LO SCUDO DELLA FEDE (256)

LO SCUDO DELLA FEDE (256)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (25)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

Il Mistero è compiuto; e il dogma di Dio vuole le nostre virtù. Udendo il sacerdote, che dice: « Ite, Missa est » su alziamo il pensiero nostro a Gesù, che pare, ci dica, come allora che saliva al cielo: « ecco ch’Io vado al Padre e porto al suo cospetto le Piaghe mie per voi. Oh! ma non vi abbandono, rimango qui con voi fino alla consumazione dei secoli. Confidate; Io vinco il mondo, vi accompagnerò in tutte le battaglie, come vi precedo in trionfo. Siete piccolo gregge; ma non temete, la mia Chiesa vincerà sempre. » Gesù poi mantiene per bene la sua parola. Diffatto disse: « Andate, sono con voi. » Erano pochi quei meschinelli e nel cenacolo appiattatisi; ma Gesù era con loro nel Sacramento, e pregava con loro Maria. Eccoli, riempiti di Spirito Santo ruppero i cancelli del cenacolo, colla parola del miracolo predicarono alto ai Giudei di adorare Gesù da loro crocifisso: e l’adorarono a mille a mille. — Andate — Buon Dio! si scatenava contro essi l’inferno, e gli onnipotenti imperatori al suo servizio, colla spada che vinse il mondo, tagliavano codardi! la gola a femminette e a bimbi; ma Gesù era con loro nei sotterranei delle catacombe:e quando già si innalzava un monumento al vile Diocleziano per aver spento (vantavano) la cristiana superstizione, calava giù dal trono del mondo in quegli antri il più grande degli imperatori, Costantino, in ginocchio, a farsi mettere sulla corona imperiale la croce di Gesù trionfante. — Andate — Fiaccata la spada dei vincitori contro gli inermi, gli assalgono al cuore gli assassini delle anime, che sono gli eretici: ma Gesù è colla sua Chiesa; e da Ario che vantava di averla fatta ariana, fino al razionalismo, che or ora la dava già spenta, essa passando sempre sulle ossa dei dispersi nemici sempre vincitrice, va sicura alla maggior vittoria sulla rivoluzione, che si va sgominando. — Andate — Ahi! se le serra ai fianchi il cesarismo sterminato esercito di legulei , servidorame nella fortuna dei re bastardi, che le si dicono figli; e incatenatala a furia di leggi, si danno a credere d’averla sepolta; ma Gesù è con essa che risorge e col suo Gregorio VII getta a terra in camicia Enrico IV, e getta a piedi umiliato il Barbarossa col suo Alessandro III; e col suo Pio IX, mentre popoli e re adorano avviliti la forza, mette in salvo col Sillabo la dignità della coscienza umana dalla schiavitù degli Statolatri. — Andate — Ancora, ancora da tutte le parti gli adoratori del dio Numero orgogliosi fino alla pazzia sì hanno dato il convegno per fabbricare una nuova Babele, la società senza Dio. Aspettate: non s’intendono più! già si scannano gli uni cogli altri, fanno la rivoluzione universale! Ma Gesù è col mondo cattolico giubilante con Pio IX, che rinnovellandosi il di undici aprile nel 1869, prepara con Gesù la Pentecoste nel Concilio già proclamato. Ah! quando vediamo il Sacerdote, detto l’Ite, Missa est, inchinarsi al Ciborio, serriamoci coi cuori palpitanti sul Cuore del nostro Compagno Divino in questo peregrinaggio della vita col nostro invitto Capitano nelle nostre battaglie, Gesù, che tratta in cielo col Padre i nostri interessi; e qui nel Sacramento con noi vive, con noi porta la croce, con noi compie il Sacrifizio della carità, che è la somma di tutte le virtù: poiché il Sacrificio di Dio vuole da noi la virtù.

Sacrificio di Dio vuole la nostra virtù: e la Religione passione, e la Religione virtù.

Ben qui ci è dato comprendere la causa del più grande fenomeno, che piglia sempre un maggiore sviluppo negli annali dell’umanità, vogliamo dire il progresso incessante verso al bene della Religione Cattolica: sicché la storia della Religione Cattolica è la storia del più grande amore e della più generosa virtù. Per ben comprenderla giova considerare la Religione come passione, e la religione come virtù (Lacordaire: Conferenze). In quanto l’uomo prova il bisogno del soprannaturale, e si sente attirato al Creatore, al sommo Bene che sospira, la Religione è passione nobile, sublime, che lo distingue recisamente agli occhi di tutti da tutti gli altri esseri animati, e che già fece ad Aristotile definir l’uomo un animale religioso: ma è pur sempre passione. In quanto poi l’uomo si sforza, si purifica, castiga i sensi, perché non l’abbiano colle loro vibrazioni da disturbarlo nel salire a Dio (il che è il crocifiggersi in Gesù Cristo), e quasi diremmo, col cuore si eleva a Dio, e colla mano getta il mondo sotto de’ piedi, e vuol tutta la sua volontà smarrire in quella di Dio; in questo, Religione è virtù, che si deriva da una sola fonte, il Costato di Gesù Cristo. La Religione poi, come passione, è ingenita nell’umanità e si trova in fondo a tutti i cuori. È essa che costringe le nazioni a consecrar riti e Sacerdoti, e le spinge alle imprese generose: e quando slanciano quei tempii tanto alto sui loro casolari, fuori quasi dall’orizzonte della terra fin sulle frontiere della regione celeste, mostrano che sospirano a Dio, Dio ricchezza dell’umanità. Dio vogliono in mezzo di loro, combattente nelle loro guerre, partecipe dei loro trionfl, rifugio nei loro disastri. Che se un Dio Spirito Santissimo spaventa la grossezza delle loro menti, e gli sconcerta nei godimenti codardi; piuttosto che star senza Dio, transigono tra il bisogno di Dio e le brame della carnalità; si foggiano a genio un Dio alla loro portata, e mettono nei penetrali dei ternpli idoli di fango, manutengoli infami de’ loro delitti. È questa l’idolatria, meraviglioso trovato per ingannare la fame che hanno gli uomini di Dio, e troppo ben caro a quei corrotti, che tanto inferociti dovevan poi essere, quando loro veniva a guastarlo la Religione di un Dio-Uomo Crocifisso. Ma ecco pure il movente della eterna rabbia degli increduli snervati nei vizi. Ed invero, perchè tanto furore contro la nostra santa Religione e i suoi caritatevoli istituti? E che vi è mai di odioso tanto da non si poter più tollerare, in gruppi di persone, sovente ben care, che pregano insieme, si amano e vivono vita da Angeli in terra? Vogliamo dire nei monasteri sieno pur di alcune dozzine di femminette. Vi è l’idea di Dio, che li tormenta; e disperando ormai di poterla distruggere e farla finita colla bancarotta di Dio (come agognava lo schifoso Voltaire), gl’increduli dei nostri di’ sono pronti a far buon viso a qualunque fantasma di Religione, venisser pure Turchi a rizzar moschee, e Mormoni colle cento mogli; ma vogliono chiudere le chiese, e via le sacre vergini, e guerra a morte alla santa Religione benedetta. Quando poi si dispera di sostituire al Dio di Pio IX un altro dio, allora via qualunque dio di sorta: allora si stringono in orride società di liberi pensatori, solidari giurando in orgie di rifiutare ogni pensiero di Dio pur nella morte! Ma cacciata via ogni ombra dell’idea di Dio, s’alza smascherata la carnalità. Allora l’atea rivoluzione profonde gl’incensi alla Maillard, alla lupa della prostituzione parigina, sull’altare di Notre Dame. – No, il paganesimo non cadde mai in putridume tanto orrido di adorare la carne corrotta: adorava la bellezza, ma almeno l’adorava sotto la forma di una dea di marmo bianco! Noi, noi mettiamo le mani sul volto; se già prima dell’infernal tragedia che si va preparando, uno schifoso che vorrebbe abolito il Catechismo, proclama del bel paese d’Italia, in Parlamento, generose le prostitute! Deh in quale abisso ormai trabocchiamo! Ma, viva Dio! La Religione è passione ingenita: e dopo il pandemonio degli empi a distruggerla, se si scaccia via dalle scuole Dio, il fanciullo lo trova caro in seno alla madre, e lo sente amoroso in petto al prete-padre-maestro, a cui lo mena il buon senso di quella, ed anche del papà disingannato, ambedue bisognosi di Dio. Se i suoi nemici gli dicono: « vattene; » Dio sta loro dinanzi a dispetto della loro disperazione: mentre i poveri popoli traditi ritornano a cercarlo sull’altare cattolico e trovano tanto amabile il crocifisso buon Dio! Noi siamo missionari; e quando gl’invitiamo a corrergli in seno, l’Italia in rivoluzione vede i popoli affollarsi alle Comunioni generali; e noi esclarniam consolati: « Sì, la Religione è passione; ma questa passione trova un pascolo di paradiso solamente in Gesù Cristo. » Emmanuele! grideremo forte, sì veramente Dio è con noi; e la fonte di tutti i beni è sempre Dio! Ora, se il fiorellino apre la sua boccuccia verso del cielo, beve quel po’ di bene che Dio mise per esso nel sole, e brilla di quella luce dei colori dell’iride: se una nube color d’argento sorge incontro al sole d’oriente, e il sole la compenetra dei suoi raggi, anche la nube sembra un sole che risplende: se noi, nell’avvicinarci ad uomo d’eletta virtù, ne sentiam la benefica influenza a diventare migliori: ah! quando un’anima buona s’apre del cuore a Gesù, e Gesù lo compenetra in Sacramento, in questo amplesso della Divinità umanizzata, la Comunione; sì, anche il cadavere della nostra carne, ribelle alla virtù, si sente rivestire della gloria del Tabor, elevarsi alla potenza di sublimi virtù, e, vorremmo dire, divine. Allora la Religione passione diventa virtù nell’uomo incorporato in Gesù Cristo. Ah! maledetti i culti, che lasciano l’uomo giù nelle sue miserie: maledette le eresie, che lo lasciano nella viltà dell’umano orgoglio! Sì, certamente la più cara prova, che Dio è con noi nella Chiesa Cattolica in Sacramento, sono le virtù delle sue membra incorporate con Gesù Cristo. Sono mille ottocento ottanta anni, che questi buoni suoi figliuoli si gettano sul petto a Gesù, e ad una ad una gli ripassano le Piaghe, e inventano sempre nuovi proponimenti di virtù per consolarle ad una ad una, immensamente vari come son varie le miserie dell’umanità, e trovano sempre nuovi espedienti a domar la fierezza delle sciagure. Metton la bocca a quel Costato e s’inebriano all’entusiasmo del Sacrificio. Eccoli: sono uomini dell’eloquente parola? Corrono giù dall’altare ad accendere il fuoco della carità in questo mondo di gelo, o si slanciano in mezzo ai cannibali a sfidare le indescrivibili morti. Sono verginelle tenere, come i bottoncini fin allora tra le brattee delle madri piante che gli han generati? Metton il lor timido cuore nel Cuore di Gesù e diventano potenti eroine, fiere a martoriare la debole carne, affinché non impedisca di salire a Dio, o montano sulla testa alle tempeste per volare pel mondo universo come angioli, a raccogliere i bambini e i miserabili in seno al Salvatore. Il mondo che non intende il mistero, disperato di non poterli a pezza imitare: « sono pazzi, dice, questi frenetici. » Ed ha una tal quale ragione: L’amore è una vera pazzia: ma pazzia sublime, che ha inspirato nel Sommo Bene il sacrifizio della Divinità. Questa pazzia diventò epidemica, e si appiglia a chi si getta in cuore a Gesù, che lo assimila al suo amore. Conformità ammirabile tra i Santi e Gesù! (Lacord. Conferenze.) – Se si guarda da lontano Gesù crocifisso, e si ode il tuono della severa sua dottrina che rimbomba d’eternità, la debolezza umana, ributtare si sente e vorrebbe fuggire; ma, se li si avvicina nella pratica dei Sacramenti, in quel suo Cuore squarciato, l’uomo si smarrisce felicemente in quell’immenso amore. Se tu vedi i Santi crocifiggere se stessi e seppellirsi in Gesù Cristo, tu rifuggi inorridito da loro: e quando poi vedi santa Elisabetta, delicatissima Regina, baciare le piaghe ad un cancrenoso e berne la scolatura dell’acqua, con cui l’andava di sua mano tergendo, tu sei tentato a gridare: « Ah che fa mai questa pazza! » Ma quando la vedi correr giù dall’altar come un Angelo in mezzo a tutte le miserie e odi tutti i sofferenti gridare: « è la nostra cara, è la nostra cara! » ancor dopo secoli e secoli, tu devi dire piangendo: questa innamorata fuori di sè ha veduto il suo Gesù bere la feccia del calice delle umane miserie nel Sacrificio della Divinità; e anche essa sacrifica ogni senso umano per consolare nelle sue membra l’adorato Salvator suo Dio. Ite, missa est: adunque andiamo, andiamo a consumare nella carità il sacrificio di noi stessi per amore di Dio, perché la Religione Cattolica, come è sommo amore, così è la più generosa virtù. Nel Sacrificio divino finisce il santissimo dogma, e vuole la nostra virtù!

Il Placeat.

Il sacerdote si rivolge ancora all’altare per pregare secretamente a nome suo (Ben. XIV). Giacché ebbe la sorte di sollevarsi, per la sua missione divina, da questo santo altare sino al trono dell’altissimo Iddio; prima di scendere da quest’altezza si getta a piè del trono dell’augustissima Trinità, e porge per sè questa sua supplica nell’orazione che segue.

Orazione: Placeat.

« Vi piaccia, o santa Trinità, l’ossequio della mia servitù, concedete, che il Sacrificio, che ho offerto dinanzi agli occhi della divina Maestà, benché indegno, vi sia accettevole: e a me, e a tutti per cui l’ho offerto, ottenga propiziazione per Cristo Signor nostro. »

Esposizione dell’Orazione: Placeat.

Come si vede, in quest’orazione egli chiede tre grazie: la prima che Dio si degni di ricevere questo Sacrificio in ossequio di servitù. Vuole con ciò supplicarlo di perdonargli, se ardì tanto di esercitare così santissimo ministero divino. Per questo confessa con umiltà di essere stato niente di più che un istrumento in man dell’agente, che è Gesù Cristo, a cui si è dato in mano come cosa tutta sua, da farne ogni suo volere. Però prima di sorgere da piè del trono di Dio, innanzi a cui sta prostrato, rinnova la sua protesta, che solo egli è venuto su quell’altare sublime, perché lo spinse innanzi il comando divino. Deh! almeno accetti sempre quest’obbedienza in ossequio di servitù. La seconda grazia, che gli preme di chiedere è, che gli perdoni le miserie, che lo accompagnarono all’altare: poiché presentò così grande offerta, la grandezza dell’offerta abbia da far passar inosservata la povertà della mano dell’uomo, che l’ha teva presentata, indegno di tanta Maestà divina. divina. – Finalmente in terzo luogo supplica che gli sia concesso perdono, misericordia e grazia per sè, ed anche per tutti pel gran Sacrificio di propiziazione, che ha in sè tutti i meriti di Gesù Cristo.

Ultima Benedizione.

Dal gran Padre di tutti i beni, e dalle benedizioni di sua misericordia noi dobbiamo aspettare le grazie, di che abbisognano le anime nostre. Nella santa Messa è un continuo invocarle, mettendo, nel benedire, sempre tra noi e il cielo la croce di Gesù Cristo e la ragione de’ suoi meriti; ma in quest’ultima benedizione si vuol pregar Dio di coronare le sue grazie colla più grande sua misericordia infinita. – Il santo martire Giustino fino dal secolo II, nella sua apologia esposta agli imperatori romani, parla di questa benEdizione; sicché si ha ragione di dire, che non fu mai licenziato dall’altare, il popolo senza essere benedetto. Ciò giova ripetere, per dare sulla voce a certi ammodernatori , che vorrebbero raffazzonare la Chiesa alla moda, quasi si dovesse dare faccenda per correre dietro alla volubilità dell’umana leggerezza. Giova ripeterlo, che la Chiesa, come ha un sol Battesimo, una sola fede, un solo Iddio, e lo stesso Spirito che la vivifica; così ha sempre gli stessi doveri verso il Signore, e gli stessi bisogni nei figliuoli, che vuol raccogliere a beatitudine col suo Dio: anche i suoi riti conserva quasi sempre benché possa mutarli. Questa madre adunque, che colle mani piene del Sangue di propiziazione è dispensiera di grazie celesti, non poteva terminare questo cumulo di misteri, quest’azione divina, questo compendio di tutte le misericordie, altrimenti che con un’ultima benedizione santissima. Anche il patriarca Isacco , ristorato che s’ebbe, avendo ai piedi il figliuolo Giacobbe vestito delle vesti del figliuol primogenito con tanta cura dalla madre profumate, l’accolse in seno, e nel sentire il profumo letificante, confortava delle più larghe benedizioni il figliuolo a Dio diletto: cosi il celebrante esilarato dai profumi di santità del popolo identificato in Gesù Cristo, sente un bisogno di colmarlo di benedizioni. Il Sacerdote per benedire ritto sull’altare, come dall’alto trono di Dio, col popolo prostrato ai piedi, scuote l’anima potentemente , perché mette innanzi al pensiero Gesù tra il fulgore della gloria nell’atto di benedire gli eletti nell’universale giudizio. Tutto avrà fine: il tempo è breve e marcia a gran passi: ancora un poco, e il tempo delle misericordie è finito: verrà il dì dell’universale giudizio. Ecco, ecco s’apre il cielo: che splendore di vivissima luce! che mar di fuoco! A mille a mille discendon gli Angioli, e a mille si lascian travedere, e tra quei raggi di luce che piove sulla schiera degli eletti, il giudice inappellabile, l’inflessibile scrutatore delle coscienze, l’inesorabile esattor della legge viene portato in sulle nubi, terribile tanto a guardarsi allora, quanto è ora con noi infinito in bontà! Siede tra le milizie degli Angeli delle battaglie: dinanzi al suo volto un torrente di fuoco, e sotto i suoi passi tra il rombar di tuoni una tempesta di folgori e di saette e di carboni ardenti: passa pei cieli, e i cieli si fiaccano, come si piega la vela di un naviglio in mezzo alla burrasca. Rizza il tremendo tribunale in mezzo alle fiamme ed al fumo dello spento universo la tremenda Maestà; ecco sta per fare giudizio di tutti. Quando tra l’intonar delle angeliche trombe, terribile come mille oceani in tempesta, che chiamano gli eletti alla destra ed i reprobi alla sinistra, tra l’ulular dei disperati si ode un maestoso concerto: sono i principi del regno celeste, che portano cantando « Vexilla regis prodeunt, fulget crucis mysterium » in adorazione la Croce… Quella Croce è un fulmine per i dannati alla sinistra… ! Ah! non parliamo dei dannati: noi siamo tutti crocesegnati a quest’ora col Sangue, che il divino Gesù dalla croce versava sull’altare per le nostre persone! Quindi il Sacerdote segna dall’alto sopra la testa di tutti, quella gran croce. Pensiamo noi a Gesù: Egli nel tremendo di’ del giudizio avrà al fianco quella Croce, e sotto di essa tutti raccolti e tremanti anche noi, in mezzo all’universale terrore! Noi nondimeno da piè della croce guarderemo nelle sue Piaghe, cercando nel suo Costato il nostro asilo, che trovammo in terra con unirci a Lui nel santissimo Sacramento! Ancora un pensiero in questo istante così pieno di alti misteri. L’anima nostra tutta con Gesù benedetto pensa a Lui, quando l’amabilissimo Redentore in mezzo alla turba, che aspettava la parola di vita, salito sul monte, aperta la bocca, diceva: « Beati i poveri di spirito: beati i mansueti: beati i piangenti: beati gli affamati e sitibondi della giustizia : beati i misericordiosi: beati i puri di cuore: beati i pacifici: beati i perseguitati; » e a questi afflitti d’ogni maniera promettendo il regno dei cieli: « rallegratevi, qui conchiudeva, che la ricompensa vostra è copiosa in cielo. » Diceva poi altresì: « chi Mi segue non va nelle tenebre, ma avrà lume di vita. » Prendeva poi la croce e andava al Calvario a morire sopra di essa: e risorto raccomandava di fare quello che aveva egli comandato, ed il suo comandamento è la carità, che ci acquista meriti pel Paradiso. Ah! qui noi, nel segnarci di croce, corriamo ad abbracciare quelle croci, che Dio ci dà nella vita, per sacrificarci in amore di Dio nell’operare il bene. Diciamo intanto con tutto il fervore: « o, Gesù, dateci con questa solenne benedizione una caparra di quella benedizione con cui direte: o benedetti del Padre mio, al Paradiso, ch’Egli vi ha preparato. Su via! sorgiarn tutti in piedi, pronti ad obbedire a Gesù ora, per accorrere al suo invito allora. Sorgiano in piedi poichè croce segnati dalla Destra di Gesù, con Lui voleremo al Paradiso. Amen.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (29): “Da INNOCENZO XI ad ALESSANDRO VIII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (29)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da INNOCENZO XI ad ALESSANDRO VIII)

Decreto del Santo Officio del 33 novembre 1670.

Errori relativi al dono dell’onnipotenza.

2170. (1) Dio ci fa il dono della sua onnipotenza perché ne facciamo uso, così come qualcuno regala ad un altro una casa o un libro.

2171. 2 – Dio ci sottopone alla sua onnipotenza. (Censura: proposizioni vietate in quanto nuove e azzardate).

Probabilismo e probabiliorismo

2175. …Dopo la relazione fatta dal P. Laurea su quanto contenuto nella lettera inviata dal P. Tirso Gonzalez, al Santissimo Signore, gli Eminentissimi Signori dissero che la stessa dovesse essere scritta dal Segretario di Stato al Nunzio Apostolico in Spagna, affinché significasse al suddetto P. Tirso che Sua Santità avesse preso in considerazione l’onnipotenza di Dio. Che Sua Santità aveva gentilmente accettato la sua richiesta e che, dopo che la sua lettera era stata letta non senza lodi, avesse ordinato che egli predicasse, insegnasse e difendesse con la penna l’opinione più probabile e che combattesse coraggiosamente la posizione di coloro che affermano che, quando un’opinione meno probabile e un’altra più probabile, conosciuta e giudicata come tale, si incontrano, è lecito seguire quella meno probabile; e che gli faccia sapere che tutto ciò che fa e scrive a favore dell’opinione più probabile piacerà a Sua Santità.

2176. Al Padre Generale della Compagnia di Gesù sarà data l’ingiunzione, per ordine di Sua Santità, non solo di permettere ai Padri di questa Compagnia di scrivere a favore dell’opinione più probabile e di combattere la posizione di coloro che affermino che quando un’opinione meno probabile e una più probabile si incontrano, conosciute e giudicate come tali, sia permesso seguire quella meno probabile; ma che scriva anche a tutte le università della Società che il sentimento di Sua Santità è che ognuno, come ritiene opportuno, scriva liberamente a favore dell’opinione più probabile e contro la suddetta opinione contraria; e che ordini loro di sottomettersi interamente al mandato di Sua Santità.

2177. (Aggiunta nell’autografo del Sant’Uffizio: ) 8 luglio 1680. Dopo che il suddetto ordine di Sua Santità è stato comunicato al Padre Generale della Compagnia di Gesù dall’assessore, egli ha risposto che avrebbe obbedito.

Tanto più che non gli era mai stato proibito, né da lui stesso né dai suoi predecessori, di scrivere a favore dell’opinione più probabile e di insegnarla.

Contemplazione e mediazione. – Errori del quietismo.

2181. 1. – A nessuno, dunque, che si dedichi alla preghiera meditativa o contemplativa, si deve permettere di disprezzare la preghiera vocale, istituita da Cristo Signore, osservata dagli Apostoli e da sempre utilizzata, in continua successione, in tutti i servizi divini, né di sminuirla come inutile e vana rispetto alla preghiera meditativa o contemplativa. Al contrario, poiché il Profeta insegna che il Signore debba essere lodato con inni e cantici, tutti devono lodarlo e raccomandarla pure con la preghiera mentale e contemplativa.

2182. 2. – Ma poiché nella casa del Padre ci sono molte dimore (Gv XIV,2) coloro che si dedicano alla meditazione e coloro che li dirigono non devono assolutamente disprezzare coloro che si occupano di contemplazione, né chiamarli pigri o, quel che è peggio, bollarli di eresia. Al contrario, facciano uso e godano santamente e piamente dei doni che Dio ha concesso a ciascuno di loro attraverso la meditazione, tanto più che la grazia della contemplazione è spesso ricevuta dai più grandi, spesso dai più piccoli, molto spesso da coloro che sono lontani, e talvolta anche da persone sposate.

2183. 3. Allo stesso modo, coloro che sono favorevoli alla contemplazione non disprezzino coloro che sono favorevoli alla meditazione, poiché di norma è per gradi di meditazione che si raggiunge la vetta della contemplazione; ma tutti nella carità glorifichino Dio, nostro Signore Gesù Cristo, sapendo che il tralcio dell’opera buona mantiene il suo verde solo se rimane nella radice della carità.

2184. 4. – Sebbene nessuno debba essere allontanato dalla grazia della contemplazione, per la quale Dio dà il suo aiuto, è tuttavia necessario che i direttori d’anime si preoccupino di non ammettere indiscriminatamente ogni età, grado, sesso o condizione alla pratica di questa dottrina e di questo esercizio, e che con un’assidua osservazione prendano prima la misura dello spirito, di ciò che sia in grado di sopportare e di fare, in modo da condurre alcuni alla meditazione, altri alla contemplazione, secondo lo spirito di ciascuno.

2185. 5. – Ma affinché la dottrina sull’orazione contemplativa, con la quale le anime dei fedeli sono elevate alla più alta unione con Dio, rimanga pura da ogni errore, onesta ed intatta, è necessario in primo luogo che i contemplativi si guardino dall’affermare o sostenere che la sola presenza di Dio sia ovunque l’oggetto della contemplazione o dell’orazione che essi chiamano “quiete”. Perché tutti gli oggetti della meditazione possono essere, anche se in modo diverso, oggetto di contemplazione; allo stesso modo non devono essere così audaci da affermare che coloro che pratichino la meditazione non abbiano il potere della contemplazione. Ed ugualmente non abbiano l’audacia di affermare che coloro che si esercitino nella meditazione, non possano mai raggiungere un certo grado di perfezione se non passano alla preghiera di contemplazione.

2186. 6. – E poiché siamo salvati e liberati dall’Incarnazione e dalla Passione di nostro Signore Gesù Cristo, i contemplativi si guardino dal dimenticare volontariamente e deliberatamente i misteri della vita, dell’azione, della Passione e della Redenzione di questo stesso Signore che è nostro, o dall’affermare che la loro considerazione è inutile e contraria allo stato di contemplazione; al contrario, sull’esempio di tutti i Santi, si applichino assiduamente a considerarli secondo le circostanze di tempo e di luogo.

2187. 7. – Così come non tolgano dai loro occhi, come inutili alla contemplazione, le immagini e le rappresentazioni, sia esterne che interne, di Cristo Signore, della beatissima Vergine Maria, la Madre, e degli altri Santi che regnano in cielo e che pregano per noi che ci troviamo in questa valle di lacrime. A volte, però, solo nell’atto della contemplazione e quando il nostro spirito, attraverso il quale scorrono i doni celesti, sia attirato verso la contemplazione delle realtà divine, sarà permesso, affinché l’anima non sia distratta, allontanarsi da queste figure.

2188. 8. – E poiché l’esercizio della contemplazione perfetta consiste principalmente nel fatto che nell’atto della contemplazione l’anima non faccia nient’altro, e tanto più, dimenticando poi tutte le creature, si elevi a Dio e alle realtà divine nella considerazione delle sublimi virtù della fede, speranza e carità, con le quali Dio è venerato al di sopra di tutto, i meditanti non devono avere l’audacia o la presunzione di trattare i contemplativi del popolo come oziosi e pigri.

2189. 9. D’altra parte, sia i contemplativi che i meditanti devono ricordare che non siano affatto esenti dai precetti di Dio e della Chiesa; al contrario, tutti, come i servi verso i loro padroni e le mogli verso i loro mariti, sono strettamente tenuti ad osservare i Comandamenti che devono essere osservati da ciascuno secondo il suo stato, poiché la virtù della preghiera porta all’umiltà ed all’obbedienza e non all’orgoglio ed alla presunzione.

2190. 10. Allo stesso modo, nel caso dei chierici, sia secolari che religiosi, e delle monache, si deve insegnare e ritenere che non debbano presumere che, con il pretesto della meditazione o della contemplazione, siano esenti o liberati dagli obblighi ecclesiastici e dai voti, dalle istituzioni e dalle regole della loro religione; infatti, anche se hanno raggiunto un certo grado di perfezione nella preghiera, non sono in alcun modo considerati esenti dall’osservarli.

2191. 11 Tutti, sia contemplativi che meditativi, devono sapere che non sono in alcun modo esonerati dagli obblighi esterni di religione e di pietà che sono abitualmente praticati dai fedeli nella Chiesa cattolica, e che sono l’uso dei sacramenti e dei sacramentali, le visite alle chiese, i riti, i riti, i riti, i riti e i riti. Al contrario, sarà un grande scandalo per i fedeli se alcune delle suddette pratiche saranno trascurate da loro con il pretesto della contemplazione o della meditazione.

2192. 12 È assolutamente empio, e indegno della purezza cristiana, affermare che non si debba resistere alle tentazioni e che i contemplativi non debbano vedersi imputati i peccati commessi durante la contemplazione, con la falsa idea che non siano i contemplativi stessi, ma il diavolo a commetterli attraverso le loro membra. Allo stesso modo è empio affermare che i contemplativi non debbano aprirsi su tali peccati nel Sacramento della penitenza e sottoporli alle chiavi della Chiesa. Infine, è empio affermare che la preghiera mentale, sia essa meditativa o contemplativa, sia necessaria per la salvezza pura e semplice.

Errore sul segreto della Confessione

2195. (Proposizione🙂 “È lecito fare uso della conoscenza acquisita nella confessione, purché ciò avvenga senza rivelazione diretta o indiretta e senza danno per il penitente, a meno che dal suo mancato uso non derivi un danno molto più grave, rispetto al quale il primo è giustamente ritenuto poco”; Dopo questo si aggiunge una spiegazione, o una limitazione, riguardo a ciò che si deve intendere per uso della conoscenza acquisita in confessione con danno per il penitente, e ad esclusione di qualsiasi rivelazione, e nel caso in cui il non uso comporti un danno molto maggiore per questo penitente. …(Censura: ) La suddetta proposizione, nella misura in cui ammette l’uso della suddetta conoscenza con danno per il penitente, deve essere assolutamente proibita, compresa la suddetta spiegazione o limitazione.

Errori quietisti di Miguel de Molinos

2201. (1) Le potenze dell’anima devono essere annientate, e questa è la via interiore.

2202. [2] – Voler agire attivamente significa offendere Dio, che vuole essere l’unico agente; per questo dobbiamo abbandonarci totalmente e senza riserve a Lui, per poi rimanere come un corpo inanimato.

2203. (3). Il voto di fare qualcosa è un ostacolo alla perfezione.

2204. (4). L’attività naturale è nemica della grazia e ostacola le operazioni di Dio e la vera perfezione, perché Dio vuole agire in noi senza di noi.

2205. (5). – Non facendo nulla, l’anima si annienta e ritorna al suo principio e alla sua origine, che è l’essenza di Dio in cui rimane trasformata e divinizzata, e allora Dio rimane in se stesso; perché allora non ci sono più due cose unite, ma una sola, e in questo modo Dio vive e regna in noi, e l’anima si annienta nell’Essere operativo.

2206. (6). – La via interiore è quella in cui non conosciamo né la luce, né l’amore, né la rassegnazione; e non è nemmeno necessario conoscere Dio; ed è in questo modo che camminiamo giustamente.

2207. (7) – L’anima non deve pensare alla ricompensa o alla punizione, al Paradiso o all’inferno, alla morte o all’eternità.

2208. (8) – L’anima non deve desiderare di sapere se cammina come Dio vuole, né se rimanga o meno conforme a quella volontà; e non è necessario che desideri conoscere il proprio stato, o il proprio nulla, ma deve rimanere come un corpo senza vita.

2209. (9) – L’anima non deve ricordarsi né di se stessa, né di Dio, né di nulla, e nel modo interiore ogni riflessione è dannosa, anche quella sulle proprie azioni umane e sui propri difetti.

2210. (10). – Se i propri difetti scandalizzano gli altri, non c’è bisogno di riflettere su di essi finché non c i sia il desiderio di scandalizzare, e non poter riflettere sui propri difetti è una grazia di Dio.

2211. (11). – Non c’è bisogno di pensare ai dubbi che sorgono se si sia sulla strada giusta o meno.

2212. (12). – Chi ha dato il suo libero arbitrio a Dio non deve più preoccuparsi di nulla, né dell’inferno né del Paradiso; non deve avere alcun desiderio della propria perfezione, né delle virtù, né della propria santificazione, né della propria salvezza, dalla quale deve espungere la speranza.

2213. (13) – Una volta consegnato a Dio il nostro libero arbitrio, dobbiamo anche abbandonare a Dio il pensiero e la cura di tutto ciò che ci riguarda, e lasciare che faccia la sua volontà divina in noi, senza di noi.

2214. (14). – Chi si è abbandonato alla volontà di Dio non deve chiedere nulla a Dio, perché chiedere è mendicare è un’imperfezione, perché è un atto di volontà e di scelta, e significa volere che la volontà divina si conformi alla nostra volontà e non la nostra alla volontà divina. E le parole del Vangelo: “Chiedete e vi sarà dato” (Gv 16,24) non sono state pronunciate da Cristo per le anime interiori che non vogliono avere una volontà; al contrario, queste anime sono in grado di non chiedere nulla a Dio.

2215. (15). Così come non devono chiedere nulla a Dio, non devono nemmeno ringraziarlo per nulla, perché entrambi sono atti della loro volontà.

2216. (16). Non è giusto chiedere indulgenze per la pena dovuta ai propri peccati; infatti è meglio soddisfare la giustizia divina che cercare la misericordia divina, perché la prima procede dal puro amore di Dio, mentre la seconda dall’amore egoistico per noi stessi, che non è quello che piace a Dio e non è meritorio, poiché è voler fuggire dalla croce.

2217. (17). Poiché il libero arbitrio è stato consegnato a Dio, e anche la cura e l’esame della nostra anima sono stati abbandonati a Lui, non c’è più motivo di preoccuparsi delle tentazioni, e non dobbiamo opporre ad esse altro che una resistenza negativa, senza sforzarci di più, e se la natura si muove, dobbiamo lasciarla muovere, poiché è la natura.

2218. (18). Chi nella preghiera usa immagini, figure, idee e concetti propri, non adora Dio in spirito e verità (Gv IV,23).

2219. (19). Chi ama Dio nel modo che la ragione esige o che l’intelligenza comprende, non ama il vero Dio.

2220. (20). – Dire che nella preghiera sia necessario essere aiutati da ragionamenti e pensieri, quando Dio non parla all’anima, è da ignoranti; Dio non parla mai, la sua parola è azione, e agisce sempre nell’anima quando questa non lo impedisce con i suoi ragionamenti, pensieri e operazioni.

2221. (21). Nell’orazione, dobbiamo rimanere nella fede oscura e universale, nel riposo e nell’oblio di ogni pensiero particolare e distinto dagli attributi di Dio e della Trinità, e dobbiamo così rimanere alla presenza di Dio per adorarlo, amarlo e servirlo, ma senza produrre atti, perché Dio non trova il suo piacere in questo.

2222. (22). Questa conoscenza per fede non è un atto prodotto dalla creatura, ma è una conoscenza data da Dio alla creatura, che la creatura non sa di avere e che poi non sa di aver avuto, e lo stesso vale per l’amore.

2223. (23).. I mistici distinguono con San Bernardo nella Scala claustralium quattro gradi: lettura, meditazione, oraison e contemplazione infusa. Chi rimane sempre nel primo non passa mai al secondo; chi rimane sempre nel secondo non arriva mai al terzo, che è la nostra contemplazione acquisita, nella quale dobbiamo persistere per tutta la vita, finché Dio non attira l’anima (anche se non lo desidera) alla contemplazione infusa; e quando questa cessa, l’anima deve tornare al terzo grado e rimanervi, senza tornare più al secondo o al primo.

2224. (24). Qualunque pensiero sorga nell’orazione, anche impuro, anche contro Dio, la fede e i sacramenti, se non viene volontariamente accolto e volontariamente respinto, ma sopportato con indifferenza e rassegnazione, non impedisce l’orazione di fede; al contrario, la rende più perfetta, perché l’anima è allora più rassegnata alla volontà divina.

2225. (25). Anche se viene il sonno e ci addormentiamo, saranno comunque presenti l’orazione e la contemplazione; perché l’orazione e la rassegnazione, la rassegnazione e l’orazione sono la stessa cosa; e finché dura la rassegnazione, dura anche l’orazione.

2226. (26). Le tre vie: purgativa, illuminativa e unitiva, sono la più grande assurdità che sia stata detta nella mistica, perché c’è una sola via, quella interiore.

2227. (27). Chi desidera e abbraccia la devozione sensibile, non desidera e cerca Dio, ma se stesso; e chi cammina nella via interiore agisce male quando la desidera e si sforza di averla, sia nei luoghi santi che nelle feste solenni.

2228. (28). Il disgusto per le cose spirituali è buono, poiché con esso si purifica l’amore propriamente detto.

2229. (29). È un buon segno quando l’anima interiore è disgustata dai discorsi su Dio e sulle virtù, e rimane fredda e non sente alcun fervore in essa.

2230. (30). Ogni cosa sensibile che sperimentiamo nella vita spirituale è abominevole, impura e sporca.

2231. (31). Nessuno di coloro che meditano pratica le vere virtù interiori, che non devono essere conosciute dai sensi. Le virtù devono essere perse.

2232. (32). Né prima né dopo la Comunione è richiesta altra preparazione o ringraziamento (per queste anime interiori) che rimanere nell’abituale rassegnazione passiva; perché questa sostituisce in modo più perfetto tutti gli atti di virtù che si possano fare e si facciano in modo ordinario. E se durante la Comunione sorgono movimenti di umiliazione, di supplica o di ringraziamento, essi devono essere soppressi quando non si riconosca che provengano da una particolare ispirazione di Dio; altrimenti sono movimenti della natura non ancora morta.

2233. (33). Per l’anima che percorre questo cammino interiore è sbagliato fare uno sforzo particolare nelle feste solenni per suscitare un sentimento di devozione, perché per l’anima interiore tutti i giorni sono uguali e sono tutti giorni di festa. E lo stesso si deve dire dei luoghi sacri, perché per queste anime tutti i luoghi sono uguali.

2234. (34). Ringraziare Dio con la parola e con la lingua non è adatto alle anime interiori, che devono rimanere in silenzio, senza porre alcun ostacolo al fatto che Dio operi in loro; e quanto più si abbandonano a Dio, tanto più sperimentano la loro impotenza nel recitare l’orazione domenicale o il Padre nostro.

2235. (35). Alle anime della via interiore non conviene compiere atti, anche virtuosi, di propria scelta e di propria attività, altrimenti non sarebbero morte, né compiere atti di amore verso la Beata Vergine, i Santi e l’umanità di Cristo, perché essendo questi oggetti sensibili, anche l’amore che li riguarda è sensibile.

2236. (36). Nessuna creatura, né la Beata Vergine né i santi, deve avere un posto nel nostro cuore, perché solo Dio vuole occuparlo e possederlo.

2237. (37). Nel caso di tentazioni anche violente, l’anima non deve compiere atti espliciti di virtù che si oppongano ad esse, ma rimanere nell’amore e nella rassegnazione di cui si parla.

2238. (38). La croce volontaria delle mortificazioni è un peso gravoso e infruttuoso, e perciò deve essere sgravata.

2239. (39). Le azioni e le penitenze più sante compiute dai Santi non bastano a togliere dall’anima anche un solo attaccamento.

2240. (40). La Beata Vergine non fece mai alcun lavoro esterno, eppure fu più santa di tutti i Santi. Ecco perché possiamo raggiungere la santità senza alcun lavoro esterno.

2241. (41). Dio permette e vuole, per umiliarci e condurci alla vera trasformazione, che certe anime perfette, anche se non possedute, siano violate dal demonio che fa loro commettere atti carnali, anche nello stato di veglia e senza alcun turbamento della coscienza, muovendo fisicamente le mani e le altre membra contro la loro volontà. E lo stesso si deve dire per altre azioni di per sé colpevoli, che in questo caso non sono peccati, perché non c’è consenso.

2242. (42). Ci possono essere casi in cui tale violenza che porta ad atti carnali si verifica contemporaneamente in due persone, cioè un uomo e una donna, e il risultato è un atto carnale per entrambi.

2243. (43). Dio, nelle epoche passate, faceva i santi con il ministero dei tiranni; ora, invece, li fa santi con l’aiuto dei demoni che, provocando in loro la violenza di cui si parla, li inducono a disprezzare e ad annientare ancora di più se stessi e ad abbandonarsi a Dio.

2244. (44). Giobbe bestemmiava, ma non peccava con le labbra, perché ciò avveniva per la violenza del demonio.

2245. 45. San Paolo soffrì nel suo corpo la violenza del diavolo; per questo scrisse: “Non faccio il bene che voglio fare, ma il male che non voglio fare lo faccio” (Rm VII, 19).

2246. (46). Questa violenza è il modo migliore per annientare l’anima e condurla alla trasformazione e alla vera unione, e non c’è altro modo per arrivarci. E questo è il modo più facile e sicuro.

2247. (47). Quando si verificano questi atti violenti, si deve permettere a satana di fare il suo lavoro senza alcuna resistenza o sforzo; al contrario, l’uomo deve rimanere in uno stato di nulla, e anche se ne derivano inquinamenti e atti osceni prodotti dalle mani e peggio, non c’è da preoccuparsi, ma si devono bandire scrupoli e paure, perché l’anima è più illuminata, rafforzata e pura, e si acquisisce la santa libertà. E soprattutto non c’è bisogno di confessare queste cose, e si agisce in modo molto sano non confessandole, perché è con questo mezzo che si trionfa sul diavolo e si acquisisce un tesoro di pace.

2248. (48). Satana, l’autore di questi abusi, suggerisce poi che si tratti di colpe gravi, affinché l’anima si inquieti e non avanzi nel cammino interiore; perciò, per indebolire le proprie forze, è meglio non confessarle, perché non sono peccati, neppure veniali.

2249. (49). Giobbe, per la violenza del diavolo, si contaminò con le proprie mani, nel momento in cui si rivolgeva a Dio, se interpretiamo così il passo del cap. 16 Gb 16,18.

2250. (50). Davide, Geremia e molti dei santi Profeti subirono tali violenze per queste azioni esterne impure.

2251. (51). Nelle Sacre Scritture ci sono molti esempi di violenza che portano ad atti esterni di peccato; così per Sansone che con la violenza si uccise con i Filistei (Gg XVI,29 s.) che sposò una donna straniera (Gg XIV,1-20), e che praticò la fornicazione con la prostituta Dalila (Gg XVI,4-22), che altrimenti era proibita e sarebbe stata peccaminosa; Giuditta mentì a Oloferne (Gdt XI,5-19), Eliseo maledisse i bambini (2R II,24) e bruciò due capi con le truppe del re Achab (2R 1,10-12). Non è certo, però, se la violenza sia stata fatta direttamente da Dio o attraverso il ministero dei demoni, come accade per altre anime.

2252. (52). Quando una violenza di questo tipo, anche impura, avviene senza che lo spirito ne sia oscurato, l’anima può allora unirsi a Dio e di fatto è sempre più unita a Lui.

2253. (53). Per sapere in pratica se un’azione in altre persone sia stata una violenza, la regola che ho in questa materia non è semplicemente la protesta di queste anime di non aver mai acconsentito a questa violenza o di non poter giurare di averla acconsentita, e di vedere che si tratti di anime che stanno avanzando lungo il cammino interiore; ma io vorrei prendere la mia regola da una certa luce attuale, superiore alla conoscenza umana e teologica, che mi fa sapere con certezza, con una certezza interiore, che una tale azione sia provocata dalla violenza, e sono certo che questa luce venga da Dio, perché mi viene insieme alla certezza che viene da Dio, e che non lascia in me nemmeno l’ombra di un dubbio contrario: dal modo in cui talvolta accade che Dio, quando rivela qualcosa, allo stesso tempo dà all’anima la certezza che è Lui stesso a rivelare, e che l’anima non può più avere alcun dubbio del contrario.

2254. (54). Gli spirituali della via ordinaria si troveranno nell’ora della morte derisi e confusi con tutte le passioni che dovranno essere purificate nell’altro mondo.

2255. (55). Per questa via interiore si riesce, anche se con grande difficoltà, a purificare ed estinguere tutte le passioni, fino al punto di non sentire più nulla, nulla, e di non avertire più alcuna inquietudine come un corpo morto e l’anima non è più turbata.

2256. (56). Le due leggi e le due concupiscenze, l’una dell’anima, l’altra dell’amor proprio, durano finché dura l’amor proprio: perciò quando esso è purificato e morto, come si fa nella via interiore, allora non ci sono più queste due vie e queste due concupiscenze, e non si sperimenta più alcuna caduta, né si sente nulla, neppure un peccato veniale.

2257. (57). Con la contemplazione acquisita si giunge a uno stato in cui non si commette più alcun peccato, né mortale né veniale.

2258. (58). Questo stato si raggiunge non riflettendo più sulle proprie azioni, perché le colpe nascono dalla riflessione.

2259. (59). La via interiore è indipendente dalla Confessione, dai confessori e dai casi di coscienza, dalla teologia e dalla filosofia.

2260. (60). Nel caso di anime avanzate che comincino a morire alla riflessione e siano giunte al punto di morte, Dio rende talvolta impossibile la Confessione e vi supplisce Lui stesso con una grazia che conserva ed è uguale a quella che riceverebbero nel Sacramento; per questo non è bene che tali anime si accostino al Dacramento della penitenza in un caso simile, perché è impossibile per loro.

2261. (61). Quando l’anima è giunta alla morte mistica, non può più volere altro che ciò che Dio vuole, perché non ha più volontà e Dio gliel’ha tolta.

2262. (62). Per la via interiore si raggiunge uno stato continuo e immobile in una pace che non può più essere disturbata.

2263. (63). Per la via interiore si giunge anche alla morte dei sensi; ed è addirittura segno che si è nello stato di annientamento, cioè di morte mistica, quando i sensi esterni non ci rappresentino più le cose sensibili; queste sono allora come se non lo fossero, perché non riescono più a far sì che la comprensione si applichi ad esse.

2264. (64). Il teologo ha una minore disposizione allo stato contemplativo rispetto all’ignorante, in primo luogo perché non ha una fede altrettanto pura; in secondo luogo perché non è altrettanto umile; in terzo luogo perché non si preoccupa altrettanto della propria salvezza; in quarto luogo perché la sua testa è piena di immaginazioni, rappresentazioni, opinioni e speculazioni, e la vera conoscenza non è più nella sua testa e la luce non può entrare in lui.

2265. (65). I superiori devono essere obbediti nelle cose esterne, e il voto di obbedienza dei religiosi si estende solo all’esterno. Nell’interno, invece, la situazione è diversa, dove entrano solo Dio e il direttore.

2266. (66). È degna di essere ridicolizzata questa nuova dottrina secondo la quale l’anima, in ciò che riguarda l’interno, dovrebbe essere governata dal Vescovo, e che se il Vescovo non sia sei ora a dormire devi togliere la messa e io lo tolgo e l’altro ha due o tre quattro senza la presa di coscienza sto bene grazie Ma come questa per la scuola per bambino e della scuola e due sessioni di bambini pure cinque giorni festivi a scuola hai visto i bambini vedono questa lingua italiana la stella di sucato dove crede ma che c’è silenzio sità e noi ehm arriva a casa direttamente se invece funziona la sicurezza nazionale Cioè quanti anni in grado di farlo, l’anima dovrebbe andare da lui con il suo direttore. Questa è una dottrina nuova, dico, perché né la Sacra Scrittura, né i Concili, né i canoni, né le bolle, né i Santi, né gli autori l’hanno mai insegnata, né hanno potuto insegnarla; perché la Chiesa non giudica delle cose nascoste, e l’anima ha il diritto e la facoltà di scegliere chi vuole.

2267. (67). Dire che sia necessario manifestare ciò che è interiore al tribunale esterno, e che sia un peccato non farlo, è un evidente inganno, perché la Chiesa non giudica le cose nascoste, e si danneggia la propria anima con questi inganni e ipocrisie.

2268. (68). Non c’è facoltà o giurisdizione al mondo che possa ordinare di comunicare le lettere del direttore che riguardino l’interno dell’anima, e per questo dobbiamo avvertire che si tratti di un oltraggio satanico.

(Censura): queste proposizioni le abbiamo condannate come eretiche secondo il caso 3, 13-15, 41-53, sospette; vicine all’eresia 21,23,(57),60; in odore di eresia: 2, 4-10, 12, 16-19, (31), (35), 55 s, (58) ed erronee 4-6, (8-10), 13-19, 21 s, (24), (32), (35), 41-53, (58), scandalose 6s, (9-11), 14-20, (24), 30-52, (54), (58-60), 63 s, (66), blasfeme 10, 14 s, 41- 53, 60, offensive per le orecchie pie 6, 30, (58), imprudenti 11, 14 s, 17-20, 23 s, 26 s, 30-35, (38s), 41-68, irritanti la disciplina cristiana 10, 16, 21 s, (24), (31), (35), (38s), 41-52, (59), (65s) e contraria (68), e sediziosa (65). Inoltre… abbiamo condannato tutti i libri e tutte le opere stampate, in qualsiasi luogo ed in qualsiasi lingua, nonché tutti i manoscritti dello stesso Miguel de Molinos.

ALESSANDRO VIII: 6 ottobre 1689 – 1 febbraio 1691

Articoli gallicani sui diritti del Papa

2281 (1). Il beato Pietro ed i suoi successori, Vicari di Gesù Cristo, e la Chiesa stessa hanno ricevuto da Dio il potere sulle cose spirituali che riguardano la salvezza eterna, e non sulle cose civili e temporali, avendo il Signore detto: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv XVIII, 36) e ancora “Date dunque a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Lc XX,25); per questo restano ferme le parole dell’Apostolo: “Ogni anima sia sottomessa alle potenze superiori, perché non c’è potere che non venga da Dio; e quelli che esistono sono stati ordinati da Dio; perciò chi si oppone al potere si oppone a Dio” (Rm XIII, 1 ss.) I re e i sovrani non sono soggetti ad alcun potere ecclesiastico per ordine di Dio nelle cose temporali; non possono essere deposti direttamente o indirettamente dall’Autorità delle chiavi della Chiesa; i loro sudditi non possono essere dispensati dalla sottomissione e dall’obbedienza e sollevati dal giuramento di fedeltà. E questa dottrina, necessaria per la tranquillità pubblica e non meno necessaria per la Chiesa che per lo Stato, deve essere seguita inviolabilmente in quanto conforme alla Parola di Dio, alla tradizione dei Padri e agli esempi dei Santi.

2282. (2). La pienezza del potere che la Sede Apostolica e i successori di Pietro, Vicari di Cristo, hanno sulle questioni spirituali è tale che allo stesso tempo i decreti del Santo Concilio Ecumenico di Costanza, nella quarta e quinta sessione, sull’autorità dei Concili generali, approvati dalla Sede Apostolica, confermati dalla prassi degli stessi Romani Pontefici e della Chiesa nel suo insieme, e sempre religiosamente osservati dalla Chiesa gallicana, sono in vigore e rimangono immutabili. Ma non sono approvati dalla Chiesa gallicana coloro che mettono in dubbio la forza di questi decreti, come se la loro autorità fosse dubbia e fossero meno approvati, o che limitino le affermazioni del Concilio al solo tempo dello scisma.

2283. (3). Per questo motivo, l’esercizio della potestà apostolica deve essere regolato secondo i canoni stabiliti dallo Spirito di Dio e conservati dalla riverenza di tutto il mondo; le regole, la morale e le costituzioni ricevute dal regno e dalla Chiesa gallicana sono anch’esse valide, e i limiti stabiliti dai Padri rimangono immutati; ed è perfino della grandezza della Sede Apostolica che le leggi e le consuetudini che sono state confermate dal consenso di una Sede e di Chiese così importanti possiedano la stabilità che appartiene loro.

2284. (4). Anche in materia di fede il Papa ha la parte principale, e i suoi decreti sono validi per tutte e per ciascuna delle Chiese; il suo giudizio, tuttavia, non è irreformabile, a meno che non intervenga il consenso della Chiesa.

2285. (Sentenza della Bolla🙂 Tutte le cose che sono state decise e fatte dalla suddetta Assemblea del clero gallicano tenutasi nel 1682, sia per quanto riguardi l’estensione del diritto regale, sia per quanto riguardi la dichiarazione sulla potestà ecclesiastica e le quattro proposizioni in essa contenute, con le quali è stato deciso che il Papa sia il principale responsabile del potere ecclesiastico; tutti e ciascuno degli ordini, dei decreti, delle conferme, delle dichiarazioni, delle lettere, degli editti, dei decreti fatti o pubblicati da qualsiasi persona, sia ecclesiastica che laica, a qualunque titolo, e qualunque sia la sua autorità o il suo potere, e che richiederebbero anche una menzione particolare … Dichiariamo tutte queste cose nulle, invalide e inutili, completamente e totalmente prive di forza e di effetto fin dal loro inizio, e che lo sono tuttora e lo saranno in perpetuo; e che nessuno è tenuto ad osservarle, o a qualcuna di esse, anche se portano il sigillo di un giuramento.

Decreto del Sant’Uffizio, 24 agosto 1690.

Errori sul bene morale e sul peccato filosofico.

2290. (1) La bontà oggettiva consiste nella conformità dell’oggetto alla natura razionale; la bontà formale, invece, consiste nella conformità dell’atto alla regola della morale. Per questo è sufficiente che l’atto morale tenda al fine ultimo in modo interpretativo, e l’uomo non è obbligato ad amare questo fine né all’inizio né durante la sua vita morale.

2291. (2). Il peccato filosofico o morale è un atto umano non conforme alla natura umana e alla retta ragione; il peccato teologico, invece, è una libera trasgressione della Legge divina. Per quanto grave possa essere, questo peccato filosofico è, in chi non conosce Dio o non pensa attualmente a Dio, un peccato grave, ma non è un’offesa a Dio né un peccato mortale che fa perdere l’amicizia di Dio, e non merita la pena eterna.

2292. (Censura:) Propos. 1 : eretico. – 2 : scandaloso, avventato, offensivo per le orecchie pie, erroneo.

Decreto del Sant’Uffizio del 7 dicembre 1690.

Errori dei giansenisti.

2301. (1). Nello stato di natura decaduta, perché ci sia peccato mortale (formale) e demerito, è sufficiente quella libertà per cui il peccato è stato volontario e libero nella sua causa: il peccato di Adamo.

2302. (2). Anche se ci fosse un’ignoranza invincibile della legge naturale, nello stato di natura decaduta essa non scusa il peccato.

Non c’è peccato formale (materiale) per chi agisce in virtù di essa.

2303. (3). Non è lecito seguire un’opinione (probabile), o la più probabile tra quelle probabili.

2304. (4). Cristo si è offerto in sacrificio a Dio per noi, non per i soli eletti, ma per tutti i fedeli e solo per loro.

2305. (5). Gentili, ebrei, eretici e simili non ricevono alcun influsso da Gesù Cristo; e da ciò possiamo giustamente concludere che la volontà in loro è nuda e disarmata, senza alcuna grazia sufficiente.

2306. (6) La grazia sufficiente non è tanto utile quanto perniciosa nel nostro stato attuale, cosicché possiamo giustamente pregare: “Dalla grazia sufficiente, Signore, liberaci”.

2307. (7). Ogni azione umana deliberata è amore di Dio o amore del mondo; se è amore di Dio, è carità del Padre; se è amore del mondo, è concupiscenza della carne, cioè male.

2308. (8). Il non credente pecca necessariamente in tutte le sue opere.

2309. (9). Pecca veramente chi odia il peccato solo per la sua turpitudine e sconvenienza rispetto alla natura, senza considerare in alcun modo l’offesa a Dio.

2310. (10). L’intenzione di chi odia il male e persegue il bene solo per ottenere la gloria celeste non è né giusta né gradita a Dio.

2311. (11). Tutto ciò che non proviene da una fede cristiana soprannaturale che agisce per amore è peccato.

2312. (12). Quando nei grandi peccatori manca l’amore, manca anche la fede; e anche se sembra che credano, non è una fede divina ma umana.

2313. (13). Chi ama Dio, anche in vista della ricompensa eterna, se la carità gli viene meno, il vizio non gli viene meno, per quanto spesso agisca in vista della beatitudine.

2314. (14). La paura dell’inferno non è soprannaturale.

2315. (15). Il logorio concepito dal timore dell’inferno e delle pene, senza l’amore di Dio per se stesso, non è un movimento buono e soprannaturale.

2316. (16). L’ordinanza che antepone la soddisfazione all’assoluzione non è stata introdotta dalla disciplina o dall’istituzione della Chiesa, ma proviene dalla Legge e dalla prescrizione di Cristo stesso, come se fosse dettata dalla natura della cosa.

2317. (17). Con questa pratica di assolvere subito, l’ordinanza della penitenza è stata invertita.

2318. (18). L’usanza moderna relativa all’amministrazione della penitenza, sebbene sostenuta dall’autorità di molti uomini e confermata da un lungo periodo di tempo, non è tuttavia ritenuta dalla Chiesa un uso ma un abuso.

2319. (19). L’uomo deve fare penitenza per tutta la vita per il peccato originale.

2320. (20). Le confessioni fatte ai religiosi sono per lo più sacrileghe o invalide.

2321. (21). Un parrocchiano può sospettare che i religiosi mendicanti, che vivono di elemosine ordinarie, per ottenere o guadagnare un bene temporale, impongano una pena troppo leggera o mal proporzionata.

2322. (22). Chi pretende di avere diritto alla comunione prima di aver fatto una penitenza proporzionata ai propri peccati è da considerarsi empio.

2323. (23). Allo stesso modo, devono essere esclusi dalla Santa Comunione coloro che non hanno ancora un amore di Dio molto puro e non mescolato.

2324. (24). L’offerta che la Vergine Maria fece nel Tempio, nel giorno della purificazione, di due colombe, una per l’olocausto e l’altra per i peccati, attesta sufficientemente che aveva bisogno di purificazione e che il figlio che la presentò era macchiato dalle macchie della madre, secondo le parole della Legge.

2325. (25). Non è lecito per un cristiano collocare in un tempio cristiano un’immagine di Dio Padre (seduto).

2326 (26). Le lodi rivolte a Maria in quanto Maria, sono vane.

2327. (27). Un tempo era valido il Battesimo conferito in questa forma: “Nel nome del Padre, ecc.”, omettendo “Io ti battezzo”.

2328. (28). Un Battesimo è valido quando sia stato conferito da un ministro che osservi tutto il rito e la forma esterna, ma che interiormente, nel suo cuore e al di fuori di sé, decide: non intendo fare ciò che fa la Chiesa.

2329. (29). L’affermazione che il Papa abbia autorità sul Concilio ecumenico e infallibilità in materia di fede è inutile ed è stata più volte confutata.

2330. (30). Quando qualcuno ha trovato una dottrina chiaramente stabilita in Agostino, essa deve assolutamente essere sostenuta e insegnata, senza tener conto di alcuna bolla papale.

(Censura: condannate e proibite in quanto) a seconda dei casi, avventata, scandalosa, sconveniente, vicina all’eresia, in odore di eresia, erronea, scismatica ed eretica.

2331. (31). La bolla In eminenti di Urbano VIII fu ottenuta con l’inganno.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (30): “da INNOCENZO XII a CLEMENTE XI”

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESU’ (2023)

FESTA DEL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ (2023)

VENERDÌ DOPO L’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di Ia cl. con Ottava privilegiata di 3° ordine. – Param. bianchi.

Il Protestantesimo nel secolo XVI e il Giansenismo nel XVIII avevano tentato di sfigurare uno dei dogmi essenziali al Cristianesimo: l’amore di Dio verso tutti gli uomini. Lo Spirito Santo, che è spirito d’amore, e che dirige la Chiesa per opporsi all’eresia invadente, affinché la Sposa di Cristo, lungi dal veder diminuire il suo amore verso Gesù, lo sentisse crescere maggiormente, ispirò la festa del Sacro Cuore. L’Officio di questo giorno mostra « il progresso trionfale del culto del Sacro Cuore nel corso dei secoli. Fin dai Primi tempi i Padri, i Dottori, I Santi hanno celebrato l’amore del Redentore nostro e hanno detto che la piaga, fatta nel costato di Gesù Cristo, era la sorgente nascosta di tutte le grazie. Nel medio-Evo le anime contemplative presero l’abitudine di penetrare per questa piaga fino al Cuore di Gesù, trafitto per amore verso gli uomini » (2° Notturno). — S. Bonaventura parla in questo senso: « Per questo è stato aperto il tuo costato, affinché possiamo entrarvi. Per questo è stato ferito il tuo Cuore affinché possiamo abitare in esso al riparo delle agitazioni del mondo (3° Nott.). Le due Vergini benedettine Santa Geltrude e Santa Metilde nel XIII secolo ebbero una visione assai chiara della grandezza della devozione al Sacro Cuore:. S. Giovanni Evangelista apparendo alla prima le annunziò che « il linguaggio dei felici battiti del Cuore di Gesù, che egli aveva inteso, allorché riposò sul suo petto, e riservato per gli ultimi tempi allorché il mondo invecchiato raffreddato nell’amore divino si sarebbe riscaldato alla rivelazione di questi misteri (L’araldo dell’amore divino. – Libro IV c 4). Questo Cuore, dicono le due Sante, è un altare sul quale Gesù Cristo si offre al Padre, vittima perfetta pienamente gradita. È un turibolo d’oro dal quale s’innalzano verso il Padre tante volute di fumo d’incenso quanti gli uomini per i quali Cristo ha sofferto. In questo Cuore le lodi e i ringraziamenti che rendiamo a Dio e tutte le buone opere che facciamo, sono nobilitate e diventano gradite al Padre. — Per rendere questo culto pubblico e ufficiale, la Provvidenza suscitò dapprima S. Giovanni Eudes, che compose fin dal 1670, un Ufficio ed una Messa del Sacro Cuore, per la Congregazione detta degli Eudisti. Poi scelse una delle figlie spirituali di S. Francesco di Sales, Santa Margherita Maria Alacoque, alla quale Gesù mostrò il suo Cuore, a Paray-le-Monial il 16 giugno 1675, il giorno del Corpus Domini, e le disse di far stabilire una festa del Sacro Cuore il Venerdì, che segue l’Ottava del Corpus Domini. Infine Dio si servì per propagare questa devozione, del Beato Claudio de la Colombière religioso della Compagnia di Gesù, che mise tutto il suo zelo a propagare la devozioni al Sacro Cuore». (D. GUERANGER, La festa del Sacro Cuore di Gesù). – Nel 1765, Clemente XIII approvò la festa e l’ufficio del Sacro Cuore, e nel 1856 Pio IX l’estese a tutta la Chiesa. Nel 1929 Pio XI approvò una nuova Messa e un nuovo Officio del Sacro Cuore, e vi aggiunse una Ottava privilegiata. Venendo dopo tutte le feste di Cristo, la solennità del Sacro Cuore le completa riunendole tutte in un unico oggetto, che materialmente, è il Cuore di carne di un Uomo-Dio e formalmente, è l’immensa carità, di cui questo Cuore è simbolo. Questa festa non si riferisce ad un mistero particolare della vita del Salvatore, ma li abbraccia tutti. È la festa dell’amor di Dio verso gli uomini, amore che fece scendere Gesù sulla terra con la sua Incarnazione per tutti (Off.) che per tutti è salito sulla Croce per la nostra Redenzione (Vang. 2a Ant. dei Vespri) e che per tutti discende ogni giorno sui nostri altari colla Transustanziazione, per applicarci i frutti della sua morte sul Golgota (Com.). — Questi tre misteri ci manifestano più specialmente la carità divina di Gesù nel corso dei secoli (Intr.). È « il suo amore che lo costrinse a rivestire un corpo mortale » (Inno del Mattutino). È il suo amore che volle che questo cuore fosse trafitto sulla croce (Invitatorio, Vang.) affinché ne scorresse un torrente di misericordia e di grazie (Pref.) che noi andiamo ad attingere con gioia (Versetto dei Vespri); un’acqua, che nel Battesimo ci purifica dei nostri. peccati (Ufficio dell’Ottava) e il sangue, che, nell’Eucaristia, nutrisce le nostre anime (Com.). E, come la Eucaristia è il prolungamento dell’Incarnazione e il memoriale del Calvario, Gesù domandò che questa festa fosse collocata immediatamente dopo l’Ottava del SS. Sacramento. — Le manifestazioni dell’amore di Cristo mettono maggiormente in evidenza l’ingratitudine degli uomini, che corrispondono a questo amore con una freddezza ed una indifferenza sempre più grande, perciò questa solennità presenta essenzialmente un carattere di riparazione, che esige la detestazione e l’espiazione di tutti i peccati, causa attuale dell’agonia che Gesù sopportò or sono duemila anni. — Se Egli previde allora i nostri peccati, conobbe anche anticipatamente la nostra partecipazione alle sue sofferenze e questo lo consolò nelle sue pene (Off.). Egli vide soprattutto le sante Messe e le sante Comunioni, nelle quali noi ci facciamo tutti i giorni vittime con la grande Vittima, offrendo a Dio, nelle medesime disposizioni del Sacro Cuore in tutti gli atti della sua vita, al Calvario e ora nel Cielo, tutte le nostre pene e tutte le nostre sofferenze, accettate con generosità. Questa partecipazione alla vita eucaristica di Gesù è il grande mezzo di riparare con Lui, ed entrare pienamente nello spirito della festa del Sacro Cuore, come lo spiega molto bene Pio XI nella sua Enciclica « Miserentissimus » (2° Nott. dell’Ott.) e nell’Atto di riparazione al Sacro Cuore di Gesù, che si deve leggere in questo giorno davanti al Ss. Sacramento esposto.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXXII: 11; 19
Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le anime dalla morte e sostentarle nella carestia.]


Ps XXXII: 1
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.

[Esultate nel Signore, o giusti, la lode conviene ai retti.]

Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis, infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris: concéde, quǽsumus; ut, illi devótum pietátis nostræ præstántes obséquium, dignæ quoque satisfactiónis exhibeámus offícium.  

[O Dio, che nella tua misericordia Ti sei degnato di elargire tesori infiniti di amore nel Cuore del Figlio Tuo, ferito per i nostri peccati: concedi, Te ne preghiamo, che, rendendogli il devoto omaggio della nostra pietà, possiamo compiere in modo degno anche il dovere della riparazione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios. Eph III: 8-19

Fratres: Mihi, ómnium sanctórum mínimo, data est grátia hæc, in géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi, et illumináre omnes, quæ sit dispensátio sacraménti abscónditi a sǽculis in Deo, qui ómnia creávit: ut innotéscat principátibus et potestátibus in cœléstibus per Ecclésiam multifórmis sapiéntia Dei, secúndum præfinitiónem sæculórum, quam fecit in Christo Jesu, Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis ei in terra nominátur, ut det vobis, secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei.

[Fratelli: A me, minimissimo di tutti i santi è stata data questa grazia di annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze del Cristo, e svelare a tutti quale sia l’economia del mistero nascosto da secoli in Dio, che ha creato tutte cose: onde i principati e le potestà celesti, di fronte allo spettacolo della Chiesa, conoscano oggi la multiforme sapienza di Dio, secondo la determinazione eterna che Egli ne fece nel Cristo Gesù, Signore nostro: nel quale, mediante la fede, abbiamo l’ardire di accedere fiduciosamente a Dio. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, da cui tutta la famiglia e in cielo e in terra prende nome, affinché conceda a voi, secondo l’abbondanza della sua gloria, che siate corroborati in virtù secondo l’uomo interiore per mezzo del suo Spirito. Il Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede, affinché, ben radicati e fondati nella carità, possiate con tutti i santi comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza e l’altezza e la profondità di quella carità del Cristo che sorpassa ogni concetto, affinché siate ripieni di tutta la grazia di cui Dio è pienezza inesauribile.]

Graduale

Ps XXIV:8-9
Dulcis et rectus Dóminus: propter hoc legem dabit delinquéntibus in via.
V. Díriget mansúetos in judício, docébit mites vias suas.

[Il Signore è buono e retto, per questo addita agli erranti la via.
V. Guida i mansueti nella giustizia e insegna ai miti le sue vie.]
Mt XI: 29

ALLELUJA

Allelúja, allelúja. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja.

[Allelúia, allelúia. Prendete sopra di voi il mio giogo ed imparate da me, che sono mite ed umile di Cuore, e troverete riposo alle vostre anime. Allelúia

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joannes XIX: 31-37
In illo témpore: Judǽi – quóniam Parascéve erat, – ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati, – rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus. Et ille scit quia vera dicit, ut et vos credátis. Facta sunt enim hæc ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum alia Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.

[In quel tempo: I Giudei, siccome era la Parasceve, affinché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era un gran giorno quel sabato – pregarono Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero deposti. Andarono dunque i soldati e ruppero le gambe ad entrambi i crocifissi al fianco di Gesù. Giunti a Gesù, e visto che era morto, non gli ruppero le gambe: ma uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. E chi vide lo attesta: testimonianza verace di chi sa di dire il vero: affinché voi pure crediate. Tali cose sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: Non romperete alcuna delle sue ossa. E si avverasse l’altra Scrittura che dice: Volgeranno gli sguardi a colui che hanno trafitto.]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

FATE IL CUORE NOSTRO SIMILE AL VOSTRO

Viveva or sono molti anni, forse settecento, una santa di nome Ludgarda. Di lei non si potrà mai dimenticare una gentile e meravigliosa storia. Per le sue aspre penitenze e il molto amore, Dio le aveva fatto grazia di guarire i malati: a volte bastava che le sue mani bianche d’innocenza toccassero le piaghe perché rimarginassero; ed a volte bastava che l’ombra della sua persona sottile sfiorasse un infermo perché balzasse sanato da un male che né medici né medicine avevano potuto alleviare. Sicché da ogni parte si accorreva a lei, e tanta ressa si faceva alla porta del suo monastero, che non le restò più un’ora né  del giorno né della notte, per pregare in pace. Allora la Santa disse al Signore così: « A che scopo, Signore, questa grazia se m’impedisce di trattenermi intimamente con voi? Toglietemela: in modo però da cambiarmela in meglio ». Le rispose il Signore: « Che cosa vuoi in cambio? ». Ella supplicò: « Vorrei, per mia maggior devozione, diventar tanto intelligente da capire i salmi latini che leggo nel mio salterio ». E fu esaudita. Ora, davanti all’altare, santa Ludgarda leggeva e rileggeva con insaziabile dolcezza il salterio; le si illuminavano d’ogni più riposto senso le parole oscure, i versetti astrusi. Tutto capiva, anche quello che i dottori patentati allo Studio di Parigi o di Colonia non avrebbero mai potuto capire. Ma non durò molto in questa consolazione: s’accorse che il profitto non era così grande come se l’era immaginato, e restava un angolo di vuoto nella sua anima. Per ciò disse ancora al Signore: « A me, che sono ignorante e semplice, cosa giova conoscere i segreti della Scrittura? ». « Che cosa vuoi dunque? ». « Voglio il vostro Cuore, per possedere l’amore che v’è dentro ». « Questo, — rispose Gesù, — non è possibile, se prima non mi dài il tuo Cuore ». Offrendoglielo, tutta tremante, la santa esclamò: « E così sia, Signore! ». Cristiani, ciò che più vale non è essere scienziati e neanche compir miracoli; ma per tutti è necessario amar il Signore ed offrirgli il proprio cuore. Chi non possiede l’amore di Dio, non conosce Dio, il quale è Amore. Chi non conosce quest’amore non è Cristiano vero, perché i Cristiani sono quelli che conobbero e credettero nell’amore. Ma nessuno meglio di S. Paolo può commentarci l’episodio di S. Ludgarda. « Se distribuissi ai poveri tutte le mie sostanze fino all’ultimo quattrino, se anche mi buttassi nel fuoco per salvare qualcuno e bruciassi al suo posto, ma non avessi l’amore di Dio, non guadagnerei nulla; sapessi parlare le lingue degli uomini e quelle degli Angeli, ma non avessi l’amore di Dio, non sarei diverso da una campana squillante o da un tamburo battente. Fossi profeta che legge il futuro, fossi scienziato che scopre i misteri dell’universo, trasportassi perfino le montagne, se non ho l’amore di Dio, sono un bel niente ». Qualcuno potrà pensare: — Come posso amare Dio, se Egli abita una luce inaccessibile, e mai nessuno l’ha potuto vedere? — È vero; ma Egli si è abbassato fino a noi nel suo Figlio fatto uomo. E Gesù dischiuse una strada corta e facile per condurci tutti all’amore. Quando la lancia del soldato, passando tra costa e costa, squarciò il divinissimo Cuore, il cammino fu aperto. Per esso mettiamoci: entriamo, tremando, adorando, nel Cuore di Gesù. Osserviamo i suoi palpiti, i suoi sentimenti, per accodarvi quelli del nostro povero e fangoso cuore. Due sono i palpiti essenziali del sacro Cuore di Gesù: uno di religione verso il Padre, uno d’amore Verso gli uomini. Sono questi due palpiti che devono battere il ritmo anche al nostro polso. – 1. PALPITO DI RELIGIONE VERSO IL PADRE. Le creature, non essendo che un nulla coperto di polvere e di peccato e d’ignoranza, non sono capaci di adorare Iddio come conviene alla sua eccelsa maestà. Ora, Nostro Signore s’è fatto uomo appunto perché ci fosse un cuor di carne come il nostro, ma capace di rendere a Dio un omaggio degno. I falsi omaggi. Non occorre ricordare quante idee sbagliate di Dio la gente s’era fatte. Alcuni se l’erano immaginato come un grande Assente che dopo aver creato il mondo s’era ritirato in alto in alto, abbandonando tutto, disinteressandosi di tutto, dimentico di tutto. Così quaggiù ogni uomo poteva vivere per sé, a suo piacimento, senza un ricordo per l’Assente: bastava non offenderlo. Altri se l’erano immaginato come un Tiranno inesorabile che aveva emanato i suoi difficili comandamenti (i rabbini ne contavano 613) e poi s’era messo in vedetta, pronto con tuoni, con folgori, con diluvi, con incendi, con pestilenze e guerre a sterminare i trasgressori. Così gli uomini davanti a Lui non avevano palpito se non di paura, come quello dello schiavo davanti al suo proprietario, o del cane davanti al bastone. Altri infine avevano penetrato Dio come un Padrone giusto e obbligato a stipendiare con ricompense materiali le loro prestazioni. Così i loro omaggi erano tutti in forma: di meschini contratti: « Ti dò questo, se mi dai quello ». Uno di costoro è il fariseo della parabola, che con ostentazione snocciolava le sue opere di pietà: — Io digiuno tre volte alla settimana, pago puntualmente la decima…; e aspettava che Dio lo ricompensasse al più presto con adeguate controprestazioni. L’omaggio del Cuore di Gesù. Ma venne finalmente un cuore capace di adorare Dio: fu l’unico vero turibolo che dalla terra levasse al Cielo l’incenso dell’adorazione perfetta. — Esso è cuore di vero uomo. Per ciò si pone davanti a Dio come creatura davanti all’Onnipotente del Cielo e della terra, dei visibili e degli invisibili. Chi può descrivere i suoi palpiti di umiliazione, di sommissione, di sacrificio? « Ecco: son venuto spontaneamente a sostituirmi ai sacrifici che ti spiacquero; mi sono offerto e consacrato per immolarmi a gloria tua, in luogo delle vittime, per il peccato ». E si consuma in questa religiosa riconoscenza del Dio onnipotente. Per sé non ha più nome, per sé non ha più desideri né interessi: « solo il regno di Dio venga »; per sé non ha tenuto neppure la propria volontà, ma l’ha inserita energicamente in quella di Dio: « Non la mia volontà si compia, bensì la tua. Mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato ». — Ma il Cuore di Gesù è anche di vero Figlio di Dio. Perciò non solo i suoi palpiti di adorazione acquistano un valore infinito, ma diventano anche tenerissimi d’amore filiale. L’Onnipotente è suo Padre vero. Non è il gelido Assente, ma lo vede in ogni momento, dappertutto lo sente, lo ama. Se discendendo nella valle scorge ai margini un bianco giglio, il cuore gli sobbalza e gli fa dire: « Osservate: non fila né tesse, eppure di che bianco velluto è coperto! È mio Padre che lo veste ». Se uno stormo di passeri attraversa il cielo, con un segreto impeto di gioia li guarda ed esclama: « Osservate: non seminano, non mietono. È mio Padre che li nutre: nessun passero muore senza ch’Egli lo sappia ». Se il cielo della mattina, tutto rosso, preannunzia la pioggia, oppure un’alba freschissima promette una giornata serena, il suo cuore trema di riconoscenza e gli fa dire: « È mio Padre che manda il sole e la pioggia ». Se gli avviene, accarezzando la testa d’un bambino, di solcare con le dita i folti riccioli, subito trasale e pensa che suo Padre « ha contato fino all’ultimo i capelli che ogni uomo porta sul capo ». Come l’ago calamitato è costantemente volto a settentrione, così tutto il suo Sacro Cuore è orientato verso il Padre onnipotente. Padre e non tiranno; Padre e non padrone. Perciò, qualsiasi cosa capiti, Egli non si conturba mai. « Colui che m’ha mandato è con me, e non mi lascia solo, ed io faccio sempre ciò che piace a Lui ». E se capita la sofferenza, dal momento che è il Padre che gliela manda, è buona la sofferenza e beati sono quelli che piangono, beati quelli che sono perseguitati, beati i poveri! E se capita la morte, Egli « ubbidiente fino alla morte, anzi fino alla morte di croce », esclama: « Affinché il mondo conosca che Io amo il Padre, e che faccio come mi comanda, su, andiamo via di qui, andiamo a morire! ». I nostri omaggi. Poiché il Cuore di Gesù è la regola d’ogni cuore umano, se vogliamo piacere a Dio Padre, dobbiamo accordare i nostri palpiti a quelli del Sacratissimo Cuore. Imparando dal suo Cuore umile e mite, troveremo la pace delle anime nostre. Dunque anche i nostri devono essere palpiti di creatura davanti al Creatore onnipotente. Bisogna praticamente persuaderci che non siamo noi i padroni di noi stessi, che non siamo al mondo per i nostri perversi piaceri, ma unicamente per dare gloria a Dio, per conoscerlo e servirlo. Inoltre i nostri palpiti devono essere di figlio davanti a un vero Padre. Per ciò: 1) Dobbiamo ricordarci di Lui con affettuosa preghiera, ogni mattino ed ogni sera. Che pena, quando s’incontrano Cristiani che non pregano mai come se non avessero mai avuto un Padre nei cieli! 2) Dobbiamo sentire riconoscenza d’ogni utile o bella posa ch’Egli ci dona: della vita, della salute, della famiglia; del sole col quale ci illumina, del fuoco col quale ci riscalda; dell’acqua che beviamo, della terra che coltiviamo… 3) Dobbiamo infine credere al suo amore immenso quando Egli ce lo nasconde dentro alle afflizioni. Il bambino piange e soffre se la mamma lo costringe a sorbire la medicina amara, pure la beve con fiducia perché sente che non può essere veleno e che dopo gli verrà un gran bene. Bisogna crederlo, Cristiani: ogni tribolazione che Dio manda è una medicina amara ma efficace. Dio è Padre, e non fa soffrire nessuno per niente. Soltanto quando ci sforzeremo di sentire in noi quello che Gesù sente in sé, potremo mettere nel suo Cuore, fornace ardente, il nostro cuore piccolo come un granello d’incenso perché bruci davanti a Dio in odore di soavità. Allora i nostri omaggi diverranno una sol cosa con gli omaggi dell’Unigenito di Dio, e Dio Padre sarà amato e glorificato come desidera. – 2. PALPITI D’AMORE VERSO GLI UOMINI. Con tre parole si possono ricapitolare tutti i palpiti d’amore che Gesù ha per gli uomini: Incarnazione, Crocifissione, Eucaristia. Incarnazione. Immaginate un empio che il re sia stato costretto a condannare a morte. Mentre è trascinato per la via verso il supplizio, dall’alta finestra del palazzo reale il figlio unico del re guarda. E tanto amor di compassione lo prende al cuore, egli discende nella strada per mettersi al posto del condannato e morire in sua vece. Ma prima però, perché la cosa fosse possibile, nasconde lo splendore delle sue vesti gemmate sotto il rosso mantello d’un qualsiasi manuale. È gran miracolo se a questo mondo si trova uno cui basti il cuore di morire per un innocente, eppure a Lui è bastato il cuore di morir per un empio, e quell’empio eravamo noi, e quel cuore pazientissimo in amare è il Cuore di Gesù, di Colui che nascose la sua sfolgorante divisa nella carne per farsi uomo come noi, e morire in vece di noi. E non solo incarnandosi ci ha liberati dalla dannazione, ma ci ha resi figli del re, cioè di Dio, come che ci introduce nel palazzo del re, cioè il Paradiso, come in casa nostra. Crocifissione. Per la redenzione, non era necessario che Egli morisse: sarebbe bastato un solo sospiro di bocca, una lacrima, una goccia di sangue era quello che bastava alla nostra salvezza, non c’era bisogno della suprema prova dell’amore: la morte. Dopo una notte d’agonia e d’ingiurie, dopo una crudele flagellazione, per tre ore resiste inchiodato sulla croce. S. Brigida ebbe una rivelazione impressionante. Gesù le confidò nell’estasi che non è morto per il dolore, ma per l’amore. In quegli estremi istanti, fu sorpreso da un impeto d’amore per gli uomini, così veemente che il suo cuore si spezzò, ed emise lo spirito. Eucaristia. Perché il suo Cuore di carne rimanesse veramente vicino a noi per sempre, Gesù ha istituito la santa Eucaristia. Così ad ogni momento può rivolgere dall’altare quel dolcissimo invito: « Voi che soffrite e siete faticati, venite da me che vi ristorerò ». Né il timore della nostra indegnità ci tenga distanti dal suo Cuore Eucaristico, dal quale ancora sgorga la consolante parola: « Non son venuto per i giusti ma per i peccatori; sono gli ammalati che hanno bisogno del medico ». Se un padre è angosciato, s’accosti a questo divin Cuore palpitante di compassione dietro i veli dell’ostia, e si udrà ripetere come al capo della sinagoga: « Non temere: soltanto credi nel mio amore ». Se una mamma piange per un suo grande dolore, il Cuor di Gesù non sa resistere e tremante di pietà le s’avvicina, come un giorno alla donna di Naim, e le mormora: « Non piangere così! ». Quando alla Somenica la folla riempie le chiese, e ciascuno gli confida i secreti crucci della settimana, ancora il brivido della compassione assale il suo Cuore. Ancora ha tenerissimi palpiti per i bambini. Io credo che se un bimbo innocente s’avvicina al suo altare, Egli, non visto, ancora se lo stringe in grembo, e, non udito, ancora esclama: « Se non vi farete piccoli così da lasciarvi abbracciare sul mio Cuore, non entrerete nel regno dei cieli ». Quante volte mirando la bianca fede dei nostri fanciulli, il cuore ridondante di gioia gli erompe in un caldo inno di lode « Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti ed agli intelligenti e le hai manifestate ai piccoli ». — Pensino bene i genitori quanto amaro dispiacere fanno al Sacro Cuore, qualora trascurassero di avvicinare a Lui i propri figliuoli! Né le sue delicate preferenze per i malati, il Cuore di Gesù le ha smesse nell’Eucaristia. È quel medesimo Cuore che non era capace di mettersi a mangiare, se prima non avesse guarito l’ammalato ch’era entrato nella stanza. Ancora, Egli le più tenere e più squisite parole le rivolge ai sofferenti: « Figlio mio! Figlia mia!» Si pensi alla crudeltà di coloro che ritardano agli infermi il conforto del Cuore divino! Si pensi all’enorme sacrilegio di chi lasciasse morire un Cristiano senza la Comunione! – Quanto infinitamente lontano è il nostro misero cuore da quello di Gesù! Quanto poco amore del nostro prossimo, quanto poco amore di Dio,  lo fa palpitare! E invece quanto troppo amore di noi stessi… Ss. Ignazio ottenne grazia di cambiare il suo cuore d’uomo terreno ed ottenerne uno nuovo, celeste, ardentissimo, in tutto simile a quello di Gesù! È ben questo che al Cuore di Gesù dobbiamo chiedere nella sua festa. Che ci cambi il vecchio cuore egoistico, sensuale, pietroso, e ci dia un cuore nuovo, che ami Iddio Padre come Egli l’ama, che ami il prossimo come Egli l’ama. Per ciò lo supplichiamo come già lo supplicarono, pieni di fede, i nostri antichi padri: « Dischiuditi, piaga purpurea, lasciami dentro passare! Dischiuditi, rosa del Cuore, che esali profumo incantevole! Che il mio cuore s’accordi al tuo Cuore ».

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXVIII: 21

Impropérium exspectávi Cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni.

[Obbrobrii e miserie si aspettava il mio Cuore; ed attesi chi si rattristasse con me: e non vi fu; cercai che mi consolasse e non lo trovai.]

Secreta

Réspice, quǽsumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum et nostrórum expiátio delictórum.

[Guarda, Te ne preghiamo, o Signore, all’ineffabile carità del Cuore del Tuo Figlio diletto: affinché l’offerta che Ti facciamo sia gradita a Te e giovi ad espiazione dei nostri peccati].

Præfatio
de sacratissimo Cordis Jesu

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui Unigénitum tuum, in Cruce pendéntem, láncea mílitis transfígi voluísti: ut apértum Cor, divínæ largitátis sacrárium, torréntes nobis fúnderet miseratiónis et grátiæ: et, quod amóre nostri flagráre numquam déstitit, piis esset réquies et poeniténtibus pater et salútis refúgium. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes:

 [È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai voluto che il tuo Unigenito, pendente dalla croce, fosse trafitto dalla lancia del soldato, così che quel cuore aperto, sacrario della divina clemenza, effondesse su di noi torrenti di misericordia e di grazia; e che esso, che mai ha cessato di ardere d’amore per noi, fosse pace per le anime pie e aperto rifugio di salvezza per le ànime penitenti. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:

Sanctus….

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Joannes XIX: 34

Unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua.

[Uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.]

Postcommunio

Orémus.
Prǽbeant nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem: quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta;
discámus terréna despícere, et amáre cœléstia:

[O Signore Gesù, questi santi misteri ci conferiscano il divino fervore, mediante il quale, gustate le soavità del tuo dolcissimo Cuore, impariamo a sprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti]

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare flagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitæ cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

[ATTO DI RIPARAZIONE AL SACRATISSIMO CUORE DI GESÙ

Gesù dolcissimo, il cui immenso amore per gli uomini viene con tanta ingratitudine ripagato di oblìo, di trascuratezza, di disprezzo, ecco che noi prostrati dinanzi ai tuoi altari intendiamo riparare con particolari attestazioni di onore una così indegna freddezza e le ingiurie con le quali da ogni parte viene ferito dagli uomini l’amantissimo tuo Cuore.

Ricordando però che noi pure altre volte ci macchiammo di tanta indegnità e provandone vivissimo dolore, imploriamo anzitutto per noi la tua misericordia, pronti a riparare con volontaria espiazione, non solo i peccati commessi da noi, ma anche quelli di coloro che errando lontano dalla via della salute, o ricusano di seguire Te come pastore e guida ostinandosi nella loro infedeltà, o calpestando le promesse del Battesimo hanno scosso il soavissimo giogo della tua legge.

E mentre intendiamo espiare tutto il cumulo di sì deplorevoli delitti, ci proponiamo di ripararli ciascuno in particolare: l’immodestia e le brutture della vita e dell’abbigliamento, le tante insidie tese dalla corruttela alle anime innocenti, la profanazione dei giorni festivi, le ingiurie esecrande scagliate contro Te e i tuoi Santi, gli insulti lanciati contro il tuo Vicario e l’ordine sacerdotale, le negligenze e gli orribili sacrilegi ond’è profanato lo stesso Sacramento dell’amore divino, e infine le colpe pubbliche delle nazioni che osteggiano i diritti e il Magistero della Chiesa da Te fondata.

Oh! potessimo noi lavare col nostro sangue questi affronti! Intanto, come riparazione dell’onore divino conculcato, noi Ti presentiamo — accompagnandola con le espiazioni della Vergine Tua Madre, di tutti i Santi e delle anime pie — quella soddisfazione che Tu stesso un giorno offristi sulla croce al Padre e che ogni giorno rinnovi sugli altari: promettendo con tutto il cuore di voler riparare, per quanto sarà in noi e con l’aiuto della tua grazia, i peccati commessi da noi e dagli altri e l’indifferenza verso sì grande amore con la fermezza della fede, l’innocenza della vita, l’osservanza perfetta della legge evangelica specialmente della carità, e d’impedire inoltre con tutte le nostre forze le ingiurie contro di Te, e di attrarre quanti più potremo al tuo sèguito. Accogli, Te ne preghiamo, o benignissimo Gesù, per intercessione della Beata Vergine Maria Riparatrice, questo volontario ossequio di riparazione, e conservaci fedelissimi nella tua ubbidienza e nel tuo servizio fino alla morte col gran dono della perseveranza, mercé il quale possiamo tutti un giorno pervenire a quella patria, dove Tu col Padre e con lo Spirito Santo vivi e regni, Dio, per tutti i secoli dei secoli. Così sia.] .

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; 7 anni nel giorno della festa – Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, 7 anni, e se confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

LITANIA SACRATISSIMI CORDIS IESU

Tit. XI, cap. II

Indulg. septem annorum; plenaria suetis condicionibus, dummodo cotidie per integrum mensem litania, cum versiculo et oratione pia mente repetita fuerint.

Pius Pp. XI, 10 martii 1933

KYRIE, eléison.

Christe, eléison.

Kyrie, eléison.

Christe, audi nos.

Christe, exàudi nos.

Pater de cælis, Deus, miserére nobis.

Fili, Redémptor mundi, Deus, miserére.

Spiritus Sancte, Deus, miserére.

Sancta Trinitas, unus Deus, miserére nobis.

Cor Iesu, Filii Patris ætèrni, miserére.

Cor Iesu, in sinu Virginis Matris a Spiritu Sancto formàtum, miserére.

Cor Iesu, Verbo Dei substantiàliter unitum, miserére.

Cor Iesu, maiestàtis infinitæ, miserére nobis.

Cor Iesu, templum Dei sanctum, miserére.

Cor Iesu, tabernàculum Altissimi, miserére.

Cor Iesu, domus Dei et porta cæli, miserére.

Cor Iesu, fornax ardens caritàtis, miserére.

Cor Iesu, iustitiæ et amóris receptàculum, miserére.

Cor Iesu, bonitàte et amóre plenum, miserére.

Cor Iesu, virtùtum omnium abyssus, miserére.

Cor Iesu, omni laude dignissimum, miserére.

Cor Iesu, rex et centrum omnium córdium, miserére.

Cor Iesu, in quo sunt omnes thesàuri sapiéntiæ et sciéntias, miserére.

Cor Iesu, in quo habitat omnis plenitùdo divinitàtis, omiserére.

Cor Iesu, in quo Pater sibi bene complàcuit,miserére.

Cor Iesu, de cuius plenitudine omnes nos accépimus, miserére.

Cor Iesu, desidérium cóllium æternórum, miserére.

Cor Iesu, pàtiens et multæ misericórdiaæ, miserére.

Cor Iesu, dives in omnes qui invocant te, miserére.

Cor Iesu, fons vitae et sanctitàtis, miserére nobis.

Cor Iesu, propitiàtio prò peccàtis nostris, miserére.

Cor Iesu, saturàtum oppróbriis, miserére.

Cor Iesu, attritum propter scelera nostra, miserére.

Cor Iesu, usque ad mortem obédiens factum, miserére.

Cor Iesu, làncea perforàtum, miserére.

Cor Iesu, fons totius consolatiónis, miserére.

Cor Iesu, vita et resurréctio nostra, miserére.

Cor Iesu, pax et reconciliàtio nostra, miserére.

Cor Iesu, victima peccatórum, miserére.

Cor Iesu, salus in te speràntium, miserére.

Cor Iesu, spes in te moriéntium, miserére.

Cor Iesu, deliciæ Sanctórum omnium, miserére.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi,parce nobis, Dòmine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exàudi nos, Dòmine,

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserére nobis.

V. Iesu, mitis et hùmilis Corde.

R. Fac cor nostrum secùndum Cor tuum.

Orèmus.

Ominipotens sempitèrne Deus, réspice in Cor dilectissimi Filii tui, et in laudes et satisfactiónes, quas in nòmine peccatórum tibi persólvit, iisque misericórdiam tuam peténtibus tu véniam concede placàtus, in nòmine eiùsdem Filii tui Iesu Christi:

Qui tecum vivit et regnat in sæcula sæculórum.

R. Amen.

[Litanie del S. Cuore di Gesù

(Signore, abbi pietà di noi

Cristo, abbi pietà di noi.

Signore, abbi pietà di no:

Cristo, ascoltaci

Cristo, esaudiscici.

Dio, Padre celeste, abbi pietà di noi (ogni volta)

Dio, Figlio Redentore del mondo, abbi …

Dio, Spirito Santo, ….

Santa Trinità, unico Dio …

Cuore di Gesù, Figlio dell’Eterno Padre, abbi pietà di noi (ogni volta)

Cuore di Gesù, formato dallo Spirito Santo nel seno della Vergine Madre …

Cuore di Gesù, sostanzialmente unito al Verbo di Dio …

Cuore di Gesù, di maestà infinita …

Cuore di Gesù, tempio santo di Dio …

Cuore di Gesù, tabernacolo dell’Altissimo, …

Cuore di Gesù, casa di Dio e porta del Cielo, …

Cuore di Gesù, fornace ardente di carità, …

Cuore di Gesù, ricettacolo di giustizia e di amore, …

Cuore di Gesù, pieno di bontà e di amore, …

Cuore di Gesù, abisso di ogni virtù, …

Cuore di Gesù, degnissimo di ogni lode, …

Cuore di Gesù, Re e centro di tutti i cuori, …

Cuore di Gesù, in cui sono tutti i tesori di sapienza e di scienza, …

Cuore di Gesù, in cui abita la pienezza della divinità, …

Cuore di Gesù, in cui il Padre ha posto le sue compiacenze, …

Cuore di Gesù, dalla cui abbondanza noi tutti ricevemmo, …

Cuore di Gesù, desiderio dei colli eterni, …

Cuore di Gesù, paziente e misericordiosissimo, …

Cuore di Gesù, ricco con tutti coloro che ti invocano, …

Cuore di Gesù, fonte di vita e di santità, …

Cuore di Gesù, propiziazione pei peccati nostri. …

Cuore di Gesù, satollato di obbrobrii, …

Cuore di Gesù, spezzato per le nostre scelleratezze, …

Cuore di Gesù, fatto obbediente sino alla morte, …

Cuore di Gesù, trapassato dalla lancia, …

Cuore di Gesù, fonte d’ogni consolazione,

Cuore di Gesù, vita e risurrezione nostra, …

Cuore di Gesù, pace e riconciliazione nostra. …

Cuore di Gesù, vittima dei peccati, …

Cuore di Gesù, salute di chi in Te spera, …

Cuore di Gesù, speranza di chi in Te muore, …

Cuore di Gesù, delizia di tutti i Santi, …

Agnello di Dio che togli peccati del mondo, perdonaci o Signore.

Agnello di Dio che togli peccati del mondo, esaudiscici, o Signore

Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.

V. Gesù, mansueto e umile di cuore,

R. Rendi il nostro cuore simile al tuo.

Preghiamo

O Dio onnipotente ed eterno, guarda al Cuore del tuo dilettissimo Figlio, alle lodi ed alle soddisfazioni che Esso ti ha innalzato, e perdona clemente a tutti coloro che ti chiedono misericordia nel nome dello stesso tuo Figlio Gesù Cristo, che vive e regna con te, Dio, in unità con lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

R. Così sia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa).

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA.

NOVENA A SAN GIOVANNI BATTISTA (Inizio 15 Giugno)

NOVENA A SAN GIOVANNI BATTISTA

NOVENA A S. GIOVANNI BATTISTA (inizia il 15 giugno, festa 24 giugno)

nato 6 mesi prima di G. C. mart. nel 30 da Erode Agrippa .

I. O glorioso S. Giovanni, che col vivere sempre  la vita più illibata, corrispondeste così bene al vostro nome che significa Grazia, ottenete a noi pure di vivere sì santamente da corrispondere con esattezza al nome glorioso che portiamo di Cristiani. Gloria.

II. Glorioso S. Giovanni, che ancor bambino vi ritiraste nel deserto a condurre la vita la più austera e la più santa, otteneteci, vi preghiamo, la grazia  di viver sempre, se non col corpo, almeno col cuore, staccati da questo mondo, e in continuo esercizio di mortificazione e di penitenza. Gloria.

III. O glorioso S. Giovanni, che al primo udire la voce del Cielo abbandonaste la solitudine, e vi recaste sulla sponda del Giordano a battezzare e a  predicare, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di esser sempre docili alla voce di Dio, e pronti a far a tutto quello che a Lui piacerà di comandarci. Gloria.

IV. O glorioso S. Giovanni, che foste il primo  a riconoscere e proclamar Gesù Cristo pel vero Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo,  otteneteci, vi preghiamo, che il principal nostro studio sia quello di glorificar Gesù Cristo nostro Redentore, e di seguire fedelmente tutto ciò che Egli si è degnato d’insegnarci. Gloria.

V. O glorioso S. Giovanni, che vi umiliaste cotanto dinanzi al Verbo Incarnato, da protestarvi indegno di sciogliere i lacci delle sue scarpe, otteneteci, vi  preghiamo, la grazia di conoscere sempre il nostro niente, affinché, lungi dal desiderare l’esaltamento in faccia agli uomini, ci gloriamo piuttosto di essere innanzi a loro umiliati e sprezzati. Gloria.

VI. O glorioso S. Giovanni, che con instancabile zelo insegnaste la via della salute a tutti quelli che ricorrevano a voi, otteneteci, vi preghiamo, la grazia di erudire continuamente i nostri prossimi nella dottrina della verità, precedendoli coll’esempio nella pratica costante delle cristiane virtù. Gloria.

VII. O glorioso S. Giovanni, che con un coraggio non più veduto rimproveraste dei loro delitti, non solo gli scribi o farisei, ma ancora gli stessi monarchi i più temuti del mondo, otteneteci, vi preghiamo, di non ommettere mai per umani riguardi l’adempimento dei nostri doveri, e di non temere nel mondo altro male fuorché il peccato, che ci  disgiunge da Dio, unico vero Bene. Gloria.

VIII. O glorioso S. Giovanni che, rinchiuso nella prigione, non lasciaste di predicar Gesù Cristo e di convertir anime a lui, impetrateci, vi preghiamo, di non desistere mai dall’esatto adempimento delle nostre obbligazioni, per qualunque avversità o persecuzione ci possa avvenire sopra la terra. Gloria.

IX. O glorioso S. Giovanni, che aveste la gloria  d’essere il primo martire della nuova Alleanza sottoponendo colla maggior allegrezza il vostro capo  al taglio micidiale, otteneteci, vi preghiamo, d’essere sempre come voi disposti a sacrificare anche la vita per la difesa della verità e per la gloria di Gesù  Cristo, affinché, sprezzando questa vita fragile ed  infelice, ci assicuriamo dopo la morte la vita eterna e beata in compagnia di voi, o Precursore beatissimo del Messia, non che di tutti gli Angeli e di tutti i Santi nella gloria del Paradiso. Gloria.

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (69): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (1)

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (69)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ACRISTIANA (1)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT:
Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR:
Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS,
Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

Il Cardinale Oreglia di S. Stefano si compiace nel ringraziare mons. Delassus per il suo ultimo scritto della lettera del 19 c. m. (…) Profitto di questa occasione per esprimergli direttamente la mia riconoscenza per le opere che ho il piacere di aver ricevuto direttamente da lui in precedenza. La prego di gradire le felicitazioni più vive e sincere, per il coraggio, la forza e la scienza con le quali egli combatte gli errori moderni ed i loro sostenitori. …

————

Avendomi diversi confratelli espresso il desiderio di vedere riuniti in un’unica pubblicazione gli articoli pubblicati  nella rivista “La Settimana religiosa” sotto il titolo “l’Enciclica Pascendi Dominici gregis e la Democrazia cristiana”, ho creduto essere mio dovere esaudire le loro richieste.

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS E LA DEMOCRAZIA

Fin dall’inizio del nostro Pontificato, abbiamo ritenuto nostro dovere avvertire pubblicamente i Cattolici dei profondi errori nascosti nelle dottrine del socialismo.

L’espressione Democrazia Cristiana colpisce molte persone oneste che vi trovano un significato equivoco e pericoloso.

Ciò che Dio ama è il buono spirito di coloro che, sacrificando le proprie idee personali, ascoltino gli ordini del Capo della Chiesa come ordini di Dio stesso.

LEONE XIII, Enciclica Graves et communi.

Il nostro cuore si stringe nel vedere tanti giovani, che erano la speranza della Chiesa e ai quali si promettevano così buoni servizi, completamente fuorviati.

Pio X, Enciclica Pascendi dominici gregis.

Un fatto indiscutibile domina la situazione attuale: la concentrazione anticattolica ed anticristiana che viene tentata in tutti i Paesi “civilizzati”. Noi abbiamo segnalato questo fatto, ne abbiamo dato le prove della sua esistenza del suo ubiquitarismo e della sua potenza dapprima bel libro  “L’Americanismo e la congiura anticristiana”; poi in modo più completo in quest’altro libro “Il problema dell’ora presente”. L’anima di questa cospirazione è la Massoneria e, al di sopra della Massoneria e chi la governa, il potere talmudico che da diciannove secoli lavora per preparare la strada al messia temporale che essa attende: l’Anticristo. Questo potere ha attaccato prima il potere civile; è riuscito a porre la sovranità nel popolo, cioè ad annientare l’autorità. Ora sta attaccando la famiglia, che sta dissolvendo rendendo ogni giorno più facile il divorzio. Già la proprietà è sotto attacco, non solo quella religiosa, ma anche quella civile. Essendo così spezzati tutti i legami che tenevano in ordine gli uomini, la rivoluzione riuscirà a fare della razza umana una polvere di individui docili a tutti i soffi con cui le piacerà agitarla. Di fronte a ciò, la sola Chiesa cattolica rimane in piedi, ancora viva, immortale. Da un secolo la Chiesa non ha mai smesso di esortare i suoi figli, i Cattolici di ogni paese, di ogni razza, di ogni lingua, a unirsi più strettamente, con un cuore più generoso, intorno a Cristo Salvatore. – Finora la Sua voce non è stata ascoltata come si dovrebbe. Ma l’assalto sta diventando così generale e così urgente che deve essere ascoltato se non si vuole che la società crolli. Questa concentrazione deve avvenire da un capo all’altro del mondo, poiché l’empia cospirazione ha come tema l’universo [l’attuale mondialismo – ndr. -]. Ma, per essere universale, deve prima essere organizzata in ogni nazione. Spetta alla Francia dare l’esempio, dare il via al movimento, perché è in Francia che il movimento massonico ha compiuto il suo sforzo più potente. Nulla è più urgente, fra tutte le questioni politiche, sociali, morali, religiose, che agitano il nostro Paese oggi, che quella dell’organizzazione del partito di Dio come la più urgente; da essa dipende la soluzione di tutte le altre. – Anche il Santissimo Padre, il Papa, ci esorta in ogni occasione.: “È con tutta l’anima che dovete difendere la vostra fede. Ma non fatevi ingannare: il lavoro e lo sforzo sarebbero inutili se cercaste di respingere gli assalti che vi verranno portati, senza essere fortemente uniti. Abdicate, quindi, a tutti i semi della discordia, della disarmonia, se ce n’è qualcuno tra voi. E fate ciò che sia necessario affinché, nel pensiero come nell’azione, la vostra unione sia salda come dovrebbe essere tra uomini che lottano per la stessa causa, soprattutto quando questa causa è una causa per il cui trionfo ognuno deve sacrificare volentieri qualcosa delle proprie opinioni.” – Molto prima che queste parole fossero pronunciate, esse erano il cuore di tutti i veri francesi, di tutti i veri Cattolici. Tutti sentivano la necessità di unirsi, tutti vedevano che solo da questa unione potesse venire la salvezza. L’unica cosa che si poteva fare era cercare di di mettere insieme tutte le buone volontà come si è fatto per vent’anni! Niente è riuscito. Saremo più felici ora? Il pericolo, il pericolo supremo, si è manifestato; tutti possono vedere che la cospirazione anticristiana minaccia di travolgere tutti, e non tra un secolo, ma domani. Tutti quindi, proprio in virtù di questa veduta, devono essere pronti ad impegnare le mani, come meglio possibile, per una concentrazione cattolica. Questa concentrazione, per essere efficace, per presentare oggi al nemico un bastione inespugnabile, e domani per permetterci di riprendergli tutto il terreno che ha conquistato, richiede due condizioni, una interna, l’altra esterna: la conformità del pensiero e dell’organizzazione. Per il momento parleremo solo della prima. – Il principio della nostra debolezza di fronte al nemico, la causa di tutti i nostri fallimenti, non è tanto la potenza e la malizia dell’avversario, quanto le nostre divisioni interne. Esse sono tali che, se un colpo di Stato dovesse rovesciare il governo massonico, i Cattolici di Francia sarebbero divisi anche il giorno dopo così come lo sono oggi. È che il principio di queste divisioni non è, checché se ne dica, nella divergenza delle opinioni politiche. Ne è prova il fatto che nella maggior parte  dei francesi, i nostri dissensi tra i Cattolici sono di natura religiosa e per motivazioni religiose, molto più che circa l’ordine politico propriamente detto! Ecco cinque o sei Cattolici riuniti in un salotto. Appartengono tutti allo stesso partito, quello realista, per esempio. Stanno discutendo questioni religiose e sociali tra di loro all’ordine del giorno. Se si scambiano le loro maniere di vedere, non tarderanno a dividersi su quasi tutte le questioni. Questi uomini, che appartengono ad un unico partito politico, non hanno una medesima concezione  della Chiesa Cattolica e dei suoi diritti, della libertà e dell’autorità dei rapporti tra capitale e lavoro, ecc. Pertanto, non considerano allo stesso modo la visione religiosa e sociale. Alcuni di loro saranno considerati come persone regressive, le cui esagerazioni compromettono lo sviluppo della Chiesa e del Paese al momento attuale. E chi giudica così il suo vicino si allontana da quel vicino come un uomo che abbandona inconsapevolmente la difesa delle verità necessarie e la cui intera azione è quindi disastrosa ed insufficiente, per non dire altro. Ne consegue una profonda disunione dei cuori, una sfiducia reciproca ed infine il rifiuto di marciare insieme nella battaglia contro il nemico comune. Infatti, colui che è nemico per l’uno, non lo è per l’altro. Ciò che è sbagliato per alcuni è una verità per gli altri. Il modo di combattere che è considerato necessario da un gruppo di Cattolici è considerato assolutamente inappropriato da un altro gruppo. In queste condizioni, nulla è più certo di ciò che Pio X ci ha avvertito nell’Enciclica Vehementer Nos: tutti i nostri sforzi contro il nemico comune resteranno inefficaci finché non avremo stabilito la conformità di pensiero tra di noi. – Già nei tempi lontani dell’Impero, Louis Veuillot diceva: “Ciò che può risanarci è una dottrina. La Francia è un malato che deve essere riportato alla sua aria nativa. L’aria nativa di Francia è il Cattolicesimo. L’abilità felice o infelice dei politici può darle dei governi; il Cattolicesimo solo le darà un temperamento. Non però un Cattolicesimo contraffatto, come quello dei catechisti liberali, dei democratici e dei modernisti, ma il Cattolicesimo come si è irradiato per diciannove secoli dalla Cattedra di S. Pietro, così come è stato mantenuto tra di noi dalle Encicliche Mirari vos di Gregorio XVI, Quanta cura di Pio IX, de quella sull’Americanismo e quella sulla Democrazia cristiana di Leone XIII, e infine l’Enciclica Pascendi di Pio X. M. Le Play, M. de Saint-Bonnet e altri hanno parlato allo stesso modo ma non sono stati ascoltati. Pio X sarà più felice? Avremo finalmente la saggezza tutti di marciare sotto lo stendardo del modernismo sventolato nell’Enciclica Pascendi? Questa è la questione del giorno e da cui dipende la salvezza della società contemporanea. – In un articolo intitolato: L’esercizio dell’autorità, uno dei principali organi della Democrazia cristiana, il Bulletin de la Semaine, ha rilevato esso stesso la divergenza di opinioni che abbiamo appena sottolineato esistente tra i Cattolici tra di loro.  Su tutti i terreni, filosofico, dottrinale, politico e sociale – ha detto – si manifestano due tendenze. Una di queste tendenze ha ricevuto il nome di modernismo, ora condannato dall’Enciclica Pascendi dominici gregis; l’altra è chiamata conservatrice o reazionaria dai modernisti, ma nessun nome particolare gli si addice, dal momento che si limita alla dottrina cattolica su tutti i punti in cui essa è attaccata dal modernismo. Da questa divergenza di opinioni, il “Bulletin de  la Semaine” traeva la conclusione che un partito cattolico non era fattibile in Francia.  Ma lasciamo la parola partito, discussa e discutibile, e rimpiazziamola  con « unione degli spiriti nella verità ». È davvero impossibile tornarvi? Noi non crediamo. Non si tratta più, oggi, di abbandonare la propria maniera di vedere per prendere quella di persone che si consideravano avversari, ma di accogliere la parola del Papa come se fosse l’oracolo di Dio. – Si è appena essa fatta sentire con una forza ed una chiarezza che non sono da sottovalutare. Lasciamo che  lo spirito di fede si faccia luce nei nostri cuori; il cuore  persuaso aprirà le porte dell’intelligenza, e l’intelligenza convinta sarà in grado di dare alla volontà l’energia necessaria per per rompere le catene che ci siamo lasciati imporre. È tempo, è più che tempo, di lasciare la politica della conciliazione nell’ordine delle idee, così come quella del male minore nell’ordine dell’azione. Entrambe ci hanno portato, e devono necessariamente portarci, all’errore, ad un male sempre più grande. Sappiamo infine collocarci sul terreno dei principi e di mostrarci di essere intransigenti. In una lettera ai Cattolici tedeschi nel 1876, quando si stavano preparando a tenere il loro grande Congresso di Monaco, per far fronte al Kulturkampf, Pio IX indicò loro la condizione indispensabile per il successo: “Che tutti coloro – disse, -che si fregiano del titolo di Cattolici, ci diano apertamente il sostegno delle loro convinzioni e si dimostrino fortemente attaccati ai principii, alla dottrina e ai sentimenti di questa sede di San Pietro. Questa esortazione ci è stata rivolta da Pio X più di dieci volte. Nella sua ultima Enciclica, egli ci ha segnalato i punti da cui partono le divisioni. Di conseguenza, tutti noi dobbiamo darci un incontro là. – Tra questi punti, ce n’è solo uno di cui vogliamo occuparci qui. L’agnosticismo, l’immanenza, il simbolismo, il criticismo, l’evoluzione dogmatica, tutti questi punti non hanno, a loro modo, nella loro forma, che solo un piccolo numero di menti. A questi non abbiamo nulla da dire; l’Enciclica li affronta in modo sufficientemente chiara da sola. Ma c’è una questione che può essere considerata come secondaria, relativamente a quelle. È questa tuttavia questa che spinge nel modernismo un gran numero di persone, spesso senza che se ne rendano conto. Stiamo parlando della democrazia ed anche della democrazia che si definisce cristiana. – Nessuno può negare che l’idea democratica, nelle sue varie ramificazioni sia stata una delle grandi cause della divisione delle menti e degli spiriti e dei problemi di cui soffriamo. Gli storici della democrazia cristiana – non stiamo parlando degli uomini in azione – sostengono che l’Enciclica non li riguardi in alcun modo; avevano detto la stessa cosa pure dopo le Encicliche di Leone XIII sull’Americanismo e la democrazia cristiana. – Dopo la pubblicazione dell’Enciclica di Pio X, M. l’abate Dabry si è affrettato a dire: « È stato un abuso di linguaggio chiamare le persone “democratiche cristiane”, dei modernisti e quindi di gettare un malsano sospetto sulla loro ortodossia. Speriamo che l’Enciclica ci liberi da questo equivoco. Non abbiamo nulla da cambiare nel nostro modo di fare le cose, non abbiamo nulla da ritrattare, non abbiamo altre strade da percorrere. Quando ci siamo proclamati democratici “risolutamente”, sapevamo cosa stavamo dicendo e non credevamo di diminuire il potere delle nostre credenze religiose. Abbiamo avuto mille occasioni per dimostrare che il nostro punto di vista fosse il punto di vista tradizionale e che la condotta della Chiesa Cattolica, nel corso della storia, abbia indicato la nostra strada. Non vogliamo più essere etichettati con l’epiteto di modernisti, non lo siamo mai stati e neppure sappiamo esattamente da ieri ciò a cui corrisponda. » È necessario aver seguito M. l’Abate Dabry dopo quindici anni per anni per dare il giusto peso e per valutare l’audacia di queste affermazioni. M. l’Abate Naudet ha detto a sua volta: « Poiché ora sappiamo cosa sia il modernismo, siamo fieri di constatare e felici di dichiarare che ciò in cui crediamo, professiamo e insegniamo, non abbia alcun legame con quelle dottrine ». Già nel 1899, la rivista che porta il nome preciso di “Democrazia Cristiana”, diceva: « Si vuole mescolare la nostra rivista a tutti i problemi del nostro tempo, al fine di comprometterla un giorno o l’altro. Da diversi anni, menti nobili e a volte avventurose cercano di rinnovare la filosofia ed i metodi filosofici, teologici ed apologetici per meglio adattarli, secondo loro, alle esigenze delle scoperte e delle teorie moderne. Fanno parte troppo grande delle novità sospette e troppo piccola alle tradizioni immutabili? In buona fede, come ci si può aspettare che i democratici cristiani lo dicano? E non è forse ridicolo vederci responsabili delle audacie degli esegeti, delle audacie degli apologeti e dei teologi. Anche in questo caso, protestiamo contro queste procedure di tendenze che si cerca di drammatizzare. » Queste proteste non dovrebbero impedire alla direzione della Democrazia Cristiana di fare, a favore dei modernisti, quello che Sua Santità Pio X ha descritto come segue: « Appare un’opera che traspira novità da tutti i pori, e la accolgono con applausi e grida di ammirazione. » Quando la Quinzaine ha spinto l’audacia oltre ogni limite, si sono levate le più giustificate proteste contro di essa, la direzione della Democrazia Cristiana scriveva in questa rivista: « La Quinzaine rimane dunque uno dei nostri grandi giornali cattolici, degno della stima di tutti. I suoi articoli sono di vero valore; pensa e fa pensare, anche se a volte deve rettificare l’una o l’altra delle sue posizioni, rettifica più di un pregiudizio intorno a noi e presso di noi; essa lavora e fa lavorare lealmente per l’unione di scienza e fede. Noi siamo tra coloro che ritengono che i cattolici abbiano un debito di gratitudine nei confronti del suo direttore, Fonsegrive, e siamo felici di approfittare di questa opportunità di dirlo, a nome dei redattori della rivista “Democrazia Cristiana” ». – Quando “La Quinzaine” dovette scomparire,, la direzione di “Democrazia Cristiana” si è scusata con i suoi lettori per averli indirizzati così male nella falsa direzione? Tutt’altro, ne ha accentuato la sua ammirazione. « La scomparsa di questo grande organo – diceva – ci fornisce una nuova, ma dolorosa occasione per comunicare a M. Fonsegrive la nostra ammirazione per il lavoro prodigioso che ha realizzato a “La Quinzaine” per undici anni. Egli ha diritto, nel complesso, al riconoscimento dei Cattolici che egli ha così spesso illuminato, difeso e incoraggiato. » L’Abate Garnier non si è espresso diversamente nel suo giornale Il “Popolo Francese”: « La pubblicazione che è scomparsa, ha conquistato la stima e la simpatia di tutte le menti liberali per la sua alta levatura intellettuale e per l’indipendente dignità della sua attitudine… » Attitudine verso chi e che cosa? E l’Abate Naudet, in “Giustizia sociale”: « Noi rimaniamo e speriamo di durare ancora a lungo per far sentire le nostre parole libere e necessarie, per dimostrare a tutti, con la nostra stessa esistenza, che i Cattolici non sono schiavi, come alcuni immaginano e come certe apparenze, a detta di alcuni, vorrebbero far credere. » Medesimo padronato era stato concesso a “Demain” che doveva anch’esso scomparire: « “Demain” – diceva la “Democrazia Cristiana” – è una nuova rivista nettamente progressista in tutti i sensi e su tutte le basi, informa alla perfezione sul movimento delle idee e dell’azione che comporta in tutto il mondo e, a questo proposito, è MOLTO PREZIOSA. Nessuno ignora che le dottrine degli “Annali della Filosofia Cristiana” siano state prese di mira dall’Enciclica, non meno di quelle di La Quinzaine. Quando la direzione fu presa da M. l’Abate Laberthonnière, i cui diversi libri erano stati messi all’Indice, la “Démocrutie chrétienne” mancò di fargli questo reclamo: « Noi abbiamo scorso il suo articolo-programma nella sua interezza; ci è sembrato interessante e suggestivo. … Parliamo della rivista ai nostri amici e porgiamo al suo nuovo ed eminente direttore i nostri migliori auguri di successo.» – Non solo i capi del movimento democratico cristiano hanno caldamente raccomandato ai loro lettori i principali organi del modernismo, ma ne hanno composti essi stessi e dal più alto livello. – L’Abate Dabry, quando già il libro di M. Loisy, L’Evangile et l’Eglise, era stato condannato dai Cardinali Richard e Perraud, Arcivescovi di Parigi e Autun, e da NN. SS. gli Arcivescovi di Cambrai, Angers, Bayeux, Belley, di Nancy e di Perpignan, lo proclama nel suo giornale, la Vie catholique, « il più grande esegeta del Cattolicesimo ». M. l’Abate Nadet scriveva nella “Juistice sociale”: « Nè M. Loisy, né i suoi studi evangelici, il “Vangelo e la Chiesa”, assomigliano a nulla delle caricature che ne vengono fatte. In lui saluto uno studioso, ed un sacerdote. » Si potrebbero ricordare altre parole per mostrare quanto sia veritiera questa osservazione dell’Enciclica: « Compare un’opera che traspira novità da tutti i suoi pori, e la accolgono con applausi e grida di ammirazione. » E non si creda che questa ammirazione non sia contagiosa, anche nelle menti che potrebbero evitarla. Le prove di questo contagio abbondano, anche nei seminari; e per questo Pio X, sia nei suoi discorsi sia nelle sue Encicliche, non cessa di raccomandare e comandare di non ordinare coloro che questo contagio ha già raggiunto. – M. Naudet non si è accontentato di esprimere la sua ammirazione per il Sig. M. Loisy e le sue opere. In una serie di articoli pubblicati nel 1904 con il titolo: “La Bible, la, Science et la Foi”, una riproduzione delle sue conferenze al “Collège libre des Sciences sociales”, egli mise le dottrine del diritto alla portata di tutti le dottrine Loisyennesi e ne diede, come conclusioni acquisite, le supposizioni della critica più avanzata. Si spinse a tal punto che molti dei suoi lettori, pur conoscendo bene le sue audacie, si allarmarono. Su quanti altri punti il modernismo è stato abbracciato, acclamato dai leaders della democrazia cristiana! Le prove si possono trarre a piene mani dai loro giornali e dalle loro riviste. Nel suo numero del 3 agosto 1907, La “Vie catholique” diceva in modo generale: “Non si ripeterà mai abbastanza che i Cattolici abbiano un grande lavoro educativo da fare a se stessi ed agli altri, tutto un lavoro di adattamento della loro mentalità ai desideri moderni e di coordinare i loro principii con questi desideri. Ciò qui non impediva di dire nel suo numero del 21 settembre, dopo la pubblicazione dell’Enciclica: « La Vita cattolica si è sempre dimostrata estranea alla polemiche relative alla filosofia, alla storia e alla esegesi. Al massimo abbiamo dato, di tanto in tanto, qualche insegnamento a titolo informativo. Vogliamo sperare che l’apparente severità del Santo Padre non scoraggi nessuno dal lavorare. » – Si può dire che, su tutti i punti evidenziati da S. S. Pio X, abbiamo visto i democristiani rivendicare la stessa riforma dei modernisti: riformare la filosofia, soprattutto nei Seminari: si relega la filosofia scolastica, nella storia della filosofia, tra i sistemi di studio, che si insegni ai giovani la filosofia moderna, l’unica adatta ai nostri tempi. – Riforma della teologia: che la cosiddetta teologia razionale, dovrebbe avere come base la filosofia moderna; la teoria positiva la storia del dogma come suo fondamento. – Per quanto riguarda la storia, che non sia più scritta o insegnata se non con i loro metodi e principii moderni. –

– Che i dogmi e la nozione della loro evoluzione siano armonizzati con la scienza e la storia.

– Che, nei Catechismi, siano inseriti solo quei dogmi che siano stati riformati ed alla portata del volgo. – In ciò che riguarda il culto, che siano diminuite il numero delle devozioni esterne o almeno di fermarne l’aumento. È vero che alcuni, attraverso un bellissimo simbolismo, si dimostrano abbastanza aperti su questa questione di grande importanza. – Che il governo ecclesiastico sia riformato in tutti i suoi rami, specialmente in quello disciplinare e dogmatico. Che il suo spirito, che le sue procedure siano in armonia con la coscienza,  che si rivolgano alla democrazia, e che una parte venga fatta, quindi, nel governo, sia affidato a chierici inferiori ed anche ai laici., che l’autorità sia decentrata. – Riforme delle Congregazioni Generali, in particolare quelle del Sant’Uffizio e dell’Indice. – Che il potere ecclesiastico modifichi la sua condotta in campo sociale e politico, e che assuma un ruolo più attivo nelle organizzazioni politiche e sociali, si adegui comunque ad esse, per penetrarne lo spirito. – In morale, fanno proprio il principio dell’americanismo per cui le virtù attive devono essere anteposte a quelle passive nella stima che se ne fa, come nella pratica. – Al clero viene chiesto di ritornare all’antica umiltà e povertà e, per quanto riguarda i suoi ideali e la sua azione, di regolarli  sui loro principi. – Ci sono alcuni che, facendo eco ai loro maestrii protestanti, desiderano la soppressione del celibato ecclesiastico. – Resta dunque da capire su che cosa, ed in applicazione dei loro loro principi, non chiedono riforrne! Non c’è una di queste riforme che non sia stata proposta negli organi della “Democrazia cristiana“. Quanti articoli sono stati pubblicati per chiedere la riforma dell’insegnamento nei seminari? la riorganizzazione dei catechismi e lo “snellimento” delle devozioni, la democratizzazione del governo ecclesiastico, la riforma delle Congregazioni romane, specialmente quelle del Sant’Uffizio e dell’Indice che temono particolarmente, la sottomissione della Chiesa alle leggi arbitrarie ed ingiuste dello stato, l’americanizzazione del clero, ecc. ecc. La conformità di pensiero, di linguaggio e di volontà su tutti questi punti, tra democratici e modernisti, è così ben documentata, che recentemente M. Bazire, in un articolo divulgativo su l’Univers delle sue precedenti relazioni, ha scritto su questo giornale: « È stata la disgrazia dei Cattolici con buone intenzioni di lasciarsene imporre da una scuola di intellettuali siffatti, e di associare le loro rivendicazioni alle più rischiose affermazioni dottrinali. Cosa aveva in comune la teoria dell’immmenza e la riforma del contratto di lavoro, il giusto salario e l’autenticità di un tale libro mosaico » – E ancora: « Le grandi parole della scienza, della democrazia, del progresso, di cui i principali giirnali fanno uno strano abuso senza comprenderne il senso, il significato né la portata di queste parole di cui i Cattolici confusionari si servono di accompagnamento alla conciliazione della Chiesa con il secolo ed in questo vasto insieme, la riforma sociale cristiana appariva solo come una parte di questo movimento di idee che abbiamo chiamato riformismo cattolico. » Per condividere queste idee e questi valori che, ovviamente, dovevano ripugnare al clero avente lo spirito del proprio stato, i dirigenti del partito si sono imperturbabilmente posti come portavoce della Santa Sede. – Nel 1894, la “Democrazia cristiana” pubblicò, in un primo tempo e poi in forma di pamphlet, una serie di articoli che rispondevano alla domanda: “Da che parte stanno gli incoraggiamenti del Papa?” È il titolo del lavoro svolto per riconciliare la fiducia del clero con lo stato maggiore della Democrazia cristiana. « Non abbiamo avuto che un solo obiettivo – ha detto in conclusione – dimostrare che il Papa ha simpatie e preferenze per i capi, per le dottrine e per le opere di quella scuola che oggi possiamo chiamare la SCUOLA PONTIFICIA ». Chi non sarebbe stato persuaso da una tale assicurazione, tra coloro che non potevano esaminare la cosa da se stessi?

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (70): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (2)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (28): “da ALESSANDRO VII ad INNOCENZO XI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (28)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da ALESSANDRO VII ad INNOCENZO XI)

ALESSANDRO VII: 7 aprile 1655-22 maggio 1667

Costituzione “Ad sanctam beati Petri sedem“, 16 ottobre 1656.

Il giudizio della Chiesa sul significato delle parole di Cornelius Jansen.

2010. Par. 5… Poiché… con grande scandalo dei fedeli di Cristo, alcuni figli dell’iniquità non temono di affermare che le cinque proposizioni suddette o non si trovino nel suddetto libro del medesimo Cornelius Jansen, ma siano state riunite in modo fittizio e arbitrario, o siano state condannate non secondo il significato inteso da quest’ultimo…

2011. Par. 6. Noi, che abbiamo avuto sufficiente e accurata conoscenza di tutto ciò che sia avvenuto in questa materia, poiché siamo stati presenti (come Cardinale e come Commissario)… a tutte le assemblee in cui questa materia è stata discussa in virtù dell’Autorità Apostolica, e con una diligenza che non si potrebbe desiderare di più, volendo eliminare ogni dubbio in futuro su quanto sopra: Confermiamo, approviamo e rinnoviamo nel loro ordine la costituzione, la dichiarazione e la definizione del nostro predecessore Innocenzo inserite sopra,

2012. … e dichiariamo e definiamo che queste cinque proposizioni siano state tratte dal libro del suddetto Cornelius Jansen, Vescovo di Ypres, che porta il titolo di Augustinus, e che siano state condannate secondo il senso inteso dallo stesso Cornelius Jansen, e le condanniamo di nuovo come tali, cioè imprimendo su ognuna di esse lo stesso marchio che è stato impresso su ognuna di esse nella dichiarazione e nella definizione di cui sopra.

Risposta del Sant’Uffizio, 11 febbraio 1661

Nessuna leggerezza nelle questioni sessuali

2013. Domanda: Un confessore che sollecita (un peccato contro la castità) deve questo essere confessato, data la leggerezza della questione?

Risposta: Dato che nelle questioni sessuali non c’è materia leggera, e che se essa esistesse non esisterebbe in questo caso, si è ritenuto che esso debba essere confessato, e che l’opinione contraria non sia probabile.

L’Immacolata Concezione di Maria

2015. Par. 1. – Antica è la pietà dei fedeli di Cristo verso la beata Vergine Maria sua Madre, i quali credono che la sua anima, nel primo istante della sua creazione e infusione nel corpo, sia stata, per una speciale grazia e favore di Dio, in considerazione dei meriti di Gesù Cristo suo Figlio, il Redentore del genere umano, pienamente preservata intatta dalla macchia del peccato originale, e che, in questo spirito, onorano e celebrano solennemente la festa della sua Concezione; e il loro numero è aumentato dopo la pubblicazione. …delle costituzioni di Papa Sisto IV di benedetta memoria del 1400, 1425, rinnovate dal Concilio di Trento. (Cf. 1516). Questa pietà è cresciuta e si è diffusa di nuovo… così che anche la maggior parte delle Accademie più famose si sono avvicinate a questa credenza, e quasi tutti i Cattolici l’hanno già abbracciata.

2016. Par. 2 – E poiché, in occasione dell’affermazione contraria nella predicazione, nell’insegnamento, nelle conclusioni e negli atti pubblici – cioè che questa stessa beatissima Vergine Maria è stata concepita senza il peccato originale – sono sorti scandali, liti e dissensi tra il popolo cristiano, come grande offesa a Dio, Papa Paolo V di venerabile memoria, anche nostro predecessore, ha proibito che l’opinione di questi autori contrari alla suddetta credenza fosse insegnata o predicata pubblicamente. Papa Gregorio XV di pia memoria, anch’egli nostro predecessore, estese questa proibizione ai colloqui privati, ordinando inoltre a favore di questa credenza che nella celebrazione del santissimo Sacrificio della Messa e dell’Ufficio divino, sia in pubblico che in privato, non si usasse altro termine che “Concezione”.

2017. Par. 4 – Considerando che la Santa Chiesa Romana celebra solennemente la festa della Concezione di Maria, senza macchia e sempre Vergine, e che da tempo ha istituito uno speciale Ufficio proprio per questa festa,… desiderando incoraggiare questa pia e lodevole devozione, così come la festa e il culto, rinnoviamo (i decreti) pubblicati a favore della convinzione che l’anima della Beata Vergine Maria, al momento della sua creazione ed infusione nel corpo, fosse adornata con la grazia dello Spirito Santo e preservata dal peccato originale…

Costituzione “Regiminis apostolici“, 15 febbraio 1665 (1664 secondo il computo della Formula di sottomissione proposta ai Giansenisti.

2020. “Io, N., mi sottometto alla Costituzione Apostolica del Sommo Pontefice Innocenzo X del 31 marzo 1653 e alla Costituzione del Sommo Pontefice Alessandro VII del 16 ottobre 1656, e respingo e condanno con cuore sincero le cinque proposizioni tratte dal libro di Cornelius Jansen che porta il nome di Augustinus, e nel senso inteso dallo stesso autore, come la Sede Apostolica le ha condannate con le dette Costituzioni, e perciò giuro: Così mi aiuti Dio e questi santi Vangeli. “

45 proposizioni condannate nei decreti del Sant’Uffizio del 24/9/1665 e del 18/3/1666.

Errori di una dottrina morale lassista

a) Proposizioni 1-28 del decreto del 24 settembre 1665

2021. (1) In nessun momento della sua vita un uomo è obbligato a compiere un atto di fede, speranza e carità in virtù dei precetti divini relativi a queste virtù.

2022. (2) Un cavaliere sfidato a duello può accettarlo per non essere accusato di codardia dagli altri.

2023. (3) La proposizione che la Bolla Coenae proibisca l’assoluzione per l’eresia e altri crimini solo quando sono pubblici, e che ciò non deroghi alla Facoltà di Trento quando si parla di crimini occulti, è stata tollerata durante il concistoro della Sacra Congregazione degli Eminenti Cardinali tenutosi il 18 luglio 1629.

2024. (4) I prelati regolari possono, per motivi di coscienza, assolvere tutti i secolari dall’eresia occulta e dalla scomunica che ne deriva.

2025. (5) Anche se per voi è evidente che Pietro è eretico, non siete obbligati a denunciarlo se non potete provarlo.

2026. (6). – Un confessore che, durante la Confessione sacramentale, dia al penitente un biglietto da leggere in seguito in cui lo esorta alla lussuria, non si suppone che l’abbia sollecitata in Confessione, e di conseguenza non siete obbligati a confrssarlo.

2027. (7)- Un modo per evitare l’obbligo di denunciare una sollecitazione è che colui che è stato sollecitato si confessi con colui che lo abbia sollecitato; quest’ultimo può assolverlo senza obbligarlo a denunciare.

2028. (8) Il Sacerdote può legittimamente accettare compensi per la stessa Messa, applicando anche a colui che ne fa richiesta il frutto specialissimo che spetta al celebrante stesso, a norma del decreto di Urbano VIII.

2029. (9) Dopo il decreto di Urbano VIII, un sacerdote a cui siano state date Messe da celebrare può soddisfarle dando ad un altro Sacerdote un compenso minore, tenendo per sé il resto del compenso.

2030. (10). Non è contrario alla giustizia accettare compensi per più Messe e offrire un unico Sacrificio. Né è contrario alla probità, anche se ho promesso, anche con giuramento, alla persona che ha dato il compenso, che non lo offrirò per nessun altro.

2031. (11). – Se nella Confessione sono stati omessi o dimenticati dei peccati, nell’urgenza di una situazione di pericolo di vita o per qualsiasi altro motivo, non siamo tenuti a dichiararli nella Confessione successiva.

2032. (12). I religiosi mendicanti possono assolvere i casi riservati ai Vescovi senza averne ricevuto la facoltà dai Vescovi.

2033. (13). Chi confessa un religioso presentato al Vescovo, ma da lui ingiustamente respinto, ha adempiuto al precetto della confessione annuale.

2034. (14). – Chi fa una Confessione volontariamente nulla, soddisfa il precetto della Chiesa (cf. 2155).

2035. (15). – Il penitente può, di sua autorità, sostituire qualcun altro nella penitenza.

2036. (16). Chi ha un beneficio curiale può scegliere come confessore un semplice Sacerdote non approvato dall’Ordinario.

2037. (17) È lecito ad un religioso o ad un chierico uccidere un calunniatore che minaccia di imputare gravi delitti a lui o alla sua famiglia religiosa, quando non ha altri mezzi di difesa, così come sembra che non ce ne siano se il calunniatore si mostri pronto a imputarli pubblicamente, e davanti agli uomini più eminenti, a questo religioso o alla sua famiglia religiosa, a meno che non venga ucciso.

2038. (18). È lecito uccidere il falso accusatore, i falsi testimoni e persino il giudice che è certamente minacciato da una sentenza ingiusta, quando un innocente non ha altri mezzi per evitare il danno.

2039. (19). Il marito non commette peccato quando uccide di sua autorità la moglie colta in adulterio.

2040. (20).- La restituzione imposta da Pio V ai titolari di benefici che non recitano l’Ufficio non è dovuta in coscienza prima della sentenza dichiarativa del giudice, trattandosi di una pena.

2041. (21). Chi detiene una cappella di cui ha ricevuto la collazione o qualsiasi altro beneficio ecclesiastico, se si dedica allo studio delle lettere soddisfa il suo obbligo quando fa recitare l’Ufficio ad un altro.

2042. (22). Non è contrario alla giustizia non conferire gratuitamente i benefici ecclesiastici, poiché il benefattore che li conferisce in cambio di denaro non richiede questo denaro per il conferimento del beneficio, ma, per così dire, per un vantaggio temporale che non era obbligato a fornire.

2043. (23). Chi rompe il digiuno della Chiesa a cui è tenuto, non pecca mortalmente, a meno che non lo faccia per disprezzo o disobbedienza, ad esempio perché non vuole sottostare al precetto.

2044. (24). La mollezza, la sodomia e la bestialità sono peccati dello stesso genere inferiore; pertanto è sufficiente dire in confessione che ci si sia procurati la contaminazione.

2045. (25). Chiunque abbia avuto rapporti carnali con una donna libera soddisfa il precetto di confessare, dicendo: Ho commesso un grave peccato contro la castità con una donna libera, senza menzionare esplicitamente questo rapporto.

2046. (26). – Quando le parti in causa hanno opinioni ugualmente probabili, il giudice può accettare denaro per pronunciare la sentenza a favore di una piuttosto che dell’altra.

2047. (27) – Nel caso di un libro di un autore recente e moderno, l’opinione di quest’ultimo è da considerarsi probabile, purché non sia stato accertato che sia stata respinta dalla Sede Apostolica come improbabile.

2048. (28) – Il popolo non pecca anche se, senza alcun motivo, non accoglie una legge promulgata dal principe.

2049. (29). Chi, in un giorno di digiuno, mangia spesso un po’, anche se alla fine ha mangiato una quantità considerevole, non rompe il digiuno.

2050. (30).- Tutti coloro che hanno un ufficio e lavorano corporalmente nella società sono esonerati dall’obbligo del digiuno e non devono indagare se il loro lavoro sia compatibile con il digiuno.

2051. (31). – Coloro che viaggiano a cavallo sono assolutamente esonerati dal precetto del digiuno, in qualsiasi modo intraprendano il viaggio, anche se questo viaggio non sia necessario e anche se lo completino in un solo giorno.

2052. (32).- Non è chiaro se l’usanza di non mangiare uova e latticini durante la Quaresima sia obbligatoria.

2053. (33).- La restituzione dei frutti per aver omesso la preghiera delle ore può essere compensata dall’elemosina che il beneficiario avrebbe fatto con i frutti del suo profitto.

2054. (34). – Chi recita l’Ufficio della Pasqua la Domenica delle Palme adempie al precetto.

2055. (35) I due precetti possono essere adempiuti con un unico ufficio, per lo stesso giorno e per il successivo.

2056. (36). I regolari possono, per amore della loro coscienza, avvalersi dei privilegi che sono stati loro espressamente concessi dalla Chiesa revocate dal Concilio di Trento.

2057. (37). – Le indulgenze concesse ai regolari e revocate da Paolo V vengono oggi riconfermate.

2058. (38). – L’ingiunzione fatta dal Concilio di Trento al Sacerdote che, per motivi di necessità, presenti il Sacrificio in stato di peccato mortale di confessarsi “al più presto” (cf. 1647) è un consiglio, non un precetto.

2059. (39). Con questa particella “appena possibile” si intende che il Sacerdote si confesserà alla sua ora abituale.

2060. (40). – È opinione probabile che un bacio dato per il piacere carnale e sensibile che il bacio procura, senza il rischio di un successivo consenso e inquinamento, sia un peccato solo veniale.

2061. (41). – Non si deve obbligare un concubino a licenziarla se è stata molto utile per il godimento del concubino – noto nel linguaggio popolare come regalo – poiché senza di lei sarebbe troppo doloroso per lui vivere, altre feste darebbero alla concubina grande disgusto e sarebbe difficile trovare un’altra serva.

2062. (42). È lecito che un creditore chieda qualcosa in aggiunta alla somma prestata se si impegna a non reclamare la somma per un certo periodo di tempo.

2063. (43)- Un legato annuale lasciato per l’anima di un defunto non dura più di dieci anni.

2064. (44).- Per quanto riguarda il foro della coscienza, quando l’accusato si è corretto e la sua contumacia è cessata, le censure cessano.

2065. (45). I libri proibiti “finché non siano stati espunti” possono essere conservati finché, con la dovuta diligenza, non siano stati corretti.

(Censura🙂 quanto meno scandalosi.

Decreto del Sant’Uffizio, 5 maggio 1667.

Libertà di insegnamento sul tema dell’attrizione.

2070. Avendo appreso, non senza grande tristezza, che alcuni teologi della scuola disputavano tra loro con troppa asprezza e con scandalo dei fedeli sul punto di sapere se l’attrizione concepita dal timore dell’inferno, che esclude la volontà di predicare ed è accompagnata dalla speranza del perdono, richieda ancora qualche altro atto di amore di Dio per ottenere la grazia nel Sacramento della penitenza, alcuni sostenendo questa opinione, altri negandola, alcuni censurando l’opinione contraria di altri, Sua Santità ordina… che se in futuro comporranno o pubblicheranno libri o scritti, se insegneranno o predicheranno o istruiranno in qualsiasi modo penitenti, studenti o altri, non si impegnino a notare con alcuna censura teologica, né a decriminare con alcun termine ingiurioso o offensivo, né l’una né l’altra delle due opinioni opposte: Né quella che nega la necessità di un atto d’amore verso Dio quando esista la suddetta attrizione concepita per paura dell’inferno, opinione oggi più diffusa nelle scuole, né quella che afferma la necessità di questo atto d’amore, prima che la Santa Sede abbia definito qualcosa al riguardo.

CLEMENTE XI: 20 giugno 1667-9 Dicembre 1669

Clemente X: 29 aprile 1670-22 luglio 1676.

INNOCENZO XI: 21 settembre 1676-12 agosto 1689.

Decreto della Sacra Congregazione del Concilio “Cum ad aures“,

12 febbraio 1679.

Comunione frequente e quotidiana.

2090. Sebbene l’usanza della Comunione frequente e quotidiana sia sempre stata approvata nella Chiesa dai santi Padri, tuttavia essi non hanno mai indicato giorni fissi nel mese o nella settimana per ricevere la Comunione più frequentemente o per astenersene, né il Concilio di Trento ne ha prescritto alcuno; ma quest’ultimo, come se considerasse la debolezza umana, pur non prescrivendo nulla, ha indicato ciò che desiderava quando ha detto: “Il santo Concilio vorrebbe certamente che i fedeli che partecipano ad ogni Messa . . ricevano la Comunione attraverso la ricezione sacramentale dell’Eucaristia” (cf. 1747). E giustamente, perché ci sono molti modi in cui le coscienze possano essere ritirate e molti modi in cui la mente possa essere distratta dagli affari; ma ci sono molti modi in cui le grazie e i doni di Dio siano elargiti ai piccoli; e poiché non possiamo esaminarli con occhi umani, non si può dire nulla con certezza sulla dignità e l’integrità di ogni persona, e quindi sul mangiare frequentemente o quotidianamente il pane della vita.

2091. Perciò, per quanto riguarda coloro che esercitano un’attività commerciale, il loro frequente accesso al ricevimento del sacro cibo deve essere lasciato al giudizio dei confessori che esplorano i segreti del cuore e che, secondo la purezza delle coscienze, il profitto della frequenza ed il progresso verso la pietà, si debbano prescrivere ai laici che esercitano un’attività commerciale e ai coniugati ciò che prevedono sia vantaggioso per la loro salvezza.

2092. Per quanto riguarda i coniugi, poiché il beato Apostolo non vuole che “si rifiutino l’un l’altro se non di comune accordo e per un certo tempo, per dedicarsi alla preghiera” (1Cor VII, 5), sarà tanto più ansioso di ammonirli a praticare la continenza per rispetto alla santissima Eucaristia e ad accostarsi alla Comunione al banchetto celeste con uno spirito più puro.

2093. In questa materia, dunque, la diligenza dei pastori non si preoccuperà tanto che alcuni siano dissuasi da una sola formula di precetto dal ricevere la santa Comunione frequentemente o quotidianamente, o che siano fissati in modo generale i giorni per riceverla, ma riterrà piuttosto che spetterà a se stessa, o ai parroci od ai pastori, decidere ciò che debba essere permesso a ciascuno, e impedirà assolutamente che qualcuno sia respinto dal santo banchetto, sia che sia membro o meno della congregazione, frequentemente o quotidianamente.

2094. Oltre alla diligenza dei parroci e dei confessori, sarà utile anche l’aiuto dei predicatori e concordare con loro che, quando i fedeli si accostano frequentemente al santissimo Sacramento (cosa che dovrebbero fare), facciano subito una predica sulla grandissima preparazione necessaria per riceverlo e che, in generale, mostrino a coloro che sono spinti da un pio zelo a ricevere frequentemente o quotidianamente il cibo salutare – siano essi laici impegnati negli affari o sposati o qualsiasi altra persona – che devono riconoscere la loro debolezza, affinché attraverso la dignità del Sacramento ed il timore del giudizio divino imparino a riverire il cibo spirituale che contiene Cristo; e se a volte dovessero sentirsi meno preparati, di astenersi da esso e di avcingersi ad una preparazione migliore. …

2095. Inoltre, i Vescovi e i parroci o confessori respingeranno coloro che affermano che la Comunione quotidiana sis di diritto divino…

65 proposizioni, condannate nel decreto del Sant’Uffizio del 2/3/1679.

Errori di una dottrina morale più lassista.

2101. (1) Nell’amministrazione dei Sacramenti non è proibito seguire l’opinione probabile sulla validità del Sacramento, lasciando quella più certa, a meno che ciò non sia proibito dal diritto o dalla convenzione, o ci sia pericolo di grave danno. È per questo che solo nel conferimento del Battesimo o dell’Ordinazione sacerdotale o episcopale non si debba ricorrere all’opinione probabile.

2102. (2). Ritengo probabile che un giudice possa giudicare secondo un’opinione ancora meno probabile.

2103. (3). – In generale, finché agiamo facendo affidamento su una probabilità, sia essa intrinseca o estrinseca, per quanto piccola, purché rimanga nei limiti della probabilità, agiamo sempre con molta prudenza.

2104. (4). – Il non credente che non crede è scusato per l’infedeltà, se si lascia guidare dall’opinione meno probabile.

2105. (5). Non osiamo dire se pecca mortalmente chi compie un atto di amore verso Dio una sola volta nella sua vita.

2106. (6). – È probabile che il precetto della carità verso Dio non imponga di per sé un obbligo rigoroso ogni cinque anni.

2107. (7). È vincolante solo quando siamo tenuti ad essere giustificati e non abbiamo altro modo per esserlo.

2108. (8).Mangiare e bere a sazietà e per il solo piacere non è peccato, purché non interferisca con la salute, perché l’appetito naturale può godere dei suoi atti in modo lecito.

2109. (9). L’atto di matrimonio compiuto solo per piacere è esente da qualsiasi colpa veniale.

2110. (10). – Non siamo tenuti ad amare il prossimo con un atto interiore o formale.

2111. (11). Possiamo adempiere al precetto di amare il prossimo solo con atti esteriori.

2112. (12). Sarebbe difficile trovare in coloro che vivono nel mondo e nei re qualcosa di superfluo per il loro stato. Perciò una persona non è tenuta a fare l’elemosina se è tenuta a dare solo ciò che sia superfluo.

2113. (13).- Se lo si fa con la necessaria moderazione, si può, senza peccare mortalmente, addolorarsi per la vita di qualcuno e rallegrarsi per la sua morte, desiderandolo con un desiderio inefficace, non perché la persona sia antipatica, ma per qualche vantaggio temporale.

2114. (14).- È lecito desiderare assolutamente la morte del padre, non per il male del padre, ma per il bene di chi la desidera, perché porterà una ricca eredità.

2115. (15). – È lecito che un figlio si rallegri di un parricidio commesso da lui in stato di ubriachezza, per la grande ricchezza che gli deriverà dall’eredità.

2116. (16). La fede non deve rientrare in nessun precetto particolare.

2117. (17). – Un singolo atto di fede nella propria vita è sufficiente.

2118. (18). – Se qualcuno è interrogato da un’autorità pubblica, consiglio che è glorioso per Dio e per la fede confessare apertamente la fede; non condanno come peccaminoso il silenzio.

2119. (19). La volontà non può rendere l’assenso della fede più solido del peso delle ragioni che lo spingono.

2120. (20). Qualcuno può quindi prudentemente rifiutare l’assenso che ha avuto soprannaturalmente.

2121. (21).- L’assenso di fede, soprannaturale e utile alla salvezza, esiste con la sola conoscenza probabile della rivelazione, e persino con il timore che Dio non abbia parlato.

2122. (22). Solo la fede in un unico Dio sembra essere necessaria come mezzo, ma non la fede esplicita nel Rimuneratore.

2123. (23). La fede in senso lato, che deriva dalla testimonianza delle creature o da un motivo simile, è sufficiente per la giustificazione.

2124. (24). Chiamare Dio a testimoniare una piccola menzogna non è un’irriverenza tale che Dio sia disposto o in grado di dannare un uomo a causa di essa.

2125. (25). – Quando c’è un motivo, è lecito giurare senza la disposizione interiore a giurare, sia che si tratti di una questione grave o leggera.

2126. (26). Se una persona, da sola o in presenza di altri, sia che venga interrogata o spontaneamente, sia che lo faccia per gioco o per qualche altro motivo, giura di non aver fatto una cosa che in realtà ha fatto, sottintendendo interiormente qualche altra cosa che non ha fatto, o qualche altro modo diverso da quello in cui l’ha fatta, o qualche aggiunta che è vera, non sta mentendo e non sta spergiurando.

2127. (27). Ci possono essere giusti motivi per ricorrere a queste anfibologie quando sia necessario o utile per difendere la propria vita, il proprio onore o i propri beni, o per qualche altro atto di virtù, cosicché l’occultamento della verità sia considerato utile e desiderabile.

2128. (28). Colui che, grazie ad una raccomandazione o ad un dono, sia stato promosso ad una magistratura o ad un ufficio pubblico, può prestare, senza restrizioni mentali, il giuramento che, per mandato del re, è normalmente richiesto a tali persone, senza tener conto dell’intenzione di chi lo richieda, perché non è tenuto a confessare un crimine occulto.

2129. (29). Un grave timore è un giusto motivo per simulare l’amministrazione dei Sacramenti.

2130. (30) – A un uomo d’onore è consentito uccidere un aggressore che cerchi di calunniarlo, se non si possa evitare altrimenti questa ignominia; la stessa cosa si deve dire se qualcuno dia uno schiaffo o colpisca con un bastone e fugga dopo aver dato lo schiaffo o colpito con il bastone.

2131. (31).- Posso, in senso giuridico, uccidere un ladro per tenere una sola moneta d’oro.

2132. (32). – Non solo è lecito difendersi con una difesa che uccide ciò che effettivamente si possiede, ma anche ciò che si ha il diritto e la speranza di possedere.

2133. (33). Un erede o un legatario può difendersi da chi gli impedisca ingiustamente di entrare in possesso dell’eredità o del legato, così come un avente diritto alla cattedra o alla prebenda può difendersi da chi gli impedisca ingiustamente di entrarne in possesso.

2134. (34) – È lecito procurare un aborto prima che il feto sia animato, per salvare dalla morte o dal disonore una ragazza rimasta incinta.

2135. (35). – Sembra probabile che ogni feto (finché sia nel grembo materno) sia privo di anima razionale e che cominci ad averne una solo quando nasce; per questo si deve dire che in nessun aborto si commetta omicidio.

2136. (36). È lecito rubare, non solo in caso di estrema necessità, ma anche in caso di grave necessità.

2137. (37). I domestici possono rubare segretamente ai loro padroni per compensare un lavoro che considerano più importante del salario che ricevono.

2138. (38) – Nessuno è obbligato, sotto pena di peccato mortale, a restituire ciò che sia stato preso con un furto, per quanto grande sia la somma totale.

2139. (39). – Una persona che esorti o inciti un’altra a causare un grave danno ad una terza non è tenuta a restituire il danno causato.

2140. (40). – Un contratto Mohatra è lecito anche se stipulato nei confronti della stessa persona e con una precedente clausola di rivendita con l’intento di trarne profitto.

2141. (41). – Poiché una somma pagata ha più valore di una somma da pagare, e poiché non c’è nessuno che non preferisca una somma presente a una somma futura, il prestatore può esigere dal debitore qualcosa in aggiunta al capitale prestato, ed essere esonerato dall’usura per questo motivo.

2142. (42). Non c’è usura quando si chiede qualcosa in aggiunta al capitale prestato a titolo di benevolenza e gratitudine, ma solo se lo si chiede a titolo di giustizia.

2143. (43).- Perché non dovrebbe essere un peccato veniale solo distruggere con una falsa accusa la grande autorità di un calunniatore che ti danneggia?

2144. (44). – È probabile che non pecchi mortalmente colui che lanci una falsa accusa contro qualcuno per difendere il proprio diritto ed il proprio onore. E se questo non è probabile, difficilmente ci sarà un’opinione probabile in teologia.

2145. (45). – Dare un bene temporale per un bene spirituale non è simonia quando il bene temporale non sia dato come prezzo ma solo come motivo per affidare o realizzare il bene spirituale, o anche quando il bene temporale sia solo un compenso gratuito per il bene spirituale e viceversa.

2146. (46)… Questo rimane vero anche se il bene temporale sia il motivo principale per dare il bene spirituale, così che il bene temporale sarebbe valutato più del bene spirituale.

2147. (47). Quando il Concilio di Trento dice che essi partecipano al peccato altrui e peccano mortalmente, che promuovono a cariche ecclesiastiche senza considerare queste persone come più degne e più utili alla Chiesa, il Concilio o, in primo luogo, sembra aver voluto significare solo con questo termine “più degni” la dignità di coloro che debbano essere scelti, usando il comparativo invece del positivo; o, in secondo luogo, usa l’espressione meno appropriata “più degni” per escludere coloro che siano indegni, ma non quelli che siano degni; o, in terzo luogo, parla solo del caso in cui sia coinvolto un concorso.

2148. (48).- Sembra così chiaro che la fornicazione non include di per sé alcuna malizia e che è un male solo perché è proibita, che il contrario sembra contraddire del tutto la ragione.

2149. (49). La mollezza non è proibita dalla legge naturale. Per questo, se Dio non l’avesse proibita, sarebbe spesso buona, e a volte sarebbe addirittura obbligatoria sotto pena di peccato mortale.

2150. (50).- L’unione con una donna sposata, con il consenso del marito, non è adulterio; per questo è sufficiente dire in confessione che si è fornicato.

2151. (51).- Un servo che consapevolmente aiuti il padrone a entrare dalla finestra per violentare una ragazza, facendolo salire sulle sue spalle, e che spesso lo assiste portando la scala, aprendo la porta o aiutandolo in altri modi simili, non pecca mortalmente se lo fa per paura di un danno significativo, ad esempio per non essere maltrattato dal padrone o per non essere guardato in cagnesca, o per non essere cacciato di casa.

2152. (52). – Il precetto di osservare i giorni di festa non è obbligatorio sotto pena di peccato mortale, a parte lo scandalo, se non ci sia disprezzo.

2153. (53). Chi ascolta due o anche quattro parti della Messa insieme, da celebranti diversi, soddisfa il precetto della Chiesa di ascoltare la Messa.

2154. (54). Chi non può recitare il Mattutino e le Lodi, ma può recitare le altre ore, non ha alcun obbligo; perché la parte maggiore attira a sé la parte minore.

2155. (55). – Il precetto della Comunione annuale è adempiuto dal mangiare sacrilego del Signore (cf. 2034).

2156. (56). La Confessione e la Comunione frequenti, anche da parte di chi vive da pagano, sono segni di predestinazione.

2157. (57). – È probabile che un’attribuzione naturale sia sufficiente se è onesta.

2158. (58). – Non siamo obbligati a dire al confessore, se ci interroga, l’abitudine di qualche peccato.

2159. (59). – È lecito assolvere sacramentalmente chi si sia confessato solo a metà quando c’è un grande afflusso di penitenti, come può accadere, ad esempio, nel giorno di una grande festa o di una indulgenza.

2160. (60)… Al penitente che abbia l’abitudine di peccare contro la legge naturale o ecclesiastica, anche se non c’è speranza di emendarsi, non si deve rifiutare o rimandare l’assoluzione se dichiari con la bocca di sentire dolore e di impegnarsi a riparare.

2161. (61). – L’assoluzione può essere talvolta concessa a una persona che si trova nel mezzo di un’imminente occasione di peccato che non può e non vuole evitare, e persino che cerca direttamente o deliberatamente, o in cui si getta.

2162. (62). Un’occasione imminente di peccato non va evitata quando c’è un motivo utile o onesto per non evitarla.

2163. (63). È lecito cercare direttamente la prossima occasione di peccato per il nostro bene spirituale o temporale, o per quello del nostro prossimo.

2164. (64). Un uomo è in grado di ricevere l’assoluzione qualunque sia la sua ignoranza dei misteri della fede, e anche se per negligenza, anche colposa, ignori il mistero della Santissima Trinità e dell’Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo.

2165. (65) – È sufficiente aver creduto una volta in questi misteri.

(Censura: ) Tutte le proposizioni sono condannate e proibite, così come si presentano, almeno come scandalose e perniciose nella pratica.

(Conclusione del decreto🙂 Infine, affinché i dottori o gli scolastici e tutti gli altri si astengano d’ora in poi da ogni disputa dannosa, e affinché siano assicurate la pace e la carità, il medesimo Santissimo Pontefice ordina, in nome della santa obbedienza, che nei libri da stampare e nei manoscritti, così come nelle tesi, nelle dispute e nei sermoni, si astengano da qualsiasi censura o nota, così come qualsiasi invettiva contro le proposizioni che finora continuano ad essere oggetto di discussione tra i Cattolici, fino a quando la Santa Sede, dopo aver esaminato la questione, non avrà emesso un giudizio su queste proposizioni.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (29): “Da INNOCENZO XI ad ALESSANDRO VIII”

GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (68): IL MODERNISMO (2)

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (68)

IL MODERNISMO (2)

DOCUMENTI DI S.S. PIO X CHE DENUNCIANO E CONDANNANO IL MODERNISMO

ENCICLICA “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

“SUGLI ERRORI DEL MODERNISMO”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE

PIO PP. X SERVO DEI SERVI DI DIO.

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

L’officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le prone novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell’umano genere, mai non mancarono “uomini di perverso parlare (Act. X, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)”. Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli. Ed a rompere senza più gl’indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell’errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch’è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d’ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gettano su quanto vi ha di più santo nell’opera di Cristo, non risparmiando la Persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. Fanno le meraviglie costoro perché Noi li annoveriamo fra i nemici della Chiesa; ma non potrà stupirsene chiunque, poste da parte le intenzioni di cui Dio solo è giudice, si faccia ad esaminare le loro dottrine e la loro maniera di parlare e di operare. Per verità non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Imperocché, come già abbiam detto, i lor consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa, ma dentro di essa; ond’è che il pericolo si appiatta quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro. Di più, non pongono già la scure ai rami od ai germogli; ma alla radice medesima, cioè alla fede ed alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice della immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l’albero in guisa, che niuna parte risparmiano della cattolica verità, niuna che non cerchino di contaminare. Inoltre, nell’adoperare le loro mille arti per nuocere, niuno li supera di accortezza e di astuzia: giacché la fanno promiscuamente da razionalisti e da Cattolici, e ciò con sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto; e poiché sono temerari quanto altri mai, non vi è conseguenza da cui rifuggano e che non ispaccino con animo franco ed imperterrito. Si aggiunga di più, e ciò è acconcissimo a confonderle menti, il menar che essi fanno una vita operosissima, un’assidua e forte applicazione ad ogni fatta di studi, e, il più sovente, la fama di una condotta austera. Finalmente, e questo spegne quasi ogni speranza di guarigione, dalle stesse loro dottrine sono formati al disprezzo di ogni autorità e di ogni freno; e, adagiatisi in una falsa coscienza, si persuadono che sia amore di verità ciò che è infatti superbia ed ostinazione. Sì, sperammo a dir vero di riuscire quando che fosse a richiamar costoro a più savi divisamenti; al qual fine li trattammo dapprima come figli con soavità, passammo poi ad un far severo, e finalmente, benché a malincuore, usammo pure i pubblici castighi. Ma voi sapete, o Venerabili Fratelli, come tutto riuscì indarno: sembrarono abbassai la fronte per un istante, ma la rialzarono subito con maggiore alterigia. E potremmo forse tuttora dissimulare se non si trattasse che sol di loro: ma trattasi invece della sicurezza del nome cattolico. Fa dunque mestieri di uscir da un silenzio, che ormai sarebbe colpa, per far conoscere alla Chiesa tutta chi siano infatti costoro che così mal si camuffano. – E poiché è artificio astutissimo dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a ragione comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l’una dall’altra, allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le dottrine stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto traviamento ed a prescrivere le misure per impedirne i danni. E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine. Prendendo adunque le mosse dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell’agnosticismo. Secondo questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, né di conoscerne l’esistenza, sia pure per intromessa delle cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia non deve mai riputarsi come soggetto istorico. Poste cotali premesse, ognuno scorge di leggieri quali siano le sorti della teologia naturale, dei motivi di credibilità, dell’esterna rivelazione. Tutto questo i modernisti tolgon via di mezzo, e ne fanno assegno all’intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo. Né in ciò ispira loro alcun ritegno il sapere che si enormi errori furono già formalmente condannati dalla Chiesa. Giacché infatti il Concilio Vaticano così ebbe definito: “Se qualcuno dirà, che Dio uno e vero, Creatore e Signor nostro, per mezzo delle cose create, non possa conoscersi con certezza col lume naturale dell’umana ragione, sia anatema“ (De Revel., can. I); e similmente: “Se alcuno dirà non essere possibile, o non convenire che, mediante divina rivelazione, sia l’uomo ammaestrato di Dio e del culto che Gli si deve, sia anatema” (Ibid., can. II); e finalmente: “Se alcuno dirà che la rivelazione divina non possa essere fatta credibile da esterni segni e che perciò gli uomini non debbano esser mossi alla fede se non da interna esperienza o privata ispirazione, sia anatema” (De Fide, can. III). Di qual guisa poi i modernisti dall’agnosticismo, che è puro stato d’ignoranza, passino all’ateismo scientifico e storico, che invece è stato di positiva negazione; e con qual diritto perciò di logica, dal non sapere se Iddio sia intervenuto o no nella storia dell’uman genere si trascorra a spiegar tutto nella storia medesima ponendo Dio interamente da parte come se in realtà non fosse intervenuto, lo assegni chi può. Ma tanto è; per costoro è fisso e determinato che la scienza e la storia debbano esser atee; entro l’àmbito di esse non vi è luogo se non per fenomeni, sbanditone in tutto Iddio e quanto sa di divino. Dalla quale dottrina assurdissima vedremo bentosto che cosa siasi costretti di ammettere intorno alla Persona augusta di Gesù Cristo, intorno ai misteri della Sua vita e della Sua morte, intorno alla Sua Risurrezione ed Ascensione al Cielo. Vero è che l’agnosticismo non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa; la positiva sta tutta nell’immanenza vitale. Dall’una all’altra ecco con qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra natura, alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità, negata anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta spiegazione indarno si cerca fuori dell’uomo. Resta dunque che si cerchi nell’uomo stesso; e poiché la religione non è altro infatti che una forma della vita, la spiegazione di essa dovrà ritrovarsi appunto nella vita dell’uomo. Di qui il principio dell’immanenza religiosa. Di più, la prima mossa, per così dire, di ogni fenomeno vitale, quale si è detta essere altresì la religione, è sempre da ascrivere ad un qualche bisogno; i primordi poi, parlando più specialmente della vita, sono da assegnare ad un movimento del cuore, o vogliam dire ad un sentimento. Per queste ragioni, essendo Dio l’oggetto della religione, dobbiamo conchiudere che la fede, inizio e fondamento di ogni religione, debba riporsi in un sentimento che nasca dal bisogno della divinità. Il quale bisogno, non sentendosi dall’uomo se non in determinate ed acconce circostanze, non può di per sé appartenere al campo della coscienza: ma giace da principio al di sotto della coscienza medesima o, come dicono con vocabolo tolto ad imprestito dalla moderna filosofia, nella subcoscienza, ove la sua radice rimane occulta ed incomprensibile. Che se si chieda in qual modo da questo bisogno della divinità, che l’uomo provi in se stesso, si faccia poi trapasso alla religione, i modernisti rispondono così. La scienza e la storia, essi dicono, sono chiuse come fra due termini: l’uno esterno, ed è il mondo visibile; l’altro interno, ed è la coscienza. Toccato che abbiano o l’uno o l’altro di questi termini, non hanno come passare più oltre; al di là si trovano essi a faccia dell’inconoscibile. Dinanzi a questo inconoscibile, o sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, o si celi entro l’uomo nelle latebre della subcoscienza, il bisogno del divino, senza verun atto della mente, secondo che vuole il fideismo, fa scattare nell’animo già inclinato a religione un certo particolar sentimento; il quale, sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sé la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione. Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d’un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l’apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l’oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell’assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. Se non che in tutto questo procedimento dal quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione, egli è mestieri tener d’occhio un punto, che è di capitale importanza per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano. Quell’inconoscibile, di cui parlano, non si presenta già alla fede come nudo in sé ed isolato; ma si bene congiunto strettamente a un qualche fenomeno, che, quantunque appartenga al campo della scienza e della storia, pure in certa guisa ne trapassa i confini. Tal fenomeno potrà essere un fatto qualsiasi della natura, che in sé racchiude alcun che di misterioso: potrà essere altresì un uomo, il cui carattere, i cui gesti, le cui parole mal si compongano colle leggi ordinarie della storia. Or bene la fede, attirata dall’inconoscibile racchiuso nel fenomeno, s’impadronisce di tutto intero il fenomeno stesso e lo penetra in certo qual modo della sua vita. Da ciò due cose conseguitano. La prima, una tal trasfigurazione del fenomeno, per una, diremmo, quasi elevazione sulle condizioni sue proprie, che lo renda acconcio, come materia, alla forma del divino che la fede v’introdurrà. La seconda, un certo sfiguramento, nato da ciò che avendo la fede tolto il fenomeno ai suoi aggiunti di tempo e di luogo, facilmente gli attribuisce quello che nella realtà delle cose non ha di fatto: il che soprattutto avviene quando si tratti di fenomeni di antica data, e tanto più se sono remoti. Da questi due capi i modernisti traggono per loro due canoni; i quali, uniti a un terzo già dedotto dall’agnosticismo, formano quasi la base della critica storica. Illustriamo il fatto con un esempio, preso dalla persona di Gesù Cristo. Nella persona di Cristo, dicono, la scienza e la storia non trovan nulla al di là dell’uomo. Dunque, in vigore del primo canone dato dall’agnosticismo, dalla storia di essa deve cancellarsi tutto quanto sa di divino. Più oltre, in conformità del. secondo canone, la persona di Cristo è stata trasfigurata dalla fede: dunque fa d’uopo spogliarla di tutto ciò che la innalza sopra le condizioni storiche. Per ultimo, la stessa è stata sfigurata dalla fede, secondo insegna il terzo canone: dunque non da rimuoversi da lei i discorsi, i fatti, tutto quello insomma che non risponde al suo carattere, alla sua condizione ed educazione, al luogo ed al tempo in cui visse. Strano per fermo parrà a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti. Adunque il sentimento religioso, che per vitale immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto fu o sarà per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e quasi informe, a poco a poco, sotto l’influsso del misterioso principio che gli diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi della vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la nascita di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono che semplici esplicazioni dell’anzidetto sentimento. Né credasi già che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che per processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di elettissima natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà. Nell’udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto audaci e sacrileghe! Eppure, Venerabili Fratelli, non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che così la discorrono pubblicamente; e con siffatti delirii si dànno vanto di riformare la Chiesa! Qui, non trattasi più del vecchio errore, che alla natura umana concedeva quasi un diritto all’ordine soprannaturale. Si va assai più lungi; sino cioè ad afferrare che la religione nostra santissima, nell’uomo Cristo del pari che in noi, è frutto interamente spontaneo della natura. Del quale asserto non sappiamo qual sia mezzo più acconcio per sopprimere pgni ordine soprannaturale. Perciò con somma ragione il Concilio Vaticano pronunziò: “Se alcuno dirà, non poter l’uomo essere elevato da Dio a una conoscenza e perfezione che superi la natura, ma potere e dovere di per sé stesso, con un perpetuo progresso, giungere finalmente al possesso di ogni vero e di ogni bene, sia anatema” (De Revel., can. III). Fin qui però, o Venerabili Fratelli, non abbiam visto farsi punto luogo all’azione dell’intelletto. Eppure, secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte nell’atto di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di cui sovente si è parlato, appunto perché egli è sentimento e non cognizione, Dio si presenta bensì all’uomo, ma in maniera così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto credente. Fa dunque d’uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio di luce, sì che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in contrapposto col soggetto. Ora, è questo il compito dell’intelletto; di cui è proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l’uomo prima traduce in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e poi li significa con verbali espressioni. Di qui il detto volgare dei modernisti, che l’uomo religioso deve pensare la sua fede. L’intelletto adunque, sopravvenendo al sentimento, su di esso si ripiega e vi fa intorno un lavorio somigliante a quello di un pittore che illumina e ravviva il disegno di un quadro svanito per la vecchiaia. Il paragone è di uno dei maestri del modernismo. Doppio poi è l’operar della mente in siffatto negozio; dapprima, con un atto nativo e spontaneo, esprimendo la sua nozione con una proposizione semplice e volgare; indi, con riflessione e più intima penetrazione, o, come dicano, lavorando il suo pensiero, rende ciò che ha pensato con proposizioni secondarie, derivate bensì dalla prima, ma più affinate e distinte. Le quali proposizioni, ove poi ottengano la sanzione del magistero supremo della Chiesa, costituiranno appunto il dogma. – Con ciò, nella dottrina dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo, all’origine cioè e alla natura stessa del dogma. Imperocché l’origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole semplici; le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla fede, giacché la rivelazione, perché sia veramente tale, richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso poi, secondo che paiono dire, è costituito propriamente dalle formole secondarie. A conoscere però bene la natura del dogma, è uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il sentimento religioso. Nel che non troverà punto difficoltà, chi tenga fermo, che il fine di cotali formole altro non è, se non di dar modo al credente di rendersi ragione della propria fede. Per la qual cosa stanno esse formole come di mezzo fra il credente e la fede di lui; per rapporto alla fede, sono espressioni inadeguate del suo oggetto e sono dai modernisti chiamate simboli; per rapporto al credente, si riducono a meri istrumenti. Non è lecito pertanto in niun modo sostenere che esse esprimano una verità assoluta: essendoché, come simboli, sono semplici immagini di verità, e perciò da doversi adattare al sentimento religioso in ordine all’uomo; come istrumenti, sono veicoli di verità, e perciò da acconciarsi a lor volta all’uomo in ordine al sentimento religioso. E poiché questo sentimento, siccome quello che ha per obbietto l’assoluto, porge infiniti aspetti, dei quali oggi l’uno domani l’altro può apparire; e similmente colui che crede può passare per altre ed altre condizioni, ne segue che le formole altresì che noi chiamiamo dogmi debbano sottostare ad uguali vicende ed essere perciò variabili. Così si ha aperto il varco alla intima evoluzione dei dogmi. Infinito cumulo di sofismi che abbatte e distrugge ogni religione! E questa, non pur possibile, ma necessaria evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l’affermano arditamente ma è conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i capisaldi della loro dottrina vi è ancor questo, tratto dal principio dell’immanenza vitale: che le formole cioè religiose, perché tali siano in verità e non mere speculazioni dell’intelletto, è mestieri che siano vitali e che vivano della stessa vita del sentimento religioso. Il che non è da intendersi quasiché tali formule, specie se puramente immaginative, siano costruite a bella posta pel sentimento religioso; giacché poco monta della loro origine, come altresì del loro numero e della loro qualità; ma cosi, che le stesse, fatte se occorre all’uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate dal sentimento religioso. E per dirla in altri termini, fa di mestieri che la formola primitiva sia accettata e sancita dal cuore, e che il susseguente lavorio per la formazione delle formole secondarie sia fatto sotto la direzione del cuore. Di qui procede che siffatte formole, perché siano vitali, debbano essere e mantenersi adatte tanto alla fede quanto al credente. Laonde, se per una ragione qualsiasi cotale adattamento venga meno, perdono elle il primitivo significato e vogliono essere cambiate. Or tale essendo il valore e la sorte mutevole delle formole dogmatiche, non reca stupore che i modernisti le abbiano tanto in dileggio; mentre al contrario non fanno che ricordare ed esaltare il sentimento religioso e la vita religiosa. Perciò pure criticano con somma audacia la Chiesa, accusandola di camminare fuor di strada, né saper distinguere fra il senso materiale delle formole e il loro significato religioso e morale, e attaccandosi con ostinazione, ma vanamente, a formole vuote di senso, lasciar che la religione precipiti a rovina. Oh! Veramente ciechi e conduttori di ciechi, che, gonfi del superbo nome di scienza, vaneggiano fino al segno di pervertire l’eterno concetto di verità e il genuino sentimento religioso: “spacciando un nuovo sistema, col quale, tratti da una sfrontata e sfrenata smania di novità, non cercano la verità ove certamente si trova; e disprezzate le sante ed apostoliche tradizioni, si attaccano a dottrine vuote, futili, incerte, riprovate dalla Chiesa, e con esse, uomini stoltissimi, si credono di puntellare e sostenere la stessa verità” (Gregorio XVI, Lett. Enc.”Singulari Nos“, 25 giugno 1834).

[Dopo aver esaminato il modernismo dal canto filosofico, il Santo Padre passa ad esaminare il modernismo che coinvolge il credente, e propinato a livello teologico che esclude Scolastica e Tomismo. Sua Santità è particolarmente meticoloso nel sottolineare tutti gli inganni e le astuzie del modernismo nel confondere termini e concetti spesso totalmente ribaltati nei loro significati. Tali inganni in realtà erano già stati condannati dalla Chiesa ed infatti Papa Sarto cita con sapienza Encicliche e Costituzioni apostoliche, ad iniziare da Gregorio IX, passando per il Concilio di Trento, da Pio VI a Pio IX [ il “Syllabus”], fino alla “Dei Filius” del Concilio Vaticano. Ma osservando bene, in realtà il modernismo, non era altro che un nuovo vestito indossato dalla teologia di satana, la “gnosi”, il solito cancro maligno che ha afflitto la Chiesa Cattolica fin dalla sua costituzione. Si ritrovano infatti i soliti artifici del panteismo, dell’immanentismo, dell’evoluzionismo, etc. etc.. La gnosi, come i nostri pochi lettori ben sanno, è come uno “satiro” che, nel periodo di carnevale cambia continuamente costume e maschera, lasciando però intravedere i suoi elementi caratterizzanti come la coda, gli arti zoccoluti, le corna, la lingua biforcuta, i canini sporgenti, la barba caprina. Ad un esame superficiale il satiro sembra avere un aspetto affascinante ed argomenti interessanti, ma man mano che si mostra, che parla, si agita, il cerone comincia a sciogliersi, la maschera a scomporsi, e compare la barba caprina, i canini affilati, e dal cappello mosso da una leggera brezza spuntano le immancabili corna! È la sempre medesima “solfa”, lo sterco ripugnante, che ci viene proposto da Simon mago, dalla scuola neoplatonica alessandrina, dalla cabala spuria, dalle apparentemente strambe filosofie del rinascimento del paganesimo, a Cartesio, all’illuminismo, da Kant ad Hegel, da Marx all’esistenzialismo, da Freud a Darwin ed oggi, in ambito teologico, da personaggi vari, a cominciare dai giansenisti per finire ai supermodernisti postconciliari come gli azzeccagarbugli Ratzinger col suo ventriloquo, il sig. Bergoglio. Leggiamo con calma questa parte di Enciclica e cerchiamo di farla nostra onde comprendere ed evitare le insidie ed i lacci del modernismo, la strada ampia che, a detta del divino Maestro, ci condurrà inevitabilmente ed indubbiamente al fuoco eterno! E se lo dice Lui … – ndr. -]

“E fin qua, o Venerabili Fratelli, del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a considerarlo nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo, nel modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare che quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la realtà divina, pure questa realtà non altrove l’incontra che nell’animo del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di quell’affermazione, a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed indubitato che la realtà divina esista di fatto in se stessa, né punto dipenda da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia cotale asserzione del credente, i modernisti rispondono: l’esperienza individuale. Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono nell’opinione dei protestanti, degli pseudomistici. Così infatti essi discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una certa intuizione del cuore; la quale mette l’uomo in contatto immediato colla realtà stessa di Dio, e tale gl’infonde una persuasione dell’esistenza di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell’uomo, da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico. Asseriscono pertanto una vera esperienza, e tale da vincere qualsivoglia esperienza razionale; la quale se da taluno, come dai razionalisti, è negata, ciò dicono intervenire perché non vogliono porsi costoro nelle morali condizioni, che son richieste per ottenerla. Or questa esperienza, poi che l’abbia alcuno conseguita, è quella che lo costituisce propriamente e veramente credente. Quanto siamo qui lontani dagli insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già uditi condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con siffatte teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi la via all’ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina dell’esperienza unitamente all’altra del simbolismo, ogni religione, sia pure quella degl’idolatri, debba ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s’incontrino in ogni religione? E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual diritto i modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei soli Cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente altri apertissimamente, che tutte le religioni siano vere. E che non possano sentire altrimenti, è cosa manifesta. Imperocché per qual capo, secondo i loro placiti, potrebbe mai ad una religione, qual che si voglia, attribuirsi la falsità? Senza dubbio per uno di questi due: o per la falsità del sentimento religioso, o per la falsità della formola pronunziata dalla mente. Ora il sentimento religioso, benché possa essere più o meno perfetto, è sempre uno: la formula poi intellettuale, perché sia vera, basta che risponda al sentimento religioso ed al credente, checché ne sia della forza d’ingegno in costui. Tutt’al più, nel conflitto fra diverse religioni, i modernisti potranno sostenere che la cattolica ha più di verità perché più vivente, e merita con più ragione il titolo di cristiana, perché risponde più pienamente alle origini del Cristianesimo. Che dalle premesse date scaturiscano siffatte conseguenze, non può per fermo sembrare assurdo. Assurdissimo è invece che Cattolici e Sacerdoti, i quali, come preferiamo credere, aborrono da tali enormità, si portino in fatto quasi le ammettessero. Giacché tali sono le lodi che tributano ai maestri di siffatti errori, tali gli onori che rendono loro pubblicamente, da dar agevolmente a supporre che essi non onorIno già le persone, forse non prive di un qualche merito, ma piuttosto gli errori che quelle professano apertamente e cercano a tutt’uomo propagare. – Ma, oltre al detto, questa dottrina dell’esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell’esperienza originale fatta agli altri, mercé la predicazione, per mezzo della formula intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l’esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l’esperienza. Di questa guisa l’esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell’esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! Condotte fin qui le cose, o Venerabili Fratelli, abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i modernisti fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendano essi ancor la storia. E in primo luogo si deve tenere che l’oggetto dell’una è affatto estraneo all’oggetto dell’altra e da questo separato. Imperocché la fede si occupa unicamente di cosa che la scienza professa essere a sé inconoscibile. Quindi diverso il campo ad entrambe assegnato: la scienza è tutta nella realtà dei fenomeni, ove non entra affatto la fede: questa al contrario si occupa della realtà divina che alla scienza è del tutto sconosciuta. Dal che si viene a conchiudere che tra la fede e la scienza non vi possa essere mai dissidio: giacché, se ciascuna tiene il suo campo, non potranno mai incontrarsi, né perciò contraddirsi. Che se a ciò si opponga, nel mondo visibile esservi cose che pure appartengono alla fede, come la vita umana di Cristo; i modernisti rispondono negando. – Perché quantunque tali cose siano nel novero dei fenomeni, pure, in quanto sono vissute dalla fede e, nel modo già indicato, sono state da essa trasfigurate e sfigurate, furono tolte dal mondo sensibile e trasferite ad essere materia del divino. Quindi, qualora più oltre si ricercasse se Cristo abbia fatto veri miracoli e vere profezie, severamente sia risorto ed asceso al Cielo; la scienza agnostica lo negherà, la fede lo affermerà; né perciò vi sarà lotta fra le due. Imperocché lo negherà il filosofo qual filosofo parlando a filosofie considerando unicamente Cristo nella sua realtà storica; l’affermerà il credente come credente parlando a credenti e considerando la vita di Cristo quale è vissuta dalla fede e nella fede. – S’ingannerebbe però a partito chi, date queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la scienza indipendenti l’una dall’altra. Si, della scienza ciò è fuori di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma per tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da riflettersi in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà divina e l’esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in specialità le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono quindi sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli vien fatto; finché però resterà nel mondo, non potrà mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all’osservazione, ai giudizi della scienza e della storia. Di più, benché sia detto che Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno debba solo intendersi della realtà divina, non già della idea di Dio. L’idea di Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia nell’ordine logico, si solleva fino all’assoluto ed all’ideale. È dunque diritto della filosofia o della scienza sindacare l’idea di Dio, dirigerla nella sua evoluzione, correggerla qualora vi si immischi qualche elemento estraneo: quindi il ripetere che fanno i modernisti che l’evoluzione religiosa debba essere coordinata colla evoluzione morale ed intellettuale; ossia, come insegna uno dei loro maestri, debba essere subordinata. Per ultimo è pur da osservare che l’uomo non soffre in sé dualismo: per la qual cosa il credente prova in se stesso un intimo bisogno di armonizzare siffattamente la fede colla scienza che non si opponga al concetto generale che scientificamente si ha dell’universo. Così dunque si evince essere la scienza affatto libera dalla libera fede; la fede invece, tuttoché si decanti estranea alla scienza, essere a questa sottoposta. Le quali cose tutte, Venerabili Fratelli, sono diametralmente contrarie a ciò che insegnava il Nostro Antecessore Pio IX: “Essere dovere della filosofia, in materia di religione, non dominare ma servire, non prescrivere ciò che si debba credere, ma abbracciarlo con ragionevole ossequio, né scrutar l’altezza dei misteri di Dio, ma piamente ed umilmente venerarla” (Breve al Vescovo di Breslavia, 15 giugno 1857). I modernisti invertono del tutto le parti. Ond’è che ad essi può applicarsi ciò che l’altro Nostro Predecessore Gregorio IX scriveva di taluni teologi del suo tempo: “Alcuni fra voi, gonfi come otri dello spirito di vanità, si sforzano con novità profana di valicare i termini segnati dai Padri; piegando alla dottrina filosofica dei razionali l’intelligenza delle pagine Celesti, non per profitto degli uditori ma per far pompa di scienza… Questi sedotti da dottrine diverse e peregrine, tramutano in coda il capo e costringono la regina a servire all’ancella” (Lettera ai maestri di Teologia di Parigi, 7 luglio 1223). Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un’altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l’opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrino cose che ben direbbe un Cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l’affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l’esegesi teologica e pastorale dall’esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. “Exsurge Domine“, 15 maggio 1520: “Ci si è aperta la strada per isnervare l’autorità dei Concilî e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio“), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del Magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l’aforisma che la fede debba soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all’aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi. Con che, Venerabili Fratelli, Ci si dà finalmente il passo per osservare i modernisti sull’arena teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d’impaccio. Il fine da ottenere è la conciliazione della fede colla scienza, restando però sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In questo affare il teologo modernista si giova degli stessissimi principî che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ciò sono i principî dell’immanenza e del simbolismo. Ed ecco con quanta speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: “Il principio della fede è immanente“; il credente ha soggiunto: “Questo principio è Dio“; il teologo dunque conclude: “Dio è immanente nell’uomo“. Di qui l’essere dell’immanenza teologica. Parimente: il filosofo ha ritenuto come certo che le “rappresentazioni dell’oggetto della fede sono semplicemente simboliche“; il credente ha affermato che “l’oggetto della fede è Dio in se stesso“; il teologo adunque pronunzia: “Le rappresentazioni della realtà divina siano simboliche“. Di qui il simbolismo teologico. Errori per verità enormi; i quali quanto siano perniciosi, si vedrà luminosamente nell’osservarne le conseguenze. Infatti, per dir subito del simbolismo, i simboli essendo tali in relazione all’oggetto, ed in relazione al credente non essendo che istrumenti, fa mestieri innanzi tutto, così insegnano i modernisti, che il credente non si attacchi troppo alla formola, ma se ne giovi solo allo scopo di unirsi all’assoluta verità, di cui la formola rivela insieme e nasconde, si sforza cioè di esprimere ma senza mai riuscirvi. Vogliono in secondo luogo che il credente usi di tali formole tanto quanto gli siano utili, poiché sono date per giovamento e non per averne intralcio; salvo, s’intende, il rispetto che, per riguardi sociali, si debba alle formole giudicate acconce dal pubblico magistero ad esprimere la coscienza comune, finché però lo stesso Magistero non stabilisca altrimenti. Quanto poi all’immanenza, non è agevole determinare ciò che per essa intendano i modernisti; giacché diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ciò, che Dio operante sia intimamente presente nell’uomo, più che non sia l’uomo a sé stesso; il che, sanamente inteso, non può riprendersi. Altri pretendono che l’azione divina sia una coll’azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ciò distruggerebbe l’ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, è più coerente col rimanente delle loro dottrine. A questo postulato dell’immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si può intitolare dalla permanenza divina: e l’una dall’altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l’esperienza privata differisca dall’esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrerà il concetto: e sia l’esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ciò l’agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla più che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si è formata a poco a poco; lo vieta la legge dell’immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell’evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Però è da tenersi che Chiesa e Sacramenti fossero istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i Cristiani vivano la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei Cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potrà dire che tale origine è da Cristo ed è divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ciò la teologia moderna può dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma più che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. L’applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potrà ognuno farla di per sé stesso. Abbiam parlato finora della origine e della natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio è da conoscere ciò che insegnano i modernisti. E per farci dal dogma, l’origine e la natura di esso quale sia, si è già indicato più sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di lavorare sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l’altrui coscienza sempre più chiara. Tale lavorio consiste tutto nell’indagare ed esporre la formola primitiva, non già in se stessa e razionalmente, ma rispetto alle circostanze o, come più astrusamente dicono, vitalmente. Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un’unica costruzione dottrinale, quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente alla coscienza comune, si chiamerà dogma. Dal dogma son da distinguersi accuratamente le speculazioni teologiche; le quali però, benché non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili sì per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni contrasto, sì per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa; e chi sa che forse non giovino altresì per preparar la materia di un dogma futuro. Del culto poi non vi sarebbe gran che da dire, se sotto questo nome non venissero eziandio i Sacramenti, intorno ai quali sono gravissimi gli errori dei modernisti. Il culto vogliono che risulti da un doppio bisogno; giacché, torniamo ad osservarlo, nel loro sistema tutto va attribuito ad intimi bisogni. L’uno è quello di dare alla religione alcunché di sensibile; l’altro è il bisogno di propagarla, il che non potrebbe avvenire senza una qualche forma sensibile e senza atti santificanti, che diconsi Sacramenti. Quanto poi ai Sacramenti, essi pei modernisti si riducono a meri simboli o segni, non però privi di efficacia; efficacia che essi cercano di spiegare coll’esempio di certe cotali parole che volgarmente diconsi aver fatto fortuna, per avere acquistata la forza di diffondere talune idee potenti e che colpiscono grandemente gli animi. Come quelle parole sono ordinate alle dette idee, così i Sacramenti al sentimento religioso: nulla di vantaggio. Parlerebbero certamente più chiaro ove affermassero che i Sacramenti sono istituiti unicamente per nutrir la fede. Ma ciò è condannato dal Concilio di Trento (Sess. VII, de Sacramentis in genere, can. 5): “Se alcuno dirà che questi Sacramenti sono istituiti solo per nutrir la fede, sia anatema“. Della natura ancora e dell’origine dei Libri sacri già si è toccato. Secondo il pensare dei modernisti, si può ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle, che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e più insigni che siensi avute in una qualche religione. E così essi appunto insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo Testamento. A lor comodo però, notano assai scaltramente che, sebbene l’esperienza sia del presente, può tuttavolta prender materia dal passato ed eziandio dal futuro, in quanto che il credente o per la memoria rivive il passato a maniera del presente, o vive già per anticipazione l’avvenire. Ciò giova a dar modo di computare fra i Libri santi anche gli storici e gli apocalittici. Così adunque in questi libri parla bensì Iddio per mezzo del credente; ma, come vuole la teologia modernistica, solo per immanenza e permanenza vitale. Vorrà sapersi, in che consista dopo ciò l’ispirazione? Rispondono che non si distingue, se non forse per una certa maggiore veemenza, dal bisogno che sente il credente di manifestare a voce e per scritto la propria fede. È alcun che di simile a quello che si avvera nella ispirazione poetica; per cui un cotale diceva: È Dio in noi, da Lui agitati noi c’infiammiamo. È questo appunto il modo onde Dio deve dirsi origine della ispirazione dei Libri sacri. Affermano inoltre i modernisti che nulla vi è in questi libri che non sia ispirato. – Nel che potrebbe taluno crederli più ortodossi di certi altri moderni che restringono alquanto la ispirazione, come, a mo’ di esempio, nelle così dette citazioni tacite. Ma queste non sono che lustre e parole. Imperciocché se, secondo l’agnosticismo, riteniamo la Bibbia come un lavoro umano fatto da uomini per servigio di uomini, salvo pure al teologo di chiamarla divina per immanenza, come mai l’ispirazione potrebbe in essa restringersi? Sì, i modernisti affermano un’ispirazione totale: ma, nel senso cattolico, non ne ammettono in fatto veruna. – Più larga materia ci offre ciò che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo della Chiesa. È qui da presupporre che la Chiesa secondo essi è frutto di due bisogni: uno nel credente, specie se abbia avuta qualche esperienza originale e singolare, di comunicare ad altri la propria fede; l’altro nella collettività, dopo che la fede si è fatta comune a molti, di aggrupparsi in società e di conservare, accrescere e propagare il bene comune. Che cosa è dunque la Chiesa? un parto della coscienza collettiva, ossia collettività di coscienze individuali; le quali, in forza della permanenza vitale, pendono tutte da un primo credente, cioè pei Cattolici da Cristo. Ora ogni società ha bisogno di un’autorità che la regga: il cui compito sia dirigere gli associati al fine comune, e conservare saggiamente gli elementi di coesione, i quali in una società religiosa sono la dottrina ed il culto. – Perciò nella Chiesa cattolica una triplice autorità: disciplinare, dogmatica, culturale. La natura poi di questa autorità dovrà desumersi dalla sua origine; e dalla natura si dovranno a loro volta dedurre i diritti e i doveri. Fu errore volgare dell’età passata che l’autorità sia venuta alla Chiesa dal di fuori, cioè immediatamente da Dio: e perciò era giustamente ritenuta autocratica. Ma queste sono teorie oggimai passate di moda. Come la Chiesa è emanata dalla collettività delle coscienze, cosi l’autorità emana vitalmente dalla stessa Chiesa. Pertanto l’autorità del pari che la Chiesa nasce dalla coscienza religiosa, e perciò alla medesima resta soggetta: e se venga meno a siffatta soggezione, si volge in tirannide. Nei tempi che corrono il sentimento di libertà è giunto al suo pieno sviluppo. Nello stato civile la pubblica coscienza ha voluto un regime popolare. Ma la coscienza dell’uomo, come la vita, è una sola. Se dunque l’autorità della Chiesa non vuol suscitare e mantenere una guerra intestina nelle coscienze umane, uopo è che si pieghi anch’essa a forme democratiche; tanto più che, a negarvisi, lo sfacelo sarebbe imminente. È da pazzo il credere che possa aversi un regresso nel sentimento di libertà quale domina al presente. Stretto e rinchiuso con violenza strariperà più potente, distruggendo insieme la religione e la Chiesa. Fin qui il ragionare dei modernisti: e la conseguenza è, che sono tutti intesi a trovar modi per conciliare l’autorità della Chiesa colla libertà dei credenti. Se non che non solamente fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre amichevolmente, ma eziandio fuori. Non è sola essa ad occupare il mondo: l’occupano insieme altre società, colle quali non può aver uso e commercio. Convien dunque determinare quali siano i diritti e i doveri della Chiesa verso le società civili; e ben s’intende che tale determinazione debba esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti l’hanno descritta. Le regole perciò da usarsi son quelle stesse che sopra si adoperarono per la scienza e la fede. Ivi parlavasi di oggetti, qui di fini. Come adunque, per ragione dell’oggetto, si dissero la fede e la scienza vicendevolmente estranee, così lo Stato e la Chiesa sono l’uno all’altra estranei pel fine a cui tendono, temporale per lo Stato, spirituale per la Chiesa. Fu d’altre età il sottomettere il temporale allo spirituale; il parlarsi di questioni miste, nelle quali la Chiesa interveniva quasi signora e regina, perché la Chiesa si stimava istituita immediatamente da Dio, come autore dell’ordine soprannaturale. Ma la filosofia e la storia non più ammettono cotali credenze. Adunque lo Stato deve separarsi dalla Chiesa e per egual ragione il Cattolico dal cittadino. Di qui è, che il Cattolico, perché insieme cittadino, ha diritto e dovere, non curandosi dell’autorità della Chiesa, dei suoi desiderî, consigli e comandi, sprezzate altresì le sue riprensioni, di far quello che giudicherà espediente al bene della patria. Voler imporre al cittadino una linea di condotta sotto qualsiasi pretesto è un vero abuso di potere ecclesiastico da respingersi con ogni sforzo. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI già condannò solennemente nella Costituzione Apostolica “Auctorem Fidei” (Prop. 2). “La proposizione che stabilisce che la potestà è stata da Dio data alla Chiesa, perché fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; così intesa, che la potestà del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunità dei fedeli: eretica“. Prop. 3. “Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; così spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potestà del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universale: eretica“). – Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l’asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocché, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ciò che è temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo’ di esempio, l’amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisognerà che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sarà dopo ciò dell’autorità ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sarà in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. È questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d’ogni esterna società religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant’oltre, insistono intanto perché la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. Tutto ciò per l’autorità disciplinare. Più gravi assai e perniciose sono le loro affermazioni a riguardo dell’autorità dottrinale e dogmatica. Circa il Magistero ecclesiastico così essi la pensano: la società religiosa non può veramente essere una senza unità di coscienza nei suoi membri e senza unità di formola. Ma questa duplice unità richiede, per così dire, una mente comune, a cui spetti trovare e determinare la formola che meglio risponda alla coscienza comune: alla qual mente fa d’uopo inoltre attribuire un’autorità bastevole, perché possa imporre alla comunanza la formola stabilita. Or nell’unione è quasi fusione della mente designatrice della formola e dell’autorità che la impone, ritrovano i modernisti il concetto del magistero ecclesiastico. Poiché dunque in fin dei conti il Magistero non nasce che dalle coscienze individuali ed a bene delle stesse coscienze ha imposto un pubblico ufficio; ne consegue di necessità che debba dipendere dalle medesime coscienze e debba quindi avviarsi a forme democratiche. Il proibire pertanto alle coscienze degli individui che facciano pubblicamente sentire i loro bisogni; non soffrire che la critica spinga il dogma verso necessarie evoluzioni, non è già uso di potestà, data per pubblico bene, ma abuso. Similmente nell’uso stesso della potestà fa di mestieri serbare modo e misura. Sa di tirannide condannare un libro all’insaputa dell’autore, senza ammettere spiegazioni di sorta né discussione. Adunque qui pure è da ricercarsi una via di mezzo che salvi insieme i diritti dell’autorità e della libertà. Nel frattempo il Cattolico si regolerà in guisa che non lasci pubblicamente di protestarsi rispettosissimo dell’Autorità, continuando però sempre ad operare a suo talento. In generale vogliono ammonita la Chiesa che, poiché il fine della potestà ecclesiastica è tutto spirituale, disdice ogni esterno apparato di magnificenza con che essa si circonda agli occhi delle moltitudini. Nel che non riflettono che se la religione è essenzialmente spirituale non è tuttavia ristretta al solo spirito; e che l’onore tributato all’autorità ridonda su Gesù Cristo che ne fu istitutore. Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei medesimi, e lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all’evoluzione. Dogma, dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell’evoluzione. Siffatto principio non si udrà con istupore da chi rammenti quanto i modernisti siano venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell’evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l’evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalità; quindi positivamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e morale dell’uomo, per cui l’idea divina si ampliò ed illustrò e il sentimento religioso divenne più squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si possono che quelle stesse onde già si spiegò la sua origine. Alle quali però fa d’uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; sì perché nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinità, e sì perché toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficoltà, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Così, per tacer di altri esempi, è avvenuto di Cristo; in cui, quel più o meno divino, che la fede in esso ammetteva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altresì di usufruire della virtù che certi atti hanno ricevuto dall’usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di accomodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di più osservarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l’evoluzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l’altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L’esercizio di lei è proprio dell’autorità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle coscienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l’autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza collettiva; e questa a sua volta sull’autorità, e la costringe a capitolare ed a restare ai patti. Ciò ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ciò che loro si ascrive a colpa, essi l’hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si trovano con queste a più stretto contatto che non si trovi la potestà ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi pure l’Autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, né combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come già i profeti e Cristo. Né perché siano trattati male, odiano l’Autorità: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpiangono di non essere ascoltati, perché in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verrà senza meno il tempo di rompere gl’indugi, giacché le leggi dell’evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un’incredibile audacia col velo di un’apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l’Autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si danno interpreti della medesima. Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cioè dei quali il Nostro Predecessore Pio IX già scriveva: “Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l’umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica Religione, quasi che la stessa Religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato” (Enc. “Qui pluribus“, 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circail dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novità; ma è quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamocondannata, così espressa: “La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell’umana ragione” (Sillabo, Prop. V); più solennemente poi la troviamo riprovatadal Concilio Vaticano in questi termini: “Né la dottrina della fede, che Dio rivelò, è proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altresì deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiarò la Santa Madre Chiesa, né mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di più alta intelligenza” (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l’esplicazione nelle nostrecognizioni, anche circa la fede, tanto è lungi che venga impedita, che anzi ne è aiutata e promossa. Laondelo stesso Concilio prosegue dicendo: “Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l’intelligenza, la scienza, la sapienza così dei singoli come di tutti, così di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll’avanzare delle età e dei secoli; ma solo nel suo genere, cioè nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza” (Loc. cit.).

[In questa parte dell’Enciclica, il Santo Padre continua a sviscerare gli errori dei modernisti, questa volta sottolineando il metodo operativo degli storici, dei critici della storia, degli apologeti, metodo nel quale è onnipresente la filosofia immanentista, con le teorie evoluzioniste, vitaliste ed agnostiche, … “metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei Cattolici, ma a trascinare i Cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione!”, come si legge nella lettera. L’analisi è lucida e stringente e non lascia spazio a farfugliamenti difensivi vani, ad ermeneutiche da “azzeccagarbugli” e ventriloqui vari in talare rosse o nera o bianca, perché sarebbero pura menzogna. Quel che più interessa oggi, è che chiunque abbia ancora un granello di sale “nella zucca” può constatare come queste immondezze teologiche, storiche, filosofiche, etc. siano di gran moda e siano tutte “cavalli di battaglia” della nuova falsa “chiesa dell’uomo”, quella edificata scaltramente dagli infiltrati della quinta colonna massonica, che detengono oggi nelle loro mani ciò che resta della Chiesa Cattolica apparente! Da queste osservazioni magisteriali contenute nella Pascendi, tutti possono capire con facilità, senza bisogno di altro aggiungere, da che parte è oggi la vera Chiesa, quella fondata da Gesù Cristo il Messia, contro il quale combattono gli avversari di sempre, atei, pagani, Giudei e kazari, infedeli, scismatici, ai quali si aggiungono gli avversari più subdoli attuali, gli gnostici di sempre infiltrati come “cavallo di Troia” nel Tempio santo di Dio, l’abominio della desolazione del “novus ordo”, istallato sugli altari delle chiese un tempo cattoliche, oggi appannaggio e pietre cancrenose della “sinagoga di satana”. Questo abominio della desolazione odierna ha un nome: è il modernismo postconciliare, mostro eruttante tutte le eresie possibili ed immaginabili …, non ultima la cancellazione del peccato contro lo Spirito Santo, quello che il Redentore dichiara non potersi perdonare né in cielo né in terra: il peccato impuro contro natura! Orrore! orrore! … che Dio, con l’ausilio della Santa Vergine e dell’Arcangelo Michele alla guida degli Angeli giustizieri, ci liberi! Ma leggiamo con calma ed intelletto – ndr. -].

“Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamoparimente lo storico, il critico, l’apologista.Taluni dei modernisti, che si dànno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non passar per filosofi; cheanzi professano di essere affatto ignari di filosofia. È ciò un tratto di finissima astuzia: affinché nessuno credache essi siano infetti di pregiudizi filosofici e non siano perciò, come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero è, chela loro storia o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze che traggono, vengono digiusto raziocinio dai loro principî filosofici. Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto. I primi tre canoni diquesti tali storici o critici sono quegli stessi principî, che sopra riportammo dai filosofi: cioè l’agnosticismo, ilteorema della trasfigurazione delle cose per la fede, e l’altro che Ci parve poter chiamare dello sfiguramento.Osserviamo le conseguenze che da ciascuno di questi si traggono. Dall’agnosticismo si ha che la storia, nonmeno che la scienza, si occupa solo dei fenomeni. Dunque, tanto Dio quanto un intervento qualsiasi divinonelle cose umane deve rimandarsi alla fede come di esclusiva sua pertinenza. Per lo che se trattasi di cosa incui s’incontri un duplice elemento, divino ed umano come Cristo, la Chiesa, i Sacramenti e simili, dovrà dividersie sceverarsi in modo che ciò che è umano si dia alla storia, ciò che è divino alla fede. Quindi quella distinzionecomune fra i modernisti, fra un Cristo storico ed un Cristo della fede, una Chiesa della storia ed unaChiesa della fede, fra Sacramenti della storia e Sacramenti della fede e via dicendo. Dipoi questo stesso elementoumano, che vediamolo storico prendersi per sé quale essa si porge nei monumenti, deve ritenersi sollevatodalla fede per trasfigurazione al di là delle condizioni storiche. Conviene perciò separarne di nuovo tuttele aggiunte fattevi: cosi, trattandosi di Gesù Cristo, tutto quello che passa la condizione dell’uomo sia naturale,quale si dà dalla psicologia, sia risultante dal luogo e dal tempo in che visse. Di più, per terzo principiofilosofico, pur quelle cose che non escono dalla cerchia della storia, le vagliano quasi e ne escludono, rimandandolo parimenti alla fede, tutto ciò che, secondo quanto dicono, non entra nella logica dei fatti o non era adatto alle persone. Di tal modo, vogliono che Cristo non abbia dette le cose che non sembrano essere alla portata del volgo. Quindi dalla storia reale di Lui cancellano e rimettono alla fede tutte le allegorie che incontransi nei suoi discorsi. Si vuol forse sapere con quali regole si compia questa cernita? Con quella del carattere dell’uomo, della condizione che ebbe nella società, della educazione, delle circostanze di ciascun fatto: a dir breve con una norma, se bene intendiamo, che si risolve per ultimo in mero soggettivismo. Si studiano cioé di prendere essi e quasi rivestire la persona di Gesù Cristo; ed a Lui ascrivono senza più quanto in simili circostanze avrebbero fatto essi stessi. Così dunque, per conchiudere, a priori, come suol dirsi, e coi principî di una filosofia, che essi ammettono ma ci asseriscono d’ignorare, nella storia che chiamano reale affermano Cristo non essere Dio né aver fatto nulla di divino; come uomo poi aver Lui fatto e detto quel tanto, che essi, riferendosi al tempo in cui Egli visse, Gli consentono di aver operato e parlato. Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoché il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ciò che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacché queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ciò che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto è reale. Perciò, come già si è detto, un doppio Cristo; l’uno reale, l’altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l’uno che visse in determinato luogo e tempo, l’altro che solo s’incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo’ d’esempio, è il Cristo descrittoci nell’Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione. Ma qui non si arresta il dominio della filosofia nella storia. Fatta, come dicemmo, la divisione dei documenti in due parti, si presenta di nuovo il filosofo col suo principio dell’immanenza vitale, e prescrive che tutto quanto è nella storia della Chiesa debba spiegarsi per vitale emanazione. E poiché la causa o condizione di qualsiasi emanazione vitale deve ripetersi da un bisogno, si avrà che ogni avvenimento si dovrà concepire dopo il bisogno, e dovrà storicamente ritenersi posteriore a questo. Che fa allora lo storico? Datosi a studiar di nuovo i documenti, tanto nei Libri sacri quanto ricevuti altronde, va tessendo un catalogo dei singoli bisogni che man mano si presentarono nella Chiesa sia per riguardo al dogma, sia per riguardo al culto od altre materie: e quel catalogo trasmette poscia al critico. E questi mette indi mano ai documenti destinati alla storia della fede e li distribuisce in guisa di età in età, che rispondano al datogli elenco; rammentando sempre il precetto che il fatto è preceduto dal bisogno e la narrazione dal fatto. Potrà ben darsi talora che talune parti della Sacra Scrittura, come le Epistole, siano esse stesse il fatto creato dal bisogno. Checché sia però, deve aversi per regola che l’età di un documento qualsiasi non può determinarsi se non dall’età in cui ciascun bisogno si è manifestato nella Chiesa. – Di più è da distinguere fra l’inizio di un fatto e la sua esplicazione; poiché ciò che può nascere in un giorno, non cresce se non col tempo. E questa è la ragione perché il critico debba nuovamente spartire in due i documenti già disposti per età, sceverando quelli che riguardano le origini di un fatto da quelli che appartengono al suo svolgimento, e questi eziandio ordini secondo il succedersi dei tempi. – Ciò fatto, entra di nuovo in scena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell’evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si è trovata, i bisogni così interni che esterni che l’hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontrò: a dir breve, tutto ciò che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. – Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si dà mano a stendere la narrazione: la storia è compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovrà attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo né all’uno all’altro, sì bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa è un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente pietà questi uomini, dei quali l’Apostolo ripeterebbe: “Svanirono nei pensamenti… imperocché vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti” (Rom., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cioè alla Chiesa ciò che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi. Dall’avere così disgregati i documenti e seminatili lungo le età, segue naturalmente che i Libri sacri non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il nome. E questo è il motivo perché i modernisti non esitano punto nell’affermare che quei libri, e specialmente il Pentateuco ed i tre primi Vangeli, da una breve narrazione primitiva, son venuti man mano crescendo per aggiunte o interpolazioni, sia a maniera di interpretazioni o teologiche o allegoriche, sia a modo di transizioni che unissero fra sé le parti. A dir più breve e più chiaro vogliono che debba ammettersi la evoluzione vitale dei Libri sacri, nata dalla evoluzione della fede e ad essa corrispondente. Aggiungono di più, che le tracce di cotale evoluzione sono tanto manifeste, da potersene quasi scrivere una storia. La scrivono anzi questa storia, e con tanta sicurezza che si sarebbe tentati a creder aver essi visto coi propri occhi i singoli scrittori che di secolo in secolo stesero la mano all’ampliazione delle sante Scritture. A conferma di che, chiamano in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere che questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verità che si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che servano di criterio certissimo per giudicare ciò che stia al suo posto e ciò che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi può come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto scoprirvi si gran numero di incongruenze, è spinto a credere che nessun uomo prima di loro abbia sfogliato quei libri, né che li abbia ricercati per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per scienza, per santità di vita più di loro. I quali Dottori sapientissimi, tanto fu lungi che trovassero nulla da riprendere nei Libri santi, che anzi quanto più ringraziavano Iddio, che si fosse così degnato di parlare con gli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non attesero allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i modernisti! Cioè non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae principio dalla negazione di Dio, né fecero a se stessi norma di giudicare. Crediamo adunque che sia ormai posto in luce il metodo storico dei modernisti. Precede il filosofo; segue lo storico; tengon dietro per ordine la critica interna e la testuale. E poiché la prima causa questo ha di proprio che comunica la sua virtù alle seconde, è evidente che siffatta critica non è una critica qualsiasi, ma una critica agnostica, immanentista, evoluzionista; e perciò chi la professa o ne fa uso, professa gli errori in essa racchiusi e si pone in contraddizione colla Dottrina Cattolica. Per la quale cosa non può finirsi di stupire come una critica di tal genere possa oggidì aver tanta voga presso cattolici. Di ciò può assegnarsi una doppia causa: la prima è l’alleanza onde gli storici ed i critici di questa specie sono legati fra loro senza riguardi a diversità di nazioni o di credenze; la seconda è l’audacia indicibile, con cui ogni stranezza che uno di loro proferisca, dagli altri è levata al cielo e decantata qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso verificare il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi lo trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di encomî. Così non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero le cose, ne sarebbero inorriditi. Da questo prepotente imporsi dei fuorviati, da questo incauto assentimento di animi leggeri nasce poi un quasi corrompimento di atmosfera che tutto penetra e diffonde per tutto il contagio. – Ma passiamo all’apologista. Costui, nei modernisti, dipende ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando per sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del filosofo: poi direttamente accettando dal filosofo i principî e i giudizî. Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova apologia debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e psicologiche. Ond’è che gli apologisti dan capo al loro lavoro coll’ammonire i razionalisti che essi difendono la Religione non coi Libri sacri né con le storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia moda; ma con la storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con metodo moderno. E ciò dicono, non quasi argomentando ad hominem, ma perché difatti credono che solo in tale storia si trovi la verità. Non si curano poi, nello scrivere, di insistere sulla propria sincerità: sono essi già noti presso i razionalisti, sono già lodati siccome militanti sotto una stessa bandiera; della quale lode, che ad un Cattolico dovrebbe fare ribrezzo, essi si compiacciono o se ne fanno scudo contro le riprensioni della Chiesa. Ma vediamo in pratica come uno di costoro compia la sua apologia. Il fine che si propone è di condurre l’uomo che ancora non crede a provare in sé quella esperienza della Cattolica Religione che, secondo i modernisti, è base della fede. Due vie perciò gli si aprono, l’una oggettiva, l’altra soggettiva. La prima muove dall’agnosticismo; e tende a dimostrare come nella religione e specialmente nella cattolica vi sia tale virtù vitale, da costringere ogni savio psicologo e storico ad ammettere che nella storia di essa si nasconda alcun che di incognito. A tale scopo fa d’uopo provare che la Religione Cattolica qual è al presente, è la stessissima che Gesù Cristo fondò, ossia il progressivo sviluppo del germe recato da Gesù Cristo. Pertanto dovrà dapprima determinarsi quale esso sia questo germe. Pretendono di esprimerlo con la seguente formula: Cristo annunciò la venuta del regno di Dio, il quale regno dovrebbe aver fra breve il suo compimento, ed Egli ne sarebbe il Messia, cioè l’esecutore stabilito da Dio e l’ordinatore. Dopo ciò converrà dimostrare come questo germe, sempre immanente nella Religione Cattolica, di mano in mano e di pari passo con la storia, siasi sviluppato e sia venuto adattandosi alle successive circostanze, da queste vitalmente assimilandosi quanto gli si affacesse di forme dottrinali, culturali, ecclesiastiche; superando nel tempo stesso gli ostacoli, sbaragliando i nemici, e sopravvivendo ad ogni sorta di contraddizioni o di lotte. Dopo che tutto questo, cioè gl’impedimenti, i nemici, le persecuzioni, i combattimenti, come pure la vitalità e fecondità della Chiesa, siansi mostrati tali che, quantunque nella storia della stessa Chiesa si scorgano serbate le leggi della evoluzione, pure queste non bastano a pienamente spiegarla: l’incognito sarà dl fronte e si presenterà da sé stesso. Fin qui i modernisti. I quali, però, in tutto questo discorrere, non pongon mente a una cosa; e cioè, che quella determinazione del germe primitivo è tutto frutto dell’apriorismo del filosofo agnostico ed evoluzionista, e che il germe stesso è così gratuitamente da loro definito pel buon giuoco della loro causa. Mentre però i nuovi apologisti, cogli argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la Religione Cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che spiacciono. Che anzi, con una mal velata voluttà, van ripetendo pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e contraddizioni; benché soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo meritano scusa, ma, ciò che è più strano, sono da legittimarsi e giustificarsi. Così pure, secondo essi, nelle sacre Scritture corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica. Ma, dicono, non sono quelli, libri di scienza o di storia, sì bene di religione e di morale, ove la scienza e la storia sono involucri con cui si coprono le esperienze religiose e morali per meglio propagarsi nel pubblico; il quale pubblico non intendendo altrimenti, una scienza od una storia più perfetta sarebbe gli stata non di vantaggio ma di nocumento. Del resto, aggiungono, i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica; diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt’altro ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll’ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. – Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che “scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio” (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e con le parole di Sant’Agostino protestiamo che: “Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell’autore menzognero” (Epist. 28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: “In esse – cioè nelle Scritture – ciascuno crederà quel che vuole, quel che non vuole non crederà“. Ma i modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî di predicazione legittimati dalla vita. Che più? Concedono, anzi sostengono, che Gesù Cristo stesso errò manifestamente nell’assegnare il tempo della venuta del regno di Dio: ma ciò, secondo essi, non può fare meraviglia, perché Egli ancora era sottoposto alle leggi della vita! Che sarà dopo ciò dei dogmi della Chiesa? Riboccano pur questi di aperte contraddizioni; ma, oltreché sono ammesse dalla logica della vita, non si oppongono alla verità simbolica; giacché si tratta in essi dell’infinito, che ha infiniti rispetti. A far breve, talmente approvano e difendono siffatte teorie, che non si peritano di dichiarare non potersi rendere all’infinito omaggio più nobile, come affermando di esso cose contraddittorie! Ed ammessa così la contraddizione, quale assurdo non si ammetterà? Oltre agli argomenti oggettivi, il non credente può essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo caso gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si adoprano cioè a convincer l’uomo, che in lui stesso e negli intimi recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il bisogno di una religione, né di una religione qualsiasi, ma tale quale è appunto la cattolica; giacché questa, dicono, è postulata onninamente dal perfetto sviluppo della vita. E qui di bel nuovo siam costretti a lamentarCi gravemente che non mancano Cattolici i quali, benché rigettino la dottrina dell’immanenza come dottrina, pure se ne giovano per l’apologetica; e ciò fanno con sì poca cautela, da sembrare ammettere nella natura umana non pure una capacità od una convenienza per l’ordine soprannaturale, ciò che gli apologisti cattolici, con le debite restrizioni, dimostrarono sempre, ma una stretta e vera esigenza. A dir più giusto però, questa esigenza della Religione Cattolica è sostenuta dai modernisti più moderati. Quelli fra costoro che potremmo chiamare integralisti, pretendono che si debba indicare all’uomo, che ancor non crede, latente in lui lo stesso germe che fu nella coscienza di Cristo e da Cristo trasmesso agli uomini. Ed eccovi, o Venerabili Fratelli, descritto per sommi capi il metodo apologetico dei modernisti, in tutto conforme alle loro dottrine: metodo e dottrine infarciti di errori, atti non ad edificare, ma a distruggere; non a far dei cattolici, ma a trascinare i cattolici nella eresia, anzi alla distruzione totale d’ogni religione! – Restano per ultimo a dir poche cose del modernista in quanto la pretende a riformatore. Già le cose esposte finora ci provano abbondantemente da quale smania di innovazione siano rôsi codesti uomini. E tale smania ha per oggetto quanto vi è nel cattolicismo. Vogliono riformata la filosofia specialmente nei Seminarî: sì che relegata la filosofia scolastica alla storia della filosofia in combutta cogli altri sistemi passati di uso, si insegni ai giovani la filosofia moderna, unica, vera e rispondente ai nostri tempi. A riformare la teologia, vogliono che quella, che diciamo teologia razionale, abbia per fondamento la moderna filosofia. Chiedono inoltre che la teologia positiva si basi principalmente sulla storia dei dogmi. Anche la storia chiedono che si scriva e si insegni con metodi loro e precetti nuovi. Dicono che i dogmi e la loro evoluzione debbano accordarsi con la scienza e la storia. Per il catechismo esigono che nei libri catechistici si inseriscano solo quei dogmi, che sieno stati riformati e che sieno a portata dell’intelligenza del volgo. Circa il culto, gridano che si debbano diminuire le devozioni esterne e proibire che si aumentino. Benché a dir vero, altri più favorevoli al simbolismo, si mostrino in questa parte più indulgenti. Strepitano a gran voce perché il regime ecclesiastico debba essere rinnovato per ogni verso, ma specialmente pel disciplinare e il dogmatico. Perciò pretendono che dentro e fuori si debba accordare con la coscienza moderna, che tutta è volta a democrazia; perché dicono doversi nel governo dar la sua parte al clero inferiore e perfino al laicato, e decentrare, Ci si passi la parola, l’autorità troppo riunita e ristretta nel centro. Le Congregazioni romane si devono svecchiare: e, in capo a tutte, quella del Santo Officio e dell’Indice. Deve cambiarsi l’atteggiamento dell’autorità ecclesiastica nelle questioni politiche e sociali, talché si tenga essa estranea dai civili ordinamenti, ma pur vi si acconci per penetrarli del suo spirito. In fatto di morale, danno voga al principio degli americanisti, che le virtù attive debbano anteporsi alle passive, e di quelle promuovere l’esercizio, con prevalenza su queste. Chiedono che il clero ritorni all’antica umiltà e povertà; ma lo vogliono di mente e di opere consenziente coi precetti del modernismo. Finalmente non mancano coloro che, obbedendo volentierissimo ai cenni dei loro maestri protestanti, desiderano soppresso nel sacerdozio lo stesso sacro celibato. Che si lascia dunque d’intatto nella Chiesa, che non si debba da costoro e secondo i lor principî riformare? – In tutta questa esposizione della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili Fratelli, prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò necessario, sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro cose, e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo, non parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti tutto il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo abbracciamo l’intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo, affermando esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse proposto di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la fede furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si spinsero che, come già osservammo, non pure il Cattolicesimo ma ogni qualsiasi religione hanno distrutta. Così si spiegano i plausi dei razionalisti: perciò coloro, che fra i razionalisti parlano più franco ed aperto, si rallegrano di non avere alleati più efficaci dei modernisti. E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell’agnosticismo. Con essa, dalla parte dell’intelletto, è chiusa all’uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell’azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? Il sentimento risponde sempre all’azione di un oggetto, che sia proposto dall’intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l’intelletto; l’uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell’animo non è di aiuto ma d’impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell’altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell’azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l’uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all’esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell’oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l’intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in specialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l’avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell’intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l’ateismo o l’irreligione assoluta. Né i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocché se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perché non sarà un simbolo il nome stesso di Dio o di personalità divina? E se è cosi, si potrà bene dubitare della stessa divina personalità, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cioè al puro panteismo, mena l’altra dottrina dell’immanenza divina. Giacché domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall’uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perché mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l’immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall’uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l’uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo. Finalmente pari è la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L’oggetto della scienza lo pongono essi nella realtà del conoscibile; quello della fede nella realtà dell’inconoscibile. Orbene l’inconoscibile è tale per la totale mancanza di proporzione fra l’oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potrà mai esser tolta. Dunque l’inconoscibile resterà sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avrà una religione, questa sarà della realtà dell’inconoscibile. La quale realtà perché poi non possa essere l’anima universale del mondo, come l’ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all’ateismo e alla distruzione di ogni religione. L’errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l’ateismo. – A più intimamente conoscere il modernismo e a trovare più acconci rimedi a sì grave malore, gioverà ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso è nato ed è venuto crescendo. Non ha dubbio che la prima causa ed immediata sta nell’aberrazione dell’intelletto. Quali cause remote due Noi ne riconosciamo:la curiosità e la superbia. La curiosità, se non saggiamente frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori. Per lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva (Lett. Enc. “Singulari Nos”, 25 giugno 1834): “È grandemente da piangere nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell’umana ragione, quando taluno corra dietro alle novità, e, contro l’avviso dell’Apostolo, si adoperi di saper più che saper non convenga, e confidando troppo in se stesso, pensi dover cercare la verità fuori della Chiesa cattolica, in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova“. Ma ad accecare l’animo e trascinarlo nell’errore assai più di forza ha in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del modernismo quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e riveste tutte le forme. Per la superbia infatti costoro presumono audacemente di se stessi e si ritengono e si spacciano come norma di tutti. Per la superbia si gloriano vanissimamente quasi essi soli possiedano la sapienza, e dicono gonfi e pettoruti: “Noi non siamo come il rimanente degli uomini“; e per non essere di fatto posti a paro degli altri, abbracciano e sognano ogni sorta di novità, le più assurde. Per la superbia ricusano ogni soggezione, e pretendono che l’autorità debba comporsi colla libertà. Per la superbia, dimentichi di se stessi, pensano solo a riformare gli altri, né rispettano in ciò qualsivoglia grado fino alla potestà suprema. No, per giungere al modernismo, non vi è sentiero più breve e spedito della superbia. Se un laico cattolico, se un sacerdote dimentichi il precetto della vita cristiana che c’impone di rinnegare noi stessi se vogliamo seguire Gesù Cristo, né sradichi dal suo cuore la mala pianta della superbia; sì costui è dispostissimo quanto mai a professare gli errori del modernismo! Per lo che, o Venerabili Fratelli, sia questo il primo vostro dovere di resistenza a questi uomini superbi, occuparli negli uffici più umili ed oscuri, affinché siano tanto più depressi quanto più essi s’inalberano, e, posti in basso, abbiano minor campo di nuocere. Inoltre, sia da voi stessi, sia per mezzo dei rettori dei Seminari, cercate con somma diligenza di conoscere i giovani che aspirano ad entrare nel clero; e se alcuno ne troviate di carattere superbo, con ogni risolutezza respingetelo dal sacerdozio. Si fosse cosi operato sempre, colla vigilanza e fortezza che faceva di mestieri! Che se dalle cause morali veniamo a quelle che spettano all’intelletto, la prima da notarsi è l’ignoranza. I modernisti, quanti essi sono, che vogliono apparire e farla da dottori nella Chiesa, esaltando a grandi voci la filosofia moderna e schernendo la scolastica, se hanno abbracciata la prima ingannati dai suoi orpelli, ne devono saper grado alla totale ignoranza in che erano della seconda, e dal mancare perciò di mezzo per riconoscere la confusione delle idee e ribattere i sofismi. Dal connubio poi della falsa filosofia colla fede è sorto il loro sistema, riboccante di tanti e si enormi errori. Alla propagazione del quale portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta invece è la loro alacrità, cosi indefesso il lavoro, che da strazio il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali, rettamente usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno gli animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli ostacoli, poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e pazientissimi li mettono in opera. Degli ostacoli, tre sono i principali che più sentono opposti ai loro conati: il metodo scolastico di ragionare, l’autorità dei Padri con la tradizione, il magistero ecclesiastico. Contro tutto questo la loro lotta è accanita. Deridono perciò continuamente e disprezzano la filosofia e la teologia scolastica. Sia che ciò facciano per ignoranza, sia che il facciano per timore o meglio per l’una cosa insieme e per l’altra; certo si è che la smania di novità va sempre in essi congiunta coll’odio della Scolastica; né vi ha indizio più manifesto che taluno cominci a volgere al modernismo, che quando incominci ad aborrire la Scolastica. Ricordino i modernisti e quanti li favoriscono la condanna che Pio IX inflisse alla proposizione che diceva (Sillabo, Prop. 12): “Il metodo ed i principî, con cui gli antichi Dottori scolastici trattarono la teologia, più non si confanno ai bisogni dei nostri tempi ed ai progressi della scienza“. Sono poi astutissimi nello stravolgere la natura e l’efficacia della Tradizione, alfin di privarla di ogni peso e di ogni autorità. Ma starà sempre per i cattolici l’autorità del secondo Sinodo Niceno, il quale condannò “coloro che osano… secondo gli scellerati eretici, disprezzare le ecclesiastiche tradizioni ed escogitare qualsiasi novità o architettare con malizia ed astuzia di abbattere checché sia delle legittime tradizioni della Chiesa cattolica“. Starà sempre la professione del quarto Sinodo Costantinopolitano: “Noi dunque professiamo di serbare e custodire le regole, che tanto dai santi famosissimi Apostoli, quanto dagli uni versali e locali Concili degli ortodossi o anche da qualunque deiloquo Padre e Maestro della Chiesa, furono date alla santa cattolica ed apostolica Chiesa“. Per lo che i Romani Pontefici Pio IV e Pio IX nella professione di fede vollero aggiunto anche questo: “Io ammetto fermissimamente ed abbraccio le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della medesima Chiesa“. Né altrimenti che della Tradizione giudicano i modernisti dei santissimi Padri dellaChiesa. Con estrema temerità li spacciano, come degnissimi bensì di ogni venerazione, ma ignorantissimi dicritica e di storia, scusabili solo pei tempi in che vissero. Si studiano infine e si sforzano di attenuare e svilirel’autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia pervertendo ne sacrilegamente l’origine, la natura, i diritti,sia ricantando liberamente contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra detto ciòche con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro (Motu proprio “Ut mysticam“, 14 marzo 1891): “Per rendere spregiata ed odiosa la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle tenebre furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e, stravolto il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di oscurità, mentitrice d’ignoranza, nemica della luce e del progresso delle scienze“. Dopociò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia se i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai modernisti di somma malevolenza e di livore? Non vi è specie d’ingiurie con cui non li lacerino: l’accusa più usuale è quella di chiamarli ignoranti ed ostinati. Che se la dottrina e l’efficacia di chi li confuta dà loro timore, ne incidono i nervi colla congiura del silenzio. E questa maniera di fare a riguardo dei cattolici è tanto più odiosa perché nel medesimo tempo e senza modo né misura, con continue lodi esaltano chi sta dalla loro; i libri di costoro riboccanti di novità accolgono ed ammirano con grandi applausi; quanto più alcuno si mostra audace nel distruggere l’antico, nel rigettare la tradizione e il magistero ecclesiastico, tanto più gli dàn vanto di sapiente; e per ultimo, ciò che fa inorridire ogni anima retta, se qualcuno sia con dannato dalla Chiesa non solo pubblicamente e profusamente lo encomiano, ma quasi lo venerano come martire della verità. Da tutto questo strepito di lodi e d’improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall’altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosità e dalla superbia, si dànno per vinti e passano al modernismo. Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti siano tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll’azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usciti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant’oltre, pure, respirata un’aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l’intenzione con cui operano e per l’aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti. A questo torrente di gravissimi errori, che di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di felice ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i modernisti, lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il maggior rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad altri. Cosi il male è venuto pigliando forza ogni giorno più. – Abbiamo dunque deciso, o Venerabili Fratelli, di non tergiversare più oltre e di por mano a misure più energiche. Preghiamo perciò e scongiuriamo voi che, in negozio di tanto rilievo, non Ci lasciate minimamente desiderare la vostra vigilanza e diligenza e fortezza. E quel che chiediamo ed aspettiamo da voi, lo chiediamo altresì e lo aspettiamo dagli altri pastori delle anime, dagli educatori e maestri del giovine clero, e specialmente dai Superiori generali degli Ordini religiosi.

I

La prima cosa adunque, per ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene inteso che, “se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che mal si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in qualsivoglia modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto ciò debba servir d’esempio da imitare anche ai di nostri” (Leone XIII, Enc. “Æterni Patris“). Ciò che conta anzi tutto è che la filosofia scolastica, che Noi ordiniamo di seguire, si debba precipuamente intendere quella di San Tommaso di Aquino: intorno alla quale tutto ciò che il Nostro Predecessore stabilì, intendiamo che rimanga in pieno vigore, e se è bisogno, lo rinnoviamo e confermiamo e severamente ordiniamo che sia da tutti osservato. Se nei Seminari si sia ciò trascurato, toccherà ai Vescovi insistere ed esigere che in avvenire si osservi. Lo stesso comandiamo ai Superiori degli Ordini religiosi. Ammoniamo poi quelli che insegnano, di ben persuadersi, che il discostarsi dall’Aquinate, specialmente in cose metafisiche, non avviene senza grave danno. Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l’edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un’alta stima ed un grande amore e l’abbiano sempre carissimo. Imperocché “nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle” (Leone XIII, Lett. Ap. “In magna“, 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. – In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): “Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl’ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio“. Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): “La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori“. Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali.

II

A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l’attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall’ufficio cosi di reggere e cosi d’insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull’esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza. Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l’amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea dì teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell’anno 1896 pei chierici d’Italia dell’uno e dell’altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d’ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell’avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente.

III

È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni Cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa sì che tali libri siano letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo. – Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi“. Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s’impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l’uno o l’altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l’autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l’Irnprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nell’autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l’articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica “Officiorum“: “Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell’indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia“.

IV

Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d’uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione “Officiorum“, esigono l’autorizzazione dell’Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l’esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall’uno e dall’altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l’esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa con la parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L’elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll’annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell’eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell’Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell’articolo XLII della citata Costituzione “Officiorum“, cioè: “È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell’Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici“. Del quale permesso, dopo ammonizione, saràprivato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori,poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano iVescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso conogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati,provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai Cattoliciabbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sarà obbligo di questo leggere opportunamentei singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato.

V

Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di Sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire Sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i Sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. “Nobilissima Gallorum“, 10 febbraio 1884): “Sia intangibile presso i sacerdoti l’autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile“.

VI

Ma che gioveranno, o Venerabili Fratelli, i Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso espediente estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell’Umbria (Atti del Congr. dei Vescovi dell’Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: “Ad estirpare – così essi – gli errori già diffusi e ad impedire che più oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà, pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale diffusione, il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo, stabilisce che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli dei due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal principio e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che è peggio, si afforzi e cresca“. Stabiliamo adunque che un siffatto Consiglio, che si chiamerà di vigilanza, si istituisca quanto prima in tutte le diocesi. I membri di esso si sceglieranno colle stesse norme già prescritte pei Censori dei libri. Ogni due mesi, in un giorno determinato, si raccoglierà in presenza del Vescovo: le cose trattate o stabilite saranno sottoposte a legge di secreto. I doveri degli appartenenti al Consiglio saranno i seguenti: Scrutino con attenzione gl’indizi di modernismo tanto nei libri che nell’insegnamento; con prudenza, prontezza ed efficacia stabiliscano quanto è d’uopo per la incolumità del clero e della gioventù. Combattano le novità di parole, e rammentino gli ammonimenti di Leone XIII (S. C. AA. EE. SS., 27 gennaio 1901): “Non si potrebbe approvare nelle pubblicazioni cattoliche un linguaggio che ispirandosi a malsana novità sembrasse deridere la pietà dei fedeli ed accennasse a nuovi orientamenti della vita cristiana, a nuove direzioni della Chiesa, a nuove ispirazioni dell’anima moderna, a nuova vocazione del clero, a nuova civiltà cristiana“. Tutto questo non si sopporti così nei libri come dalle cattedre.Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non permettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioniche sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade,quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. Circa le sacreReliquie si abbiano queste norme. Se i Vescovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano con certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz’altro dal culto dei fedeli… Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla pubblica venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione. L’argomento di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e sacre Reliquie, in questi termini: “Le Reliquie antiche sono da conservarsi nella venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si abbiano argomenti certi che sono false o supposte“. Nel portar poi giudizio delle pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa materia fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si raccontino nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione prescritta da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la verità del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti dichiarava fin da trent’anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): “Siffatte apparizioni o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola fede umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da idonei testimoni e documenti“. Niun timore può ammettere chi a questa regola si tenga. Imperocché il culto di qualsivoglia apparizione, in quanto riguarda il fatto stesso e dicesi relativo, ha sempre implicita la condizione della verità del fatto: in quanto poi è assoluto, si fonda sempre nella verità, giacché si dirige alle persone stesse dei santi che si onorano. Lo stesso vale delle Reliquie. Commettiamo infine al Consiglio di vigilanza, di tener d’occhio assiduamente e diligentemente gl’istituti sociali come pure gli scritti di questioni sociali affinché nulla vi si celi di modernismo, ma ottemperino alle prescrizioni dei Romani Pontefici.

VII

Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti. Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civiltà. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, è Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll’aiuto di quanti fra i Cattolici sono più insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il Magistero della cattolica verità, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Gesù Cristo. Ma di ciò in altra opportunità. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella cui opera e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei lumi Celesti, affinché in tanto periglio delle anime per gli errori che da ogni banda s’infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e con ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virtù Gesù Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista coll’intercessione e coll’aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie. – E Noi, come pegno della Nostra carità e delle divine consolazioni fra tante contrarietà, impartiamo con ogni affetto a voi, al vostro clero ed ai vostri fedeli l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 settembre 1907, nell’anno V del Nostro Pontificato.

“LAMENTABILI SANE EXITU”

“SUL PERICOLO COSTITUITO DA CERTI ESEGETI CHE, CON L’APPARENZA DI INTELLIGENZA E

COL NOME DI CONSIDERAZIONE STORICA, CORROMPONO LA DOTTRINA”

SUPREMA SACRA INQUISIZIONE ROMANA ED UNIVERSALE

Con deplorevoli frutti, l’età nostra, impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose, non di rado segue talmente le novità, che, lasciata da parte, per così dire, l’eredità del genere umano, cade in errori gravissimi. Questi errori sono di gran lunga più pericolosi qualora si tratti della disciplina sacra, dell’interpretazione della Sacra Scrittura, dei principali misteri della Fede. – È da dolersi poi grandemente che, anche fra i cattolici, si trovino non pochi scrittori i quali, trasgredendo i limiti stabiliti dai Padri e dalla Santa Chiesa stessa, sotto le apparenze di più alta intelligenza e col nome di considerazione storica, cercano un progresso dei dogmi che, in realtà, è la corruzione dei medesimi. – Affinché dunque simili errori, che ogni giorno si spargono tra i fedeli, non mettano radici nelle loro anime e corrompano la sincerità della Fede, piacque al Santissimo Signore Nostro Pio per divina Provvidenza Papa X, che per questo officio della Sacra Romana ed Universale Inquisizione si notassero e si riprovassero quelli fra di essi che sono i precipui. Perciò, dopo istituito diligentissimo esame e avuto il voto dei Reverendi Signori Consultori, gli Eminentissimi e Reverendissimi Signori Cardinali Inquisitori generali nelle cose di fede e di costumi, giudicarono che le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende ai cultori della critica o dell’esegesi scientifica dei Libri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2. L’interpretazione che la Chiesa dà dei Libri sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato giudizio e alla correzione degli esegeti.

3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati contro l’esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in realtà non si possono accordare con le vere origini della religione cristiana.

4. Il magistero della Chiesa non può determinare il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.

5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare sulle asserzioni delle discipline umane.

6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.

7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei dati.

8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione dell’Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.

9. Coloro che credono che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.

10. L’ispirazione dei Libri dell’Antico Testamento consiste nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto ai gentili.

11. L’ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni errore.

12. L’esegeta, qualora voglia affrontare con utilità gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto inerente l’origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.

13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo presso i giudei.

14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.

15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi, pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.

16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia, ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità storica.

17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché fossero più adatti a significare l’opera e la gloria del Verbo Incarnato.

18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.

19. Gli esegeti eterodossi espresso più fedelmente il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall’uomo circa la sua relazione con Dio.

21. La Rivelazione, che costituisce l’oggetto della Fede cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l’interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

23. Può esistere, ed esiste in realtà, un’opposizione tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi i fatti che la Chiesa crede certissimi.

24. Non dev’essere condannato l’esegeta che pone le premesse, cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente i dogmi stessi.

25. L’assenso della Fede si appoggia da ultimo su una congerie di probabilità.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce dal concetto di Messia.

28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a dimostrarlo.

29. Si può ammettere che il Cristo storico sia molto inferiore al Cristo della Fede.

30. In tutti i testi evangelici, il nome “Figlio di Dio” equivale soltanto a nome “Messia” e non significa assolutamente che Cristo è vero e naturale Figlio di Dio.

31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.

32. Non è possibile conciliare il senso naturale dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.

33. È evidente a chiunque non sia influenzato da opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.

34. Il critico non può affermare che la scienza di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi – non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale – secondo la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.

35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità messianica.

36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale, non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente trasse dagli altri.

37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale di Cristo presso Dio.

38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo non è evangelica, ma solo paolina.

39. Le opinioni sull’origine dei Sacramenti, di cui erano imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici del Cristianesimo dànno credito.

40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo, sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.

41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla mente dell’uomo la presenza sempre benefica del Creatore.

42. La comunità cristiana inventò la necessità del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli obblighi della professione cristiana.

43. L’uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un’evoluzione disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè il Battesimo e la Penitenza.

44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti, cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia del cristianesimo primitivo.

45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell’istituzione dell’Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto storico.

46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore, per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché era considerata come Sacramento vergognoso.

47. Le parole del Signore “Ricevete lo Spirito Santo; a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali non li rimetterete non saranno rimessi” [Joh., 20, 22-23] non si riferiscono al Sacramento dellaPenitenza, anche se i Padri tridentini vollero affermarlo.

48. Giacomo, nella sua epistola [Jac., 5, 14 sqq.], non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione e il numero dei Sacramenti.

49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente andava assumendo l’indole di un’azione liturgica.

50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano l’ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o Vescovi per provvedere all’ordinamento necessario delle crescenti comunità, e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.

51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.

52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere prossimo.

53. La costituzione organica della Chiesa non è immutabile; ma la società cristiana, non meno della società umana, va soggetta a continua evoluzione.

54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed evoluzioni dell’intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.

55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto da Cristo il primato nella Chiesa.

56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente politiche.

57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze naturali e teologiche.

58. La verità non è immutabile più di quanto non lo sia l’uomo stesso, poiché si evolve con lui, in lui e per mezzo di lui.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica; poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine ellenica e universale.

61. Si può dire senza paradosso che nessun passo della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all’ultimo dell’Apocalisse, contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.

62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno per i cristiani del nostro tempo.

63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente l’etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili, inconciliabili con i progressi odierni.

64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione, della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.

65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un Cristianesimo non dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.

Nella seguente Feria V, il giorno 4 dello stesso mese ed anno, fatta di tutte queste cose accurata relazione al Santissimo Signor Nostro Pio Papa X, Sua Santità approvò e confermò il Decreto degli Eminentissimi Padri e diede ordine che tutte e singole le sopra enumerate proposizioni siano considerate da tutti come riprovate e condannate.

Dato a Roma, presso il Palazzo del Sant’Uffizio, il giorno 3 del mese di Luglio dell’Anno 1907

Pietro Palombelli

Notaro della Sacra Inquisizione Romana ed Universale

SACRORUM ANTISTITUM

Motu proprio

che stabilisce alcune leggi per respingere il pericolo del modernismo

Acta Apostolicae Sedis, AAS 02 [1910], pp. 655-669,


Riteniamo che non sia sfuggito a nessuno dei santi Vescovi, che i modernisti, la maliziosissima categoria d’uomini che avevamo smascherato per loro nella Lettera enciclica Pascendi Dominici Gregis, non si sono astenuti dai propositi di turbare la pace della Chiesa.

Infatti hanno continuato ad adescare nuovi seguaci e a farli associare mediante un’alleanza segreta, e con essi ad inoculare nelle vene del cristianesimo il virus delle loro opinioni, pubblicando, anonimamente o sotto pseudonimi, libri ed articoli.

Se, riletta la summenzionata Nostra Lettera, si considera con più attenzione lo sviluppo di quest’audacia, per mezzo della quale Ci è arrecato tanto dolore, apparirà chiaramente che uomini di tale condotta non sono altro che quelli che abbiamo già descritto là, nemici tanto più temibili quanto più sono vicini; i quali abusano del loro ministero per porre sull’amo un’esca avvelenata con cui corrompere gli sprovveduti, divulgando un’apparenza di dottrina, in cui è contenuta la somma di tutti gli errori.

Dato che questa peste si sparge attraverso quella parte del campo del Signore da cui ci si aspetterebbero i frutti più lieti, se da un lato è proprio di tutti i Vescovi spendersi in difesa della fede cattolica, e vigilare con somma diligenza affinché l’integrità del deposito divino non riceva alcun danno, dall’altro lato a Noi è di massima pertinenza fare ciò che ha comandato Cristo Salvatore, il quale a Pietro (il cui principato, seppur indegnamente, Noi abbiamo ricevuto,) disse: Conferma i tuoi fratelli. Appunto per questa causa, cioè, affinché gli animi dei buoni siano confermati nell’affrontare la presente battaglia, abbiamo ritenuto opportuno riportare delle frasi e delle prescrizioni del Nostro suddetto documento, espresse con queste parole:

A queste cose, che chiaramente confermiamo tutte, pena un peso sulla coscienza per coloro che avranno rifiutato di ascoltare quanto detto, ne aggiungiamo altre, che sono specificamente riferite agli aspiranti sacerdoti che vivono nei Seminari e ai novizi degli istituti religiosi.

– Nei Seminari certamente occorre che tutte le parti dell’istituzione tendano al medesimo fine di formare un sacerdote degno di tale nome. Ed infatti non si può ritenere che simili tirocini si estendano solamente o agli studi o alla pietà. L’ammaestramento fonde in un tutto unico entrambi gli aspetti, ed essi sono simili a palestre finalizzate a formare la sacra milizia di Cristo con una preparazione duratura. Dunque affinché da essi esca un esercito ottimamente istruito, sono assolutamente necessarie due cose, la cultura per l’istruzione della mente, la virtù per la perfezione dell’anima. L’una richiede che la gioventù che si prepara al sacerdozio sia massimamente istruita in quelle scienze che hanno un legame più stretto con gli studi delle cose divine; l’altra esige una straordinaria eccellenza di virtù e di costanza. Vedano dunque i rettori quale aspettativa di disciplina e di pietà si possa nutrire riguardo agli allievi, e scrutino quale sia l’indole dei singoli; se seguono il loro istinto più giusto o se sembrano abbracciare delle disposizioni di spirito profane; se sono docili nell’obbedire, inclini alla pietà, umili, osservanti della disciplina; se aspirano alla dignità di sacerdote perché si sono prefissati il giusto obiettivo, o perché spinti da ragioni umane; se, infine, sono adeguatamente ricchi di santità di vita e di cultura; o se, mancando loro qualcosa di queste, si sforzano almeno di acquisirla con animo sincero e pronto. Né l’indagine presenta troppa difficoltà; giacché i doveri religiosi compiuti lamentandosi, e la disciplina osservata a causa del timore e non della voce della coscienza, rivelano immediatamente la mancanza delle virtù che ho elencato. Colui che tiene come principio il timore servile, o si infiacchisce per debolezza di carattere o disprezzo, è quanto mai lontano dalla speranza di poter esercitare santamente il sacerdozio. Infatti difficilmente si può credere che uno che disprezza le discipline domestiche non verrà poi meno alle leggi pubbliche della Chiesa. Se il rettore della scuola avrà individuato qualcuno con questa disposizione d’animo, e se, dopo averlo ammonito più volte, fatta una prova di un anno, avrà capito che quello non desiste dalla sua consuetudine, lo espella, in modo tale che in futuro non possa più essere accettato né da lui né da alcun Vescovo.

Dunque per promuovere i chierici si richiedano assolutamente queste due; l’onestà di vita unita alla sana dottrina: E non sfugga che quei precetti e moniti coi quali i Vescovi si rivolgono a coloro che stanno per ricevere gli ordini sacri, sono rivolti a questi non meno che a coloro che vi aspirano, allorché viene detto: “Si deve fare in modo che quelli scelti per tale compito siano illustri per saggezza spirituale, onestà di costumi e costante rispetto della giustizia … Siano onesti e assennati tanto nella scienza quanto nelle opere … splenda in essi la bellezza della santità nella sua interezza“.

E certamente dell’onestà di vita si sarebbe detto abbastanza, se questa potesse con poco sforzo essere separata dalla cultura e dalle opinioni, che ciascuno si sarà riservato di sostenere. Ma, come è nel Libro dei Proverbi: L’uomo è stimato secondo la sua cultura (Prov. XII, 8)e come insegna l’Apostolo: Chi… non rimane nella dottrina di Cristo, non possiede Dio (II Giov., 9). Quanto impegno sia da dedicare alle molte e varie cose da imparare bene, lo insegna persino la stessa pretesa dell’epoca attuale, la quale proclama che niente è più glorioso della luce dell’umanità che progredisce. Dunque quanti sono nelle file del clero, se vogliono dedicarsi al loro compito conformemente ai tempi;con frutto esortare gli altri nella sana dottrina e convincere quelli che la contraddicono (Tito, I,9); applicare le risorse dell’ingegno a vantaggio della Chiesa, devono necessariamente raggiungere una conoscenza delle cose tutt’altro che di basso livello, e avvicinarsi all’eccellenza nella cultura. Infatti c’è da lottare con nemici tutt’altro che inesperti, i quali aggiungono ai buoni studi un sapere spesso intessuto di trabocchetti, e le cui sentenze belle e vibranti sono proposte con grande abbondanza e rimbombo di parole, affinché in esse sembri risuonare quasi un qualcosa di esotico. Perciò bisogna predisporre opportunamente le armi, cioè, preparare abbondante foraggio di cultura per tutti coloro che, nella vita ritirata della scuola, si stanno accingendo ad assumere incarichi santissimi e difficilissimi.

E’ vero che, poiché la vita dell’uomo è circoscritta da limiti tali per cui da un fonte ricchissimo di conoscenze a stento è dato di assaggiare qualcosa a fior di labbra, bisogna anche temperare la sete di apprendimento e rammentare l’affermazione di Paolo: non è pio sapere tutto quanto necessita sapere, ma sapere in giusta misura (Rom. XII,3). Per cui, dato che ai chierici già sono imposti molti e pesanti studi, sia per quanto riguarda le sacre scritture, i fondamenti della Fede, le consuetudini, la conoscenza delle devozioni e delle celebrazioni, che vanno sotto il nome di ascetica, sia per quanto riguarda la storia della Chiesa, il diritto canonico, la sacra eloquenza; affinché i giovani non perdano tempo nel seguire altre questioni e non vengano distratti dallo studio principale, vietiamo del tutto a costoro la lettura di qualsiasi quotidiano e periodico, anche se ottimo, pena un onere sulla coscienza di quei rettori che non avranno vigilato scrupolosamente per impedirlo.

Inoltre per allontanare il sospetto che qualsiasi modernismo si introduca di nascosto, non solo vogliamo che siano assolutamente rispettate le cose prescritte sopra al n° II, ma comandiamo inoltre che ogni singolo insegnante, prima di cominciare le lezioni all’inizio dell’anno, mostri al suo Vescovo il testo che si propone di insegnare, o le questioni che tratterà, oppure le tesi; quindi che per quell’anno stesso sia tenuto sotto osservazione il metodo d’insegnamento di ciascuno; e se questo sembrerà allontanarsi dalla sana dottrina, sarà causa sufficiente per rimuovere quell’insegnante. Ed infine, che, oltre alla professione di fede, presti giuramento al suo Vescovo, secondo la formula sotto riportata, e firmi.

Questo giuramento, preceduto da una professione di fede nella formula prescritta dal Nostro Predecessore Pio IV, con allegate le definizioni del Concilio Vaticano, lo presteranno dunque davanti al loro Vescovo:

I. I chierici che stanno per ricevere gli ordini maggiori; ad essi singolarmente sia previamente consegnato un esemplare sia della professione di fede, sia della formula del giuramento da emettere, in modo che le conoscano in anticipo accuratamente, essendovi una sanzione, come si vedrà sotto, in caso di violazione del giuramento.

II. I sacerdoti destinati a raccogliere le confessioni, e i sacri predicatori, prima che sia loro concessa facoltà di svolgere tali compiti.

III. I Parroci, i Canonici, i Beneficiari prima di entrare in possesso del beneficio.

IV. Gli ufficiali nelle curie episcopali e nei tribunali ecclesiastici, inclusi il Vicario generale e i giudici.

V. Gli addetti ai sermoni che si tengono nei tempi quaresimali.

VI. Tutti gli ufficiali nelle Congregazioni Romane o nei tribunali, in presenza del Cardinale Prefetto o del Segretario di quella Congregazione o di quel tribunale.

VII. I Superiori e i Docenti delle Famiglie e Congregazioni religiose, prima di assumere l’incarico.

I documenti della professione di fede, di cui abbiamo detto, e dell’avvenuto giuramento siano conservati in appositi registri presso le Curie episcopali, e parimenti presso gli uffici di ciascuna Congregazione Romana. Se poi qualcuno osasse, Dio non voglia, violare qualche giuramento, costui sia deferito al tribunale del Sant’Uffizio.

FORMULA DEL GIURAMENTO

Io … fermamente accetto e credo in tutte e in ciascuna delle verità definite, affermate e dichiarate dal Magistero infallibile della Chiesa, soprattutto quei principi dottrinali che contraddicono direttamente gli errori del tempo presente.

Primo: credo che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza e può anche essere dimostrato con i lumi della ragione naturale nelle opere da lui compiute (cf Rm 1,20), cioè nelle creature visibili, come causa dai suoi effetti.

Secondo: ammetto e riconosco le prove esteriori della rivelazione, cioè gli interventi divini, e soprattutto i miracoli e le profezie, come segni certissimi dell’origine soprannaturale della religione cristiana, e li ritengo perfettamente adatti a tutti gli uomini di tutti i tempi, compreso quello in cui viviamo.

Terzo: con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia ecclesiastica, e sui suoi successori attraverso i secoli.

Quarto: accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto, e respingo del tutto la fantasiosa eresia dell’evoluzione dei dogmi da un significato all’altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; condanno similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito.

Quinto: sono assolutamente convinto e sinceramente dichiaro che la fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall’oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell’intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.

Mi sottometto anche con il dovuto rispetto e di tutto cuore aderisco a tutte le condanne, dichiarazioni e prescrizioni dell’enciclica Pascendi e del decreto Lamentabili, particolarmente circa la cosiddetta storia dei dogmi.

Riprovo altresì l’errore di chi sostiene che la fede proposta dalla Chiesa può essere contraria alla storia, e che i dogmi cattolici, nel senso che oggi viene loro attribuito, sono inconciliabili con le reali origini della religione cristiana.

Disapprovo pure e respingo l’opinione di chi pensa che l’uomo cristiano più istruito si riveste della doppia personalità del credente e dello storico, come se allo storico fosse lecito difendere tesi che contraddicono alla fede del credente o fissare delle premesse dalle quali si conclude che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non siano positivamente negati.

Condanno parimenti quel sistema di giudicare e di interpretare la sacra Scrittura che, disdegnando la tradizione della Chiesa, l’analogia della fede e le norme della Sede apostolica, ricorre al metodo dei razionalisti e con non minore disinvoltura che audacia applica la critica testuale come regola unica e suprema.

Rifiuto inoltre la sentenza di chi ritiene che l’insegnamento di discipline storico-teologiche o chi ne tratta per iscritto deve inizialmente prescindere da ogni idea preconcetta sia sull’origine soprannaturale della tradizione cattolica sia dell’aiuto promesso da Dio per la perenne salvaguardia delle singole verità rivelate, e poi interpretare i testi patristici solo su basi scientifiche, estromettendo ogni autorità religiosa e con la stessa autonomia critica ammessa per l’esame di qualsiasi altro documento profano.

Mi dichiaro infine del tutto estraneo ad ogni errore dei modernisti, secondo cui nella sacra tradizione non c’è niente di divino o peggio ancora lo ammettono ma in senso panteistico, riducendolo ad un evento puro e semplice analogo a quelli ricorrenti nella storia, per cui gli uomini con il proprio impegno, l’abilità e l’ingegno prolungano nelle età posteriori la scuola inaugurata da Cristo e dagli apostoli.

Mantengo pertanto e fino all’ultimo respiro manterrò la fede dei padri nel carisma certo della verità, che è stato, è e sempre sarà nella successione dell’episcopato agli Apostoli (S. Ireneo, Adversus hæreses, 4, 26, 2: PG 7, 1053), non perché si assuma quel che sembra migliore e più consono alla cultura propria e particolare di ogni epoca, ma perché la verità assoluta e immutabile predicata in principio dagli apostoli non sia mai creduta in modo diverso né in altro modo intesa (Tertulliano, De præscriptione hæreticorum, 28: PL 2, 40).

Mi impegno ad osservare tutto questo fedelmente, integralmente e sinceramente e di custodirlo inviolabilmente senza mai discostarmene né nell’insegnamento né in nessun genere di discorsi o di scritti. Così prometto, così giuro, così mi aiutino Dio e questi santi Vangeli di Dio.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (27): “Da S. PIO V ad URBANO VIII”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (27)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar.

(da S. PIO V a URBANO VIII)

S. Pio V: 7 Gennaio 1566 – 1 Maggio 1572

Bolla: “Ex omnibus afflictionis”- 1 Ottobre 1567

Errori di Michele Bajo sulla natura dell’uomo e sulla grazia.

1901. Par. 1 Né i meriti degli Angeli, né quelli del primo uomo che era ancora intatto, sono giustamente chiamati grazia.

1902. Par. 2 Come il male per sua natura merita la morte eterna, così le opere buone per loro natura meritano la vita eterna.

1903. Par. 3. Sia per gli Angeli che per il primo uomo, se avessero perseverato in questo stato fino alla fine della vita, la felicità sarebbe stata una ricompensa e non una grazia.

1904. Par. 4. La vita eterna è stata promessa all’Angelo e all’uomo integro in vista delle opere buone, e le opere buone, in virtù della legge di natura, sono sufficienti per ottenerla.

1905. Par. 5. Nella promessa fatta all’Angelo e al primo uomo è contenuto ciò che costituisce la giustizia naturale, in base alla quale ai giusti viene promessa la vita eterna per le buone opere, senza alcun’altra considerazione.

1906. Par. 6. Con la legge naturale è stato stabilito per l’uomo che, se persevererà nell’obbedienza, passerà alla vita in cui non potrà morire.

1907. Par. 7. I meriti del primo uomo, retto, erano nei doni della prima creazione; ma secondo il modo in cui parla la Scrittura, essi sono chiamati erroneamente grazia; per questo devono essere chiamati solo meriti e non anche grazia.

1908. Par. 8 In coloro che sono stati redenti dalla grazia di Cristo non si può trovare alcun buon merito che non sarebbe stato conferito gratuitamente ad una persona indegna.

1909. Par. 9 I doni dati all’uomo integro e all’Angelo possono essere chiamati grazia per un motivo che forse non è da disapprovare; ma poiché secondo l’uso della Scrittura il termine “grazia” è inteso solo per i doni che sono conferiti da Gesù a coloro che non li meritano e che ne sono indegni, ne consegue che né i meriti né la ricompensa dati loro debbano essere chiamati grazia.

1910. Par. 10. L’assoluzione della pena temporale che spesso rimane dopo il perdono del peccato e la risurrezione del corpo deve essere attribuita propriamente solo ai meriti di Cristo.

1911. Par. 11. Il fatto che dopo aver perseverato in questa vita mortale, fino alla fine della vita, nella pietà e nella giustizia, otteniamo la vita eterna, non è propriamente da attribuire alla grazia di Dio, ma all’ordinazione naturale stabilita fin dall’inizio della creazione secondo un giusto giudizio di Dio; E in questa ricompensa del bene non sono considerati i meriti di Cristo, ma solo la prima istituzione del genere umano, in cui secondo la legge naturale è stato stabilito da un giusto giudizio di Dio che la vita eterna sarebbe stata concessa dall’obbedienza ai Comandamenti.

1912. Par. 12. La proposizione secondo cui un’opera buona compiuta senza la grazia dell’adozione non meriti il regno celeste è pelagiana.

1913. Par. 13. Le opere buone compiute dai figli di adozione non sono meritorie perché sono compiute dallo spirito di adozione che abita nei cuori dei figli di Dio, ma solo perché sono conformi alla Legge e da loro la Legge è osservata.

1914. Par. 14. Le buone azioni dei giusti non ricevono, nel giorno dell’ultimo Giudizio, una ricompensa maggiore di quella che hanno meritato di ricevere secondo il giusto giudizio di Dio.

1915. Paragrafo 15. Insegna che il merito non consiste nel fatto che chi agisce bene abbia la grazia e lo Spirito Santo in sé, ma solo nel fatto che obbedisce alla Legge divina, e questa opinione la ripete spesso e la dimostra con molteplici ragioni in quasi tutto il libro.

1916. Par. 16. Nello stesso libro ripete spesso che non sia vera obbedienza alla Legge quella fatta senza carità.

1917. Par. 17. Dice che sono della stessa concezione di Pelagio coloro che affermano: fa necessariamente parte di ciò che è il merito il fatto che l’uomo sia elevato per grazia di adozione allo stato divino.

1918. 18. Dice: le opere dei catecumeni, come la fede e la penitenza che precedono la remissione dei peccati, sono meriti per la vita eterna; questa vita, i catecumeni non la ottengono se prima non vengano rimossi gli ostacoli legati alle colpe che hanno commesso in precedenza.

1919. 19. Sembra insinuare che le opere di giustizia e di temperanza compiute da Cristo non traggano maggior valore dalla dignità di chi le compie.

1920. 20. Non c’è peccato che sia veniale nella sua natura, ma ogni peccato merita la punizione eterna.

1921. 21. L’esaltazione e l’elevazione della natura umana alla partecipazione della natura divina è dovuta all’integrità dello stato primitivo, e quindi si deve dire che sia naturale e non soprannaturale.

1922. 22. È pensare come Pelagio di intendere dei Gentili che non aɓbiano fede: il testo dell’Apostolo ai Romani “I Gentili che non hanno la Legge fanno naturalmente ciò che la Legge comanda” Rm 2,14.

1923. 23. Assurda è l’opinione di coloro che affermano che fin dall’inizio, per un dono soprannaturale ed in qualche modo gratuito, l’uomo sia stato innalzato al di sopra della condizione di natura per onorare Dio in modo soprannaturale mediante la fede, la speranza e la carità.

1924. 24. È da uomini vani e oziosi, secondo la stoltezza dei filosofi, che sia stata inventata l’opinione secondo la quale l’uomo è stato costituito fin dall’inizio in modo tale che, grazie a doni aggiunti alla sua natura, sia stato elevato e adottato come figlio di Dio dalla liberalità del Creatore, e questa opinione deve essere ricondotta al pelagianesimo.

1925. 25 (26) Tutte le opere degli infedeli sono peccati e le virtù dei filosofi sono vizi.

1926. 26 (27) L’integrità della prima creazione non era un’elevazione indebita della natura umana, ma la sua condizione naturale. Questa opinione viene ribadita e dimostrata in diversi capitoli.

1927. 27 (28) Il libero arbitrio, senza l’aiuto della grazia di Dio, è buono solo per peccare.

1928. 28 (29) È un errore pelagiano affermare che il libero arbitrio sia in grado di evitare qualsiasi peccato.

1929. 29 (30) Non sono solo questi i “ladri” ed i “briganti” che negano che Cristo sia la via e la “porta” della verità e della vita, ma anche tutti coloro che dicono che si possa “raggiungere” la via della giustizia (cioè una qualche giustizia) “per un’altra via” che non sia quella che passi per Lui (cfr. Gv 10,1 ),

1930. 30 (30B) o che l’uomo possa resistere ad una tentazione senza l’aiuto della grazia stessa, in modo da non esserne indotto o vinto.

1931. 31. La carità perfetta e sincera, che nasce da “amore puro, buona coscienza e fede non finta” (1 Tm 1,5), si può trovare sia nei catecumeni che nei penitenti senza remissione dei peccati.

1932. 32. Questa carità, che è la pienezza della Legge, non è sempre unita alla remissione dei peccati.

1933. 33. Il catecumeno vive nella giustizia, nella rettitudine e nella santità, osserva i comandamenti di Dio e compie la Legge attraverso la carità, prima di aver ottenuto la remissione dei peccati che si riceve solo nel bagno battesimale.

1934. 34. Questa distinzione di un doppio amore, quello naturale con cui si ama Dio come Autore della natura e quello gratuito con cui si ama Dio come Colui che rende beati, è vana, inventata e volta a mettere in ridicolo le Sacre Scritture e molte testimonianze degli antichi.

1935. 35. Tutto ciò che fa un peccatore o uno schiavo del peccato è peccato.

1936. 36. L’amore naturale, che nasce dalle forze della natura, viene sostenuto da alcuni Dottori sulla base della sola filosofia, cedendo alla presunzione umana e facendo torto alla croce di Cristo.

1937. 37. È pensare come Pelagio di riconoscere un qualche bene naturale, cioè che abbia origine unicamente nelle forze della natura.

1938. 38. Tutto l’amore di una creatura ragionevole è o la viziosa cupidigia che ci fa amare il mondo e che è proibita da Giovanni, o la lodevole carità che, riversata dallo Spirito Santo nei cuori (cfr. Rm V,5), ci fa amare Dio.

1939. 39 Ciò che si fa volontariamente, anche se è necessario, è comunque fatto liberamente.

1940. 40. In tutte le sue azioni il peccatore serve l’avidità che domina.

1941. 41. Questo tipo di libertà che è liberata dalla necessità non si trova sotto il nome di libertà nella Scrittura, ma solo sotto il nome di libertà liberata dal peccato.

1942. 42. La giustizia con cui gli empi sono giustificati per fede consiste formalmente nell’obbedienza ai Comandamenti, che è una giustizia per opere, ma non in una grazia infusa con la quale l’uomo viene adottato come figlio di Dio, rinnovato secondo l’uomo interiore e reso partecipe della natura divina affinché, così rinnovato dallo Spirito Santo, possa poi vivere nel bene ed obbedire ai Comandamenti di Dio.

1943. 43. Nell’uomo che si pente prima del Sacramento dell’assoluzione e nel catecumeno prima del Battesimo viene data la vera giustificazione, ma separata dalla remissione dei peccati.

1944. 44. Con la maggior parte delle opere che vengono compiute dai fedeli per obbedire ai Comandamenti di Dio – come obbedire ai genitori, restituire i depositi, astenersi dall’omicidio, dal furto, dalla fornicazione – gli uomini sono certamente giustificati, perché si tratta di obbedienza alla Legge e di una vera giustizia della Legge, ma non ottengono con questo un aumento delle virtù.

1945. 45. Il Sacrificio della Messa non è un sacrificio in altro modo che in quello generale in cui si sacrifica “ogni opera che si debba compiere perché l’uomo sia unito a Dio nella santa società”.

1946. 46 (46A) La volontarietà non appartiene all’essenza e alla definizione del peccato, e non è una questione di definizione, ma di causa ed origine, se tutto il peccato debba essere volontario.

1947. 47(46B) Per questo il peccato originale ha davvero il carattere di peccato, senza alcuna relazione o riferimento alla volontà da cui abbia avuto origine.

1948. 48. (47A) Il peccato originale è volontario in ragione della volontà abituale del bambino, e domina abitualmente il bambino in ragione del fatto che non comporti alcuna volontà contraria.

1949. 49 (47B) E da questa volontà abitualmente dominante deriva che il bambino che muore senza il Sacramento della rigenerazione, dopo aver ricevuto l’uso della ragione, in realtà odia Dio, bestemmia Dio e resiste alla Legge di Dio.

1950. Par. 50.(48) I desideri cattivi a cui la ragione non acconsente e che l’uomo subisce suo malgrado, sono proibiti dal precetto: “Non desiderare” (Es XX,17).

1951. Par. 51.(49) La concupiscenza, o legge delle membra, e i suoi cattivi desideri che l’uomo prova contro la sua volontà, sono una vera disobbedienza alla Legge.

1952. Par. 52.(50) Ogni azione malvagia è di natura tale che possa contaminare il suo autore e tutti i suoi discendenti, come ha contaminato la prima trasgressione.

1953. Par. 53.(51) Per quanto riguarda l’entità del demerito derivante dalla trasgressione, coloro che nascono con vizi minori contraggono da chi li ha generati tanto quanto coloro che nascono con vizi maggiori.

1954. Par. 54.(52) Questa proposizione decisiva: Dio non ha comandato nulla di impossibile all’uomo, è falsamente attribuita ad Agostino, poiché proviene da Pelagio.

1955. Par. 55.(53) Dio non avrebbe potuto creare in origine un uomo come è nato ora.

1956. Par. 56.(54A) Nel peccato ci sono due cose: l’atto e la colpa; una volta compiuto l’atto, non resta che la colpa, o l’obbligo della pena.

1957. Par. 57.(54B) Da ciò consegue che nel Sacramento del Battesimo, o nell’assoluzione da parte del Sacerdote, propriamente si toglie solo la colpa incorsa nel peccato, e il ministero del Sacerdote assolve solo dalla colpa.

1958. Par. 58.(55) Il peccatore penitente non è vivificato dal ministero del Sacerdote che lo assolve, ma da Dio solo che, suggerendogli ed ispirandogli la penitenza, lo vivifica e lo fa risorgere; ma dal ministero del Sacerdote viene tolta solo la colpa.

1959. 59 (56) Quando con l’elemosina o con altre opere di penitenza soddisfiamo Dio per i dolori temporali, non offriamo a Dio un corrispettivo adeguato per i nostri peccati, come alcuni erroneamente affermano (perché altrimenti saremmo, almeno in qualche modo, dei redentori); ma facciamo qualcosa per cui la soddisfazione di Cristo venga applicata e comunicata a noi.

1960. 60 (57) Con le sofferenze dei Santi comunicate nelle indulgenze non si riscattano propriamente le nostre colpe, ma con la comunione della carità si partecipano le loro sofferenze per essere degni di essere liberati, attraverso il sangue di Cristo, dalle pene dovute ai peccati.

1961. 61 (58) Questa famosa distinzione dei Dottori secondo cui i Comandamenti della Legge divina sono adempiuti in un duplice modo, uno secondo la sola sostanza delle opere prescritte, l’altro secondo un certo modo, cioè il modo secondo il quale essi sono in grado di condurre al Regno eterno colui che li adempie (cioè secondo il modo del merito), è una distinzione inventata che debba essere respinta.

1962. 62 (59) Allo stesso modo, la distinzione secondo la quale un’opera è detta buona in due modi, o perché sia giusta e buona per il suo oggetto e per tutte le circostanze (ciò che di solito si chiama moralmente buona), o perché sia meritoria per il Regno eterno in quanto compiuta dallo Spirito di carità da un membro che mira a Cristo, è considerata da respingere.

1963. 63 (60) Analogamente questa distinzione di una doppia giustizia, l’una dovuta allo Spirito di carità che abita (nell’uomo), l’altra certamente dovuta all’ispirazione dello Spirito Santo che eccita la volontà di penitenza, ma che non abita ancora nel cuore diffondendo la carità attraverso la quale si compie la Legge divina, viene respinta nel modo più odioso e ostinato.

1964. 64 (61) Infine, anche questa distinzione che viene fatta tra una doppia vivificazione, quella per cui il peccatore è vivificato quando, per grazia di Dio, sia animato dalla penitenza e dal proposito e dall’inizio di una nuova vita, e l’altra per cui è vivificato colui che sia veramente giustificato e che diventi un tralcio vivo della vite di Cristo, è anch’essa inventata e non è affatto conforme alla Scrittura.

1965. 65 (62) È solo per un errore pelagiano che si posss ammettere che ci sia un uso del libero arbitrio che sia buono o non cattivo, e chi pensa ed insegna questo fa ingiustizia alla grazia di Cristo.

1966. 66 ( 63) Solo la violenza si oppone alla libertà dell’uomo naturale.

1967. 67 (64) L’uomo pecca in modo da meritare la dannazione anche in ciò che fa in modo necessario.

1968. 68 (65) L’infedeltà puramente negativa, in coloro ai quali non è stato predicato Cristo, è peccato.

1969. 69 (66) La giustificazione degli empi avviene formalmente con l’obbedienza alla Legge, e non con una comunicazione ed un’ispirazione nascosta della grazia che induca coloro che sono stati giustificati da essa ad adempiere la Legge.

1970. 70 (67) L’uomo che vive in peccato mortale o nella colpa che meriti la dannazione eterna può avere vera carità; e anche la carità perfetta può essere alleata con la colpa che meriti la dannazione eterna.

1971. 71 (68) Per la contrizione, anche se perfezionata dalla carità e unita al voto di ricevere il Sacramento, salvo il caso di necessità o di martirio, la colpa non è perdonata senza l’effettiva ricezione del Sacramento.

1972. 72 (69) Tutte le afflizioni dei giusti sono in tutto e per tutto punizioni per i loro peccati; per questo Giobbe ed i martiri che hanno sofferto, hanno sofferto a causa dei loro peccati.

1973. 73 (70) Nessuno, eccetto Cristo, è senza peccato originale; per questo la Beata Vergine morì a causa del peccato contratto da Adamo, e tutte le sue afflizioni in questa vita, come quelle degli altri giusti, furono punizioni per il peccato attuale o originale.

1974. 74 (71) In coloro che sono nati di nuovo e sono caduti in peccato mortale, la concupiscenza che ora li domina è peccato, così come le altre cattive abitudini.

1975. 75 (72) I movimenti disordinati della concupiscenza sono proibiti, dato lo stato dell’uomo decaduto, dal precetto “Non desiderare” (Es 20,17); perciò l’uomo che li prova, anche se non vi acconsente, trasgredisce il precetto “Non desiderare”, anche se la trasgressione non gli viene imputata come peccato.

1976. 76 (73) Finché in colui che ama rimane qualcosa della concupiscenza della carne, egli non adempie al precetto: “Amerai Dio con tutto il cuore” (Dt VI,5; Mt XXII,37).

1977. 77 (74) Le laboriose soddisfazioni di chi sia stato giustificato non sono in grado di espiare “de condigno” la pena temporale che rimanga dopo il perdono della colpa.

1978. 78 (75) L’immortalità del primo uomo non era un beneficio della grazia, ma la sua condizione naturale.

1979. 79 (76) L’opinione dei Dottori secondo cui il primo uomo potrebbe essere stato creato e stabilito da Dio senza la giustizia naturale è falsa.

(Censura): Queste proposizioni sono state soppesate con un esame rigoroso in nostra presenza; sebbene alcune di esse possano essere sostenute in una certa misura… nel senso rigoroso e proprio dei termini intesi da coloro che le affermano, con il presente documento le condanniamo, le qualifichiamo e le respingiamo in quanto, a seconda dei casi, eretiche, erronee, sospette, avventate, scandalose ed offensive per le orecchie pie, così come ciò che sia stato detto di esse a parole e per iscritto.

1981. In primo luogo, quindi, condanniamo tutte le cambiali dette fittizie (secche), la cui finzione consiste nel fatto che le parti contraenti fingono, su certi mercati o in altri luoghi, di concludere operazioni di cambio; coloro che ricevono il denaro consegnano certamente le loro cambiali, ma queste non vengono emesse, o vengono emesse in modo tale che, trascorso il tempo in cui erano valide, vengono rese inefficaci; o ancora, il denaro viene infine reclamato, con un guadagno, anche senza la consegna di cambiali di questo tipo, laddove il contratto era stato concluso: Infatti, tra chi dà e chi riceve era stato concordato fin dall’inizio, o almeno questa era l’intenzione, e non c’è nessuno che, sui mercati o nei luoghi suddetti, onorerebbe tali lettere una volta in loro possesso. Questo male è anche simile al seguente: quando si danno cambiali fittizie per denaro, o per un deposito, o sotto altro nome, in modo che più tardi, nello stesso luogo o altrove, possano essere restituite con profitto.

1982. Ma per le cambiali dette anche vere, ci è stato riferito che i cambiavalute a volte rinviano la data di pagamento precedentemente concordata, quando per tacito o espresso accordo si riceva un profitto o anche solo promesso. Noi dichiariamo che tutto ciò sia usurario e ne vietiamo la pratica.

1983. Perché… è lecito agli indiani infedeli avere più mogli che ripudiano anche per i motivi più insignificanti, ne consegue che, avendo ricevuto il Battesimo, è permesso loro di rimanere con la moglie che è stata battezzata con il marito; e poiché spesso accade che non sia la prima moglie, i ministri (dei Sacramenti) e i Vescovi sono tormentati da grandissimi scrupoli perché pensano che non si tratti di un vero matrimonio; ma poiché sarebbe molto crudele separarli dalle donne con cui questi indiani hanno ricevuto il Battesimo, e poiché sarebbe particolarmente difficile trovare la prima moglie, per queste ragioni, ansiosi di considerare con benevolenza e affetto paterno la situazione di questi indiani, liberiamo i Vescovi e i ministri da tali scrupoli, d’ufficio ed in virtù della nostra sicura conoscenza e della pienezza dei poteri apostolici, dichiariamo che quegli Indiani che, come si suppone, siano stati battezzati e saranno battezzati, possano rimanere con la donna che è stata o sarà battezzata con loro come con la loro legittima moglie, dopo aver congedato le altre, e che tale matrimonio esista tra loro legittimamente.

GREGORIO XIII:

13 maggio 1572-10 aprile 1585.

Professione di fede prescritta per i Greci.

1985. Io, N., credo e professo con fede ferma tutti e ciascuno degli articoli contenuti nel Simbolo di fede usato dalla Chiesa romana, cioè: Credo in un solo Dio… (come nel Simbolo di fede di Nicea – Costantinopoli, 150).

1986. Credo, accetto e confesso anche tutto ciò che sia stato definito e dichiarato dal Santo Concilio Ecumenico di Firenze riguardo all’unione delle Chiese d’Occidente e d’Oriente, cioè che lo Spirito Santo sia eternamente del Padre e del Figlio, che derivi la sua essenza ed il suo essere sussistente sia dal Padre che dal Figlio, e che proceda eternamente da entrambi come da un unico principio e da un’unica spirale; Infatti, ciò che dicono i santi Dottori e Padri, cioè che lo Spirito Santo proceda dal Padre attraverso il Figlio, tende a questa concezione: con ciò si intende che anche il Figlio sia, secondo i Greci, la causa, secondo i Latini, il principio della sussistenza dello Spirito Santo, così come il Padre. E poiché tutto ciò che appartiene al Padre, il Padre stesso lo ha dato al suo Figlio unigenito generandolo, eccetto il fatto di essere Padre, la stessa cosa che lo Spirito Santo procede dal Figlio, il Figlio stesso l’ha dal Padre dal quale è stato anche eternamente generato. E credo che la spiegazione contenuta in queste parole “e del Figlio (filioque)” sia stata aggiunta al Simbolo in modo lecito e ragionevole, per chiarire la verità e per una necessità che urgeva in quel momento.

1987. Inoltre, confesso e accolgo tutti gli altri articoli che la Santissima Chiesa Romana e Apostolica abbia prescritto di professare e ricevere in virtù dei decreti del Santo Concilio Ecumenico Generale di Trento, e che vanno oltre quanto contenuto nei suddetti simboli di fede. Accetto… (tutto il resto come nella professione di fede tridentina 1863).

Costituzione “Populis ac nationibus“, 25 gennaio 1585.

Privilegio paolino.

1988. È opportuno mostrare indulgenza, in materia di libertà di contrarre matrimonio, verso i popoli e le nazioni che si sono recentemente convertiti dall’errore del paganesimo alla fede cattolica, affinché gli uomini che non sono abituati a mantenere la continenza, non siano per questo meno disposti a perseverare nella fede, e affinché con il loro esempio non scoraggino altri dal riceverla. Poiché, dunque, accade spesso che molti infedeli di entrambi i sessi, ma soprattutto di sesso maschile, vengano catturati dai nemici dopo un matrimonio contratto secondo il rito pagano, e vengano portati in regioni molto lontane, lontano dalla loro patria e dai loro coniugi, in modo che sia i prigionieri stessi sia coloro che rimangono in patria, quando poi si convertono alla fede, non sono in grado, a causa della distanza troppo grande, di chiedere correttamente ai loro coniugi non Cristiani se desiderano vivere con loro senza insultare il Creatore, o perché a volte anche ai messaggeri sia negato l’accesso alle province ostili e barbare, o perché ignorano totalmente le regioni in cui siano stati trascinati, o perché la lunghezza del viaggio comporti grandi difficoltà, per questo motivo, tenendo presente che tali matrimoni contratti tra non credenti siano certamente considerati veri, ma non così conclusi da non poter essere sciolti in caso di necessità, concediamo agli Ordinari del luogo e ai parroci… la facoltà di dispensare 0 dall’interpellanza) tutti i fedeli Cristiani di entrambi i sessi che vivono in queste regioni e che in seguito si siano convertiti alla fede e anbiano contratto matrimonio prima di ricevere il Battesimo, in modo che tutti loro, anche se il coniuge non credente sia ancora vivo e non sia stato chiesto il suo consenso o non ci si aspettava la risposta, possano contrarre matrimonio con qualsiasi fedele, anche di altro rito, celebrarli solennemente davanti alla Chiesa e, dopo averli consumati con l’unione carnale, rimanervi lecitamente finché vivono, purché si accerti, anche sommariamente ed extragiudizialmente, che il coniuge che, come si presuppone assente, non è stato interpellato, o che, essendo stato interpellato, non abbia manifestato la sua volontà entro il termine fissato da questa monizione; e decidiamo che, anche se in seguito risultasse che i primi coniugi, che non erano credenti, non abbiano potuto manifestare la loro volontà perché impediti da un giusto motivo, e anche se si fossero convertiti alla fede al momento del secondo matrimonio, questi matrimoni non debbano mai essere abrogati per questo, e che la prole in essi concepita sia legittima.

SESTO V: 24 aprile 1585-27 agosto 1590.

URBANO VII: 15-27 settembre 1590

GREGORIO XIV: 5 dicembre 1590-17

ottobre 1591.

INNOCENZO IX: 29 ottobre 1591– 30, dicembre 1591.

Salvaguardia del segreto della confessione.

1989. (Cap. 4) Sia i superiori in carica che i confessori che saranno poi promossi al grado di superiori avranno la massima cura nel non fare uso, in vista del governo esterno, della conoscenza che possano avere avuto, in Confessione, dei peccati di altre persone. Ordiniamo quindi che questo venga osservato da tutti i superiori dei regolari, chiunque essi siano.

Il potere di benedire con il crisma e di cresimare.

1990. I Sacerdoti greci non devono segnare la fronte dei battezzati con il crisma, e per questo motivo le parole “E dopo l’orazione”, ecc.

1991. Par. 1. I Vescovi latini devono confermare i neonati o altri battezzati la cui fronte sia stata effettivamente segnata con il crisma da Sacerdoti greci, e sembra più sicuro che lo facciano con questa riserva e condizione, cioè: N., se sei confermato, non ti confermo; ma se non sei confermato, ti segno con il segno della croce e ti confermo con il crisma della salvezza nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; e questo soprattutto quando si possa dubitare con una certa probabilità che siano stati battezzati da Vescovi greci.

1992. Par. 3 I Sacerdoti greci non sono obbligati a ricevere gli olii santi, ad eccezione del crisma, dai Vescovi diocesani latini, poiché secondo il rito antico questi olii sono fatti o benedetti da loro nello stesso momento in cui vengono amministrati questi olii e i Sacramenti. Ma saranno obbligati a ricevere il crisma che, anche secondo il loro rito, può essere consacrato solo dal Vescovo.

Decreto del Sant’Uffizio, 20 giugno 1602.

Confessione e assoluzione di una persona assente.

1994. Il santissimo Signore… ha condannato e proibito la seguente proposizione, cioè “che sia lecito confessare sacramentalmente i peccati ad un confessore assente, per lettera o per messaggero, e ricevere l’assoluzione dallo stesso Sacerdote assente”, come falsa, avventata e scandalosa, e ha ordinato che d’ora in poi questa proposizione non debba più essere insegnata in corsi, lezioni o assemblee, privatamente o pubblicamente, e che non debba mai essere sostenuta, stampata o praticata in alcun modo, come probabile in alcuni casi.

1995. Domanda: La dottrina di P. Suarez contenuta nel 4° volume dei suoi Commentarri in 3am Partem D. Thomae disp. 21, sect. 4 dove, dopo la pubblicazione del decreto emanato dal nostro santissimo Signore l’anno scorso nel mese di giugno riguardo alla questione della Confessione sacramentale, discute di questa stessa questione e del significato di detto decreto, è apertamente contraria a ciò che questo decreto ordina? (Risposta): Dato che i termini del suddetto decreto mostrano chiaramente e con la loro forma che Sua Santità non solo abbia condannato la proposizione che sia lecito ricevere l’assoluzione da un Sacerdote assente, ma anche che sia lecito confessare sacramentalmente i peccati ad un confessore assente, e dato che la parola “è lecito”, come appare dagli altri elementi, è molto chiaramente usata per qualificare come illecito ciò che sia contrario all’istituzione e all’essenza del Sacramento (come Suarez stesso è costretto dalla verità a riconoscere), e poiché si tratta di una pura invenzione, senza alcun fondamento plausibile nei termini del decreto, dire che tutta questa ipotesi sia condannata in esso solo quando le cose sono collegate, cioè alla maniera di un’unica ipotesi, e che questa ipotesi da condannare debba essere intesa con una particella copulativa e non con una particella disgiuntiva, in modo che secondo il vero contenuto della formula entrambi i membri sarebbero soggetti a censura e non solo l’uno o l’altro, e poiché è un vano pretesto concludere da questo caso in cui, dagli unici segni di penitenza che sono stati dati e riferiti al Sacerdote che arriva, viene data l’assoluzione a uno che sta già morendo, a una confessione di peccati in assenza del Sacerdote – poiché la difficoltà che contiene è ben diversa: Per questo motivo i suddetti signori hanno ritenuto che la suddetta dottrina di p. Suarez si opponga apertamente a quanto definito dal Santissimo Padre.

LEONE XI: 1 aprile – 2 aprile

PAOLO V: 16 maggio 1605-28 giugno 1621.

Libertà di insegnamento in materia di ausili alla grazia.

1997. Per quanto riguarda gli aiuti (di grazia), il Sommo Pontefice ha dato la facoltà a coloro che stanno disputando, così come ai consiglieri, di tornare ai loro paesi e alle loro case; ed è stato aggiunto che Sua Santità avrebbe pubblicato la spiegazione e la decisione prevista a tempo debito. Ma lo stesso Santissimo Signore ha vietato severamente a chiunque di giudicare o censurare in qualsiasi modo la parte avversa quando si tratta di questa questione. Inoltre, desidera che si astengano dall’usare parole troppo dure nei confronti dell’altro e che mostrino l’amarezza dei loro cuori. In questa materia (cioè per quanto riguarda la decisione sulla questione dei sussidi della grazia) si è rimandato per tre motivi: primo, per essere assolutamente certi, e perché il tempo insegna e mostra la verità delle cose, essendo un grande giudice e censore delle cose. In secondo luogo, perché entrambe le parti sono d’accordo nella sostanza con la verità cattolica, cioè che Dio ci abbia fatto agire con l’efficacia della sua grazia, che fa volere gli uomini non volenti e che dirige e cambia le volontà degli uomini – ed è di questo che stiamo parlando – ma sono in disaccordo solo sul modo. I domenicani, infatti, sostengono che Egli predetermini la nostra volontà fisicamente, cioè in modo reale ed effettivo, mentre i gesuiti ritengono che lo faccia in modo appropriato e morale – opinioni che possono essere entrambe difese. In terzo luogo, perché in questi tempi in cui ci sono così tante eresie, è molto consigliabile preservare e mantenere la reputazione e il credito di questi due ordini, e perché se uno di essi viene messo in discredito può derivarne un grande danno. Ma se si dice che è bene sapere quale fede si debba avere in questa materia, la risposta è che sia necessario seguire e sostenere la dottrina del Concilio di Trento, nella VI sessione sulla giustificazione, che è chiara e limpida, che spiega l’errore e l’eresia dei pelagiani e dei semipelagiani, nonché quella di Calvino, e che insegna la dottrina cattolica secondo la quale “è necessario che il libero arbitrio sia mosso, suscitato e aiutato dalla grazia di Dio, e che possa liberamente assentire o non assentire”; e non si impegnò in questa questione relativa al modo in cui opera la grazia; fu toccata dal Concilio, ma fu abbandonata perché inutile e non necessaria, imitando in questo Celestino I che, dopo aver definito diverse questioni o proposizioni in questa materia, disse che non osava condannare né voleva affermarne altre, (di natura) più difficili e più sottili (cf. 249)

GREGORIO XV: 9 febbraio 1621-8 luglio 1623

URBANO VIII: 6 agosto 1623-29 luglio 1644.

Battesimo infantile conferito contro la volontà dei genitori.

1998. A proposito del Battesimo conferito alla bambina ebr giudea Alegreta all’età di circa tre anni… contro la volontà dei genitori,… (i Cardinali) ritennero che la bambina fosse veramente battezzata se materia, forma e intenzione fossero unite ed il Battesimo potesse essere attestato da un testimone e, sebbene i figli dei Giudei non debbano essere battezzati contro la volontà dei genitori, se tuttavia sono battezzati di fatto, il Battesimo è valido ed il carattere è impresso; la bambina battezzata deve essere educata con i Cristiani; per quanto riguarda il popolo, bisogna fargli capire che non sia permesso battezzare i figli dei Giudei contro la volontà dei genitori, perché anche se il fine è buono, i mezzi non sono leciti, tanto più che è in vigore la bolla di Giulio III, che impone una pena di mille ducati e la sospensione a chi battezzO i figli dei Giudei contro la volontà dei genitori.

Errore sulla doppia testa della Chiesa.

1999. Il Santissimo Signore (ha) la seguente proposizione: “San Pietro e San Paolo sono i due principi della Chiesa che sono uno”, oppure: “sono i due corifei della Chiesa Cattolica ed i suoi capi più eminenti che sono legati nella più grande unità”, oppure: “sono il doppio vertice della Chiesa universale, essendo uniti in uno nel modo più mirabile”, oppure: “sono i due supremi pastori e capi della Chiesa che formano una sola testa”, interpretata nel senso che suppone un’uguaglianza in tutti i punti tra San Pietro e San Paolo, senza subordinazione e sottomissione di San Paolo a San Pietro nel supremo potere e governo della Chiesa universale, il Santissimo Signore l’ha stimata e dichiarata eretica.

Costituzione “Cum occasione” a tutti i fedeli, 31 maggio 1653

Gli errori di Cornelius Jansen sul tema della grazia.

2001. 1 – Ci sono comandamenti di Dio che per gli uomini giusti, nonostante la loro volontà e i loro sforzi, sono impossibili da osservare, date le forze a loro disposizione, attraverso le quali questo sarebbe diventato possibile (cf. 1954).

2002. 2 – Nello stato di natura decaduta, la grazia interiore non resiste mai.

2003. 3 – Per meritare e demeritare nello stato di natura decaduto, non è necessario che l’uomo sia libero da ogni necessità, ma è sufficiente che sia libero da ogni costrizione.

2004. 4 – I semipelagiani ammettevano la necessità della grazia interiore preveniente per ogni atto particolare, anche per il consenso di fede; erano eretici in quanto volevano che questa grazia fosse tale che la volontà potesse resistere o obbedire.

2005. 5 – È semipelagiano affermare che Cristo sia morto o abbia versato il sangue per tutti gli uomini senza eccezioni.

2006. (Censura) Proposizione 1: La dichiariamo temeraria, empia, blasfema, condannata con anatema ed eretica, e la condanniamo come tale. – 2 eretica… – 3 : eretica… – 4: falsa ed eretica. 5: falsa, temeraria, scandalosa, ed intesa nel senso che Cristo è morto solo per i predestinati: empia, blasfema, infame, sprezzante della pietà divina ed eretica…

2007. Con questa dichiarazione e questa definizione relativa alle cinque proposizioni di cui sopra non intendiamo, tuttavia, approvare in alcun modo altre opinioni che siano contenute nel suddetto libro di Cornelius Jansen.

Decreto del Sant’Uffizio, 23 aprile 1654

Libertà di insegnamento in materia di aiuti alla grazia.

2008. In considerazione del fatto che circolano a Roma ed altrove alcune dichiarazioni e manoscritti, e forse documenti stampati, delle congregazioni tenute sotto Clemente VIII e Paolo V di felice memoria sul tema degli aiuti della grazia, sia sotto il nome di Francesco Pegna, già decano della Rota Romana, sia sotto quello di fr. Thomas de Lemos, op, e altri e teologi che, si dice, parteciparono alle suddette congregazioni, nonché un certo autografo o originale di una costituzione dello stesso Paolo V riguardante una definizione di questa questione degli aiuti della grazia e una condanna della concezione, o delle concezioni, di Luis de Molina, sj: Sua Santità dichiara e decreta che non si debba assolutamente dare credito alle dichiarazioni e agli atti sopra citati – sia a favore della concezione dei frati dell’Ordine di San Domenico, sia a favore di Luis de Molina e di altri membri della Compagnia di Gesù – né all’autografo o all’originale della citata presunta Costituzione di Paolo V. Al contrario, per quanto riguarda la suddetta questione, si devono osservare i decreti dei suoi predecessori.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (28): “da ALESSANDRO VII ad INNOCENZO XI”

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII, “SPESSE VOLTE”

Il Santo Padre in questa Lettera Enciclica stigmatizza le leggi emanate contro le Associazioni cattoliche ingiustamente e fraudolentemente ritenute causa di disordini sociali e rivolta contro le istituzioni statali. Sembra la favoletta del lupo che accusa la pecora di avvelenargli l’acqua pur bevendo in un piano inferiore del ruscello. Le proteste e le giuste ragioni del Pontefice non furono ascoltate da chi avrebbe dovuto farne tesoro con danni immensi per se stesso e per tutto il popolo italiano che, come sappiamo dalle vicende storiche, subì carestie, povertà, miseria, due disastrose guerre, sconfitte vergognose in Africa, una terribile dittatura, la ingloriosa cacciata e l’esilio per la monarchia e chissà quante anime dannate…. – Queste espressioni dovrebbero ancor più colpire oggi i governanti che stanno annientando in Italia e nel mondo, ogni principio cristiano, sostituendoli con le imposizioni mondialiste dei luciferini cabalisti nemici di Dio, della sua santa Chiesa e di tutti gli uomini, compresi se stessi. Grandi calamità incombono soprattutto sui popoli che hanno voltato le spalle a Cristo che tanto li aveva beneficati, e soprattutto sulla Nazione più privilegiata al mondo ove ha sede l’Autorità Apostolica. Dio disprezzato, Gesù Cristo deriso e rigettato, la Chiesa Cattolica ridotta in una condizione di totale eclissi, a chi rivolgerci per fermare l’ira incombente? Lo sappiamo da millenni, alla Immacolata Maria che schiacciera’ il capo ributtante del dragone infernale e di tutti gli accoliti suoi agenti … et IPSA conteret caput tuum…

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Leone XIII
Spesse volte

Lettera Enciclica


5 agosto 1898
Agli Italiani, sulla soppressione di Associazioni cattoliche.

Spesse volte, nel corso del Nostro Pontificato, mossi dalle sacre ragioni dell’Apostolico ministero, dovemmo levar lamento e protesta in occasione di atti compiuti, a detrimento della Chiesa e della Religione, da coloro che, per vicenda di ben noti rivolgimenti, reggono la cosa pubblica in Italia. Ci duole doverlo fare di nuovo sopra un argomento gravissimo e che Ci riempie l’animo di profonda tristezza. Noi intendiamo parlare della soppressione di tante istituzioni cattoliche, decretata, non ha guari, in varie parti della Penisola. Questa disposizione immeritata ed ingiusta ha sollevato la riprovazione di ogni anima onesta, ed in essa vediamo, con sommo Nostro rammarico, compendiarsi e rincrudire le offese sofferte negli anni trascorsi. – Sebbene sia cosa a voi nota, Venerabili Fratelli, pur nondimeno stimiamo opportuno riandare le origini e la necessità di queste istituzioni, frutto delle Nostre sollecitudini e delle vostre amorevoli cure, affinché tutti comprendano il pensiero che le aveva ispirate e lo scopo religioso morale e caritativo a cui erano dirette. Dopo aver rovesciato il Principato Civile dei Papi, si vennero in Italia togliendo gradatamente alla Chiesa cattolica i suoi elementi di vita e di azione, la sua naturale e secolare influenza nei pubblici e sociali ordinamenti. Con atti progressivi e coordinati a sistema, si chiusero monasteri e conventi; si dissipò, colla confisca dei beni ecclesiastici, la massima parte del patrimonio della Chiesa; s’impose ai chierici il servizio militare; s’inceppò la libertà dell’ecclesiastico ministero con disposizioni arbitrarie ed ingiuste; si mirò con sforzi perseveranti a cancellare da tutte le pubbliche istituzioni l’impronta religiosa e cristiana; si favorirono i culti dissidenti, e mentre si concedeva la più ampia libertà alle sètte massoniche, si riserbavano odiose intolleranze e vessazioni a quella unica Religione, che fu sempre gloria, presidio a forza degli Italiani. Noi non mancammo di deplorare questi gravi e ripetuti attentati. Li rimpiangemmo per conto della nostra santa Religione esposta a supremi pericoli; li rimpiangemmo eziandio, e ciò diciamo con tutta sincerità del Nostro cuore, per conto della patria nostra; giacché la Religione è sorgente di prosperità e di grandezza per una nazione, e fondamento precipuo di ogni bene ordinata società. Ed infatti, indebolito il sentimento religioso, che eleva e nobilita l’animo, e v’imprime profondamente le nozioni del giusto e dell’onesto, l’uomo inclina e si abbandona ad istinti selvaggi e ad interessi materiali; e da ciò, come logica conseguenza, rancori, scissure, depravazioni, conflitti e turbamento dell’ordine, ai quali mali non sono rimedi sicuri e sufficienti né la severità delle leggi, né i rigori dei tribunali, né l’uso della stessa forza armata. Di questa connessione naturale ed intrinseca tra il decadimento religioso e lo sviluppo dello spirito di sovversione e di disordine, Noi più volte, in atti pubblici diretti agli Italiani, avvertimmo coloro ai quali incombe la formidabile responsabilità del potere, mostrando i progressi immancabili del socialismo e dell’anarchia, ed i mali senza fine a cui essi esponevano la nazione. – Ma non fummo ascoltati. Il pregiudizio meschino e settario fe’ velo all’intelligenza, e la guerra contro la Religione fu continuata colla stessa intensità. Non solo non fu preso alcun provvedimento; ma dai libri, dai giornali, dalle scuole, dalle cattedre, dai circoli, dai teatri, si proseguì a spargere largamente i germi dell’irreligione e dell’immoralità, a scalzare i principi a cui s’informano i forti ed onesti costumi di un popolo, a diffondere le massime, dalle quali segue inesorabilmente la perversione dell’intelletto e la corruzione del cuore. Noi allora, Venerabili Fratelli, vedendo periglioso e fosco l’avvenire del nostro Paese, credemmo giunto il momento di alzare la voce, e dicemmo ai Cattolici italiani: la Religione e la società sono in pericolo; è tempo di spiegare tutta la vostra attività, opponendo al male invadente un argine colla parola, colle opere, colle associazioni, coi comitati, colla stampa, coi congressi, colle istituzioni di carità e di preghiera, con tutti i mezzi, infine, pacifici e legali, che siano acconci a mantenere nel popolo il sentimento religioso ed a sollevarne la miseria, cattiva consigliera, resa tanto profonda ed estesa per le depresse condizioni economiche d’Italia. Tali cose Noi raccomandammo più volte, ed in modo particolare nelle due Lettere già da Noi indirizzate al popolo italiano: in quella del 15 ottobre 1890 e nell’altra dell’8 dicembre 1892 [encicliche “Dall’Alto” e “Custodi della fede“]. Ci è qui grato dichiarare, che le Nostre esortazioni caddero, su terreno fecondo. Mediante i vostri generosi forzi, Venerabili Fratelli, e quelli del clero e dei fedeli a voi affidati, si ottennero lieti e salutari effetti, dai quali era facile prevederne anche maggiori in un prossimo avvenire. Centinaia di associazioni e di comitati sorsero in varie parti d’Italia, e dal loro zelo indefesso ebbero origine casse rurali, cucine economiche, dormitori economici, ricreatori festivi, opere catechistiche, assistenza degli infermi, tutela della vedova e del pupillo e tante altre benefiche istituzioni, che furono salutate dalla riconoscenza e dalle benedizioni del popolo, ed ebbero sovente anche da uomini di altro partito ben meritato elogio. Ed i Cattolici, secondo il loro solito, nella esplicazione di questa lodevole operosità cristiana, non avendo nulla da celare, si mostrarono alla luce del giorno e si tennero costantemente nei confini della legalità. Ma sopraggiunsero le luttuose vicende che, accompagnate da tumulti e spargimenti di sangue cittadino, funestarono alcune contrade d’Italia. Niuno più di Noi soffrì nell’animo e si commosse a quel triste spettacolo. – Pensammo però, che nelle origini prime di quelle sedizioni e di quelle lotte fraterne, coloro che hanno la direzione della cosa pubblica riconoscerebbero il frutto funesto, ma naturale, del mal seme a larga mano e per sì lungo tempo sparso impunemente in tutta la Penisola; pensammo che risalendo dagli effetti alle cause e traendo profitto dal duro ammaestramento ricevuto, tornerebbero alle norme cristiane del riordinamento sociale, colle quali debbono rinnovarsi le Nazioni, se non si vogliono lasciar perire, e perciò porrebbero in onore i principi di giustizia, di probità e di religione, dai quali deriva principalmente anche il benessere materiale di un popolo. Pensammo almeno che, volendo rinvenire autori e complici di quelle sommosse, si avviserebbero a cercarli fra coloro, che avversano la dottrina cattolica, e nel naturalismo e materialismo scientifico e politico infiammano gli animi ad ogni cupidigia disordinata; fra coloro, che nelle ombre di settarie congreghe nascondono i rei intendimenti ed affilano le armi contro l’ordine e la sicurezza della società. – Ed invero non mancò qualche spirito elevato ed imparziale, anche nel campo avverso, che comprese ed ebbe il lodevole coraggio di proclamare pubblicamente le vere cause dei lamentati disordini. Ma grande fu la Nostra sorpresa ed il Nostro dolore quando apprendemmo che, con assurdo pretesto, mal dissimulato dall’artificio, si osava, alfine di deviare l’opinione pubblica e porre ad esecuzione un premeditato disegno, riversare sui Cattolici la stolta accusa di perturbatori dell’ordine e far ricadere sopra di essi il biasimo ed il danno dei sediziosi sconvolgimenti, di cui alcune contrade d’Italia furono teatro. – E maggiormente crebbe il Nostro dolore quando a tali calunnie succedendo fatti arbitrari e violenti, si videro sospesi e soppressi molti dei principali e più valorosi giornali cattolici, proscritti comitati per le parrocchie e per le Diocesi, disperse adunanze per congressi, rese inerti alcune istituzioni ed altre minacciate fra quelle stesse che hanno per scopo il solo incremento della pietà tra i fedeli, o la pubblica e privata beneficenza; quando si videro disciolte innocue e benemerite società in grandissimo numero, e così distrutto, in poche ore procellose, il lavoro paziente, caritatevole, modesto di molti anni, di molti nobili intelletti, di molti cuori generosi. Con tale enorme ed odiosa disposizione la pubblica autorità contraddiceva, anzi tutto, alle sue precedenti affermazioni. Per molto tempo, infatti, essa aveva rappresentato le popolazioni della Penisola conniventi e del tutto solidali con lei nell’opera rivoluzionaria ed avversa al Papato; ed ora invece, ad un tratto, veniva a smentire se stessa col ricorrere ad espedienti straordinari per comprimere innumerevoli associazioni sparse in tutta Italia, e ciò non per altro motivo se non perché esse si mostravano affezionate e devote alla Chiesa ed alla causa della Santa Sede. Ma questa disposizione ledeva, soprattutto, i principi di giustizia e le stesse norme delle leggi vigenti. – In forza di questi principi e di queste norme è lecito ai Cattolici, come a tutti gli altri cittadini, fruire della libertà di unire in comune i loro sforzi per promuovere il bene morale e materiale del loro prossimo, o per esercitarsi in pratiche di pietà e di religione. Fu dunque arbitrio lo scioglimento di tante benefiche istituzioni cattoliche, che pure esistono tranquille e rispettate in altre Nazioni, senza alcuna prova della loro colpabilità, senza alcuna investigazione precedente, senza alcun documento atto a dimostrare la loro partecipazione agli avvenuti disordini. Fu anche una speciale offesa arrecata a Noi, che avevamo ordinato e benedetto quelle utili e pacifiche associazioni, ed a voi, Venerabili Fratelli, che ne avevate curato e promosso lo sviluppo e vigilato il regolare andamento: la Nostra protezione e la vostra vigilanza dovevano renderle anche maggiormente rispettabili, ed immuni da qualsiasi sospetto. Né possiamo passare sotto silenzio quanto siffatta disposizione sia perniciosa agl’interessi delle moltitudini; quanto alla conservazione sociale, quanto al vero bene d’Italia. Colla soppressione di quelle società viene ad aumentare la miseria morale e materiale del popolo, ch’esse procuravano con ogni mezzo possibile di mitigare; viene privata la civil comunanza di una forza potentemente conservatrice; giacché la loro organizzazione stessa e la diffusione dei loro principi era un argine contro le teorie sovversive del socialismo e dell’anarchia; viene infine ad accendersi maggiormente il conflitto religioso, che tutti gli uomini scevri da passioni settarie comprendono esser supremamente funesto all’Italia, di cui spezza le forze, la compattezza, l’armonia. – Noi non ignoriamo, che le società cattoliche siano accusate di tendenze contrarie agli attuali ordinamenti politici d’Italia e considerate perciò come sovversive. Siffatta imputazione è fondata sopra un equivoco creato e mantenuto appositamente dai nemici della Chiesa e della Religione per coonestare dinanzi al pubblico il riprovevole ostracismo che essi intendono infliggere alle dette associazioni. Noi vogliamo che tale equivoco sia dissipato per sempre. I Cattolici italiani, in forza degli immutabili e noti principi della loro religione, rifuggono da cospirazione e ribellione qualsiasi contro i pubblici poteri, ai quali rendono il tributo che ad essi si deve. La loro condotta passata, alla quale tutti gli uomini imparziali possono rendere onorata testimonianza, è garante di quella futura, e ciò dovrebbe bastare ad assicurar loro la giustizia e la libertà a cui hanno diritto tutti i pacifici cittadini. Diremo di più: essendo essi, per la dottrina che professano, i più solidi sostenitori dell’ordine, hanno diritto al rispetto; e se la virtù ed il merito fossero adeguatamente apprezzati, avrebbero anche diritto ai riguardi ed alla gratitudine di chi presiede alla cosa pubblica. – Ma i Cattolici italiani, appunto perché Cattolici, non possono rescindere dal volere che al loro Capo supremo sia restituita la necessaria indipendenza e la pienezza della libertà vera ed effettiva, la quale è condizione indispensabile per la libertà e l’indipendenza della Chiesa Cattolica. Su questo punto i loro sentimenti non cambieranno né per minacce, né per violenze; essi subiranno l’attuale ordine di cose, ma fino a che questo avrà per scopo la depressione del Papato e per causa la cospirazione di tutti gli elementi antireligiosi e settari, essi non potranno mai, senza violare i loro più sacri doveri, concorrere a sostenerlo colla loro adesione e col loro appoggio. Il richiedere dai Cattolici un positivo concorso al mantenimento dell’attuale ordine di cose, sarebbe pretesa irragionevole ed assurda; poiché ad essi non sarebbe più lecito ottemperare agli insegnamenti ed ai precetti di questa Apostolica Sede, anzi dovrebbero agire in opposizione ai medesimi e dipartirsi dalla condotta che tengono i Cattolici di tutte le altre Nazioni. Quindi è che l’azione dei Cattolici italiani, nelle presenti condizioni di cose, rimanendo estranea alla politica, si concentra nel campo sociale e religioso, e mira a moralizzare le popolazioni, renderle ossequenti alla Chiesa ed al suo Capo, allontanarle dai pericoli del socialismo e dell’anarchia, inculcar loro il rispetto al principio di autorità, sollevarne infine la indigenza colle opere molteplici della carità cristiana. – Come dunque i Cattolici potrebbero esser chiamati nemici della patria ed esser confusi coi partiti che attentano all’ordine ed alla sicurezza dello Stato? Siffatte calunnie cadono dinanzi a solo buon senso. Esse si fondano su questo concetto, che le sorti, l’unità, la prosperità della Nazione consistono nei fatti compiuti a danno della Santa Sede, fatti pur deplorati da uomini punto sospetti, i quali dichiarano apertamente essere immenso errore il provocare un conflitto con quella grande istituzione, che Dio pose in mezzo all’Italia e che fu e rimarrà perpetuamente il suo vanto precipuo ed incomparabile; istituzione prodigiosa che domina la storia, e per la quale l’Italia divenne l’educatrice feconda dei popoli, la testa ed il cuore della civiltà cristiana. Di qual colpa pertanto sono rei i Cattolici quando desiderano il termine del lungo dissidio, sorgente di grandissimi danni per l’Italia nell’ordine sociale, morale e politico; quando domandano che sia ascoltata la voce paterna del loro Capo supremo, che tante volte ha reclamato le dovute riparazioni, mostrando i beni incalcolabili che da esse deriverebbero all’Italia? I nemici veri d’Italia bisogna ricercarli altrove; bisogna ricercarli tra coloro che mossi da spirito irreligioso e settario, chiuso l’animo dinanzi ai mali ed ai pericoli che pesano sulla patria, respingono ogni vera e feconda soluzione del dissidio, e procurano, per i loro riprovevoli disegni, di renderlo sempre più lungo e più acerbo. A questi e non ad altri conviene attribuire la dura disposizione onde vennero colpite tante utili Associazioni cattoliche; disposizione che Ci addolora profondamente anche per un altro titolo di ordine più elevato e che non riguarda solamente i Cattolici italiani, ma quelli del mondo intero. – Essa mette sempre più in chiaro la condizione penosa, precaria ed intollerabile a cui siamo ridotti. Se alcuni fatti, nei quali i Cattolici non ebbero nulla a che fare, bastarono per decretare la soppressione di migliaia di opere benefiche ed immuni da qualsiasi colpa, nonostante la guarentigia che veniva loro dalle leggi fondamentali dello Stato, ogni uomo sensato ed imparziale comprenderà quale e quanta possa essere l’efficacia delle assicurazioni date dai pubblici poteri per la libertà ed indipendenza del Nostro Apostolico Ministero. Quale è invero la Nostra libertà, quando dopo essere stati spogliati della maggior parte degli antichi presidi morali e materiali, di cui i secoli cristiani avevano arricchito la Sede Apostolica e la Chiesa in Italia, veniamo ora privati anche di quei mezzi di azione religiosa e sociale, che le Nostre sollecitudini e lo zelo ammirabile dell’Episcopato, del clero e dei fedeli avevano riunito a tutela della religione ed a beneficio del popolo italiano? Quale può essere la Nostra pretesa libertà, quando un’altra occasione, un altro incidente qualsiasi potrebbe servir di pretesto a procedere ancora più oltre nella via delle violenze e degli arbitri e ad infliggere nuove e più profonde ferite alla Chiesa ed alla Religione? Noi segnaliamo questo stato di cose ai Nostri figli d’Italia e a quelli delle altre Nazioni. Agli uni e agli altri però diciamo, che, se il Nostro dolore è grande, non minore è il Nostro coraggio, non minore la Nostra fiducia in quella Provvidenza che governa il mondo e che veglia costantemente ed amorosamente sulla Chiesa, la quale s’identifica col Papato, secondo la bella espressione di Sant’Ambrogio: Ubi Petrus ibi Ecclesia. Ambedue sono istituzioni divine che sopravvissero a tutti gli oltraggi, a tutti gli attacchi, che videro immobili passare i secoli, che attinsero aumenti di forza, di energia e di costanza dalla stessa sventura. E quanto a Noi non cesseremo di amare questa bella e nobile Nazione da cui sortimmo i natali, lieti di spendere gli ultimi avanzi delle Nostre forze per conservarle il tesoro prezioso della religione, per mantenere i suoi figli nella sfera onorata della virtù e del dovere, per sollevare, quanto Ci è possibile, le loro miserie. In questo nobilissimo ufficio voi Ci apporterete, ne siamo sicuri, Venerabili Fratelli, il concorso efficace delle vostre cure e del vostro zelo illuminato e costante. Continuate nell’opera santa di ravvivare la pietà tra i fedeli, di preservare le anime dagli errori e dalle seduzioni che le circondano da ogni lato, di consolare i poveri e gl’infelici con tutti i mezzi che la carità potrà suggerirvi. Le vostre fatiche non saranno mai sterili, qualunque siano le vicende e gli apprezzamenti umani, perché dirette a più alto fine che non sono le cose di quaggiù; e ad ogni modo esse varranno, qualora fossero osteggiate o distrutte, a liberarvi dal dover rispondere dei danni, che dagl’impedimenti frapposti al vostro pastorale ministero potrebbe risentire l’Italia. – Ed a voi, Cattolici italiani, oggetto precipuo delle Nostre sollecitudini e della Nostra affezione, a voi fatti segno a più aspre vessazioni, perché più vicini a Noi e più stretti a questa Sede Apostolica, a voi serva di conforto e di incoraggiamento la Nostra parola e la Nostra ferma assicurazione, che il Papato, come nei secoli trascorsi, in gravi e procellosi avvenimenti, fu guida, difesa e salvezza del popolo cattolico, specialmente d’Italia, così per l’avvenire non verrà meno alla sua grande e salutare missione, col difendere e rivendicare i vostri diritti, coll’assistervi nelle vostre difficoltà, coll’amarvi quanto più bersagliati ed oppressi. Voi avete dato, specialmente in questi ultimi tempi, numerose testimonianze di abnegazione e di operosità nel fare il bene. Non vi perdete di animo; ma tenendovi rigorosamente, come nel passato, entro i limiti della legge e pienamente sottomessi alla direzione dei vostri Pastori, continuate con coraggio cristiano negli stessi propositi. Che se incontraste sul cammino nuove contraddizioni e nuove ostilità, non vi sgomentate: la bontà della vostra causa apparirebbe sempre più luminosa, quando gli avversari, per combatterla, fossero costretti a ricorrere ad armi siffatte; e le prove che dovreste sostenere, aumenterebbero il vostro merito innanzi agli uomini onesti e, ciò che più monta, innanzi a Dio.

Auspice intanto dei Celesti favori e pegno del Nostro specialissimo affetto, sia la Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al clero ed al popolo italiano.

Dato a Roma presso San Pietro, il 5 agosto 1898, anno XXI del Nostro Pontificato.

Leone PP. XIII.

DOMENICA II DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA NELL’OTTAVA DEL CORPUS DOMINI

II DOPO PENTECOSTE (2023)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Chiesa ha scelto, per celebrare la festa del Corpus Domini, il giovedì che è fra la domenica, nella quale il Vangelo parla della misericordia di Dio verso gli uomini e del dovere che ne deriva per i Cristiani di un amore reciproco (l dopo Pentecoste) e quella (II dopo Pentecoste) nella quale si ripetono le stesse idee (Epist.) e si presenta il regno dei cieli sotto il simbolo della parabola del convito di nozze (Vang.)  [Questa Messa esisteva coi suoi elementi attuali molto prima che fosse istituita la festa del Corpus Domini]. Niente, infatti, poteva essere più adatta all’Eucaristia, che è il banchetto ove tutte le anime sono unite nell’amore a Gesù, loro sposo, e a tutte le membra mistiche. Niente poi di più dolce che il tratto nel quale si legge nell’Ufficio la storia di Samuele che fu consacrato a Dio fin dalla sua più tenera infanzia per abitare presso l’Arca del Signore e diventare il sacerdote dell’Altissimo nel suo Santuario. La liturgia ci mostra come questo fanciullo offerto da sua madre a Dio, serviva con cuore purissimo il Signore nutrendosi della verità divina. In quel tempo, dice il Breviario, « la parola del Signore risuonava raramente e non avvenivano visioni manifeste », poiché Eli era orgoglioso e debole, e i suoi due figli Ofni e Finees infedeli a Dio e incuranti del loro dovere. Allora il Signore si manifestò al piccolo Samuele poiché « Egli si rivela ai piccoli, dice Gesù, e si nasconde ai superbi », e S. Gregorio osserva che « agli umili sono rivelati i misteri del pensiero divino ed è per questo che Samuele è chiamato un fanciullo ». E Dio rivelò a Samuele il castigo che avrebbe colpito Eli e la sua casa. Ben presto, infatti l’Arca fu presa dai Filistei, i due figli di Eli furono uccisi ed Eli stesso mori. Dio aveva così rifiutato le sue rivelazioni al Gran Sacerdote perché tanto questi come i suoi figli non apprezzavano abbastanza le gioie divine figurate nel « gran convito » di cui parla in questo giorno il Vangelo, e si attaccavano più alle delizie del corpo che a quelle dell’anima. Così applicando loro il testo di S. Gregorio nell’Omelia di questo giorno, possiamo dire che « essi erano arrivati a perdere ogni appetito per queste delizie interiori, perché se n’erano tenuti lontani e da parecchio tempo avevano perduta l’abitudine di gustarne. E perché non volevano gustare la dolcezza interiore che loro era offerta, amavano la fame che fuori li consumava ». I figli d’Eli, infatti prendevano le vivande che erano offerte a Dio e le mangiavano; ed Eli, loro padre, li lasciava fare. Samuele invece, che era vissuto sempre insieme con Eli, aveva fatto sue delizie le consolazioni divine. Il cibo che mangiava era quello che Dio stesso gli elargiva, quando, nella contemplazione e nella preghiera gli manifestava i suoi segreti. « Il fanciullo dormiva » il che vuol dire, spiega S. Gregorio, « che la sua anima riposava senza preoccupazione delle cose terrestri ». « Le gioie corporali, che accendono in noi un ardente desiderio del loro possesso, spiega questo Santo nel suo commento al Vangelo di questo giorno, conducono ben presto al disgusto colui che le assapora per la sazietà medesima; mentre le gioie spirituali provocano il disprezzo prima del loro possesso, ma eccitano il desiderio quando si posseggono; e colui che le possiede è tanto più affamato quanto più si nutre ». Ed è quello che spiega come le anime che mettono tutta la loro compiacenza nei piaceri di questo mondo, rifiutano di prender parte al banchetto della fede cristiana ove la Chiesa le nutre della dottrina evangelica per mezzo dei suoi predicatori. « Gustate e vedete, continua S. Gregorio, come il Signore è dolce ». Con queste parole il Salmista ci dice formalmente: «Voi non conoscerete la sua dolcezza se voi non lo gusterete, ma toccate col palato del vostro cuore l’alimento di vita e sarete capaci di amarlo avendo fatto esperienza della sua dolcezza. L’uomo ha perduto queste delizie quando peccò nel Paradiso: ma le ha riavute quando posò la sua bocca sull’alimento d’eterna dolcezza. Da ciò viene pure che essendo nati nelle pene di questo esilio noi arriviamo quaggiù ad un tale disgusto che non sappiamo più che cosa dobbiamo desiderare. » (Mattutino). « Ma per la grazia dello Spirito Santo siamo passati dalla morte alla vita » (Ep.) e allora è necessario come il piccolo e umile Samuele che noi, che siamo i deboli, i poveri, gli storpi del Vangelo, non ricerchiamo le nostre delizie se non presso il Tabernacolo del Signore e nelle sue intime unioni. Evitiamo l’orgoglio e l’amore delle cose terrestri affinché « stabiliti saldamente nell’amore del santo Nome di Dio » – (Or.), continuamente « diretti da Lui ci eleviamo di giorno in giorno alla pratica di una vita tutta celeste » (Secr.) e « che grazie alla partecipazione al banchetto divino, i frutti di salute crescano continuamente in noi » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XVII: 19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.

[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene] Ps XVII: 2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus.

[Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Gloria….

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me. [Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe.
Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis.

[Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III: 13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

[“Carissimi: Non vi meravigliate se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida; e sapete che nessun omicida ha la vita eterna abitante in sé. Abbiam conosciuto l’amor di Dio da questo: che egli ha dato la sua vita per noi; e anche noi dobbiam dare la vita per i fratelli. Se uno possiede dei beni di questo mondo e, vedendo il proprio fratello nel bisogno, gli chiude le sue viscere, come mai l’amor di Dio dimora in lui? Figliuoli miei, non amiamo a parole e con la lingua, ma con fatti e con sincerità”].

VERA E FALSA CARITÀ.

Noi andiamo o fratelli, coll’Apostolo della carità e con il suo veramente divino apostolato, di meraviglia in meraviglia. Domenica scorsa l’Apostolo San Giovanni ha messo la carità in cielo. Dio è Carità — ha pronunziato una parola di sublimità incomparabile. Questa domenica, dal cielo più alto discende sul terreno più umile; scrive parole di una incomparabile praticità: «Miei figliuoli, non amiamo a chiacchiere… o più letteralmente ancora, non amiamo colla bocca, colle parole, amiamo coll’opera, se vogliamo amare per davvero ». Dove è chiaro che si tratta di quell’amore che merita nome di carità e della carità che corre le vie della terra, tra uomo e uomo. L’Apostolo ha l’orrore della carità falsa, apparente — che sembra carità e non è carità, come un banchiere (i banchieri sono i devoti, gli apostoli, i mistici della moneta, della vera, s’intende) detesta, abborre, abbomina la moneta falsa — che pare e non è, che par oro ed è orpello. E qual è questa carità falsa? È proprio la carità che non fa e parla. Il non fare ne costituisce il non essere, e il parlare le dà l’apparenza. La parola buona, caritatevole, vuota di opere; non è più abito, è maschera, è commedia. Come frequente allora e adesso la commedia della carità! Come facile e frequente (appunto perché tanto facile) l’impietosirsi gemebondo sulla miseria del prossimo. Poverino qua! Poverino là! E come frequente la esaltazione verbale della carità: facile e frequente il panegirico della filantropia! E quanti, sfogato così il loro istinto retorico e sentimentale, si credono, si sentono in pace con la loro coscienza! Credono di aver fatto tutto, perché hanno parlato molto! L’Apostolo della carità è terribilmente e semplicemente realista. Che cosa serve tutta questa logorrea? A che cosa serve per chi soffre la fame, il freddo, lo sconforto della vita? Nulla. Le parole lasciano il tempo che trovano. E che sincerità in queste parole infeconde, sistematicamente, regolarmente infeconde di opere! Che razza di cuore, di carità ha colui che vede il suo prossimo in bisogno, e non fa nulla per sollevarlo? Vede aver fame e non gli dà da mangiare? aver sete e non gli amministra da bere? – Fare bisogna, se si vuole che la carità sfugga all’accusa, al sospetto di simulazione, di ipocrisia. L’opera è la figlia dell’amore, ne è la prova sicura e perentoria. Fare, notate, dice l’Apostolo, anziché semplicemente dare, perché il dare è una forma particolare del fare. Fare quello che si può con le persone che si amano fraternamente davvero. – Fare per gli altri quello che, a parità di condizione, faremmo e vorremmo che gli altri facessero per noi. Fare e molto, e bene, e sempre. Fare non per farsi vedere, ma per renderci benefici. Fare del bene, non fare del rumore. C’è più carità in una goccia di operosità, che in un mare di chiacchiere. E allora il grande quesito che noi dobbiamo proporci se vogliamo esaminarci bene sul capitolo della carità, la virtù che ci assomiglia a Dio, il grande quesito è questo: che cosa, che cosa abbiamo fatto, che cosa facciamo? cosa, cosa, non parole!

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch. Mediolani, 1-3-1938]

Graduale

Ps CXIX: 1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me.

[Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja

[O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2 Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja.

[Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc. XIV: 16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit cœnam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit cœnam meam”.

(“In quel tempo disse Gesù ad uno di quelli che sederono con lui a mensa in casa di uno dei principali Farisei: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. E all’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati, che andassero, perché tutto era pronto. E principiarono tutti d’accordo a scusarsi. Il primo dissegli: Ho comprato un podere, e bisogna che vada a vederlo; di grazia compatiscimi. E un altro disse: Ho comprato cinque gioghi di buoi, o vo a provarli; di grazia compatiscimi. E l’altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. E tornato il servo, riferì queste cose al suo padrone. Allora sdegnato il padre di famiglia, disse al servo: Va tosto per le piazze, e per le contrade della città, e mena qua dentro i mendici, gli stroppiati, i ciechi, e gli zoppi. E disse il servo: Signore, si è fatto come hai comandato, ed evvi ancora luogo. E disse il padrone al servo: Va per le strade e lungo le siepi, e sforzali a venire, affinché si riempia la mia casa. Imperocché vi dico, che nessuno di coloro che erano stati invitati assaggerà la mia cena”

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

LE CAUSE DELL’INDIFFERENZA RELIGIOSA

Un uomo fece un giorno un gran banchetto e invitò molte persone. Ma all’ora opportuna tutti cominciarono a scusarsi. Uno disse: « Comprai una villa e bisogna che la veda: scusami, te ne prego. Un altro disse: « Comprai cinque paia di buoi e bisogna che li provi: scusami, te ne prego ». Un terzo rispose villanamente: « Ho preso moglie e non ci vengo più ». Homo quidam… è il Dio degli eserciti che si nasconde sotto questo anonimo per significarci la sua umile e generosa misericordia. La grande cena a cui sono invitati moltissimi è preparata nella Chiesa ove la bontà di quell’Uomo ha profuso tutti i suoi tesori. Vi è l’abbondanza del candido pane della divina parola; della dottrina del Vangelo, che ristora l’intelletto e risana il cuore. Vi è una profusione di preziosissimo vino che rallegra le anime nella valle delle lagrime: il Sangue di Gesù Cristo. Vi sono le bianche carni dell’Agnello immacolato che accendono in noi l’amore celeste. Vi sono le frutta dei buoni esempi dei Santi, delle indulgenze, delle grazie interne ed esterne. Veramente quell’Uomo preparò una gran cena: … cœnam magnam. Eppure gli invitati la disdegnano: « Non posso venire: ho comprato una villa ». Questa, dice S. Agostino, è la scusa di coloro che son posseduti da superbia ed aspirano a dominar gli altri con i loro possessi ed intanto dimenticano i loro doveri di religione. « Ho comprato cinque paia di buoi ». Ecco la scusa dell’uomo avaro che non ha tempo di pensare all’anima, perché con tutti e cinque i sensi, mettendo sossopra ogni cosa, s’affanna ad arricchire. « Mi sono sposato, e non ci vengo ». Costui, che rifiuta senza aver nemmeno la cortesia di chieder scusa, è l’uomo che si abbrutisce nei piaceri della carne. Ecco dunque come nella storia dei Giudei è adombrata la storia dei Cristiani. Gesù Cristo ci scopre, con la sua parabola, i veri motivi dell’indifferenza religiosa: sono i peccati — superbia, avarizia, lussuria — che contristano il cuore. – 1. LA SUPERBIA. Fénelon, Arcivescovo di Cambrai, ascendeva il pulpito per la predica dell’Annunciazione dell’anno 1690, quando gli recarono un breve pontificio. Trepidante lo lesse. Il Papa condannava il suo libro: «La spiegazione delle massime dei santi ». Gli astanti videro il volto del Vescovo impallidire: quale burrasca gli fremeva in cuore? Udiva Egli il sibilo di Lucifero non serviam, o il grido pieno di pianto lanciato da Pietro: « Signore, io sono un peccatore »? Il Vescovo si scosse e salì il pergamo. Oh, non fu più il mistero della Annunciazione che predicò, ma fu la sommissione alla Autorità. E terminò dicendo: « Se mai un giorno si ricorderà questo doloroso episodio della mia vita, si dica soltanto che il pastore ha obbedito completamente come l’ultima pecorella ». Tutto il popolo piangeva nella chiesa. In quel momento egli spiegava in pratica e in un modo efficacissimo la più difficile e bella massima dei Santi. – Un altro quadro: nel 1520, in Germania, un frate agostiniano cominciò a predicare una dottrina erronea. Il Papa mandò la condanna della nascente eresia. E quel frate uscì dalla chiesa e davanti alla cattedrale, in faccia a tutto il popolo, bruciò i decretali gridando superbamente: « Tutto quello che il Papa condanna, io approvo!  ». Ma il buon Vescovo di Cambrai morì come un santo, e Martin Lutero morì nei rimorsi dell’eresia, lontano dalla vera fede. Dio resiste ai superbi. La superbia accieca e ci fa preferire cibi velenosi al magnifico banchetto preparato dall’Uomo evangelico. » « Sarete come dei; — sibilava il serpente dall’albero proibito; — saprete tutto il bene e il male! ». E i primogenitori si lasciarono illudere per superbia e preferirono un pomo velenoso alla stupenda cena del Paradiso. Poi s’accorsero: ma troppo tardi. Non solo non avevano acquistato la scienza di Dio, ma avevano perduto anche la propria. – E ce ne sono ancora degli uomini ciechi che s’affannano senza pace dietro ad un fantasma iridescente: l’onore. E per ciò che dicono onore, conculcano la legge della giustizia e della religione. – 2. L’AVARIZIA. Una domenica, a New York, un eccentrico miliardario chiamò uno de’ suoi impiegati e gli disse con bonarietà americana: « Su questa tavola, c’è un milione di biglietti di banca da un dollaro ciascuno. Se puoi verificare il conto prima di mezzanotte, tutto è tuo. Guarda: scoccano le sei. A domani ». E uscì. L’impiegato rimase un momento sbalordito, con gli occhi imbambolati, davanti a quella massa di biglietti. Poi li assaltò con mano febbrile, e cominciò a contare: uno, due, dieci… cento… un pacchetto… due pacchetti… Respira a pena. È là: testa curva, sguardo fisso, corpo immobile. Solo le mani si agitano, vanno e vengono con la rapidità e la regolarità di una macchina. Le campane suonano la Messa e chiamano il popolo vicino al Signore. Egli, vicino al danaro, non ode nemmeno. Le ore passano: è mezzogiorno. Pensa appena che ha fame, e conta, conta. Il sole tramonta: i suoi figlioli dove saranno? Avranno avuto da mangiare? Non ha tempo: conta, conta sempre. La notte cade, le vie tornano deserte e mute. La casa è piena di silenzio, e d’ombra: un servo ha acceso un lume, ha portato un bicchiere d’acqua. Non se n’è accorto. Gli occhi si appesantiscono, i nervi tirano, i muscoli delle mani si intorpidiscono, la mezzanotte gli sta sopra. E conta: conta sempre. E davanti a lui il suo padrone lo guarda con pietà: il padrone che improvvisamente gli afferra le mani e grida: « Basta! è mezzanotte ». Già dal pendolo gocciarono rapidamente i dodici colpi fatali. Lo sventurato non era ancora a metà del suo lavoro. Dilata orrendamente gli occhi senza luce e muore. Povero pazzo che s’è lasciato incantar da avidità, invece di ciò che sperava, trovò inganno e morte! Ma di questi pazzi che consumano tutta la vita nel far danaro è pieno il mondo. Suona la campana della Chiesa: ma non l’odono; non hanno tempo per l’anima; devono far denari. I figli per i loro mal’esempi crescono male, ma essi non hanno tempo per i figli: devono far danari. Dio li invita alla sua cena, con buone ispirazioni, con qualche avviso; che disgrazia; ma non hanno tempo d’accettare questo invito. Unico è il loro bene, che credono vero, eterno: la ricchezza. Ma la mezzanotte giunge improvvisa: il demonio li guarda con pietà satanica, afferra le loro avide mani e grida: « Basta: devi morire! » Poveri pazzi! – 3. L’IMPURITÀ. S. Francesco di Sales camminò per più mesi attraverso le montagne per raggiungere una pecorella traviata. E finalmente, stanco, con le vesti logore, con le mani sanguinanti dai rovi, la vede e le parla con quel fuoco che dentro gli arde e lo fa piangere di dolore. Alfine Teodoro Beza confessa d’aver sbagliato; il Santo allora l’invitò a tornare sulla retta via. Ma Teodoro fece venire la funesta donna con cui sacrilegamente conviveva e disse: « Ecco chi mi impedisce di tornare nella Chiesa ». Uxorem duxi et ideo non possum venire. E morì nell’apostasia. La disonestà è la passione che, più d’ogni altra, allontana da Dio: 1) perché, profanato il cuore, non si possono più gustare le cose di Dio: l’anima diventa simile a ciò che ama. 2) perché dal cuore profanato s’alzano dei miasmi velenosi che offuscano la mente e fanno perdere la fede. – Un giorno, mentre Gesù parlava della gloria e della felicità che inonda l’anima dei Santi, uno degli ascoltatori, rapito dietro alla bellezza di quella visione, proruppe a dire: « Oh beato colui che mangia il pane nel regno di Dio » (Lc., XIV, 15). E noi tutti siamo invitati a questa mensa: l’Uomo che ha fatto la gran cena, noi pure manda a chiamare. Sventurati quelli che — per superbia o per avarizia o per lussuria — rifiuteranno il divino invito. — IL CONVITO DOMENICALE – Quella volta Gesù era andato a mangiare in casa del Fariseo. Sul terminare del pranzo, tacendo tutti, prese a contare una bella parabola. Io voglio spiegare la parabola del Signore ad un altro significato, assai utile per noi, e dico che la cena grande a cui il buon Dio c’invita è la santificazione della Domenica. E non è la Domenica un’immagine della eterna cena del paradiso? E non è la Domenica cristiana un nutriente e soave convito delle anime nostre? – 1. LA DOMENICA È LA CENA DELLE ANIME. Osservate come è buono il Signore. Egli è il padrone di ogni cosa, e avrebbe pieno diritto di tenersi tutto per sé: tutte le piante, tutti gli animali, tutti i luoghi, tutti i tempi. Invece come nel Paradiso terrestre, lasciato ogni albero all’uomo, una pianta sola si riservò ad esperimento di ubbidienza; come al tempo dei Patriarchi, lasciato ad essi ogni frutto ed ogni bestia, solo poca primizia del gregge e del campo ritenne; come di tutta la terra, si riserva appena qualche spazio ove edificare le sue chiese; così di sette giorni, uno soltanto ha voluto per sé: la Domenica. Poteva esserci più largo di così? E di meno che cosa mai ci avrebbe potuto richiedere? « Figliuoli! — ci dice per bocca di Mosè. — Sei giorni ho lavorato per darvi il sole e le stelle, la terra e i mari, le piante e gli animali e per plasmare i vostri corpi e ravvivarli di un’anima immortale: al settimo però cessai. Ebbene, come ho fatto Io, fate anche voi così. Lavorate sei giorni, il settimo lo darete a me ». Poteva esserci più padre? « Lo darete a me!… » Forse per farci lavorare il doppio, il triplo… per Lui? Forse per gravarci — da padrone qual è — di penitenze e di asprezze? No. « Lo darete a me, perché Io voglio farvi riposare, Io voglio che veniate in casa mia ad una cena gaudiosa ». Dite: sulla terra c’è un altro padrone, buono come questo? Per sei giorni gli uomini sono nei campi, nelle fabbriche, negli uffici; le donne pure sono costrette alla fatica di un laboratorio o di una casa, mentre i figli sono alla scuola o trascurati per le vie. È tutto uno stridere di macchine, un incomposto vociar di operai affannati, un fischiar di sirene: c’è appena tempo di trangugiare un po’ di cibo senza assaporarlo e alla sera si ritorna pallidi e stanchi alla casa povera di luce, povera di parole. Poche ore di sonno, e poi ecco bisogna balzare a nuova fatica e riprendere quegli abiti trascurati e improntati del duro lavoro. Ben venga la Domenica, gaudiosa cena delle anime! Un lieto scampanio s’intende nella prim’alba, che arriva a tutti come una voce di fratelli e d’amico: « Nella Chiesa! — ci dice — tutto è pronto ». E dai portoni dei ricchi, dagli usci dei poveri, i padri escono coi loro bambini e le mamme vengono con le loro bambine: tutti sono puliti e ben vestiti, tutti si sorridono e sono lieti, tutti davanti all’altare di Dio si siedono vicino: il ricco e il povero, il servo e il padrone, tutti eguali. Per sei giorni abbiamo stentato, oggi si riposa in letizia. Per sei giorni vestimmo male, oggi ci adorniamo con religiosa modestia. Per sei giorni siamo stati nelle case delle creature, servi delle creature, oggi si va nella casa del Creatore, si serve Lui, si parla con Lui, si mangia con Lui il pane della parola di Dio. Per sei giorni si è vissuto per le cose terrene, oggi si vive per quelle celesti. Com’è bella la Domenica cristiana, giorno di Dio, giorno dell’uomo, mistica cena delle anime! – 2. SCORTESIA D’INVITATI. Purtroppo questo giorno santo, benefico all’anima e al corpo, alla famiglia e alla società quanto è profanato! Oh se Gesù, una qualche festa, ripassasse attraverso alle nostre campagne e alle nostre città, forse ancora prenderebbe lo staffile per flagellare i profanatori del suo giorno! E forse dalla sua bocca divina gli sgorgherebbe il lamento che confidò ad un’anima privilegiata: « I Giudei mi hanno crocifisso in Venerdì, ma i Cristiani mi crocifiggono in Domenica ». a) Villam emi! Ho comprato una villa e perciò non posso venire. Ancora questa è una delle scuse che molti Cristiani usano per rifiutare il banchetto festivo. Andare a Messa, andare a Dottrina… io che sono ricco, che ho un palazzo, che sono rivestito di autorità, che ho molte e difficili incombenze?! Alla Messa sono obbligati i poveri, gli ignoranti: ma che cosa deve dire la gente se s’accorge che sento anch’io il bisogno di santificare la festa?!… Ci sono di quelli poi che, senza giungere a questo eccesso, credono che per santificare le feste basti assistere alla santa Messa; e, ascoltatala in qualche modo, pensano a tutt’altro che ad opere di pietà. Costoro trattano Dio come un esoso tiranno a cui si deve concedere meno che si può, e considerano la pietà come una medicina velenosa da prendersi con estrema parsimonia. E tra costoro si trovano quelli che cercano la Messa più spiccia, quelli che giungono sempre in ritardo, o assistono svogliati e disattenti, chiacchierando con disturbo e scandalo degli altri; e spesso ancora con tale abbigliamento e positura da offrire pascolo alla leggerezza, all’ambizione, alla lussuria. Ma basterà una mezz’oretta di Messa per tutta la festa? Ricordate che chi non assiste mai alla Dottrina Cristiana, se anche non si può dire che viola il precetto festivo, certo è difficile che schivi il peccato grave per trascuranza d’istruzione religiosa. b) Juga boum emi! Ho comprato dieci buoi e devo provarli sotto l’aratro, perciò non posso venire. Questa è un’altra delle scuse con cui i Cristiani violano il banchetto festivo: « Ho un affare da concludere, ho un raccolto maturo da fare, ho un urgente lavoro da finire… » io. È l’avarizia, e la bramosia del guadagno maledetto li spinge a diventare come macchine e come bestie, e negarsi il santo riposo. Come fa pena, in Domenica, vedere le ciminiere fumare; udire la romba dei martelli e dei motori; osservare gli uomini in mezzo ai campi. I diritti di Dio, non contano dunque più nulla? Che giova all’uomo guadagnar tutto il mondo se perde l’anima? Ricordate ancora la ricetta sicura che il Curato d’Ars prescriveva per quelli che volevano andare in miseria: « Rubare o lavorare in Domenica ». Sì, perché il Signore non corre, ma arriva sempre. È quante volte osservando i campi bruciati dalla siccità sotto un sole di bronzo, e smangiucchiati dalla gragnola, si pensa al lavoro di festa! E quante volte incontrando operai disoccupati, o direttori di officine fallite, si pensa alle Domeniche profanate! c) Uxorem duri! Ho preso moglie e perciò non voglio venire. È questa la più terribile scusa per profanare il banchetto festivo: « Ho voglia di godermela e non di santificare la festa ». Il giorno della preghiera è diventato il giorno del piacere, giorno della purezza è diventato il giorno della carne trionfante; il giorno della gioia è diventato il giorno dell’orgia. Guardate: l’osteria sì, ma non la Messa; la passeggiata, ma non il catechismo, l’ozio, ma non la preghiera; la disonestà, ma non i Sacramenti; il demonio, ma non il Signore. – Nei pomeriggi festivi, le nostre chiese e gli oratori vanno disertandosi: dov’è la gioventù? Le vie sono rigurgitanti, le sale da ballo sono un vortice infernale, gli spettacoli mondani e procaci sono le false sirene. – La persecuzione di Diocleziano infieriva contro i Cristiani, nel 304, con tale violenza, che s’era perfino illuso l’imperatore di poter sradicare dalla terra il nome di Cristo. Tra i più aspri rigori di leggi e di spionaggi Anisia, una giovane di Tessalonica, uscì di casa per recarsi dove i Cristiani celebravano i sacri riti, giacché era giorno di Domenica. Uscendo da una porta della città, un soldato la fermò, dicendole: « Dove vai a quest’ora? ». La fanciulla si trovò scoperta, e confessò: « Sono cristiana, e vado a santificare il giorno del Signore ». Soggiunse il soldato: « Vieni con me ad adorare il Sole ». La giovane sì rifiutò e fece per proseguire il suo cammino. Quegli allora le strappò il velo con cui si copriva per modestia il suo volto. Anisia grido: « Il mio Dio ti punirà ». A queste parole il soldato s’accese di furore, e con la sua spada trafisse la giovane santa che cadde mentre la sua anima bianca entrava nell’eterna domenica in cielo (XXX Dicembre, Martirologio). L’intercessione e l’esempio di sant’Anisia faccia ravvedere molti profanatori della festa, prima che il Signore nella sua ira abbia a dir contro di loro quelle tremende parole della Santa Scrittura: « Io vi getterò in faccia lo sterco delle vostre solennità » (Malach., II; 3).

IL CREDO

Offertorium

Orémus Ps VI: 5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam.

[O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem.

[Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Qua própter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra hodierna die effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XII: 6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi.

[Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus.

[Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA