia, e che ornai nol si può più sopportare? Voi cadreste dalle nuvole per la maraviglia. Ebbene, e non vi meravigliate di chi strepita perché non si tollera che si rubino alle anime le verità della fede, i mezzi della salute, gli eccitamenti al ben vivere, i conforti al ben morire, gli aiuti della grazia, le speranze del paradiso e l’eternità? Se chi chiama i Cattolici intolleranti, dicesse chiaro che non crede né a Dio, né alla religione, né a vita avvenire, né a Paradiso, né ad inferno, si potrebbe comprendere quel che dice; ma che il faccia un Cristiano, un Cattolico, che professa di credere alla rivelazione di Gesù Cristo, è al tutto inesplicabile.
II. Ma la carità almeno non esigerebbe un poco di tolleranza? Orsù adunque che cosa è la carità? Carità è senza dubbio voler bene al prossimo, qualunque sia il motivo per cui si vuole un tal bene, poiché non è qui il luogo d’investigarlo. Ora se la Religione è il massimo bene dell’uomo, e per converso l’irreligione è il più grave suo male, in qual modo si chiama carità il tollerare che l’uomo sia spogliato della Religione e traboccato nel baratro dell’irreligione? Bisogna aver perduto il senno sino a scambiare la luce colle tenebre, la verità coll’errore per portare siffatti giudizi. Disapproviamo l’errore, lo allontaniamo: dunque non abbiamo carità. Gli è anzi tutto l’opposto. Disapproviamo l’errore: dunque abbiamo la maggior carità che possiamo avere. Abbiamo carità verso gli erranti, poiché essendo avvertiti in tempo del loro inganno, possano ritrarsene. Chi avverte un cieco che sta per traboccare in un fosso, con quell’avviso, quanto è da sé, lo salva; così il Cattolico che avvisa chi dà in errore, quanto è da sé, lo mette in salvo. – Abbiamo carità eziandio verso quelli che ancora sono sulla strada della verità; conciossiaché chi grida in tempo al fuoco, fa che tutti se ne preservino i vicini. La carità non deve aversi soltanto verso i disseminatori di false massime, la carità non ci obbliga, per non contristare essi, a soffrire noi qualunque danno; vuole anzi la carità ben ordinata dimostrarsi non con parole soltanto, ma coi fatti, preservandoli, quanto è da noi, dal male orribile, che sarebbe l’irreligione; male più Spaventoso d’ogni male, perché male eterno. – Aggiungete. a ciò, che quando si tratta d’errori in Religione, tutti ad una voce i Santi, i Dottori, i Padri della Chiesa raccomandano, che non si dissimuli né punto né poco la verità. E la ragione di ciò è molteplice. Abbiamo obbligo stretto di professare la fede e professarla pura quale ce la rappresenta la santa Chiesa. Il tollerare che dinanzi a noi tacenti, si parli contro di essa, è una specie di apostasia. Abbiamo obbligo di onorare Iddio con tutto il cuore, e dove sarebbe l’onor suo, se sopportassimo con pazienza chi dinanzi a noi lo bestemmiasse, rinnegando la sua fede? Abbiamo obbligo di amare il prossimo come noi stessi, e dove sarebbe il nostro amore, se soffrissimo che gli fosse propinato il veleno micidiale della infedeltà, senza pure una nostra protesta in contrario? – Che se per ottenere questo bene del prossimo è necessario contristare con l’opposizione i nostri fratelli perversi, di chi è la colpa? Perché essi vi ci obbligano e vi ci conducono? Finalmente, postoché tanto predicano la carità e la tolleranza, non farebbero male a darcene un poco d’esempio. Perché invece si cacciano tra di noi per fas et nefas, mentre noi non li cerchiamo? Perché spargono nelle nostre città e nelle nostre famiglie la discordia religiosa? Gridano all’intolleranza, al mancamento di carità, e poi diffondono libri e fascicoli che ci rubano la pace e la quiete dello spirito, declamano giorno e notte contro tutte le nostre istituzioni, spirano veleno contro il Capo della nostra Chiesa, sputano fiele contro il corpo venerando de’ nostri Sacerdoti, bestemmiano tutto il giorno i nostri Sacramenti, beffeggiano i nostri Santi avvocati e protettori, motteggiano tutte le nostre pratiche di pietà e divozione: fanno tutto ciò con un dispetto, una rabbia, un livore che paiono invasati da mille demoni; e poi, se qualcuno vuol rispondere e difendere le sue credenze, se il fa con qualche ardore e risentimento, allora torcono il collo, giungono le mani, e, compostisi a divozione, gridano all’intolleranza, e rammentano la carità. Pur cari cotesti nuovi apostoli della tolleranza e dell’amore! Se noi dicessimo. di loro che cantan bene e razzolano male, non ne avremmo qualche ragione? Eh via! se ne stiano a casa loro una volta e vadano a predicare altrove queste generose virtù. E voi, o lettore, non siate mai così dolce di sale di ammetterle e da riconoscerle; e l’iniqua massima che ogni religione è buona, rigettatela prontamente, ancorché vi si presenti dinanzi camuffata sotto la maschera della carità.