IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (6)
FRANCESCO OLGIATI,
IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.
Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.
Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.
Capitolo terzo (1)
LA LEGGE DELL’AMORE
È stato osservato che se è bene cogliere qualche rosa e deliziarsi della sua bellezza e del suo profumo, è meglio, però rivolgere le proprie cure al rosaio completo: le rose si moltiplicheranno ad ogni primavera e ci procureranno sorriso e fragranza. Avviene lo stesso nella morale: è tutt’altro che inutile esaminare le singole virtù, le singole norme, i singoli punti dell’etica cristiana; ma ciò che più importa è il rosaio dell’Amore, perché chi lo coltiva ha tutte le altre virtù. Quando noi possiamo dire con sincerità a noi stessi di amare Dio, possiamo soggiungere con sant’Agostino: « Ama e fa quello che vuoi ». L’amore è la perfezione della legge, avverte san Paolo; è la fonte di ogni precetto; dev’essere il soffio ispiratore di ogni atto; ed in esso sta tutta la morale cristiana. Lo ha insegnato Gesù nel Vangelo: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutte le tue forze: ecco il primo ed il massimo dei comandamenti… Il secondo è simile al primo: Ama il tuo prossimo come te stesso ». Per comprendere il significato di queste parole, dobbiamo esaminare l’amore che dobbiamo a Dio, al prossimo, a noi stessi.
I. – L’AMORE DI DIO
Vi è un grave errore, quanto mai diffuso, che giova subito liquidare. Si crede che l’amore di Dio, voluto da Gesù, consista in questo: l’individuo, con tutte le energie della sua anima umana, col suo affetto, con la sua intelligenza e con la sua azione, protesta a Dio il suo amore. Si tratterebbe, quindi, d’un amore individuale ed umano. È uno sbaglio. Se l’amore nostro per Dio dovesse consistere solo in questo, non erano necessari il Cristianesimo, l’ordine soprannaturale e la rivelazione. Bastava la ragione o la coscienza del puro uomo, che, risalendo mediante un semplice ragionamento dalle cose create al Creatore, doveva sentire il dovere di amar Dio sopra ogni cosa. Ogni filosofo pagano, come un Platone o un Epitteto, anzi ogni anima naturalmente onesta, poteva giungere a questo atto di amore naturale.
1. – L’amore soprannaturale di Dio
L’amore a Dio, del quale parla Gesù, è qualcosa di più grande. È bensì anche tutto ciò che abbiamo detto or ora, poichè l’ordine soprannaturale non distrugge mai l’ordine naturale, ma è un atto di amore fatto da noi in unione con Cristo. Incorporati a Lui, divinizzati dalla sua grazia, uniti al suo corpo mistico, noi siamo vivificati dall’Amore sostanziale che unisce il Padre al Figlio ed il Figlio al Padre. Noi, dunque, siamo figli di Dio, ed il nostro amore a Diobnon è il semplice amore d’una creatura, ma è l’atto d’amore soprannaturale, il cui principio ci è infuso dallo Spirito Santo, col quale amiamo Dio, come i figli amano il Padre. Non per nulla la prima parola della grande preghiera, insegnata da Gesù, è un atto di amore: « Padre nostro »; insieme con Gesù noi salutiamo ed amiamo il Padre, che in noi non vede solo i singoli individui (come nella pagina d’un libro io non vedo solo le singole lettere), ma in noi contempla il suo Gesù che ci unisce, ci eleva, ci divinizza (come io nella pagina, attraverso le singole lettere, vedo il pensiero), e da noi viene amato con un amore umano sì, perché libero, ma trasformato e sublimato dalla grazia soprannaturale del Paradiso. – Cos’è il piccolo nostro cuore di fronte a Dio? cos’è il palpito d’amor umano per l’Infinito? È nulla, se per la carità il nostro cuore non è unito al Cuore di Cristo. Se noi insieme con Lui amiamo il Padre, allora i due palpiti — l’umano ed il divino — divengono simili, pur nella loro infinita differenza, a due grani d’incenso, gettati in un unico turibolo. La nube che s’alza al Padre allora è gradita ed è fragranza degna di Lui. L’amore soprannaturale di Dio, base ed anima della morale cristiana, presuppone, quindi, la fede. Con la fede noi crediamo ai misteri della nostra divinizzazione ed a tutte le verità, che in rapporto ad essa ci furono rivelate; — in una parola crediamo all’amore di Dio per noi: nos credidimus Charitati! Ancora: l’amore soprannaturale per Dio implica la speranza, poiché, come vedremo, cos’è questa se non il protendersi dell’anima verso l’amore di Dio, che sarà un giorno la nostra gioia eterna? Ed è con questa nozione di un amore non puramente individuale, ma in unione con Cristo — e non semplicemente umano, ma elevato dalla grazia, che bisogna leggere il Vangelo ed il Nuovo Testamento. Quando san Giovanni dice: « Colui che rimane nell’Amore, rimane in Dio e Dio in Lui », dobbiamo scorgere in tale espressione l’unione nostra con Dio nell’abito e nell’atto di carità. Quando san Paolo parla del nostro « amore per Dio che è in Cristo Gesù., la sua frase non dev’essere più un enigma incompreso. E quando soggiunge che in cielo non vi sarà più la fede né la speranza, perché Dio lo vedremo e lo possederemo, ma solo la carità, dobbiamo capire come il paradiso è la visione ed il possesso di Dio, conquistato con la carità di quaggiù, la quale non vien meno, ma in cielo si continua e si perfeziona in un eterno atto di amore dei figli verso la Trinità sacrosanta.
2. – I « surrogati » dell’amore di Dio
Se si partisse sempre da un simile concetto esatto dell’amore di Dio, non si correrebbe il rischio di confonderlo con i surrogati pericolosi, che si trovano in commercio.
a) Il primo surrogato, quanto mai ingannatore, è quello che sostituisce l’amore soprannaturale di Dio con l’amore sensibile, con quel sentimentalismo che ha origine nel nostro organismo fisiologico, con una serie di oh e di ah, che somigliano — direbbe il padre Aubry — a sospiri colombini. Vi sono delle anime che temono di non amare il Signore e son persuase d’aver pregato male, se non hanno avuto il fervore sensibile, quasi che l’amore di Dio, che risiede nella volontà nostra, non dovesse essere spirituale, ma fisiologico!
b) Il secondo surrogato, contro il quale ci ha messo in guardia lo stesso Gesù, fa consistere l’amore a Dio in pure parole, in dolci proteste verbali. « Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio ». – Nella storia del Cristianesimo noi sappiamo come la Chiesa abbia condannato il quietismo, con non minore energia di quello che abbia riprovato il naturalismo-. Se il naturalismo riduceva la vita all’attività umana soltanto, senza amor di Dio, il quietismo avrebbe voluto togliere il nostro contributo e ridurre tutto all’azione divina. Sono due punti di vista unilaterali: sono il vero amore soprannaturale di Dio tagliato a metà, di modo che da un lato si ha l’attività dell’uomo e dall’altro la grazia di Dio, due cose che debbono essere ben unite insieme. – Perciò, chi crede d’amare Dio, perché frequenta la Chiesa, assiste alle funzioni, recita preghiere, e poi non pratica la legge morale nella sua vita, s’inganna grossolanamente: è un Cristiano di nome e d’apparenza, non un Cristiano vero e di fatto. Non si ama Dio, se non facendo la sua volontà. E non si fa la volontà del Padre senza la carità, che è forma d’ogni azione soprannaturale meritoria.
3. – Il vero amore di Dio.
Il vero amore di Dio l’abbiamo quando, uniti a Cristo e vivificati dallo Spirito Santo, noi amiamo il Padre « con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze ».
a) Con tutto il cuore, — vale a dire quando tutti gli affetti del cuore tendono a Lui come a fine e in Lui si riuniscono come a centro. Bisogna — commenta il padre Grou nelle sue Meditazioni sull’amor di Dio — che non vi sia divisione alcuna nel cuore nostro, ma che tutto sia per Dio; « bisogna, cioè, che Dio sia la sola cosa che io ami per se stessa, e che tutte le altre cose… io ami in rapporto a Dio ». – « Non è amare Te a sufficienza, esclamava sant’Agostino, l’amare con Te altra cosa che non si ami per Te ». In questo senso san Bernardo proseguiva: « La misura dell’amore che dobbiamo a Dio, è di amarlo senza misura ». Vedremo in seguito come in tal modo non è distrutto nè diminuito nessun valore umano, l’amore, ad es., a noi, agli altri simili, alle ricchezze, alla gloria e così via, ma tutto è unificato e subordinato all’amore di Dio.
b) Con tutta la mente, — ossia sempre l’intelligenza nostra deve contemplare la realtà alla luce di Dio e del suo Amore. Siccome tutto ciò che esiste è creazione di Dio e da Lui dipende, la mia mente non raggiungerà la vera cultura, se non coglierà il nesso fra le singole cose e Dio. Studino pure la natura il fisico, il chimico, il biologo, il naturalista; ma si ricordino che, se anche per le necessità dell’analisi occorre prescindere da Dio, non è però mai possibile la sintesi del sapere senza l’amore Suo per noi e nostro per Lui. Il biologo scruterà le leggi della vita; l’astronomo ammirerà l’armonia e l’ordine degli astri; il filosofo indagherà l’universo per giungere ai supremi principi dell’essere; ma tutte le scienze debbono ricondurmi al centro della realtà. Per continuare il paragone di prima, io potrò prescindere per un istante dal pensiero che ha originato una pagina e che da essa è espresso; potrò limitarmi ora a ricercare l’alfabeto usato, ora a studiare il metodo della punteggiatura, ora a fare un elenco di vocaboli, ora a scoprire le regole grammaticali e sintattiche di quella lingua, ma tutto questo è un mezzo per risalire al pensiero e per comprenderlo. Così nel gran libro dell’universo la mia mente, mediante gli innumerevoli rami delle scienze, condurrà indagini parziali, che non debbono essere fine a se stesse, ma debbono avere come principio e come termine quel Dio che, nella natura e nella storia, ci dà una delle manifestazioni del suo Amore. Ama Dio con tutta la mente colui, che dovunque lo sguardo gira, qualunque scienza coltivi, cerca Dio.
c) Con tutte le forze, — ossia con tutta la volontà e con l’azione nostra. L’amore per Dio esige che si viva per Lui, che si operi secondo la sua volontà, che Gli si sia praticamente fedeli, anche nelle piccole cose. – « Le piccole cose, ammoniva sant’Ambrogio, sono piccole cose; ma esser fedele nelle piccole cose, è una gran cosa ». E il Tissot commenta genialmente: « Nostro Signore non è forse tutt’intero, tanto grande, tanto vivo, tanto adorabile, in una piccola Ostia come in una grande, in una particella come in un’Ostia intera? Non ne raccolgo io forse i frammenti con la medesima adorazione che ho per l’Ostia grande? Così è della volontà di Dio »: essa è identica nel minimo dei precetti e nel massimo dei comandamenti. Ogni norma della legge morale è dettata dall’Amore e dev’essere eseguita per amore; perciò nelle piccole e nelle grandi imprese, nell’umile e nascosto adempimento del dovere quotidiano e nell’atto eventuale dell’eroismo, sempre v’è lo stesso amore.. Ogni nostra azione deve, quindi, essere un atto di amore per Dio. Per dirla col Rodriguez, nel Sancta Sanctorum, là nel tempio di Salomone, ogni cosa era oro e coperta d’oro; così in noi, ogni cosa ha da essere o amor di Dio, o fatta per amor di Dio. La preghiera, il lavoro, il dolore, il sacrificio, la vita, la morte, tutto deve tramutarsi in un cantico d’amore. Solo una distinzione è da farsi, secondo ciò che ci avverte Gesù nel Vangelo. Infatti:
a) C’è un amore comandato, ed è il campo del dovere, dei comandamenti, dei precetti. A questo amore nessuno può sottrarsi, senza rendersi ribelle. Qui abbiamo la volontà di Dio che impone.
b) E c’è un amore consigliato, ossia il campo dei consigli « Se vuoi essere perfetto, dice Gesù, posando il suo occhio di predilezione sopra un’anima, consacrati a Me col voto di castità, di povertà, di obbedienza ». Qui abbiamo la volontà di Dio, che non comanda, ma solo invita dolcemente. Ed ecco la duplice schiera dei Cristiani: vi sono coloronche viaggiano sulla strada comune della legge morale, ed altri che ascendono l’alta montagna. I primi ed i secondi amano Dio: la differenza consiste nel modo più diretto della pratica dell’amore, anche se non sta sempre nell’intensità di esso, la quale, in chi vive nel mondo, può anche pareggiare e superare quella di chi si trova nel chiostro.
4. – La rassegnazione cristiana e la « santa indifferenza di sant’Ignazio.
Siamo ora in grado di afferrare il vero senso della dottrina morale cristiana a proposito della rassegnazione nel dolore e del programma ignaziano circa la « santa indifferenza ». Abbiamo visto come l’amor di Dio implica essenzialmente che si faccia la sua volontà, ossia che si voglia ciò che vuole Lui. Se Egli ci vuole nella gioia, dobbiamo benedirlo con l’autore dell’Imitazione di Cristo; se ci vuole nel dolore, dobbiamo parimenti benedirlo. Cos’è la rassegnazione? Forse l’insensibilità o l’indifferenza? No, mille volte no! Anzi, quanto più si sente e si soffre, tanto più dobbiamo amare Dio, conformandoci ed uniformandoci al suo volere. Noi sappiamo che Egli è Padre e che, se permette il dolore, lo fa per il bene nostro; anche se non comprendiamo le sue segrete intenzioni, siamo certi di questo: che è il Padre Colui che ci manda la sofferenza. Perciò non ci ribelliamo, non ci disperiamo mai, ma proseguiamo sicuri il nostro cammino, con un grande atto di amore per Lui, anche se non riusciamo né possiamo ridurre la sofferenza ad una gioia. – « Dobbiamo farci indifferenti riguardo a tutte le cose create », continua sant’Ignazio, suscitando il coro delle recriminazioni di chi, in nome del « perinde ac cadaver », lo accusa d’esser fautore di apatia, di fatalismo musulmano, di inerzia buddhistica, di insensibilità stoica, e chi più ne ha più ne metta. Sciocchezze! Noi, secondo sant’Ignazio, dobbiamo amare Dio ed in questo non possiamo essere indifferenti. È il fine nostro, sul quale non si discute. Ma in qual modo dobbiamo amare Dio? E l’autore immortale degli Esercizi risponde: facendo ciò che Dio vuole, non ciò che voglio io. C’è qualcosa di più evidente? No. Ed allora ne consegue che noi non dobbiamo valutare le cose in se stesse, quasi fossero l’Assoluto, ma solo in rapporto alla volontà di Dio: le cose non hanno mai valore di fine, ma sono solo mezzi, variabili all’infinito, che possono condurre al fine. Se Dio mi vuole professore, lo amo facendo bene il professore; se Dio mi vuole contadino, lo amo coltivando bene i campi; se Dio mi vuole ammalato in un letto, lo amo soffrendo; se mi vuole soldato, lo amo combattendo e così via. Io debbo farmi indifferente di fronte alle cose umane: il che è tutt’altro che inerzia o insensibilità! È il contrario: è il massimo grado di attivismo a cui io posso aspirare e gli Esercizi ignaziani sono tutti pervasi di questo spirito di energico attivismo. Il facere nos indifferentes esige una lotta formidabile contro noi stessi, da affrontare per amore di Dio. La rassegnazione inerte del fatalista è negazione di attività ed è egoismo bell’e buono; egli dice: — Non voglio angustiarmi, e prendo le cose come vengono; tanto « che giova nelle fata dar di cozzo? ». — L’accettazione cristiana del beneplacito divino è la prova più bella di amore che possiamo dare a Dio, perché se è facile gridargli il nostro affetto nelle ore ridenti di felicità; non è così facile ripetergli l’attestazione del nostro amore quando Egli ci domanda il sacrificio, la lagrima, il martirio.
5. – Vita attiva e contemplativa.
Ecco, dunque, risolto anche l’altro problema se sia migliore la vita attiva o la contemplativa. Non basta discutere una simile questione in astratto, perché allora è evidente che la vita contemplativa è l’optima pars, in quanto l’anima si volge direttamente a Dio, mentre la vita attiva, volgendosi alle cose, sale a Dio solo indirettamente; ma bisogna discuterla in concreto. La vita migliore per ognuno di noi è quella che è voluta da Dio. Se una operaia dovesse ragionare così: « Io sono stanca di fare da Marta; voglio imitare Maria, che ha scelto l’ottima parte, e starò quindi in chiesa tutto il giorno, pregando dinanzi al Tabernacolo), la morale cristiana la riproverebbe, perché esser Cristiani vuol dire amare Dio, ossia fare la sua volontà; se Dio vuole che una persona lavori in un’officina, essa non ama Dio, ribellandosi al volere divino, stando cioè lunghe ore in chiesa. Se Dio vuole un figlio suo fra il febbrile agitarsi del commercio, è là che il figlio buono deve restare, senza sognare le estasi della contemplazione. Di modo che il Cristiano più perfetto, in linea pratica, è colui che compie meglio la volontà di Dio nello stato in cui la Provvidenza lo vuole. Il bene non è bene, se non è fatto quando conviene, come conviene, da chi conviene, secondo, cioè, tutte quelle circostanze concrete, che ci indicano il volere divino.
6. – Conclusione.
Non saprei come meglio chiudere questo paragrafo che col riferire alcuni versetti dell’Imitazione di Cristo (libro III, 5). « Io ti benedico, o Padre celeste, o Padre del mio Signor Gesù Cristo, perché ti sei degnato di ricordarti di me meschino. – « O Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione… sempre ti benedico e ti rendo gloria con l’Unigenito tuo e con lo Spirito Santo, ne’ secoli de’ secoli. « O Signore Iddio, divino oggetto del mio amore.., tu sei la gloria e la delizia del mio cuore… « Gran cosa è l’amore ed il maggiore di tutti i beni! L’amore rende leggero ogni peso ed i pesi differenti porta tutti con animo eguale. Porta il peso senza sentirlo; e cangia in dolce sapore ogni amarezza… Nulla vi è in cielo e sulla terra che sia più dolce, più forte, più sublime, più espansivo, più giocondo, più perfetto, più eccellente dell’amore; perché l’amore è nato da Dio e non può trovar pace e quiete, se non al di sopra di ogni cosa creata, in Dio. « Colui che ama corre, vola, esulta; è libero e nulla può trattenerlo. Dà tutto per tutto e trova il tutto in tutte le cose, perché si riposa nel sommo unico Bene, da cui ogni bene fluisce e procede… « Per l’amore l’impossibile non esiste… Stanco, non perde lena; avvinto dai lacci, si serba disciolto; minacciato, non si sgomenta; ma come viva fiamma e come fiaccola ardente si slancia in alto e procede oltre, sicuro… « Un altro grido è all’orecchio di Dio questo stesso fervido affetto dell’anima, che dice: — Mio Dio, amor mio, tu sei tutto mio ed io sono tutto tuo. Apri il mio cuore all’amore, perché io possa nell’intimo dell’animo pregustare quanto sia dolce amare, struggersi, nuotar nell’amore… Deh! che io canti il cantico dell’amore; che io ti segua, o mio Diletto, fino al cielo; che languisca l’anima mia nelle tue lodi, giubilando d’amore… « Senza dolore, però, non si vive nell’amore. « Chi non è preparato a soffrire tutto ed a conformarsi alla volontà del Diletto, non è degno del nome di amante di Dio. Chi ama, per amore dell’amato deve abbracciare volentieri tutto ciò che v’ha di duro e d’amaro, nè per qualsiasi contrarietà deve separarsi da lui ». – Dal Cantico dei Cantici a questa pagina, forse scritta in estasi, l’inno tante volte si è elevato. E forse il nostro povero cuore, ne ha percepito così raramente, o così debolmente, una eco…