IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (1)
FRANCESCO OLGIATI,
IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.
Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.
Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.
PREFAZIONE
Alcuni anni or sono, io ponevo nelle mani del popolo italiano un primo Sillabario. Il titolo era birichino. Qualche amico ebbe un fremito di spavento e mi consigliò di mutarlo. Non lo feci, perché ero troppo convinto che nella patria nostra non la copertina dei libri, né tanto meno una stupida e menzognera réclame sono un invito a leggere, ma la sostanza ed il pensiero. Il Sillabario del Cristianesimo ebbe fortuna. Dio lo benedisse. Uomini piccoli e uomini grandi lo approvarono. In poco tempo si susseguirono molte copiosissime edizioni. Nessun romanzaccio moderno o contemporaneo ha raggiunto la tiratura del minuscolo volume sul soprannaturale. Anche questo è un segno dei tempi. Oggi le stelle interessano le coscienze, più che non il fango. Sono lieto di constatare un simile fatto, perché non si tratta d’un mio lavoro. Di mio in quel volumetto c’era solo il nome e la stesura materiale. Ma il contenuto non mi apparteneva. Quelle pagine offrivano l’esposizione semplice, nuda, elementare della vecchia ed eterna idea cristiana. E mille e mille ottime persone guardarono; forse alcuni compresero per la prima volta cos’era il Cristianesimo; e tutti si convinsero che per l’insegnamento della Religione occorrono oggi in« sillabari » in questa terra nostra, che pur fu madre di Tommaso e di Bonaventura e l’ispiratrice delle Somme medievali. A quel Sillabario del dogma succede ora logicamente l’altro sulla morale, che suppone il primo e lo sviluppa. Il che è quanto dire che è assurdo comprendere il significato esatto dell’etica di Cristo, se non si è già appreso cosa siano la grazia, l’ordine soprannaturale e le varie verità dogmatiche della rivelazione. Solo Bertoldo poteva illudersi di erigere il secondo piano d’una casa, senz’aver costruito il primo; ed è da augurarsi che, almeno, quando si tratta d’affrontare il problema della vita, Bertoldo non abbia imitatori. – Anche il nuovo Sillabario, che vede ora la sua decima quarta edizione, non è stato di facile compilazione. Nato — non a tavolino, fra dotti volumi — ma nella vita e nella scuola, tra palpiti di cuori e le serene battaglie dell’Azione Cattolica; cresciuto in mezzo alle esperienze quotidiane dello sforzo educativo; elaborato finalmente — dopo quattro anni di tentativi ripetuti con ostinazione — in una Settimana Sociale indetta dalla Gioventù Cattolica Femminile, per iniziare una serie di Corsi per la morale nelle varie regioni d’Italia (La Settimana fu tenuta a Castelnuovo Fogliani, alla fine del luglio 1929. Erano presenti S. E. mons. Ugo Giubbi, Vescovo di San Miniato, mons. Alfredo Cavagna, Assistente Generale della G. F. di A. C., 14 altri sacerdoti e 200 dirigenti della floridissima Associazione, guidate dalla loro presidente, la compianta signorina Armida Barelli), questo piccolo libro ha conosciuto l’oscuro, lento e paziente lavoro delle radici. A me purtroppo torna difficile esporre con semplicità i veri profondi del Cristianesimo, in modo da presentarli all’occhio di tutti, perché lo sguardo colga l’intima natura di essi e non si fermi alla superficie esteriore. – Bisogna arrivare ad un’esposizione limpidissima, che non degeneri nel semplicismo; ad una enunciazione, sostanzialmente completa, dei primi principi della morale nostra, che eviti il linguaggio tecnico della filosofia e della teologia — pane di primo ordine, ma troppo duro per i denti di latte della nostra generazione —; ad una trattazione, la quale non insista tanto sulla morale umana, quanto sulla morale cristiana. Umilmente e fervidamente ho chiesto aiuto per quest’opera, che non aveva nulla di personale, ma aspirava unicamente a far partecipare tutti ai tesori dei misteri di Cristo. E — come già aveva fatto per la prima edizione del Sillabario del Cristianesimo — un dotto gesuita della « Civiltà Cattolica il P. Giovanni Busnelli, volle assumersi il faticoso impegno di revisione e di correzione. Non mi è possibile insistere sulla preziosità di una così alta ed efficace assistenza, non so se più degna di gratitudine o di ammirazione. All’illustre scrittore, che onorò col suo sapere il clero italiano e che oggi ci sorride dal Cielo, va il mio pensiero riconoscente (Anche all’amico carissimo mons. Carlo Figini, professore nel Seminario teologico di Milano, ed a mons. Giuseppe Borghino, un ringraziamento cordiale per la loro collaborazione.). Da quanti, poi, scorreranno le pagine seguenti imploro una preghiera, perché la nuova crociata, per diffondere sempre più la conoscenza della dottrina morale cristiana, sia ricca di pratici risultati.
Don Olgiati.
INTRODUZIONE (1)
Un celebre romanziere inglese contemporaneo, il Chesterton, in una delle scene suggestive del suo volume La sfera e la croce, si soffermava sul dialogo curioso, svoltosi fra il professor Lucifero ed il monaco Michele. I due noti personaggi si trovavano su d’un vascello volante,.che solcava il cielo di Londra e passava sopra la cattedrale di San Paolo. La croce, ergentesi sul tempio quasi preghiera verso il grande azzurro e come programma per i piccoli mortali, provocò la bestemmia e la parola di disprezzo di Lucifero. E Michele subito gli rispose: — Io ho conosciuto in altri tempi un uomo come te, Lucifero… Anche quell’uomo aveva adottato l’opinione che ilnsegno del Cristianesimo fosse un simbolo di barbarie e di irragionevolezza. Cominciò, naturalmente, col bandire il crocifisso da casa sua, dal collo della sua donna, perfino dai quadri. Diceva, come tu dici, che era una forma arbitraria e fantastica, una mostruosità; e che la si amava soltanto perché era paradossale. Poi diventò ancora più furioso, ancora più eccentrico; e avrebbe voluto abbattere le croci che si innalzavano lungo le strade del suo paese, che era un paese cattolico romano. Finalmente, s’arrampicò sopra il campanile di una chiesa, ne strappò la croce e l’agitò nell’aria, in un tragico soliloquio sotto le stelle. Una sera d’estate, mentre ritornava lungo un viale, a casa sua, il demone della sua follia lo ghermì di botto, agitandolo in quel delirio che trasfigura il mondo agli occhi dell’insensato. S’era fermato un momento, fumando la sua pipa di fronte a una lunghissima palizzata e fu allora che i suoi occhi si spalancarono improvvisamente. Non brillava una luce; non si moveva una foglia; ma egli credette di vedere, come in un fulmineo cambiamento di scena, la lunga palizzata tramutata in un esercito di croci legate l’una all’altra, su per la collina, giù per la valle. Allora, facendo volteggiare nell’aria il suo pesante bastone, egli mosse contro una schiera di nemici. E per quanto era lunga la strada, spezzò, strappò, sradicò tutte quelle che incontrava sul suo cammino. Egli odiava la croce: ed ogni palo era per lui una croce. Quando arrivò a casa, era pazzo da legare. Si lasciò cadere sopra una sedia, ma ribalzò subito in piedi, perché sul pavimento scorgeva l’intollerabile immagine. Si buttò sopra un letto; ma tutte le cose che lo circondavano avevano ormai l’aspetto del simbolo maledetto. Distrusse tutti i suoi mobili, appiccò il fuoco alla casa, perché anche questa era ormai fatta di croci; e l’indomani lo trovarono nel fiume. – Lucifero guardò il vecchio monaco, mordendosi le labbra — È vera questa storia? — No! disse Michele. È una parabola: la parabola di tutti voi razionalisti e di te stesso. Cominciate con lo spezzare la croce; ma finite col distruggere il mondo abitabile. Quest’ultima frase di Chesterton sintetizza la storia di parecchi secoli. La morale cristiana, simboleggiata dalla croce, fu derisa, combattuta, spezzata, distrutta. Una lotta sistematica, un assalto irrompente, un succedersi di battaglie dirette dai condottieri più diversi, un moltiplicarsi di tentativi concepiti dai più svariati punti di vista e di tattiche spesso in contraddizione fra loro, ma cospiranti al medesimo fine, hanno voluto abolire nel mondo la morale di Cristo, per dichiarare il suo regno finito per sempre. Le conseguenze d’un simile stolto conato sono da tutti conosciute. Non è esagerazione da letterato, o geremiade da predicatore additare il cumulo di rovine nel mondo degli spiriti, che affliggono l’epoca moderna. Individui, famiglie, nazioni, umanità soffrono e potrebbero confessare con Giovanni Papini, che « gli uomini, allontanandosi dall’Evangelo, hanno trovato la desolazione e la morte » – Io mi rivolgo a coloro che scorreranno queste prime linee e li prego di soffermarsi un istante, per rispondere a se stessi, nel silenzio della loro coscienza; — Voi siete proprio contenti della vita vostra, degli anni che avete trascorso, dei giorni che ora passate? Non avete forse la sensazione chiara, netta, precisa d’aver sciupato gran parte della giovinezza, d’esservi pasciuti di illusioni e d’aver invano rincorso la vera gioia, la intima tranquillità, la pace? Il deficiente, che, in ogni epoca, è sempre stato soddisfatto di sé, oggi non si trova con molta facilità. Troppi, invece, sentono l’ « angoscia » d’un animo nauseato, gli spasimi atroci del disinganno, il bisogno d’una vita nuova. Ed è per questo che molti ritornano a Cristo. La morale cristiana suscita nei cuori fremiti nuovi, aspirazioni ed aneliti ardenti. L’etica dell’Amore costituisce una speranza anche per chi non la conosce a perfezione, e che, fra le morse di una esistenza inquieta ed insoddisfatta, la ricerca soltanto col gesto del naufrago che afferra la tavola della salvezza. I credenti, poi, provano la necessità di approfondirla maggiormente e di praticarla con coerenza, con intensità, con fervore. Dopo un’epoca di criminose leggerezze, di superficialità insulsa e di disastri, il problema morale s’impone alla vigile coscienza di tutti, e specialmente delle giovani generazioni, che si affacciano alla vita, decise a creare un avvenire bello e radioso. – Il mio Sillabario vuol essere puramente il piccolo libro per l’una e per l’altra schiera, per coloro che ancora non sono giunti, ma già s’avviano al Cuore di un Dio che li attende e fa sentire ogni giorno più il dolce suo appello imperioso, e per coloro che già respirano, forse con polmoni molto deboli, l’atmosfera buona nella casa del Padre. Perché la lettura riesca proficua, è opportuno accennare ai motivi che rendono oggi ardua l’esposizione dell’etica nostra, ed in pari tempo è necessario sottolineare i criteri che mi hanno ispirato. Difficoltà attuali nello studio della morale cristiana e metodo da seguirsi per poterla comprendere nella sua divina efficacia: ecco ciò che si propongono di mostrare queste pagine introduttive.
I. – Difficoltà attuali nello studia della morale cristiana.
Per tre ragioni ai giorni nostri è ardua impresa enunciare e far capire i principi essenziali dell’etica cristiana. Innanzi tutto, una morale si intuisce meglio, quando ci è insegnata dal libro della vita quotidiana, che non quando si medita su un freddo volume. E, purtroppo, oggi la morale cristiana vissuta si incontra poco di frequente nelle strade, nelle piazze, nelle case, nell’economia, nella letteratura ed in tutte le varie esplicazioni dell’attività umana. Se prescindiamo dalle definizioni filosofiche astratte (le quali con questo Sillabario nulla hanno a che fare, non già perché siano superflue, ma perché non potranno essere apprezzate se non al termine di questo lavoro), possiamo dire subito che la morale del Cristianesimo esige che noi, superando i difetti e le cattive nostre inclinazioni, viviamo come vivrebbe Gesù Cristo. Noi siamo veri seguaci della morale cristiana, quando, in ogni determinata circostanza, pensiamo come vuole Gesù Cristo, quando abbiamo in noi i sentimenti di Gesù Cristo, quando agiamo secondo lo spirito di Gesù Cristo. Un maestro è Cristiano, ad esempio, se nella sua scuola cerca di trattare i fanciulli ed i giovani a lui affidati, come li tratterebbe Cristo. Un padre ed una madre sono Cristiani, se educano i loro figli comenli educherebbe Cristo. Un operaio od un contadino sono Cristiani, quando lavorano come lavorerebbe Gesù, con lo stesso animo, con lo stesso atteggiamento spirituale, chiedendo a sé, ad imitazione di S. Vincenzo de’ Paoli: “Che farebbe Gesù, se Egli fosse al mio posto?”. E subito, a questa prima riflessione tanto naturale e tanto semplice da sembrare lapalissiana, qualcuno, ben consapevole del male a cui si lascia trascinare dalle passioni, avrà un sussulto di spavento e dovrà esclamare: « Allora io non sono Cristiano! Le parole che io pronuncio, soprattuttonnei momenti di rabbia, i discorsi che tengo con gli amici, i metodi che uso nei miei affari, la condotta abituale della mia giornata sono parole che Gesù non avrebbe MAI pronunciato, son discorsi che Egli non avrebbe MAI tenuto, è un metodo di agire che Egli non avrebbe MAI seguìto… ». – Ma non spaventiamoci tanto presto. È certo che il catechismo del card. Bellarmino cominciava con una domanda ed una risposta terribile, anche se per tanti secoli venne dai fanciulli pappagallescamente ripetuta:
— Siete voi Cristiano?
— Sì, sono Cristiano per grazia di Dio.
Ahimè! Se liberiamo il nostro orecchio dal tono monotono della cantilena infantile, e ridiciamo a noi stessi l’interrogazione del Bellarmino, vi scopriamo un significato non sospettato ed insospettabile. Voi siete un mercante, ad esempio. Per realizzare, per caso, un guadagno ragguardevole, imbrogliate il prossimo. E la coscienza vi chiede: « Siete voi Cristiano? ». La cantilena vi muore sul labbro. Il bel « sì, sono Cristiano » dei vostri anni innocenti si è cambiato in una condanna. Voi siete un giovane, un uomo. Non un animale immondo. Ma la passione rugge, insiste, comanda. Vilmente voi cedete. « Siete voi Cristiano ?». La formuletta catechistica è là. Essa vi assolve, o vi rimprovera; vi dà un senso di gioia, o l’assillo d’un fecondo rimorso. Ma, in nome del cielo, nell’anno di grazia che stiamo percorrendo, quanti sono nel mondo che ad ogni istante potrebbero gridare a fronte alta: « Sì, io sono Cristiano »? – Uno scrittore inglese, che col titolo d’un suo romanzo si domandava: « Cosa farebbe il Cristo? » ed immaginava Gesù che, sceso in terra un’altra volta, entrava negli uffici di amministrazione di un giornale di Londra e poi nelle stanze di redazione, ed in nome della sua morale rescindeva contratti di pubblicità, cestinava articoli, mandando al fallimento il giornale, e così press’a poco faceva, portando dovunque la rivoluzione, in altre aziende ed iniziative della attività moderna, poneva un problema che forse sarebbe interessante esaminare. Nella vita dei popoli, delle famiglie e degli individui, possiamo distinguere tre casi a proposito dell’etica nostra.
1. — Spesso la morale di Cristo è simile ad antiche navi, affondate un giorno con preziosi tesori. Occorrono palombari esperti, miracoli di energia e spese ingenti, per riportare sulla terra le vecchie triremi. E se nelle acque di certe coscienze voi doveste frugare e scandagliare il fondo, forse di morale cristiana non trovereste nulla, o quasi, ad eccezione dei resti di un pallido e lontano ricordo, giacenti laggiù come un rimprovero, la cui voce si tenta di soffocare sotto il peso delle colpe quotidiane, sotto le onde delle quotidiane vicende.
2. — Altre volte, frequentissimamente, vedete in pratica una morale, che vi richiama alla memoria il romanzo russo, non certo lodevole nella sua ispirazione, di Demetrio Mereshkowsky: La risurrezione degli Dei. L’umanista paganeggiante Giorgio Merula passava cautamente una spugna umida sui fogli d’una vecchia pergamena sottilissima e delicata; di tratto in tratto raspava con la pomice, lisciava con la lama d’un coltello e col lisciatoio, indi, alzando il foglio contro la luce, lo guardava. Qualche monaco medievale, volendo utilizzare la preziosa pergamena, aveva cancellato le antiche righe pagane e a quelle aveva sovrapposto la sua scrittura, le parole del salterio, le note del canto che accompagnavano i salmi penitenziali. Sopra, si leggeva: « Ascolta, o Signore, le mie preci: ascolta ed esaudiscimi, o Signore. Immerso nel mio dolore, io gemo e sospiro. Il mio cuore freme; ed i terrori della morte invadono l’anima mia ». Sotto, man mano che i caratteri ecclesiastici venivan raspati, comparivano altri caratteri, ombre di antiche lettere, pallide tracce delicate e scolorite, rimaste impresse sulla pergamena: era un inno agli Dei dell’Olimpo ed a Venere: « Gloria al gentil Dionisio, riccamente di pampini cinto… Gloria a te, madre Afrodite, dall’aurato piede, — degli uomini gioia e degli Dei… ». « Vedi? osservava malignamente l’umanista paganeggiante ad un amico Cristiano. Anche tu sei come questa pergamena nella superficie i salmi penitenziali, dentro l’inno ad Afrodite ». – Oh, non è forse questa la storia di molti? Al di fuori una patina di morale cristiana; ma sotto di essa un diavoletto in cuore. E non occorre neppure raspare troppo: i caratteri della superficie di quando in quando scompaiono; la morale pagana appare con tutta la sua fisionomia precisa, fin che un nuovo velo la ricopre ancora… La vita morale di moltissimi è oggi una tale miscela di paganesimo e di Cristianesimo, che vi rammenta la figura del Moro nel romanzo citato, quando, per invocare gli aiuti del Gran Turco, pregò a lungo e con fervore davanti all’immagine d’una Madonna, quell’immagine nella quale la mano di Leonardo da Vinci aveva ritratto le sembianze della contessa Cecilia Bergamini. Oppure, se volete un altro paragone anch’esso di Mereshkowsky, potete pensare a Leonardo, che ideò una colossale statua equestre, il “Cavallo”, in onore di Francesco Sforza, scrivendo sul basamento: « Ecce Deus », e che poi, nel silenzioso refettorio di Santa Maria delle Grazie, aveva dipinto il « Cenacolo ».
— Maestro, balbettò tremando un discepolo, Maestro, perdonate… Io non riesco a capire come avete potuto creare il « Cavallo » ed il « Cenacolo » nello stesso tempo… — Ebbene, che cosa non riesci a capire? — Oh, messer Leonardo! Ma voi, dunque, non lo vedete che è impossibile concepirli insieme?… Insieme! Cristo e un tal uomo, insieme! No, no… — e non trovava parole per esprimere il suo pensiero, si sentiva turbato l’animo all’idea dell’accozzamento di due cose inconciliabili, e non sapeva a chi dei due Leonardo avesse detto con sincerità: « Ecco il Dio! ». – Anche noi non sappiamo a chi tante persone rivolgono il loro « Ecce Deus ». Talvolta ci sembra che lo dicano a Cristo, talvolta all’oro, al piacere, o a qualche altro idoletto, che non riusciamo davvero a conciliare con Dio.