IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (2)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (2)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

INTRODUZIONE (2)

3. — Finalmente anche i buoni, anche coloro che si proclamano Cristiani, spesso presentano una impressionante incoerenza tra la morale che predicano e la morale che praticano. Per non disturbare l’ombra del vecchio Padre Zappata, soggiungeremo che i buoni troppo sovente rassomigliano ai candidi cigni domestici, cari al Moro, e che i soldati di Luigi XII, di passaggio per Milano, facevan bersaglio delle loro frecce. Alcuni cigni, spaventati e colpiti, nuotavano ancora, dondolandosi sull’acqua insanguinata; altri emettevano flebili lamenti, allungavano il collo in un tremito convulso e tentavano ancora una volta, prima di morire, di sollevarsi sulle povere ali ferite. È il simbolo spesso di coloro, che dovrebbero insegnare a fatti cosa sia la morale cristiana e che, invece, si lasciano colpire dalla freccia della colpa. – Si potrà osservare, non a giustificazione, ma a spiegazione di questo fatto, che tutti noi nasciamo col peccato originale, che mille cattive tendenze cercano di trascinarci al male, che la vita morale è una perpetua battaglia senza un istante di tregua. Tutto questo è da ammettersi come un’innegabile verità. Ma subito bisogna soggiungere che le infrazioni continue alla legge morale creano un ambiente sociale dove le insidie ed i pericoli si incontrano ad ogni passo, formano un’atmosfera dove si cerca di attutire le proteste silenziose delle coscienze col pretesto che tutti cascano fatalmente e che bisogna seguire l’andazzo comune, riempiono il mondo delle anime di stonature disastrose. L’etica cristiana è simile ad una musica splendida ed armoniosa; perché tutti la imparino, la apprezzino, ne rimangano estasiati ed uniscano la loro voce, è necessario che vi sia un coro numeroso, educato e possente, che canti; in questo caso, anche chi non conoscesse le note e non sapesse leggere una pagina di musica intenderebbe ed apprenderebbe. Non per nulla i migliori maestri di morale sono i Santi, che costringono anche gli avversari del Cristianesimo ad ammirare ed a plaudire. Dinanzi a un Vincenzo de’ Paoli o a un Giovanni Bosco, è impossibile rifiutare il consenso entusiastico, anche se si vive sull’opposta sponda. Al contrario, perché oggi non sempre si riesce a trascinare gli spiriti contemporanei alla morale del Vangelo? Perché i valenti maestri di musica, capaci di cantare con la vita loro l’etica nostra, sono piuttosto rari, mentre innumerevoli sono i maestri ed i cantori stonati. Anzi, per uno strano pervertimento di idee, si ritiene dai più che i Santi sian da lasciarsi alla devozione della minuscola schiera dei pii e degli asceti, o, per continuare il paragone, siano soltanto maestri di musica sacra, adatta per le chiese; fuori del tempio, ci vuole un’altra musica, un altro tono, un’altra morale! È vero. Di fronte alle deficenze descritte, per rialzare il livello morale che va sempre più abbassandosi, sono intervenuti i filosofi coi loro sistemi. La filosofia aspirerebbe ad essere il surrogato della Religione nel campo dell’etica e, come tutti i surrogati, per parecchio tempo è riuscita ad illudere l’ingenuità e l’imbecillismo umano. Ma oggi, c’è forse qualcuno ancora, che ritiene, proprio sul serio, di poter sostituire alla morale di Cristo il sistema d’un pensatore? Siete proprio convinti di formare un giovane alla virtù ed all’eroismo con le teorie pullulanti e necessario nel mondo filosofico?… Io vi invito a pensare alla moltitudo che canti; dine di dottrine morali contraddicentisi, che sono sorte nel

e non sa- secolo XIX ed in tutta la prima metà del secolo XX! Gli utilitaristi hanno sostenuto che la morale si fonda sull’utiile; Kant ha insistito sul pensiero che, dove c’è la preoccupazione dell’utile, non c’è la morale e che quest’ultima dev’essere basata sul dovere; Nietzsche ha disprezzato l’etica comune ed ha sognato la morale del superuomo; Marx ha tentato la riduzione della morale all’economia, facendo anche del dovere una questione di stomaco; Ruskin vi ha esaltato la morale della bellezza; Comte ed il positivismo vogliono la morale dei fatti, la morale scientifica; alcuni negano il libero arbitrio e col Taine dichiarano che la virtù è un prodotto necessario come il vetriolo e lo zucchero; Freud deride la morale, perché ogni nostra attività per lui non è se non un prodotto della sessualità. Parecchi amarono rifugiarsi fra le braccia degli antichi stoici ed invocarono Epitteto, Marco Aurelio e Seneca; altri si diedero in braccio al pessimismo o allo scetticismo morale; altri pensarono di portare fra noi le dottrine di Buddha; James ed il pragmatismo anglo-americano vollero fondare il pensiero sulla morale, mentre l’idealismo eresse l’etica sul pensiero ed arrivò ad asserire che, per salvare la morale, bisogna cominciare ad ammettere che tutto è Spirito, tutto anzi è atto di pensiero, dal Monte Bianco all’America… Insomma, questi filosofi moralisti assomigliano ad un gruppo di medici, in stridente contrasto tra loro, che discutono intorno al letto dell’agonizzante. Ed oggi, in tutto il mondo, non c’è più nemmeno un sistema che regga; è il crollo delle ideologie filosofiche, è la confusione babelica delle menti e delle lingue; e se qualcuno dovesse sul serio affermare che la salvezza della morale sarà dovuta, ad esempio, alle correnti esistenzialistiche, problematicistiche, irrazionalistiche e vitalistiche recenti, tutti scoppieranno in una sonora risata allegra. – Con la spudoratezza più sfacciata gli stessi creatori dei recenti sistemi ce lo dichiarano apertamente. Forse nulla di più esplicito c’è, a tale proposito, d’una pagina di Sartre, che nel suo volumetto: “L’existentialisme est un humanisme”;scrive: « Quando verso il 1880 alcuni professori francesi tentarono di costituire una morale laica, essi dissero press’a poco questo: Dio è un’ipotesi inutile e dispendiosa; noi la sopprimiamo; tuttavia è necessario, perché vi sia una morale, una società, un mondo civile, che certi valori siano presi sul serio e considerati come esistenti a priori: è necessario che sia obbligatorio a priori di essere onesti, di non mentire, di non picchiare la propria moglie, di far dei figli ecc. Noi, dunque, faremo un piccolo lavoro che permetterà di mostrare come questi valori esistano egualmente, scritti in un cielo intelligibile, quantunque d’altra parte Dio non esista… Nulla sarà mutato se non esiste Dio: noi ritroveremo le stesse norme di onestà, di progresso, di umanesimo; e noi avremo fatto di Dio un’ipotesi superata, che morrà tranquillamente da se stessa.

« L’esistenzialismo al contrario — prosegue il difensore dell’esistenzialismo ateo francese — pensa che con Dio scompare ogni possibilità di trovare dei valori in un cielo intelligibile. Non vi può essere un bene a priori., perché non v’è coscienza perfetta ed infinita per pensarlo. Non è scritto in nessuna parte che il bene esista, che bisogna essere onesti, che non bisogna mentire, perchè precisamente noi siamo su un piano ove vi sono soltanto degli uomini. Dostojevski aveva scritto: — Se Dio non esistesse, tutto sarebbe permesso. — Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo ». Ed insieme con Sartre, romanzieri francesi, inglesi e di ogni parte del mondo abbandonano la morale alle « anime belle ». Il peggio è che questi edifici filosofici, se da un lato sono impotenti a formare una coscienza, dall’altro, quando crollano, sollevano un nugolo di polvere densissima, che rovina gli occhi, cosicché dinanzi alla morale cristiana vi sono ciechi, presbiti, miopi ed orbi in quantità, divenuti tali per colpa dei sistemi. I filosofi hanno inoculato in tutti un numero immenso di pregiudizi, di idee balorde, di asserzioni infondate a proposito dell’etica cristiana, tanto che non è lieve il compito di far brillare quest’ultima alla mente ed al cuore dei nostri contemporanei. Senza paura di sbagliare, io sono convinto che il presente Sillabario rivelerà un mondo nuovo ad alcuni studiosi moderni. Essi conoscono così poco la morale cristiana, che la ritengono fondata unicamente sul premio o sul castigo, sul paradiso o sull’inferno; e perciò ad essa preferiscono le forme molto più nobili della morale disinteressata! Persino i grandi pensatori, da Emanuele Kant agli idealisti italiani recenti, non vi offrono prove troppo consolanti di conoscenza della morale nostra. Mi voglio limitare ad un esempio. – Prendo fra le mani la Filosofia della pratica di Benedetto Croce e leggo: « L’affermazione che l’atto morale è amore e volizione dello Spirito in universale si trova nell’Etica religiosa e cristiana, nell’Etica dell’amore e della ricerca ansiosa della presenza divina. questo il carattere fondamentale dell’Etica religiosa, la quale ai volgari razionalisti e intellettualisti, ai così detti liberi pensatori, ai frequentatori delle logge massoniche, per angusta passione di parte o per manco di finezza mentale, rimane ignota. Non c’è quasi verità dell’Etica.., che non si possa esprimere con le parole, che abbiamo apprese da bambini, della Religione tradizionale, e che spontanee ci salgono alle labbra come le più elevate, le più appropriate, le più belle; parole, di certo, impregnate ancora di mitologia, ma, insieme, gravi di contenuto filosofico ». Dinanzi a queste espressioni, voi quasi sospettate che il Croce sia un propugnatore dei principi della morale cristiana. Ma no, abbiate pazienza, volgete qualche pagina e leggerete ancora: « Il divorzio (può essere) altamente morale o profondamente immorale, secondo i tempi e i luoghi: e solamente l’angustia mentale o l’ignoranza può mettere fuori dell’umanità, o credere viventi e persistenti nell’immoralità, popoli che praticano il divorzio o il matrimonio indissolubile… Immorale, irrazionale e innaturale non è neppure la poligamia o il libero concubito, una volta che è stata istituzione considerata legittima in certi tempi e luoghi; e neppure, staremmo per dire (per quanto ripugni al nostro cuore, e al nostro stomaco, di europei inciviliti) l’antropofagia, perché, anche tra gli antropofagi, c’erano (speriamo si vorrà convenire) uomini che si sentivano nella più limpida coscienza di sè medesimi, onestissimi, e che, ciò nonostante, mangiavano il loro simile con la stessa tranquillità con cui noi mangiamo un pollo arrosto, senza odio per il pollo, ma sapendo di non poter fare, almeno per ora, altrimenti! ». E si noti: Benedetto Croce, nello stesso volume, non dubita di riconoscere che « dopo il Cristianesimo, a nessuno che non sia parolaio o stravagante, è dato di non essere Cristiano! ». Ahimè! Il Cristianesimo vero sta a questo Cristianesimo crociano, che ammette in certi casi la moralità del divorzio, del libero concubito e dell’antropofagia, come pressappoco l’Amore cristiano sta al libero amore del dissoluto. Ed ancora una volta noi ci domandiamo: è possibile che da simili teorie moderne, che giustificano ogni oscenità ed ogni delitto, possa venire la soluzione del problema morale? A rendere ancora più malagevole il compito di esporre la morale cristiana, si aggiunge finalmente la scarsa conoscenza della morale di Cristo, fra gli stessi credenti. Molti ignorano persino alcuni precetti della morale; moltissimi ignorano il motivo dei precetti. Comandi e divieti della legge etica ad alcuni appaiono cervellotici e non so quanti saprebbero giustificare gli stessi atti buoni che compiono. Ecco, ad esempio, le signore dei giorni nostri, che si stupiscono della lotta del Papa e dei Vescovi contro la moda sguaiata ed i balli immorali; ecco le domande di chi vorrebbe sapere il « perché » della purezza negli anni giovanili ed il « perché » la famiglia non debba essere profanata da vizi obbrobriosi; ecco parecchi Cristiani che mangiano di magro al venerdì, ma non conoscono affatto la ragione per cui la Chiesa impone l’astinenza ed i digiuni; ecco le deliziose pretese di chi crede che la morale cristiana abbia diritto di esistere solo fra le pareti del tempio, mentre fuori, nella vita sociale, nell’economia, nella politica, nella scuola e nell’arte, deve regnare un’altra morale, tutta differente e magari opposta alla prima. Purtroppo, se è immensa l’ignoranza dei dogmi, più vastane più profonda ancora è l’ignoranza della morale; ed il peggio è che tutti si stimano sufficientemente istruiti in materia! Almeno, per ciò che si riferisce al contenuto dogmatico della rivelazione, il credente, ignaro di teologia, rifugge dal dissertare intorno al mistero della Trinità, o alla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio; ma, in morale, tutti si giudicano competenti e scambiano l’amore soprannaturale di Dio e del prossimo con l’amore che per Dio e per il prossimo avremmo avuto in un puro ordine di natura. – La vita pagana che ci circonda, le nubi causate dai sistemi filosofici, l’ignoranza di molti Cristiani in fatto di morale creano mille ostacoli a chi vuol esporre ed inculcare la morale cristiana, tanto più se non vuol racchiuderla in quattro tesi, esattamente formulate, ma necessariamente fredde, o se non vuole spaziare in quel commento dei singoli comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa, che ci dànno i nostri grandi trattatisti di teologia morale, guidati da un santo geniale, sant’Alfonso de’ Liguori, commento necessario, che però presuppone la conoscenza dell’idea-madre della morale di Cristo.

2. – Norme metodiche.

Poche parole riassumono il mio criterio direttivo: questo Sillabario vuol essere soltanto una semplice esposizione sistematica dei principi informatori della morale cristiana. Vi sono molti manuali nostri; vi sono opere egregie (basterà nche accenni alle migliori, quelle del Cathrein e del Tillmannn sulla filosofia morale, tradotte in parecchie lingue ed anche in italiano), dove si può trovare la descrizione dei singoli sistemi di etica, la loro confutazione ed il confronto fra essi e l’etica cristiana; altri volumi sono utilissimi, ma non rispondono alle finalità che io mi sono prefisso. La realtà è che molti ai giorni nostri conoscono a fondo la Critica della ragion pratica di Kant, i Ricordi di Marco Aurelio, il Manuale di Epitteto, le Lettere a Lucilio di Seneca: conoscono Epicuro e Hegel, Giove e Maometto; ma non hanno mai avuto la preoccupazione di esaminare da vicino la morale di Cristo. Un’esposizione semplice ed esatta, senza preoccupazioni d’indole filosofica, e che riguardo ai vari sistemi di etica si limiti ad accenni indispensabili per lumeggiare meglio con qualche raffronto il pensiero cristiano, può essere per loro provvidenziale. Soprattutto, però, io mi indirizzo ai credenti, a coloro che frequentano la Chiesa, ascoltano prediche, si accostano ai Sacramenti; e dico loro: « Questo Sillabario è per voi; meditatelo; forse vi rivelerà per la prima volta non i precetti e le leggi della morale cristiana, ma il loro spirito vivificatore. Forse la morale di Cristo voi la conoscete come un amico, col quale parlate, trattate, discutete, ma che solo avete potuto considerare alla superficie, e non mai avete colto in quell’intimità profonda del suo io e del suo carattere, la quale vi spiegherebbe ogni suo gesto, ogni atteggiamento, ogni sorriso ed ogni frase. Credete a me, che vi parlo in nome dell’esperienza: anche nel campo nostro, spesso si ignora ciò che sarebbe doveroso sapere per vivere cristianamente. E quando si vuol curare una simile piaga, si ricorre non di rado ad un rimedio stranissimo (che risponde al metodo dell’apologia per chi non sa nulla di dogma): si fa, cioè, l’esposizione e la critica di tutti gli altri sistemi di morale! Quale insulsaggine e quale pericolo! Sarebbe come se io avessi bisogno di nutrirmi e morissi di fame, e venisse uno che, invece di darmi subito del cibo buono, cominciasse a farmi gustare e sputare a terra tutti i veleni conosciuti, tanto per dimostrarmi che non sono pane nutriente. A questo modo, mi rovinerebbe il palato, ed io minaccerei di morire per denutrizione! ». Preferisco quindi un altro criterio. E mi spiego. La dottrina morale nostra è il cibo necessario per agire soprannaturalmente bene e per risolvere cristianamente il problema della vita. Invece di ammannire i diversi sistemi errati, ritengo sia indispensabile offrire il pane sicuro. Cominciamo ad avvicinarci a Cristo e ad apprendere da Lui l’insegnamento vitale: in venti secoli ha certamente plasmato più anime e suscitato più energie spirituali il Vangelo, che non tutti gli altri filosofi messi insieme. Non vi pare che io abbia ragione? Anzi, dirò sii più. Una segreta speranza mi sorride nel cuore. Quando avremo ben afferrato l’anima dell’etica cristiana e ne sentiremo il palpito e la coglieremo nella sua forza interiore e nel suo dinamismo, ognuno potrà dare uno sguardo, per conto proprio, ai diversi sistemi morali: ed un fenomeno impreveduto colpirà la nostra gente e ci canterà la verità: l’errore non sussisterebbe senza questo nucleo di vero, che lo rende affascinante e che seduce per un poco lo studioso. Tutte queste particelle di verità esagerate e deformate nei singoli sistemi, la morale cristiana le ha in sè sintetizzate in un mirabile organismo e le integra, le coordina e le vivifica. Se giungeremo a questa conclusione, quale prova intrinseca non avremo mai raggiunto della verità della dottrina nostra! Ad una esposizione soltanto, dunque, io miro con tutti i miei sforzi; ma — soggiungo — ad una esposizione sistematica, che ci faccia intendere la morale cristiana nella sua unità organica. – Tre, di conseguenza, sono gli intenti che mi sono prefisso:

a) La morale cristiana è una pianta, che ha come radice il dogma. Chi volesse capire quella, prescindendo da questo, è un superficiale. E di superficiali, che del Vangelo vorrebbero ritenere i precetti dell’Amore, sacrificando la loro base dogmatica, è pieno il mondo. Il sentimentalismo, imperante anche là dove meno lo si penserebbe, ha messo in voga l’ammirazione per il Sermone della montagna, ma non per la Trinità, per l’incarnazione, per il Calvario, e per l’inferno. « Dalle regioni dell’idea e dei principi — osserva energicamente il P. Giuseppe Tissot nella sua classica operetta La vita interiore semplificata e richiamata al suo fondamento — si è discesi al basso livello delle emozioni e dei sensi. Nella vita pubblica come nella privata, nella vita intellettuale come nella vita morale, nella vita spirituale stessa si cercano troppo sovente le emozioni, si vive troppo facilmente dei sensi. La vita tende ad animalizzarsi e a non essere più che una serie di sensazioni ». Le lacrimucce dei cuoricini teneri tentano di sostituire il soprannaturale; la sdolcinatezza ingannatrice illude molte anime e le persuade di essere seguaci della austera severità della Croce, quando non sono se non le vittime inconsce dei fumi del sentimento. Dobbiamo, a questo punto, confessare la verità dura, insieme con questo uomo di Dio non sospetto, quale è il Tissot. – La colpa del male è « di quei libri di pietà, che pullulano da ogni parte, e la cui scienza consiste nel muover la sensibilità. Guarir l’anima con emozioni, allorché il male è nell’intelligenza!… Veramente è voler guarire una malattia di petto con un po’ d’unguento sul piede! È tutto lì il valore di quei libri. Chi ci ridarà la parte teologica delle grandi età di fede?… È davvero il caso di domandarsi se il fiore, ahimè!, troppo fecondo, della letteratura sentimentale in fatto di pietà, non sia un flagello altrettanto disastroso, quanto la letteratura immonda, che ci insozza coi suoi successi osceni. Poiché, alla fin fine, il libro immondo non si rivolge che alle anime che gracidano nelle paludi. Ma i libri di pietà si rivolgono a quelle anime superiori, a cui Dio ha affidato la missione di attirare in alto e di sollevare i popoli. Forse che non portano un contraccolpo più esteso, più terribile alla società questi libri che sminuiscono e fanno intristire le anime, le quali non potranno più sollevare, perché esse medesime non si elevano?… Sono i dogmi che fanno i popoli, scrisse il De Bonald; ed è questa una delle più profonde sentenze del profondo pensatore. Se essi fanno i popoli, fanno pure gli individui. « Io non cesserò di dirlo come di crederlo — nota il De Maistre, altro gran pensatore —; l’uomo non vale se non per quello che crede. È l’indebolimento della verità, che porta in mezzo agli uomini la scomparsa della santità ». – Bisogna avere anche il coraggio di aggiungere che talvolta, persino nelle nostre chiese, si incontra qualche predicatore che casca nell’identico difetto. Talvolta non si riesce a distinguere certe prediche cristiane dai discorsi di un filosofo sulla bontà, sul dovere, sulle virtù. Spiegano ed illustrano ottime cose, che però uno stoico antico e moderno potrebbe ripetere; sembrano gli araldi non di una morale cristiana, ma puramente d’una morale umana. Il dogma, il soprannaturale esula da questi sermoni, che potrebbero definirsi conferenze quasi filosofiche per gli stomachi deboli, rese brillanti da voli oratori e da scene sentimentali. Tali metodi bisogna lasciarli alle varie Unions pour raction morale, spuntate in Francia ed altrove e che col Desjardins e col Séailles rivolgevano a tutti l’invito di stringersi intorno ad un programma esclusivamente morale. Il Cattolico ed il protestante, colui che crede alla divinità di Cristo e colui che non crede, gli ammiratori di Buddha e di Confucio, gli adoratori di un Dio e l’ateo persuaso che il cielo sia vuoto, i propugnatori dell’immortalità dell’anima ed il positivista, dovrebbero allearsi, d’accordo tutti in un unico proposito: il dovere di riformare se stessi, di educare la propria coscienza, di sacrificarsi con abnegazione al bene degli altri uomini. – Dopo la prima grande guerra, la corrente capitanata dall’arcivescovo luterano di Upsala, il dott. Siiderblom, col grido: « For Life and Work, per la vita e per l’azione», raccolse a Stoccolma la Conferenza per l’Unione delle Chiese. Anche là la stessa illusione d’una morale non fondata sul dogma, che divenisse la piattaforma per riunire le varie sette protestanti, regnò nelle discussioni, coronate dal discorso del Principe ereditario di Svezia, che fra gli applausi dichiarò: « Questa Conferenza di cristianesimo pratico ha dimostrato nel modo più esauriente che l’unità delle credenze non è affatto necessaria per creare uno spirito di reciproca comprensione fra gli uomini». Noi a simili organizzazioni per l’azione morale ed a simile Cristianesimo pratico, non poggiati sulla verità e sul dogma, non crediamo; sono « nubi senz’acqua »; sono piante, ripeto, che possono apparire attraenti, ma prive di radici; sono scimmiottature grossolane. Nulla hanno a che fare con l’etica del Vangelo, la quale si innalza sul dogma ed è ispirata da esso.

b) Unita al dogma, la morale cristiana è da ripensarsi altresì nell’unità dei suoi comandamenti. Come in un albero molti sono i rami, le foglie, i fior ed i frutti, ma unico è l’albero ed unico è il soffio vitale che spiega la molteplicità delle sue manifestazioni, così nella morale nostra vi sono bensì molte leggi, dai comandamenti di Dio ai precetti della Chiesa; e non mancano utilissime illustrazioni e spiegazioni di ognuno di essi. Noi, però, in questo Sillabario non vogliamo fermarci al momento della molteplicità; vogliamo piuttosto risalire all’unità, che è la ragione ultima dei diversi imperativi categorici e dei consigli della morale di Cristo. Al termine di questo libro, dobbiamo vedere, ad es., con chiarezza, perché il furto è proibito, perché anche il pensiero disonesto è da condannarsi, perché dobbiamo evitare lo scandalo e fare elemosina al povero e via dicendo; ed ognuna di queste cose ci apparirà nell’organicità sistematica d’un tutto, dove si comprende il « perché » d’una proibizione, ovvero d’un comando o d’un consiglio. Non si confonda, quindi, lo scopo nostro col programma di altri lavori, lodevolissimi ed indispensabili, che fanno passare in ogni punto ed in ogni parola le tavole della legge di Mosè, le prescrizioni della Chiesa e così via. Noi non vogliamo scrutare, magari col microscopio, ramo per ramo, foglia per foglia, fiore per fiore, frutto per frutto; vogliamo invece penetrare nell’unità dell’organismo, per assistere al suo sviluppo ed alla sua perenne rinnovazione, nella conservazione del suo principio vitale.

c) Finalmente, un’altra esigenza di unità è richiesta da questo Sillabario. Quando nelle scuole del catecumenato dei primi secoli si preparava alla conversione un pagano e lo si orientava alla rigenerazione, non solo al catecumeno veniva insegnata, col dogma, la dottrina morale di Cristo, ma gliela si faceva praticare. Nel tempo che precedeva il Battesimo, il futuro Cristiano cominciava a vivere la nuova vita e metteva in atto la legge etica, che adagio adagio gli veniva spiegata. Era, questa, la miglior disposizione alla conversione è la dimostrazione più chiara della bellezza della fede. – Come oggi per la fisica e per la chimica, io entro in un laboratorio, faccio un esperimento, e, se l’esperimento riesce, resto sicuro d’una legge che regola la natura materiale, così per la morale, io entro nel laboratorio della vita, applico le norme dell’etica cristiana ed ho la prova sperimentale della sua bontà. In altre parole, per capir bene la morale cristiana bisogna viverla; e non senza grande sapienza il santo Curato d’Ars ai peccatori, che accorrevano a lui per proporgli dei dubbi contro la Religione, indicava l’inginocchiatoio e l’invitava dapprima a confessarsi. Purificati dalle loro colpe, venivano subito attratti dal fascino della morale e del Credo; e, vivendo secondo il nuovo programma, non dubitavano più. Non basta l’unità di dogma e di morale; non basta neppure l’unità organica delle varie parti della morale fra loro; occorre l’unità della dottrina morale con la vita vissuta: soltanto con questo metodo si può affrontare con sicurezza il problema che interessa ciascuno di noi, le famiglie, la scuola, la vita sociale, la patria, la Religione, la nostra eternità.

3. – Conclusione.

Il giovane israelita imparava gli elementi della sua lingua nazionale ed i grandi principi regolatori della sua condotta dal salmo 118. È il salmo acrostico od alfabetico, che venne definito l’abbecedario dei figli d’Israele e che, sotto svariate forme, svolgeva un solo pensiero: l’osservanza delle leggi divine. –

Felici gli uomini di condotta integra, che procedono secondo la legge del Signore. Felici quelli che ne osservano le istruzioni e con tutto il cuore cercano Lui, né punto commettono iniquità, ma camminano sulla via di Lui. . . . Osserverò sempre la tua legge, costantemente, fino all’ultimo, e riporrò le mie delizie nei tuoi comandamenti. da me tanto amati… Bramo da Te la salute, o Signore… I tuoi comandi non li ho dimenticati.

(Trad. di P. Vac.)

Noi vorremmo oggi che le coscienze giovanili e le anime tutte intonassero un altro salmo, il salmo della vita cristiana, la cui eco sarebbe più possente delle voci degli antichi leviti e dello squillo delle trombe d’argento, che ne accompagnavano i canti nel tempio di Gerusalemme. Questo Sillabario è un appello fraterno, perché l’inno si elevi.e si diffonda ovunque.

Riepilogo

Molti, oggi, fra i credenti e gli stessi increduli, sentono vivo il bisogno di conoscere e di approfondire la morale cristiana. L’esposizione di essa, però, presenta varie difficoltà, che solo si possono superare, seguendo un metodo opportuno.

1. Le difficoltà attuali che si incontrano nello studio della morale cristiana sono specialmente tre:

a) La morale viene facilmente compresa, quando è cantata dalla vita vissuta, non quando la si medita solo sulle pagine fredde d’un libro. Oggi, invece, la vita che ci circonda non ci ripete l’inno dell’etica cristiana, poiché: 1° alcuni vivono paganamente, senza neppure un soffio di idealità cristiana; 2° altri nella loro vita uniscono in un miscuglio obbrobrioso Cristianesimo e paganesimo; 3° spesso, anche nei buoni, si nota una impressionante incoerenza tra la morale che predicano e la vita che conducono.

b) La filosofia ha cercato di sostituire alla morale cristiana i surrogati dei suoi vari e variopinti sistemi; i quali, non solo sono praticamente inefficaci o dannosi, ma hanno anche diffuso un mondo di pregiudizi a proposito della morale cattolica. Simili pregiudizi, osannando le menti, hanno reso arduo il compito di mostrare ad esse, nella aia vera natura, la morale di Cristo.

c) Finalmente l’ignoranza della morale cristiana è quanto mai grave. Alcuni non ne conoscono i precetti; altri, e moltissimi, non ne sanno Io spirito vivificatore. E tutti credono di averne una nozione esatta e precisa.

2. Per rimediare a queste difficoltà, il presente Sillabario seguirà le norme metodiche seguenti:

a) non esporrà i singoli sistemi filosofici di etica;

b) non commenterà comandamento per comandamento la legge morale nostra.

a) si limiterà ad una esposizione della morale cristiana;

b) procurerà di offrire una esposizione sistematica di essa, tale cioè che appaia chiaramente:

1) l’unità fra la morale ed il dogma, come fra la pianta e le radici;

2) l’unità fra i vari comandamenti e precetti della morale, come fra i rami d’un albero;

3) l’unità che ci deve essere fra la dottrina morale e la vita nostra.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (3)