LO SCUDO DELLA FEDE (255)

LO SCUDO DELLA FEDE (255)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (24)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

CAPO I.

Ci affrettiamo qui di confessare, che ben conosciamo di non poter compiere l’opera nostra, massimamente in questa parte in che ci resta di trattare del Ringraziamento. I Santi stessi in Paradiso fanno principal officio di lor beatitudine rendere a Dio benedizioni e grazia, senza mai saziarsene per tutta l’eternità. Anche la Chiesa pare che pensi di non poterlo far pienamente. E di fatto si prova per poco con qualche devotissima giaculatoria, e poi si tace: quasi creda meglio lasciare alle anime, che si sfoghino sole con Dio, e gli dicano nel silenzio del labbro di quelle parole ineffabili, che lo Spirito Santo lor verrà suggerendo. Ma, per dirne pure qualche cosa, osserviamo con sant’ Agostino (Ephes.) , come dopo di aver partecipato a così gran Sacramento, lazione di grazie conchiude tutti i Misteri. La Chiesa poi per invitarci a questo ringraziamento mette in un’acclamazione, una tenerissima giaculatoria (e questa giaculatoria nel rito è detta Comunione). Poi saluta i bene amati suoi figli con ripetere: « Dominus vobiscum. » Così ai benedetti suoi figli dà un abbraccio per dire loro: « eh siamo ben fortunati ! » Li fa pregare ancora un istante, almeno con una parola di sfogo che dice al loro cuore invitandoli all’orazione detta Post-eommunio. Finalmente nel dare commiato coll’ Ite Missa est, li benedice solennemente, ed accennando loro nell’ultimo Vangelo di contemplare ancora il Verbo di Dio in Paradiso, e che abita ancor tra noi, li manda a ringraziare Dio per tutta la vita. Tratteremo di tutto questo nei seguenti articoli.

ART. I.

ORAZIONE DETTA: COMUNIONE.

In tutta questa operetta, con quella povertà di concetti alla meglio che per noi si é potuto, abbiam cercato di esporre, come ben sappia la Chiesa trattar con decoro lo sposo suo celeste, e mostrare la sua felicità di comunicare sull’altare con Dio. Noi lo abbiam contemplato. Qui bisogna dire che gli antichi sacerdoti santissimi coi fervorosi fedeli gustassero ben addentro il dono di Dio, e provassero beata sorte di questa comunione divina. Sull’altare per loro era il cielo, e sovrabbondanza di gaudio più che celeste, dove godevano intimamente Iddio. (Imit. Christi, l. 4). Quindi nell’estasi del loro gaudio, anche pel desiderio d’aver tutti a parte di tanta loro felicità, non sapevano fare altro che esclamare: « gustate et videte quoniarn suavis est Dominus! » Il perché vi fu un tempo, in questo versetto non si variava mai; ed in tutte le comunioni si sentiva ripetere: « fate prova, gustate e sentirete quanto é soave il Signore!» Quando poi la comunione del popolo era più numerosa, si recitava l’intiero salmo 33, da cui sono tratte quelle parole: e come si usa ancora, si cantavano altri salmi e cantici spirituali, per ammaestrare, consolare il popolo, ed interpretargli i suoi più intimi sentimenti col Signore, che tanto con lui si degna. – Ora la Chiesa sceglie un versetto dei libri santi, il quale si riferisce al mistero che si festeggia, ed alla grazia che Gesù comparte a chi degnamente lo riceve; od anche alle virtù che esercitarono in Gesù i Beati; e sovente alla grande beatitudine di essere uniti con Gesù Cristo, Redentore e Dio nostro, nel Sacramento. Ecco per lo più i sensi della orazione detta communio. Noi intanto pensiamo a quel popolo di comunicati: e nel loro fervore ci pare di sentirli ripetere: « lo proviamo, sì, lo proviamo, quanto è soave il Signore! »

La Comunione generale.

Anche ai di’ nostri non vi è più commovente spettacolo, né più edificante della Comunione generale di un intero popolo (È bella cosa far la Comunione Generale? Rispondiamoche puòessere utile quando si ha copia di confessori. Eppure anche in questo caso da’ luogo a disordini. L’esperienza ci ha allontanati da questa pratica. Noi ci rimettiamo alla prudente altrui pietà). Noi lo proviamo nelle missioni e negli esercizi spirituali. In quelle occasioni un missionario, vogliam dire un apostolo, o novello profeta del Signore, che nella sublime semplicità del Verbo di Dio rivela coll’eloquenza della carità i misteri delle anime, e dell’amor divino, richiama il popolo come una famiglia di figliuoli innanzi al Padre celeste. A loro mette davanti coi loro torti i loro doveri, e fa ad essi i più severi rimproveri: ma gli addolcisce colle lagrime di sua pietà: anche fa uso di tutto il terrore della parola divina, e coi più potenti colori fa loro vedere innanzi l’inferno, che sta per ingoiarli in peccato, in morte eterna; gli scuote, gli agita e fa che atterriti cerchino solleciti di gettarsi tra le braccia della misericordia di Dio, e di assicurarsi il Paradiso: e termina la sua missione con l’accoglierli in seno, confortarli colle più sicure speranze, e riconciliarli con Dio. Allora chi rappresenta il padre del popolo, il parroco, celebra il gran Sacrificio in mezzo a’ suoi fratelli commossi; ed a loro rivolto dice: « ecco Gesù, o cari amici: dai travagli che vi angustian la vita venite a ristorarvi in seno a Dio. » In questo mentre risuona la Chiesa di cantici spirituali; il Cielo è aperto sopra del tempio, i beati fan eco di Paradiso, e gli Angioli scendon a corteggiare il Signore, e fanno corona ammiranda ai fedeli che lo ricevono. Noi diciamo quello che abbiam sentito a ripeterci, « che per un buon pastore è questo il più bel giorno della sua vita. »

ART. II.

DOMINUS VOBISCUM.

Ritorniamo a contemplare il Dacerdote, che esilarato il suo cuore in questa giaculatoria (che figura l’allegrezza che ebbero i fedeli per la risurrezione (IInnoc. III , Myst. Miss. lib 6 c.10) del Signore, va in mezzo all’altare, v’imprime un bacio divoto, e si volge al popolo. – Il Sacerdote sembra proprio che faccia come la Maddalena ed i discepoli. Era già risorto Gesù. Maria Maddalena, quella benedetta, che già provate le consolazioni divine, seduta ai piedi del Salvatore, dovette tenergli dietro colla sua Madre fin sotto la Croce! Colei, che lo vide morire, e morto lo baciò in seno a Maria SS. e le membra lacerate unse dei balsami più preziosi e fasciò di bende, ed involtolo nella sindone, aiutò a comporlo nel sepolcro: colei adunque era tornata, dove la voleva il cuore prima del di: ma non trovato nel sepolcro Gesù, s’aggirava esterrefatta intorno a quella vuota tomba, e col suo guardare attonito pareva che interrogasse fino le piante e i sassi, se le sapessero dire del suo Diletto! Quando improvviso appare innanzi Gesù, che le dice, a farsi riconoscere: « Maria! » Ella mette un grido: « o Maestro!…» e gli cade ai piedi. E Gesù le disse d’andare e rallegrare i suoi discepoli, e dir loro che li avrebbe consolati di sua apparizione fra breve. Maddalena s’alza dai piedi di Gesù e corre ai discepoli (Giov. XX). Questi avvisati che il divino Maestro era risorto.., ed. oh! sel videro a porte chiuse apparire davanti in gloria di risurrezione… Pareva non credessero ai proprii occhi! E Gesù: « vedetemi, son proprio io qui con voi, toccatemi, in carne ed ossa risuscitato (XX,19): e tu, Tommaso, metti il dito nelle mie Piaghe, mettidentro la mano in questo mio Costato: » poi farsi conoscere nella frazione del pane (Luc.XXIV, 30-31) e mangiare con essi. Gli Apostoli rapiti a Lui in quella gloria, giubilavano del suo trionfo. Poi Gesù disse: ricevete lo Spirito Santo per rimettere tutti i peccati; quasi dicesse: mettetemi la mano nel Cuore, e col mio caldo Sangue lavatemi l’anime in confessione, e dite alle genti, che vengano a trovar la pace in cuore a me in Comunione, spingeteli a venire tutti a me colle più calde esortazioni. Consolanti misteri ricordati dal Sacerdote, che dopo la Comunione appare in mezzo all’altare: e rappresenta Gesù risuscitato che apparve a quei pii. Erede egli e depositario di tanto tesoro di grazie, col cuor diviso tra Dio e il popolo, come Gesù nell’istante di salire al Padre (Ben.XIV, lib. 2, c.24 n. 4), sfoga in Dio la pienezza del suo contento, ciò che non può far meglio che con un bacio mandare il cuore a Gesù (bacia l’altare). Poi si getta colle braccia larghe in seno al popolo a versargli l’abbondanza della Redenzione: e per dire tutto, non trova miglior espressione di questa: « Dominus vobiscum; il Signore sia con voi. » E il popolo con fervore intenerito rispondegli: « Et cum spiritu tuo; e collo spirito tuo sempre il Signore. » Trovandolo così seco in armonia di carità, « ah! preghiamo adunque, gli dice, ancora il nostro buon Dio insieme, Oremus; » e va al lato del crocifisso, cara immagine del suo Dio, del suo Diletto, che ha nel cuore, ad innalzare la preghiera in nome di tutti. Colla persona ben amata dinanzi quanto è cara cosa contemplare il ritratto! Nel Sacerdote ricordiamo Gesù.

ART. III.

IL POSTCOMMUNIO.

OREMUS.

Il Sacerdote fa qui le orazioni dette il Postcommunio, o vogliam dire le orazioni ordinate a ringraziare Dio, che di così grandi e divini misteri ci volle partecipi; e ad ottenere dopo la Comunione santissima gli effetti, i quali la Chiesa insegna, che da questo Sacramento si devono aspettare, e che sono l’oggetto delle più care speranze (Ben. XIV,lib.2 cap. 24 n.2). Si dicono queste orazioni nella parte destra dell’altare per indicare che gli avanzi dei Giudei si convertiranno alla fine del mondo: e ritornerà la legge santa donde era partita (Mansi: Il vero Eccles.vol 2, lib.5, cap. 9). Noi vorremmo qui poter dare tutte tradotte queste orazioni, che recita la Chiesa, variandole col variar delle feste. In esse per lo più si chiede che il benedetto Gesù, che in noi abita personalmente, ci faccia tradurre in atto, nella santità del costume, le sublimi verità che abbiam meditate, affinchè nella vita di noi, santificati che siamo, per l’unione con Lui, si renda da noi immagine delle sue virtù divine; ed eseguiamo l’avviso che Egli ci diede di esser perfetti, come è perfetto Dio, che noi chiamiamo nostro Padre in ispirito di adozione: figliuoli che Gli siamo in verità, perché in noi è il Sangue del suo Figliuolo. Sovente anche rammentiamo in queste orazioni i misteri della vita del Signore, e chiediamo che i suoi meriti siano a noi applicati, e siano di nostra ragione, come proprio meriti di noi, che vogliamo restar uniti col nostro gran Capo per sempre. O ricordiam Maria SS., e lo facciamo colla confidenza di veri Figli; o i Santi, e godiam della loro felicità, e vediamo in quella la caparra della nostra beatitudine. Sempre poi chiediamo a Dio, che questi suoi doni divini, di che ci fu così largo con misericordia infinita nel tempo, li conservi e gli aumenti nelle anime nostre qui, e poi coroni l’opera della sua misericordia colla beatitudine eterna: e conchiudiamo coll’esprimere la confidenza, che il Paradiso deve essere tutto per i meriti di questo Gesù Dio che teniamo in noi, tutto nostro. Il popolo risponde: « Amen » ah, così sia! Dobbiamo fermarci ad osservare, che nel Postcommunio si recitano orazioni corrispondenti in numero a quelle recitate nelle Collette prima dell’epistola. Nella quaresima una di più; e per recitarla s’invita il popolo ad umiliarsi prima dinanzi a Dio, dicendosi dal sacerdote: « Oremus; » Humiliate capita vestra Deo. » Cioè « preghiamo: umiliate le vostre teste a Dio. » Il perché si potrà comprendere da ciò che siamo per dire. Per molto tempo si usò anticamente di dispensare dopo la Comunione santissima anche il pane benedetto: il qual uso era una reliquia o monumento delle agapi, o santi conviti, in cui tutti i fedeli sedevano alla mensa comune di carità. Appunto dopo di aver ricevuto tante grazie dal Padre celeste, non si credeva potesse esservi miglior occasione di comunicare in carità, sia per far festa insieme, sia per rispondere in carità alla carità divina, e rappresentare subito in pratica un’immagine della divina bontà. Ciascun fedele pertanto portava in Chiesa qualche ben di Dio; e mangiavano insieme, e se ne mandava ai poveri assenti; veri fratelli , che si ricordavano, che il Padre nostro raccomanda di prendersi la cura di ciascun dei suoi figliuoli. Si conserva ancor un avanzo di questa disciplina nella distribuzione in alcune chiese: come si fa nel rito armeno; in cui, finita la Messa, si siede il Vescovo presso il cancello dell’altare, e distribuisce il pane benedetto a tutti i fedeli, che gli si presentano. Ecco ora il perché dell’humiliate ecc. perchè nella Quaresima, per rispetto al digiuno non si faceva questa distribuzione del pane; invece si recitava sopra il popolo un’ultima orazione, avvertendolo prima, di umiliarsi in ispirito di penitenza. Questa variazione di rito ci porge occasione di osservarne un’altra, che si pratica nei tempi di penitenza e di duolo; ed è il conchiudere , dopo di aver salutati i fedeli col:

Benedicamus Domino.

Nel corso della Quaresima e dell’Avvento (consecrato una volta a penitenza simile a quella della Quaresima, come si suole ancora in certi ordini religiosi), e nelle vigilie delle feste, terminato il Postcommunio, il Sacerdote sostituisce alla parola di commiato Ite Missa est, l’invito « Benedicamus Domino » Benediciamo il Signore; ed il popolo risponde: « Deo gratias, ringraziamo Dio » Pochi Cristiani conoscendo la ragione di questa differenza, noi per ispiegarla osserviamo con alcuni autori, che nei giorni di penitenza, come sono quelli che abbiam nominati, la Chiesa dopo il Sacrificio riteneva ancora nel luogo santo i fedeli e gli esercitava in opere di pietà e di mortificazione. – Ora avendo sempre la Chiesa lo stesso spirito che la vivifica in tutti i tempi, e non le mancando mai fedeli che si esercitano, variando i modi, nelle stesse virtù di umiltà e di penitenza; anche presentemente non licenziando, secondo il solito al fine della Messa il popolo, quasi gli restassero da adempiere ancora nel santuario altre opere di pietà, lo lascia partir col ricordo di eseguire con ispirito di penitente compunzione i doveri del loro stato particolare; chè il miglior modo di soddisfare il Signore nostro Padre sono le opere buone dalla parte nostra. Ognuno deve adunque, nel partire dall’altare, dire a se stesso: « ritorno ai doveri della vita: ma la Chiesa non ha ora finite le sue orazioni con me: mi lascia andare coll’avviso di continuarle tra le occupazioni di questi giorni di salute. » Quindi nel modesto contegno di un santo raccoglimento dobbiam portar l’immagine dell’uom che cammina con Dio: e a Dio dare soddisfazione in ispirito di penitenza: e se ora non ci fermiamo in chiesa come gli antichi Cristiani, continuiamo nel santuario delle nostre case il sacrificio delle opere di carità, specialmente delle più umili e più segrete nel commovente pensiero, che la Chiesa piange pei nostri peccati in questi di! Ed oh! quanto dovrebbe esser facile e dolce l’esercizio di tutte le virtù, quando abbiamo l’anima tutta compresa ed occupata ancora dal mistero santissimo, a cui assistemmo, ed avemmo parte! Insomma la religione nostra dobbiamo tradurla in pratica nel fare il bene col cuore uniti sempre con Gesù Cristo; e trattare i più meschini dei nostri fratelli , come tratteremmo Gesù nostro tutto piagato. Abbiamo tutti le nostre miserie da far esercitare la pazienza e le altre virtù ai fratelli. Veramente giunge al cuore tenerissima anche la osservazione del Cardinale Bellarmino, il quale dice (Tom. 3, Controvers. lib.6, de Misss c.27): che in tempi di mestizia ci si presenta qualche cosa di lugubre nel non licenziare pubblicamente il popolo accomiatandolo; ma sì nel lasciarlo andare senza dirgli parola: sicchè ciascuno di per sè se ne parta confuso, mesto e taciturno. Tutte le volte poi che non si licenzia il popolo coll’Ite, Missa est, avvertiamo che il Sacerdote non si rivolge ai fedeli come in atto di parlare a loro, ma così continuando la sua orazione con Dio, rivolto all’altare, invita il popolo seco a benedire a Lui, ed esclama: « Benedicamus Domino, benediciamo al Signore. » Il popolo risponde pronto: « sì, a Lui siano grazie. » Però anche nella Messa poi defunti non si licenzia coll’Ite, Missa est: ma compiuto il gran rito d’espiazione, esclamasi dall’uom di Dio: « Requiescant in pace; riposino in pace. » Ecco di questa commovente cerimonia la ragione. Le Messe pei defunti sono per lo più seguite dalle esequie, e raccomandazioni delle anime, che sono una continuazione dell’officiatura che si veniva a finire sopra le tombe situate allora tutto intorno all’ombra del santuario. Così terminata la Messa, il sacerdote col dire: requiescant in pace, fa invito a quelli che sono intervenuti ai santi misteri, di non partire sì tosto; ma di fermarsi con lui con calde suppliche a chiedere ancora la pace dei giusti troppo ben meritata dal Sacrificio di Gesù Cristo, sopra i sepolcri dei cari defunti. Difatto nelle esequie il Sacerdote dall’altare discende sulle tombe: pianta sopra esse la croce, e con acute grida, più che col canto, esclama: « libera nos; Signore, liberateci da morte eterna. » Mentre il suddiacono tiene la croce sulle ossa dei morti, il Sacerdote gira sopra esse, le sparge di acqua benedetta, le profuma a purificare quei poverini: prega insomma Gesù a cavare colla sua Mano insanguinata le anime da quel lago di tanti dolori! Poi grida: « raccogliamoci tutti sotto la croce pel di della grande ira di Dio, quando si fiaccheranno i cieli, e cadrà a nulla la terra: e Voi verrete a giudicar il mondo nel fuoco del vostro sdegno…. Ah! Signore, misericordia ai vivi e ai morti, per Gesù Cristo. Kyrie eleison, Christe, Kyrie. – Quanta tenerezza in questo rito! Sotto quelle alte volte del tempio, entro quelle pareti coperte a gramaglia, tra le colonne vestite di nero, alle grida del Sacerdote, allora cento e mille preganti rispondono coi loro clamori! Pare sentirsi i lai di quell’anime in tormento, che sono in purgatorio! e sono le grida di tutti, atterriti dal più tremendo dei giorni, il di del giudizio di Dio ! ! !… Ah ! e poi i fedeli abbracciati alla croce, colla bocca calda del Sangue di Gesù, si lamentano con Dio per le buone anime in tormento ed in seno a Dio vanno gridando: « Requiescant in pace! abbiano la pace in Voi. » Finalmente non vogliamo omettere qui anche, che autori di molta dottrina credono, che il non dire Ite, Missa est, sia segno eziandio dell’essere sempre state in uso le Messe private; e che in quelle, non essendovi presente in corpo il popolo, non si usasse di congedarlo; ma si terminasse col benedire e ringraziare il Signore. In tutte le altre Messe il Sacerdote, per congedare il popolo, va in mezzo all’altare, lo bacia umiliato, come per inchinarsi innanzi alla Maestà divina nell’atto di partirsi dal suo altare, o per trarne un saluto da dare al popolo colla benedizione e colla grazia che vuol augurargli, dicendo ancora; « il Signore sia con voi, » e risponde il popolo: « e collo spirito tuo. » E così quasi non potesse finire senza dire ancora, e il suo cuore non finirebbe mai di dire: « il Signore sia con voi. »

Ite, Missa est.

Andate ; la Messa è compiuta: la grande offerta nella Messa fu già mandata a Dio. Il divin Salvatore risorto dopo di aver soddisfatto alla giustizia di Dio, provveduto alla sua gloria coll’immortal Sacrificio, ed alla salute degli uomini col dar loro i mezzi nei Sacramenti di derivar le grazie guadagnate col preziosissimo Sangue, rivelati i suoi grandi misteri, come dice s. Leone pontefice: e costituita l’immancabile Chiesa, fermandola sopra l’incrollabile Pietro, ebbe compiuta la sua missione in terra. Raccolse tuei i suoi discepoli sul monte Oliveto e li confermò nella fede, dopo di aver fatto loro toccare con mano, che sì veramente era proprio desso, in carne ed ossa, da morte risorto. I discepoli cogli occhi nelle Piaghe gloriose, lo contemplavano giubilanti della gloriosa risurrezione, e partecipando del cuore cosi nella sua promessa, pareva loro già di risorgere con Esso a vita eterna. Ma Gesù disse loro: « andate, predicate l’evangelo a tutte le creature, ed insegnate ad osservare i miei comandamenti ». Li benedisse; e salì al cielo. Consolante spettacolo! Gesù ascende al cielo glorioso: e le anime cristiane si deliziano tutte del suo trionfo, quando a loro si presenta il ministro, che di Lui rende l’immagine sopra l’altare. Nell’atto di congedarle dice: « lie , Missa est, andate, lanMessa è compiuta, » ed accennando a Lui trionfante, pare che dica: « figliuoli, contemplatelo in cielo: Egli è nella gloria: e voi pigliate animo; ancora per poco; andate, compite la missione che vi assegna il Padre nella sua famiglia, coraggio: avete Gesù compagno sempre nei travagli della povera vita: con Lui giugnerete al termine della beatitudine nella gloria eterna, che vi è preparata. »

Così il dire che fa il Sacerdote , « andate, la Messa è compiuta. » più che un licenziare , è un dire ai fedeli: « Anime avventurate, figliuoli bene amati da Dio! avete avuta la grande grazia da Gesù: Lo avete con voi! Andate, raccontate le meraviglie della bontà del nostro Dio, tornate giù da questo Monte così santificati, e ciascun vi vegga in volto i raggi di quella consolazione nel vivere la vita con Dio, con esso godete la felicità della vita cristiana, iniziale dell’eterna beatitudine. » Ancora: « andate, ciascuno per l’ufficio a cui vi destina il Signor vostro; compite i vostri doveri con Gesù Cristo, portate con Lui le vostre croci. Tornerete poi alla fine della giornata della vita nostra a ricevere la ricompensa: fatevi del bene, con Gesù tornerete al dì del giudizio, a ricevere colla finale benedizione la corona promessa a chi ha fatto le belle opere di carità e che persevera fino alla fine. » – Quest’avviso di poter andare, che dà qui ora la Chiesa, ben debbe rammemorare, come vi sono in tutti i tempi delle anime innamorate di Dio, che corrono all’altare, e vi trovano delizie di paradiso; e che hanno bisogno di essere avvertite, quando è tempo di dipartirsi dal luogo santo. Esse hanno provato, che vai più un giorno passato nel tabernacolo del Signore, che non mille anni nelle tende dei peccatori (Salm. LXXXIII, 10). Esse, come gli Apostoli, quando videro Gesù trasfigurato in gloria sul monte Tabor, vorrebber rizzar tende e qui porre mansione a goder di quel gaudio con Gesù Cristo (Matt XVII). Ma Gesù agli Apostoli accennava che la risurrezione e la gloria dovevano venire dopo la sua passione ed il nostro combattimento (Leo Papa: Serm. de transfigur.). Il Sacerdote licenzia i fedeli, e manda ciascuno ai suoi doveri, volendo che tanta loro pietà traducano in atto nei saerifizi della carità di Dio e del prossimo, che esige Gesù da quelli, che voglion essere suoi discepoli. Quando adunque i fervorosi a malincuore dall’altare si allontanerebbero, il Sacerdote fa come gli Angeli (Act. 1) ai discepoli, che stavano attoniti a guardare il cielo. « Andate, pare adunque che debba dire, e confortati preparatevi; perche questo Gesù che vedete qui compiere sull’altare questo spettacolo di misericordia, verrà per raccogliere il frutto che deve dare la terra, che egli inaffia con tanto Sangue divino. »

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26) “CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV al termine”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Concilio di Trento: Sessione XXIV- Fine)

Sessione XXIV, 11 novembre 1563.

Dottrina e canoni sul Sacramento del matrimonio.

1797. Sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, il primo padre della razza umana proclamò il legame perpetuo ed indissolubile del matrimonio quando disse: “Questo è ormai osso delle mie ossa, carne della mia carne. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e diventeranno due in una sola carne”. (Gn II,23 Mt XIX,5 Ep V,31 ).

1798. Cristo nostro Signore insegnò con sufficiente chiarezza che solo due esseri siano uniti da questo vincolo quando, ricordando queste parole pronunciate da Dio, disse: “Perciò non sono più due, ma una sola carne” (Mt XIX,6), e subito dopo confermò la solidità di questo vincolo proclamato tanto tempo prima da Adamo: “Perciò ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6 Mc X,9) .

1799. La grazia che avrebbe portato alla perfezione questo amore naturale, affermato questa unità indissolubile e santificato gli sposi, Cristo stesso, che ha istituito e portato alla perfezione i venerabili Sacramenti, l’ha meritata per noi con la sua Passione. È quanto ci suggerisce l’Apostolo Paolo quando dice: “Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per essa” (Ef V,25), aggiungendo subito: “Questo sacramento è grande, dico, in Cristo e nella Chiesa” (Ef V,32).

1800. Poiché il matrimonio nella Legge del Vangelo ha la precedenza nella grazia, attraverso Cristo, sulle cerimonie matrimoniali dell’Antica Legge, i nostri santi Padri, i Concili e la tradizione della Chiesa universale hanno sempre giustamente insegnato che esso vada annoverato tra i Sacramenti della Nuova Legge. Contrariamente a questa tradizione, gli empi di questo secolo, essendo irragionevoli, non solo hanno sostenuto opinioni false su questo venerabile Sacramento, ma, come è loro abitudine, introducendo la libertà della carne sotto la copertura del Vangelo, per iscritto e oralmente, hanno diffuso molti elementi estranei al sentimento della Chiesa Cattolica e alle consuetudini approvate fin dai tempi degli Apostoli, e questo non senza grande danno per i fedeli. Volendo affrontare la temerarietà di questi uomini, il santo Concilio universale ha ritenuto che sia necessario sterminare le eresie ed i notevoli errori dei suddetti scismatici, affinché il loro pernicioso contagio non attiri a sé un gran numero di persone. Pertanto decreta i seguenti anatemi contro questi eretici ed i loro errori.

Canoni sul Sacramento del matrimonio.

1801. 1. Se qualcuno dice che il matrimonio non sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della Legge evangelica che Cristo nostro Signore habbia istituito, ma che sia stato inventato nella Chiesa dagli uomini e che non conferisce la grazia, sia anatema (cf. 1800).

1802. (2) Se qualcuno dice che è lecito per i Cristiani avere più di una moglie contemporaneamente, e che ciò non sia proibito da alcuna legge divina (Mt XIX,9), sia anatema (cf. 1798).

1803.3 Se qualcuno dice che solo i gradi di consanguineità e di affinità espressi nel Levitico, (Lev XVIII,6-18), possano impedire di contrarre un matrimonio e rendere nullo quello contratto, che la Chiesa non possa rinunciare a nessuno di essi né decidere che un numero maggiore sia causa di impedimento e di nullità: sia anatema (v. 2659).

1804. (4) Se qualcuno dice che la Chiesa non sia stata in grado di stabilire gli impedimenti al matrimonio, o che abbia sbagliato a stabilirli, sia anatema.

1805. (5) Se qualcuno dice che il vincolo del matrimonio possa essere spezzato a causa dell’eresia, o a causa di una vita insopportabile insieme, o a causa della deliberata assenza di un coniuge, sia anatema.

1806. (6) Se qualcuno dice che un matrimonio contratto e non consumato non sia annullato dalla professione religiosa solenne di uno dei coniugi, sia anatema.

1807. 7. Se qualcuno dice che la Chiesa sia in errore quando ha insegnato ed insegna, secondo l’insegnamento del Vangelo e dell’Apostolo (Mt 5,32 Mt 19,9 Mc 10,11-12 Lc 16,18 1Co 7,11) che il vincolo matrimoniale non possa essere spezzato dall’adulterio di uno dei coniugi e che nessuno dei due, anche quello innocente che non abbia dato motivo all’adulterio, possa, durante la vita dell’altro coniuge, contrarre un altro matrimonio; che sia adultero colui che sposa un’altra donna dopo aver allontanato l’adultera e colei che sposa un altro uomo dopo aver allontanato l’adultero: sia anatema.

1808. 8. Se qualcuno dice che la Chiesa sia in errore quando decreta che, per molte ragioni, i coniugi possano vivere separati, senza vita coniugale o senza vita in comune, per un tempo indefinito o definito: sia anatema.

1809. 9. Se qualcuno dice che i chierici che hanno ricevuto gli Ordini sacri o i regolari che hanno fatto professione solenne di castità, possano contrarre matrimonio, che tale matrimonio sia valido, nonostante la Legge della Chiesa o il loro voto, e che affermare il contrario non è altro che condannare il matrimonio; che tutti coloro che non sentono di avere il dono della castità (anche se hanno fatto voto di farlo) possono contrarre matrimonio: sia anatema. Poiché Dio non rifiuta questo dono a chi lo chiede correttamente, e non permette che siamo tentati oltre le nostre forze (1Co x,13).

1810. 10. Se qualcuno dice che lo stato di matrimonio debba essere posto al di sopra dello stato di verginità o di celibato, e che non sia né meglio né più felice rimanere nella verginità o nel celibato che contrarre matrimonio (Mt XIX,11 1Co VII,25 1Co VII,38-40)

1811. 11. Se qualcuno dice che la proibizione della solennità dei matrimoni in certi periodi dell’anno sia una superstizione tirannica derivata da una superstizione dei pagani, o se condanna le benedizioni e le altre cerimonie usate dalla Chiesa, sia anatema.

1812. 12. Se qualcuno dice che le cause matrimoniali non siano di competenza dei giudici ecclesiastici, sia anatema (v. 2598; 2659).

Canoni sulla riforma del matrimonio: Decreto “Tametsi”

1813. Cap. 1 (Motivo e contenuto della legge) Non si deve certo dubitare che i matrimoni clandestini, avvenuti con il libero consenso dei contraenti, siano matrimoni validi e veri, purché la Chiesa non li abbia resi invalidi; Coloro che negano che tali matrimoni siano veri e validi, e affermano falsamente che i matrimoni contratti dai figli di famiglia senza il consenso dei genitori siano invalidi, e che i genitori possano renderli validi o invalidi, devono quindi essere giustamente condannati, come il Santo Concilio li condanna con l’anatema. Tuttavia, la santa Chiesa, per ragioni molto giuste, ha sempre aborrito questi matrimoni e li ha proibiti.

1814. Ma il santo Sinodo si rende conto che questi divieti non servano più a nulla a causa della disobbedienza degli uomini; soppesa la gravità dei peccati che derivano da questi matrimoni clandestini, soprattutto per coloro che rimangono in uno stato di dannazione quando, dopo aver abbandonato la prima moglie con cui avevano contratto segretamente matrimonio, contraggano pubblicamente matrimonio con un’altra e vivono con lei in perpetuo adulterio; la Chiesa, che non giudica le cose segrete, non può porre rimedio a questi casi; può rimediare a questo male solo ricorrendo ad un rimedio più efficace. Pertanto, seguendo le orme del santo Concilio Lateranense (IV) tenutosi sotto Innocenzo III (cf. 817), il Concilio ordina quanto segue. In futuro, prima di contrarre matrimonio, in tre giorni festivi consecutivi, il parroco dei contraenti annuncerà pubblicamente in chiesa, durante la celebrazione della Messa, tra chi sarà contratto il matrimonio. Una volta fatti questi annunci, e se non ci sono legittimi impedimenti, il matrimonio sarà celebrato davanti alla Chiesa, dopo che l’uomo e la donna saranno stati interrogati; una volta accertato che abbiano dato il loro reciproco consenso, il parroco dirà: “Vi unisco in matrimonio, nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”; oppure userà un’altra formula, secondo il rito ricevuto in ogni provincia.

1815. (Limitazione della legge) Se c’è il plausibile sospetto che il matrimonio possa essere impedito dalla malafede, se è preceduto da tanti annunci; o si farà un solo annuncio, o addirittura il matrimonio sarà celebrato alla presenza del parroco e di due o tre testimoni; poi, prima che il matrimonio sia consumato, gli annunci saranno fatti in chiesa, in modo che, se rimangano impedimenti, siano più facilmente scoperti, a meno che l’Ordinario stesso non ritenga opportuno omettere i suddetti annunci, cosa che il santo Concilio lascia alla sua prudenza e al suo giudizio.

1816. (Sanzione) Per quanto riguarda coloro che si impegnono a contrarre matrimonio al di fuori della presenza del parroco o di un altro Sacerdote autorizzato dal parroco o dall’Ordinario, e davanti a due o tre testimoni, il santo Concilio li rende assolutamente inadatti a contrarre in questo modo e decreta che tali contratti siano invalidi e nulli, così come con il presente decreto li rende invalidi e li annulla.

Sessione XXV, 3 e 4 dicembre 1563

Decreto sul Purgatorio, 3 dicembre 1563.

1820. La Chiesa Cattolica, istruita dallo Spirito Santo, sulla base della Sacra Scrittura e dell’antica tradizione dei Padri, ha insegnato nei santi Concili e da ultimo in questo Concilio Ecumenico che esista un purgatorio (cf. 1580) e che le anime che vi sono detenute siano aiutate dai suffragi dei fedeli, e soprattutto dal Sacrificio dell’altare tanto gradito a Dio (cf. 1743; 1753). Per questo motivo, il santo Concilio prescrive che i Vescovi facciano tutto ciò che sia in loro potere affinché la sana dottrina del Purgatorio, trasmessa dai santi Padri e dai Concili, sia oggetto della fede dei fedeli, che essi la conservino e che sia insegnata e proclamata ovunque. Le questioni più difficili e sottili, che non sono di alcuna utilità per l’edificazione e da cui la pietà il più delle volte non trae alcun beneficio, devono essere escluse dalla predicazione popolare tra i non istruiti. I punti incerti o apparentemente falsi non saranno divulgati o discussi. Tutto ciò che derivi da una certa curiosità o superstizione, o tutto ciò che abbia un inconfondibile sapore di profitto, sarà proibito come scandaloso ed offensivo per i fedeli. …

Decreto sull’invocazione, la venerazione e le reliquie dei Santi, e sulle immagini sacre, 3 dicembre 1563.

1821. Il santo Concilio ingiunge a tutti i Vescovi e a tutti coloro che hanno l’incarico ed il dovere di insegnare che, secondo l’uso della Chiesa Cattolica ed apostolica, ricevuto fin dai primi tempi della Religione cristiana, e in conformità al sentimento unanime dei santi Padri e ai decreti dei santi Concili, istruiscano diligentemente i fedeli, specialmente sull’intercessione dei Santi e sulla loro invocazione, sugli onori dovuti alle reliquie e sull’uso legittimo delle immagini. Insegneranno anche che i Santi che regnano con Cristo offrono le loro preghiere a Dio per gli uomini, che sia buono ed utile invocarli umilmente e, per ottenere benefici da Dio attraverso il suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore, che è il nostro unico Redentore e Salvatore, ricorrere alle loro preghiere, al loro aiuto e alla loro assistenza. Chi nega che si debbano invocare i Santi, che godono della felicità eterna in Cielo; o chi dice che essi non preghino per gli uomini, o che invocarli per pregare per ciascuno di noi sia idolatria, o che vada contro la Parola di Dio e si opponga all’onore di Gesù Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (1Tm II,5); o che sia stupido rivolgere suppliche vocali o mentali a coloro che regnano nei CIeli: tutti questi ragionamenti sono empi.

1822. I fedeli devono anche venerare i corpi santi dei martiri e degli altri Santi che vivono con Cristo, che sono stati membra vive di Cristo e tempio dello Spirito Santo (1Co III,16; 1Co VI,15; 1Co VI,19; 2Co VI,16) e che saranno da Lui risuscitati e glorificati alla vita eterna; attraverso di loro Dio elargisce molti benefici agli uomini. Pertanto, coloro che affermano che nessun onore o venerazione sia dovuto alle reliquie dei Santi, o che sia inutile per i fedeli onorare loro e altre sacre memorie, e che sia vano visitare i luoghi del loro martirio per ottenere il loro sostegno, devono essere totalmente condannati, così come la Chiesa li ha condannati in passato e li condanna ancora oggi.

1823. Inoltre, le immagini di Cristo, della Vergine Maria Madre di Dio e degli altri Santi devono essere conservate, soprattutto nelle chiese, e ricevere l’onore e la venerazione loro dovuti. Non perché crediamo che in esse vi sia una qualche divinità o virtù che ne giustifichi il culto, o perché dobbiamo chiedere loro qualcosa o riporre la nostra fiducia nelle immagini, come facevano i pagani di un tempo che riponevano la loro speranza negli idoli (Sal CXXXIV,15-17), ma perché l’onore loro tributato rimanda ai modelli originali che queste immagini rappresentano. Pertanto, attraverso le immagini che baciamo, davanti alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, è Cristo che adoriamo e i Santi, di cui portano le sembianze, che veneriamo. Questo è ciò che è stato definito dai decreti dei Concili, in particolare dal Secondo Concilio di Nicea, contro gli oppositori delle immagini (v.600-603).

1824. I Vescovi insegnino con cura che, attraverso la storia dei misteri della nostra Redenzione, rappresentata da dipinti o da altri mezzi simili, il popolo viene istruito e rafforzato negli articoli di fede, che deve ricordare e venerare assiduamente. E da tutte le immagini sacre si ottengono anche grandi frutti, non solo perché si insegnano al popolo i benefici e i doni conferiti da Cristo, ma anche perché si portano davanti agli occhi dei fedeli i miracoli di Dio compiuti dai Santi e gli esempi salutari da loro dati, in modo che essi ne rendano grazie a Dio, conformino la loro vita ed i loro costumi all’imitazione dei Santi e siano spinti ad adorare e amare Dio e a coltivare la pietà. Se qualcuno insegna o pensa cose contrarie a questi decreti, sia anatema.

1825. Se alcuni abusi si sono insinuati in queste pratiche sante e salutari, il santo Concilio desidera vivamente che siano completamente aboliti, in modo che non venga esposta alcuna immagine che porti una falsa dottrina e che possa essere occasione di un pericoloso errore per la gente semplice. Se talvolta accade che le storie e i racconti delle Sacre Scritture siano espressi da immagini, perché ciò è utile per le persone non istruite, si insegnerà al popolo che esse non rappresentano la divinità, come se questa potesse essere vista con gli occhi del corpo o espressa da colori e forme. Si eliminerà quindi ogni superstizione nell’invocazione dei Santi, nella venerazione delle reliquie o nell’uso sacro delle immagini; si eliminerà ogni ricerca di guadagni vergognosi; si eviterà infine ogni indecenza, in modo che le immagini non siano né dipinte né adornate con bellezza provocante… Affinché ciò sia più fedelmente osservato, il santo Concilio stabilisce che a nessuno sia permesso, in nessun luogo… di collocare o far collocare alcuna immagine insolita, a meno che non sia stata approvata dal Vescovo. Nessun nuovo miracolo sarà riconosciuto, nessuna nuova reliquia sarà ricevuta senza l’esame e l’approvazione del Vescovo.

Decreto di riforma generale, 3 dicembre 1563.

Duello.

1830. Cap. 19. La detestabile pratica del duello, introdotta dagli artifici del diavolo per ottenere la perdita delle anime attraverso la morte cruenta dei corpi, deve essere completamente bandita dal mondo cristiano. L’imperatore, i re… e i signori temporali, qualunque sia il loro nome, che concedono nelle loro terre un luogo per il combattimento singolo tra Cristiani saranno, per questo stesso fatto, scomunicati… Quanto a coloro che combattono e a coloro che sono chiamati a sostenerli, incorreranno nella pena della scomunica… e dell’infamia perpetua. Dovranno essere puniti come omicidi, secondo i sacri Canoni; e se moriranno nel combattimento stesso, saranno per sempre privati della sepoltura ecclesiastica.

Decreto sulle indulgenze, 4 dicembre 1563

1835. Poiché il potere di conferire indulgenze è stato concesso da Cristo alla Chiesa, e la Chiesa ha usato questo potere divinamente comunicatole (cfr. Mt XVI,19; Mt XVIII,18 ), anche nei tempi più antichi, il santo Concilio insegna e ordina che l’uso delle indulgenze, molto salutare per il popolo cristiano e approvato dall’Autorità di questo santo Concilio, sia conservato. E colpisce con l’anatema sia coloro che affermano che sisno inutili, sia coloro che negano che la Chiesa abbia il potere di concederle. Tuttavia, vuole che siano concesse con moderazione… per evitare che la disciplina ecclesiastica sia indebolita da un’eccessiva facilità. Desiderando emendare e correggere gli abusi che si sono insinuati, ed in occasione dei quali questo bel nome di indulgenze viene bestemmiato dagli eretici, con il presente decreto il santo Concilio decreta in modo generale che tutti i deplorevoli traffici di denaro per ottenerle debbano essere assolutamente aboliti.

La dipendenza del Concilio ecumenico dal Papa.

1847. Finalmente abbiamo ottenuto ciò per cui abbiamo lottato giorno e notte e che abbiamo implorato con perseveranza dal “Padre delle luci” (Giacomo 1:17). Infatti, dopo che – convocati dalla nostra lettera e spinti anche dalla loro stessa pietà – un numero molto considerevole, degno di un Concilio ecumenico, di Vescovi e di altri illustri prelati di tutte le nazioni che portano il nome di Cristiani si era riunito da ogni parte in questa città, … Ci siamo mostrati così favorevoli alla libertà del Concilio che in una lettera ai nostri legati, abbiamo permesso al Concilio stesso, di nostra iniziativa, di trattare liberamente anche le questioni che fossero realmente riservate alla Sede Apostolica; così che ciò che rimaneva da trattare, definire e determinare riguardo ai Sacramenti e ad altre cose che apparivano necessarie al fine di confondere le eresie, rimuovere gli abusi e migliorare i costumi, è stato trattato liberamente e diligentemente dal santissimo Concilio, e definito, spiegato e determinato con cura ed estrema pertinenza…

1848. Ma poiché lo stesso santo Concilio, per riverenza verso la Sede Apostolica e seguendo le orme dei Concili precedenti, ha chiesto a Noi, con un decreto emanato su questo argomento in seduta pubblica, di confermare tutti i decreti emanati da esso nel nostro tempo ed in quello dei nostri predecessori, avendo preso conoscenza della richiesta del Concilio, avendo deliberato attentamente su di essa con i nostri venerabili fratelli, i Cardinali di Santa Romana Chiesa, e invocando soprattutto l’aiuto dello Spirito Santo, e avendo accertato che tutti questi decreti siano cattolici e utili e salutari per il popolo cristiano, a lode di Dio onnipotente e su consiglio e con l’approvazione dei nostri fratelli, oggi li abbiamo confermati tutti e ciascuno nel nostro concistoro segreto e abbiamo deciso che siano ricevuti e osservati da tutti i fedeli cristiani.

1849. Inoltre, per evitare il disordine o la confusione che potrebbero sorgere se a qualcuno fosse permesso di pubblicare, a suo piacimento, i propri commenti e le proprie interpretazioni dei decreti del Concilio, ordiniamo a tutti, in virtù della nostra Autorità Apostolica […], che nessuno osi osare pubblicare senza il nostro permesso commenti, glosse, annotazioni, spiegazioni e qualsiasi altra forma di interpretazione dei decreti di questo Concilio, in qualsiasi modo, o di stabilire qualcosa a nome di qualcuno anche con il pretesto di una migliore conferma o esecuzione dei decreti, o adducendo altre eminenti ragioni.

1850. Ma se a qualcuno sembri che qualcosa sia stato detto o stabilito in quella sede in modo troppo oscuro, e per questo motivo sembro che ci sia bisogno di un’interpretazione o di una decisione, deve salire al luogo che il Signore ha scelto, cioè alla Sede Apostolica, maestra di tutti i fedeli, la cui autorità il Concilio stesso ha riconosciuto con riverenza. Ci riserviamo infatti il diritto di chiarire e decidere su qualsiasi difficoltà o controversia che possa sorgere da questi decreti, come ha deciso lo stesso Santo Concilio…

1851. Regola 1: Tutti i libri che prima dell’anno 1515 hanno condannato Papi o Concili ecumenici, e che non compaiono in questo Indice, devono essere considerati come condannati allo stesso modo in cui sono stati condannati in passato.

1852. Regola 2: I libri degli eresiarchi, sia di quelli che dopo il suddetto anno abbiano inventato o dato origine ad eresie, sia di quelli che sono o sono stati i capi e le guide delle eresie,… sono totalmente proibiti. I libri di altri eretici, che trattano esplicitamente di religione, sono totalmente condannati. Quanto a quelli che non trattino di religione, sono consentiti se sono stati esaminati e approvati da teologi cattolici su richiesta di Vescovi ed inquisitori.

1853. Regola 3: Le traduzioni di scrittori anche ecclesiastici, finora pubblicate da autori condannati, sono consentite purché non contengano nulla di contrario alla sacra dottrina. Per quanto riguarda le traduzioni dell’Antico Testamento, esse possono essere permesse solo a uomini dotti e pii, secondo il giudizio del Vescovo, purché usino queste traduzioni come spiegazioni dell’edizione della Vulgata, al fine di comprendere la Sacra Scrittura, e non come un testo di per sé valido. Quanto alle traduzioni del Nuovo Testamento fatte da autori della prima classe di questo Indice, non saranno permesse a nessuno, perché di solito dalla loro lettura deriva poco profitto ma molto pericolo. Ma se i commentari circolano con le traduzioni permesse o con l’edizione della Vulgata, se sono stati espurgati di passi sospetti dalla facoltà di teologia di un’Università cattolica o dall’Inquisizione generale, possono essere permessi a coloro ai quali sono permesse anche le traduzioni. …

1854. Regola 4: Poiché l’esperienza insegna che quando la Sacra Bibbia in lingua volgare sia permessa ovunque indistintamente, dalla temerarietà degli uomini derivano più danni che benefici, spetta in questo caso al giudizio del Vescovo o dell’Inquisitore poter concedere, su consiglio del parroco o del confessore, la lettura della Bibbia tradotta in lingua volgare da autori cattolici a coloro che abbiano stabilito possano trarre da questa lettura non un danno, ma un aumento della fede e della pietà…

1855. Regola 5: Quei libri che a volte provengono dall’opera di autori eretici e nei quali non si aggiunge nulla o poco di proprio, ma che raccolgono le affermazioni di altri autori, e che comprendono lessici, concordanze, apostegmi…, se contengono qualcosa che abbia bisogno di correzione, sono permessi quando questo sia stato rimosso o migliorato su consiglio del Vescovo.

1866. I libri che trattano in lingua volgare delle controversie tra Cattolici ed eretici del nostro tempo, non devono essere permessi indiscriminatamente, ma si deve osservare nei loro confronti ciò che sia stato stabilito per la Bibbia scritta in lingua volgare. Per quanto riguarda quelli che sono stati composti in lingua volgare e che trattano del giusto modo di credere, contemplare, confessare o altri argomenti simili, se contengono una sana dottrina non c’è motivo di proibirli.

1857. Regola 7: I libri che trattino, raccontino o insegnino espressamente cose lussuriose o oscene sono assolutamente proibiti, poiché si deve tener conto non solo della fede ma anche della morale, che di solito viene facilmente corrotta dalla lettura di tali libri. I libri antichi, invece, scritti da pagani, saranno consentiti per l’eleganza e il carattere proprio del linguaggio, ma in nessun caso potranno essere letti ai bambini.

1858. Regola 8: I libri il cui contenuto principale sia buono, ma in cui occasionalmente sia inserito qualcosa che rientri nella categoria dell’eresia o dell’empietà, della divinazione o della superstizione, possono essere ammessi se sono stati espurgati da teologi cattolici.

1859. Regola 9: Tutti i libri e gli scritti che trattino di divinazione dalla terra, dall’acqua, dall’aria, dal fuoco, di interpretazione dei sogni, di chiromanzia, di negromanzia, o nei quali si parli di incantesimi, di fabbricazione di veleni, di auspici, di formule magiche, sono assolutamente condannati. I Vescovi, tuttavia, vigileranno diligentemente affinché non si leggano o si posseggano libri, trattati o indici di astrologia giudiziaria che, riguardo ai futuri successi, alle possibili disgrazie o a quelle azioni che dipendono dalla volontà umana, osino affermare che qualcosa di preciso accadrà.

1860. Regola 10: Per la stampa di libri o altri scritti si osservi quanto stabilito nel V Concilio Lateranense sotto Leone X, X sessione.

(Seguono particolari prescrizioni disciplinari per autori, editori e redattori di biblioteche).

1861. Infine, si ordina a tutti i fedeli che nessuno osi leggere o possedere libri di qualsiasi genere contro la prescrizione di queste regole o la proibizione di questo Indice. Ma se qualcuno legge o possiede libri eretici o scritti di autori condannati o proibiti per eresia o per sospetto di falsa dottrina, incorre immediatamente nella sentenza di scomunica.

Bolla “Iuiunctum nobis”, 13 novembre 1564.

Professione di fede triden

tina.

1862. IO, N., credo e professo che un’unica fede tiene fermi tutti e ciascuno degli articoli contenuti nel Simbolo di fede (di Costantinopoli cf. 150) utilizzato dalla Chiesa romana, e cioè: Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili; e in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce della luce, vero Dio del vero Dio, generato, increato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, per mezzo dello Spirito Santo si incarnò nella Vergine Maria e si fece uomo; è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato; ha sofferto; è stato sepolto; è risorto il terzo giorno, secondo le Scritture; è salito al cielo; siede alla destra del Padre e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti; il suo Regno non avrà fine; e nello Spirito Santo, il Signore che dà la vita; che procede dal Padre e dal Figlio; che con il Padre ed il Figlio è congiuntamente adorato e glorificato; che ha parlato per mezzo dei Profeti. E in una sola Chiesa santa, cattolica e apostolica. Confessiamo il Battesimo per la remissione dei peccati. Aspettiamo la Risurrezione dei morti e la vita dell’età futura. Amen.

1863. Accetto e faccio mie con la massima fermezza le tradizioni apostoliche e le altre tradizioni della Chiesa, nonché tutte le altre osservanze e costituzioni della stessa Chiesa. Allo stesso modo accetto la Sacra Scrittura, secondo il significato che è stato ed è tenuto dalla nostra Madre Chiesa, che è responsabile di giudicare il vero significato e l’interpretazione della Sacra Scrittura. Non accetterò o interpreterò mai la Scrittura se non in accordo con il consenso unanime dei Padri.

1864. Professo anche che ci sono, propriamente e propriamente parlando, sette Sacramenti della Nuova Legge, istituiti da nostro Signore Gesù Cristo e necessari per la salvezza del genere umano, anche se non tutti sono necessari per tutti: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine Sacro e Matrimonio. Essi conferiscono la grazia e, tra questi, il Battesimo, la Cresima e l’Ordine Sacro non possono essere ripetuti senza sacrilegio. Ricevo e accetto anche i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica nell’amministrazione solenne dei suddetti Sacramenti.

1865. Abbraccio e accolgo tutti e ciascuno degli articoli che sono stati definiti e dichiarati nel Santo Concilio di Trento sul peccato originale e sulla Giustificazione.

1866. Professo inoltre che nella Messa venga offerto a Dio un vero Sacrificio, propriamente detto, propiziatorio per i vivi e per i morti, e che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia si trovino realmente, veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue, insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e che si compia un cambiamento di tutta la sostanza del pane nel suo Corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo Sangue, cambiamento che la Chiesa Cattolica chiama “transustanziazione”. Affermo anche che, sotto una sola delle specie, si riceva il Cristo intero e completo ed il vero Sacramento.

1867. Affermo senza tema di smentita che esista un Purgatorio e che le anime che vi si trovano siano aiutate dalle intercessioni dei fedeli. E che i Santi che regnano insieme a Cristo debbano essere venerati ed invocati; che essi offrono preghiere a Dio in nostro favore e che le loro reliquie debbano essere venerate. Dichiaro fermamente che le immagini di Cristo e della sempre Vergine Madre di Dio, così come quelle degli altri Santi, possano essere possedute e conservate, e che si debba rendere loro il dovuto onore e la dovuta venerazione. Affermo inoltre che il potere delle indulgenze sia stato lasciato da Cristo alla Chiesa e che il loro uso sia molto vantaggioso per il popolo cristiano.

1868. Riconosco la Chiesa romana santa, cattolica e apostolica come Madre e Maestra di tutte le Chiese. Prometto e giuro vera obbedienza al Romano Pontefice, successore del Beato Pietro, capo degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

1869. Ricevo e professo senza dubbio tutto ciò che sia stabilito nei santi Canoni e nei Concili ecumenici, specialmente nel santo Concilio di Trento e dal Concilio Ecumenico Vaticano, è stato trasmesso, definito e dichiarato (specialmente sul primato del Romano Pontefice e sul suo Magistero infallibile). Allo stesso tempo, condanno, respingo e anatematizzo anche tutto ciò che sia contrario ad esse ed ogni tipo di eresia condannata, respinta e anatematizzata dalla Chiesa.

1870. Questa vera fede cattolica, al di fuori della quale nessuno possa essere salvato, che io ora professo volentieri e sinceramente, io, N., prometto, mi impegno e giuro di mantenerla e confessarla, a Dio piacendo, intera e inviolata, con la massima fedeltà fino all’ultimo respiro, e di avere cura, per quanto mi sia possibile, che sia tenuta, insegnata e predicata da coloro che dipendono da me o da coloro sui quali il mio ufficio mi impone di vigilare. Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli.

[documento dottrinale di Paolo IV, extra corpo dei documenti tridentini].

Constit. ” Cum quorumdam hominum”, 7 agosto 1555

Trinità e Incarnazione (contro gli Unitari)

1880. (Desiderando) avvertire tutti e tutte coloro che hanno affermato, insegnato o creduto finora che il Dio onnipotente non sia in tre Persone, di un’unità di sostanza assolutamente senza composizione e indivisa, e uno nell’unica e semplice essenza della divinità; o che il nostro Signore non sia come vero Dio in tutto della stessa sostanza con il Padre e lo Spirito Santo; o che secondo la carne lo stesso non sia stato concepito nel grembo della beatissima Vergine Maria dello Spirito Santo, ma come gli altri uomini del seme di Giuseppe o che lo stesso nostro Signore e Dio Gesù Cristo, non abbia sofferto l’amarissima morte della croce per riscattarci dai peccati e dalla morte eterna e riconciliarci con il Padre per la vita eterna; o che questa stessa Beata Vergine Maria non sia veramente la Madre di Dio e non sia rimasta nell’integrità verginale prima, durante e perennemente dopo il parto, chiediamo e avvertiamo a nome di Dio Onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, per Autorità Apostolica. ..

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (27): “Da S. PIO V ad URBANO VIII”

LA VERGINE MARIA (10)

LA VERGINE MARIA (10)

Nihil Obstat: Dr. Andrés de Lucas, Canonico. Censore.

IMPRIMATUR: José María, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale. Madrid, 27 giugno 1951. CAPITOLO X

CAPITOLO X

I DOGMI: BREVE RECENSIONE DI NICOLAS MARIN NEGUERUELA

La divina Maternità di Maria, la Verginità perpetua, la sua Concezione Immacolata e la sua gloriosa Assunzione al cielo sono i quattro dogmi della fede cattolica che riguardano la Madre celeste. Esponiamo brevemente una panoramica storica del primi due. Ci soffermeremo sul terzo e quarto.

1. MATERNITÀ DIVINA DI MARIA.

Tutta l’antichità cristiana ha confessato che Maria è la Madre di Dio. Contestando Nestorio, Patriarca di Costantinopoli, nel quinto secolo, questa credenza universale della Chiesa, ha resistito alla tradizione del Cristianesimo nei secoli precedenti. lo stesso Origene non esitò a chiamare Maria Theotokos, Madre di Dio, che allevo’ nel suo seno il Figlio di Dio, e diede alla luce l’Emmanuele. Giuliano l’Apostata fece capitolo di accusa ai Cristiani che non cessavano di chiamare Maria Madre di Dio. Con gli applausi dei fedeli e l’approvazione di Papa San Celestino I, il Concilio ecumenico, riunito ad Efeso nel 431, definì: “Se qualcuno non confessa che Dio sia veramente Emmanuele e, quindi, che la Santa Vergine ne sia la Madre, sia anatema.” Così veniva vendicato l’onore di Maria, soddisfatta la devozione dei fedeli che attendevano la definizione e condannato l’eresiarca che aveva osato mettere la sua lingua su Maria. Bandito dall’Imperatore nel deserto d’Arabia, lì, secondo una leggenda, la cancrena gli corrose la lingua, che cadde a pezzi dalla sua bocca. Da questo dogma segue l’immensa dignità di Maria, che sta in cima a tutta la gloria creata. non esitò a scrivere SAN TOMMASO D’AQUINO: « La. Beata Vergine, per il fatto di essere Madre di Dio, hai una certa dignità infinita, derivata dal Bene infinito, che è Dio.” (Summ. Theol., I, q. 25 a. 6 ad 4). La Maternità divina di Maria è la radice e fonte di tutti i suoi privilegi e Grazie. Concludiamo con CORNELIO A LAPIDE: «La Beata Vergine è Madre di Dio; per cui supera in eccellenza tutti gli Angeli, anche gli stessi Serafini e Cherubini. » Ella è Madre di Dio; allora è molto pura e santissima, in un modo che non può concepirsi, dopo Dio, una maggiore purezza. » Ella è Madre di Dio; quante sono state le grazie santificanti concesse singolarmente ad ogni Santo, le ha ottenute tutte prima di loro Maria». (In Matth., I, 16). A Roma, la Chiesa di Santa Maria Maggiore, ingrandita e impreziosita dal suo arco trionfale di Papa Sisto III, ricorda la definizione dogmatica di Efeso. Il suo soffitto a cassettoni è dorato con il primo oro portato da Colombo dall’America alla Spagna ed offerto dai nostri Re Cattolici, Fernando e Isabel, per la decorazione della Basilica. I re di Spagna, da Filippo IV, hanno diritto ad un posto nel coro canonico della stessa basilica, privilegio confermato dalla bolla “Hispaniarum fidelitas” di Pio XII del 5 agosto 1953 e dal recente Concordato tra la Santa Sede e lo Stato spagnolo, del 28 agosto 1953.

II. VERGINITÀ PERPETUA DI MARIA.

Contro la grossolana dottrina degli eretici apollinaristi, di Elvidio, Gioviniano ed alcuni Giudei che negarono la verginità di Maria, brandirono la loro penna San Girolamo e, tra noi, Sant’Ildefonso di Toledo, in sua difesa del privilegio tanto caro alla Vergine Madre. Più tardi poi, il Concilio particolare Lateranense, presediuto da Papa San Martino I nel 649, e successivamente riconosciuto anche da S. Agatone, definì: “Se qualcuno non confessa propriamente e veramente che la Santa Madre di Dio e Vergine sempre Immacolata, Maria, concepi’ dallo Spirito Santo e senza l’opera di uomo il Verbo di Dio in modo speciale ed in verità, e che lo ha generato in maniera incorruttibile, rimanendo intatta, dopo il parto, la sua verginità, sia condannato ». Che Maria rimase vergine anche dopo per tutta la vita è una verità di fede, confermata dal Magistero ordinario e universale della Chiesa. Negare questa verità è per SAN AMBROGIO un così grande sacrilegio (“Tantum sacrilegium”); cosa è preferibile passarlo sotto silenzio. “Chi ha vissuto in qualsiasi momento che, al nome Maria, non aggiungesse sempre: la VERGINE?” —scrive SAN EPIFANIO—. (Enchiridion, JOURNEL, n. 1.111.). Tutti i simboli confessano la stessa verità.

III. LA IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA.

L’8 dicembre 1854, ha definito solennemente Papa Pio IX: « La dottrina la quale afferma che la Beata Vergine Maria, fin dal primo momento del suo concepimento, fu preservata immune da ogni macchia di colpa originale, per singolare grazia e privilegio di Dio, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è rivelata da Dio, e quindi tutti i fedeli devono crederci fermamente e costantemente.” (Bolla Ineffabilis Deus, l’8 dicembre 1854.) – Che giornata fantastica e gloriosa per Maria! I 54 Cardinali, 42 Arcivescovi e 98 Vescovi che circondavano il Papa, la folla di fedeli che, in numero di 50.000, riempivano le navate di San Pedro, il Cattolici di tutto il mondo, che attendevano con impazienza questa definizione, caddero ai piedi della celeste Signora, e sgorgava da tutte le labbra una così unanime preghiera: «Sei tutta bella, o Maria, e non c’è alcuna macchia d’origine in di te.” La Spagna, che ha sempre difeso questo dogma, ancor prima della sua definizione, che nelle sue Università richiedeva ai laureati il sanguinoso voto, cioè quello di difendere questo privilegio di Maria anche a costo del proproo sangue, se necessario; la cui capitale, il 20 aprile 1438, per voce dei suoi due consigli, ecclesiastico e civile, aveva votato per difendere l’Immacolata Concezione, digiunando durante la sua veglia, celebrando la sua festa e passando quel giorno in solenne processione; che per devozione dei loro re, le città erano state poste sotto il patrocinio dell’Immacolata Concezione, Patrona di Spagna e delle sue Indie, confermato il suo patrocinio da Papa Clemente XIII, ebbe esaudito i suoi desideri. Sant’Antonio Maria Claret, allors Arcivescovo di Santiago di Cuba, che prima si era rivolto ai suoi diocesani chiedendo preghiere per raggiungere il paradiso per la pronta definizione di questo dogma, dopo averlo ricevuto la Bolla Papale, la strinse al petto, lo bagnò con le sue lacrime e l’annunciò ai fedeli diocesani in un ministero ricco di fervore. Quando ebbe finito di scriverla, ol Papa senti’ la vocematerna di Maria, che gli diceva: Bene scripsisti, hai scritto bene. Papa Pio IX, consultato sul sito di Roma dove doveva trovarsi il monumento all’Immacolata Concezione, rispose subito: “In Piazza di Spagna España”. La Spagna lo meritava e il Santo Padre ha riconosciuto così i meriti del nostro Paese nella difesa dell’Immacolata Concezione di Maria.

* * *

Papa Pio IX si aspettava grandi frutti dalla definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione. E poichè le speranze di questo evento non fallirono, il Beato Pio X lo ha ricordato mell’Enciclica Ad diem illum, in memoria del cinquantesimo anniversario di quella definizione.

1. Il positivismo di Comte, che era si proclamato agnostico riguardo a Dio; Lo scientismo di Renan, che avrva cercato di soppiantare la religione con la scienza; il razionalismo di Froschammer, che negava tutto il soprannaturale; il materialismo di Vogt e Buechner, che solo ammettevano come reali materia e riducevano la virtù, l’abnegazione, l’eroismo ed altri valori spirituali a mere secrezioni del cervello, ricevettero con la definizione dogmatica un colpo mortale. Essi vivranno ancora qualche anno come un mostro che, ferito, sanguina; ma… moriranno, e alcuni giacciono sepolti. Maria Immacolata nel primo momento della sua esistenza! In noi c’è qualcosa che non è materia, che è sopra di essa, che eleva l’uomo: è lo spirito. Aiutato dalla grazia divina, l’uomo può trionfare della materia e scalare le vette di santità. 2. È diventato più visibile ed ha tretto l’unione dei fedeli con il loro Pastore supremo, dell’Episcopato col suo capo, il Vicario di Gesù Cristo. “I Vescovi — scrive uno storico contemporaneo, di ritorno da Roma, vennero in possesso di una nuova adesione alla Santa Sede, che si diffondeva come un soave aroma su tutti che l”ascoltavano”. (Aguilar: Compendio di storia ecclesiastica generale, volume II, numero 1.689. Madrid, 1877.) Il 18 luglio 1870 venivano definiti i dogmi del Primato di Giurisdizione per diritto divino del Papa sui Vescovi ed i fedeli, e della sua infallibilità, quando insegna, ex cathedra, dottrine di fede o di morale. Così sono crollati, feriti a morte, il Gallicanesimo e il Febronianesimo, che, supportati dalla loro origine il primo da Luigi XIV di Francia e il secondo da Giuseppe II di Germania, erano destinati pretendrvano di ostacolare l’azione del Sovrano Pontefice mettendo radici nel clero di Francia e Germania. 3. La definizione dogmatica accese in tutti i cuori un immenso amore per Maria. A migliaia fiorirono le associazioni, le confraternite, gli istituti e le congregazioni religiose poste sotto il patronato di Maria Immacolata. Le Figlie di Maria, le Congregazioni mariane, i mesi di maggio e di ottobre, destinati a cantare le eccellenze della Signora e del suo benedetto Rosario, presero tale un incremento mai visto nella storia della Chiesa. L’ha riconosciuto così uno scrittore protestante: “La definizione del dogma dell’Immacolata Concezione è sublime in sé ed ha avuto l’effetto immediato di rafforzare le file dei Cattolici romani, aggiungendo fini e vivaci fervori alla devozione.” (Citato da AGUILAR, 1. c.).

L’anno giubilare del 1904 ne è la più chiara e migliore testimonianza, così come i Congressi Internazionali di Roma, Treviri, Lourdes e Saragozza. In occasione della commemorazione del centenario della definizione dogmatica dell’Immacolata Concezione, il Santo Padre Pio XII pubblica l’Enciclica Fulgens Corona, decretante la celebrazione dell’Anno mariano. “Niente di più dolce o più piacevole dell’onorare, venerare, invocare, predicare con fervore ed affetto ovunque la Vergine Madre di Dio, concepita senza peccato originale”, scriveva Pio IX alla fine della bolla Ineffabilis Deus, nella quale veniva definito il dogma dell’Immacolata, e Pio XII lo ripete nell’annunciare il centenario di quella definizione.

* * *

Il fine dell’anno ? È espresso dalle parole del Santo Padre: “Accresce la fede del popolo cristiano, suscita ogni giorno di più l’amore della Vergine Madre di Dio, da lì tutti prendiamo occasione per continuare con gioia e puntualità le orme della Madre Celeste». Petizioni? “Chiedi”, aggiunge il Papa – nelle suppliche alla Madre di Dio, pane per l’affamato, giustizia per gli oppressi, la patria agli esuli, il riparo accogliente per i profughi, la dovuta libertà per coloro che sono stati gettati ingiustamente in prigione o nei campi di concentramento; il tanto desiderato ritorno in patria per coloro che, passati tanti anni dalla fine dell’ultima guerra, sono ancora prigionieri e gemono e sospirano segretamente; la gioia della luce splendente per i ciechi nel corpo e nell’anima, e per quelli divisi tra sé dall’odio, dall’invidia e dalla discordia, della carità fraterna, la concordia di animi e la feconda tranquillità che è sostenuta dalla verità, giustizia e mutua unione… per la Chiesa cattolica, il godere ovunque della libertà che le è dovuta”.

IV. LA GLORIOSA ASSUNZIONE DI MARIA IN CORPO ED ANIMA AL CiELO.

Il quarto dogma è quello della Gloriosa Assunzione della Beata Vergine, nel corpo e nell’anima, al cielo. E nella preparazione della definizione dogmatica è affidata alla Spagna un posto privilegiato tra tutti i popoli. Il fervore Assunzionista vibrava singolarmente nell’nima spagnola. “Per confermarlo”, ha scritto il Padre francescano BALIC (Congresso Francescano di Madrid, 1947, pp. 245, 246)—, basti ricordare che tra le 68 cattedrali Spagnole, 46 sono dedicate alla Vergine, e di esse 36 al mistero della sua gloriosa Assunzione; basti ricordare anche che fra i secoli XIII e XIV la maggior parte delle chiese parrocchiali della Spagna sono state dedicate allo stesso ineffabile mistero. » Tra i promotori medievali più ardenti della devozione alla Madonna, brillano con luce speciale, i tre grandi re: Alfonso il Combattente, di cui si dice abbia dedicato circa 3.000 chiese alla beata Vergine, ordinariamente sotto il mistero della sua Assunzione; Giacomo il Conquistatore, che ne eresse circa 2.000, e Ferdinando il Santo, fedele amante di Maria, che ne ha erette quasi altrettante, dedicandole generalmente al Mistero Assunzionista che corona tutta la sua vita”. Il tesoro letterario contenuto nel codici delle nostre cattedrali nelle loro biblioteche è splendido al massimo grado. “Per conto nostro —scrive BAYERRI—, convinti che non stiamo esagerando, abbiamo oltre 280 sermonari, datati tra X e XV secolo, conservati nelle cattedrali della Spagna, in cui sono inseriti meditazioni sui sermoni dell’Assunzione della Vergine”. (Studi, s. VI, pagina 394.) Rispondendo a Papa Pio IX, che scrivere ai Vescovi chiedendo un loro parere sull’opportunità di definire come dogma l’Immacolata Concezione di Maria, il Vescovo di Osma, Fray José Sánchez, e l”Arcivescovo di Malines, Engelbert Sterks, insieme alle loro risposte sull’Immacolata Concezione, elevarono anche, nel 1849, voti fervidi e motivati a favore dell’Assunzione. Successivamente, nel 1863, la richiesta della regina Elisabetta II a Papa Pio IX, marco’ in modo efficiente l’inizio del movimento travolgente che doveva terminere il 1 novembre 1950 con la definizione dogmatica, proclamata dal papa regnante Pio XII. Il voto della regina è stato accompagnato dalle più entusiasti raccomandazioni del suo confessore, Sant’Antonio Maria Claret. Questi, inoltre, nel suo libro Appunyi su un piano per preservare la bellezza della Chiesa, ha aggiungeva: «Sembra che la Divina Provvidenza abbia disposto, quali cose più onorevoli per Maria, essere iniziate dai Re e successivamente continuate dagli altri fedeli del mondo. »Il primo procedimento per la dichiarazione dogmatica del mistero dell’Immacolata Concezione di Maria era iniziato dal re ilippo III, per volere dell’Arcivescovo don Pedro de Castro. Ora, per dichiarare il secondo mistero, che è l’Assunzione di Maria Santissima in anima e corpo in Cielo, si è mossa ancora una Regina di Spagna, la illustre fonna Isabella II di Borbone, come si può vedere nella lettera che ho riportato di seguito, che scrisse al Sommo Pontefice Pio IX, datata 27 dicembre 1863, e nella risposta data dal Papa stesso del 3 febbraio 1864, cosicché sarà sempre vero che i Re Cattolici Don Filippo III e Donna Isabella II sono stati i primi ad richedere come dogma di fede quei titoli e misteri che tanto onorano Maria, e che, allo stesso tempo, è fi tanto onore per i re di Spagna ed i loro vassalli avendo avuto la felicità di essere primi in tali opere onorabili; e viene da aspettarsii che, così come il primo, anche il secondo sarà ottenuto, come lo stesso Santo Pontefice insinua nella sua risposta.”

Durante il Concilio Vaticano, tra i cui padri si distinse con il segno del martirio la venerata figura di S. Antonio María Claret, c’erano, sicuramente, in animo delle cure schierate dall’episcopato spagnolo e ispano-americano per conseguire per acclamazione la definizione di questo mistero, segnalandosi in questa campagna l’allora Vescovo di Jaén e poi cardinale Monescillo, ed il Vescovo di Concepción de Cile, Hipólito Salas. Il movimento assunzionista durante un secolo, dal 1849 al 1940, ha complessivamente contato, 2.505 richieste di Cardinali, Patriarchi, Arcivescovi e Vescovi, cioè quasi i tre quarti delle sedi della Chiesa. Il 1 maggio 1946, aappena dopo la seconda guerra europea, Pio XII, che aveva già consacrato nel 1941 il mondo al Cuore Immacolato di Maria, aggiungendo quasi il tocco dorato ai dogmi, scrisse agli Ordinari Cattolici di tutto il mondo: «Molto desideriamo sapere, Venerabili Fratelli, se nella vostra eccellente saggezza e prudenza giudichiate che possa essere proposto e definito come dogma di fede l’Assunzione corporea della Beata Vergine, e se lo desideriate con il vostro clero ed il vostro popolo». Le risposte a questa richiesta pontificia furono magnifiche per il loro numero e qualità. Risposero 1.191 Sedi; solo da 81 sedi, generalmente in regioni remote di missione, o al di là della cortina di ferro alzata dalla Russia, non arrivarono puntuali risposte. Di quelle 1.191 Sedi, 1.169 hanno risposto affermativamente. sedici Vescovi espressero alcuni dubbi circa  l’opportunità di tale definizione; solo sei dubitavano circa la definibilità di quel dogma. Eccone uno statistica altamente significativa e consolante: il 98,2 per cento dell’Episcopato Cattolico, con un quasi matematicamente voto unanime, dichiara che il L’Assunzione della Vergine sia una verità contenuta nella rivelazione divina e cioè la sua definizione appropriata. Tale consenso prima di una definizione papale, non era mai esistito nella Chiesa.

* * *

È spuntato il 1 novembre, 1950. Uno splendido sole illuminava la Città Eterna. Dalle cinque del mattino i fedeli si precipitavano ad occupare il loro posto nella Basilica Vaticana e nelle sue piazze. Finalmente arrivò l’ora tanto attesa. Il Papa è apparso, preceduto da 40 Cardinali con il seguito d’onore; lo seguivano 589 Vescovi e 50 Abati ordinari vestiti di mantelli con mitra bianca. E di levò l’augusta voce del Vicario di Gesù Cristo sulla terra: “Per la gloria di Dio Onnipotente, che ha effuso sulla Vergine Maria la sua particolare benevolenza; per onorare suo Figlio, Re Immortale del secoli e vincitore del peccato e della morte; per la maggior gloria della sua augusta Madre; e per la gioia e l’esaltazione di tutta la Chiesa, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Pablo, e con la nostra pronunciamo, dichiariamo e definiamo essere un dogma rivelato: CHE L’IMMACOLATA MADRE DI DIO, SEMPRE VERGINE MARIA, TERMINATO IL CORSO DELLA SUA VITA TERRENA, FU ASSUNTA IN CORPO E ANIMA ALLA GLORIA CELESTE. “Allora, se qualcuno, Dio non permetta, osa negare o dubitare volontariamente di ciò che è stato per Noi definito, sappia fi essersi allontanato. interamente della fede divina e cattolica”.

La Spagna era presente alla definizione dogmatica, come forse nessun altra nazione al di fuori dell’Italia. Pio XII, nel discorso pronunciato il 30 ottobre agli spagnoli, sottolineava i singolari meriti della Spagna per la proclamazione di questo glorioso dogma. La presenza degli spagnoli in questo giorno superò numericamente quella di qualsiasi altra nazione non italiana. Il suo fervore, l’ entusiasmo e la modestia si distinse tra tutti i fedeli. C’era tra essi ila Missione su mandato del governo Spagnolo. Una ricca rappresentanza dall’esercito spagnolo, in alta uniforme di gala, copriva militarmente a gara il passaggio del Papa, e non potendo rendergli le armi, lo acclamarono alzando al cielo le braccia, le insegne, cappelli e visiere. Pio XII, paterno, riconoscente, ordinava di fermare la processione per qualche istante a salutali.

* * *

Per Pio XII, la proclamazione del nuovo dogma non è solo la corona e l’apice di un movimento imponente di secoli di trepidazione e desiderio. Vuole che esso sia l’inizio di un altro movimento ancora più grande, se possibile, di rinnovamento del mondo. Nel suo discorso all’Episcopato, il 2 di Novembre, specificava come lo concepisce: un programma di rinnovamento mariano dell’individuo, della famiglia e della società. Piena ed integra conservazione di dottrina cristiana. Formazione e santità del clero. Il Papa vede il mondo disfatto dall’odio e dalla mancanza di fede e di fratellanza in Cristo. Bene allora; a questo mondo martoriato e corrotto, il Sommo Pontefice, definendo il nuovo dogma, lo presenta «come un brandello luminoso nel cielo, abbagliante candore, speranza e vita felice”, come il rimedio più efficace per il mondo malato che guarisce e restituisce “il calore, l’affetto, la vita ai cuori umani”. Non ci resta che cantare con il nostro illustre FRATE Luis DE LEÓN: “Vai in paradiso Signora, e lì ti ricevano con canto felice. Oh, chi potrebbe ora aggrapparsi al tuo manto per salire con te al Monte santo… Volgi i tuoi dolci occhi, prezioso uccello, solo, umile e nuovo nella valle dei cardi che tale fiori portate; sospirano i figli di Eva, che se con vista chiara guardi le anime tristi di questa trerra, con proprietà invisibili li farai volare in alto, come una calamita perfetta, al cielo.

V. CONSEGUENZE CHE DERIVANO DA QUESTI DOGMI.

Questi quattro dogmi ci aprono ampi orizzonti per meglio capire gli uffici che Maria disimpegna con gli uomini. 1. Maria è la mediatrice universale di tutto le grazie. Certamente il nostro mediatore principale e necessario è Gesù Cristo, che con la sua passione e morte offrì a Dio soddisfazione condegna per i nostri peccati ed ha meritato tutti le grazie necessarie per la nostra salvezza. “Uno è solo mediatore tra Dio e gli uomini: Cristo Gesù». (1 Tim. II, 5.) Ma abbiamo bisogno di una mediatrice presso il Mediatore: Maria. “Tale è la volontà di Colui che ha voluto che tutto psssi attraverso Maria”. (S. BERNARDO, Serm. in Nativ.) E LEONE XIII scrisse nel 1891: «Possiamo affermare che dell’immenso tesoro di grazie che il Signore ci ha meritato, sia volontà divina che nulla ci venga comunicato se non per mezzo di Maria; in modo tale che, proprio come nessuno possa avvicinarsi al Padre se non tramite il Figlio, così anche, quasi allo stesso modo, nessuno se non per mezzo della Madre può arrivare Cristo.” 2. 0 Maria è Regina non solo degli uomini, ma anche di tutte le creature. La divina maternità la eleva al di sopra Tutto. SAN BERNARDINO DA SIENA esclama: “Quante creature servono la Trinità, altrettanto servono Maria”. Con quali dolci malinconie si deliziano nei templi gli eco della SALVE, del nostro maestro San Pietro da Mezonzo: AVE, Regina, Madre di misericordia.. 3. Maria è, nell’ordine soprannaturale, nostra Madre. Lei è la Madre di Gesù, nostro fratello maggiore, Capo del Corpo mistico del Chiesa. Ella coopero’ a fare da corredentrice alla nostra redenzione… Dall’alto della croce Gesù, il Redentore, ci ha affidato al suo amore nella persona del discepolo amato, quando disse a Maria come ultimo comandamento: “Donna, ecco tuo figlio.” e Giovanni ascoltava dalle labbra tremanti di Gesù, indicando Maria: “Ecco tua madre”. Nelle nostre sofferenze, sentendo il artigli del dolore che ci lacera, vederci impotenti da tutti, alziamo gli occhi pieni di lacrime… dove?… su, su, al cielo: Ecce mater tua; c’è nostra Madre che guarda, chi ci difende, chi ci incoraggia nella lotta. Non siamo orfani. Maria lo è nostra Madre.

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)

Doppio di I cl. con Ottava privilegiata di 2° ordine.

Paramenti bianchi.

Dopo il dogma della SS. Trinità, lo Spirito Santo ci rammenta quello dell’Incarnazione di Gesù, facendoci celebrare con la Chiesa il Sacramento per eccellenza che, riepilogando tutta la vita del Salvatore, dà a Dio gloria infinita e applica alle anime in tutti i momenti i frutti della Redenzione (Or.) ». Gesù ci ha salvati sulla Croce e l’Eucarestia, istituita alla vigilia della passione di Cristo, ne è il perpetuo ricordo (Or.). L’altare è il prolungamento del Calvario, la Messa annuncia « la morte del Signore » (Ep.). Infatti Gesù vi si trova allo stato di vittima; poiché le parole della doppia consacrazione ci mostrano che il pane si è cambiato in Corpo di Cristo, e il vino in Sangue di Cristo; di modo che per ragione di questa doppia consacrazione, che costituisce il Sacrificio della Messa, le specie del pane hanno una ragione speciale a chiamarsi « Corpo di Cristo», benché contengano Cristo tutto intero, poiché Egli non può morire, e le specie del vino una ragione speciale a chiamarsi « Sangue di Cristo », per quanto anche esse contengano Cristo tutt’intero. E così il Salvatore stesso, che è il Sacerdote principale della Messa, offre con Sacrificio incruento, nel medesimo tempo che i suoi Sacerdoti, il suo Corpo e il suo Sangue che realmente furono separati sulla croce, e che sull’altare lo sono in maniera rappresentativa o sacramentale. – D’altra parte si vede che l’Eucarestia fu istituita sotto forma di cibo (All.) perché possiamo unirci alla vittima del Calvario. L’Ostia santa diviene così il « frumento che nutre le nostre anime » (Intr.). E a quel modo che il Cristo, come Figlio di Dio, riceve la vita eterna dal Padre, così i Cristiani partecipano a questa vita eterna (Vang.) unendosi a Gesù mediante il Sacramento che è il Simbolo dell’unità (Secr.). Così, questo possesso anticipato della vita divina sulla terra mediante l’Eucarestia, è pegno e principio di quella di cui gioiremo pienamente in Cielo (Postcom.). « Il medesimo pane degli Angeli che noi mangiamo ora sotto le sacre specie, dice il Concilio di Trento, ci alimenterà in Cielo senza veli », poiché saremo faccia a faccia nel Cielo, con Colui che contempliamo ora con gli occhi della fede sotto le specie eucaristiche. – Consideriamo la Messa come centro di tutto il culto eucaristico della Chiesa; consideriamo nella Comunione il mezzo stabilito da Gesù per farci partecipare più pienamente a questo divino Sacrifizio; così la nostra devozione verso il Corpo e il Sangue del Salvatore ci otterrà efficacemente i frutti della sua redenzione. Per comprendere il significato della Processione che segue la Messa, richiamiamo alla mente come gli Israeliti onorassero l’Arca d’Alleanza che simboleggiava la presenza di Dio in mezzo a loro. Quando essi eseguivano le loro marce trionfali, l’Arca santa avanzava portata dai leviti, in mezzo ad una nuvola d’incenso, al suono degli strumenti di musica, di canti, e di acclamazioni di una folla entusiasta. Noi Cristiani abbiamo un tesoro molto più prezioso, perché nell’Eucaristia possediamo Dio stesso. Siamo dunque santamente fieri di fargli scorta ed esaltiamo, per quanto è possibile, il suo trionfo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXX: 17.
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, allelúia.
Ps 80:2

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.]

Exsultáte Deo, adiutóri nostro: iubiláte Deo Iacob.

[Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe.]

Gloria Patri,…

Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, alleluja

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis sub Sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti: tríbue, quǽsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári; ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus:

[O Dio, che nell’ammirabile Sacramento ci lasciasti la memoria della tua Passione: concedici, Te ne preghiamo, di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue cosí da sperimentare sempre in noi il frutto della tua redenzione:]

Lectio

Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor XI: 23-29
Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem.
Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, iudícium sibi mánducat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini.

(Fratelli: Io lo appreso appunto dal Signore, ciò che ho trasmesso anche a voi: che il Signore Gesù la notte che fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese il Calice, e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che Lo berrete, fate questo in memoria di me. Poiché ogni volta che mangerete questo pane, e berrete questo calice, annunzierete la morte di Signore fino a che egli venga. Perciò chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore.)

Né dagli uomini, né dagli altri Apostoli – dice s. Paolo – io so ciò che vi ho insegnato sull’Eucaristia; ma Gesù Cristo stesso me l’ha rivelato. Non tralascia la circostanza del tempo; la notte stessa – dice egli – in cui il Salvatore fu tradito da uno dei suoi Apostoli, dato in mano de’ suoi nemici e trattato con la peggior crudeltà, istituì questo divin Sacramento, pegno il più prezioso del suo amore, ed attestato il più splendido della sua tenerezza. Colà propriamente fu fatto il testamento di questo amabile Padre, col quale dà tutto se stesso ai suoi figli, poche ore davanti la sua morte. S. Paolo entra quindi in molte particolarità di quanto avvenne in quella sì meravigliosa istituzione. È da osservare che l’Apostolo e tutti gli Evangelisti hanno voluto raccontare fin le minime circostanze di tale istituzione. Il Salvatore prese il pane. Gesù Cristo non poteva prendere che pane senza lievito, il solo di cui era permesso servirsi nel fare la pasqua: onde con ragione nella Chiesa romana si consacra con pane azzimo. Egli ringrazia il Padre suo della potestà che gli ha comunicato; i quali atti di ringraziamento eran sempre il preludio quand’era per operare le meraviglie più straordinarie. Quindi avendo spezzato il pane che teneva in mano, disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, che sarà dato per voi. Non disse: prendete e mangiate questo pane; ma prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; la sostanza che Io vi offro sotto queste specie, è il Corpo mio, non è più pane. Poiché il Verbo eterno, la stessa Verità, dice: Questo è il mio corpo, siamone convinti, dice s. Giovanni Grisostomo, crediamolo senza esitanza, riguardiamolo con gli occhi di una fede viva. Questo è il mio Corpo: tale è la virtù e la forza delle parole della consacrazione, di produrre, come causa efficiente, ciò che esse esprimono. Perché tali proposizioni si trovino vere, bisogna solamente che la cosa che esse indicano esista dopo che son pronunziate. Ciò che Gesù Cristo prese in mano, non era che pane; ma appena Egli ebbe pronunziate le parole: Questo è il mio corpo, tutta la sostanza del pane fu annichilata, ed in ciò che Gesù Cristo diede a mangiare ai suoi Apostoli non restò altra sostanza che il suo proprio Corpo, il quale indi a poche ore doveva esser dato in mano ai suoi nemici, saziato d’obbrobri, flagellato e crocifisso. Non vi restavan del pane che le sole apparenze, cioè il colore, la figura, il peso, il sapore, che si dicono comunemente specie. Nel Nuovo Testamento non abbiamo nulla di più formale, di più preciso, di meglio indicato che questa realtà del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nell’adorabile Eucaristia. Ogni volta che si parla di questo divino mistero, o nel sesto capitolo di s. Giovanni, o in tutti gli altri Evangelisti, od in s. Paolo, sempre vi si parla di una presenza e di un mangiare realmente e corporalmente il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo. Il senso delle figure non vi entra affatto, anzi n’è escluso positivamente, poiché il Corpo che Gesù Cristo dette a mangiare a’ suoi Apostoli era il medesimo, secondo la sua parola, di quello che abbandonava alle ignominie della sua passione ed alla croce per riscattarci. Questo è il mio Corpo, che sarà dato per voi. Ora senz’essere Manicheo, nessuno ardirebbe dire che il Corpo del Figliuolo di Dio non sia stato dato alla morte che in figura. Dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, tutta la Chiesa ha sempre creduto che il Corpo di Gesù Cristo sia realmente e veramente offerto in Sacrifizio, distribuito ai fedeli nella Comunione, e realmente presente nell’Eucaristia; e noi non potremmo parlare della presenza reale di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento in modo più chiaro, più formale, più preciso di quel che hanno fatto i Padri dei primi secoli. – Voi mi direte forse, dice s. Ambrogio, che questo pane che vi si dà a mangiare nella Comunione è pane usuale ed ordinario. È vero che prima delle parole sacramentali questo pane fosse pane; ma dopo la Consacrazione, in luogo del pane si trova il Corpo di Gesù Cristo. Ecco che deve essere indubitabile per noi. Ma come si può fare, continua il medesimo Padre, che ciò che è pane sia il Corpo di Gesù Cristo? E risponde: Per la Consacrazione, la quale non contiene, se non che le proprie parole di Gesù Cristo; poiché, prosegue egli, in tutto ciò che precede la Consacrazione, il Sacerdote parla in suo nome, quando loda e benedice il Signore, ovvero prega per il re e per il popolo; ma quando arriva alla Consacrazione, il Sacerdote non parla più in suo nome, ma è Gesù Cristo medesimo che parla per la bocca del Sacerdote. È dunque, a dir propriamente, è la parola di Gesù Cristo medesimo che opera questo Sacramento; quella parola, io dico, che dal nulla ha create tutte le cose. Egli ha parlato, continua il medesimo Padre, e tutte le cose sono state fatte; ha comandato, ed ogni cosa è uscita dal nulla. Or, prima della Consacrazione, non vi era affatto il Corpo di Gesù Cristo, non eravi che pane ordinario: ma dopo la Consacrazione, io ve lo ripeto, non vi è più pane, ma è il Corpo di Gesù Cristo. Se S. Ambrogio avesse avuto a rispondere ai Protestanti dei nostri giorni, avrebbe egli potuto parlare in modo più preciso e più chiaro? – S. Cirillo, patriarca di Gerusalemme, che viveva nel IV secolo, spiegando al suo popolo le principali verità della Religione, gli diceva: La dottrina di S. Paolo sul divino mistero dell’Eucaristia deve più che bastare a stabilir la vostra credenza circa un sì augusto Sacramento. Questo grande Apostolo ci diceva nella lezione che avete udita, come la notte istessa che questo divin Salvatore doveva esser tradito, prese del pane, e rese le grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. E parimente prendendo il calice, disse: Bevete, questo è il mio Sangue. Dopo dunque che Gesù Cristo ha detto del pane che aveva preso: Questo è il mio Corpo, chi è che oserà di avere il minimo dubbio? E poiché il medesimo Gesù Cristo ha detto così affermativamente: Questo è il mio Sangue, chi potrà mai dubitare di questa verità, e dire che non sia realmente il suo Sangue? E come! dice egli, Colui che ha cangiato l’acqua in vino alle nozze di Cana, non meriterà che crediamo che Egli cangi il vino nel suo prezioso Sangue? Sotto le specie del pane e del vino, continua il medesimo Padre, il Salvatore ci dà il suo Corpo ed il suo Sangue; in guisa che noi portiamo veramente Gesù Cristo nel nostro corpo, quando riceviamo il suo: Sic enim efficimur Christiferi, cum corpus ejus et sanguinem in membra nostra recipimus. I pani della proposizione dell’antico Testamento sono aboliti: noi non abbiamo nel Nuovo che questo pane celeste e questo calice di salute, i quali santificano l’anima e il corpo. E perciò, conclude egli, guardatevi bene dall’immaginarvi che ciò che vedete non sia che pane e vino: è realmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo: bisogna che la fede corregga l’idea che ve ne danno i sensi. Guardatevi bene dal giudicarne con gli occhi o dal sapore, ma la fede vi renda certa e indubitabile questa verità, essere il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo che voi ricevete. Queste sono le parole di S. Cirillo. Ecco quale è stata la fede dei primi fedeli sull’Eucaristia. Si è sempre creduto nella Chiesa, dal primo giorno della sua nascita fino a noi, che la sostanza del pane e del vino si cangi nella sostanza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo: ed è ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè cangiamento di sostanza; e per la virtù onnipotente delle parole di Gesù Cristo, che il Sacerdote pronunzia in nome del Salvatore, si opera questo portento. Se Dio poté cangiare la moglie di Lot in una statua di sale, la verga di Aronne in un serpente, e l’acqua in vino alle nozze di Cana, dicevano i Padri della Chiesa quando istruivano i novelli battezzati per la prima comunione, perché questo medesimo Dio non potrà cangiare il pane ed il vino nel suo sacro Corpo e nel suo prezioso Sangue nel Sacramento dell’Eucaristia? – Ogni volta che mangerete di questo pane, dice Gesù Cristo, e berrete di questo calice, annunzierete la morte del Signore, fino a tanto che Egli venga. Il Sacrifizio incruento di Gesù Cristo non differendo che nel modo dal Sacrifizio cruento del medesimo Salvatore, deve richiamare alla mente di quelli che vi partecipano, la memoria della morte di Gesù Cristo. Con queste parole: Fino a tanto che Egli venga, S. Paolo ci mostra che il Sacramento dell’Eucaristia durerà sino alla fine del mondo. Chiunque, pertanto, mangerà di questo pane o berrà di questo calice indegnamente, dice il S. Apostolo, sarà reo di delitto contro il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Questa espressione prova in modo convincente la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Qual orrore non dobbiamo avere del peccato che commettono coloro, i quali fanno Comunioni sacrileghe! Non è un Sacrifizio che essi offrono, dice s. Giovanni Grisostomo, è un omicidio che commettono; non è un nutrimento che prendono, è un veleno. Colui che mangia questo pane e beve di questo calice indegnamente, mangia e beve la sua condanna, per la colpa di non discernere il Corpo del Signore; cioè egli ha in se stesso la prova visibile del suo peccato; e il suo processo, per così dire, è bell’e fatto. Questo divin Salvatore è il suo Giudice, questo pane di vita è il decreto della sua morte. Sacrilegio, tradimento, nera ingratitudine, crudele ipocrisia, quanti delitti in una sola Comunione fatta indegnamente! E quali ne sono gli effetti? Spessissimo l’induramento e l’impenitenza finale.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

[Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore: e Tu concedi loro il cibo a tempo opportuno.]

V. Aperis tu manum tuam: et imples omne animal benedictióne. Allelúia, allelúia.

[Apri la tua mano: e colma ogni essere vivente della tua benedizione]

Ioannes VI: 56-57
Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo. Alleluia.

[La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Alleluia.]

Sequentia
Thomæ de Aquino.

Lauda, Sion, Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.

Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.

Quod in coena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.

Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.

Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.

A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.

Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia.

[Loda, o Sion, il Salvatore, loda il capo e il pastore,  con inni e càntici.
Quanto puoi, tanto inneggia:  ché è superiore a ogni lode,  né basta il lodarlo.
Il pane vivo e vitale  è il tema di lode speciale,  che oggi si propone.
Che nella mensa della sacra cena,  fu distribuito ai dodici fratelli,  è indubbio.
Sia lode piena, sia sonora,  sia giocondo e degno  il giúbilo della mente.
Poiché si celebra il giorno solenne,  in cui in primis fu istituito  questo banchetto.
In questa mensa del nuovo Re,  la nuova Pasqua della nuova legge  estingue l’antica.
Il nuovo rito allontana l’antico,  la verità l’ombra,  la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece nella cena,  ordinò che venisse fatto  in memoria di sé.
Istruiti dalle sacre leggi,  consacriamo nell’ostia di salvezza  il pane e il vino.
Ai Cristiani è dato il dogma:  che il pane si muta in carne,  e il vino in sangue.
Ciò che non capisci, ciò che non vedi,  lo afferma pronta la fede,  oltre l’ordine naturale.
Sotto specie diverse,  che son solo segni e non sostanze,  si celano realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda,  ma Cristo è intero  sotto l’una e l’altra specie.
Da chi lo assume, non viene tagliato,  spezzato, diviso:  ma preso integralmente.
Lo assuma uno, lo assumino in mille:  quanto riceve l’uno tanto gli altri:  né una volta ricevuto viene consumato.
Lo assumono i buoni e i cattivi:  ma con diversa sorte  di vita e di morte.
Pei cattivi è morte, pei buoni vita:  oh che diverso esito  ha una stessa assunzione.
Spezzato poi il Sacramento,  non temere, ma ricorda  che tanto è nel frammento  quanto nel tutto.
Non v’è alcuna separazione:  solo un’apparente frattura,  né vengono diminuiti stato  e grandezza del simboleggiato.
Ecco il pane degli Angeli,  fatto cibo dei viandanti:  in vero il pane dei figli non è da gettare ai cani.
Prefigurato con l’immolazione di Isacco, col sacrificio dell’Agnello Pasquale, e con la manna donata ai padri.
Buon pastore, pane vero,  o Gesú, abbi pietà di noi:  Tu ci pasci, ci difendi:  fai a noi vedere il bene  nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e tutto puoi:  che ci pasci, qui, mortali:  fa che siamo tuoi commensali,  coeredi e compagni dei Santi del cielo.  Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangéli secúndum S. Ioánnem.
Ioann VI: 56-59
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudæórum: Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum.

[Gesù disse un giorno alle turbe della Giudea: « La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, resta .in me, e Io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre; così chi mangerà da me, vivrà per me. Questo è il pane che discese dal cielo. Non come i vostri padri, che mangiarono la manna e morirono: chi mangia di questo pane, vivrà in eterno » (Giov. VI, 56-59). ]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

FESTA DEL «CORPUS DOMINI»

LA SANTA MESSA

A Cafarnao Gesù promise con parole nitide e ferme che avrebbe istituito l’Eucaristia: « Io sono il Pane Vivo disceso dal cielo. La mia carne è veramente cibo ed il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. E vivrà in eterno ». È questo un tale prodigio d’Amore, che molti quando per la prima volta lo sentirono annunziare, non ci poterono credere e se ne andarono via da Gesù. Gesù piuttosto che raccorciare sulla nostra misura il suo Amore immenso, li lasciò andare. Quello che aveva promesso, mantenne fedelmente quella sera in cui sarebbe stato tradito. Consacrò il pane e il vino e li distribuì dicendo: « Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo. Prendete e bevete: questo è il calice del mio Sangue che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati ». Da quella sera gli uomini ebbero sulla terra una partecipazione del convito del Paradiso. Grande veramente è il banchetto Eucaristico: in esso si riceve Gesù Cristo medesimo, il quale si unisce a noi, infonde nel nostro cuore e nella nostra volontà il suo amore e il suo volere, e poi insieme a noi si offre al Padre, glorifica la SS. Trinità, e ci rende così degni della vita eterna e divina. Troppo grande mistero, troppo bello, perché la nostra piccola mente possa arrivare a capirlo! Rinnoviamo la fede. – Noi fermamente crediamo, garantiti come siamo dalla infallibile parola del Figlio di Dio: « Questo è il mio Corpo: prendete e bevete. Fate questo in memoria di me ». Quando il Sacerdote nella santa Messa ripete queste parole consacratorie, il medesimo Gesù che troneggia glorificato nel Cielo, si fa presente sull’altare. Com’è possibile ciò? Ci sono dunque due Gesù, uno in Vielo e uno sull’altare? Ci sono tanti innumerevoli Gesù quanti sono i tabernacoli, quante sono le particole consacrate? No: non c’è che un solo Gesù, Il Salvatore non può essere moltiplicato: è soltanto la presenza che viene moltiplicata. Senza dubbio è un grande mistero. Tenterò con un paragone di farci intorno un poco di luce. Ecco, io in mezzo alla Chiesa lancio una parola sola, questa: « Gesù! ». Che parola avete sentito voi? Tutti, la stessa identica parola. Eppure voi siete molti, e ciascuno di voi l’ha sentita intera per conto suo, nella sua anima, come se fosse stato qui solo nella chiesa. Dunque la medesima e unica parola è diventata presente in ciascuno di voi. In un modo simile, ma assai più concreto, il medesimo identico Gesù è presente interamente e realmente in ciascuna ostia. Dopo aver rinnovata la fede, dopo aver accennata alla più elementare difficoltà, svolgerò il mistero eucaristico nel suo aspetto più essenziale, quello della santa Messa. – 1. IL GRANDE SACRIFICIO DELLA S. MESSA. Il Sacramento dell’Eucaristia s’incentra tutto nella Messa: è in essa che si genera Gesù Eucaristico e che viene immolato per la remissione dei nostri peccati, è solo per essa che vien distribuito in nutrimento delle anime; è per un prolungamento di essa che resta aspettando giorno e notte ed accogliendo quanti hanno bisogno e desiderio di Lui. È il medesimo sacrificio del Calvario che durante la S. Messa si rende presente e attuale sull’altare, benché senza più dolore né spargimento di sangue, con la S. Messa veramente il Nome di Dio può essere santificato sulla terra come lo è in Cielo. Il Cielo è l’infinita, luminosa basilica dove l’unico Sacerdote, Gesù Cristo, rende continuamente alla SS. Trinità tutta la gloria che già le donò con la sua sanguinosa immolazione sul Calvario: « Osservate — avverte Bossuet — come Egli si avvicini al Padre, e gli presenti le piaghe irrimarginabili, ancor vermiglie di quel divino Sangue della Nuova Alleanza, versato nel doloroso Venerdì quando morì per la redenzione delle anime » (Sermone sull’Ascensione). La terra a sua volta è la vasta cripta dove il Papa, i Vescovi, e all’incirca 400 mila preti celebrano quotidianamente la S. Messa, cioè prestano il loro ministero affinché l’unico Sacerdote Gesù Cristo, anche quaggiù possa rioffrire a Dio il suo Corpo e il suo Sangue, che per la prima volta gli offrì tra gli spasimi della croce. Dunque quel medesimo Gesù che S. Giovanni vide come un Agnello immolato sull’altare sublime del Cielo, lo possediamo anche noi come Agnello immolato sugli altari di questa terra. In Paradiso gli Angeli e i Santi non restano inattivi attorno al grande Sacerdote, ma a Lui s’uniscono, si offrono con Lui. Così deve avvenire sulla terra: « Quando assistiamo al divin Sacrificio — dice S. Gregorio Magno — è necessario che sacrifichiamo anche noi stessi con la contrizione del cuore… La Vittima divina non ci gioverà presso Dio se non ci facciamo anche noi vittime congiunte ad essa » (Dial., LIV). Dunque, assistendo alla S. Messa dobbiamo metterci sulla patena d’oro, piccole ostie accanto alla grande Ostia, offrirci a Dio senza riserve. La S. Messa diventa allora un dramma vissuto, e assistervi non significa far da spettatore più o meno commosso, ma prendervi una parte tutt’altro che indifferente: unirci a Gesù, consacrificarci con Lui. Che vuol dire questo? Innanzi tutto, vuol dire accettazione amorosa di tutte le pene e di tutte le contrarietà inevitabili della nostra vita. Poi vuol dire rinuncia a tutti quei piaceri, quelle abitudini che possano essere desiderati dalla nostra natura corrotta, ma che la legge di Dio proibisce. Senza questo duplice sacrificio non si potrà mai partecipare veramente alla santa Messa. Se ci sono poi anime generose che desiderano consacrificarsi più pienamente, dirò che ogni giorno sono innumerevoli le occasioni per prepararci a sentire sempre meglio la S. Messa; lo stesso alzarci di buon mattino è sacrificare la nostra pigrizia; adempiere coscienziosamente il nostro dovere è sacrificare la negligenza, a tavola si può sacrificare la nostra golosità; in compagnia si può sacrificare il desiderio di dire o di ascoltare cose inutili, o peggio; con l’elemosina si può sacrificare la nostra avarizia. Il Card. Mercier diceva: « Che cos’è un Cristiano? Cristiano è uno che va a Messa ». Quando la Messa è vissuta come abbiamo spiegato, la definizione è perfetta. – 2. COME VI PARTECIPANO GLI UOMINI. Tutti i fedeli sono invitati al gran banchetto eucaristico della santa Messa, ed invitati tutti i giorni. Non squillano per questo ogni alba le campane, voci di Dio che chiama alla sua grande cena? Tutti i fedeli sono poi obbligati sotto pena di peccato mortale a sentire la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. A questo proposito potremmo distinguere tre categorie di Cristiani.

a) Quelli che rifiutano. E sono molti, specialmente uomini, che non ascoltano più la Messa nemmeno nei giorni festivi. Moltissimi che la tralasciano saltuariamente, senza preoccuparsi del grave peccato che commettono. Se li avvisate vi capiterà di sentire qualcuna di queste risposte: « Sono all’officina tutta la settimana: ho solo la festa per lavorare il mio giardino, il mio campo… Non ho quindi tempo di venire in chiesa » oppure: « Non ho che la Domenica per riposarmi un po! Per riordinare le cose di casa; e non voglio sciuparla. Ed anche: «La Messa, che noia! Se poi c’è la predica, mi prendono le vertigini. Si aspetta solo la Domenica per potere andare in lieta compagnia a godere l’aria dei monti e dei laghi!…. La ragione profonda di questa condotta è unica: essi non sanno il male che si fanno e la gloria che negano a Dio; essi non capiscono più il Sacrificio della Croce né il Sacrificio dell’Altare che lo rinnova; essi non sono più Cristiani.

b) La seconda categoria è di quelli che a Messa tornano ancora, ma più per abitudine che per interiore convinzione. Vanno perché ci sono sempre andati fin da bambini: perché è quasi uno svago e possono incontrarsi con quella persona, o dare uno sguardo a quell’altra; perché non vogliono sentire i rimproveri dei buoni genitori o della buona moglie. Arrivano in ritardo ed escono prima della fine: preferiscono stare dietro le colonne e non vedono nulla di quello che avviene sull’altare; e di solito si fermano in fondo addossati alla porta. Non hanno corona, non hanno libro di preghiera; non aprono bocca. Rimangono là con un’aria tra disvagati ed annoiati, a cui soprattutto preme che il momento d’andarsene arrivi presto. – La loro condotta morale in famiglia, in ufficio o in officina non è migliore di chi non ha l’usanza della Messa; ed è spesso per colpa loro che capita d’udire: « Chi va in Chiesa è peggiore degli altri ».

c) V’è però la categoria dei buoni Cristiani, per i quali la Messa domenicale è un sacrosanto dovere ed un soave conforto. Tra questi s’incontrano belle anime capaci di considerevoli sacrifici, pur di soddisfare al precetto festivo. Di essi molti hanno imparato anche a capire e a seguire liturgicamente il divin Sacrificio. Sanno che tutti i Cristiani formano un Corpo mistico di cui Cristo è il centro vitale. Sanno pure che le anime in stato di grazia vivono della vita stessa di Cristo. Sanno di consacrarsi insieme a Lui per la gloria del Padre. Leggono il messalino o qualche provvido libretto che riporta le orazioni della S. Messa, e gustano la profondità e la bellezza di quelle preghiere, e vivono il dramma divino che passa fra la terra e il Cielo. – S. Francesco Borgia aveva un divino istinto che lo guidava verso l’Eucaristia, e benché alcune volte non si sapeva dove fossero conservate le sacre specie, da quel divino istinto egli era condotto verso di esse infallibilmente (Brev. Ambr., 1 ott.). Cristiani, un dolce desiderio deve pur spingere anche noi verso l’Eucaristia, specialmente verso la Messa. Ogni Messa è un tesoro di gloria per Dio, di grazia per noi: perché non siam presi dalla divina avarizia di accumulare queste ricchezze, che neppure la morte ci potrà rapire? Perché, se lo possiamo, non ascoltare la Messa ogni giorno? – Ebbene, quanti la salute cagionevole e le preoccupazioni tengono via dalla Messa quotidiana [e l’impossibilità attuale di poter partecipare ad una vera Messa cattolica celebrata da un Sacerdote con missione canonica ricevuta da un vero Vescovo con Giurisdizione efficace “una cum” il Santo Padre impedito – ndr. ], rivolgano pur da lontano i loro pensieri a Gesù che in quel momento, s’immola. Il Signore gradirà la loro spirituale offerta d’amore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Levit. XXI: 6
Sacerdótes Dómini incénsum et panes ófferunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo, et non pólluent nomen eius, allelúia.

[I sacerdoti del Signore offrono incenso e pane a Dio: perciò saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il suo nome, allelúia.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, unitátis et pacis propítius dona concéde: quæ sub oblátis munéribus mýstice designántur.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi propizio alla tua Chiesa i doni dell’unità e della pace, che misticamente son figurati dalle oblazioni presentate.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

1 Cor XI: 26-27
Quotiescúmque manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat: itaque quicúmque manducáverit panem vel bíberit calicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini, allelúia.

[Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché verrà: ma chiunque avrà mangiato il pane e bevuto il sangue indegnamente sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Fac nos, quǽsumus, Dómine, divinitátis tuæ sempitérna fruitióne repléri: quam pretiósi Corporis et Sanguinis tui temporalis percéptio præfigúrat:

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che possiamo godere del possesso eterno della tua divinità: prefigurato dal tuo prezioso Corpo e Sangue che ora riceviamo].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

TUTTI IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25): Concilio di Trento Sess. XIX-XXIII.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Concilio di Trento: Sessione XIV- XXIII)

Dottrina sul sacramento dell’Estrema Unzione.

Preambolo

1694. Al santo Concilio è sembrato bene aggiungere alla precedente dottrina sulla Penitenza quella che segue sul Sacramento dell’Estrema Unzione, che i Padri considerano come la consumazione non solo del Sacramento della penitenza, ma anche di tutta la vita cristiana, che deve essere una penitenza perpetua. Per questo motivo, ecco cosa dichiara e insegna sulla sua istituzione. Il nostro misericordioso Redentore ha voluto che i suoi servi fossero sempre provvisti di rimedi salutari contro gli attacchi di tutti i nemici. Come negli altri Sacramenti ha preparato per i Cristiani il più grande aiuto per mantenersi liberi da ogni grave danno spirituale finché vivano, così con il Sacramento dell’Estrema Unzione ha rafforzato la fine della loro vita con una protezione molto solida (cf. 1716). Infatti, sebbene il nostro avversario cerchi e colga le occasioni durante tutta la nostra vita per divorare le nostre anime con tutti i mezzi possibili (1Pt V,8), non c’è momento in cui tenda con maggiore violenza tutti i fili della sua astuzia per perderci completamente e, se potesse, anche per allontanarci dalla fiducia nella misericordia divina, che quando vede che si avvicina per noi la fine della vita.

Capitolo 1. L’istituzione del Sacramento dell’Estrema Unzione

1695. Questa santa Unzione degli infermi fu istituita da Cristo nostro Signore come vero e proprio Sacramento della Nuova Alleanza; questo Sacramento fu indicato in Marco (Mc VI, 13), raccomandato e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore (cf. 1716). Egli disse: “Se qualcuno di voi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e questi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel Nome del Signore. La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è peccatore, gli saranno rimessi i peccati” (Giacomo V:14-15). Con queste parole, come la Chiesa ha appreso, tramandate di mano in mano dalla tradizione apostolica, egli insegna quali siano la materia, la forma, il ministro adatto e l’effetto di questo Sacramento salutare. La Chiesa ha infatti compreso che la materia è l’olio benedetto dal Vescovo, perché l’Unzione rappresenta in modo molto appropriato la grazia dello Spirito Santo, con la quale l’anima del malato viene invisibilmente unta. E la forma è costituita da queste parole: “Per questa Unzione, ecc. “

Capitolo 2. L’effetto di questo Sacramento.

1696. La realtà e l’effetto di questo Sacramento sono spiegati da queste parole: “La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è in peccato, gli saranno rimessi i peccati” (Gc V,15) . La realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione purifica le colpe, se ancora da espiare, ed i postumi del peccato; lenisce e rafforza l’anima del malato (cf. 1717), ispirando grande fiducia nella misericordia divina. Alleggerito da questa grazia, l’ammalato, da un lato, sopporta più facilmente le difficoltà e le sofferenze della malattia e, dall’altro, resiste più facilmente alle tentazioni del diavolo che cerca di morderlo al tallone (Gn III, 15) talvolta, infine, ottiene la salute del corpo, quando questa è utile per la salvezza dell’anima.

Capitolo 3. Il ministro di questo sacramento e il momento in cui viene amministrato.

1697. Ciò che è prescritto riguardo a coloro che devono ricevere e amministrare questo slSacramento ci è stato trasmesso senza ambiguità anche nelle parole citate sopra. Lì ci viene mostrato che i ministri di questo Sacramento sono i presbiteri della Chiesa (cf. 1719). Con questo nome non si intendono coloro che sono più anziani o più degni tra il popolo, ma i Vescovi o i Sacerdoti regolarmente ordinati da loro con “l’imposizione delle mani del presbiterio” (1Tm IV,14) – (cf. 1719).

1698. Si dice anche che questa unzione debba essere impartita agli ammalati, specialmente a quelli che sono in così grave pericolo da sembrare giunti alla fine della loro vita; per questo è anche chiamata Sacramento dei moribondi. Se i malati recuperano la salute dopo questa Unzione, possono essere nuovamente aiutati e sostenuti da questo Sacramento, nel caso in cui la loro vita si trovi nuovamente in un pericolo simile.

1699. Perciò, per nessun motivo dobbiamo ascoltare coloro che insegnano, contrariamente alla dichiarazione molto chiara ed evidente dell’apostolo Giacomo, (Giacomo V:14 ss.), che questa Unzione sia un’invenzione umana o un rito ricevuto dai Padri, non basato né su un comandamento di Dio né su una promessa di grazia (cf. 1716); né chi afferma che questa Unzione sia ormai finita, come se si riferisse solo alla grazia delle guarigioni nella Chiesa primitiva; né quelli che affermano che il rito e la consuetudine osservati dalla santa Chiesa romana nell’amministrazione di questo Sacramento siano il contrario di ciò che dice l’Apostolo Giacomo e debbano essere cambiati; né, infine, quelli che affermano che i fedeli possano senza peccato disprezzare questa Estrema Unzione (cf. 1718). In realtà, tutte queste proposizioni vanno molto chiaramente contro le chiare parole di un così grande Apostolo. La Chiesa romana, madre e maestra di tutte le altre, nell’amministrare questa Unzione, non fa certamente nulla di diverso da quanto prescritto da san Giacomo, per quanto riguarda la sostanza del Sacramento. Non si potrebbe disprezzare un così grande Sacramento senza commettere un grande crimine e senza insultare lo stesso Spirito Santo.

1700. Questo è dunque ciò che questo santo Concilio ecumenico professa e insegna sui Sacramenti della Penitenza e dell’Estrema Unzione, e ciò che propone a tutti i Cristiani di credere e mantenere. Dà i seguenti Canoni perché siano inviolabilmente osservati; condanna e anatematizza per sempre coloro che affermino il contrario.

Canoni sulle due dottrine.

Canoni sul Santissimo Sacramento della Penitenza.

1701. 1. Se qualcuno dice che nella Chiesa cattolica la penitenza non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore per riconciliare con Dio i fedeli ogni volta che cadano in peccato dopo il Battesimo, sia anatema (cf. 1668-1670).

1702. (2) Se qualcuno, confondendo i Sacramenti, dice che il Battesimo stesso sia il Sacramento della Penitenza, come se questi due Sacramenti non fossero distinti, e che quindi non sia giusto chiamare la Penitenza “seconda tavola di salvezza”: sia anatema (cf. 1542; 1671).

1703. 3. Se qualcuno dice che queste parole del Signore e Salvatore: “Ricevi lo Spirito Santo: A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; e a chi li conserverete, saranno conservati” (Gv XX, 22-23), non si devebba intendere il potere di rimettere e trattenere i peccati nel Sacramento della Penitenza, come la Chiesa cattolica ha sempre inteso fin dall’inizio, e, opponendosi all’istituzione di questo Sacramento, ne trasforma il significato in potere di predicare il Vangelo: sia anatema (cf. 1670).

1704. 4. Se qualcuno nega che, per una piena e perfetta remissione dei peccati, siano richiesti al penitente tre atti come materia per il Sacramento della penitenza, cioè la Contrizione, la Confessione e la Soddisfazione, che sono dette le tre parti della Penitenza; o se dice che ci siano solo due parti della Penitenza: I terrori che colpiscono la coscienza nel riconoscere il proprio peccato e la fede nata dal Vangelo o l’assoluzione con la quale si credono rimessi i propri peccati da Cristo: sia anatema (cf. 1673; 1675).

1705. Se qualcuno dice che la Contrizione preparata dall’esame, dal ricordo e dalla detestazione dei peccati, e con la quale uno pensa ai suoi anni nell’amarezza del suo cuore (Is 38,15), soppesando la gravità, l’abbondanza e la bruttezza dei suoi peccati, e la perdita della felicità eterna e la dannazione eterna in cui sono incorsi, con il fermo proposito di una vita migliore; che questa Contrizione non sia un vero ed utile dolore e non prepari alla grazia, ma che renda l’uomo ipocrita e più peccatore; che, infine, è un dolore forzato e non libero e volontario: sia anatema! (cf. 1456; 1676).

1706. 6 Se qualcuno nega che la Confessione sacramentale sia stata istituita o sia necessaria per la salvezza per diritto divino; o se dice che la confessione segreta al solo Sacerdote – che la Chiesa cattolica ha sempre osservato ed osserva fin dall’inizio – sia contraria all’istituzione e al comandamento di Cristo e che siacun’istituzione umana: sia anatema (cf. 1679- 1684).

1707. 7. Se qualcuno dice che nel Sacramento della Penitenza, per la remissione dei peccati, non sia necessario, per diritto divino, che si confessino tutti e ciascuno dei peccati mortali di cui ci si ricordi dopo una debita e seria riflessione, anche i peccati nascosti e quelli che sono contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo, né le circostanze che cambiano il tipo di peccato, ma che questa Confessione serva solo ad istruire e consolare il penitente, e che in passato servisse solo per imporre una soddisfazione canonica; o se dice che chi si sforza di confessare tutti i suoi peccati non voglia lasciare nulla al perdono della misericordia divina; o che, infine, non sia permesso confessare i peccati veniali: sia anatema! (cf. 1679-1684).

1708. (8) Se qualcuno dice che la confessione di tutti i peccati, come osservata dalla Chiesa, sia impossibile e sia una tradizione umana che le anime pie devono abolire; o che ogni Cristiano di entrambi i sessi non sia obbligato a confessarsi una volta all’anno, secondo la costituzione del Grande Concilio Lateranense, e che, per questo motivo, i Cristiani debbano essere persuasi a non confessarsi nel periodo della Quaresima: sia anatema! (cf. 1682s.).

1709. 9. Se qualcuno dice che l’assoluzione sacramentale del Sacerdote non sia un atto giudiziario, ma un semplice ministero che pronuncia e dichiara che i peccati sono rimessi a chi li confessa, a condizione che egli creda di essere assolto, o se il Sacerdote non lo assolve seriamente, ma per scherzo; o se dice che non sia necessaria la Confessione del penitente perché il Sacerdote lo assolva: sia anatema! ( cf. 1462; 1685).

1710. 10. Se qualcuno dice che i Sacerdoti in stato di peccato mortale non abbiano il potere di legare e sciogliere, o che i Sacerdoti non siano gli unici ad essere ministri dell’assoluzione, ma che sia a tutti e a ciascuno dei Cristiani che è stato detto: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo” (Mt XVIII,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,23); che in virtù di queste parole chiunque p0ssa assolvere i peccati, quelli pubblici almeno con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con la confessione spontanea: sia anatema (cf. 1684).

1711. 11. Se qualcuno dice che i Vescovi non abbiano il diritto di riservare le cause, se non per ciò che riguardi la disciplina esterna e che, di conseguenza, la riserva delle cause non impedisca ad un Sacerdote di assolvere veramente le cause riservate: sia anatema (cf. 1687).

1712. 12. Se qualcuno dice che ogni pena sia sempre rimessa da Dio contemporaneamente alla colpa, e che la Soddisfazione dei penitenti non sia altro che la fede con cui essi colgono che Cristo abbia soddisfatto per loro, sia anatema (cf. 1689).

1713. 13. Se qualcuno dice che, per quanto riguarda le pene temporali, Dio non sia in alcun modo soddisfatto per i peccati dai meriti di Cristo né per mezzo di pene inflitte da Dio e sopportate con pazienza, né per mezzo di quelle imposte dal Sacerdote, di preghiere, di elemosine o di altre opere di pietà, e che, di conseguenza, la migliore penitenza sia solo una nuova vita: sia anatema (cf. 169O-1692).

1774. 14. Se qualcuno dice che le soddisfazioni, con cui i penitenti riscattano i loro peccati per mezzo di Gesù Cristo, non siano un culto reso a Dio, ma tradizioni umane che oscurano la dottrina della grazia, il vero culto reso a Dio e il beneficio stesso della morte di Cristo: sia anatema (cf. 1692).

1715. 15. Se qualcuno dice che il potere delle chiavi sia stato dato alla Chiesa solo per sciogliere e non anche per legare, e che per questo motivo i Sacerdoti, imponendo pene a coloro che si confessano, agiscano contrariamente a questo potere e all’istituzione di Cristo; e che sia un’invenzione pensare che, una volta tolta la pena eterna con il potere delle chiavi, rimanga il più delle volte una pena temporale da espiare: sia anatema (cf. 1692).

Canoni sul sacramento dell’estrema unzione.

1716. (1) Se qualcuno dice che l’Estrema Unzione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore, (Mc VI,13), e promulgato dall’Apostolo san Giacomo, (Gc 5,14-15), ma solo un rito ricevuto dai Padri o un’invenzione umana, sia anatema! (cf. 1695; 1699).

1717. 2 Se qualcuno dice che la santa Unzione degli infermi non conferisca la grazia, non rimetta i peccati, non allevia i malati, ma che non esiste più, come se un tempo fosse stata solo una grazia di guarigione, sia anatema (cf. 1696; 1699).

1718. 3 Se qualcuno dice che il rito e l’uso dell’Estrema Unzione, osservati dalla santa Chiesa romana, siano contrari alle parole del santo Apostolo Giacomo, e che quindi debbano essere cambiati, affinché possano essere disprezzati senza peccato dai Cristiani, sia anatema (cf. 1699).

1719. 4. Se qualcuno dice che i presbiteri della Chiesa, a cui san Giacomo raccomanda di portare l’unzione ad un malato, non siano Sacerdoti ordinati dal Vescovo, ma i più anziani di ogni comunità, e che per questo il ministro dell’Estrema Unzione non siav solo il Sacerdote, sia anatema (cf. 1697).

MARCELLO II: 9 aprile – 1 maggio 1555.

PAOLO IV: 23 maggio 1555 – 18 agosto 1559

Continuazione e fine del Concilio di Trento sotto Pio IV.

PIO IV : 25 dicembre 1559-9 dicembre 1565.

Sessione XXI.

Preambolo.

1725. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… ha ritenuto che, essendosi diffusi in vari luoghi, attraverso gli artifici del demonio i più perversi, vari mostruosi errori riguardanti il temuto e santissimo sSacramento dell’Eucaristia, errori che sembrano aver allontanato molti dalla fede e dall’obbedienza della Chiesa Cattolica in alcune province, fosse necessario stabilire qui ciò che riguardi la Comunione sotto le due specie e la Comunione dei bambini. Per questo motivo, a tutti i Cristiani è proibito osare in futuro credere, insegnare o predicare qualcosa su questo argomento che non sia quanto affermato in questo documento, spiegato e definito dai seguenti decreti.

Capitolo 1. I laici e i chierici che non celebrano non sono tenuti per diritto divino alla comunione sotto entrambe le specie.

1726. Perciò questo stesso santo Concilio, istruito dallo Spirito Santo, che è “Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di pietà” (Is XI,2), e secondo il giudizio e la consuetudine della Chiesa stessa, dichiara e insegna che nessun Comandamento divino obblighi i laici ed i chierici che non celebrano a ricevere il Sacramento dell’Eucaristia sotto le due specie; e che non si possa in alcun modo dubitare, senza ledere la fede, che la Comunione ad una delle due specie sia sufficiente per la loro salvezza.

1727. Infatti, senza dubbio, il Signore Cristo, nell’ultima cena, istituì e donò agli Apostoli questo venerabile Sacramento sotto le specie del pane e del vino (Mt XXVI,26-29 Mc XIV,22-25 Lc XXII,19 1Co XI,24). Tuttavia questa istituzione e questo dono non hanno per oggetto di obbligare tutti i Cristiani, per decreto del Signore, a ricevere le due specie (cf. 1731; 1732). E non concludiamo giustamente dalle parole che si trovano nel capitolo VI di Giovanni che la Comunione alle due specie sia stata comandata dal Signore (cf. 1733), per quanto le intendiamo seguendo le varie interpretazioni dei Santi e dei Dottori. Infatti, Colui che disse: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv VI,53) , disse anche: “Se uno mangia questo pane, vivrà in eterno” (Gv VI,58). E Colui che disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv VI,54) e disse anche: “Il pane che vi darò è la mia carne per la vita eterna” (Gv VI,51). Infine, Colui che ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui”, (Gv VI, 56), ha anche detto: “Chi mangia questo pane vivrà in eterno”, (Gv VI,58).

Capitolo 2. Il potere della Chiesa nell’amministrazione del Sacramento dell’Eucaristia.

1728. Il Concilio dichiara inoltre che nell’amministrazione dei Sacramenti la Chiesa ha sempre avuto il potere di decidere o di modificare, mantenendo intatta la sostanza di questi Sacramenti, ciò che avrebbe ritenuto più opportuno per l’utilità di coloro che li ricevono e per il rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi. Ciò che l’Apostolo sembra indicare abbastanza chiaramente dicendo: “Siamo considerati ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio” (1Co IV,1). Ed è abbastanza chiaro che Egli stesso usasse questo potere per molte altre cose oltre che per questo stesso Sacramento, quando disse, dopo aver dato alcuni ordini riguardo al suo uso: “Il resto lo regolerò quando verrò” (1Co 11,34). Pertanto, sebbene all’inizio della Religione cristiana l’uso delle due specie non fosse infrequente, essendo questa usanza cambiata molto generalmente con il passare del tempo, la nostra santa Madre Chiesa, sapendo quale sia la sua autorità nell’amministrazione dei Sacramenti, è stata indotta da gravi e giuste cause ad approvare questa usanza di ricevere la Comunione sotto una delle due specie e a decretare che sarebbe stata una legge che non è permesso biasimare o cambiare a piacimento senza l’autorità della Chiesa stessa (cf. 1732).

Capitolo 3 Sotto ciascuna specie Cristo è ricevuto totalmente ed interamente.

1729. Dichiara inoltre che, sebbene il nostro Redentore, come si è detto sopra, nell’ultima cena abbia istituito e dato agli Apostoli questo Sacramento sotto entrambe le specie, tuttavia si deve riconoscere che anche sotto una sola delle due specie si riceva Cristo in modo completo ed integrale, così come il Sacramento in tutta verità, e che di conseguenza, per quanto riguarda il frutto del Sacramento, coloro che ricevono una sola specie non siano privi di alcuna grazia necessaria alla salvezza (cf. 1733).

Capitolo 4. I bambini non sono obbligati a ricevere la sacramentale Comunione.

1730. Infine, lo stesso santo Concilio insegna che nessuna necessità obblighi i bambini al di sotto dell’età della ragione a ricevere la Comunione sacramentale dell’Eucaristia (cf. 1734), poiché, rigenerati dal bagno del Battesimo (Tito 3,5) e incorporati a Cristo, a quell’età non possono perdere la grazia di figli di Dio che hanno ricevuto. E tuttavia non dobbiamo condannare il mondo antico per questo, anche se questa pratica era talvolta osservata in alcuni luoghi. Infatti, come questi santissimi Padri avevano un motivo lodevole per agire in conformità con i tempi, così dobbiamo certamente credere senza dubbio che agissero in questo modo senza alcuna necessità per la salvezza.

Canoni sulla comunione sotto le due specie e sulla comunione dei bambini.

1731. (1) Se qualcuno dice che per un comandamento di Dio, o per necessità di salvezza, tutti e tutti i Cristiani debbano ricevere le due specie del santissimo Sacramento dell’Eucaristia, sia anatema (cf. 1726 ss.).

1732. (2) Se qualcuno dice che la santa Chiesa Cattolica non sia stata condotta da giuste cause e ragioni al fine che i laici, così come i chierici che non celebrano, ricevano la Comunione sotto le sole specie del pane, o che essa abbia errato in questo, sia anatema (cf. 1728s.).

1733. 3 Se qualcuno nega che Cristo, fonte e autore di tutte le grazie, sia ricevuto in tutto e per tutto sotto le sole specie del pane, perché – come alcuni falsamente affermano – non è ricevuto sotto entrambe le specie secondo l’istituzione di Cristo stesso, sia anatema (cf. 1726s.).

1734. (4) Se qualcuno afferma che la Comunione eucaristica sia necessaria per i bambini prima che abbiano raggiunto l’età della ragione, sia anatema (cf. 1730).

Sessione XXII, 17 settembre 1562.

a) Dottrine e Canoni sul Sacrificio della Messa.

Preambolo.

1738. Affinché la fede e la dottrina antiche, assolute e in ogni modo perfette sul grande mistero dell’Eucaristia siano conservate nella santa Chiesa Cattolica e mantenute nella loro purezza, dopo aver respinto gli errori e le eresie, il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… istruito dalla luce dello Spirito Santo, insegna, dichiara e decreta quanto segue, che deve essere predicato ai popoli fedeli, riguardo all’Eucaristia come vero e unico Sacrificio.

Capitolo 1. L’istituzione del sacrificio della Messa.

1739. Poiché la perfezione non era stata raggiunta con la prima Alleanza, secondo la testimonianza dell’Apostolo Paolo, a causa della debolezza del sacerdozio levitico, fu necessario, a Dio Padre delle misericordie, istituire il Sacrificio della Messa (Sal CIX,4 Eb V,6 Eb V,10 Eb VII,11 Eb VII,17 Gen XIV,18) per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo, che poteva portare a pienezza (Eb X,14) eD a perfezione tutti coloro che dovevano essere santificati.

1940. Senza dubbio Egli, il nostro Dio e Signore, si sarebbe offerto una volta per tutte a Dio Padre sull’altare della croce con la sua morte (Eb VII,27) per realizzare una Redenzione eterna per loro. Tuttavia, poiché non voleva che il suo sacerdozio si spegnesse con la morte (Eb VII,24), nell’ultima cena, “nella notte in cui fu tradito” (1 Cor XI,23), volle lasciare alla Chiesa, sua amata sposa, un Sacrificio visibile (come richiede la natura umana). Questo avrebbe rappresentato il Sacrificio cruento che si sarebbe compiuto una volta per tutte sulla croce, il cui ricordo sarebbe rimasto fino alla fine del mondo e la cui virtù salutare sarebbe stata applicata alla remissione di quei peccati che commentiamo ogni giorno. Dichiarandosi Sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedech (Sal CIX,4 Eb V,6 Eb VII,17) offrì il suo Corpo e il suo Sangue a Dio Padre sotto le specie del pane e del vino; sotto il simbolo di questi li diede agli Apostoli (che allora costituì Sacerdoti della Nuova Alleanza) perché li prendessero; e ad essi e ai loro successori nel Sacerdozio comandò di offrirli, pronunciando queste parole: “Fate questo in memoria di me” (Lc XXII:19 1Co XII:24) , ecc., come la Chiesa cattolica ha sempre inteso e insegnato (cf. 1752).

1741. Infatti, dopo aver celebrato l’antica Pasqua, che la moltitudine dei figli d’Israele sacrificava in ricordo della loro uscita dall’Egitto (Es 12), istituì la nuova Pasqua, nella quale Egli stesso doveva essere sacrificato dalla Chiesa per mezzo del ministero dei Sacerdoti, sotto segni visibili in ricordo del suo passaggio da questo mondo a suo Padre, quando, con lo spargimento del suo sangue, ci riscattò e “ci strappò dal potere delle tenebre e ci introdusse nel suo regno” (Col 1, 13).

1742. Questa è l’oblazione pura, che non può essere contaminata da alcuna indegnità o malizia da parte di coloro che la offrono, che il Signore aveva predetto per mezzo di Malachia che sarebbe stata offerta pura in ogni luogo nel suo Nome, che sarebbe stata grande tra le nazioni (Ml 1:11), che l’Apostolo Paolo ha designato in modo inequivocabile quando, scrivendo ai Corinzi, ha detto: Chi si è contaminato partecipando alla mensa dei demoni non può partecipare alla mensa del Signore (1Co X,21) intendendo con la parola “mensa”, in entrambi i casi, l’altare. Infine, è l’altare che, al tempo della natura e della Legge, era rappresentato dalle varie immagini dei sacrifici (Gn IV,4 Gn VIII,20 Gn XII,8 Gn 22,1-19 (Es: passim), in quanto contiene in sé tutti i beni che questi significano, essendo la consumazione e la perfezione di tutto.

Capitolo 2. Il sacrificio visibile, espiazione per i vivi e per i morti.

1743. Perché, in questo Sacrificio divino che si compie nella Messa, questo stesso Cristo è contenuto e immolato in modo incruento, Colui che si è offerto una volta per tutte in modo cruento sull’altare della croce (Eb IX,14 Eb IX,27) il santo Concilio insegna che questo Sacrificio sia veramente propiziatorio (cf. 1753) e che attraverso di esso, se ci avviciniamo a Dio con cuore sincero e fede retta, con timore e riverenza, contriti e penitenti, “otteniamo misericordia e la grazia di un aiuto tempestivo” (Eb IV,16).Appagato dall’oblazione di questo Sacrificio, il Signore, concedendo la grazia ed il dono della penitenza, perdona i delitti ed i peccati, anche quelli enormi. Si tratta, infatti, di una stessa vittima, la stessa che, offrendosi ora attraverso il ministero dei Sacerdoti, si offrì allora sulla croce, solo che il modo di offrire è diverso. I frutti di questa oblazione – quella cruenta – sono ricevuti abbondantemente per mezzo di questa oblazione incruenta; tanto che l’oblazione cruenta non toglie nulla a quella incruenta (cf. 1754). Perciò, secondo la tradizione degli Apostoli, essa viene legittimamente offerta, non solo per i peccati, i dolori, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati (cf. 1753).

Capitolo 3: Messe in onore dei Santi.

1744. Sebbene la Chiesa sia solita celebrare alcune Messe in onore e memoria dei Santi, essa insegna che non è a loro che si offre il Sacrificio, ma a Dio solo che li ha incoronati.

1755. Così il Sacerdote non è solito dire: “Offro il sacrificio a voi, Pietro e Paolo”, ma, ringraziando Dio per le loro vittorie, ne implora la protezione, “… affinché si degnino di intercedere per noi in cielo proprio coloro che ricordiamo sulla terra”.

Capitolo 4. Il Canone della Messa.

1745. Poiché è opportuno che le cose sante siano amministrate con santità, e poiché il più santo di tutti è questo Sacrificio, che deve essere offerto e ricevuto con dignità e riverenza, molti secoli fa la Chiesa Cattolica istituì il santo canone, così puro da ogni errore (cf. 1756) che non c’è nulla in esso che non trasudi grandemente santità e pietà e non elevi a Dio lo spirito di coloro che lo offrono. È chiaro, infatti, che esso è fatto o dalle parole stesse del Signore, o dalle tradizioni degli Apostoli e dalle pie istruzioni dei santi Pontefici.

Capitolo 5. Le cerimonie del sacrificio della Messa

1746. La natura umana è tale che non possa facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni. Per questo la nostra pia Madre Chiesa ha istituito alcuni riti, in modo che nella Messa alcune cose siano dette a voce bassa (cf. 1759) ed altre a voce più alta. Ha anche introdotto cerimonie (cf. 1757) come le benedizioni mistiche, le luci, l’incenso, i paramenti e molte altre cose di questo tipo, ricevute dall’autorità e dalla tradizione degli Apostoli. In questo modo la maestà di un Sacrificio così grande sarebbe stata enfatizzata e le menti dei fedeli sarebbero state stimolate, per mezzo di questi segni visibili di religione e pietà, alla contemplazione delle cose più alte che sono nascoste in questo Sacrificio.

Capitolo 6. La Messa in cui solo il Sacerdote riceve la Comunione.

1747. Il Santo Concilio desidera certamente che i fedeli che partecipano ad ogni Messa ricevano la Comunione non solo per un desiderio spirituale, ma anche attraverso la ricezione sacramentale dell’Eucaristia, in modo da raccogliere frutti più abbondanti da questo santissimo Sacrificio, tuttavia, se ciò non avviene sempre, non condanna come private e illecite quelle Messe in cui solo il Sacerdote riceva la Comunione sacramentale; ma le approva e le raccomanda, poiché anche queste Messe devono essere considerate veramente pubbliche, in parte perché il popolo riceve la comunione spiritualmente, in parte perché sono celebrate da un ministro pubblico della Chiesa, non per sé solo, ma per tutti i fedeli che appartengono al Corpo di Cristo.

Capitolo 7. L’acqua mescolata al vino.

1748. Il santo Concilio avverte poi che la Chiesa abbia prescritto che i Sacerdoti mescolino l’acqua con il vino che deve essere offerto nel calice (cf. 1759), sia perché si ritiene che il Signore Cristo abbia fatto così, sia perché dal suo costato sgorgò l’acqua insieme al sangue (Gv XIX, 34) , che il Sacramento ricorda con questa mescolanza. E poiché, nell’Apocalisse di San Giovanni, si dice che le acque siano i popoli Ap. XVII,15), si rappresenta così l’unione del popolo fedele con Cristo, suo capo.

Capitolo 8. Rifiuto del linguaggio volgare nella Messa; spiegazione dei suoi misteri.

1749. Sebbene la Messa contenga una grande quantità di insegnamenti per i fedeli, non è sembrato bene ai Padri che venisse celebrata qua e là in lingua volgare. Per questo motivo, pur mantenendo ovunque il rito antico proprio di ogni Chiesa e approvato dalla santa Chiesa romana, Madre e maestra di tutte le Chiese, affinché le pecore di Cristo non muoiano di fame ed i piccoli non chiedano il pane e nessuno glielo dia (Lm IV,4), il santo Concilio ordina ai pastori ed a tutti coloro che hanno la cura delle anime di dare frequentemente, durante la celebrazione della Messa, alcune spiegazioni, da parte loro o di altri, dei testi letti nella Messa, e, tra l’altro, di illuminare il mistero di questo Sacrificio, specialmente nelle Domeniche e nelle feste.

Capitolo 9. Osservazioni preliminari ai canoni che seguono.

1750. Ma poiché oggi, contro questa antica fede fondata sul santo Vangelo, sulle tradizioni degli Apostoli e sull’insegnamento dei santi Padri, si sono diffusi molti errori e molte cose sono state insegnate e discusse da molti, il santo Concilio, dopo aver abbondantemente, seriamente e maturamente trattato queste cose, con l’unanimità di tutti i Padri, ha deciso di condannare ed eliminare dalla santa Chiesa ciò che vada contro questa purissima fede e questa santa dottrina, con i Canoni che seguono.

Canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa.

1751. (1) Se qualcuno dice che nella Messa non venga offerto a Dio un vero e proprio Sacrificio, o che “essere offerto” non significhi altro che Cristo ci venga dato come cibo, sia anatema.

1752. 2 Se qualcuno dice che Cristo non abbia istituito gli Apostoli come Sacerdoti con queste parole: “Fate questo in memoria di me” (1 Cor. XI:25 1 Cor. XI:24), o che non abbia ordinato loro e agli altri Sacerdoti di offrire il suo Corpo ed il suo Sangue, sia anatema (cf. 1470).

1753. 3 Se qualcuno dirà che il Sacrificio della Messa sia solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del Sacrificio fatto sulla croce, ma non sia un Sacrificio propiziatorio; o che sia vantaggioso solo per chi riceve Cristo, e che non debba essere offerto per i vivi e per i morti, o per i peccati, le punizioni, le soddisfazioni ed altre necessità, sia anatema (cf.1743).

1754. 4 Se qualcuno dirà che con il Sacrificio della Messa si commetta una bestemmia contro il santissimo Sacrificio di Cristo fatto sulla croce, o che sia una diminuzione di esso, sia anatema (cf. 1743).

1755. 5 Se qualcuno dice che sia una frode celebrare la Messa in onore dei Santi ed ottenere la loro intercessione presso Dio, come intende la Chiesa, sia anatema (cf. 1744).

1756. 6 Se qualcuno dice che il canone della Messa contenga errori e debba essere abrogato, sia anatema (cf. 1745).

1757. 7. Se qualcuno dice che le cerimonie, i paramenti ed i segni esteriori usati dalla Chiesa nella celebrazione della Messa siano piuttosto beffe dell’empietà che segni di pietà, sia anatema (cf. 1746).

1758. 8 Se qualcuno dice che le Messe in cui solo il Sacerdote riceve la Comunione sacramentale siano illecite e quindi debbano essere abolite, sia anatema (cf. 1747).

1959. 9. Se qualcuno dice che il rito della Chiesa romana, secondo il quale parte del Canone e le parole della Consacrazione sono pronunciate a bassa voce, debba essere condannato; o che la Messa debba essere celebrata solo in lingua volgare; o che l’acqua non debba essere mescolata nel calice con il vino che deve essere offerto, perché ciò è contrario all’istituzione di Cristo: sia anatema (cf. 1746; 1748).

Decreto sulla richiesta di concessione del calice.

1760. Inoltre, lo stesso santo Concilio, nella sua ultima sessione, si è riservato di esaminare e definire in un altro momento, quando se ne presentasse l’occasione, due articoli che gli erano stati proposti in altre sedi e che non erano ancora stati discussi: Le ragioni per cui la santa Chiesa Cattolica sia stata indotta a dare la Comunione ai laici ed anche ai Sacerdoti che non celebrano, sotto la sola specie del pane, devono essere mantenute in modo che l’uso del calice non sia permesso a nessuno per nessuna ragione – e : Se l’uso del calice, per onesti motivi e secondo la carità cristiana, dovesse essere concesso ad un paese o ad un regno, a quali condizioni dovrebbe essere concesso? E quali sono queste condizioni? Volendo ora provvedere nel modo migliore alla salvezza di coloro per i quali è stata fatta la richiesta, il Concilio ha decretato che l’intera questione sia deferita al nostro Santissimo Padre, come la sta deferendo con il presente decreto; secondo la sua singolare prudenza, farà ciò che giudicherà utile per gli Stati cristiani e salutare per coloro che richiedano l’uso del calice.

Sessione XXIII, 15 luglio 1563 – Dottrina e canoni sul Sacramento dell’Ordine.

Sacramento dell’Ordine.

1763. Dottrina vera e cattolica sul Sacramento dell’Ordine per condannare gli errori del nostro tempo, decretata dal Concilio di Trento e pubblicata nella settima sessione (sotto Pio IV).

Capitolo 1. L’istituzione del Sacerdozio della Nuova Alleanza.

1764. Sacrificio e Sacerdozio sono stati così uniti da una disposizione di Dio che entrambi sono esistiti in ogni legge. Pertanto, poiché la Chiesa Cattolica ha ricevuto nel Nuovo Testamento, per istituzione del Signore, il santo Sacrificio visibile dell’Eucaristia, si deve anche riconoscere che in essa ci sia un nuovo Sacerdozio visibile ed esterno (cf. 1771) in cui è passato l’antico sacerdozio (Eb VII,12). Questo Sacerdozio è stato istituito dallo stesso Signore, il nostro Salvatore (cf.n1773); agli Apostoli e ai loro successori nel Sacerdozio è stato dato il potere di consacrare, offrire e amministrare il suo Corpo er il suo Sangue, così come di perdonare e trattenere i peccati: questo è ciò che mostra la Sacra Scrittura e ciò che la tradizione della Chiesa Cattolica ha sempre insegnato (cf. 1771).

Capitolo 2. I sette gradi dell’ordine.

1765. Poiché il ministero di un Sacerdozio così santo è una cosa divina, era opportuno, perché fosse esercitato più degnamente e con maggior rispetto, che vi fossero, nella struttura perfettamente ordinata della Chiesa, diversi ordini di ministero, che fossero, per la loro funzione, al servizio del Sacerdozio, distribuiti in modo tale che coloro che avrebbero ricevuto la tonsura clericale salissero dagli Ordini minori agli Ordini maggiori (cf. 1772). La Sacra Scrittura, infatti, non menziona chiaramente solo i Sacerdoti, ma anche i diaconi; essa insegna, con le espressioni più gravi, a che cosa dobbiamo stare molto attenti quando li ordiniamo (Act VI,5 Act XXI,8 1Tm III,8-13 Ph 1,1). Fin dagli inizi della Chiesa sappiamo che erano in uso, anche se in misura diversa, i nomi dei seguenti Ordini e dei ministeri propri di ciascuno di essi: suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori ed ostiari. In realtà, il suddiaconato viene accostato agli Ordini maggiori dai Padri e dai Santi Concili, nei quali leggiamo molto spesso riferimenti agli altri olOrdini inferiori.

Capitolo 3. La sacramentalità dell’ordine.

1766. Poiché la testimonianza della Scrittura, la tradizione apostolica e l’accordo dei Padri mostrano chiaramente che la sacra ordinazione, conferita con parole e segni esterni, conferisca la grazia, nessuno deve dubitare che l’Ordine sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della santa Chiesa (cf. 1773). L’Apostolo dice: “Vi esorto a ravvivare la grazia di Dio che è in voi mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timore, ma di forza, di amore e di moderazione” (2Tm I,6 1Tm VI,14).

Capitolo 4. La Gerarchia ecclesiastica e l’Ordinazione.

1767. Poiché nel Sacramento dell’Ordine, così come nel Battesimo e nella Confermazione, è impresso un carattere (cf. 1774) che non può essere distrutto o tolto, il santo Concilio condanna giustamente il pensiero di coloro che affermino che i Sacerdoti del Nuovo Testamento abbiano solo un potere temporaneo e che, una volta ordinati secondo le regole, possano tornare laici, se non esercitano il ministero della Parola di Dio (cf. 1771). Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani, senza distinzione, siano Sacerdoti del Nuovo Testamento, o che tutti siano dotati dello stesso potere spirituale tra loro, sembra che non faccia altro che cancellare la Gerarchia ecclesiastica (cf..1776), che è come “un esercito schierato in battaglia” (Ct VI,3 Ct VI,9); come se, contrariamente all’insegnamento di san Paolo (1Cor XII,28-29; Eph IV,11) tutti fossero apostoli e tutti profeti, tutti evangelisti, tutti pastori, tutti maestri.

1768. Il santo Concilio dichiara quindi che, oltre agli altri gradi ecclesiastici, i Vescovi, che sono succeduti agli Apostoli, appartengano principalmente a questo ordine gerarchico; che siano stati posti (come dice lo stesso Apostolo) dallo Spirito Santo “per governare la Chiesa di Dio” (At XX,28; che siano superiori ai presbiteri; che conferiscano il Sacramento della Confermazione; che ordinalino i ministri della Chiesa; che possano fare molte altre cose per le quali altri di Ordine inferiore non hanno potere (cf. 1777).

1969. Inoltre, il santo Concilio insegna che nell’ordinazione dei Vescovi, dei Sacerdoti e degli altri Ordini non sia necessario né il consenso, né l’appello, né l’autorità del popolo o di qualsiasi potere o magistratura civile, come se l’Ordinazione fosse altrimenti nulla. Anzi, stabilisce che coloro che siano chiamati e istituiti dal popolo o da un potere o da una magistratura, salgono all’esercizio di questo ministero, e coloro che li prendono per sé, nella loro temerarietà debbano essere ritenuti, non come ministri della Chiesa, ma come ladri e briganti che non sono entrati dalla porta (Gv 10,1); (cf. 1778).

1770. Questo è ciò che sia sembrato bene al santo Concilio insegnare ai Cristiani in modo generale sul Sacramento dell’Ordine. Ha deciso di condannare nel modo seguente ciò che sia contrario a Canoni precisi e propri, affinché, con l’aiuto di Cristo, tutti, usando la regola della fede, in mezzo alle tenebre di tanti errori, possano più facilmente conoscere e conservare la fede cattolica.

Canoni sul Sacramento dell’Ordine.

1771. (1) Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non ci sia un Sacerdozio visibile ed esterno, o che non ci sia il potere di consacrare e offrire il vero Corpo e Sangue del Signore e di rimettere o trattenere i peccati, ma solo una funzione e un semplice ministero di predicazione del Vangelo; o che coloro che non predicano non sono Sacerdoti, sia anatema (cf.1764; 1767).

1772. (2) Se qualcuno dice che, oltre al Sacerdozio, non ci siano altri Ordini maggiori e minori nella Chiesa cattolica, (cf. 1764; 1767), attraverso i quali, come per gradi, si avanzi al Sacerdozio: sia anatema (cf. 1765).

1773. 3 Se qualcuno dirà che la sacra Ordinazione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo Signore, o che sia un’invenzione umana, escogitata da uomini che non capiscono nulla delle cose della Chiesa, o che sia solo un rito con cui si scelgono i ministri della Parola di Dio e dei Sacramenti, sia anatema (cf. 1766).

1774. 4 Se qualcuno dice che lo Spirito Santo non venga dato con la sacra Ordinazione, e che quindi sia vano che i Vescovi dicano: “Ricevi lo Spirito Santo”, o che l’Ordinazione non imprima un carattere, o che uno che sia diventato Sacerdote una volta per tutte possa tornare laico, sia anatema (cf. 1767).

1775. 5 Se qualcuno dice che l’unzione sacra che la Chiesa usa nell’Ordinazione non solo non sia necessaria, ma sia da disprezzare e sia perniciosa, e che lo stesso vale per le altre cerimonie dell’Ordine, sia anatema.

1776. 6 Se qualcuno afferma che nella Chiesa Cattolica non esista una Gerarchia istituita per disposizione divina, composta da Vescovi, Sacerdoti e ministri, sia anatema (cf. 1768).

1777. 7. Se qualcuno dice che i Vescovi non siano superiori ai Sacerdoti; o che non abbiano il potere di confermare e ordinare; o che il potere che hanno sia comune a loro con i Sacerdoti; o che le ordinazioni da loro conferite senza il consenso o l’appello del popolo o di qualche potere civile siano nulle; o che coloro che non sono stati legittimamente ordinati o inviati dall’autorità ecclesiastica e canonica, ma provengono da altrove, siano legittimi ministri della Parola e dei Sacramenti: sia anatema (cf. 1768s.).

1778. (8) Se qualcuno dice che i Vescovi scelti dall’autorità del Romano Pontefice non siano legittimi e veri Vescovi, ma un’invenzione umana, sia anatema.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26) “CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV al termine”

LA VERGINE MARIA (9)

Il Vescovo Tihámer Toth

LA VERGINE MARIA (9)

Nihil Obstat: Dr. Andrés de Lucas, Canonico. Censore.

IMPRIMATUR: José María, Vescovo Ausiliare e Vicario Generale. Madrid, 27 giugno 1951.

CAPITOLO IX

LA DEVOZIONE DELLA SPAGNA A MARIA

Per lodare la venerazione e l’amore che la Spagna professa per Maria, è sufficiente ricordare alcuni paragrafi di JUAN VÁZQUEZ DE MELLA:

“Cristologia e mariologia formano un’unità che la storia della teologia dimostra che non possa essere separata e che deve essere affermata o negata. totalmente. Il tipo della Vergine è di una grandezza tale che supera tutte le idee più elevate degli uomini. Figlia, moglie, madre, vergine, tutto insieme e in un’unica unità, è l’ideale di una bellezza soprannaturale che gli artisti della prima epoca del Medioevom vollero rappresentare nell’immagine di Sant’Anna che regge la Vergine, che teneva in grembo il Dio Bambino. – Tocca ed umile nel saluto angelico; trasportata dalla gioia nel Magnificat; trafitta da tutte le spade del dolore nello Stabat Mater Dolorosa, sotto tutte le forme e le invocazioni, ha l’ammirazione dell’umanità, poiché, fin’anche il maomettanesimo, la religione dell’impurità, proclama nel Corano la sua verginità e la sua Immacolata Concezione, e nessun vero poeta è passato davanti al suo altare senza salutarla con una vibrazione della sua lira e della sua anima. C’è una parola che è la prima ad essere pronunciata: Mamma. Solo coloro che l’hanno conosciuta e l’hanno persa dopo il vivere e crescere sotto l’impulso del suo amore, possono capire tutto ciò che sia contenuto in questo nome. Il risveglio dell’infanzia e le prime preghiere poste con i primi baci sulle labbra, le ore d’oro dell’adolescenza che non tornerà mai più; le preoccupazioni, le angosce, le illusioni, le speranze e anche le delusioni che appassiscono; i dispiaceri e le gioie, tutto è legato a colui che ci ha comunicato la linfa del corpo e dell’anima; e quindi, quando la perdiamo, ci accompagna come un’ombra invisibile, lasciandoci un ricordo funebre che gli anni non cancellano nella nostra memoria, una spina nella memoria e una spina nei nostri cuori. Lo stato di orfani! Quale religione e quale filosofia hanno pensato di alleviarlo e sopprimerlo sostituendo la madre morta con una che non muore mai? Solo una Religione divina poteva farlo, e la Chiesa ce lo mostra nella Vergine, non come simbolo, ma come realtà, che le nostre madri invocano nei loro momenti di angoscia, e di cui noi tutti siamo testimoni, perché è lei che, nei momenti supremi, quando il cuore viene. travolto dalle nere acque del dolore, sembra chinarsi su di noi e ci stende il suo mantello affinché, aggrappandoci ad esso, ci si possa salvare dal naufragio. – È per questo che il culto della Vergine Maria ha accompagnato la società cristiana fin dalle sue origini. Il protestantesimo, quando si è sollevato contro la Chiesa, si è sollevato contro la Vergine e.., inventando una storia per giustificare le sue negazioni, arrivò a dire che non esistevano immagini per dimostrare il culto della Vergine Maria fino a dopo il Concilio di Efeso. E le pareti delle Catacombe, che sono crollate per le smentite dei Protestanti, hanno risposto con magnifiche scoperte archeologiche, come quella delle Catacombe di Santa Priscilla, dove appaiono numerose immagini della Vergine, e precisamente una delle scene è il saluto angelico e un’altra la profezia di Isaia, di una tale perfezione, in contrasto con la povertà degli altri dipinti, tanto che è stato addirittura detto che se fossero stati scoperti nel XVI secolo, avrebbero si sarebbe potuto pensare che avessero ispirato Raffaello. E sono del primo secolo e contemporanei di San Giovanni! – La storia della Spagna è così strettament legata al culto della Vergine, che senza ddi esso è inconcepibile. Nel decimo Concilio diToledo, si regolavano le festività che erano state celebrate già e, quando la nazionalità della Spagna cominciò ad esistere, tutte le lingue cantarono come l’allodola dell’alba. Quella di Castiglia si può dire che inizi con la Vita di Santa Maria Egizíaca; quello catalano, con il Desconsuelo, di Raimundo Lulio, e quello galiziano, con le Cantigas di Alfonso il Saggio. E quando tutta la Penisola fu scossa dalle terribili invasioni di Almanzor, che minacciavano di ridurre la Riconquista alle grotte e alle montagne da cui provenivano i primi guerrieri; quando i Normanni seminarono il terrore sulle coste, e la nascente monarchia vacilla nel secolo millenario, un Vescovo, San Pietro di Mezonzo, come un gemito di angoscia, ma anche di speranza e di amore che esce dall’anima spagnola, compose la Salve, che in seguito tutta la cristianità avrebbe poi recitato. – E nel XIII secolo, quando tutti gli sforzi erano esauriti nella lotta contro gli Albigesi, san Domenico di Guzman, come supremo precursore, per ispirazione dall’Alto, istituì il Rosario. E si può ben dire che l’intera Reconquista non sia altro che la marcia trionfale della Spagna attraverso un fiume di sangue e una foresta di allori, i cui rami crociati stanno separando con le loro spade per aprire la strada alla Vergine, che li protegge con il suo manto e lo stende su di loro come un baldacchino di gloria. E così danno il loro nome alla caravella di Colombo e alla prodigiosa di Magellano, il primo a circumnavigare la terra.. E alla storia comune corrisponde la storia particolare delle regioni, che sembrano raggruppate davanti all’altare della Vergine per riceverme calore e protezione di Madre. – Siviglia, con gli splendori dei suoi cieli e la galanteria della sua Giralda, e i prati profumati innaffiati dal Guadalquivir, si apre come una rosa per esalare l’aroma della sua gioia davanti all’immagine della Macarena; Granada offre il suo meravigliose carmenes alla Virgen de las Angustias, come per addolcire la sua amarezza. In Murcia, la Virgen de la Fuensanta regna sulle feste, le canzoni e le case dei contadini; a Valencia, la Virgen de los Desamparados sembra una passionaria davanti alla quale tutti i fiori del suo frutteto si inchinano amorevolmente; in Catalogna, sulle rocce che sembrano le colonne di un tempio ciclopico rotto da un terremoto, si erge la Vergine di Montserrat, più in alto delle ciminiere delle fabbriche che, con le loro nuvole di fumo, assomigliano alle nuvole dei loro incensieri; in Navarra, una razza più forte del granito e della quercia delle sue montagne si prostrano con fervore e arrendevolezza davanti alla Vergine del Puy e del Camino; in Vizcaya, per il millenario delle sue libertà, la Vergine di Begoña presiede al lavoro fecondo dei suoi figli; nelle Asturie, in una fenditura della Auseva, la Vergine di Covadonga, la Vergine delle battaglie, la prima che i miei occhi hanno visto, indica, nel rivolo d’acqua che sgorga ai suoi piedi e si infiltra nel muschio delle rocce, il torrente che diventerà un fiume di sangue che attraverserà la Penisola e penetrerà nel mare, tracciando il percorso che gli audaci avventurieri percorreranno per dominare il pianeta.; in Galizia, nell’incomparabile Cattedrale di Compostela, di fronte al Portico de la Gloria, l’arco di trionfo eretto dalla Fede e dal Genio ai Crociati di Las Navas, i versi di Rosalía de Castro sembrano cadere sulla Vergine di Soledad, come gocce di lacrime con cui la pietà popolare vuole bagnare le ferite inferte al suo cuore dalle spade del dolore; in Estremadura, la Vergine di Guadalupe, ai cui piedi, come un leone stanco, il grande Imperatore andò a riposare, segnala con lo splendore e la decadenza del suo culto, la grandezza e la prostrazione del suo popolo; a León, Santa María, dove Alfonso Vil vulle porre come ex-voto la sua spada e il mantello imperiale, che intende diffondere negli altri Stati; in Castiglia, la Vergine portata in sella al suo cavallo dal Cid Campeador e San Ferdinando, e le numerose immagini della Vergine del del Carmelo, che sembra trovare il suo piedistallo più appropriato nel cuore di Santa Teresa; e, infine, in Aragona, sulle rive del fiume che dà il suo nome a tutta la Penisola, sorge la Vergine il cui Pilar indica una tradizione che risale all’età gotica e agli ultimi tempi di Roma e che arriva all’età apostolica come fondamento della Spagna. Perché la Vergine, con le sue diverse invocazioni, coronata di stelle o attraversata da spade dolorose o trionfanti, col suo culto riunisce gli amori di questa Patria, che è cresciuta sotto il suo manto, dall’Auseva, all’inizio della grande Crociata d’Occidente, fino alla fine, invocando il suo nome nell’ultima delle Crociate a Lepanto.

(Estratto dal discorso pronunciato al Teatro de las Damas Catequistas il 7 maggio 1922).

E cosa possiamo dire della devozione dell’America spagnola alla Madre? I santuari di Guadalupe, de los Remedios, di Ocotlán, di San Juan de los Lagos in Messico; di Caridad del Cobre, a Cuba; di Altagracia, ad Haiti; di Chiquinquirá, in Colombia; del Rosario, in Perù; di Andacollo, in Cile; di Luján, in Argentina – solo per citarne alcuni -, sono prove attendibili della tenera devozione con la quale i Cattolici ispanoamericani onorano la Beata Vergine Maria e della premurosa cura con cui hanno saputo conservare questa devozione, appresa dalle labbra dei primi missionari spagnoli.

LA VERGINE MARIA (10)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII: (24) IL CONCILIO DI TRENTO. “SESSIONE VII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (24)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

Il Concilio di Trento: Sess. VII – XIV

Sessione VII, 3 marzo 1547, decreto sui Sacramenti.

Preambolo

1600. Per completare questa salutare dottrina sulla giustificazione, promulgata nella sessione precedente con il consenso unanime di tutti i padri, è sembrato opportuno trattare dei santissimi sacramenti della Chiesa. È attraverso di essi che ogni vera giustizia inizia, o, una volta iniziata, aumenta, o, una volta persa, viene riparata. Per questo il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… desiderando eliminare gli errori ed estirpare le eresie che sono sorte ai nostri giorni riguardo ai santissimi Sacramenti, o che sono sorte da eresie già condannate dai nostri Padri, o che sono state addirittura scoperte, compromettendo grandemente la purezza della Chiesa cattolica e la salvezza delle anime, in contrasto con l’insegnamento delle Sacre Scritture, con le tradizioni apostoliche e con l’accordo unanime dei Padri di altri Concili, questo santo Concilio ha deciso di emanare e decretare i seguenti canoni. Quelli che restano per completare l’opera iniziata saranno, con l’aiuto dello Spirito Santo, pubblicati in seguito.

Canoni sui Sacramenti in generale.

1601. 1. Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non siano stati tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, o che ce ne siano più o meno di sette, cioè il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine e il Matrimonio, o che uno di questi sette non sia veramente e propriamente un Sacramento, sia anatema.

1602. 2 Se qualcuno dice che questi Sacramenti della nuova Legge differiscano da quelli dell’antica Legge solo perché le cerimonie sono diverse ed i riti esterni sono diversi, sia anatema.

1603. 3 Se qualcuno dice che questi sette sacramenti sono così uguali che in nessun modo uno è più degno dell’altro, sia anatema.

1604. (4) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non sisno necessari per la salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini ottengano da Dio la grazia della giustificazione (cf. 1559), essendo ammesso che non tutti per tutti: sia anatema..

1605. (5) Se qualcuno dice che questi Sacramenti siano stati istituiti solo per alimentare la fede, sia anatema.

1606. (6) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non contengano la grazia che significano, o che non conferiscano questa stessa grazia a coloro che non la ostacolano (cf. 1451), come se fossero solo segni esteriori della grazia e della giustizia ricevute dalla fede, e segni della professione cristiana con cui i fedeli si distinguono dagli infedeli tra gli uomini, sia anatema.

1607. (7) Se qualcuno dice che con tali Sacramenti la grazia non sia data sempre e a tutti, per quanto riguarda Dio, anche se siano ricevuti come dovrebbero essere, ma solo a volte e ad alcuni, sia anatema.

1608. (8) Se qualcuno dice che la grazia non viene conferita “ex opere operato” da questi Sacramenti della Nuova Legge, ma che la sola fede nella promessa divina sia sufficiente per ottenere la grazia, sia anatema.

1609. 9. Se qualcuno dice che nei tre Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro non venga impresso nell’anima un carattere, cioè un marchio spirituale e indelebile tale da non poter essere ripetuto, sia anatema.

1610. 10. Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani abbiano potere sulla parola e sull’amministrazione dei Sacramenti, sia anatema.

1611. 11. Se qualcuno dice che nei ministri, mentre compiono e conferiscono i Sacramenti, non sia richiesta l’intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa: sia anatema.(cf. 1262).

1612. 12. Se qualcuno dice che un ministro in stato di peccato mortale, purché osservi tutto ciò che è essenziale riguardo al fare o al conferire il Sacramento, non faccia o conferisca il Sacramento: sia anatema (cf. 1154).

1613. 13. Se qualcuno dice che i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica, in uso nella solenne amministrazione dei Sacramenti, possano essere disprezzati od omessi senza peccato, a volontà dei ministri, o cambiati in altri nuovi da qualsiasi pastore delle chiese, sia anatema.

Canoni sul Sacramento del Battesimo

1614. (1) Se qualcuno dice che il battesimo di Giovanni ha la stessa forza del battesimo di Cristo, sia anatema.

1615. (2) Se qualcuno dice che l’acqua vera e naturale non sia necessaria per il Battesimo, e quindi trasforma le parole di nostro Signore Gesù Cristo in una metafora: “Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo”, Giovanni III: 5, sia anatema.

1616.3 Se qualcuno dirà che nella Chiesa romana, che è madre e maestra di tutte le Chiese, non si trovi la vera dottrina sul Sacramento del Battesimo, sia anatema.

1617.4 Se qualcuno dice che il Battesimo, anche se impartito dagli eretici nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, non sia vero battesimo, sia anatema.

1618.5 Se qualcuno dice che il battesimo è libero, cioè non necessario per la salvezza, sia anatema (cf. 1524).

1619. 6. Se qualcuno dice che il battezzato non possa, anche se volesse, perdere la grazia, per quanto numerosi siano i suoi peccati, a meno che non voglia credere, sia anatema (cf. 1544).

1620. 7. Se qualcuno dice che i battezzati, con il loro Battesimo, non siano obbligati solo alla fede, ma anche all’osservanza di tutta la Legge di Cristo, sia anatema.

1621. 8. Se qualcuno dice che coloro che sono battezzati sisno liberi rispetto a tutti i comandamenti della santa Chiesa, sia quelli scritti che quelli tramandati, in modo da non essere obbligati ad osservarli: sia anatema.

1622. 9. Se qualcuno dice che bisogna ricordare agli uomini il battesimo in modo che comprendano che tutti i voti fatti dopo il battesimo sono nulli, in virtù della promessa già fatta nel battesimo stesso, come se questi voti minassero sia la fede professata in quel momento sia il battesimo stesso, sia anatema.

1623. 10. Se qualcuno dice che tutti i peccati commessi dopo il Battesimo siano rimessi o resi veniali dal solo ricordo e dalla fede del Battesimo ricevuto, sia anatema.

1624. 11. Se qualcuno dice che il vero Battesimo, conferito secondo i riti, debba essere ripetuto per chi ha negato la fede di Cristo tra gli infedeli, quando si è convertito e ha fatto penitenza: sia anatema.

1625. 12. Se qualcuno dice che nessuno deve essere battezzato se non all’età in cui Cristo fu battezzato o in punto di morte, sia anatema.

1626. 13. Se qualcuno dice che i neonati, poiché non fanno atto di fede, non debbano essere annoverati tra i fedeli dopo aver ricevuto il Battesimo, e che per questo motivo debbano essere ribattezzati quando hanno raggiunto l’età della discrezione, o che sia preferibile omettere il loro Battesimo piuttosto che battezzarli nella sola fede della Chiesa, loro che non credono con un atto personale di fede: sia anatema.

1627. 14. Se qualcuno dice che a questi bambini battezzati in questo modo si dovrebbe chiedere, quando sono cresciuti, se vogliono ratificare ciò che i padrini hanno promesso a loro nome quando sono stati battezzati, e che coloro che rispondono che non vogliono farlo dovrebbero essere lasciati al loro libero arbitrio e non costretti da alcuna sanzione a condurre una vita cristiana, se non escludendoli dal ricevere l’Eucaristia e gli altri Sacramenti fino a quando non si emendano: sia anatema.

Canoni sul sacramento della Confermazione.

1628. 1 Se qualcuno dice che la Cresima dei battezzati sia una cerimonia vana e non un vero e proprio Sacramento, o che in passato non fosse altro che una catechesi, con la quale coloro che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della loro fede in presenza della Chiesa, sia anatema.

1629. 2. Se qualcuno dice che chi attribuisce qualche virtù al santo crisma della Confermazione faccia ingiustizia allo Spirito Santo, sia anatema.

1630. 3. Se qualcuno dice che il ministro ordinario della confermazione non sia il solo Vescovo, ma qualsiasi semplice Sacerdote, sia anatema (cf.1318).

Continuazione del Concilio di Trento sotto Giulio III.

GIULIO III: 7 febbraio 1550 – 23 Marzo 1555.

Sessione XIII, 11 ottobre 1551: decreto sul sacramento dell’Eucaristia.

Preambolo

1635. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… si riunì, non senza essere particolarmente guidato e governato dallo Spirito Santo, allo scopo di esporre la vera e antica dottrina della fede e dei Sacramenti, e di rimediare a tutte le eresie e ad altri gravissimi danni che oggi purtroppo turbano la Chiesa di Dio e la dividono in molte e varie parti. Fin dall’inizio, però, si preoccupò soprattutto di estirpare le erbacce e gli scismi esecrabili che il nemico, in questi nostri tempi infelici, ha seminato (Mt XIII, 15) nella dottrina della fede e nell’uso e nel culto della Santa Eucaristia, che tuttavia nostro Signore ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati tra loro. Ecco perché questo stesso santo Concilio, trasmettendo la sana e autentica dottrina riguardante questo venerabile e divino Sacramento dell’Eucaristia, che la Chiesa cattolica, istruita da Gesù Cristo nostro Signore, ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati insieme. Così pure, il sacro Sinodo, traendo la sana e sincera dottrina di questo santo e venerabile Sacramento, la santa Chiesa dal Signore stesso e dagli Apostoli, istruita dallo Spirito Santo che le ricorda di giorno in giorno tutta la verità (Gv XIV, 26), ha sempre conservato e conserverà fino alla fine del mondo, proibisce a tutti i Cristiani d’ora in poi di osare credere, insegnare o predicare qualcosa sulla santissima Eucaristia che non sia quanto spiegato e definito dal presente decreto.

Cap. 1. La Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nella santissima Eucaristia.

1636. In primo luogo, il santo Concilio insegna e professa apertamente e inequivocabilmente che nel venerabile Sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è realmente, veramente e sostanzialmente (cf. 1651) contenuto sotto l’apparenza di queste realtà sensibili. Infatti, non vi è alcuna opposizione al fatto che il nostro Salvatore sieda sempre in cielo alla destra del Padre, secondo un modo di esistenza che è soprannaturale, e che tuttavia Egli sia per noi sacramentalmente presente in molti altri luoghi nella sua sostanza, con un modo di esistenza che difficilmente possiamo esprimere a parole, e che tuttavia possiamo riconoscere e credere costantemente come possibile a Dio (Mt XIX,26; Lc XVIII, 27) grazie al nostro pensiero illuminato dalla fede.

1637. Infatti tutti i nostri antenati, che facevano parte della vera Chiesa di Cristo e che parlavano di questo santissimo Sacramento, professavano molto apertamente che il nostro Redentore istituì questo mirabile Sacramento nell’ultima cena, quando, dopo aver benedetto il pane e il vino, testimoniò in termini chiari e precisi che dava loro il proprio Corpo e il proprio Sangue. Queste parole, ricordate dai santi Evangelisti (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19-20 e poi ripetute da san Paolo 1Cor 11,24-25), sono presentate in un senso molto chiaro e proprio, secondo quanto inteso dai Padri. È quindi uno scandalo indegno vedere certi uomini litigiosi e perversi ridurli a figure insulse e immaginarie, con le quali si nega la verità della Carne e del Sangue di Cristo, contro il sentimento universale della Chiesa, che come colonna e fondamento della verità ” (1Tm 3,15) detesta come sataniche queste invenzioni escogitate da uomini empi, ella che riconosce, con uno spirito che sa sempre ringraziare e ricordare, questo eccezionale beneficio di Cristo.

Cap. 2. Il motivo dell’istituzione di questo santissimo Sacramento.

1638. Perciò il nostro Salvatore, lasciando questo mondo per il Padre, istituì questo Sacramento nel quale riversò le ricchezze del suo amore divino per gli uomini, “lasciando un memoriale delle sue opere meravigliose” (Sal 110,4), e ci diede, ricevendo questo Sacramento, di celebrare la sua memoria (Lc 22,19 1Co 11,24) e di proclamare la sua morte fino a quando verrà lui stesso (1Co 11,26) a giudicare il mondo. Egli ha voluto che questo Sacramento fosse cibo spirituale per le anime (Mt 26,26) che nutre e rafforza coloro che vivono della sua vita (cf. 1655), Colui che ha detto “chi mangia me, vivrà egli stesso per mezzo di me” (Gv 6,57), e come antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali. Volle anche che fosse il pegno della nostra gloria futura e della felicità eterna, nonché il simbolo dell’unico Corpo di cui egli stesso è il capo (1Co XI, 3; Eph V, 23)e al quale volle che noi, come sue membra, fossimo legati dai più stretti vincoli di fede, speranza e carità, in modo da dire tutti la stessa cosa e da non avere divisioni tra noi (1Co 1,10).

Cap. 3. L’eccellenza della Santissima Eucaristia rispetto agli altri Sacramenti.

Altri sacramenti.

1639. La santissima Eucaristia ha certamente qualcosa in comune con gli altri Sacramenti in quanto è “simbolo di una realtà santa e forma visibile di una grazia invisibile”. Ma ciò che è eccellente e particolare è che gli altri Sacramenti hanno la virtù di santificare quando si ricorre ad essi, mentre nell’Eucaristia si trova l’Autore stesso della santità prima di riceverla (cf. 1654).

1640. In effetti, gli Apostoli non avevano ancora ricevuto l’Eucaristia dalle mani del Signore (Mt 26,26 Mc 14,22), eppure Egli affermò che era veramente il suo Corpo quello che presentava; ed è sempre stata fede della Chiesa di Dio che, subito dopo la consacrazione, il vero Corpo ed il Sangue di nostro Signore si trovassero sotto le specie del pane e del vino insieme alla sua anima e alla sua divinità. Certamente, se il Corpo è sotto la specie del pane e il Sangue sotto la specie del vino in virtù delle parole, il Corpo stesso è anche sotto la specie del vino, e il Sangue sotto la specie del pane, e l’anima sotto entrambe le specie, in virtù di questa connessione naturale e di questa concomitanza che unisce tra loro le parti di Cristo Signore che, risorto dai morti, non muore più (Rm 6,9) La divinità è unita, per questa mirabile unione ipostatica, al suo corpo e alla sua anima (cf. 1651; 1653).

1641. Per questo è vero che Cristo è contenuto sotto l’una o l’altra specie e sotto entrambe le specie insieme. Infatti, Cristo è totalmente e integralmente sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; allo stesso modo è totalmente sotto la specie del vino e sotto le sue parti (cf. 1653).

Cap. 4. Transustanziazione

1642. Poiché Cristo nostro Redentore ha detto che ciò che offriva sotto le specie del pane fosse veramente il suo corpo (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19 1Co 11,24-26) si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo è ciò che questo santo Concilio dichiara anche oggi – che con la consacrazione del pane e del vino avviene un cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo nostro Signore e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questo cambiamento è stato giustamente e propriamente chiamato, dalla santa Chiesa cattolica, transustanziazione (cf. 1652).

Cap. 5. Il culto e la venerazione dovuti a questo santissimo Sacramento.

1643. Perciò non c’è motivo di dubitare che tutti i cristiani, secondo la consuetudine che è sempre stata ricevuta nella Chiesa cattolica, venerino questo santissimo sacramento con il culto di latria che è dovuto al vero Dio 1656. Infatti questo sacramento deve essere venerato non meno perché è stato istituito da Cristo Signore per nutrirci (Mt 26,26-29). Crediamo infatti che in esso sia presente lo stesso Dio che l’eterno Padre introdusse nel mondo quando disse: “E tutti gli Angeli di Dio lo adorino” (Eb 1,6 Sal 7XCVI ,7) che i Magi adorarono prostrandosi 6(Mt 2,11) e a cui tutta la Scrittura testimonia che fu adorato in Galilea dagli apostoli (Mt 28,17 Lc 24,52).

1644. Inoltre, il santo Concilio dichiara che nella Chiesa di Dio è stata introdotta la consuetudine, devota e religiosa, di celebrare questo eminente e venerabile Sacramento con speciale venerazione e solennità ogni anno in un giorno festivo particolare, e di portarlo con riverenza ed onore in processione per le strade e le piazze pubbliche. (Cf. 846) Infatti, è giusto che ci siano dei giorni santi in cui tutti i Cristiani, con manifestazioni singolari e straordinarie, testimonino la loro gratitudine ed il loro ricordo al loro comune Signore e Redentore per un beneficio così ineffabile e veramente divino, con il quale sono rappresentati la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte. E fu così che la verità, vittoriosa sulla falsità e sull’eresia, trionfò, cosicché i suoi avversari, di fronte a un così grande splendore e alla grande gioia della Chiesa universale, o si indebolirono e si spezzarono, o appassirono, o, sopraffatti dalla vergogna e dalla confusione, giunsero un giorno a rassegnarsi.

Cap. 6. Il Sacramento della Santa Eucaristia conservato e portato ai malati.

1645. L’usanza di conservare la Santa Eucaristia in un luogo sacro è così antica che il secolo del Concilio di Nicea la conosceva già. Inoltre, portare la Santa Eucaristia agli ammalati e conservarla con cura nelle chiese non solo è molto equo e conforme alla ragione, ma è anche prescritto da molti Concili e osservato da una consuetudine molto antica della Chiesa cattolica. Per questo motivo questo santo Concilio ha stabilito che questa salutare e necessaria usanza debba essere assolutamente mantenuta (cf. 1657).

Cap. 7. La preparazione da fare per ricevere degnamente la della santa eucaristia

1646. Se non conviene a nessuno accostarsi ad una funzione sacra se non in modo santo, certamente quanto più un Cristiano scopre la santità ed il carattere divino di questo Sacramento celeste, tanto più deve fare attenzione a non accostarsi ad esso per riceverlo se non con grande rispetto e santità (cf. 1661): “Chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo di Cristo” (1Co XI, 29). Per questo motivo, chi desidera ricevere la Comunione deve ricordarsi del comandamento: “L’uomo si metta alla prova” (1Cor XI, 28).

1647. La consuetudine della Chiesa mostra chiaramente che questa prova sia necessaria affinché nessuno che sia consapevole di un peccato mortale, per quanto si ritenga contrito, possa accostarsi alla santa Eucaristia senza una previa Confessione sacramentale. Questo santo Concilio ha decretato che ciò debba essere sempre osservato da tutti i Cristiani, anche dai Sacerdoti che sono tenuti per ufficio a celebrare, purché possano ricorrere a un confessore. Che se, per urgente necessità, un Sacerdote ha dovuto celebrare senza confessarsi, si confessi al più presto (cf. 2058).

Cap. 8. L’uso di questo mirabile sacramento.

1648. Per quanto riguarda l’uso, i nostri padri hanno giustamente e saggiamente distinto tre modi di ricevere questo santo Sacramento. Hanno insegnato che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente come peccatori. Altri lo ricevono solo spiritualmente: sono coloro che, mangiando per desiderio il pane celeste offerto loro con quella “fede” viva che “opera per mezzo dell’amore” (Gal V, 6), ne sentono il frutto e l’utilità. Infine, ci sono altri che lo ricevono sia sacramentalmente che spiritualmente (cf. 1658): sono coloro che si mettono alla prova e si preparano in modo tale da accostarsi a questa mensa divina dopo aver indossato la veste nuziale (Mt XXII,11-14). Nella ricezione dei Sacramenti, è sempre stata consuetudine della Chiesa di Dio che i laici ricevano la comunione dai Sacerdoti e che i Sacerdoti che celebrano ricevano essi stessi la comunione (cf. 1560); questa consuetudine, derivante dalla tradizione apostolica, deve essere giustamente e rettamente mantenuta..

1649. Infine, con affetto paterno, il Santo Concilio avverte, esorta, chiede e supplica, “per le viscere della misericordia di Dio” (Lc 1,78), tutti e ciascuno di coloro che portano il nome di Cristiano di riunirsi finalmente, formando un solo cuore, in questo “segno”, in questo “vincolo di carità”, in questo simbolo dell’accordo dei cuori; ricordando la grande maestà e l’ammirabile amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ha dato la sua cara vita come prezzo della nostra salvezza, e il suo amore per noi (Gv VI, 48-58) affinché credano e venerino i santi misteri del suo Corpo e del suo Sangue con una fede così costante e salda, con un cuore così devoto, con una pietà e una riverenza tali da ricevere spesso questo pane supersostanziale (Mt VI,11). Che sia davvero la vita delle loro anime e la salute perpetua dei loro spiriti; che, forti del suo vigore 1Re 19,8 , possano completare il cammino del loro infelice pellegrinaggio ed entrare nella patria celeste, dove saranno nutriti senza alcun velo da questo pane degli angeli (Sal LXXII,25) che mangiano solo sotto i sacri veli.

1650. Poiché non basta dire la verità se non si rivelano e confutano gli errori, il santo Concilio decise di aggiungere i seguenti Canoni affinché tutti, una volta conosciuta la dottrina cattolica, comprendano anche quali eresie debbano essere scartate ed evitate.

Canoni sul Santo Sacramento dell’Eucaristia.

1651. (1) Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia non siano contenuti realmente, veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e di conseguenza tutto il Cristo, ma dice che vi siano solo come in un segno o in una figura o virtualmente, sia anatema (cf. 1636; 1640).

1652. 2 Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Rucaristia la sostanza del pane e del vino rimanga con il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e se nega questo mirabile e unico cambiamento di tutta la sostanza del pane nel suo Corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo Sangue, mentre le specie del pane e del vino rimangono, cambiamento che la Chiesa cattolica chiama molto opportunamente transustanziazione, sia anatema (cf. 1642).

1653. 3 Se qualcuno nega che nel venerabile sacramento dell’eucaristia il Cristo intero è contenuto sotto ciascuna specie e sotto ciascuna delle parti di entrambe le specie dopo la loro separazione, sia anatema 1641.

1654. 4 Se qualcuno dice che il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo non siano nel mirabile Sacramento dell’Eucaristia dopo la consacrazione, ma solo quando vengano usati nel riceverli, né prima né dopo, e che il vero Corpo del Signore non rimanga nelle ostie o nelle porzioni consacrate che si conservano o rimangono dopo la comunione, sia anatema (cf.1639 s.).

1655. 5 Se qualcuno afferma che il frutto principale della Santissima Eucaristia sia la remissione dei peccati o che essa non produca altri effetti, sia anatema (cf. 1638).

1656. 6. Se qualcuno dice che nel santo Sacramento dell’Eucaristia, Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, non debba essere adorato con un culto di latria, anche esteriore, e che, di conseguenza, non debba essere venerato con una particolare celebrazione festiva, né essere portato solennemente in processione secondo il lodevole ed universale rito o usanza della santa Chiesa, né essere offerto pubblicamente all’adorazione del popolo, essendo coloro che lo adorano idolatri: sia anatema (cf. 1643s.).

1657. 7 Se qualcuno dice che non sia lecito conservare la santa Eucaristia nel tabernacolo, ma che debba essere necessariamente distribuita ai presenti subito dopo la consacrazione, o che non sia lecito portarla con onore ai malati, sia anatema (cf. 1645).

1658. 8. Se qualcuno dice che il Cristo presentato nell’Eucaristia venganmangiato solo spiritualmente e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema (cf. 1648).

1659. 9. Se qualcuno nega che, una volta raggiunta l’età della discrezione, ogni Cristiano di entrambi i sessi sia tenuto a ricevere la Santa Comunione ogni anno almeno a Pasqua, secondo il comandamento della nostra santa madre Chiesa: sia anatema (cf. 812).

1660. 10. Se qualcuno dice che non sia lecito che il Sacerdote che celebra faccia egli stesso la Comunione, sia anatema (cf. 1648).

1661. 11. Se qualcuno dice che la sola fede sia una preparazione sufficiente per ricevere il Sacramento della santissima Eucaristia, sia anatema (cf. 1646). E affinché un così grande Sacramento non venga ricevuto indegnamente e quindi con morte e condanna, questo santo Concilio stabilisce e dichiara che coloro la cui coscienza sia gravata da peccato mortale, per quanto possano giudicarsi contriti, debbano necessariamente prima confessarsi sacramentalmente, se si può trovare un confessore. Se qualcuno avrà l’ardire di insegnare, predicare o affermare ostinatamente il contrario o addirittura di difenderlo nelle dispute pubbliche, sia per questo stesso fatto scomunicato (cf. 1647).

Sessione XIV, 25 novembre 1551

Dottrina sul Sacramento della penitenza.

1667. Il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… parlò a lungo, in occasione del decreto sulla giustificazione (cf. 1542s; 1579), del Sacramento della Penitenza, che una certa necessità richiedeva a causa della relazione tra i soggetti. Tuttavia, la moltitudine di errori diversi riguardanti questo Sacramento è così grande che è difficile capire perché sia così importante …. [il Concilio] ha ritenuto di pubblica utilità dare una definizione più esatta e completa. In questo modo, una volta smascherati e respinti tutti gli errori, sotto la protezione dello Spirito Santo, la verità cattolica diventerà chiara ed inequivocabile. È questa verità che questo santo Concilio espone a tutti i Cristiani affinché la conservino sempre.

Capitolo 1: Necessità e istituzione del Sacramento della Penitenza.

1668. Se tutti i rigenerati fossero così grati a Dio da mantenere costantemente la giustizia ricevuta nel Battesimo dalla sua bontà e grazia, non ci sarebbe stato bisogno di istituire un Sacramento diverso da quello del Battesimo per la remissione dei peccati (cf. 1702). Ma poiché “Dio, ricco di misericordia” (Ef II,4), “sa di che pasta siamo fatti” (Sal CII,14), ha dato anche un rimedio che restituisca la vita a coloro che in seguito si sono abbandonati alla schiavitù del peccato ed al potere del diavolo: il sacramento della Penitenza (cf. 1701), con il quale la benedizione della morte di Cristo viene applicata a coloro che sono caduti dopo il Battesimo.

1669. Per tutti gli uomini che si sono macchiati di un qualsiasi peccato mortale, la Penitenza era certamente necessaria in ogni momento per ottenere la grazia e la giustizia, anche per coloro che avevano chiesto di essere lavati dal Sacramento del Battesimo, affinché, respinta ed emendata ogni perversità, detestassero una così grande offesa fatta a Dio, provando allo stesso tempo odio per il peccato ed un santo dolore nella loro anima. Così dice il Profeta: “Pentitevi e fate penitenza per tutte le vostre iniquità, e la vostra iniquità non sarà la vostra rovina” (Ezech XVIII, 30). Anche il Signore ha detto: “Se non fate penitenza, perirete tutti allo stesso modo” (Lc XIII,3). E il capo degli Apostoli, Pietro, nel raccomandare la penitenza ai peccatori che dovevano ricevere il Battesimo, disse: “Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato” (At II,38).

1670. Ma prima della venuta di Cristo, la penitenza non era un sacramento; e dopo la sua venuta, non è un sacramento per nessuno prima del battesimo. Il Signore istituì questo sacramento della penitenza quando, risorto dai morti, soffiò sui discepoli dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo e i peccati saranno rimessi a coloro ai quali li rimetterete e saranno trattenuti da coloro ai quali li tratterrete” (Gv X,22-23). I Padri hanno sempre unanimemente compreso (cf. 1703) che il potere di perdonare e trattenere i peccati, per riconciliare i fedeli decaduti dopo il Battesimo, è stato comunicato agli Apostoli e ai loro legittimi successori con un fatto così straordinario e con parole così chiare, e la Chiesa ha avuto ben ragione di respingere e condannare come eretici i Novaziani che, in passato, hanno ostinatamente negato il potere di perdonare i peccati. Perciò questo santo Concilio, approvando e facendo proprio questo autentico significato delle parole del Signore, condanna le false interpretazioni di coloro che falsamente deviano queste parole per applicarle al potere di predicare la Parola di Dio e il Vangelo di Cristo e per opporsi all’istituzione di questo sacramento.

Capitolo 2. Differenza tra il Sacramento della Penitenza e il Battesimo.

1672. Inoltre, si può notare che, sotto molti aspetti, questo Sacramento differisca dal Battesimo 1702. Infatti, a parte il fatto che la materia e la forma, che costituiscono l’essenza del zdacramento, siano molto diverse, è assolutamente chiaro che il ministro del Battesimo non debba essere un giudice, poiché la Chiesa non giudica nessuno che non sia entrato prima nella Chiesa attraverso la porta del Battesimo. “Infatti, che cosa ho da fare (dice l’Apostolo) per giudicare quelli che sono fuori? (1 Cor V,12). Lo stesso non vale per coloro che appartengono alla famiglia della fede, ,(Galati VI,10), che il Signore Cristo ha reso membra del suo Corpo una volta per tutte mediante il Battesimo (1 Corinzi XII,12-13). Infatti, era sua volontà che, se in seguito si fossero contaminati per qualche colpa, non venissero lavati con un Battesimo da ripetere, poiché ciò non è in alcun modo permesso nella Chiesa cattolica, ma che comparissero come colpevoli davanti a questo tribunale affinché, per sentenza dei Sacerdoti, fossero liberati, non una volta sola, ma ogni volta che, pentendosi dei peccati commessi, si rifugiassero in lui.

1672. Inoltre, il frutto del Battesimo è diverso da quello della Penitenza. In Ga III,27 diventiamo una nuova creatura in Lui, mentre otteniamo la piena e completa remissione di tutti i peccati. Non possiamo assolutamente raggiungere questa novità e integrità attraverso il Sacramento della Penitenza senza grandi lacrime e dolori da parte nostra, come richiede la giustizia divina. La Penitenza è stata quindi giustamente definita dai Padri “un Battesimo faticoso”. Questo Sacramento della Penitenza è necessario per la salvezza di coloro che sono caduti dopo il Battesimo, così come il Battesimo stesso lo è per coloro che non sono ancora stati rigenerati (cf. 1706).

Capitolo 3. Le parti e i frutti di questo Sacramento.

1673. Il santo Concilio insegna inoltre che la forma del Sacramento della Penitenza, in cui risiede principalmente la sua virtù, è posta in queste parole del ministro: “Ti assolvo, ecc.”, alle quali parole, secondo l’uso della santa Chiesa, si aggiungono lodevolmente alcune preghiere che, tuttavia, non riguardano in alcun modo l’essenza di questa forma e non sono necessarie per l’amministrazione di questo Sacramento. Gli atti del penitente stesso sono la quasi-materia di questo Sacramento di: contrizione, confessione e soddisfazione (cf. 1704). Nella misura in cui questi atti sono richiesti, perché di istituzione divina, nel penitente per l’integrità del sacramento, per una piena e perfetta remissione dei peccati, sono per questo detti parti della penitenza.

1674. Per quanto riguarda la virtù e l’efficacia del Sacramento, la riconciliazione con Dio è la sua realtà e il suo effetto; negli uomini pii che ricevono questo Sacramento con devozione, esso produce di solito pace e serenità ed una grande consolazione spirituale.

1675. Dicendo tutto questo sulle parti e sugli effetti di questo sacramento, il santo Concilio condanna allo stesso tempo le affermazioni di coloro che sostengono che i terrori che si impadroniscono della coscienza e della fede siano parti della penitenza (cf. 1704).

Capitolo 4 Contrizione.

1676. La Contrizione, che occupa il primo posto tra gli atti del penitente di cui si parla, è un dolore dell’anima ed una detestazione del peccato commesso, con il proposito di non peccare in futuro. Questo movimento di Contrizione è sempre stato necessario per ottenere il perdono dei peccati; in coloro che sono caduti dopo il Battesimo, prepara ancora alla remissione dei peccati se è unito alla fiducia nella misericordia divina e al desiderio di fare tutto il resto richiesto per ricevere questo Sacramento come si deve. Il Santo Concilio dichiara quindi che questa Contrizione comprende non solo l’abbandono del peccato, il proponimento e l’inizio di una nuova vita, ma anche l’odio della vecchia vita, secondo queste parole: “Gettate via da voi tutte le iniquità con cui avete prevaricato, e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ezechiele 18,31). E certamente chiunque abbia considerato queste grida dei santi: “Contro te solo ho peccato e in tua presenza ho fatto il male” (Sal 50,6); “Ho faticato con gemiti, ogni notte bagno il mio letto” (Sal VI,7); “Ricorderò per te tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia” (Is XXXVIII 15), e altre del genere, capirà facilmente che provenivano da un odio violento della vita passata e da una detestazione molto grande dei peccati.

1677. Il Santo Concilio insegna inoltre che, anche se talvolta accade che questa Contrizione sia resa perfetta dalla carità e riconcili l’uomo con Dio prima che questo Sacramento sia effettivamente ricevuto, questa riconciliazione non debba tuttavia essere attribuita a questa sola Contrizione senza il desiderio del Sacramento, desiderio che è incluso in essa.

1678. La contrizione imperfetta 1705, che si chiama Attrizione, perché generalmente è concepita o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dalla paura dell’inferno e della pena, se esclude la volontà di peccare unita alla speranza del perdono, il Santo Concilio dichiara che non solo non rende l’uomo un ipocrita e un peccatore più grande (cf. 1456), ma che sia anche un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo che, non abitando ancora nel penitente, ma solo muovendolo, gli viene in aiuto, affinché prepari per sé il cammino verso la giustizia. E sebbene senza il Sacramento della Penitenza non possa di per sé condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad ottenere la grazia di Dio nel Sacramento della Penitenza. Fu molto utilmente colpito da questo timore il popolo di Ninive che fece una penitenza completa alla terrificante predicazione di Giona e ottenne misericordia dal Signore (Gion 3). Per questo motivo gli scrittori cattolici vengono falsamente calunniati, come se avessero insegnato che il Sacramento della Penitenza conferisca la grazia senza alcun buon movimento da parte di chi lo riceve; la Chiesa di Dio non ha mai insegnato né pensato questo. Ma falsa è la dottrina che insegna che la contrizione sia estorta e forzata, e non libera e volontaria (cf. 1705).

Capitolo 5. La confessione.

1679. Dall’istituzione del Sacramento della Penitenza, che è già stata spiegata, la Chiesa universale ha sempre inteso che anche la piena confessione dei peccati era stata istituita dal Signore (Gc 5,16 1Gv 1,9 Lc 5,14) e che era per diritto divino necessaria per tutti coloro che cadevano dopo il Battesimo (cf. 1707). Mentre stava per salire dalla terra al cielo, nostro Signore Gesù Cristo lasciò ai Sacerdoti il compito di sostituirlo (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) come presidenti e giudici a cui riferire tutte le colpe mortali in cui sarebbero caduti i Cristiani, affinché, in virtù del potere delle chiavi, pronunciassero la sentenza che rimetteva o tratteneva i peccati. È ovvio, infatti, che i Sacerdoti non potrebbero esercitare questo giudizio se la causa non fosse a loro nota, e che non potrebbero agire equamente nell’ingiunzione delle pene se i penitenti dichiarassero i loro peccati in modo generico e non piuttosto specificandoli e precisandoli.

1680. Da ciò deriva che i penitenti debbano elencare in confessione tutti i peccati mortali di cui sono a conoscenza dopo un serio esame di se stessi, anche se questi peccati siano molto nascosti e commessi solo contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo (Es 20,17 Dt 5,21 Mt 5,28): a volte questi feriscono l’anima più gravemente e sono più pericolosi di quelli commessi in piena vista degli altri. Quanto ai peccati veniali, che non ci escludono dalla grazia di Dio e nei quali cadiamo abbastanza frequentemente, sebbene sia giusto, utile e per nulla presuntuoso dirli nella Confessione (cf. 1707), come dimostra la pratica degli uomini pii, tuttavia possono essere taciuti senza colpa ed essere espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti gli altri peccati mortali, anche se commessi con il pensiero, rendono gli uomini “figli dell’ira” (Ef 2,4) e nemici di Dio, è indispensabile chiedere perdono a Dio con una Confessione franca e sincera. Per questo, sforzandosi di confessare tutti i peccati che vengono in mente, i Cristiani li offrono tutti, senza alcun dubbio, al perdono della misericordia di Dio (cf. 1707). Chi faccia diversamente, e ne nasconda consapevolmente alcuni, non offre nulla alla bontà divina che possa essere perdonato attraverso l’intermediazione del Sacerdote. “Infatti, se il malato arrossisce di scoprire al medico una ferita di cui questi ignora l’esistenza, la medicina non guarirà”.

1681. Ne consegue, inoltre, che anche le circostanze che cambiano il tipo di peccato (cf. 1707) devono essere spiegate nella confessione, perché senza di esse questi peccati non sono pienamente esposti dai penitenti né conosciuti dai giudici; non è possibile che questi ultimi siano in grado di giudicare la gravità delle colpe e di imporre ai penitenti la punizione necessaria per queste colpe. È quindi senza motivo che si insegni che queste circostanze siano state inventate da uomini oziosi o che si debba confessare solo una circostanza, per esempio che si è peccato contro il proprio fratello.

1682. È inoltre empio dire che la Confessione che si prescrive di fare in questo modo sia una cosa impossibile (cf. 1708) o chiamarla una tortura delle coscienze; è evidente infatti che nella Chiesa non si richieda altro ai penitenti che, dopo aver esaminato seriamente se stessi e dopo aver esplorato i recessi e gli angoli segreti della coscienza, confessare i peccati con i quali si ricordino di aver offeso mortalmente il loro Signore ed il loro Dio. Quanto agli altri peccati che non si presentino alla mente di chiunque rifletta seriamente, s’intende che sisno inclusi nell’insieme di questa confessione; per essi diciamo con fede le parole del profeta: “Signore, purificami dai miei peccati nascosti”. La difficoltà di una tale Confessione e la vergogna di dover scoprire i propri peccati potrebbero sembrare gravose se non fossero alleggerite dal numero e dall’importanza dei vantaggi e delle consolazioni che l’assoluzione porta certamente a tutti coloro che si accostano degnamente a questo Sacramento.

1683. D’altra parte, per quanto riguarda la modalità della Confessione segreta al solo Sacerdote, senza dubbio Cristo non ha proibito la confessione pubblica delle proprie colpe come punizione delle proprie colpe e come atto di umiltà personale, sia per dare l’esempio agli altri sia per edificare la Chiesa offesa. Tuttavia, questo precetto non deriva da un comandamento divino, e non sarebbe saggio che una legge umana comandasse di rivelare le proprie colpe, specialmente quelle segrete, con una confessione pubblica. (cf. 1706). Pertanto, poiché i santissimi e antichissimi Padri, con un consenso generale ed unanime, hanno sempre raccomandato la Confessione sacramentale segreta, che la santa Chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa tuttora, la vana calunnia di coloro che non confessano i loro peccati è manifestamente smentita, come aliena dal divino comandamento, ed invenzione umana e che è iniziata con i Padri riuniti nel (quarto) Concilio Lateranense (cf. 1708). Infatti, nel Concilio Lateranense, la Chiesa non stabilì che i Cristiani dovessero confessarsi – aveva capito che ciò fosse necessario e istituito per diritto divino – ma che il precetto della Confessione dovesse essere adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e ciascuno di coloro che avevano raggiunto l’età della ragione. Da ciò deriva che, nella Chiesa universale e con grande frutto per le anime, si osserva questa salutare consuetudine di confessarsi nel santo e propiziatissimo periodo della Quaresima, consuetudine che questo santo Concilio approva e abbraccia grandemente come pia e giusta da conservare (cf. 1708; 812).

Capitolo 6. Il ministro di questo sacramento e l’assoluzione.

1684. A proposito del ministro di questo Sacramento, il santo Concilio dichiara che sono false e del tutto estranee alla verità del Vangelo tutte le dottrine che estendono in modo pernicioso il ministero delle chiavi a ogni tipo di uomo, oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti (cf. 1710). I loro autori pensano che queste parole del Signore: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”, (Gv XX,23), siano state dette a tutti i cristiani indifferentemente e indistintamente, in contraddizione con l’istituzione del Sacramento, in modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati, quelli pubblici con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con una confessione spontanea fatta a chiunque. Il Santo Concilio insegna inoltre che anche i Sacerdoti in stato di peccato mortale esercitino, come ministri di Cristo, la funzione di rimettere i peccati in virtù dello Spirito Santo che hanno ricevuto con l’ordinazione, e che è un’opinione errata sostenere che questo potere non esista nei sacerdoti cattivi.

1685. Sebbene l’assoluzione del Sacerdote sia la dispensazione di un beneficio che non gli appartiene, tuttavia non è il solo e semplice ministero di annunciare il Vangelo o di dichiarare che i peccati siano perdonati, ma è come un atto giudiziario in cui una sentenza sia pronunciata dal Sacerdote come da un giudice (cf. 1709). Per questo il penitente non deve fare tanto affidamento sulla propria fede da pensare che, anche se non c’è contrizione in lui o se il Sacerdote non intenda agire seriamente e assolverlo davvero, egli sia comunque veramente assolto davanti a Dio grazie alla sua sola fede. Infatti, la fede non procurerebbe la remissione dei peccati senza la Penitenza, e sarebbe molto negligente per la sua salvezza chi sapesse che un Sacerdote lo abbia assolto per scherzo e non cercasse con cura un altro che agisse seriamente (cf. 1462).

Capitolo 7. Riserva di cause

1686. Pertanto, poiché la natura e la costituzione di un giudizio richiedono che la sentenza sia portata avanti nei soggetti, si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo Concilio conferma che ciò sia verissimo – che l’assoluzione pronunciata da un Sacerdote su qualcuno su cui non abbia giurisdizione ordinaria o delegata, non debba avere alcun valore.

1687. Ma un punto è sembrato ai nostri santissimi Padri di particolare interesse per la disciplina del popolo cristiano: alcuni peccati, del tipo più atroce e grave, non possono essere assolti da nessun Sacerdote, ma solo da quelli di grado più elevato. È quindi a buon diritto che i Sommi Pontefici, in virtù del potere supremo loro conferito nella Chiesa universale, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcuni reati più gravi. E non dobbiamo dubitare, dal momento che tutto ciò che venga da Dio è disposto per ordine (Rm XIII,1), che ciò sia permesso a ciascun Vescovo nella propria diocesi, “per l’edificazione, non per la distruzione” (2Cor X,8; 2Cor XIII,10) in virtù dell’autorità conferita loro sui sudditi e che supera quella degli altri Sacerdoti inferiori, soprattutto per le colpe a cui è legata la censura della scomunica. È in pieno accordo con l’Autorità divina che questa riserva di colpe abbia valore non solo nella disciplina esterna, ma anche davanti a Dio (cf. 1711).

1688. Tuttavia, affinché nessuno si perda per questo motivo, nella Chiesa di Dio si è sempre sostenuto con grande devozione che non c’è più alcuna riserva nell’ora della morte e che, di conseguenza, tutti i Sacerdoti possano assolvere tutti i penitenti da tutti i possibili peccati e censure. Al di fuori dell’articolo di morte, i Sacerdoti, non potendo fare nulla nei casi riservati, si sforzeranno solo di persuadere i penitenti a ricorrere a giudici superiori e legittimi per beneficiare dell’assoluzione.

Capitolo 8. Necessità e frutto della soddisfazione.

1689. Infine, a proposito della Soddisfazione: di tutte le parti della Penitenza, per quanto sia stata da sempre raccomandata al popolo cristiano dai nostri Padri, tanto ai nostri tempi è estremamente attaccata, essenzialmente sotto la copertura della pietà, da coloro che hanno l’apparenza della pietà, ma negano quella che è la sua forza 2Tm III, 5). Il Santo Concilio dichiara quindi chesia totalmente falso e contrario alla Parola di Dio affermare che il Signore non perdoni mai una colpa senza perdonare benevolmente anche l’intera pena. Ci sono infatti esempi chiari e noti nella Sacra Scrittura che, al di là della tradizione divina, confutano molto chiaramente questo errore (cfr. Gen III,16-19; Num XII,14 Num XX,11 2 Sam XII,13-14).

1690. Certamente il carattere della giustizia divina sembra richiedere che coloro che abbiano peccato per ignoranza prima del Battesimo entrino in grazia in modo diverso da coloro che, una volta liberati dalla schiavitù del peccato e del diavolo, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, non hanno avuto paura di violare consapevolmente il Tempio di Dio (1Co III,17) e di contraddire lo Spirito Santo (Ep IV, 30). È opportuno che la clemenza divina non ci perdoni i nostri peccati senza alcuna soddisfazione, in modo che, cogliendo l’occasione e considerando i nostri peccati abbastanza leggeri, cadiamo in quelli più gravi, offendendo e insultando lo Spirito Santo (Eb X,29), e accumulando tesori d’ira contro di noi per il giorno dell’ira (Rm II,5 Gc V,3). Non c’è dubbio, infatti, che queste punizioni espiatorie siano un grande deterrente dal peccato, agiscano da freno e rendano i penitenti più prudenti e vigili per il futuro; sono anche un rimedio per i postumi del peccato e rimuovono le abitudini viziose acquisite con una vita cattiva, facendo compiere azioni virtuose opposte a queste abitudini. E nessun modo è mai stato considerato più sicuro nella Chiesa di Dio per scongiurare il castigo minacciato dal Signore (Mt III,2 Mt III,8 Mt IV,17 Mt XI,21) che dedicarsi assiduamente a queste opere di penitenza con vero dolore del cuore. Inoltre, soffrendo quando siamo soddisfatti per i nostri peccati, diventiamo conformi a Cristo Gesù che ha soddisfatto per i nostri peccati (Rm V,10 Gv II,1-2) da cui proviene la nostra capacità (2Co III,5), avendo anche la certezza che se soffriamo con Lui, con Lui saremo glorificati (Rm VIII,17)

1691. Ma questa Soddisfazione, che paghiamo per i nostri peccati, non è nostra in modo tale che non avvrnga per mezzo di Gesù Cristo; perché noi, che da soli non possiamo fare nulla di ciò che viene da noi, con l’aiuto di Colui che ci fortifica possiamo fare ogni cosa (Ph 4,13). Così l’uomo non ha nulla di cui gloriarsi, ma tutta la nostra gloria è in Cristo (1Co I,31 2Co X,17 Ga VI,14) nel quale viviamo (Act XVII,28), nel quale meritiamo, nel quale soddisfiamo, rendendo degni i frutti della penitenza (Lc III,8 Mt III,8) che traggono la loro forza da Lui, sono offerti da Lui al Padre e sono accettati grazie a LLui dal Padre (cf. 1713ss.)

1692. I Sacerdoti del Signore devono quindi, per quanto lo Spirito e la prudenza suggeriranno, imporre le soddisfazioni salutari che sono appropriate, in relazione alla natura dei peccati ed alle possibilità dei penitenti. Se chiudessero gli occhi sui peccati e si mostrassero troppo indulgenti con i penitenti, imponendo opere molto leggere per colpe molto gravi, parteciperebbero ai peccati degli altri (1Tm V,22). Si ricordino che la soddisfazione che impongono non ha solo lo scopo di salvaguardare la vita nuova e di guarire la debolezza, ma anche di vendicare e punire i peccati del passato. Infatti, anche gli antichi Padri credevano ed insegnavano che il potere delle chiavi era dato ai Sacerdoti non solo per sciogliere, ma anche per legare (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) (cf. 1705). E non hanno ritenuto, per questo, che il Sacramento della Penitenza fosse un tribunale di ira e di dolori – cosa che nessun Cattolico ha mai pensato – né che, con tali soddisfazioni da parte nostra, la forza del merito di nostro Signore Gesù Cristo fosse oscurata o diminuita in parte. Non volendo capire questo, gli innovatori insegnano in modo tale che la migliore penitenza è una nuova vita (cf. 1457), che sopprimono ogni forza propria della soddisfazione e ogni ricorso ad essa (cf. 1713).

Capitolo 9. Opere di soddisfazione.

1693. Il Concilio insegna anche che la munificenza divina è così estesa che non solo le pene che ci infliggiamo spontaneamente come punizione per il peccato o che sono imposte dalla volontà di Dio, ma anche le pene che ci infliggiamo come punizione per il peccato e che sono imposte dalla volontà di Dio. secondo la misura della colpa, ma anche (che è il più grande segno di amore) che le prove temporali inflitte da Dio e da noi sopportate con pazienza, possano soddisfare presso Dio Padre per mezzo di Cristo Gesù (cf. 1713).

TUTTI IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25): Concilio di Trento Sess. XIX-XXIII.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII “GRAVISSIMAS”

Anche in Portogallo si fa sentire l’azione delle “conventicole di perdizione” che ostacolano l’opera degli Ordini religiosi e della Chiesa agendo sul governo corrotto e schiavizzato. Il Papa incoraggia Vescovi, religiosi e fedeli a rispettare le leggi emanate dalle autorità civili finché non intacchino la fede e la morale cattolica. Attualmente finte pseudoautorità religiose che sdoganano allegramente vizi ed amoralità riverniciandoli con altisonanti parole … libertà, uguaglianza, inclusione, tolleranza verso ogni ideologia anche la più perversa, promettendo la salvezza nel frequentare una falsa chiesa asservita alle logge massoniche ecclesiastiche dominanti ed usurpanti ben oltre il periodo degli insediamenti ariani nelle cariche religiose, invitando alla frequentazione di riti rosa+croce definiti come nuova messa, N. O. M., o ad invalidi, illeciti e sacrileghi pseudosacramenti compresi quelli che danno false ed invalide ordinazioni sacerdotali. Non parliamo poi delle leggi del governo dei burattini governativi, che tendono non solo a sopprimere, ma addirittura a cancellare dalla mente dei cittadini, le più elementari norme del vivere cristiano e naturale. A questo punto si impone effettivamente un reset, che il Signore sta già attuando con gli “angelos malos” (Ps. LXXVII. 49) utilizzandoli come castigo dell’umanità idolatra ed apostata. Al “pusillus grex” il compito di resistere saldi nella fede, “fortes in fide”, operosi nella carità, animati dalla speranza nella vita eterna promessa da Cristo a chi persevera fino alla fine.

GRAVISSIMAS
Lettera Enciclica di PAPA LEO XIII
SUGLI ORDINI RELIGIOSI IN PORTOGALLO

Al Cardinale Netto, Patriarca di Lisbona e ai Vescovi del Portogallo.

In mezzo alle gravi preoccupazioni che ci angosciano ogni giorno di più a causa della guerra dichiarata agli Ordini religiosi in molte zone, la lettera congiunta, eminente e piena di dignità, che, in adempimento del vostro dovere pastorale e della vostra riverenza per il vostro Sovrano, avete recentemente inviato al vostro Re fedele, è stata per Noi una straordinaria consolazione. Infatti, nulla potrebbe esserci più gradito che vedervi prontamente uniti sia per difendere le Congregazioni religiose sia per sostenerne le necessità e l’utilità. Perciò nulla Ci fa più piacere che approvare il vostro zelo e onorare i vostri sforzi con la lode che meritano.
2. In effetti, non c’è da meravigliarsi se voi, sia come coloro che presiedono la Chiesa sia come cittadini portoghesi, vi troviate in disaccordo con i recenti decreti contro le società religiose. È chiaro, infatti, che essi sono contrari ai diritti della Chiesa e al diritto dei fedeli di scegliere uno stato di vita; privano lo Stato di non pochi benefici eccezionali che gli derivano dagli Istituti religiosi, come gli stessi autori di questi decreti ammettono in modo incerto.
3. Ciò che si deve pensare delle condizioni imposte dal governo del Portogallo alle famiglie religiose, se si vuole che esse sopravvivano, lo avete già dichiarato in modo eminente. Bisogna però tenere sempre presente che, secondo la disciplina della Chiesa cattolica, nessun Ordine religioso può esistere o prosperare se il noviziato e i voti vengono eliminati. Perciò le leggi proprie di ogni Istituto, se necessario, devono essere rese conformi alle prescrizioni civili; ma ciò deve avvenire solo in modo da preservare la dignità dei singoli religiosi e, soprattutto, da mantenere integra la natura del loro stato sacro.
4. Con le forze unite, dovete decidere come far fronte alle perdite e ai pericoli che opprimono le società religiose e in che modo potete più opportunamente provvedere alla loro conservazione in mezzo a voi. È infatti opportuno che la Santa Sede si rimetta al giudizio congiunto di coloro che possono valutare più da vicino, essendo presenti come voi, la mente e le intenzioni delle autorità civili e le circostanze delle situazioni e dei luoghi. Per il resto, la stessa Sede Apostolica non mancherà di preoccuparsi di elaborare uno stile di vita adeguato, secondo norme e dispense appropriate, per i religiosi allontanati a forza dai loro domicili.
5. Continuate, dunque, a difendere strenuamente la causa della religione e della società civile, che avrà un esito favorevole solo se indicherete ai vostri fedeli un metodo chiaro e corretto di agire in pubblico. Continuate anche a fare ogni sforzo per unire e incrementare le forze cattoliche e per favorire le pubblicazioni e le organizzazioni che difendono i diritti della Chiesa. Promuovete diligentemente quell’armonia di volontà che mette da parte le opinioni private e le rivalità politiche di parte. Questo vi chiediamo vivamente.
6. Infine, in segno di assistenza divina e a testimonianza della nostra benevolenza, impartiamo con amore a voi, Venerabili Fratelli, e a tutti i fedeli del Portogallo, e in particolare ai membri degli ordini religiosi, la Benedizione Apostolica.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 16 maggio 1901, nel 24° anno del Nostro Pontificato.
LEO XIII

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITA’ (2023)

FESTA DELLA SANTISSIMA TRINITÁ (2023)

O Dio, uno nella natura e trino nelle Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, causa prima e fine ultimo di tutte le creature, Bene infinito, incomprensibile e ineffabile, mio Creatore, mio Redentore e mio Santificatore, io credo in Voi, spero in Voi e vi amo con tutto il cuore.

Voi nella vostra felicità infinita, preferendo, senza alcun mio merito, ad innumerevoli altre creature, che meglio di me avrebbero corrisposto ai vostri benefìci, aveste per me un palpito d’amore fin dall’eternità e, suonata la mia ora nel tempo, mi traeste dal nulla all’esistenza terrena e mi donaste la grazia, pegno della vita eterna.

Dall’abisso della mia miseria vi adoro e vi ringrazio. Sulla mia culla fu invocato il vostro Nome come professione di fede, come programma di azione, come meta unica del mio pellegrinaggio quaggiù; fate, o Trinità Santissima, che io mi ispiri sempre a questa fede ed attui costantemente questo programma, affinché, giunto al termine del mio cammino, possa fissare le mie pupille nei fulgori beati della vostra gloria.

[Fidelibus, qui festo Ss.mæ Trinitatis supra relatam orationem pie recitaverint, conceditur: Indulgentia trium annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (S. Pæn. Ap.,10 maii 1941).

[Nel giorno della festa della Ss. TRINITA’, si concede indulgenza plenaria con le solite condizioni: Confessione [se impediti Atti di contrizione perfetta], Comunione sacramentale [se impediti, Comunione Spirituale], Preghiera secondo le intenzioni del S. Padre, S. S. GREGORIO XVIII]

Canticum Quicumque


(Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)


Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.

MESSA

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani,

comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di I° classe. – Paramenti bianchi.

Lo Spirito Santo, il cui regno comincia con la festa di Pentecoste, viene a ridire alle nostre anime in questa seconda parte dell’anno (dalla Trinità all’Avvento – 6 mesi), quello che Gesù ci ha insegnato nella prima (dall’Avvento alla Trinità – 6 mesi). Il dogma fondamentale al quale fa capo ogni cosa nel Cristianesimo è quello della SS. Trinità, dalla quale tutto viene (Ep.) e alla quale debbono ritornare tutti quelli che sono stati battezzati nel suo Nome (Vang.). Così, dopo aver ricordato, nel corso dell’ano, volta per volta, pensiero di Dio Padre Autore della Creazione, di Dio Figlio Autore della Redenzione, di Dio Spirito Santo, Autore della nostra santificazione, la Chiesa, in questo giorno specialmente, ricapitola il grande mistero che ci ha fatto conoscere e adorare in Dio l’Unità di natura nella Trinità delle persone (Or.). — « Subito dopo aver celebrato l’avvento dello Spirito Santo, noi celebriamo la festa della SS. Trinità nell’officio della Domenica che segue, dice S. Ruperto nel XII secolo, e questo posto è ben scelto perché subito dopo la discesa di questo divino Spirito, cominciarono la predicazione e la credenza, e, nel Battesimo, la fede e la confessione nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ». Il dogma della SS. Trinità è affermato in tutta la liturgia. È in Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo che si comincia e si finisce la Messa e l’Ufficio divino, e che si conferiscono i Sacramenti. Tutti i Salmi terminano col Gloria Patri, gli Inni con la Dossologia e le Orazioni con una conclusione in onore delle tre Persone divine. Nella Messa due volte si ricorda che il Sacrificio è offerto alla SS. Trinità. — Il dogma della Trinità risplende anche nelle Chiese: i nostri padri amavano vederne un simbolo nell’altezza, larghezza e lunghezza mirabilmente proporzionate degli edifici; nelle loro divisioni principali e secondarie: il santuario, il coro, la navata; le gallerie, le trifore, le invetriate; le tre entrate, le tre porte, i tre vani, il frontone (formato a triangolo) e, a volte le tre torri campanili. Dovunque, fin nei dettagli dell’ornato il numero ripetuto rivela un piano prestabilito, un pensiero di fede nella SS. Trinità. — L’iconografia cristiana riproduce, in differenti maniere questo pensiero. Fino al XII secolo Dio Padre è rappresentato da una mano benedicente che sorge fra le nuvole, e spesso circondata da un nimbo: questa mano significa l’onnipotenza di Dio. Nei secoli XIII e XIV si vede il viso ed il busto del Padre; dal secolo XV il Padre è rappresentato da un vegliardo vestito come il Pontefice.Fino al XII secolo Dio Figlio è rappresentato da una croce, da un agnello o da un grazioso giovinetto come i pagani rappresentavano Apollo. Dal secolo XI al XVI secolo apparve il Cristo nella pienezza delle forze e barbato; dal XIII secolo porta la sua croce, ma spesso ancora è rappresentato dall’Agnello. — Lo Spirito Santo fu dapprima rappresentato da una colomba le cui ali spiegate spesso toccano la bocca del Padre e del Figlio, per significare che procede dall’uno e dall’altro. A partire dall’XI secolo fu rappresentato per questo sotto forma di un fanciullino. Nel XIII secolo è un adolescente, nel XV un uomo maturo come il Padre e il Figlio, ma con una colomba al di sopra della testa o nella mano per distinguerlo dalle altre due Persone. Dopo il XVI secolo la colomba riprende il diritto esclusivo che aveva primieramente di rappresentare lo Spirito Santo. — Per rappresentare la Trinità si prese dalla geometria il triangolo, che con la sua figura, indica l’unità divina nella quale sono iscritti i tre angoli, immagine delle tre Persone in Dio. Anche il trifoglio servì a designare il mistero della Trinità, come pure tre cerchi allacciati con il motto Unità scritto nello spazio lasciato libero al centro della intersezione dei cerchi; fu anche rappresentata come una testa a tre facce distinte su un unico capo, ma nel 1628 Papa Urbano VIII proibì di riprodurre le tre Persone in modo così mostruoso. — Una miniatura di questa epoca rappresenta il Padre ed il Figlio somigliantissimi, il medesimo nimbo, la medesima tiara, la medesima capigliatura, un unico mantello: inoltre sono uniti dal Libro della Sapienza divina che reggono insieme e dallo Spirito Santo che liunisce con la punta delle ali spiegate. Ma il Padre è più vecchio del Figlio; la barba del primo è fluente, del secondo è breve; il Padre porta una veste senza cintura e il pianeta terrestre; il Figlio ha un camice con cintura e stola poiché è Sacerdote. — La solennità della SS. Trinità deve la sua origine al fatto che le Ordinazioni del Sabato delle Quattro Tempora si celebravano la sera prolungandosi fino all’indomani, domenica, che non aveva liturgia propria. — Come questo giorno, così tutto l’anno è consacrato alla SS. Trinità, e nella prima Domenica dopo Pentecoste viene celebrata la Messa votiva composta nel VII secolo in onore di questo mistero. E poiché occupa un posto fisso nel calendario liturgico, questa Messa fu considerata costituente una festa speciale in onore della SS. Trinità. Il Vescovo di Liegi, Stefano, nato verso l’850, ne compose l’ufficio che fu ritoccato dai francescani. Ma ebbe vero principio, questa festa, nel X secolo e fu estesa a tutta la Chiesa da Papa Giovanni XXI nel 1334. — Affinché siamo sempre armati contro ogni avversità (Or.), facciamo in questo giorno con la liturgia professione solenne di fede nella santa ed eterna Trinità e sua indivisibile Unità (Secr.).

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Tob XII: 6.

Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam.

[Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Ps VIII: 2

Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in univérsa terra!
[O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!]

 Benedícta sit sancta Trínitas atque indivísa Unitas: confitébimur ei, quia fecit nobíscum misericórdiam suam. [Sia benedetta la Santa Trinità e indivisa Unità: glorifichiamola, perché ha fatto brillare in noi la sua misericordia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Omnípotens sempitérne Deus, qui dedísti fámulis tuis in confessióne veræ fídei, ætérnæ Trinitátis glóriam agnóscere, et in poténtia majestátis adoráre Unitátem: quaesumus; ut, ejúsdem fídei firmitáte, ab ómnibus semper muniámur advérsis. 

[O Dio onnipotente e sempiterno, che concedesti ai tuoi servi, mediante la vera fede, di conoscere la gloria dell’eterna Trinità e di adorarne l’Unità nella sovrana potenza, Ti preghiamo, affinché rimanendo fermi nella stessa fede, siamo tetragoni contro ogni avversità.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XI: 33-36.

“O altitúdo divitiárum sapiéntiæ et sciéntiæ Dei: quam incomprehensibília sunt judícia ejus, et investigábiles viæ ejus! Quis enim cognovit sensum Dómini? Aut quis consiliárius ejus fuit? Aut quis prior dedit illi, et retribuétur ei? Quóniam ex ipso et per ipsum et in ipso sunt ómnia: ipsi glória in sæcula. Amen”. 

[O incommensurabile ricchezza della sapienza e della scienza di Dio: come imperscrutabili sono i suoi giudizii e come nascoste le sue vie! Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi gli fu mai consigliere? O chi per primo dette a lui, sí da meritarne ricompensa? Poiché da Lui, per mezzo di Lui e in Lui sono tutte le cose: a Lui gloria nei secoli. Amen.]

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

DIO È CARITÀ.

La gloria del Cristianesimo, della Rivelazione cristiana, che ha per oggetto suo primo Dio, è di avere saputo e di saper parlare alla nostra mente e al nostro cuore, appagando i due supremi bisogni dell’anima, sapere e amare. Ce n’è per le intelligenze più aristocratiche, ce n’è per i cuori più umili, quelle si arrestano pensose, questi si fermano giocondi.  Oggi l’Epistola della domenica ha una parola delle più sublimi e delle più consolanti. Dio è carità: «Deus charitas est». Dio è un fuoco, una promessa, un suono infinito di amore, di bontà, di carità. La carità è il suo attributo, per noi Cristiani più alto, più caratteristico. Vedete, o fratelli, le armonie mirabili del dogma, della morale di N. S. Gesù Cristo. La carità è il grande comandamento della sua Legge, così grande che può parere e dirsi in qualche modo il solo: in realtà riassume, compendia in sé tutti gli altri. È « preceptum magnum in lege ». Bisogna amar Dio e tutti quelli e tutto ciò che Egli desidera vedere amato da noi. Amare Dio! Che gran parola! Se Dio permettesse all’uomo di amarlo, pensando quanto Egli è grande, quanto noi siamo piccini, dovremmo riguardarlo come una concessione straordinaria da parte di Dio. Ebbene, no, Dio non ci permette: Egli ci comanda di volerGli bene, come figli al Padre, come amici all’Amico. Ma noi Gli dobbiamo voler bene, perché (ecco il dogma) Egli è buono, anzi è la stessa bontà, una bontà non contegnosa, non fredda, una bontà calda, espansiva: è carità. Questo dogma corrisponde a quel precetto: nel precetto si raccoglie tutta la morale, in quel precetto e in questo dogma si compendia la storia dogmatica dei rapporti di Dio con noi. La carità è la chiave della Creazione, della Redenzione, della Santificazione. Noi siamo da tanti secoli ormai abituati a sentirci predicare questo ritornello: Dio è carità, che rimaniamo quasi indifferenti. Ma quei primi che raccolsero queste parole dalle labbra di Gesù e poi dagli Apostoli, ne rimasero estatici. Per secoli i Profeti avevano con una commossa eloquenza celebrato la grandezza di Dio e la Sua giustizia. Certo non avevano dimenticato la misericordia, attributo troppo prezioso perché nella sinfonia profetica potesse mancare. Ma la grande predicazione profetica era la predicazione della grandezza e della giustizia: volevano incutere il timore di Dio in quel popolo dalla dura cervice e dal cuore incirconciso. E parve una musica nuova e dolce questa del Figlio di Dio, di Gesù: Dio è bontà, è amore, è carità: vuole essere amato. E lo so, e l’ho detto e lo ripeto: al ritornello ci abbiamo fatto l’orecchio. Ma siamo noi ben convinti di questo dogma? Crediamo noi davvero, crediamo noi sempre alla bontà di Dio? Purtroppo l’amara interrogazione ha la sua ragion d’essere. Perché crederci davvero vuol dire amare Dio fino alla follia come facevano i Santi, e ciò è più difficile in certi momenti oscuri della vita, è un po’ difficile sempre. La carità di Dio è anch’essa misteriosa come sono misteriosi tutti gli attributi di Dio, dato che Dio stesso è mistero. – Oggi la Chiesa ce lo ricorda celebrando la SS. Trinità, il primo mistero della nostra fede, e cantando con le parole di Paolo: « O altitudo divitiarum sapientiæ et scientiæ Dei! » – Dio è un abisso dove la ragione da sola si smarrisce, guidata dalla fede cammina quanto quaggiù è necessario ed è possibile, come chi tra le tenebre ha una piccola, fida lucerna. È un abisso, è un mistero anche l’amore di Dio. Dobbiamo accettarlo, crederlo. Perciò l’Apostolo definisce i Cristiani così: gli uomini che hanno creduto e credono alla carità di Dio. « Nos credidimus charitati ». Ma credendo, e solo credendo a questo mistero della bontà, della carità di Dio per noi, per tutti, ci si rischiara il buio che sarebbe altrimenti atroce della nostra povera esistenza: ci si illumina quel sovrano dovere di amare anche noi il nostro prossimo che renderebbe tanto meno triste il mondo e la vita se noi ne fossimo gli esecutori fedeli. Il Dio della carità accenda nei nostri cuori la Sua fiamma e faccia splendere ai nostri sguardi la Sua luce!

 Graduale 

Dan III: 55-56. Benedíctus es, Dómine, qui intuéris abýssos, et sedes super Chérubim.

[Tu, o Signore, che scruti gli abissi e hai per trono i Cherubini.]

Alleluja

Benedíctus es, Dómine, in firmaménto cæli, et laudábilis in sæcula. Allelúja, 

[V.Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, alleluia.]

Dan III: 52 V. Benedíctus es, Dómine, Deus patrum nostrórum, et laudábilis in sæcula. Allelúja. Alleluja. 

[Benedetto sei Tu, o Signore, nel firmamento del cielo, e degno di lode nei secoli. Allelúia, allelúia]

Evangelium

Sequéntia  sancti Evangélii secúndum Matthæum. Matt XXVIII: 18-20

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Data est mihi omnis potéstas in coelo et in terra. Eúntes ergo docéte omnes gentes, baptizántes eos in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti: docéntes eos serváre ómnia, quæcúmque mandávi vobis. Et ecce, ego vobíscum sum ómnibus diébus usque ad consummatiónem sæculi”. 

« Gesù disse a’ suoi discepoli: Ogni potere mi fu dato in cielo ed in terra: andate adunque, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro di osservare tutte le cose, che io vi ho comandate: ed ecco io sono con voi tutti i giorni, fino al termine del secolo ».

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LA DOMENICA È IL GIORNO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ

Gli undici Apostoli camminavano verso la Galilea: le pie donne avevano detto a loro che Gesù li avrebbe attesi colà. Arrivarono. Dall’alto d’una collina, grande solenne ardente nel volto apparve a’ suoi Apostoli Gesù. « A me fu data ogni potestà in cielo e in terra; andate, istruite, battezzate tutte le genti: nel Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo ». – Ecco il Mistero principale della nostra Fede, di cui la Chiesa celebra in questo giorno la festa solenne. Uno solo è Dio, ma in tre Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Né, tra loro, si devono confondere le divine Persone, poiché altra è la Persona del Padre, altra quella del Figlio, altra quella dello Spirito Santo. Eppure, le tre divine Persone non hanno che un’unica e medesima natura, e le medesime perfezioni. Come immenso è il Padre, così immenso è il Figlio, così immenso è lo Spirito Santo. Come eterno è il Padre, così eterno è il Figlio, così eterno è lo Spirito Santo. Come Dio è il Padre, così Dio è il Figlio, così Dio è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma uno è Iddio. S. Bernardo scriveva ad Eugenio Papa: « Tu domanderai forse come ciò sia possibile? Non domandarlo: ti basti credere che è così. Scrutare questo mistero è una temerità, crederlo invece è pietà. Conoscerlo sarà possibile solo nella vita eterna ». Sufficiat tibi credere sic esse. Credere nella santissima Trinità significa onorarla. E l’onore più grande che possiamo rendere a Dio è quello di santificare il giorno a Lui consacrato: la Domenica. Tre cose sono necessarie per santificare la domenica: astenersi dalle opere servili, rifuggire dai mondani e pericolosi divertimenti, praticare le opere di pietà. Coll’astensione dal lavoro noi rendiamo gloria a Dio Padre, che nella creazione del mondo lavorò per sei giorni, e al settimo riposò. Col rifuggire dai divertimenti illeciti, e da ogni occasione di peccato, noi rendiamo gloria a Dio Figlio, che per redimerci dal peccato, s’incarnò, patì e morì. Con le pratiche di pietà santificando l’anima nostra, noi rendiamo gloria a Dio Spirito Santo, che è il Santificatore delle anime. – 1. RIPOSO FESTIVO. Dio aveva chiamato Mosè sopra la vetta del monte. Era la vetta del monte circondata da una densa nube, da cui tratto tratto guizzavano lunghissimi lampi. Tutto il popolo invece, raccolto alle falde, tremava aspettando il ritorno di Mosè. Il Signore intanto diceva a Mosè: « Parla ai figli d’Israele e dirai loro: Custodite il mio sabato: chiunque lo profanerà, sarà punito di morte » (Es., XXXI, 14). E difatti quando, in giorno di sabato, si colse un uomo ad ammassar legna, fu trascinato fuori dall’abitato, e là, per ordine di Mosè e d’Aronne, venne lapidato da tutto il popolo. Quello che nell’antica legge, per gli Israeliti era il sabato, nella nuova legge è la Domenica per noi Cristiani. Ma perché Iddio comanda all’uomo di riposare durante questo giorno? Per insegnarci che l’uomo non è una macchina, non è una bestia. Le macchine lavorano e lavorano fin tanto che sono guaste e poi si gettano tra i rottami: ma le macchine sono state fatte per lavorare, l’uomo invece è stato creato per conoscere, amare, servire Dio. Le bestie lavorano tutto il giorno, e dopo che hanno lavorato e mangiato non possono desiderare altro: ma le bestie non hanno un’anima immortale. L’uomo invece ce l’ha: e deve pensare che la sua vita non finisce quaggiù e deve conquistarsi il Paradiso se non vuol cadere per sempre all’inferno. Ora com’è possibile che l’uomo pensi a tutto questo, se non ha un giorno libero, ma sempre è condannato a sudare tra i solchi, o tra le macchine d’un’officina, o tra i commerci, o negli uffici? So bene che molti Cristiani sanno trovare mille pretesti per violare il riposo festivo: è un lavoro urgente; c’è di mezzo un grosso guadagno; è la qualità del mio mestiere; è la miseria… Ma se poi si va in fondo a tutte queste scuse, una sola è la ragione di profanare la festa col lavoro: l’avarizia. A costoro io ricordo le parole del Santo Curato d’Ars: « Conosco due mezzi per precipitare alla rovina: rubare e lavorar in festa ». – 2. FUGGIRE IL PECCATO. Antioco, volendo distruggere Gerusalemme, vi mandò l’odioso capitano Apollonio, con un esercito di ventiduemila uomini e con l’ordine di ammazzare gli adulti, di vendere le donne e i giovinetti. Apollonio entrò nella città, ma simulando pace vi stette alcuni giorni tranquillamente, aspettando il giorno di festa quando tutto il popolo con le donne e i fanciulli sarebbe uscito fuori allegramente per le vie e le piazze a godere lo spettacolo dei suoi soldati. Nell’ora in cui la ressa era più fitta, improvvisamente, ad un cenno del capitano, tutti i soldati si scagliarono sulla gente convenuta, e scorrendo la città la riempiono di morti e di sangue (II Macc., V, 24-26). Questo macello di corpi è figura di un altro macello più tremendo: quello delle anime, che il demonio compie tutte le feste, in ogni paese, in ogni città. Ed ecco tutta la gioventù che non aspetta che la Domenica per riversarsi nei campi sportivi, nei teatri, nei balli. La Religione cristiana non è così severa da negare, dopo una settimana di fatica dura, qualche sollievo nel giorno di festa. Ma purtroppo, non è il sollievo del corpo e dell’anima che essi cercano, ma il peccato. Essi cercano la promiscuità dei sessi, cercano relazioni disoneste, cercano il pascolo dei loro sensi, cercano l’offesa di Dio.  Quand’è che si bestemmia di più? alla domenica. Quand’è che più frequentemente si prende l’ubriachezza? alla domenica. Quand’è che le donne ostentano di più una moda vergognosa e scandalosa? Alla domenica! Quand’è che si danno appuntamenti pericolosi, che si frequentano ritrovi mondani, che si sciupa nel gioco il sostentamento della famiglia? alla domenica. Dunque è così che i Cristiani santificano la festa? A che vale astenersi dalle opere servili, quando ci abbandoniamo al peccato che è l’opera più servile che l’uomo possa fare? Quì facit peccatum servus est peccati. Chi fa il peccato è schiavo del peccato. Quando i nemici di Gerusalemme videro le feste dei Giudei, risero di compassione e di disprezzo: Viderunt hostes sabbata eius et deriserunt (Ger., I, 7). Ma il demonio vedendo le nostre feste, o Cristiani, ride di gioia. Non è più la domenica il giorno del Signore, ma il suo giorno; non si onora più Iddio, ma lui, il nostro nemico orribile! – 3. LE OPERE DI PIETÀ. Mancavan sei giorni a Pasqua e Gesù mangiava in casa di Lazzaro il risuscitato, insieme ai suoi discepoli. Maria, sospinta dall’amore e dalla gratitudine, prese il vaso colmo d’unguento preziosissimo e lo ruppe sui piedi del Maestro divino: tutta la sala fu piena di profumo. Allora, Giuda Iscariota dall’occhio fosco in cui vagava già l’ombra del tradimento, disse: « Perché sciupare un profumo che poteva valere trecento danari?… ». Come fu stolto Giuda! ha stimato fino a trecento danari poche stille d’unguento, e poi offrirà il suo Dio al prezzo di trenta monete, ed anche a meno. Non facciamo forse così anche noi? Apprezziamo assai i campi, le biade, le bestie, i vestiti e poi, senza scrupolo, perdiamo la S. Messa anche in giorno di Domenica. Oh! se sapessimo che tesoro è la S. Messa, ben volentieri preferiremmo perdere ogni altra cosa, ma non questa! Ben volentieri sacrificheremmo qualsiasi affare, qualsiasi passeggiata, qualsiasi compagnia, ma non la S. Messa. Non crediate però che tutte le pratiche di pietà con le quali dobbiamo santificare la festa si riducano tutte a una Messa, forse sentita male e non interamente: oh non basta! C’è ancora la dottrina cristiana: perché v’è tanto male nel mondo? Perché  non si conosce più il Catechismo, non lo si studia più. Molti credono di supplire alla spiegazione della dottrina con una visita al cimitero. Credetelo: i nostri morti, in quel momento, sarebbero più contenti e più sollevati se ci sapessero in Chiesa, attenti alla dottrina cristiana. – Infine, per ben santificare le Domeniche ci sono i santi Sacramenti della Confessione e della Comunione. Beate le anime che ogni festa si accostano a questi Sacramenti; esse hanno compreso come si onora il Signore. – A Costantinopoli era scoppiata una grave peste: ogni giorno centinaia di persone, colpite dal male, stramazzavano per le vie, sulle piazze, nelle case; e senza cure e senza conforti morivano. S’era ricorso a tutti i rimedi, invano. S’erano fatte pubbliche preghiere, e penitenze, invano. Quando un fanciullo buono, rapito in visione, vide gli Angeli che gli insegnarono a cantare un inno meraviglioso alla SS. Trinità. Il fanciullo corse in mezzo al popolo, disse la mirabile visione, insegnò a tutti l’inno. Come fu cantato, subito la peste cessò. Quanti mali, o Cristiani, affliggono la nostra vita! Forse è la miseria, forse è la malattia, forse è la calunnia… Una nuova peste fa strage nel popolo cristiano: la peste dell’immoralità. Ebbene, per scampare da tutte queste sciagure, è necessario elevare un inno meraviglioso alla SS. Trinità: quello della santificazione della festa. Sia gloria al Padre, col riposo dalle opere servili. Sia gloria al Figlio con la fuga del peccato. Sia gloria allo Spirito Santo, con le opere di pietà. Ogni benedizione verrà data a coloro che santificano così la festa: « La pioggia scenderà nel tempo buono; la terra produrrà in abbondanza; gli alberi saranno carichi di frutti; io benedirò voi e i vostri figliuoli » (Levit., XXVI, 3-5). — CREDERE LA SANTISSIMA TRINITÀ. Il patriarca Abramo, nelle sue lunghe peregrinazioni, vide sovente Iddio. Un meriggio afoso, nella valle di Mambre, mentre godeva il fresco delle querce seduto sulla soglia della sua tenda, vide venire il Signore: Apparuit Dominus. Erano tre Persone ferme, non lontane da lui. Tres viri stantes. Abramo corse incontro, e sì buttò per terra, davanti a loro, adorando: Signore, se ho trovato grazia a’ tuoi occhi, non passarmi oltre! ». Misterioso parlare! Il vecchio amico di Dio che conosceva molti misteri, non divide i suoi omaggi, ma parla come fossero uno solo: vedeva tre Persone e adorava un Dio solo. E veramente uno è Dio, in tre Persone uguali e distinte. La nostra mente si confonde. E se anche avessimo la mente degli Angeli non ci capiremmo ancora: Dio abita una luce inaccessibile. Ma è appunto non comprendendo che riconosciamo che Egli è il nostro Dio e noi siamo la povera sua creatura che curva la fronte fino a terra come il vecchio Abramo, e crede. Dio l’ha detto, che non può mentire. La Chiesa l’insegna, che non può sbagliare. I nostri padri, da due mila anni, credono. E noi pure crediamo. Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto! La fede nel mistero principale, è il sacrificio più gradito a Dio. È l’atto che ci ottiene i più grandi favori.  – 1. È IL SACRIFICIO PIÙ GRADITO A DIO. Nell’Antico Testamento, quando l’uomo era ancora rozzo nello spirito, Dio si lasciava onorare col sacrificio di qualche animale che veniva, sull’altare, immolato in adorazione e in espiazione. Ma nel Salmo XLIX, Dio, apertamente, dice che non sono questi i sacrifici graditi: « … non gradirò i vitelli delle tue stalle, né i capretti del tuo gregge: possiedo già tutte le belve della foresta e tutte le  mandrie pascenti sul monte, e i buoi. Son miei perfino gli uccelli del cielo e i frutti della terra. E se anche sentissi fame, non avrei bisogno di mendicare da te: mia è tutta la terra, mia è ogni cosa sulla terra. Ma dovrò io mangiar carne di toro e ber sangue di agnello? A Dio offri un sacrificio di lode ». — Immola Deo sacrificium laudis. E quel sacrificio può rendere a Dio una gloria maggiore di quello della nostra intelligenza che, pur non comprendendo, crede sull’autorità di Dio? La nostra mente ha l’istinto di sapere il perché di ogni cosa e non s’acquieta sentendo da un altro, ma vuol essa vedere e provare. Nulla di questo è possibile davanti al mistero della Trinità; la nostra mente si perde, come una fiammella a petrolio sotto ai torrenti di luce che cadono dal sole in piena estate. Eppure Dio l’ha rivelato: Egli è uno e trino, e bisogna credere, altrimenti si perde l’anima. Quando ci dicono che Dio è Creatore, non ci è duro ammetterlo perché vediamo le cose create. Quando ci dicono che Dio è giusto, non ci è duro ammetterlo perché talvolta perfino gli uomini sono giusti. Quando ci dicono che Dio s’è fatto un uomo come noi, la nostra ragione sa trovare buoni argomenti di convenienza, tra cui quello dell’infinita bontà di Dio che ama comunicarsi alle sue creature. – Ma quando ci dicono che c’è un Dio solo in tre Persone: quando ci dicono che il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, eppure non sono tre Dei, la nostra mente non vede più nulla, non una esperienza, non una chiara analogia, non un motivo di convenienza. E non è assurdo: ma è realtà: la grande realtà di Dio. E credendo, la mente nostra sacrifica tutta se stessa in ossequio a Dio rivelante e compie il vero sacrificio di lode che Dio vuole dai Cristiani nel Nuovo Testamento e si unisce agli Angeli visti dal profeta che con occhi coperti dall’ali cantano: « Santo! Santo! Santo! ». – Dio, un giorno, volle provare Abramo col domandargli un sacrificio eroico. E Abramo prese il suo figlio, l’unico, e s’accingeva a sacrificarlo al Signore sulla vetta del monte. E già vibrava il colpo, quando Iddio, commosso, gli fermò la mano e lo volle premiare con una generosità non meno grande di quella che Abramo aveva avuto con Lui. « Perché tu hai fatto questo e non risparmiavi neppure il tuo unigenito, moltiplicherò la tua generazione, ti colmerò di bene, ti farò il più ricco e il più potente sulla terra ». Iddio, rivelandoci in questa vita il mistero della SS. Trinità, vuol prendersi una prova della nostra fedeltà a Lui, della stima che ne abbiamo. Abramo ubbidì a Dio anche allora che il comando ripugnava alla sua natura. Noi dobbiamo credere a Dio anche quando le sue rivelazioni sono incomprensibili alla nostra ragione, e ne avremo un gran premio. « Poiché tu hai creduto a un mistero molto superiore a te e a ogni idea d’uomo, poiché tu m’hai sacrificato il tuo unigenito, cioè la tua ragione, io ti riempirò di grazie, moltiplicherò i meriti delle tue orazioni, ti santificherò, ti glorificherò ». E la generosità di Dio Uno e Trino riempie tutta la vita del credente. Incomincia dal Battesimo: …io ti battezzo nel Nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo: l’uomo da schiavo diventa libero; da nudo diventa ricco, da figlio del peccato diventa figlio di Dio e Suo erede. Prosegue nella Cresima: …io ti confermo col crisma della salute nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo: e l’uomo da gracile creatura diventa un terribile soldato contro i nemici spirituali. Continua nella Penitenza: …io ti assolvo nel Nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo ed è per virtù di queste tre Persone divine, è per la fede nella loro unità e trinità che sparisce ogni colpa e ritorniamo innocenti. Ma ogni nostra azione, anche le più comuni, come il camminare, lavorare, mangiare, giocare, diventano sante e meritorie se fatte nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E quando ci troveremo sul letto di morte, agli ultimi momenti della nostra vita, con quali voti e con quali nomi il Sacerdote conforterà la desolata anima nostra, al fatale passaggio? Col Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Proficiscere, anima christiana! Parti, anima cristiana, in Nome del Padre che ti ha creata, in Nome del Figlio che ti ha redenta, in Nome dello Spirito Santo che ti ha santificata. E i demoni, che ci aspettavano in agguato a quel varco pericoloso, fuggiranno, mentre verranno gli Angeli a raccogliere la tremante anima nostra, per presentarla a Dio.  — O Signore! — pregherà intanto il prete nell’ultima raccomandazione, — è per un povero peccatore che io imploro la tua clemenza; la sua vita non fu immune da debolezze e da cadute; tuttavia non negò il Padre il Figlio, lo Spirito Santo, ma credette. Licet enim peccaverit, tamen Patrem et Filium et Spiritum Sanctum non negavit sed credidit. Oh, come vorremo allora aver ripetuto sovente, con amore e con fede, questi Nomi divini! Un santo eremita s’era fatto costruire in una solitudine un’alta colonna, sulla cui cima visse molti anni. E là, in alto, sopra la terra cattiva, proteso verso il cielo sereno, non faceva altro che ripetere: « Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! ». Se tutte le volte che abbiamo recitato il « Gloria » l’avessimo detto col rispetto e  con la fede di quell’anacoreta, quanti meriti avremmo accumulato per il cielo! Quanti meriti, se ogni nostra azione l’avessimo cominciata e finita nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo!

IL CREDO

Offertorium

Orémus

 Tob XII: 6. Benedíctus sit Deus Pater, unigenitúsque Dei Fílius, Sanctus quoque Spíritus: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benedetto sia Dio Padre, e l’unigenito Figlio di Dio, e lo Spirito Santo: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Secreta

Sanctífica, quæsumus, Dómine, Deus noster, per tui sancti nóminis invocatiónem, hujus oblatiónis hóstiam: et per eam nosmetípsos tibi pérfice munus ætérnum. 

[Santífica, Te ne preghiamo, o Signore Dio nostro, per l’invocazione del tuo santo Nome, l’ostia che Ti offriamo: e per mezzo di essa fai che noi stessi Ti siamo eterna oblazione.]

Præfatio de sanctissima Trinitate

… Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in unius singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre cotídie, una voce dicéntes:

[…veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola Persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]…

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt coeli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Tob XII:6. Benedícimus Deum coeli et coram ómnibus vivéntibus confitébimur ei: quia fecit nobíscum misericórdiam suam. 

[Benediciamo il Dio dei cieli e confessiamolo davanti a tutti i viventi: poiché fece brillare su di noi la sua misericordia.]

Postcommunio 

Orémus.

Profíciat nobis ad salútem córporis et ánimæ, Dómine, Deus noster, hujus sacraménti suscéptio: et sempitérnæ sanctæ Trinitátis ejusdémque indivíduæ Unitátis conféssio.

[O Signore Dio nostro, giòvino alla salute del corpo e dell’ànima il sacramento ricevuto e la professione della tua Santa Trinità e Unità.

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (254)

LO SCUDO DELLA FEDE (254)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (23)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

CAPO III

IL SACRIFICIO DIVINO

SECONDA PARTE DEL CANONE.

LA PARTECIPAZIONE

ossia la Comunione Divina.

ART.  II.

L’Orazione: Corpus Domini, etc.

L’ATTO DI AMORE.

« Il Corpo del Signore nostro Gesù Cristo custodisca l’anima mia in vita eterna. »

Spiegazione dell’orazione Corpus Domini.

L’anima finalmente si dà vinta all’amor di Dio, il suo Dio l’occupa tutta, dimentica la sua miseria, gettasi fra le braccia del suo Gesù: « o buon Gesù, o buon Gesù, o mio Dio, deh! la Divinità vostra, ovunque presente, accolga in me la vostra Persona divina: festeggiatevi, amatevi in me medesimo; io vi ricevo. Il vostro Corpo mi custodisca a vita eterna. Sì, lo spirito è, che vivifica: e ricevendovi m’incorporerò e mi trasmuterò in amore ed unità del vostro Spirito, o Gesù mio! (De Imit. Chr. lib. 4.) Eccomi sono a Voi; in Voi è riposto tutto, che io mi sappia e convengami desiderare. Signore Gesù Cristo, consolate l’anima del vostro servo, che oramai non può più vivere senza di Voi. Datemi Voi stesso; e mi basta. Oh! chi mi concede, che io ritrovi Voi solo, e a Voi apra il mio cuore, e come è desiderio dell’anima mia, io goda di Voi: e già nessuno mi signoreggi più, né creatura mi muova, né guardi a me; ma Voi solo mi guardiate come l’amico, come l’amante tratta l’amato suo! Questo Vi prego, questo desidero, di trasformarmi tutto in Voi, il mio cuore divellere da ogni cosa creata. Ah! Signore, quando sarò tutto unito a Voi, e in Voi assorto, e di me medesimo affatto dimentico! Veramente Voi siete il mio eletto fra mille, nel quale si diletta di stare l’anima mia in tutti i giorni della sua vita; ah! non solo in questa, ma nell’eternità. Veramente siete il mio pacificatore, nel quale è somma pace e vero riposo; e fuori di Voi travaglio, dolore e miseria infinita. » – « Possiedo Voi tutto interamente, Voi, mio Dio! Oh! qual creatura avete Voi avuto sì cara come l’anima, a cui Voi Vi comunicate, per pascerla di vostra Carne? Signore, prendetevi tutto intiero il mio cuore, e con Voi stringetelo intimamente. L’anima mia con Voi sia unita: allora si scuoteranno di giubilo le viscere mie; e se volete esser con me, io voglio esser con Voi ; questo è il mio desiderio, esser con Voi, ora, nel tempo, e per tutta l’eternità. Al paradiso adunque con Voi, o mio Gesù. » « Oh grazia da non potersi spiegare in parole! Oh ammirabile degnazione! Oh sviscerato amore in singolar maniera portato all’uomo! Ma che renderò io al Signore per grazia tale, per carità sì eccellente? Io non ho cosa, che Vi sappia donare, la quale più Vi possa essere a grado, fuorché ricevere il calice del Vostro Sangue. (De imit. Chri.) »

(Qui prende in mano il calice santissimo, e dice l’orazione seguente nell’atto dell’assunzione del santissimo Sangue.)

Orazione: Quid retribuam.

« Che cosa retribuirò io al Signore per tutto che Egli mi ha retribuito? Prenderò il calice della salute, ed invocherò il nome di Dio. Lodandolo invocherò il Signore, e sarò salvo da’ miei nemici. »

Esposizione.

« Che cosa retribuirò io al Signore per tutto che mi ha retribuito? » Col cuore così pieno di Dio, l’anima sente confusa che né tenerezza, nè gratitudine, nè tutti gli affetti umani non valgono a pezza a render merito e grazie, che degne siano. E che si debbe mai o potrà fare? Il Sacerdote nel bisogno di sfogargli in seno, se non le dovute grazie, almeno la nostra buona volontà, di essere infinitamente gratissimi, cerca collo sguardo se vi è chi lo intenda e l’aiuti in quel santissimo ufficio; ed oh! ha innanzi il calice del Sangue di Gesù Cristo: e sa, che Egli volle, che questo mistero d’amore sia eucaristico , cioè tutto fatto per ringraziare Dio di tutta sua bontà. Tremante d’amore, con tenerezza infinita, stringe subito fra le mani quel calice, e se lo pone in seno, dicendo col santo Profeta:

« Prenderò il calice della salute, ed invocherò il Nome di Dio. Chiamerò il mio Gesù a scendere dentro di me, e col mio a mischiare il suo Sangue SS., di questo riempirmi il cuore, sicché non d’altro palpiti che di gratitudine, e non per altro viva, che per rendergli grazie: e così Dio ringrazi Dio divinamente per sempre! » « Lodando invocherò il Signore. » – « Ah mio Signore (dobbiamo continuare col Sacerdote), troppo bene l’avete adempiuta la vostra promessa, di volere inebriare l’anime nostre ed il vostro popolo coll’abbondanza dei vostri doni (lerem. XXXI, 14). » Vi loderò sempre, sempre mi vi riposerò sul petto, a Voi tutto abbandonato. Ben sapendo che siete Voi il Signore onnipotente, tenendomi stretto a Voi v’ invocherò ad ogni istante, e da’ miei nemici andrò salvo sicuramente. Metterò la bocca al vostro Costato: e berrò io adunque il vostro Sangue? Ah! questo Sangue mi trasfonderà nelle vene quel sangue apostolico e sacerdotale, cristiano colle vostre virtù, eredità di eroi, per combattere colla forza della vostra Divinità i miei nemici. Ah! sorgano pure questi, e mi serrino intorno; io ho con me il Signore ! nelle loro battaglie otterrò salute e trionfo. »

(Prende qui il calice colla mano destra, fa con esso il segno di croce innanzi al petto, e dice):

Orazione: Sanguis.

« Il Sangue di Gesù Cristo Signor nostro custodisca l’anima mia nella vita eterna. »

Esposizione.

Egli segna di croce la persona sua, col Sangue di Gesù Cristo fra le mani, quasi per bagnarsi di quel Sangue divino le membra: anzi quasi volesse rinnovellare sopra delle sue membra le sacre stimmate del crocifisso suo Signore. Lo tiene un istante sollevato dinanzi, in atto di esclamare contemplandolo: « o Sangue divino, deh! scendi giù a mischiarti col sangue del povero uomo: e allora i palpiti del suo cuore pieno di questo Sangue saranno tanti slanci verso del Paradiso, dove finalmente vivremo eterna vita nel mio Dio.» – Beve il SS. Sangue, assumendo con esso anche il SS. Corpo, unito, come abbiamo detto, nel mistero della Risurrezione.

ART. IV.

Comunione del popolo.

Dio buono, a qual prodigio abbiamo noi assistito! Eh! si poteva, lo dobbiam dire ancora, si poteva immaginare un si grande miracolo di bontà di Dio? Dio si è abbassato all’uomo, l’uomo fu assorto in Dio. Così Gesù santissimo ci compenetra, e s’incorpora nelle nostre membra, mette in esse un’impressione delle sue piaghe, e sparge in noi l’unzione della Divinità. Colla bocca rosseggiante di Sangue divino, con l’anima in Dio rapita, e col cuor palpitante sul Cuore del Salvatore glorioso, appunto appunto noi non possiamo a meno che ricercargli ad una ad una le Piaghe sante! -;Ci si perdoni qui, se noi dimentichiamo l’ordine della santa azione. Il cuore colla potenza d’amore si slancia là, dove trova più tenero pascolo! E chi può frenare il cuore nei suoi impeti santi? Con in seno Gesù noi corriamo subito alla Madre del bell’amore perché ci aiuti nell’amarlo, come Ella sa troppo ben fare. Ora che faceva Maria? Povera Madre! si getta per terra sui sassi sotto la croce tutti bagnati del Sangue del Figliuol suo divino: e riceve Gesù morto, tutto straziato fra le sue braccia: lo stringe sul petto: e gli ripassa ad una ad una le piaghe. Par di vederla! con una mano a sollevargli i capelli tutti grommati di Sangue intorno al capo, e contandogli i fori delle spine: « Oh mio Gesù, esclamare, quante ferite han fatto quelle crude spine! Oh! ma queste ferite sono tante bocche, che gridano misericordia pei nostri figli. » Maria gli cercava le mani e i piedi e Maddalena doveva allora tentare di nasconderle, e dire col pianto: oh! non guardatele, o Madre, è troppo lo strazio !… E Maria: « lascia fare, son la sua Madre! » Nel veder quei piedi orribilmente squarciati diceva con gemito: « ma si avvieranno in Paradiso tanti che s’andavan perduti! » Maria pigliava tra le sue’ l’una mano santissima, e cogli occhi tutti in quella piaga e con ansioso lamento: « oh mio Gesù, prorompeva, che largo squarcio vi han fatto quei chiodi! » E ponendosela sul cuore, « questa, diceva, mi condurrà i figli dei nostri dolori in seno a Dio. » Maria prendeva l’altra mano trafitta, e ponendo la santa bocca su quella larghissima piaga: « salvatemeli tutti. » diceva gemendo, a grosse lagrime intanto le piovevano dagli occhi sulle piaghe immobili, Maria allargava il Costato, guardandovi dentro nella ferita. «Ah che largo squarcio vi ha fatto la lancia! oh Cuor mio, come vi vedo dentro! gemete Sangue ancora! »… e colla bocca convulsa sopra il Costato, versava dentro tutto il suo cuore: « e qui, qui, sclamava singhiozzando, qui metterò l’anime degli agonizzanti, che spirando con Voi o Gesù mi chiameran ad -aiutarle! E le porteremo in paradiso ….. » Maria… Ma baciamo col cuore in braccio a Maria le piaghe a Gesù, e diciamo: « O Gesù; io vi bacio il vostro Capo traforato di spine, e vi prometto sopra esso che appena mi verrà un brutto pensiero, griderò subito: Gesù e Maria, vi raccomando l’anima mia. O Gesù, io vi bacio i vostri Occhi grommati di Sangue per le cattive occhiate, la vostra bocca pesta di pugni per le bestemmie, piena di Sangue per i cattivi discorsi: e appena sarò tentato di occhiata, di parola cattiva, griderò subito): Gesù e Maria, vi raccomando l’anima mia! O Gesù, io vi bacio i vostri Piedi squarciati per le disobbedienze e per le «cattive occasioni; io vi prometto che quando sarò tentato di disobbedire, o di andare con persone e in occasioni pericolose, di andare a perdermi lontano da Voi, griderò subito: Gesù e Maria, vi raccomando l’ anima mia! O Gesù, io vi bacio il vostro Cuore lacerato; e Vi prometto che quando sarò affranto dai travagli, e non potrò più della vita, e nelle tentazioni più forti, farò la Comunione spirituale; mi getterò in braccio a Voi, o Gesù, appiè di Voi, o Maria: Io farò fino all’agonia, spirando in comunione spirituale nel vostro Costato tra le braccia a Voi, o Maria! » – Sì: abbiamo voluto fermarci in questo sfogo di pietà: perché sono diciotto secoli, che anime generose rispondono di atti eroici di virtù ad ogni piaga di Gesù; ed è nella Messa che vi depongono sopra di essa i più generosi proponimenti. – Comprendiamo anche che il Sacerdote, come l’Apostolo della carità, il tenero Giovanni, appresso appresso al Cuor di Maria addolorata, pigli sul Gesù la virtù di rigenerare figliuoli al cielo nel ministero dei Sacramenti. e come ne è cooperatore nel Sacrificio, così ne diventa poi delle anime Eccolo, eccolo quest’uom di Dio, che si rivolge al popolo, mostra sul petto sollevato il Santissimo, e dice: « Ecco l’Agnello di Dio, ecco Colui che toglie i peccati del mondo tutto. » Oh! bontà di Dio, pare voglia esclamare: Figliuoli, quanto è beata la nostra sorte; guardate qui! Iddio è nelle nostre mani, vedetelo; Egli è l’agnello che toglie tutti i peccati!… Ecco è Dio che viene a noi; umiliatevi, troppo vi è ragione di farlo, e dite pure che non siete degni, Domine, non sum dignus! umiliatevi ancora: Domine, non sum dignus! ma fatevi presso, non esitate, non vi ritirate per pietà; qui, qui, i miei figliuoli! O Signore, non siamo degni: Domine, non sum dignus! … Ma è il Corpo di Gesù Salvatore cotesto!… Ricevetelo, perché mira a questo fine il santo mistero di tutta la Redenzione, a venire cioè Dio Redentore in voi per portarvi seco in Paradiso. Ecco il fine della vita dei figliuoli di Dio, unirsi qui con Gesù, affine di essergli per sempre uniti a dar gloria a Dio in Paradiso. Adunque: « Il Corpo di Gesù Cristo custodisca l’anima vostra a vita eterna. » – Questo pensiero vale bene per tutto, affine di far vivere in modo i fedeli, da poter ricevere tutti i giorni il divin Redentore, come espresse il desiderio della Chiesa nel Concilio di Trento (Sess. 22, cap. 6.). Sicché il maggior castigo per i fedeli dovrebbe essere l’andarne privi per alcuni dì; per non esser ben disposti a poterlo fare (Imit. Chr., lib. 4.). Questo pensiero, più che tutto, dovrebbe animare i Sacerdoti a spendere ogni più cura, e fare della propria vita l’occupazione più cara nel preparare i fedeli, e condurli seco a questa Comunione ammiranda. Questa é la felicità del lor ministero: essere assunti in Dio, e dal seno a Dio ministrare le divine cose ai loro figliuoli (Heb. V,1). Destinati, i Sacerdoti ad ardere continuamente colle canoniche preci, come i Cherubini in cielo i loro incensi intorno a Gesù, che ci degna di sua presenza, questi uomini del Signore, amici del Dio vivente, ministri delle sue misericordie, angeli del nuovo Testamento, sposi della Divinità, che portano Cristo continuamente nel proprio petto, possono vivere nel mondo; ma saran collo spirito sempre nei tabernacoli del Signore. Devono conversare cogli uomini, coi quali camminano di conserva per compiere questo peregrinaggio; ma il cuor loro è là fisso, dove è tutto il tesoro. Partecipi dei disegni di Dio, essi hanno la missione degli Angioli custodi di accompagnare i fedeli, di salvarli dai pericoli e condurli a Dio. Né possono fare altrimenti, quando tutte le mattine, posando il capo sul Petto di Gesù, s’innebrian di carità al suo Costato. Ecco scendono giù dall’altare e corrono, come i buoni servi dell’Evangelo, in cerca dappertutto dei fedeli, e pregarli, eccitarli, fare istanza, sino all’importunità (2 Tim. IV,2) per fare ogni modo di obbligarli ad entrare al Convitto, perché partecipino di tanta beatitudine, tutti (Luc. XIV, 23), tutti i giorni, se lo potessero. E i fedeli?… O buon Gesù, non sapeste almeno con quale indifferenza ricevono i vostri inviti!… Eh! rispondono essi, che hanno i campi da coltivare, interessi da custodire, sposalizi e famiglie, a cui non possono togliere né anche un minuzzolo di tempo: né hanno voglia di donarsi per poco a Voi, a cui devono tutto! Se pure non rispondono di peggio, e la perdonano a chi ardisce venire ad essi cogli inviti divini a disturbarli di mezzo ai piaceri, che vogliono del miglior cuore godere (Luc. XIV). – Quindi il Sacerdote già si rivolgeva per dare nella santa Messa in comunione Iddio; ma ohimè! ora mai non vi è più chi ricevere lo voglia; tanto gli uomini sono sconoscenti! Il povero Sacerdote confuso e mortificato, che dovrà fare? Deh! esso almeno con quelle poche anime buone, che il Signore si conserva anche nei più poveri tempi si rivolga a far provare a Gesù, che vi è ancora sulla terra qualche cuore, che, si, lo sa amare teneramente! Essi si stringano al cuore Gesù con carità tenerissima, e lo preghino di perdonare a cotesti infelicissimi.

ORAZIONE DELLA PURIFICAZIONE,

Colle orazioni: Quod ore sumpsimus, et Corpus tuum, che darem tradotte nella spiegazione, il Sacerdote con ogni più fina cura, con tutto il cuor negli occhi e nelle mani, raccoglie i frammenti; e nell’atto di purificare il calice esclama in segreto a nome di tutti: « Quello che abbiamo ricevuto colla bocca, o Signore, concedeteci, di grazia che lo riceviamo anche collo spirito: e che, da questo dono che ci fate nel tempo, sempiterno rimedio noi riceviamo. » Intanto riceve nel calice un po’ di vino, con cui lo asterge. Di poi tenendo stretto al cuore Gesù, come si usa con persona carissima, a noi venuta, gli fa istanza a non volerlo più abbandonare, neppure colla reale sua presenza, e gli va dicendo: « il corpo vostro, che ho ricevuto, ed il vostro Sangue, che ho bevuto, compenetri le viscere mie, che così più non rimanga macchia di colpa in me, ricreato che sono da così puri e santi sacramenti. » E termina la preghiera rammentandogli che, essendo divenuto suo membro, ha un certo quale diritto di restar sempre con Lui, che vive e regna per tutti i secoli.

ART. V.

CONCLUSIONE DELLA SECONDA PARTE.

Deh! ci si permetta ancora uno sguardo sopra questo cumulo di misteriose maraviglie, in cui tutto, sì, tutto veramente è consumato! Questa è la vera magione del Padre celeste: e qui si rende immagine della città eterna descritta (Apoc. VI,9) da s. Giovanni. In mezzo alla Basilica, in fondo all’abside, ecco nel pontefice, o celebrante, quella figura umana, in cui Dio apparve al rapito Evangelista: nei preti i seniori, che genuflettono in adorazione: non vi mancano i candelabri ardenti, e i simbolici animali, e le coppe dei profumi, e l’Agnello… sì,l’Agnello divino, splendore del paradiso, in mezzo anche qui sull’altare! .. Altare di Dio santissimo! racchiude i santi corpi degli uccisi per la testimonianza resa al Verbo di Dio; mentre le anime beate di loro contemplano dal cielo. Sopra quelle vittime di trionfanti si posa il Salvatore che per tutti patì: e stanno a Lui d’intorno quelli, i quali per la passione di Lui sono redenti. Intanto già in Paradiso fu data una stola bianca a ciascuno, e fu detto loro di cantar l’Alleluia, e di darsi pace ancora per poco, fino a tanto che sia compiuto il numero dei conservi. Ora qui il buon padre di famiglia (Aug. serm. II de san. S. Giust. mur. 11; 4.) aduna i figli intorno alla mensa, ed aspetta che giungano tutti per la refezione comune. In questa dà il pegno di resurrezione anche dei corpi; nella quale sarà data anche un’altra stola, di che risplenderanno nell’eternità. Noi in questo tremendo istante e beatissimo, col cuore che palpita in Gesù Cristo, sublimati in tanta contemplazione, cerchiamo, se ci è dato, di comprendere la somma dei misteri, che nell’azione sacrosanta si sono compiuti, per più vivamente animarci al tenerissimo ringraziamento. Ecco in compendio tutto nel canone. Nella santa Messa si adora, si placa, si supplica, si ringrazia il Signore: perché sono questi i quattro fini, per cui si offerisce il gran Sacrificio. Ora noi crediamo di scorgere alla meglio questi quattro atti particolari nelle seguenti orazioni:

1° L’adorazione, nella quarta orazione del Canone, che consta di queste quattro parti:

Haec quotiescumque ecc.

Unde memores ecc.

Supra quae ecc.

Supplices te rogamus. ecc.

Qui secondo il volere di Dio preparata la vittima (Haec quotiescumque), con questo spettacolo divino dinanzi al cielo ed alla terra, nei misteri che si vanno misticamente rinnovando, della passione, risurrezione ed ascensione, se ne fa l’offerta solenne (nell’ oraz. Unde memores ). In essa tutte le promesse e le figure hanno compimento in modo degno di Dio (nell’ oraz. Supra quae). Il gran Pontefice eterno penetra a presentarla nel più alto dei cieli: e noi gli teniamo appresso coi cuori aperti, colle anime aspettanti la grazia, a cui ci acquista merito (nell’oraz. Supplices te rogamus). E qui al grande uopo dal Sacerdote si segna la croce sulla vittima, e dalla vittima, diremmo si deriva la croce sopra di noi per presentarci coperti delle Piaghe di Gesù Cristo a supplicare propiziazione.

2° La propiziazione si chiede nella quinta orazione del Canone, la quale consta del Memento ecc.

Nobis quoque peccatoribus ecc. Per quem omnia ecc. Per ipsum. ecc. cioè nella seconda parte del Canone. In questa parte il Redentore, raccolti intorno a Sè sotto la croce tutti i figli del suo Sangue, dà soddisfazione per tutti: per le anime del Purgatorio, per cui si chiede la pace eterna (nel Memento): poi peccatori per cui si domanda una parte di paradiso (nel Nobis quoque peccatoribus): Poi si stende l’influsso del divin sacrificio a tutte le creature (nel Per quem omnia). Finalmente, per usare l’espressione di san Bernardo, se santissimo e purissimo è Dio e troppo impuri e miserabili siamo noi, attaccandoci a Gesù Cristo, che ora penetra nel santuario celeste, noi troviamo in cielo la redenzione in esso (nel Per Ipsum). Di fatto abbiamo osservato, come col Corpo SS. fra le mani sollevato, a nome di tutti si dica dal celebrante: Per esso: cioè per Gesù così sacrificato non vi ha genere di riparazione che non si adempia: per Esso l’eternità di Dio onorata, la santità riverita, riconosciuta la sua giustizia, l’immensità divina dappertutto adorata. Finalmente assecondata la sua misericordia. Poiché coi peccati si fece un gran torto a Dio impedendo di usarla a tutti come vorrebbe la sua infinita bontà. Si dice con Esso; perché sì veramente qui tutto dai fedeli in unione con Gesù si eseguisce. Sì col Sacerdote alziamo gli occhi, e stendiamo le mani, e con Gesù, Pontefice e Vittima nostra: sospiriamo al Padre dal mistico Calvario: con Gesù allarghiamo le braccia vermiglie del Sangue divino: con Gesù imploriamo clemenza, mettendo innanzi al Padre l’immagine di quella orribile tristezza di sentirci quasi dal Padre abbandonati. Diciamo ancora: in Esso: perché troviamo la santità, e il fervore che ci manca, in Esso; come in Esso avremo la salute e la gloria. Poiché placato il Padre, lo Spirito Santo, Amor Sostanziale che unisce il Padre e il Figlio, perfezionerà l’opera della carità coll’unirci in Paradiso a cantare l’inno immortale 30 all’Eterno che ci redense.

3° L’ impetrazione delle grazie è nel Pater noster ecc., e nel Libera nos ecc. e nella preghiera della pace.

Come abbiamo osservato, Gesù in sacrificio, e noi, attaccatici a Gesù, ci slanciamo con Lui in seno al Padre: gli chiediamo la sua gloria, il suo regno, la sua giustizia, e per noi tutti i beni e la liberazione di tutti i mali (nel Pater noster, e nel Libera nos). Qui il Signore ci apre i tesori della bontà del suo Cuore divinamente paterno. Per compiere il misterioso sfogo della bontà divina, per la formazione della Chiesa versa dal Cuore aperto il Sangue, diremo, più vitale misto all’acqua, sopra di noi e in Lui nel bacio santo conglutinati della carità in Dio vivremo eternamente beati. (Vedansi Pax Domini ecc.: Haec commixtio ecc.) (Questo è il Canone della Chiesa Romana, come dalla madre di tutte le chiese dell’orbe fu ricevuto. Per questo troviamo in esso, massime nell’orazione Communicantes, i nomi dei Santi specialmente venerati in Roma – Card. Bona Iter. liturg. lib. 2, c. 17, n. 5.).

4° Il Ringraziamento, per compiere il quale noi ci abbracciamo a Gesù nella Comunione. Ah! qui noi allora unificati in Gesù Cristo ci gettiamo fra le braccia del Padre divino, rosseggianti del Sangue del suo Figlio, col calice in mano per ringraziarlo. Pretendiamo noi forse di avere compreso l’ordine degli altissimi misteri? Ah no! siamo troppo poveri di spirito. Resteremo col volto nella polvere ai piedi del santo Monte; mentre più pure anime e più sciolte dai legami terreni , salirono più in alto a contemplare da vicino il Roveto, che sempre arde e non mai si consuma. Noi qui anche ci consoliamo dal conforto di tanti Vescovi, i quali il Signore pose a reggere la sua Chiesa. Essi ci vanno assicurando che questo nostro lavoro, interpreta le intenzioni di nostra Madre, e riesce al bene dei nostri fratelli. Si vedano in parte le approvazioni al principio di questo Volume. – Vogliamo aggiungere coi palpiti della più viva consolazione l’approvazione che in modo privato ci mandò il SS. Papa Pio IX per mezzo di S. E. Mons. Sallua Arcivescovo di Calcedonia e Commissario Generale del S. Officio: mandandoci poi con grandissima degnazione una Medaglia d’oro, per mano del nostro Vescovo Mons. Sallua degnossi di scriverci che a questo nostro Libro è come tutto scritto col caldo Sangue di Gesù Cristo.