UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “QUUM DIUTURNUM”

Questa brevissima lettera Enciclica di Papa Leone XIII, sollecita la convocazione di un Concilio continentale per l’America meridionale, così che i Vescovi locali possano coordinarsi per evangelizzare al meglio i popoli giunti da poco alla fede cattolica, e «…. affinché presso quei popoli, legati da una stessa stirpe o da una affine, si mantenga salda l’unità della disciplina ecclesiastica, si rinvigoriscano i costumi degni della fede cattolica, e la Chiesa si segnali pubblicamente per il comune impegno dei buoni…». Un Concilio quindi, ove si riaffermassero con decisione e fermezza dogmi e disciplina, senza aperture a culti locali di radice demoniaca, come la recente divinità pagana “Pachamama” adorata con blasfema sfacciataggine addirittura in Vaticano, terra un tempo “casa” di Pietro, il Vicario di Cristo, e della sua Chiesa. Ma è chiaro che parliamo di due realtà opposte tra loro, come quando ad Ezechiele furono dell’Angelo mostrati gli abomini ed i riti di adorazione dei demoni che si compivano nel Tempio santo di Dio. Si vede, come diceva il Qoelet, che nulla di nuovo c’è sotto il sole e nell’ombra degli inferi aperti. Ci sarà molto da soffrire, ma dopo la breve sofferenza arriverà il premio eterno per chi avrà perseverato fino alla fine (Rom. VIII).

Leone XIII
Quum diuturnum

Lettera Enciclica

Indizione del concilio plenario dell’America Latina
25 dicembre 1898

Quando ripercorriamo il lungo corso del nostro pontificato, vediamo che non abbiamo mai tralasciato nulla che riguardasse il rafforzamento e la promozione del regno di Dio presso codeste genti. Certamente è tuttora presente in voi, venerabili fratelli, il ricordo delle azioni da noi compiute, con l’aiuto di Dio, a vostro favore. Non abbiamo affidato invano quei servizi della nostra prudenza al vostro zelo e alla vostra diligenza. Ora vogliamo che sia manifesta una nuova prova del nostro affetto verso di voi; cosa che già da tempo era nei nostri desideri. Infatti, fin dal tempo della celebrazione del IV centenario della scoperta dell’America, abbiamo cominciato a pensare con insistenza al modo in cui avremmo potuto mettere in rilievo le comuni origini latine, che il nuovo mondo detiene per più della metà. Arrivammo alla conclusione che a tale scopo la cosa migliore sarebbe stata che voi tutti, Vescovi di queste contrade, vi foste riuniti, su nostro invito e con la nostra autorità, per deliberare. Eravamo infatti convinti che, mettendo insieme la vostra sapienza e i frutti della prudenza che ciascuno di voi ha tratto dalla propria esperienza, avreste provveduto convenientemente affinché presso quei popoli, legati da una stessa stirpe o da una affine, si mantenesse salda l’unità della disciplina ecclesiastica, si rinvigorissero i costumi degni della fede cattolica, e la Chiesa si segnalasse pubblicamente per il comune impegno dei buoni. Mi persuadeva poi grandemente a tradurre in atto questo intendimento, il fatto che voi, interpellati al riguardo, aveste accolto con forte assenso una tale proposta. – Quando poi giunse il momento di attuare l’iniziativa, lasciammo a voi, venerabili fratelli, il compito di scegliere il luogo in cui vi sembrava opportuno tenere questo Concilio. Dichiaraste allora, in massima parte, che sareste venuti assai volentieri a Roma, anche perché per molti di voi sarebbe stato molto più semplice raggiungere questa sede che non qualche altra lontana città americana, per la grande difficoltà di viaggiare in cedesti posti. All’annuncio di questa vostra scelta, non potemmo che dare il nostro più pieno assenso, perché essa conteneva un segno non piccolo del vostro amore verso questa Sede Apostolica. Anche se Ci dispiace, per le condizioni in cui ora ci troviamo, che Ci sia tolta la possibilità di trattarvi, mentre sarete a Roma, tanto dignitosamente e liberalmente quanto vorremmo. Perciò la Sacra Congregazione [per interpretare gli Atti] del Concilio [di Trento] ha il mandato da Noi conferitole di convocare per il prossimo anno a Roma il Concilio di tutti i Vescovi delle nazioni dell’America Latina, e di emanare le norme adeguate che esso dovrà seguire. Intanto, come auspicio dei celesti favori e come testimonianza della nostra benevolenza verso di voi, venerabili fratelli, e verso il clero e il popolo a ciascuno affidato, impartiamo di tutto cuore l’apostolica benedizione.

Roma, presso S. Pietro, proprio il giorno della nascita di nostro Signore Gesù dell’anno 1898, XXI del Nostro pontificato.

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA IV DOPO PENTECOSTE (2021)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

Il pensiero che domina tutta la liturgia di questo giorno è la fiducia in Dio in mezzo alle lotte ed alle sofferenze di questa vita. Essa appare nella lettura della storia di David nel Breviario e da un episodio della vita di S. Pietro, di cui è prossima la festa. Quando Dio scacciò Saul per il suo orgoglio, disse a Samuele di ungere come re il più giovane dei figli di Jesse, che era ancora fanciullo. E Samuele l’unse, e da quel momento lo Spirito di Dio di ritirò da Saul e venne su David. Allora i Filistei che volevano ricominciare la guerra, riunirono le loro armate sul versante di una montagna; Saul collocò il suo esercito sul versante di un’altra montagna in modo che essi erano separati da una valle ove scorreva un torrente. E usci dal campo dei Filistei un gigante, che si chiamava Golia. Esso portava un elmo di bronzo, una corazza a squame. gambiere di bronzo e uno scudo di bronzo che gli copriva le spalle; aveva un giavellotto nella bandoliera e brandiva una lancia il cui ferro pesava seicento sicli. E sfidando Israele: «Schiavi di Saul, gridò, scegliete un campione che venga a misurarsi con me! Se mi vince, saremo vostri schiavi, se lo vinco io, voi sarete nostri schiavi » – Saul e con lui tutti i figli d’Israele furono allora presi da spavento, Per un po’ di giorni il Filisteo si avanzò mattina e sera, rinnovando la sua sfida senza che nessuno osasse andargli incontro. Frattanto giunse al campo di Saul il giovane David, che veniva a trovare i suoi fratelli, e quando udì Golia e vide il terrore d’Israele, pieno di fede gridò: « Chi è dunque questo Filisteo, questo pagano che insulta l’esercito di Dio vivo? Nessuno d’Israele tema: io combatterò contro il gigante ». « Va, gli disse Saul, e che Dio sia con te! » David prese il suo bastone e la sua fionda, attraversa il letto del torrente, vi scelse cinque ciottoli rotondi e si avanzò arditamente verso il Filisteo. Golia vedendo quel fanciullo, lo disprezzò: « Sono forse un cane, che vieni contro di me col bastone? » E lo maledisse per tutti i suoi dèi. David gli rispose: « Io vengo contro di te in nome del Dio d’Israele, che tu hai insultato: oggi stesso tutto il mondo saprà che non è né per mezzo della spada, né per mezzo della lancia, che Dio si difende: Egli è il Signore e concede la vittoria a chi gli piace ». Allora il gigante si precipitò contro David: questi mise una pietra entro la sua fionda e dopo averla fatta girare la lanciò contro la fronte del gigante, che cadde di colpo a terra. David piombò su di lui e tratta dal fodero la spada di Golia, lo uccise tagliandogli la testa che innalzò per mostrarla ai Filistei. A questa vista i Filistei fuggirono e l’esercito di Israele innalzato il grido di guerra li insegui e li massacrò. « I figli d’Israele, commenta S. Agostino, si trovavano da quaranta giorni di fronte al nemico. Questi quaranta giorni per le quattro stagioni e per le quattro parti del mondo, significano la vita presente durante la quale il popolo cristiano non cessa mai dal combattere Golia e il suo esercito, cioè satana e i suoi diavoli. Tuttavia questo popolo non avrebbe potuto vincere se non fosse venuto il vero David, Cristo col suo bastone, cioè col mistero della croce. David, infatti, che era la figura di Cristo, usci dalle file, prese in mano il bastone e marciò contro il gigante: si vide allora rappresentata nella sua persona ciò che più tardi si compi in N. S. Gesù Cristo. Cristo, infatti, il vero David, venuto per combattere il Golia spirituale, cioè il demonio, ha portato da sé la sua croce. Considerate, o fratelli, in qual luogo David ha colpito Golia: in fronte ove non c’era il segno della croce; cosicché mentre il bastone significava la croce, cosi pure quella pietra con la quale colpì Golia rappresentava Cristo Signore. » (2° Notturno). Israele è la Chiesa che soffre le umiliazioni, che le impongono i nemici. Essa geme attendendo la sua liberazione (Ep.), invoca il Signore, che è la fortezza per i perseguitati (All.), «Il Signore che è un rifugio e un liberatore » (Com.), affinché le venga in aiuto « per paura che il nemico gridi: Io l’ho vinta » (Off.). E con fiducia essa dice: « Vieni in mio aiuto, o Signore, per la gloria del tuo nome, e liberami » (Grati.). « Il Signore è la mia salvezza, chi potrò temere? Il Signore è il baluardo della mia vita, chi mi farà tremare? Quando io vedrò schierato contro di me un esercito intero il mio cuore sarà senza paura. Sono i miei persecutori e i miei nemici che vacillano e cadono » (Intr.). Cosi sotto la guida della divina Provvidenza, la Chiesa serve Dio con gioia in una santa pace (Or.); il che ci viene mostrato dal Vangelo scelto in ragione della prossimità della festa del 29 giugno. Un evangeliario di Wurzbourg chiama questa domenica, Dominica ante natalem Apostolorum. Infatti è la barca di Pietro che Gesù sceglie per predicare, è a Simone che Gesù ordina di andare al largo, ed è infine Simone, che, dietro l’ordine del Maestro, getta le reti, che si riempiono in modo da rompersi; infine è Pietro che, al colmo dello stupore e dello spavento, adora il Maestro ed è scelto da Lui come pescatore d’uomini. « Questa barca, commenta S. Ambrogio, ci viene rappresentata da S. Matteo battuta dai flutti, da S. Luca ripiena di pesci; il che significa il periodo di lotta che la Chiesa ebbe al suo sorgere e la prodigiosa fecondità successiva. La barca che porta la Sapienza e voga al soffio della fede non corre alcun pericolo: e che cosa potrebbe temere avendo per pilota Quegli che è la sicurezza della Chiesa? Il pericolo s’incontra ove è poca fede; ma qui è sicurezza poiché l’amore è perfetto » (3° Nott.). Commentando il brano di Vangelo molto simile a questo (vedi mercoledì di Pasqua) ove S. Giovanni racconta una pesca miracolosa, che ebbe luogo dopo la Resurrezione del Salvatore, S. Gregorio scrive: « che cosa significa il mare se non l’età presente nella quale le lassitudini e le agitazioni della vita corruttibile assomigliano a flutti che senza tregua si urtano e si spezzano? Che cosa rappresenta la terra ferma della riva, se non la eternità del riposo d’oltre tomba? Ma poiché i discepoli si trovavano ancora in mezzo ai flutti della vita mortale, si affaticano sul mare, mentre il Signore, che si era spogliato della corruttibilità della carne, dopo la Risurrezione era sulla riva » (3° Notturno del mercoledì di Pasqua). In S. Matteo il Signore paragona « il regno dei cieli ad una rete gettata in mare che raccoglie ogni sorta di pesci. E quando è piena, i pescatori la tirano a riva e prendono ibuoni e rigettano i cattivi ». Orsù, coraggio: mettiamo tutta la nostra confidenza in Gesù. Egli ci salverà, mediante la Chiesa, dagli attacchi del demonio, come salvò per mezzo di David l’esercito d’Israele che temeva il gigante Golia.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXVI: 1; 2 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.] Ps XXVI:3

Si consístant advérsum me castra: non timébit cor meum.

[Se anche un esercito si schierasse contro di me: non temerà il mio cuore.]

Gloria….

Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timebo? Dóminus defensor vitæ meæ, a quo trepidábo? qui tríbulant me inimíci mei, ipsi infirmáti sunt, et cecidérunt.

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò? Il Signore è baluardo della mia vita, cosa temerò? Questi miei nemici che mi perséguitano, essi stessi vacillano e stramazzano.]

Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe.
Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Da nobis, quæsumus, Dómine: ut et mundi cursus pacífice nobis tuo órdine dirigátur; et Ecclésia tua tranquílla devotióne lætétur.

[Concedici, Te ne preghiamo, o Signore, che le vicende del mondo, per tua disposizione, si svolgano per noi pacificamente, e la tua Chiesa possa allietarsi d’una tranquilla devozione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom VIII: 18-23.

“Fratres: Exístimo, quod non sunt condígnæ passiónes hujus témporis ad futúram glóriam, quæ revelábitur in nobis. Nam exspectátio creatúræ revelatiónem filiórum Dei exspéctat. Vanitáti enim creatúra subjécta est, non volens, sed propter eum, qui subjécit eam in spe: quia et ipsa creatúra liberábitur a servitúte corruptiónis, in libertátem glóriæ filiórum Dei. Scimus enim, quod omnis creatúra ingemíscit et párturit usque adhuc. Non solum autem illa, sed et nos ipsi primítias spíritus habéntes: et ipsi intra nos gémimus, adoptiónem filiórum Dei exspectántes, redemptiónem córporis nostri: in Christo Jesu, Dómino nostro”.

[“Fratelli: Ritengo che i patimenti del tempo presente non hanno proporzione con la gloria futura, che deve manifestarsi in noi. Infatti il creato attende con viva ansia la manifestazione dei figli di Dio. Poiché il creato è stato assoggettato alla vanità non di volontà sua; ma di colui che ve l’ha assoggettato con la speranza che anch’esso creato sarà liberato dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo, invero, che tutta quanta la creazione fino ad ora geme e soffre le doglie del parto. E non solo essa, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi gemiamo in noi stessi attendendo l’adozione dei figliuoli di Dio, cioè la redenzione del nostro corpo”].

IL RE DELLA MUNIFICENZA.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

L’epistola d’oggi comincia con una frase celebre del grande Apostolo San Paolo. Già di queste frasi San Paolo ce ne ha lasciate molte. Era anche, umanamente parlando, uno scrittore così poderoso! « I dolori del tempo non sono proporzionati alle gioie dell’eternità » o più alla lettera « le sofferenze di questo mondo non sono coadeguate alla futura gloria che in noi dovrà manifestarsi ». – Se c’è un uomo che abbia molto faticato e sofferto a questo mondo, è proprio Lui, San Paolo. Faticato più di tutti i suoi colleghi, lo dice Lui con ispirato accento; e scusate se è poco! E pari alle fatiche i dolori ineffabili del suo apostolato, irto di difficoltà materiali, di morali contraddizioni; una vita così angosciosa da parere una morte, da poter egli chiamarla tale. « Quotidie morimur » E non crediamo, che Paolo non sentisse tutto questo peso e tutte queste punture: era un forte, non era un insensibile. Anzi la sua era una sensibilità squisita. Soffriva atrocemente. Soffriva quando esercitava l’apostolato con quella sua foga impetuosa, soffriva quando era costretto all’inazione — a starsene, anche lui, uomo di azione, di zelo, « le braccia al sen conserte ». In tutto questo martirio apostolico, apostolato martirizzatore, c’era un conforto per S. Paolo, il vero, il grande conforto. Guardava in su, guardava in là. Tutto questo martirio doveva finire a trasformarsi: alla lotta doveva subentrare la vittoria, alla fatica il riposo, al patimento la gioia, alla umiliazione la gloria. L’Apostolo vi guarda con una fede inconcussa, che diviene speranza irremovibile. E trova che il premio sperato e promesso, promesso e sperato, è di gran lunga superiore alla posta che si richiede. « Non sunt condigno passiones huius temporis ad futuram gloriam quae revelabitur în nobis; » parole aureeche ciascun fedele può e deve ripetere perconto proprio, soggetto com’è ai dolori dellaprova, aperto come deve essere alla speranzadel premio.Ma dunque, dirà qualcuno più saputello, ma dunque San Paolo è un calcolatore? che impiega il suo capitale al 100 per uno? anzi all’infinitoper uno? e di questo buon affare egoisticamente si compiace? e lo predica perché buono a tutti? Adagio alle conseguenze stiracchiate…Ben diversa da quella del calcolatore avido ed egoista, la figura spirituale di San Paolo e di quanti ripetono fidenti il suo gesto e la sua parola! Paolo è un innamorato di Dio del qual esa due cose; che Egli chiede ai suoi figliuoli eai suoi soldati parecchio, che Egli darà loro moltissimo. Questa ricompensa Paolo non può non accettarla; ma accettandola, accettandola come ricompensa divina alla fatica umana, poiché è ricompensa, e Dio vuol che lo sia, accettandola dunque così, San Paolo vuole sentirla ancora più come una misericordia che una giustizia; vuol sentire nel Dio rimuneratore il Dio generoso. E il mezzo logico per rimanere in quella forma di sentimento è presto trovato. Pur meritandolo, nel senso che bisogna porre noi le condizioni « sine qua non » del premio che i desiderî avanzano, il premio rimane sempre più un dono che un premio; premio per un decimo, dono per novantanove centesimi. Dio va con la sua ricompensa bene al di là del punto dove arriverebbero i nostri meriti. Tra il nostro «facere et pati» e il suo rimunerare non c’è proporzione, questo supera a dismisura quello. E ciò perché Dio è Dio e lo sarà sempre, è il Re della munificenza, della magnificenza. Re e Padre ha benignamente mascherato e maschera (prendete la parola con un po’ di grano di sale) il suo dono finale con la giustizia di un premio « corona justitiæ, » ma ha pagato e paga il suo premio non con la esattezza del matematico e la tirchieria del mercante, ma colla generosità del principe. A noi l’essergli, come Padre, di ciò doppiamente grati.

Graduale

Ps LXXVIII: 9; 10 Propítius esto, Dómine, peccátis nostris: ne quando dicant gentes: Ubi est Deus eórum?

V. Adjuva nos, Deus, salutáris noster: et propter honórem nóminis tui, Dómine, líbera nos.

[Sii indulgente, o Signore, con i nostri peccati, affinché i popoli non dicano: Dov’è il loro Dio? V. Aiutaci, o Dio, nostra salvezza, e liberaci, o Signore, per la gloria del tuo nome.]

Allelúja

Alleluja, allelúja Ps IX: 5; 10 Deus, qui sedes super thronum, et júdicas æquitátem: esto refúgium páuperum in tribulatióne. Allelúja

[Dio, che siedi sul trono, e giudichi con equità: sii il rifugio dei miseri nelle tribolazioni. Allelúia.

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam. Luc. V: 1-11

In illo témpore: Cum turbæ irrúerent in Jesum, ut audírent verbum Dei, et ipse stabat secus stagnum Genésareth. Et vidit duas naves stantes secus stagnum: piscatóres autem descénderant et lavábant rétia. Ascéndens autem in unam navim, quæ erat Simónis, rogávit eum a terra redúcere pusíllum. Et sedens docébat de navícula turbas. Ut cessávit autem loqui, dixit ad Simónem: Duc in altum, et laxáte rétia vestra in captúram. Et respóndens Simon, dixit illi: Præcéptor, per totam noctem laborántes, nihil cépimus: in verbo autem tuo laxábo rete. Et cum hoc fecíssent, conclusérunt píscium multitúdinem copiósam: rumpebátur autem rete eórum. Et annuérunt sóciis, qui erant in ália navi, ut venírent et adjuvárent eos. Et venérunt, et implevérunt ambas navículas, ita ut pæne mergeréntur. Quod cum vidéret Simon Petrus, prócidit ad génua Jesu, dicens: Exi a me, quia homo peccátor sum, Dómine. Stupor enim circumdéderat eum et omnes, qui cum illo erant, in captúra píscium, quam céperant: simíliter autem Jacóbum et Joánnem, fílios Zebedaei, qui erant sócii Simónis. Et ait ad Simónem Jesus: Noli timére: ex hoc jam hómines eris cápiens. Et subdúctis ad terram návibus, relictis ómnibus, secuti sunt eum”.

(“In quel tempo mentre intorno a Gesù si affollavano le turbe per udire la parola di Dio, Egli se ne stava presso il lago di Genesaret. E vide due barche ferme a riva del lago; e ne erano usciti i pescatori, e lavavano le reti. Ed entrato in una barca, che era quella di Simone, richiese di allontanarsi alquanto da terra. E stando a sedere, insegnava dalla barca alle turbe. E finito che ebbe di parlare, disse a Simone: Avanzati in alto e gettate le vostre reti per la pesca. E Simone gli rispose, e disse: Maestro, essendoci noi affaticati per tutta la notte, non abbiamo preso nulla; nondimeno sulla tua parola getterò La rete. E fatto che ebbero questo, chiusero gran quantità di pesci: e si rompeva la loro rete. E fecero segno ai compagni, che erano in altra barca, che andassero ad aiutarli E andarono, ed empirono ambedue le barchette, di modo che quasi si affondavano. Veduto ciò Simon Pietro, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Partiti da me, Signore, perché io con uomo peccatore. Imperocché ed egli, e quanti si trovavano con Lui, erano restati stupefatti della pesca che avevano fatto di pesci. E lo stesso era di Giacomo e di Giovanni, figliuoli di Zebedeo: compagni di Simone. E Gesù disse a Simone: Non temere, da ora innanzi prenderai degli uomini. E tirate a riva le barche, abbandonata ogni cosa, lo seguitarono”).

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

« SARAI PESCATORE D’UOMINI »

Quella mattina la turba era così numerosa che Gesù, per far sentire a tutti la sua parola, dovette portarsi sul lago. Lungo la spiaggia sabbiosa due barchette, di ritorno dalla pesca notturna, erano là ferme mentre i pescatori stavano lavando le reti. Proprio la barca di Pietro ebbe la fortuna di accogliere il dolce Maestro, ed egli, il futuro Apostolo, lasciando da parte il lavoro che lo teneva occupato, salì col Nazareno, pronto ad eseguire i suoi cenni. Scostatosi un po’ dalla riva, cominciò a parlare del Regno di Dio: il tepido sole illuminava quell’incanto di natura e di grazia. Quando ebbe finito, disse a Simone: « In alto! lontano dalla riva; e poi gettate le reti ad una gran pesca! ». A vigorosi colpi di remi, subito si trovarono in alto lago: non si sentiva più il rumore della folla, erano soli, con Gesù, sulle onde leggermente increspate, sotto il limpido cielo d’oriente. « Maestro, noi tutta la notte abbiamo faticato e non abbiamo preso neppure un pesciolino. Però sebbene il giorno sia già inoltrato, ho fiducia nella tua parola e lascio cadere la rete ». Così disse Pietro, ed eseguì come aveva detto. Prese tale una quantità di pesci che quasi rompevano le maglie della rete se non fossero venuti in aiuto quelli che stavano sull’altra barca. Entrambe le barche furono così riempite che solo a fatica si riuscì a condurle a riva. Il miracolo era troppo evidente e Pietro, stupito, esclamò: « Allontanati, o Signore, da me che sono un peccatore! ». Ma Gesù l’aveva compiuto apposta per annunciare agli Apostoli che un giorno avrebbero preso, nella rete del Vangelo, tutto il mondo. Lo fece capire a Pietro dicendogli: « Non aver paura! da questo momento tu devi essere un conquistatore non di pesci ma di uomini vivi! ».

Arrivati che furono a riva, quei pescatori lasciarono ogni cosa e seguirono Gesù. Cristiani, dopo che ci ha fatto sentire la divina parola della fede, dopo che ci fatto conoscere i miracoli della sua vita e della sua Chiesa, anche a noi Gesù dice: « Sii forte, non aver paura. Tu pure sarai un pescatore, un conquistatore di anime ». Nessuno, proprio nessuno che voglia essere vero Cristiano può disinteressarsi del prossimo. Gesù non vuol salvare il mondo da solo: vuol farci l’onore grande di chiedere il nostro aiuto. Ebbene oggi l’esempio di Pietro nella pesca miracolosa, che è simbolo della conquista delle anime, ci fa vedere in che modo possiamo essere davvero pescatori di uomini. Osservate: sono due i comandi di Gesù. Duc in altum! Prendi il largo! lontano dalla folla, dagli uomini: vicini soltanto a Lui con la preghiera. Laxate retia vestra! Calate le vostre reti per la pesca. Faticate, date le vostre energie per conquistare le anime. L’ubbidienza di Pietro a questi comandi ci ha dato il miracolo della cattura dei pesci. L’ubbidienza nostra agli stessi comandi ci darà i miracoli della salvezza delle anime. – 1. DUC IN ALTUM. Chi lo racconta è proprio lei, la piccola Santa di Lisieux, nella sua autobiografia (Cap. V). Una domenica quando alla fine della Messa chiuse il suo libro di preghiere, una fotografia che rappresentava Gesù crocifisso, sporse un po’ fuori lasciandole vedere solamente una delle mani ferite e sanguinose del Redentore. Provò allora un senso nuovo ineffabile: il suo cuore parve spezzarsi dal dolore alla vista di quel Sangue prezioso che cadeva per terra senza che nessuno si desse premura di raccoglierlo. Fece il proposito di starsene continuamente a piè della croce per raccogliere quella divina rugiada di salute e spargerla poi sulle anime. Da quel giorno in poi il grido di Gesù morente: Ho sete! non fece che risonare al suo cuore, per accendervi un nuovo vivissimo fuoco. Voleva dissetare il suo Diletto con lo strappare ad ogni costo i peccatori dalle fiamme dell’inferno. Ed il suo buon Maestro le mostrò che i suoi desideri gli erano accetti. Aveva sentito parlare di un gran delinquente — di nome Panzini — condannato a morte per orrendi delitti. La sua impenitenza faceva temere della sua eterna salute e la piccola Santa volle impedire quest’ultima ed irreparabile sventura, impiegando, pure di giungervi, tutti i mezzi spirituali che le era dato d’immaginare. Per la salvezza di quel disgraziato offriva i meriti infiniti di Gesù Cristo e i tesori di Santa Chiesa, le suppliche e qualche mortificazione. La preghiera fu esaudita. L’indomani della esecuzione della sentenza, rlla apre con premura il giornale e che vede?… Il Panzini era salito sul patibolo senza confessione e senza assoluzione; già i carnefici lo trascinavano verso il punto fatale, quando come riscosso da una improvvisa ispirazione, si volta, prende il Crocifisso presentatogli dal Sacerdote, e bacia tre volte quelle piaghe santissime. Ogni volta che assistiamo al divin Sacrificio della Messa, noi dovremmo saper scorgere con lo sguardo infallibile della fede la Passione di Cristo che si rinnova per la salvezza delle anime. Troppo spesso però quel sangue cade per terra perché mancano quelli che sappiano raccoglierlo e versarlo sopra le anime. Tocca a noi versarlo alle anime e poi a Gesù offrire quelle anime stesse rinfrescate dalla rugiada del Calvario. Questo lo possiamo fare con la preghiera, con qualche mortificazione, con le opere buone di cui potremmo riempire le nostre giornate. Quanti delinquenti, quanti poveri infelici potrebbero salvarsi in Paradiso se ci fossero dei cuori ardenti che sanno, come la piccola Santa, tendere l’orecchio al « Sitio » di Gesù morente. Se pregassimo spesso pei nostri fratelli che vivono male, non sopra un giornale qualunque, ma sul libro della nostra vita, leggeremmo un giorno che siamo stati capaci… di far imprimere un bacio di eterna salvezza sulle piaghe insanguinate del Crocifisso. « Il mondo è pagano; il mondo va male ». Così si va dicendo. Non è colpa in parte dei Cristiani? Andrà meglio quando vorremo; e, poiché la preghiera è uno dei mezzi più efficaci di conversione, quando vorremo pregare. Così ci insegna anche il Vangelo della pesca miracolosa. Pietro ha ottenuto il miracolo quando ha preso il largo, si è staccato dalla riva rumorosa e distratta per essere solo, con Gesù! Questa compagnia si ha soltanto quando si prega. – 2. LAXATE RETI A VESTRA IN CAPTURAM. Dopo una notte intera di grande fatica, senza la soddisfazione di un esito buono, doveva pure essere stanco Pietro. Eppure, al comando del Maestro dimentica ogni stanchezza e si mette a cominciare da capo. Il miracolo diremmo quasi che lo meritava. Così per pescare le anime ci vuol fatica, il lavoro, l’azione esterna, che si congiunga con la preghiera fervente. S. Giovanni Evangelista, nelle sue visite alle chiese dell’Asia, si incontrò una volta con un giovane che gli pareva animato da ottime disposizioni e desideroso di farsi Cristiano. L’Apostolo doveva partire ed allora lo affidò al Vescovo con la raccomandazione più viva di istruirlo e di assisterlo come un deposito sacro. Il giovane dapprima corrispondeva benissimo allo zelo del suo protettore, ma poi… a poco a poco le compagnie cattive gli fecero perdere il suo primo fervore, il gusto delle cose sante. Finì per mettersi in una truppa di delinquenti che vivevano di rapine e disordini. Passarono parecchi anni e S. Giovanni ritorna e domanda al Vescovo cosa fosse avvenuto del suo giovane amico. « Ohimè! è morto, è morto alla grazia. Trascorre la vita su quelle montagne con una masnada di uomini perduti ». S. Giovanni non dubita un istante e vecchio com’è: « Datemi un cavallo ed una guida — egli dice — io lo voglio salvare ad ogni costo; devo ricondurlo qui ancora ». Dopo fatiche inaudite, su per scoscendimenti pericolosissimi il santo vegliardo giunge al covo dei ladri. Appena fu veduto arrivare, quel povero infelice, in preda ai rimorsi, si mise a fuggire disperatamente. E S. Giovanni ad inseguirlo e a dirgli « O figliuolo, mio caro figliuolo, perché mi fuggi? Fermati, senti tuo padre. È Gesù Cristo che mi manda a te ». E non si fermò dall’inseguirlo finché il giovane fu vinto dal suo amore. L’Apostolo non ne poteva più dalla stanchezza, ma quella sera poteva dire che in cielo si faceva festa perché un’anima era salvata. Il lavoro, la sofferenza è la moneta con cui si compera il potere di fare del bene. Quanti nella loro giovinezza hanno avuto una buona educazione nella fama e nella scuola. Attorno alle loro anime si sono prodigate nell’abnegazione tante buone persone che han seminato nell’anima i germi della virtù. Per loro non è proprio del tutto scomparso il ricordo del giorno che han fatto la prima Comunione. Ma poi… le compagnie cattive, le passioni, il rispetto umano, le prime colpe han distrutto quanto avrebbe dovuto sempre durare e poiché la vicinanza dei buoni era un rimprovero duro sono fuggiti lontani col corpo, certo coll’anima imbrattata dal vizio. Eppure, anche costoro bisogna salvare: lo vuole il sangue di Cristo sparso su di essi, nell’età innocente. Se aspettiamo che vengano essi per i primi non ricaveremo nulla. È necessario andare a loro per riconquistarli al Cristo della loro giovinezza. Col buon esempio, con la parola amorevole, con un buon libro, con un dolce invito, col sorriso sul volto. Certo costa fatica e la salvezza delle anime, che è costata il Sangue di Cristo, non si può ottenere se non sulla via del Calvario, con la fatica, con la Croce. Anche L’Apostolo si sentiva sfinito, gli sfuggiva davanti la preda, ma finalmente ottenne la vittoria. – Un Sacerdote si lamentava col santo Curato d’Ars di aver tutto tentato per convertire la sua parrocchia ma senza risultato. « Tutto tentato? Avete fatto ferventi preghiere, avete digiunato qualche volta? Ricordate che finché non avrete sofferto per le vostre pecorelle, non potete dire di aver tutto tentato per ricondurle a Dio! Col buon esempio, con la parola amorevole, con un buon libro, con un dolce invito, col sorriso sul volto. Certo costa fatica e la salvezza delle anime, che è costata il Sangue di Cristo, non si può ottenere se non sulla via del Calvario, con la fatica, con la Croce. » Parole del Santo che insegnano la maniera infallibile per far del bene. Cristiani, guardate che per la salvezza del vostro prossimo anche noi dobbiamo essere Sacerdoti: se ci manca la veste talare e non abbiamo ricevuto il carattere sacerdotale abbiamo però la immensa fortuna di essere figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo. E allora lavoriamo e preghiamo! Qualche cosa otterremo, sempre. Per essere pescatori d’uomini non è necessario ottenere una pesca miracolosa: basta salire in alto verso Dio, e gettare le reti nel nome di Cristo. — IL LAVORO SANTIFICATO. È doloroso uscire per i campi dopo una tempesta. Qua e là per i sentieri fradici, ritorna il contadino: a passi lenti, curvo, muto. E con gli occhi dolenti guarda le piante sradicate e smozzicate, guarda le biade orribilmente trinciate a mezzo mentre i raccolti sotto ai cespi e nei solchi biancheggiano ancora i chicchi di gragnuola. Lontano, intanto, soffiano gli ultimi lampi dispersi e muore il brontolìo cupo del tuono, ma egli ha gli occhi pieni di lacrime. Tutto è perduto: invano ho rivoltato la terra, invano ho seminato, invano ho sudato per giorni e giorni nei solchi: tutto è perduto ». Quanto è mai rincrescevole, dopo aver molto lavorato, non ricavare alcun profitto dal proprio lavoro. Questo rincrescimento ci sarà tutto nel grido di straziante meraviglia che lanceranno non pochi Cristiani all’alba dell’eternità, quando dopo una vita di lavoro e di sudori, s’accorgeranno d’aver perduto tutto. Nel mondo si lavora molto; non è certo l’ozio che condannerà la maggior parte degli uomini; eppure davanti alla morte non pochi si troveranno nella più squallida miseria: perché il lavoro non fu santificato secondo la parola di Dio. Chi non vuol lavorare invano tutta la notte della vita, chi non vuol trovarsi senza un pesce all’alba dell’altra vita, deve santificare il suo lavoro secondo la parola di Dio. E Dio vuole che il lavoro non leda il diritto altrui, rispetti la dignità della nostra natura, sia fatto con mente retta e con retto cuore. – 1. GIUSTIZIA NEL LAVORO. Viveva in una città un capomastro molto ingordo, che temeva sempre gli finisse il pane in bocca prima della fame. Perciò, si prendeva molti impegni di costruzione che poi non arrivava a soddisfare. Ma una volta andarono da lui i clienti indispettiti a protestare di togliergli dalle mani i loro affari se avesse tirato ancora per le lunghe. E quel poverino si vide costretto a cominciare una grossa fabbrica, quantunque s’andasse incontro ad una stagione crudissima e troppo infausta per costruire solidamente. I suoi operai tentarono di ribellarsi: gelava l’acqua nel secchio e avevano le mani intorpidite che non potevano trasportare mattoni. Il capomastro inferociva e li costringeva al lavoro con la minaccia di licenziarli. E la fabbrica crebbe su, lenta ma solenne. Ma quando venne l’aprile e i raggi tiepidi batterono su quei muri ghiacciati, cominciarono a cedere: cadde la volta e tutta la casa s’accovacciò in un mucchio di rovine, fragorosamente. Come fu stolto quel capomastro! Ma S. Giovanni Crisostomo dice che sono più stolti quelli che cercano nel lavoro ingiusti guadagni. Qui ædificat domum suam, impendiis alienis, quasi qui colligit lapides suos in hyeme. Edifica d’inverno il venditore che tiene due pesi e due misure; il commerciante che falsifica la merce; il contadino che raccoglie dove non ha seminato; l’avvocato che difende una lite ingiusta e moltiplica le scritture per aggravare di spese al povero cliente; lo strozzino che presta il denaro con esagerato interesse. Contro costoro risuona la rovente parola di S. Giacomo: «Su, o ricchi, piangete, ululate per la miseria in cui verrete a trovarvi, nonostante le vostre ingiuste ricchezze. Il vostro danaro marcirà e le vostre vesti di seta saranno rose dalle tignole. La ruggine consumerà l’oro vostro e l’argento, e la ruggine sarà contro di voi e come fuoco divorerà le vostre carni. Avete raccolto tesori d’ira per l’ultimo giorno. Ecco: già la mercede che avete defraudato agli operai che hanno mietuto nei vostri campi, leva un grido al Signore degli eserciti. Come si ingrassano gli animali per il giorno dell’uccisione, così voi vi siete ingrassati nei banchetti e nell’ingiustizia per il dì della vendetta di Dio (V, 1-5). – 2. RISPETTO DELLA DIGNITÀ UMANA. Il primo infaticabile lavoratore è Dio: « Pater meus operatur — diceva Gesù — et ego operar » (Giov., V, 17). Ma Dio, ponendo mano a creare e cielo e terra, divise la sua opera in sei giorni. Il settimo riposò. Forse che non poteva fare tutto in un sol giorno? Forse che gli sopraggiunse stanchezza come un faticato pellegrino che sosta per via? No: era la legge del lavoro che Egli voleva promulgare fin dal principio del mondo. Non è l’uomo fatto per il lavoro, ma è il lavoro fatto per l’uomo. E se, scacciando Adamo dal Paradiso, gli disse: « Maledetta la terra per quello che hai fatto: con grandi fatiche le strapperai il tuo pane ad oncia ad oncia » gli aggiunse poi: « Lavora sei giorni e fa in essi ogni opera tua: ma il settimo è il giorno del riposo sacro al Signore, tuo Dio. Non fare in esso lavoro alcuno: né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il bestiame e neppure l’ospite che ha varcato le tue soglie ». Ed è ragionevole che sia così. L’uomo non è un animale bruto: ma ha un’anima e un cuore; anima e cuore che hanno destini non solamente terreni e temporali, ma oltremondani ed eterni. Ma come potrà pensare a questi suoi destini se voi lo tenete, ogni giorno, condannato nel solco del campo, o tra il rullo delle motrici? Se non gli concedete mai di sostare in questa ridda di lavoro, per elevare i suoi pensieri a Dio ed alla vita sua futura? « Ma sa, dicono alcuni, è il mestiere che vuole così: i calzolai, i sarti… ». — Il mestiere è forse superiore alla legge di Dio? « Se non lavoro, perdo gli avventori ». — Meglio perdere gli avventori che Dio. « Si mangia anche di festa ». — È vero: ma alla festa si beve anche, e si sciupa forse di più che il guadagno di due o tre giorni. « Ma quando i miei figliuoli hanno fame, non viene la Religione a portar loro un pane ». — È forse morto di fame qualche figlio di un buon operaio? Oh, non è la Religione che farà mancare il pane alla tua famiglia, ma altri motivi. « Ma io ho bisogno di mettere da parte qualche cosa per l’avvenire ». — Qui t’aspettavo. In manu Dei prosperitas hominis (Eccl., X, 5). Dio non fa mai fruttare il lavoro di festa. Ti parrà di guadagnare: verrà poi un cattivo figliuolo a sperperare, verrà la disoccupazione, la malattia, verrà la mano di Dio e tu angosciosamente dovrai ripetere: « Ho lavorato tutta la vita, e non ho avanzato niente! ». Per totam noctem laborantes, nihil cepimus. – 3. RETTITUDINE D’INTENZIONE NEL LAVORO. Talvolta nelle vie di qualche metropoli si osserva un doloroso contrasto. Un giovane spazzacamino sporco di fuliggine: ha nere le mani e le dita; ha nero il viso che si direbbe di bronzo se due occhi non brillassero di lagrime e due labbra rosse non tremassero di fame; ha nero il vestito lacero ai gomiti e consunto ai ginocchi. Accanto a lui che soffre passa la dama splendente: ha una collana di diamanti al collo, ha diamanti agli orecchi, diamanti sulle dita, diamanti sulla veste di seta. Il diamante e il carbone! l’uno adorna e splende, l’altro sporca e annerisce. Eppure, in sostanza, questi due corpi sono di un medesimo elemento: il carbonio. Solo che il carbone è carbonio impuro, e il diamante è carbonio puro e cristallizzato. Oh, se potessimo prendere il carbone e purificarlo, riempiremmo il mondo di diamanti! Quello che non possiamo fare sul carbone, possiamo però farlo sul lavoro e trasformarlo in un diamante d’infinito valore, con un processo assai facile che ci ha insegnato S. Paolo: « Sive manducatis, sive bibitis, sive aliquid facitis, omnia in gloriam Dei facite ». Poveri che lavorate molto! Non è necessario per diventar santi che voi facciate cose straordinarie, che andiate come gli Apostoli a predicare il Vangelo, che diate come i martiri il vostro sangue, che maceriate come gli anacoreti il vostro corpo, basta lavorare con intenzione di piacere a Dio. Si smetta, dunque, quella turpissima abitudine di profanare il santo lavoro con la bestemmia e con i discorsi impuri! Bestemmie e turpiloqui sono uccelli rapaci che rubano tutta la vostra sostanza; questi sono la ruggine che vi farà esclamare: « Per totam noctem laborantes nihil cepimus ». – La natura è maestra dell’uomo. Ecco due insetti molto laboriosi: il ragno e l’ape. Il ragno lavora da mane a sera a stendere sui soffitti la sua trama bigia e sottile: e va, senza posa, da una trave all’altra, allunga, connette, incrocia i fili e vi disegna poligoni concentrici. L’ape, invece, passa di fiore in fiore e sugge quell’essenza che poi tramuterà, nel ronzio dell’arnia, in dolcissimo miele. E poi passerà la massaia: e mentre adirata distrugge con la scopa l’opera del ragno, sorriderà beata davanti al favo colmo. Così è nel mondo. Tutti lavorano: chi secondo la parola di Dio e chi secondo la parola del demonio. Ma quando passerà il Signore distruggerà adirato l’opera degli uni e premierà l’opera degli altri.

IL CREDO

 Offertorium

Orémus Ps XII: 4-5 Illúmina óculos meos, ne umquam obdórmiam in morte: ne quando dicat inimícus meus: Præválui advérsus eum.

[Illumina i miei occhi, affinché non mi addormenti nella morte: e il mio nemico non dica: ho prevalso su di lui.]

Secreta

Oblatiónibus nostris, quæsumus, Dómine, placáre suscéptis: et ad te nostras étiam rebélles compélle propítius voluntátes.

[Dalle nostre oblazioni, o Signore, Te ne preghiamo, sii placato: e, propizio, attira a Te le nostre ribelli volontà.]

Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Qua própter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti cieli e assiso alla tua destra effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XVII: 3 Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus: Deus meus, adjútor meus.

[Il Signore è la mia forza, il mio rifugio, il mio liberatore: mio Dio, mio aiuto.]

Postcommunio

Orémus. Mystéria nos, Dómine, quæsumus, sumpta puríficent: et suo múnere tueántur. Per …

[Ci purifichino, o Signore, Te ne preghiamo, i misteri che abbiamo ricevuti e ci difendano con loro efficacia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa).

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2).

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (257)

LO SCUDO DELLA FEDE (257)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (26)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

ART. IV

LA S. MESSA COMPIUTA.

« Nel nome del Padre, del Figliuolo, e dello Spirito Santo. »

Così nella santa Messa, in questo vero compendio di tutta la religione, in questo vero spettacolo di misericordia divina, di che fummo con infinita pietà graziati da Dio, in sul presentarci ed assistervi peccatori, cademmo confusi nell’abisso delle nostre miserie dinanzi all’altare del santissimo Iddio. Qui per noi non si poteva far altro, che gridare col pubblicano dell’Evangelo: « Signore abbiate di noi pietà, che siamo peccatori! » E Dio si degnava di volgersi clemente alle nostre grida col risponderci di perdono nei riti di propiziazione, che ci preparavano alla santa azione. (Così dal principio fino al Kyrie.) Tra le braccia del perdono di Dio, alimentati della speranza della vita beata, noi abbiarn voluto allora il nostro al cantico degli Angioli associare, per dare gloria al Salvatore, che in cielo col Divin Padre riconcilia noi colpevoli. (Dal Kyrie fino all’ Evangelo). – Come tale Ei ci istruiva di sua bocca, e coi misteri di sua vita spirava nelle anime nostre la carità, che doveva consumare il Sacrificio aceettevole sull’altare del Dio vivente. (Dal Valgelo fino all’offerta del Sacrificio). Così istruiti, allora ci lasciavamo dalla madre Chiesa condurre per mano sul monte santo; e qui, Dio della misericordia! a che abbiamo mai assistito! Egli stesso, il Figliuolo di Dio, ci cadeva innanzi sacrificato: e placato Dio, ci riapriva il paradiso. (Dall’Offerta fino al Pater noster). Poi a farci poggiare così alto , si fermò tra noi Egli stesso, ci accolse in seno, ci porse l’alimento divino da poter con esso salire e vivere a vita eterna. (Dal Pater noster fino al Postcommunio). Noi nell’unione con Dio godiamo qui un saggio iniziale della beatitudine, che il Redentore ci prepara nel cielo, nostra patria. Oh quanta gloria a Dio per tanta sua bontà! Noi adunque che la gloria di Dio abbiamo veduto, corriamo ora dal monte a raccontare le meraviglie della bontà di Dio: e passando peregrini sulla terra, diamo la mano ai fratelli, per ravviarli al Padre nostro amorosissimo, che abbiamo in Cielo. Quando la buona famiglia di Tobia trattava ancora colla più tenera gratitudine il benedetto compagno e duca del periglioso viaggio del figlio, l’Angelo Raffaele, perchè di tanti beni li aveva ricolmi; e se lo guardavano in mezzo di loro quei pii, come una vera benedizione mandata da Dio: e all’improvviso se lo videro sollevarsi in aria, benedirli, salire al cielo; esclamarono attoniti: « egli era un Angelo! » E non seppero far altro, che gettarsi sul suolo atterriti ad adorare la maestà del Signore così buono con loro. Anche la gran famiglia cristiana nel santo Sacerdote, degli eccelsi doni di Dio dispensatore, riconosce l’Angelo del nuovo Testamento, che dalla croce, ove lo saldò Gesù col Sangue, deriva la maggiore benedizione nel Nome del Padre, che ci creò; e ci vuole salvi col darci a Redentore il proprio Figlio: nel Nome del Figlio, che è la nostra salute: nel Nome dello Spirito Santo, che di grazia ci vivifica nel tempo, e ci alimenterà di beatitudine nella eternità. La famiglia non può far altro che cadere per terra esclamando: amen, amen. » Sia in noi fermata tanta benedizione colla croce di Gesù, di cui si fa appunto il segno, per dare sopra di noi la benedizione col Sangue di Gesù Cristo. (Dal Postcommunio fino all’ultima benedizione).

Col Dominus vobiscum ancor con un saluto ci dà un amplesso il Sacerdote. Oh! il cuore nella foga dell’ affetto ama ripetere le sue più calde espressioni: ed una madre non finisce mai di dire la parola più cara nel cuore del figlio delle sue viscere; ed il Sacerdote nello stringerci in seno ancora una volta dice col palpito del cuore che palpita in Gesù: « su, su la mente, il cuore, il corpo coperto dalle Piaghe di Gesù! su, su tutti in Dio, a contemplare nella fonte della Divinità i misteri che abbiamo meditato. »

Principio del santo Evangelo secondo Giovanni.

Legge l’ultimo evangelo.

Adoriamo! è il santo Apostolo dell’amore, é l’amico dello sposo, è il diletto Giovanni, che riposò nel convito della carità sul petto a Gesù Cristo. Facciamoci appresso, chè, dice s. Agostino, ciò che bevette in seno a Dio, ora lo riversa sull’anime purificate. Ben fortunati anche noi, che riposiamo sul petto a Gesù, e lo teniamo stretto in cuore! Ora con Gesù prima di scendere dal santo monte contempliamo ancor la gloria di Dio. Abbiamo detto: è il bisogno che ci spingeva a cercarlo su questo altare: ora giacché tanto ci è dato, solleviam le anime nostre; varchiamo i mondi del tempo, spingiamo in alto il pensiero a contemplare in quel trono d’inaccessibile luce l’altissimo Iddio! E qui come nell’aurora sulla vetta del monte s’innalza di candidissima nube di argento leggiera leggiera, e vola in seno al ciel d’oriente, e fra le vampe di quella luce dorata par che vagheggi con amore il sole; e il sole di splendore la investe e la compenetra tutta, e la incorona, di raggianti baleni in mezzo al firmamento, ed ella riflette la sua luce color di rosa sopra gli oggetti a cui sovrasta: così a temperare l’ardenza di quello splendore, che sfolgorerebbe il pensiero, per noi Gesù si frammette, ed infrange quei dardi di luce divina, gli spezza e spande in noi come adattati alla forma della mente umana: e noi pel Verbo contempliamo Iddio.

Principio dell’evangelo secondo Giovanni.

« Nel principio era il Verbo ecc. »

Dio virtù onnipotente, sapienza infinita, e lume eterno, conosce se stesso, e genera il Verbo sua Immagine sostanziale. Così Dio Padre genera il Figliuolo Divino, il quale era già ab eterno, quando il tempo ebbe principio. Era questo Figliuolo suo Verbo, e sua Sapienza Divina, che il Signore ebbe seco nel principio del suo operare, già prima che cominciasse ogni cosa (Prov. VIII,22).

Il Verbo era appresso Dio ecc.

Questo eterno Figliuolo, Unigenito del Padre e sua Immagine, è figura della sua Sostanza, il che vuol dire suo Verbo. Non è già come l’immagine e l’espressione del pensiero umano, semplice atto che passa nell’anima che è la stessa che pensa; ma essendo Immagine Sostanziale, è una Persona distinta dal Padre. Era adunque appresso a Dio Padre: ben dice che era; e non già che nel principio è, perchè non si potesse credere che cominciasse ad essere, quando ebbero principio le cose; ma nel principio Egli era già. Nè dice che fu; perché non si potesse mai credere, che di poi abbia cessato di essere; ma si dice era, colla quale voce espresse l’eterna immutabile esistenza del Verbo (Martini, nota a questo versetto in Nuovo Test.); così ab eterno generato dal Padre della stessa Natura e Sostanza del Padre.

« Il Verbo era Dio, questo era nel principio appresso a Dio ecc. »

Dopo espressa l’unità dell’Essenza, e la distinzione della Persona del Verbo, si dà ora un saggio della Trinità. Poiché nell’essersi detto la prima volta che il Verbo era nel principio, ed era appresso Dio, si ha voluto dire, che il Verbo era nel Padre che è Dio; e ripetendosi ora che il Verbo era appresso Dio, si vuol dire che Esso è ancora nello Spirito Santo. Così può intendersi l’unione e la distinzione delle tre Divine Persone.

« Tutte le cose furono fatte per Esso, e senza di Esso niente fu fatto di ciò che è stato fatto ecc. »

Dio Padre vede nel suo Figlio tutte le cose, siccome scorgeva il disegno di tutto l’universo nel suo Eterno Creatore Pensiero. Egli così pel suo Verbo, che è la Sapienza, concepiti gli esseri, disse la sua parola di creazione; ed è questa creatrice parola di Dio tradotta in atto, che dà esistenza a tutte le cose. Adunque pel Verbo tutte le cose furono fatte, e senza di Esso non fu fatto niente di ciò che è stato fatto. Ecco, ecco la ragione di tutte le cose create. Rivolgiamo lo sguardo sopra di noi, interroghiamo noi stessi: come noi siamo fatti? come abbiamo noi cominciato ad esistere? Dove era, per dir così, il disegno, in cui si vedevano tutte le parti minute, così ordinate, perché risultare ne dovesse la nostra persona? Interroghiamo tutte le cose che ci circondano: dicano esse, perché esistono così: come, quando non erano, han potuto cominciare ad essere? Povera ragione umana! Ella dispera di poter concepire, come una cosa, che prima non era, cominciò ad essere. Dall’essere al non essere vi è una distanza, un abisso infinito, che la mente umana non può misurare. Quel tutto, che può la ragione, è il poter esclamare ragionando col filosofo: non eran le cose, non eravamo noi: noi siamo adesso; vi è adunque una Cagione Somma, che produsse tutti questi effetti. Fermiamoci un istante vediamo dappertutto accadere movimenti, e questi non esistevano in prima. Esiste pertanto il moto? Dunque può ancora la ragione come Aristotile esclamare: se esiste il moto, esistere deve il Motore che lo ha prodotto. Ma la fede ci rivela, che il disegno di tutte le cose è la ragione della loro esistenza, cioè il perché esistono esse come sono create, la Cagione Prima è il gran Motore di tutto, è il Verbo, per cui tutto è fatto, perché in Lui sono le idee archetipe di ogni cosa. In Lui dunque come in principio ed in fonte risiedeva la vita, tanto naturale, che Egli comunica agli esseri animati, quanto la spirituale, che Egli dona alle anime vivificandole all’immortalità, giustificandole alla vita eterna. – Qui poi l’Evangelista, manifestato il Principio di tutto, entra ad esporre la più grande delle opere del Verbo eterno di Dio, cioè il discendere che fece dal seno del Padre per dar la vita alle anime degli uomini giacenti nelle tenebre e nelle ombre di morte. Dimostra (così s. Ireneo) come pel Verbo il Padre eseguita la creazione dell’universo, pure pel Verbo dona vita e salute agli uomini da Lui creati.

« La vita era la luce degli uomini ecc. »

Cóme in mezzo alla creazione il Verbo lasciando correre un raggio della sua Luce divina, e comunicando un’immagine del suo Pensiero questo raggio di luce celeste, quest’immagine della Sostanziale Immagine di Dio diede vita al pensiero umano, per cui noi siamo uomini, che portiamo qualche cosa in noi che viene di Cielo, e nel Cielo siain destinati a trovar tutto che qui sentiamo mancarci: così per questa luce, che splende in noi, vediamo nelle creature uno specchio magnifico del Creatore, e gli esseri esistenti ci servono di scala per salire a quell’altezza.

« E la Luce splende tra le tenebre, e le tenebre non l’hanno compresa ecc. ecc.

Ma quando cademmo in basso, quel lume di ragione dato da Dio oscurossi così, e restò così ombrato dalle passioni, Che l’anima era nelle tenebre sepolta, senza quasi un raggio di luce che le facesse scorgere dove sono collocati i suoi sublimi destini. Il Verbo vivificante, che era luce per gli uomini là nella creazione, nel ristorare e ricreare gli uomini è là é per noi vera luce celestiale e divina, che scorge l’uomo a vita eterna. Ma le tenebre non l’hanno riconosciuta: perché gli uomini acciecati aman le tenebre più che la luce; e non vollero prevalersi di questa Luce. Benediciamo a Dio noi, che eravamo tenebre una volta ma ora poi, dice l’Apostolo, siamo luce nel Signore.

« Fu un uomo mandato da Dio, che nomavasi Giovanni: questi venne qual testimonio, affine di rendere testimonianza alla Luce, affinché per mezzo di lui tutti credessero. Egli non era la luce, ma era per rendere testimonianza della Luce ecc. »

Dopo di aver esposta la divina generazione del Verbo, che è la vera Luce dell’universo, comincia a raccontare la storia della sua generazione umana, col dire come venne mandato da Dio il precursore Giovanni. Quest’uomo nel venire a compiere la missione, si presenta mostrando di essere mandato da Dio, coi miracoli della sua nascita, colla sua vita ammirabile, colla santità della sua dottrina. Era egli adunque l’uomo più idoneo a rendere testimonianza. Ei predicava che Gesù, che si presentava qual semplice uomo, era il Cristo di Dio, venuto ad illuminare il mondo. Quando poi tutti accorrevano alla predicazione di Giovanni, e ammiravano i doni di Dio nell’uomo straordinario così, che già credevano fosse il Messia; nel sentirsi a dire subito da lui medesimo: « No, che non sono

io il Messia: ma io non sono altro che una povera voce; e sono venuto nel deserto per dirvi che vi prepariate, » intendevano che non era esso la Luce: ma sì della Luce il foriero ed il precursore, a cui dovevano credere, perché era già dal profeta Isaia predetto.

« Quegli era la Luce vera che illumina ogni uomo, che viene in questo mondo ecc. »

Egli era la vera Luce, eterna, increata, da cui ogni luce procede, per cui resta illuminato ogni uomo che viene in questo mondo. Io venni Luce nel mondo, disse Gesù, affinché chi crede in me non rimanga (Jo. XII,46) in tenebre. Chi mi segue non camminerà nelle tenebre; perché, dice san Paolo (Hebr. 1, 3.- Tim. VI, 16) Egli è lo Splendore della eterna gloria, il Candore della luce eterna, che illumina terra e cielo.

« Era nel mondo, ed il mondo per Lui fu fatto: e il mondo non lo conobbe. »

Questa Luce, vera Sapienza del Padre, era già nel mondo, perché in tutte le create cose riflette un raggio della Sapienza divina, che dà di Dio la più degna cognizione che per gli uomini aver si possa.

« Ma il mondo non la conobbe. »

vero pur troppo, che gli uomini, benché conservati tra le braccia dell’ammirabile provvidenza di Dio, voltarono le spalle al loro Creatore, che è benedetto in eterno; per loro l’aspetto medesimo del firmamento non ebbe più una voce a narrare la gloria del suo Fattore: ed abbandonati al reprobo senso, adorarono invece le creature: e quando comparve il Figliuolo di Dio, non lo vollero conoscere.

« Venne nella propria casa, ed i suoi non Lo ricevettero ecc.

Benché Egli sia comparso in mezzo al popolo suo, sua eredità e depositario dei segreti di Dio nella rivelazione affidati; i suoi non Lo vollero ricevere. Seppure non si vuol intendere qui, che il Verbo divino si preparava nella creazione la casa, dove voleva porre la sua delizia nell’abitare coi figliuoli degli uomini (Prov. VIII,31), volendo anche dei gentili fare sua eredità, porzione sua. Ma gli uomini tutt’ora non vogliono che entri in possesso del suo regno. Come i Giudei non volevano che regnasse Cristo sopra di loro, così non vogliono che regni certi potenti della terra, che Lo escludono dai loro governi, regolandosi con una politica, che non ha per fondamento la legge di Dio ed il rispetto alla sua Chiesa: non vogliono che regni gli educatori alla moda, che non prendono per fine di condurre i loro allievi colla loro coltura a conoscerlo e servirlo con amare Iddio nell’adempimento dei loro doveri: non vogliono che regni in certe famiglie molti individui pei quali servire a Dio non pare ormai che sia più tutto il dovere della vita umana. Nei pensieri di tutti questi Dio non deve entrare più, quasi non abbia più diritto sopra di loro. Per eseguire i loro disegni fanno continua guerra alla verità; affinché non si stabilisca il regno di Dio, ed essi possan vivere indipendenti: e per poco non dicono chiaro; allontanatevi, o Dio, chè siamo noi gli Dei.

« Ma a tutti quelli che lo ricevettero, diede di poter diventare figliuoli di Dio, a quelli che credono nel suo nome ecc. ecc.

Si, in tutte le nazioni, a quelli di buona volontà, che accolgono il verbo di Dio, concede grazia per Lui di diventare figliuoli di Dio in adozione, e come a tali concede loro il diritto all’eredità del regno celeste per virtù della fede, la quale è il fondamento della giustificazione.

« I quali, non per via di sangue, nè per volontà della carne; nè per volontà d’uomo, ma da Dio son nati ecc. »

Significa che la fede non ha origine dalla generazione della carne: ma bensì dalla grazia dello Spirito di .Dio; per mezzo della quale le prave inclinazioni si correggono, la mente si illumina, si purifica il cuore nell’amor santo di Dio. Non vale adunque essere figlio di Abramo secondo il sangue, nè valgono le forze della natura, né il libero arbitrio a renderci figliuoli di Dio. E solo per volontà di Dio, la Chiesa, rigenerata nel Sangue di Gesù Cristo, genera in tutte le nazioni dell’ universo i figli, che andran nella società degli eletti in Cielo a vita eterna, per virtù del Sangue di Gesù Cristo.

« Ed il Verbo si è fatto carne ecc. »

Ecco il miracolo che la fede ci rivela: un Dio incarnato, Un Dio-Uomo, fino a poter dire che si è fatto carne. Così la Carne dell’uomo nella Persona del Redentore è veramente carne di Dio, e nel beato istante, in cui fu concepita questa Carne Verginale, si trovò penetrata, dice s. Paolo, dell’unzione di Dio, non avendo altra sussistenza che quella del Verbo di Dio. La beatissima Vergine concepì, dice s. Ambrogio, ed il Verbo si è fatto carne, a fine che la carne diventasse Dio: Tunc in utero Virgo concepit, et Verbum Caro factum est, ut caro fieret Deus. Quale espressione! Prodigio divino, che la Chiesa credette di dovere far meditare sull’altare ancor rosso del Sangue di Gesù Cristo! Tra quella Carne di Gesù, ed il Verbo niente è diviso: quello che è vero dell’uno, per comunicazioni di attributi è vero dell’altra. Così perché la Carne di Gesù è stata passibile, il Verbo di Dio fatto uomo veramente ha patito: come pure perché il Verbo è eguale a Dio Padre; perciò quella Carne è assisa alla destra del medesimo; perché la natura umana sussiste nel Verbo insieme colla divina. Il Verbo adunqne si è incarnato! Qui il Sacerdote col popolo s’inginocchia in segno di grande umiltà. Poiché, come dice s. Atanasio, se non possiate sapere come il Verbo si sia incarnato, non ci è permesso tuttavia ignorare che siasi incarnato ed abbia preso carne somigliante alla nostra. Qui in luogo d’invilupparci in una ricerca inutile che sorpassa tutte le umane vedute, in luogo di voler penetrare in questi ineffabili arcani della divina Incarnazione, mentre neppure conosciamo noi stessi: quello che abbiamo da fare sopratutto, si è di benedire mille volte la misericordia infinita del nostro Dio, disceso per noi dalla sua gloria e fattosi uomo come noi siamo; e di umiliar l’intelletto a credere il Mistero, fondamento di nostra salute, e di umiliar noi stessi confusi innanzi a Dio. Questo esprimiamo nello inginocchiarci. – Ora qui a noi resta di applicare il mistero del Verbo al mistero del Sacrificio, dicendo a noi stessi; Quel Corpo, che abbiamo sacrificato e ricevuto, è la Carne di Dio! e noi siam destinati ad essere come Maria Santissima il tempio vivo, dove Dio fatto carne vuol abitare.

« Ed abitò tra noi ecc. »

« Ah! Signore, esclamiamo, per salvar l’uomo Voi, che siete la Santità Sostanziale, vi avete eletta « una Vergine, e a Lei concepita nella santità madaste lo Spirito Santo a santificarla nuovamente con grazie più abbondanti.» Eppure, dopo questa nuova santificazione, la Chiesa canta che (Hym. Te Deum) crede di non offender Maria, quando fa le meraviglie, che Voi non abbiate avuto orrore di chiudervi nel seno di tal SS. Vergine. Noi compresi da tali sentimenti entreremo in noi stessi; e giacché siamo destinati a portare nel seno il medesimo Iddio, il prepararci a questo Sacramento sarà la più grande, e la più grave occupazione della nostra vita; il trarne giovamento sarà il più ardente dei nostri desiderii; e l’abusarne il più terribile dei nostri terrori. Verremo alla santa Mensa coi cuori infiammati d’amore, qual leoni spiranti fuoco di carità, dice il Grisostomo; quali aquile, soggiunge s. Agostino, sollevate al di sopra della terra da pensieri affatto celesti. Adoperandoci per ricevere il Dio della ,gloria col medesimo spirito con cui la Benedetta fra tutte le creature lo concepì; l’esempio della SS. Immacolata sarà la nostra regola. Così pel dovere di comunicarci e di aver parte al Sacrificio sentiamo il dovere di santificarci “(Bourdaloue, Serm. dell’Annunziata). « Abbiamo veduto la sua gloria, gloria come dell’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.» Si, l’hanno veduta gli Apostoli la gloria di Lui, e nel Battesimo suo, e ne’ suoi miracoli e sul Tabor, e fin sul Calvario ed al Sepolcro, poi nella Risurrezione e nella Ascensione; l’ha veduta la sua gloria il mondo intero, salvato dalla univérsale corruzione: l’ha ;veduta la sua gloria ne’miracoli dei Santi, eroi del Cristianesimo, nell’abolizione della schiavitù, nella santità del costurne, che il mondo.non conosceva, ne’prodigi dell’Apostolato e della carità: dappertutto si vede, si prova la grazia e la verità, che il Verbo diffonde sulla terra colla pienezza -del suo Spirito.

« Deo gratias! »

Grazie a Dio! Ma chi renderà degne grazie a Lui? Nessun altro, o Gesù, fuori di Voi, che restaste qui fra noi nelle nostre chiese, compagno del nostro peregrinaggio. Ringraziatelo Voi, o Maria SS. Noi getteremo la penna nell’impotenza di ringraziare Dio in modo degno dell’infinita sua bontà! Noi fortunati! Il gran Mistero d’Amore si chiama appunto da tutta la Chiesa Eucaristia, che vuo dire rendimento di grazie; non ci resta altro che immedesimarci qui con Gesù, per render grazie che siano degne di Dio. Quest’opera fu intrapresa per dar segno d’amore

a Gesù Sacramentato; siam pertanto contenti di condurci in fine a contemplare Gesù, che sta con noi nel Sacramento: e per Lui amare ed onorare, a Lui dedichiamo la nostra povera persona, indirizziamo.ed ordiniamo tutte le Opere nostre. Preghiamo con Maria tutti i Beati a ringraziar Dio.

CONCLUSIONE.

Noi finiamo questa 2 edizione dopo il di undici dell’aprile dell’anno 1869, festa della Messa Nuova del quinquagenario sacerdozio di Pio IX. Ci giunge un articolo della Civiltà Cattolica (giornale) scritto coi palpiti di un figlio, che non ne può più della gioia in mezzo al tripudio dei rappresentanti del mondo cattolico in Roma, come in famiglia intorno alla mensa del padre di tutti. Già l’Unità Cattolica (giornale), quando vide l’annunzio di questa festa di casa rapido come corrente elettrica per tutta la superficie della terra scuotere tutti i cuori alla preghiera, presentiva un miracolo. Il miracolo è già avvenuto; l’universo n’è testimonio. Da ogni piccol paese i popoli, nazioni anche nel terror delle rivoluzioni, presidenti di repubbliche, re, imperatori cattolici e non cattolici, tutti a gara di cuore a Roma, a Roma a consolarsi col padre, come figli giubilanti di vederlo per poco ringiovanito. La diplomazia incantata vede per la prima volta sprezzare le esigenze della fredda etichetta, e col fervore dei cuori comandarsi agli ambasciatori di correre subito a portare i saluti della tenerezzane i belli regali dell’amore per la cara festa di famiglia al gran Padre dell’umanità cristiana. I fedeli rapiti al grande spettacolo della più grande unione in preghiera nell’istesso istante preciso, che mai sia avvenuto nella storia dell’umanità, esclamano in estasi: « È qui Dio, è qui Dio; nessun può negarlo! » Noi eravamo in missione, a cui dedicammo la vita: ed abbiamo annunciato predicando a città e borghi la Messa nuova del santo Padre: e i popoli all’improvviso sorsero, come un sol uomo, si affollarono nelle chiese. Qui d’ogni condizione persone si disputano urtandosi; a fare che?… a gettarsi per terra ai preti tanto calunniati, a picchiarsi il petto, a dirsi peccatori in colpa e dimandare in carità di essere purificati; perché sospirano tanto di gettarsi in braccio a Gesù in Comunione, proprio alle otto ore, quando nella sua Messa Nuova il Padre nostro in terra va a trattare col Padre nostro in cielo i nostri interessi nel Costato di Gesù Cristo!

Dio Salvatore! È dunque forse vicina l’ora della vostra grande misericordia!… (esclamiamo colle lagrime della più consolante speranza). I poveri popoli, divorati dai mali crescenti, non ne ponno più della vita; e pare che gridino, come quel meschinello fortunato: « abbiamo ancora un padre… e in casa del padre tutti stan bene! » Solenne istante! Tra un passato che crolla e un avvenire che si paventa e si spera, ma è imminente, la società corre con lena non mai tanto affannata… L’istmo di Suez le è aperto, la via ferrata mondiale del Pacifico è compiuta; i telegrafi, come la rete di nervi le sensazioni, colla rapidità del baleno diffondono i pensieri per tutto il mondo, e portano dagli antipodi gli evviva al Papa. Ebbene? in questo vortice di movimento universale ristanno i popoli incantati un istante!… Or par che dicano: « A chi andiam noi a cercare il ben che sospiriamo: ad quem ibimus? Oh! abbastanza la filosofia incredula colle sue fole ci ha ingannato, la politica ci sugge il sangu e, il liberalismo c’incatena, la rivoluzione ci ruba danari, pane, fede, moralità, fino un resto di dignità umana, e dopo averci acclamati sovrani, ci getta un motto di scherno: ve’ che siete scimmie brutte! Intanto la guerra mondiale ci si minaccia in permanenza: colla coscrizione universale ci portano via tutti, tutti i nostri poveri figli: ahi! ahi! crudeli, ci vogliono nei figli uccidere fino le nostre speranze. In questo negro orizzonte la tremenda bufera guizza qua e là lampi sanguigni! Padre Santo, salvateci voi! Coraggio, o popoli; Pietro è qui, e stringe fra le braccia Gesù, che è solito d’incatenare le tempeste sotto del suo piede! Nella Chiesa vige lo

spirito di profezia: e noi osserviamo che quando questa, la più paurosa delle rivoluzioni, scoppiava in Francia, Pio VI pigliava la Pisside e col Sacramento sul cuore, strascinato andava a morir in esilio: ma moriva invitto colla Pisside sul cuore. – Pio IX raccolse quella Pisside, e con essa scappava salvo dagli assassini, e ritornava invitto a Roma. Ora che questo mostro di rivoluzione divora se stesso e nel fremito della morte minaccia sterminio universale, Pio IX alza nel calice del Sacramento Gesù in Sacrificio e grida piangendo: « Miei figliuoli, pigliate cuore; QUI È LA VITA! »

Si, questa è la vita dell’umanità immortale, che è la Chiesa. Gesù Cmisto in Sacramento! Anche i fenomeni, che questo Verbo nella creazione produce in natura, sono sovente i veli di questo più gran Mistero del suo amore. In vero voi, che scrutate la natura, per scoprire che cosa sia questo misterioso fenomeno, la vita; e credete trovarla nei vegetali: o botanici, diteci voi che cosa sia la vita nei vegetali? E un vortice nell’organismo, che si sviluppa per l’elettricità, assorbe e ributta gli elementi. Vel concediamo: ma vedete questa è immagine della vita di questo gran corpo, la Chiesa, che vive in Gesù! In essa, qual organismo in perfezione! quanto dell’elettrico nella carità! quanta azione di vita, che assorbe i buoni, rigetta i mali e fiorisce sempre in prosperità! Psicologici, voi credete comprendere la vita negli esseri animali, e la dite essere l’attuazione del sentimento nell’organismo elaborato degli animali. Ve lo lasciam dire; ma voi vedete come questo fenomeno dimostri somma la potenza di vita in questa attuazione di sentimento, che scote tutta la cristianità per l’orbe, e si unifica nel suo Capo! Anatomici, voi poi vi compatiamo; se cercate la vita cogli scalpelli in mano, e confessate che è un quid misterioso che vi sfugge sempre! ma vel diremo noi che cosa è la vita, (noi che colla luce mistica dei nostri santi misteri vediam fin dentro nei tenebrosi misteri, in cui le scienze vostre vi inabissano), noi vi diremo: Che la vita è l’azione di Dio, è il soffio della Divinità! È la vita nel Verbo di Dio, che sostiene tutto che per Lui fu fatto; ed il Verbo Divino è qui in Sacramento. È qui dunque nell’Essenza Divina la vita. No, non abbiam paura della morte noi che viviamo unificati col Capo il Papa, in Gesù Cristo. Ecco: ora i popoli sono raccolti in orazione paurosi come gli Apostoli nel Cenacolo insieme con Maria; e il Pontefice dell’Immacolata, mentre la Babele della rivoluzione cade in rovina, sull’altare del santo Cenacolo pubblica la Bolla del Concilio Ecumenico, e proclama la Pentecoste: che rinnova il mondo in Gesù Cristo.

Noi concludiamo quest’Opera dicendo col pianto della consolazione: LA VITA dell’umanità, che ci salva, È GESU’ CRISTO IN SACRIFICIO NEL SACRAMENTO!

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32): “PIO VI (2)”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(PIO VI – 2)

Costituzione “Auctorem fidei” a tutti i fedeli, 28 agosto 1794.

Errori del Sinodo di Pistoia.

Premessa.

2600. … Dopo che il Sinodo di Pistoia è uscito dalle tane in cui era rimasto nascosto per qualche tempo, non c’è stato nessuno tra coloro che hanno sentimenti pii e saggi riguardo alla religione più eminente, che non percepisse subito che il disegno degli autori era quello di riunire in un unico corpus i semi delle false dottrine che avevano precedentemente diffuso per mezzo di molti libellisti, di far rivivere errori da tempo proscritti e di negare ogni credibilità e autorità ai decreti apostolici con cui erano stati proscritti.

(Ansiosi di soffocare il male emergente) … Abbiamo prima sottoposto gli Atti del Sinodo pubblicati dal Vescovo (Scipione de Ricci) all’esame di quattro Vescovi assistiti da altri teologi del clero secolare; poi abbiamo addirittura incaricato una commissione composta da diversi reverendissimi Cardinali e altri Vescovi di esaminare attentamente gli Atti nella loro interezza, raccogliendo i passaggi che si contraddicono, e di discutere le proposte selezionate. Abbiamo ricevuto le posizioni espresse oralmente o per iscritto in nostra presenza; tutti erano del parere che fosse necessario sia respingere il sinodo nella sua interezza, sia qualificare come censure più o meno severe la maggior parte delle proposte che vi erano state raccolte, alcune in sé, altre tenendo conto delle relazioni tra le proposte; dopo aver ascoltato le osservazioni e averle esaminate con attenzione, ci siamo anche preoccupati che alcuni argomenti principali tratti dal sinodo nel suo complesso, e ai quali sono principalmente collegate, in modo diretto o indiretto, le posizioni da rimproverare diffuse dal sinodo, siano messi in un certo ordine, e che ciascuno sia colpito dalla censura che gli è propria.

(Per scongiurare ogni artificioso tentativo di discolpa, sostenendo) … che ciò che è stato detto con troppa severità in un luogo possa essere spiegato o corretto meglio altrove, … si è seguita la strada migliore, che consiste nell’esporre quelle proposizioni che nascondono sotto il manto dell’ambiguità differenze di significato pericolose o sospette, in modo da portare alla luce la falsa concezione alla cui base si trova un errore riprovato dalla concezione cattolica …

Sull’oscuramento delle verità nella Chiesa.

2601. 1. La proposizione che afferma: “Negli ultimi secoli si è diffuso un generale oscuramento su verità di grande importanza che riguardano la religione e che sono alla base della fede e della dottrina morale di Gesù Cristo” (è) eretica.

Del potere attribuito alla comunità della Chiesa di essere comunicata con i suoi Pastori.

2602. 2. La proposizione che afferma: “Il potere è stato dato da Dio alla Chiesa per essere comunicato ai pastori che sono i suoi ministri per la salvezza delle anime”, se si intende in questo senso che il potere del ministero e del governo ecclesiastico derivi dalla comunità dei fedeli ai pastori, (è) eretica.

Dalla denominazione di “capo ministeriale” attribuita al Pontefice Romano.

2603. 3. D’altra parte (la proposizione) che dichiara: “Il Romano Pontefice è il capo ministeriale”, se viene spiegata nel senso che non è da Cristo, nella persona del beato Pietro, ma dalla Chiesa che il Romano Pontefice riceva il potere del suo ministero con il quale, come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo della Chiesa, ha potere su tutta la Chiesa, (è) eretica.

Dal potere della Chiesa di stabilire e sancire una disciplina esterna.

2604. 4. La proposizione che afferma: “È un abuso dell’autorità della Chiesa trasferirla oltre i limiti della dottrina e della morale a cose esterne, ed esigere con la forza ciò che dipende dalla persuasione e dal cuore”, e anche: “È molto meno appropriato esigere con la forza una sottomissione esterna ai suoi decreti”, se con questi termini indefiniti “estendere alle cose esterne” considera un abuso dell’autorità della Chiesa l’uso del potere che ha ricevuto da Dio e che gli stessi Apostoli hanno usato per stabilire e sancire una disciplina esterna, (è) eretica.

2605. 5. Nella parte in cui (il Sinodo) insinua che la Chiesa non abbiia l’autorità di esigere la sottomissione ai suoi decreti con mezzi diversi da quelli della persuasione, nella misura in cui intende dire che la Chiesa “non abbia ricevuto da Dio, oltre al potere di dirigere con il consiglio e l’esortazione, anche quello di comandare con le leggi e di giudicare e costringere con giudizi esterni e pene salutari coloro che deviano e persistono”, si inoltra in un sistema già condannato come eretico.

I diritti indebitamente attribuiti ai Vescovi.

2606. 6. La dottrina del sinodo che afferma: “Siamo convinti che il Vescovo abbia ricevuto da Cristo tutti i diritti necessari per il buon governo della diocesi”, come se per il buon governo di una diocesi non fossero necessarie norme più elevate sia in materia di fede e di morale che di disciplina generale, e che i sovrani Pontefici ed i Concili generali abbiano il diritto di emanare per tutta la Chiesa, (è) scismatica, quanto meno errata.

2607. 7. Allo stesso modo, quando esorta il Vescovo a “ricercare con zelo uno stato più perfetto della disciplina ecclesiastica”, e questo “contro tutte le consuetudini contrarie, le esenzioni, le riserve che contrastano con il buon ordine della diocesi, per la maggior gloria di Dio e la maggior edificazione dei fedeli”, perché suppone che sia permesso al Vescovo di governare e decretare secondo il proprio giudizio e secondo la propria volontà, contro le consuetudini, le esenzioni e le riserve che esistono, sia nella Chiesa nel suo insieme sia in una provincia, senza l’approvazione e senza l’intervento del potere gerarchico superiore da cui provengono o da cui sono state approvate e a cui hanno dato forza di legge, (questa dottrina) porta allo scisma e al sovvertimento del governo gerarchico, ed è erronea.

2608. 8. Allo stesso modo, poiché afferma di essere convinta che “i diritti che il Vescovo ha ricevuto da Gesù Cristo per governare la Chiesa non possano essere né alterati né impediti, e (che) se dovesse accadere che l’esercizio di questi diritti sia stato interrotto per qualsiasi motivo, il Vescovo può sempre e deve recuperare i suoi diritti originari ogni volta che il bene della Chiesa lo richieda”, nella misura in cui suggerisce che l’esercizio dei diritti episcopali non possa essere limitato da alcun potere superiore ogni qualvolta il Vescovo, a suo giudizio, lo ritenga meno adatto al bene superiore della Chiesa, (esso) conduce allo scisma e alla sovversione del governo gerarchico ed è erronea”.

Il diritto falsamente attribuito ai Sacerdoti dell’ordine inferiore per i decreti della fede e della disciplina.

2609. 9. La dottrina che dichiara: “La riforma degli abusi riguardanti la disciplina ecclesiastica debba dipendere in egual misura, nei sinodi diocesani, dal Vescovo e dai parroci, ed essere decisa da loro in egual misura, e senza che la sottomissione decisionale non sia dovuta ai suggerimenti ed agli ordini dei Vescovi”, (è) falsa, temeraria, lede l’autorità episcopale, sovverte il governo gerarchico, promuove l’eresia ariana che fu rinnovata da Calvino.

2610. 10. Allo stesso modo la dottrina in cui si dice che i parroci e gli altri Sacerdoti riuniti in sinodo sono giudici della fede insieme al Vescovo, e in cui allo stesso tempo si insinua che il giudizio in materia di fede appartenga a loro come un diritto proprio, ricevuto ugualmente con l’ordinazione, (è) falsa, temeraria, sovverte l’ordine gerarchico, mette in discussione la fermezza delle definizioni e dei giudizi dogmatici della Chiesa, quantomeno erronea.

2611. 11. La proposizione che afferma che secondo una disposizione degli antichi, risalente al tempo degli Apostoli e conservata fino ai secoli più belli della Chiesa, si riceveva “che i decreti, o le definizioni, o le decisioni anche delle sedi più grandi, non erano accettate se non erano riconosciute e approvate dal sinodo diocesano” (è) falsa, avventata, deroghi nella sua generalità all’obbedienza dovuta alle costituzioni apostoliche, ma anche alle decisioni emanate dal legittimo potere gerarchico, favorendo lo scisma e l’eresia.

Calunnie contro alcune decisioni in materia di fede emanate da alcuni secoli.

2612. 12. Le affermazioni del Sinodo che si riferiscono in toto a decisioni in materia di fede prese alcuni secoli fa, e che presenta come decreti provenienti da una singola Chiesa particolare o da alcuni pastori, senza essere supportati da sufficiente autorità, come idonei a corrompere la purezza della fede e a suscitare problemi, e come imposti con la forza, e in virtù dei quali si continuano ad infliggere nuove ferite, (sono) false, capziose, avventate, scandalose, dannose per i Romani Pontefici e per la Chiesa, deroghino all’obbedienza dovuta alle Costituzioni Apostoliche, (siano) scismatiche, perniciose e quanto meno erronee.

Della pace detta di Clemente IX.

2613. 13. La proposizione riportata negli Atti del Sinodo, che insinua che Clemente IX abbia ristabilito la pace nella Chiesa approvando la distinzione tra diritto e fatto nella sottoscrizione della forma prescritta da Alessandro VII, (è) falsa, avventata e ingiuriosa per Clemente IX.

2614. 14. Ma nella misura in cui approva questa distinzione, lodando coloro che vi aderiscono e vituperando i suoi oppositori, (è) avventata, perniciosa, dannosa per i sovrani Pontefici, e promuove lo scisma e l’eresia.

Sulla formazione del corpo della Chiesa.

2615. 15. La dottrina che propone di considerare la Chiesa “come un unico Corpo mistico, formato da Cristo che ne è il capo e dai fedeli che ne sono le membra, grazie a quell’ineffabile unione che ci fa diventare in modo mirabile un solo Sacerdote con Lui, una sola vittima, un solo perfetto adoratore di Dio Padre in spirito e verità”, se si intende in questo senso che solo coloro che sono perfetti adoratori in spirito e verità appartengano al corpo della Chiesa, (è) eretica.

Sullo stato di innocenza.

2616. 16. La dottrina del Sinodo sullo stato di felice innocenza, così come è presentato in Adamo prima del peccato, come comprendente non solo l’integrità ma anche la rettitudine interiore con l’impulso verso Dio attraverso l’amore della carità e la santità originaria che è stata in qualche modo ripristinata dopo la caduta, in quanto, nel suo insieme, suggerisce che questo stato sia una conseguenza della creazione, un debito derivante dall’esigenza e dalla condizione naturale della natura umana, e non un beneficio gratuito di Dio, (è) falsa, già condannata in Baio (cf.1901-1980) ed in Quesnel (cf. 2434-2437), erronea e favorisce l’eresia di Pelagio.

Sull’immortalità considerata come condizione naturale dell’uomo.

2617. 17. La proposizione enunciata nei seguenti termini: “Insegnato dall’Apostolo, consideriamo la morte non già come condizione naturale dell’uomo, ma come in realtà la giusta pena del peccato originale”, in quanto implica falsamente, sotto il nome dell’Apostolo, che la morte, inflitta nello stato presente come giusta pena del peccato con la giusta sottrazione dell’immortalità, non fosse la condizione naturale dell’uomo, come se l’immortalità non fosse un beneficio gratuito ma la condizione naturale, (è) capziosa, avventata, offensiva nei confronti dell’Apostolo e già condannata (cf. 1978).

2618 18. La dottrina del Sinodo che dichiara: “Dopo la caduta di Adamo, Dio annunciò la promessa di un futuro liberatore e volle consolare il genere umano con la speranza della salvezza che Gesù Cristo avrebbe portato”, e d’altra parte: “Dio ha voluto che il genere umano passasse attraverso vari stati prima che arrivasse la pienezza dei tempi”; e in primo luogo perché nello stato di natura “l’uomo lasciato ai propri lumi impari a diffidare della ragione cieca e abbandoni le sue aberrazioni per desiderare l’aiuto di una luce superiore”, questa dottrina, così com’è, (è) capziosa; e se viene intesa come desiderio di aiuto di una luce superiore in vista della salvezza promessa da Cristo, e verso la quale – si suppone – l’uomo avrebbe potuto muoversi con ciò che restava delle proprie luci, (è) sospetta, favorendo l’eresia semipelagiana.

Sulla condizione dell’uomo sotto la legge.

2619. 19. Allo stesso modo (la dottrina) che segue, affermando che l’uomo sotto la legge, “essendo impotente ad osservarla, divenne trasgressore, non certo per colpa della legge, che era molto santa, ma per colpa dell’uomo che sotto la legge senza la grazia divenne sempre più trasgressore” e che aggiunge che “la legge, se non guarì il cuore dell’uomo, fece (tuttavia) sì che egli conoscesse i suoi mali e che, convinto dei suoi mali, desidera la grazia di un mediatore”, in quanto implica in modo generale che l’uomo è diventato trasgressore per la mancata osservanza della legge che non era in grado di osservare, come se “colui che è giusto potesse comandare qualcosa di impossibile, o che colui che è buono condannasse l’uomo per qualcosa che non poteva evitare”: (è) falsa, scandalosa, empia, condannata in Baio (cf. 1954).

2620.. 20. Nella misura in cui si dà ad intendere che l’uomo sotto la legge potrebbe senza la grazia concepire il desiderio della grazia del mediatore ordinata alla salvezza promessa da Cristo, come se “non fosse la grazia stessa a farcela chiedere” (II Concilio di Orange, Can. 3, – cf. 373) la proposizione, così com’è, (è) capziosa, sospetta, favorisce l’eresia semipelagiana.

Sulla grazia illuminante ed eccitante.

2621. 21. La proposizione che afferma: “La luce della grazia, quando è sola, fa conoscere solo la disgrazia della nostra condizione e la gravità del nostro male; in tal caso la grazia produce lo stesso effetto che produceva la legge; per questo è necessario che Dio crei nel nostro cuore un santo amore e ispiri una santa dilezione contraria all’amore che domina in noi; questo santo amore e questa santa dilezione sono propriamente la grazia di Gesù Cristo, l’ispirazione della carità con la quale facciamo di un santo amore ciò che abbiamo riconosciuto. Questa è la radice da cui germogliano le opere buone; questa è la grazia del Nuovo Testamento che ci libera dalla schiavitù del peccato, costituendoci figli di Dio”, nella misura in cui intende dire che è propriamente grazia di Gesù Cristo solo quella grazia che crei nel cuore il santo amore e ci faccia agire, o ancora: con la quale l’uomo liberato dal peccato è costituito figlio di Dio, e che non è propriamente grazia di Cristo anche quella grazia con la quale il cuore dell’uomo sia toccato dall’illuminazione dello Spirito Santo (Trento,VI sessione, cap. 5 1525), e che non c’è una grazia che non sia quella di Cristo. (5 1525), e che non esista una vera grazia interiore di Cristo a cui si resista, (è) falsa, capziosa, porta all’errore condannata come eretica nella seconda proposizione di Giansenio e lo rinnova (cf. 2002).

Sulla fede come prima grazia.

2622. 22. La proposizione che insinua che la fede “con la quale inizia la serie delle grazie e con la quale, come con una prima voce, siamo chiamati alla salvezza e alla Chiesa” è essa stessa la virtù più eccellente della fede con la quale gli uomini sono chiamati fedeli e sono, come se non ci fosse prima questa grazia che, “come precede la volontà, precede anche la fede”, (è) sospetta di eresia, sa di eresia, già condannata in Quesnel (cf. 2427),

l doppio amore.

2623. 23. La dottrina del Sinodo sul doppio amore della cupidigia dominante e della carità dominante, che afferma che l’uomo, senza la grazia,sia sotto l’impero del peccato e che in questo stato, a causa dell’influsso generale della cupidigia dominante, infetti e corrompa tutte le sue azioni, in quanto insinua che finché è soggetto alla servitù, o in stato di peccato, privato di questa grazia con la quale è liberato dalla servitù del peccato e costituito figlio di Dio, l’uomo sia talmente dominato dalla cupidigia che per l’influsso generale di essa tutte le sue azioni siano infette e corrotte in sé, o che tutte le opere compiute prima della giustificazione, qualunque sia il loro principio, siano peccati, come se in tutte le sue azioni il peccatore fosse soggetto alla cupidigia dominante, (è) falsa, perniciosa, che conduce nell’errore, condannata come eretica dal Concilio di Trento, e condannata nuovamente in Baio, (art. 40 1557,1940).

2624. 24. Ma poiché così, tra la cupidigia dominante e la carità dominante, non si pongono gli affetti medi, impiantati dalla natura stessa e lodevoli nella loro stessa natura, che, con l’amore della beatitudine e la tendenza naturale al bene, “sono rimasti per così dire gli ultimi contorni e resti dell’immagine di Dio”, come se “tra l’amore divino che ci conduce al Regno e l’amore umano illecito che è condannato” non ci fosse un “amore umano lecito che non sia condannato”, (questa dottrina è) falsa, già condannata (cf. 1938, 2307).

Del timore servile.

2625. 25. La dottrina che afferma che il timore delle pene in modo generale “poossa dirsi non un male solo se almeno contribuisca a frenare la mano, come se lo stesso timore dell’inferno, che la fede insegna debba essere inflitto per il peccato, non fosse di per sé buono e utile, in quanto dono soprannaturale e movimento ispirato da Dio che prepara all’amore della giustizia”, (è) falsa, avventata, pernicioa, lesiva dei doni divini, già condannata (cf. 1456), contraria alla dottrina del Concilio di Trento (cf. 1526, 1678), nonché all’opinione comune dei Padri secondo cui “è necessario”, secondo l’ordine abituale di preparazione alla giustizia, “che entri prima il timore, attraverso il quale viene la carità: il timore è la medicina, la carità è la salute”.

Sulla punizione di coloro che muoiono con il solo peccato originale.

2626. 26. La dottrina che respinge come una favola pelagiana questo luogo degli inferi (che i fedeli chiamano comunemente il limbo dei bambini) in cui le anime di coloro che sono morti con il solo peccato originale sono punite con la pena della dannazione, senza la pena del fuoco, come se coloro che rifiutano la pena del fuoco introducessero con ciò questo luogo e questo stato intermedio, senza colpa e senza pena, tra il Regno di Dio e la dannazione eterna, di cui i pelagiani hanno fabbricato, (è) falsa, temeraria, offensiva per le scuole cattoliche.

Della forma sacramentale accompagnata da una condizione.

2627. 27. La decisione del sinodo che, con il pretesto di conformarsi agli antichi canoni, manifesta l’intenzione, nel caso di un Battesimo dubbio, di omettere ogni menzione della forma condizionata, (è) avventata, contraria alla prassi, alla legge e all’autorità della Chiesa.

Partecipazione al Sacrificio della Messa.

2628. 28. La proposta del Sinodo che, dopo aver stabilito che “la partecipazione alla vittima è parte essenziale del sacrificio”, aggiunge che “tuttavia non condanna come illecite quelle Messe in cui gli assistenti non ricevano la Comunione sacramentale perché partecipano, anche se in modo meno perfetto, alla vittima stessa ricevendola spiritualmente”, nella misura in cui insinua che manchi qualcosa all’essenza del sacrificio in questo sacrificio che viene presentato senza che nessuno vi partecipi o senza che coloro che vi partecipano partecipino sacramentalmente o spiritualmente alla vittima, e come se si dovessero condannare come illecite le Messe in cui comunica solo il Sacerdote e in cui non partecipa nessuno che si comunichi sacramentalmente o spiritualmente, (è) falsa, erronea, sospetta di eresia e sa di eresia.

Sull’efficacia del rito di consacrazione.

2629. 29. La dottrina del Sinodo, che si impegna a presentare la dottrina della fede relativa al rito della consacrazione, trascurando le questioni scolastiche sul modo in cui Cristo è nell’Eucaristia – questioni dalle quali i parroci, che hanno l’ufficio di insegnare, sono esortati ad astenersi -, si limita a queste due sole proposizioni 1) dopo la consacrazione Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente sotto le specie; 2) allora cessa tutta la sostanza del pane e del vino e rimangono solo le specie, e omette del tutto di menzionare la transustanziazione o conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio di Trento ha definito come articolo di fede (cf. 1642, 1652), e che è contenuta nella professione solenne di fede (cf. 1866), in quanto con questa omissione sconsiderata e molto sospetta si sottrae la conoscenza di un articolo che appartiene alla fede, nonché di un termine consacrato dalla Chiesa per proteggere la sua confessione di fede dalle eresie, e si tende così a dimenticarlo come se fosse una questione puramente scolastica, (essa) è perniciosa, deroga all’esposizione della verità cattolica sul dogma della Transustanziazione e favorisce gli eretici.

Sull’applicazione del frutto del sacrificio.

2630. 30. La dottrina del Sinodo con cui professa “di credere che l’oblazione del Sacrificio si estenda a tutti, in modo tale però che nella liturgia si possa fare una speciale commemorazione di alcuni fedeli, vivi o defunti, pregando Dio in modo particolare per loro”, ma subito dopo aggiunge “ma non perché crediamo che sia in potere del Sacerdote applicare il frutto del sacrificio a chi vuole; al contrario, condanniamo questo errore come gravemente offensivo dei diritti di Dio, che solo può distribuire i frutti del Sacrificio a chi vuole e secondo la misura che gli piace, e di conseguenza dichiariamo che è una “falsa opinione, destinata al popolo, che coloro che fanno l’elemosina al Sacerdote a condizione che celebri una Messa ne ricevano un frutto speciale”, se si intende nel senso che, oltre alla particolare commemorazione e preghiera, un’offerta o un’applicazione speciale del Sacrificio fatta dal Sacerdote non è più utile, a parità di altre condizioni, a coloro per i quali egli offre il Sacrificio che a tutti gli altri, come se nessun frutto speciale venisse dall’applicazione speciale che la Chiesa raccomanda e prescrive di fare per particolari persone o ordini di persone, specialmente da parte dei pastori per le loro pecore – il che deriva, per così dire, da un precetto divino ed è stato espressamente dichiarato dal santo Concilio di Trento (XXIII Sessione, De la reforme, cap. 1), (è) falsa, avventata, perniciosa, dannosa per la Chiesa, e conduce all’errore già condannato da Wyclif (cf. 1169).

Sull’ordine da osservare nel culto.

2631. 31. La proposta del Sinodo secondo cui, per l’ordinamento degli Uffici divini, e secondo l’antica consuetudine, è opportuno che in ogni chiesa vi sia un solo altare, e che sia gradito al Sinodo che questa consuetudine venga ristabilita, (è) avventata, lesiva di un’antichissima e pia consuetudine, in vigore e approvata da molti secoli nella Chiesa, soprattutto in quella latina.

2632. 32. Allo stesso modo, la prescrizione che vieta di porre sugli altari recipienti contenenti reliquie sacre e fiori (è) avventata, lesiva del pio e sperimentato uso della Chiesa.

2633. 33. La proposta del Sinodo di rimuovere le cause che hanno in parte portato a trascurare i principi dell’ordine della liturgia, “richiamandola ad una maggiore semplicità di riti, celebrandola in lingua volgare e dicendola ad alta voce”, come se l’ordine della liturgia ricevuto e approvato dalla Chiesa derivasse in parte da una dimenticanza dei principi da cui deve essere governato, (è) avventata, offensiva per le orecchie pie, oltraggiosa per la Chiesa, e favorisce i rimproveri degli eretici nei suoi confronti.

Sull’ordinanza della penitenza.

2634. 34. La dichiarazione del sinodo in cui, dopo aver detto che l’ordinanza della penitenza canonica è stata stabilita dalla Chiesa antica sull’esempio degli Apostoli in modo tale da essere comune a tutti, e non solo per la colpa, ma soprattutto per disporre alla grazia, aggiunge che “riconosce in questa venerabile e mirabile ordinanza tutta la dignità del Sacramento così necessario, liberata da tutte le sottigliezze che vi sono state aggiunte nel corso del tempo”, come se con l’ordinanza secondo la quale questo Sacramento venga abitualmente amministrato in tutta la Chiesa, senza il completamento del tempo della penitenza canonica, la sua dignità fosse stata diminuita, (è) avventata, scandalosa, che porta al disprezzo della dignità del Sacramento come è abitualmente amministrato in tutta la Chiesa, e dannoso per la Chiesa stessa.

2635. 35. La proposta si riassume nei seguenti termini “Se la carità è troppo debole all’inizio, per ottenere un aumento di questa carità è necessario che il Sacerdote faccia precedere abitualmente quegli atti di umiliazione e di penitenza che sono sempre stati raccomandati dalla Chiesa; ridurre questi atti a qualche preghiera o a qualche digiuno dopo l’assoluzione ricevuta sembra essere più un desiderio materiale di mantenere questo Sacramento sotto il semplice nome di “penitenza” che un mezzo illuminato capace di aumentare il fervore della carità che deve precedere l’assoluzione. – Siamo certamente lontani dal disapprovare la pratica di imporre penitenze da eseguire dopo l’assoluzione; se tutte le nostre opere buone hanno sempre i loro difetti, dobbiamo temere a maggior ragione di aver lasciato trapelare molte imperfezioni nell’opera così difficile e così importante della nostra riconciliazione, nella misura in cui ciò fa pensare che le penitenze imposte da compiere dopo l’assoluzione siano da considerare più come un supplemento per le colpe commesse nell’opera della nostra riconciliazione che come penitenze veramente sacramentali e soddisfacenti per i peccati confessati, come se, per conservare la vera realtà del Sacramento e non solo il suo nome, fosse ordinariamente necessario che gli atti di umiliazione e di penitenza imposti come modalità di soddisfazione sacramentale precedano l’assoluzione, (è) falsa, avventata, offensiva della prassi della Chiesa, che porta all’errore definito eresia da Pierre d’Osma (cf. 1415 ; cfr. 2316).

Sulla disposizione preliminare necessaria per ammettere i penitenti alla riconciliazione.

2636. 36. La dottrina del sinodo che, dopo aver detto: “Quando ci sono segni inequivocabili della predominanza dell’amore di Dio nel cuore di un uomo, egli può essere giustamente giudicato degno di essere ammesso alla partecipazione al sangue di Gesù Cristo che si attua nei Sacramenti”, aggiunge: “le conversioni presunte che si realizzano per logoramento non sono di solito né efficaci né durature”, di conseguenza “il pastore d’anime deve insistere su segni inequivocabili della predominanza della carità prima di ammettere i suoi penitenti ai Sacramenti” – segni di cui si dice poi (par. 17) che “il pastore può dedurli da una stabile lontananza dal peccato e dal fervore nelle opere buone”, mentre d’altra parte questo “fervore di carità” viene presentato (Decreto sulla penitenza Par. 10) come la disposizione che deve precedere l’assoluzione”, se si intenda in questo senso che non è richiesta solo la contrizione imperfetta che talvolta viene chiamata “attrizione”, anche se unita all’amore con cui l’uomo comincia ad amare Dio come fonte di ogni giustizia (cfr. 1526), né solo la contrizione formata dalla carità, ma che sia richiesto anche il fervore della carità dominante in modo generale e assoluto, provato da una lunga esperienza attraverso il fervore per le opere buone, perché un uomo sia ammesso ai Sacramenti e perché i penitenti in particolare siano ammessi al beneficio dell’assoluzione, (è) falsa, avventata, di natura tale da turbare la pace delle anime, contraria alla prassi sicura e provata della Chiesa, pregiudizievole per l’efficacia dei Sacramenti e ingiuriosa.

Potere di assolvere.

2637. 37. La dottrina del Sinodo che dice del potere di assolvere ricevuto con l’ordinazione: “dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie è opportuno che ciascuno eserciti questa giurisdizione sulle persone a lui soggette o per territorio o per diritto personale, perché altrimenti ne deriverebbero disordine e confusione”, nella misura in cui dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie dice solo “è opportuno, per evitare la confusione, che il potere di assoluzione sia esercitato sui sudditi”, se ciò sia inteso nel senso che per l’uso valido di questo potere non c’è bisogno di questa giurisdizione ordinaria o delegata senza la quale, secondo la dichiarazione del Concilio di Trento (cf. 1886 s), l’assoluzione data da un Sacerdote non abbia valore, (è) falsa, avventata, perniciosa, contraria al Concilio di Trento e dannosa, erronea.

2638. 38. Allo stesso modo la dottrina in cui il Sinodo, dopo aver professato che “non può non ammirare quella disciplina così venerabile dell’antichità che (dice) non ammettesse così facilmente, e forse mai, qualcuno che, dopo il primo peccato e la prima riconciliazione, fosse ricaduto in una colpa”, aggiunge “con il timore dell’esclusione perpetua dalla comunione e dalla pace, anche in punto di morte, si impone un potente freno a coloro che considerano troppo poco il male del peccato e non lo temono molto”, (è) contraria al can. 13 del primo Concilio di Nicea (cf. 129), alla decretale di Innocenzo I a Esuperio di Tolosa (cf. 212), nonché alla decretale di Celestino I ai Vescovi di Vienne e Narbonne (cf. 236), e sa di perversità di fronte alla quale il santo Pontefice ha orrore in questa decretale.

2639. 39. La dichiarazione del Sinodo sulla confessione dei peccati veniali, che si vuole non sia così frequente per evitare che tali confessioni diventino troppo spregevoli, (è) avventata, perniciosa, contraria alla pratica dei santi e delle persone pie approvata dal santo Concilio di Trento (cf. 1680).

Indulgenze.

2640. 40. La proposizione che afferma che “l’indulgenza, secondo la sua precisa nozione, non sia altro che la remissione di quella parte della penitenza che i Canoni avevano stabilito per il peccatore”, come se l’indulgenza, oltre alla pura remissione della pena canonica non si applicasse anche alla remissione della pena temporale dovuta per i peccati attuali davanti alla giustizia divina, (è) falsa, avventata, lesiva dei meriti di Cristo, condannata da tempo nell’articolo 19 di Lutero (cf. 1469).

2641. 41. Allo stesso modo, quando si dice in ciò che segue che “gli scolastici, gonfiati dalla loro sottigliezza, abbiano introdotto l’equivoco tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi, ed hanno sostituito alla chiara nozione di assoluzione dalle pene canoniche quella confusa e falsa dell’applicazione dei meriti”, come se i tesori della Chiesa dai quali il Papa concede le indulgenze non fossero i meriti di Cristo e dei santi, (la proposizione è) falsa, lesiva dei meriti di Cristo e dei santi, condannata da tempo nell’articolo 17 di Lutero (cf. 1467).

2642. 42. Allo stesso modo, quando si aggiunge che “è ancora più deplorevole che si sia voluto trasferire questa chimerica applicazione ai defunti”, (la proposizione è) falsa, avventata, offensiva per le orecchie pie, ingiuriosa per i Pontefici Romani e per la pratica ed il senso della Chiesa universale, e conduce all’errore qualificato come eretico da Pietro d’Osma (cf. 1416), e nuovamente condannato nell’articolo 22 di Lutero (cf. 1472).

2643. 43. Infine, quando attacca nel modo più sfacciato le favole delle indulgenze, gli altari privilegiati, ecc. (è) temerario, offensivo per le orecchie pie, scandaloso, oltraggioso nei confronti dei sovrani Pontefici e della prassi diffusa in tutta la Chiesa.

Sulla riserva dei casi.

2644. 44. La proposta del Sinodo che afferma: “La riserva dei casi, ai nostri giorni, non è altro che un impedimento sconsiderato per i Sacerdoti inferiori e un suono vuoto per i penitenti abituati a non tenere conto di questa riserva, (è) falsa, temeraria, malsonante, perniciosa, contraria al Concilio di Trento (cf. 1697), e lede il superiore potere gerarchico”.

2645. 45. Allo stesso modo l’auspicio espresso che “dopo una riforma del rito e dell’ordine della Penitenza non ci sarà più spazio per tali riserve”, nella misura in cui questi termini volutamente generici implichino che una riforma del rito e dell’ordine della Penitenza fatta da un Vescovo o da un Sinodo possa abolire i casi di cui il Concilio di Trento (XIV sessione, cap. 7 1687) dichiara che il rito e l’ordine della Penitenza non possano essere aboliti, (cf. 1687) dichiara che i sovrani Pontefici possano riservarli al loro giudizio in ragione del loro supremo potere su tutta la Chiesa, la proposta è falsa, temeraria, deroga al Concilio di Trento e all’Autorità dei sovrani Pontefici e li danneggia.

Censure.

2646. 46. La proposizione che afferma che “l’effetto della scomunica sia solo esterno perché per sua natura esclude solo dalla comunione esterna della Chiesa”, come se la scomunica fosse solo una pena spirituale, che lega al cielo e obbliga le anime, (è) falsa, perniciosa, condannata nell’articolo 23 di Lutero (cf. 1473), quanto meno erronea.

2647. 47. Allo stesso modo (la proposizione) che afferma che è necessario, secondo le leggi naturali e divine, che, sia per la scomunica che per la sospensione, ci sia un esame personale preventivo, e che di conseguenza le sentenze dette ipso facto non abbiano altra portata che quella di una grave minaccia senza alcun effetto reale, (è) falsa, avventata, perniciosa, lesiva dell’autorità della Chiesa, erronea.

2648. 48. Allo stesso modo, l’affermazione che “la formula introdotta qualche secolo fa, che assolve generalmente i fedeli dalle scomuniche in cui sarebbero potuti cadere, è inutile e vana” (è) falsa, avventata, lesiva della prassi della Chiesa.

2649. 49. Allo stesso modo quella che condanna come nulle e invalide le “suspenses ex informata conscientia“, (è) falsa, perniciosa, offensiva nei confronti del Concilio di Trento.

2650. 50. Allo stesso modo, quando si insinua che non spetti solo al Vescovo usare il potere conferitogli dal Concilio di Trento (sess. XIV, can. 1, De reformatione) per imporre legittimamente una sospensione ex informata conscientia, si lede la giurisdizione dei prelati della Chiesa.

Ordinazione.

2651. 51. La dottrina del Sinodo che afferma che, per la promozione agli Ordini, secondo la consuetudine e le disposizioni dell’antica disciplina, si seguisse di solito la seguente regola: “Se un chierico si distingueva per la santità della sua vita e veniva giudicato degno di accedere agli Ordini sacri, veniva di solito promosso al diaconato o al Sacerdozio anche se non avesse ricevuto gli Ordini inferiori; e tale ordinazione non si diceva “per salto”, come sarebbe stata chiamata in seguito”.

2652. 52. Allo stesso modo (la dottrina) che suggerisce che non ci fosse altro titolo per l’ordinazione se non quello della designazione per un ministero particolare, come prescritto dal Concilio di Calcedonia (Can. 6), e prosegue (Par. 6) affermando che finché la Chiesa si è conformata a questi principi nella scelta dei Ministri sacri, l’Ordine ecclesiastico ha prosperato; ma che questi giorni felici sono passati, e che in seguito sono stati introdotti nuovi principi con i quali la disciplina nella scelta dei ministri del santuario sia stata corrotta.

2653. 53. Allo stesso modo, quando si nota, tra questi stessi principi di corruzione, che ci si sia allontanati dall’antica prassi con la quale – si dice (par. 5) – la Chiesa, seguendo le orme degli Apostoli, aveva stabilito che non fosse ammesso al Sacerdozio chi non avesse conservato l’innocenza battesimale: nella misura in cui si suggerisce che la disciplina sia stata corrotta da decreti e istituzioni che: – 1 hanno proibito le ordinazioni “per salto” – 2 o hanno approvato, per la necessità e la convenienza delle Chiese, le ordinazioni senza il titolo di un ministero particolare, come è avvenuto in particolare, da parte del Concilio di Trento, l’ordinazione per titolo patrimoniale, fatta salva l’obbedienza in virtù della quale coloro che sono stati ordinati in questo modo devono servire le necessità delle Chiese accettando gli uffici a cui, secondo i tempi e i luoghi, il Vescovo può chiamarli, come era consuetudine al tempo degli Apostoli nella Chiesa primitiva – 3 sia stata stabilita, nel diritto canonico, la distinzione dei crimini che rendono irregolari coloro che li hanno commessi, come se con questa distinzione la Chiesa si fosse allontanata dallo spirito degli Apostoli non escludendo, in modo generale e senza alcuna distinzione, dal ministero ecclesiastico tutti coloro che non abbiano conservato l’innocenza battesimale, questa dottrina (è) falsa nelle sue varie parti, temeraria, distrugge l’ordine stabilito per la necessità e la convenienza delle Chiese, reca danno alla disciplina approvata dai Canoni e in particolare dai decreti del Concilio di Trento.

2654. 54. Allo stesso modo (la dottrina) che condanna come un abuso vergognoso la concessione di qualsiasi elemosina per la celebrazione della Messa o l’amministrazione dei Sacramenti, e l’accettazione di qualsiasi reddito chiamato “dovere di stola” e, in generale, di qualsiasi tributo o onorario che possa essere offerto in occasione di suffragi o di qualsiasi funzione parrocchiale, come se i ministri della Chiesa dovessero essere accusati del reato di abuso vergognoso quando, secondo la consuetudine e le regole ricevute e approvate dalla Chiesa, si avvalgono del diritto promulgato dall’Apostolo di ricevere beni temporali da coloro ai quali amministrano i beni spirituali (Ga. VI,6) , (è) falsa, temeraria, lede il diritto ecclesiastico e pastorale, fa ingiustizia alla Chiesa ed ai suoi ministri.

2655. 55. Allo stesso modo, quando uno dichiara di desiderare ardentemente che si trovi il modo di allontanare dalle cattedrali e dalle collegiate il “clero minore” (come vengono chiamati i chierici degli Ordini inferiori) provvedendo altrimenti – per esempio, con laici di probità e di età avanzata, e assegnando loro uno stipendio adeguato – al ministero di servire le Messe e ad altri uffici come quello di accolito, ecc, come si faceva un tempo, si dice, quando tali uffici non erano ridotti a mera apparenza, in vista della ricezione degli Ordini maggiori, in quanto si biasima un’istituzione con la quale si deve garantire che le funzioni degli Ordini minori siano svolte ed esercitate solo da coloro che sono stati istituiti in essi, e questo secondo il desiderio del Concilio di Trento (Sess. XXII, cap. 17) “che le funzioni degli Ordini sacri, dal diaconato all’ostiariato, ricevute nella Chiesa con lode fin dai tempi apostolici e omesse per un certo tempo in diversi luoghi, siano ripristinate secondo i santi Canoni e non siano più derise come inutili dagli eretici”, il suggerimento (è) temerario, offende le orecchie pie, disturba il ministero ecclesiastico, diminuisce il decoro che deve essere conservato il più possibile nella celebrazione dei misteri, danneggia gli uffici e le funzioni degli Ordini minori e la disciplina approvata dai Canoni e soprattutto dal Concilio di Trento, incoraggia gli attacchi e le calunnie degli eretici contro di essa.

2656. 56. La dottrina secondo cui sembra opportuno che per gli impedimenti canonici che derivano da reati menzionati dal diritto, non si debba mai concedere o ammettere alcuna dispensa, offende l’equità e la moderazione canonica approvata dal santo Concilio di Trento, e deroga all’autorità ed alle disposizioni del diritto della Chiesa.

2657. 57. La prescrizione del Sinodo che respinge come abuso, in modo generale e senza distinzioni, qualsiasi dispensa volta a conferire ad una stessa persona più di un beneficio residenziale; anche quando aggiunge che sia certo che secondo lo spirito della Chiesa nessuno possa godere di più di un beneficio, anche semplice, deroga per la sua generalità alla moderazione del Concilio di Trento (sess. VII; cap. 5, e sess. XXIV, cap. 17).

Promessa di matrimonio e il fidanzamento.

2658. 58. La proposizione che il fidanzamento propriamente detto sia un atto puramente civile, preparatorio alla celebrazione del matrimonio, e che sia interamente soggetto alla prescrizione del diritto civile, come se un atto che prevede il Sacramento non fosse sotto questo aspetto soggetto al diritto della Chiesa, è falsa, mina il diritto della Chiesa per quanto riguarda gli effetti che derivano anche dal fidanzamento in virtù delle disposizioni canoniche, e deroga alla disciplina stabilita dalla Chiesa.

2659. 59. La dottrina del Sinodo, che afferma che “spetti solo alla suprema potestà civile, in modo originale, apporre al contratto matrimoniale impedimenti che lo rendono nullo e che sono chiamati dirimenti”; che, inoltre, questo “diritto originario” sia “legato nella sua essenza al diritto di dispensare”, aggiungendo che “è con l’assenso o la connivenza dei principi che la Chiesa ha giustamente potuto stabilire impedimenti che dirimono il contratto di Matrimonio stesso, come se la Chiesa non avesse sempre potuto e non potesse sempre stabilire di suo diritto per il Matrimonio dei Cristiani impedimenti che non solo impediscono il Matrimonio, ma lo rendono anche nullo per quanto riguarda il vincolo, e da cui i Cristiani sono legati anche in terre infedeli, e anche dispensarlo, rovescia i canoni 3, 4, 9 e 12 della XXIV sessione del Concilio di Trento (Cf. 1803 f. 1809, 1812), ed è eretica.

2660. 60. Allo stesso modo la richiesta rivolta dal Sinodo al potere civile di “sopprimere tra gli impedimenti la parentela spirituale e l’impedimento dell’onestà pubblica, la cui origine si trova nella raccolta di Giustiniano”; poi di “restringere l’impedimento di affinità e parentela, sia che provenga da un’unione libera o illecita, al quarto grado secondo il modo di calcolo civile, in linee laterali e oblique, in modo tale, tuttavia, che non rimanga alcuna speranza di ottenere una dispensa”, nella misura in cui concede al potere civile il diritto di abolire o restringere gli impedimenti stabiliti od approvati dall’autorità della Chiesa. Allo stesso modo, nella misura in cui presuppone che la Chiesa possa essere privata dal potere civile del diritto di dispensare da impedimenti stabiliti o approvati da essa, sovvertea la libertà e il potere della Chiesa, sia contraria al Concilio di Trento e derivi dal principio eretico condannato sopra (cf. 1803-1812).

Sull’adorazione dell’umanità di Cristo.

2661. 61. La proposizione che afferma: “adorare direttamente l’umanità di Cristo, e ancor più una parte di essa, sarà sempre un onore divino dato ad una creatura”, in quanto con questa parola “direttamente” intende riprovare il culto di adorazione che i fedeli rivolgono all’umanità di Cristo, come se tale adorazione, con cui si adora la stessa umanità e carne vivificante di Cristo – non per se stessa e come semplice carne, ma come carne unita alla divinità – fosse un onore divino conferito a una creatura e non piuttosto l’unica e stessa adorazione con cui si adora il Verbo incarnato con la sua stessa carne (2° Concilio di Costantinopoli, Can. 9 431; 259), è falsa, capziosa, deprezza il pio culto che è dovuto e deve essere reso all’umanità di Cristo e gli fa torto.

2662. 62. La dottrina che respinge la devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù tra le devozioni che vengono presentate come nuove, erronee e per lo meno pericolose, se si intende questa devozione come è stata riprovevole dalla Sede Apostolica, (è) falsa, avventata, perniciosa, offende le pie orecchie e fa ingiustizia alla Sede Apostolica.

2663. 63. Allo stesso modo, rimproverando anche ai devoti del Cuore di Gesù di non aver notato che la carne santissima di Cristo, o una sua parte, o anche l’intera umanità, non possa essere adorata se è separata o scissa dalla divinità, come se i fedeli adorassero il Cuore di Gesù separandolo o scindendolo dalla divinità, mentre lo adorano in quanto è il cuore di Gesù, cioè il cuore della Persona del Verbo a cui è inseparabilmente unito, così come il Corpo di Cristo dissanguato durante i tre giorni di morte – senza essere separato o scisso dalla divinità – era adorabile nella sepoltura, (questa dottrina è) capziosa, fa ingiustizia ai fedeli devoti del Cuore di Cristo.

Sull’ordine prescritto per il compimento dei pii esercizi.

2664. 64. La dottrina che accusa di essere totalmente superstiziosa “qualsiasi efficacia attribuita ad un determinato numero di preghiere e di pie salutazioni”, come se si dovesse considerare superstiziosa l’efficacia che deriva non da un numero considerato in sé, ma dal precetto della Chiesa che prescrive un determinato numero di preghiere o di azioni esteriori per ottenere le indulgenze, per il compimento delle penitenze e, in generale, per il giusto e ordinato svolgimento del culto sacro e religioso, (è) falsa, avventata, scandalosa, perniciosa, lesiva della pietà dei fedeli, derogatoria dell’autorità della Chiesa, erronea.

2665. 65. La proposizione che afferma: “il frastuono irregolare delle nuove istituzioni chiamate esercizi o missioni, … quasi mai, o almeno molto raramente, si traduce in una conversione assoluta; e i segni esteriori che sono apparsi non sono stati altro che lampi passeggeri di una scossa naturale”, (è) avventata, sconveniente, offensiva nei confronti di un uso praticato in modo pio e salutare dalla Chiesa e fondato nella Parola di Dio.

Su come unire la voce del popolo a quella della Chiesa nella preghiera pubblica.

2666. 66. L’affermazione secondo cui “è contrario alla prassi apostolica ed ai consigli di Dio non preparare vie più agevoli perché il popolo unisca la sua voce a quella di tutta la Chiesa”, se intesa nel senso di introdurre l’uso della lingua volgare nelle preghiere liturgiche, (è) falsa, avventata, sconvolge l’ordine prescritto per la celebrazione dei misteri e produce facilmente molti mali.

Sulla lettura della Sacra Scrittura.

2667. 67. La dottrina che afferma che solo la vera incapacità giustifichi la mancata lettura delle Scritture, aggiungendo che l’oscurità sulle verità primarie della Religione che è nata dalla negligenza di questo precetto continua a diffondersi, è falsa, temeraria e disturba la tranquillità delle anime, è già stata condannata in Quesnel (cf. 2479-2485).

Sulla lettura pubblica dei libri proibiti in Chiesa.

Immagini sacre.

2668. 68 L’alto elogio con cui il Sinodo raccomanda i commentari di Quesnel sul Nuovo Testamento e altre opere favorevoli agli errori di Quesnel, anche se sono proscritti, e propone ai parroci di leggerli al popolo nelle parrocchie, dopo altre funzioni, perché contengono solidi principi di Religione, (è) falso, scandaloso, temerario, sedizioso, danneggia la Chiesa, promuove lo scisma e l’eresia.

2669. 69. La prescrizione che, tra le immagini da respingere in modo generale ed indiscriminato, perché danno occasione di errore agli ignoranti, condanna le immagini della Trinità incomprensibile, (è), per il suo carattere generale, avventata e contraria all’uso pio e consueto della Chiesa, come se non ci fossero immagini della Santissima Trinità comunemente approvate e che possano essere tranquillamente permesse.

2670. 70. Allo stesso modo, la dottrina e la prescrizione che, in modo generale, disapprovino qualsiasi culto speciale che i fedeli sono soliti rendere ad un’immagine particolare, alla quale ricorrono più che a qualsiasi altra, è avventata, perniciosa e dannosa per la pia consuetudine della Chiesa, così come per la disposizione della provvidenza per la quale “Dio non ha voluto che queste cose avvengano in tutti i santuari dei Santi, Lui che distribuisce a ciascuno ciò che è suo, come vuole”.

2671. 71. Allo stesso modo (la dottrina) che proibisce che le immagini in particolare della Beata Vergine, siano distinte da titoli, ad eccezione delle denominazioni che corrispondono ai misteri di cui si fa espressa menzione nella Sacra Scrittura, come se non fosse possibile dare a queste immagini altre pie denominazioni, che la Chiesa nelle stesse preghiere pubbliche approva e raccomanda, (è) avventata, offende le pie orecchie, fa del male alla venerazione dovuta specialmente alla Beata Vergine.

2672. 72. Allo stesso modo chi vuole sradicare come un abuso l’usanza di tenere velate certe immagini (è la dottrina) avventata, contraria alla pratica in uso nella Chiesa e introdotta per promuovere la pietà dei fedeli.

Le feste.

2673. 73. L’affermazione che l’istituzione di nuove feste abbia origine dalla negligenza nell’osservanza delle antiche e da false nozioni sulla natura e lo scopo di queste solennità (è) falsa, avventata, scandalosa, dannosa per la Chiesa e promuove gli attacchi degli eretici contro le feste celebrate dalla Chiesa.

2674. 74. La decisione del Sinodo di trasferire le feste istituite nell’anno alla Domenica, e questo in virtù del diritto che, secondo esso, spetta al Vescovo in materia di disciplina ecclesiastica nell’ordine delle cose puramente spirituali, e quindi anche di abrogare il precetto di ascoltare la Messa nei giorni in cui, secondo un’antica legge della Chiesa, questo precetto sia ancora in vigore ora; e poi in ciò che si aggiunge a proposito del trasferimento, da parte dell’autorità episcopale, al tempo di Avvento dei digiuni prescritti dalla Chiesa durante l’anno, in quanto si afferma che sia permesso al Vescovo, per diritto proprio, di trasferire i giorni prescritti dalla Chiesa per la celebrazione delle feste o per il digiuno, o di abrogare il precetto di ascoltare la Messa, (è una) proposizione falsa, che offende il diritto dei Concili generali e dei sovrani Pontefici, scandalosa, e promuove lo scisma.

Giuramenti.

2675. 75. La dottrina che afferma che nei tempi beati della Chiesa i giuramenti sembravano così contrari agli insegnamenti del Maestro divino e all’aurea semplicità del Vangelo, che “il fatto stesso di giurare senza un’estrema e ineluttabile necessità fosse considerato un atto irreligioso, indegno dell’uomo cristiano”; e d’altra parte che “la successione ininterrotta dei Padri dimostra che i giuramenti fossero considerati dal senso comune come cose proibite”; e da qui arriva a disapprovare i giuramenti che la curia ecclesiastica ha adottato – seguendo, dice, la giurisprudenza feudale – per le investiture e le Ordinazioni sacre dei Vescovi stessi; e che stabilisce che sarebbe addirittura necessario implorare dal potere secolare una legge per abolire i giuramenti che siano richiesti anche nelle curie ecclesiastiche per ricevere cariche ed uffici, ed in modo generale per qualsiasi atto della curia, (è) falsa, lede la Chiesa, lede il diritto ecclesiastico, sovverte la disciplina stabilita e approvata dai Canoni.

Conferenze ecclesiastiche.

2676. 76. La disapprovazione del Sinodo nei confronti della Scolastica, considerata come quella che “ha aperto la strada all’invenzione di sistemi nuovi e contraddittori riguardo a verità di grandissimo valore, e che alla fine ha portato al probabilismo e al lassismo”, nella misura in cui imputa alla Scolastica le colpe di alcuni in particolare che possano averne abusato o che ne abbiano abusato, (è) falsa, temeraria, offensiva nei confronti dei Dottori più santi che hanno coltivato la Scolastica per il maggior bene della Religione Cattolica, incoraggia i rimproveri ostili degli eretici contro di essa.

2677. 77. Allo stesso modo, quando si aggiunge che: “il cambiamento della forma di governo ecclesiastico, in virtù del quale i ministri della Chiesa siano arrivati a dimenticare i loro diritti, che sono allo stesso tempo i loro doveri, ha portato in ultima analisi a dimenticare il significato primitivo del ministero ecclesiastico e della sollecitudine pastorale, come se con un cambiamento di governo che è in conformità con la disciplina stabilita e approvata della Chiesa il significato primitivo del ministero ecclesiastico o della sollecitudine pastorale potesse essere dimenticato e perso, (questa è una) proposizione falsa, avventata ed errata”.

2678. 78. La prescrizione del Sinodo sull’ordine delle questioni da trattare nelle conferenze che, dopo aver detto: “in ogni articolo è necessario distinguere ciò che appartenga alla fede e all’essenza della Religione da ciò che sia proprio della disciplina”, aggiunge “in quello stesso articolo è necessario distinguere ciò che sia necessario o utile per mantenere i fedeli nello spirito da ciò che sia inutile o più gravoso di quanto la libertà dei figli della Nuova Alleanza possa sopportare, e ancor più da ciò che sia pericoloso o dannoso perché porta alla superstizione od al materialismo”, in quanto, a causa del carattere generale dei termini, comprende e sottopone ad esame anche la disciplina stabilita o approvata dalla Chiesa – come se la Chiesa, che è governata dallo Spirito di Dio, potesse stabilire una disciplina che non solo sia inutile e più gravosa di quanto la libertà cristiana possa sopportare, ma addirittura pericolosa, dannosa, che porta alla superstizione e al materialismo, (è) falsa, temeraria, scandalosa, offende le orecchie divine, fa ingiustizia alla Chiesa e allo Spirito di Dio da cui è governata, quantomeno erronea.

Rimproveri contro alcune opinioni sostenute finora nelle scuole cattoliche.

2679. 79. L’affermazione che attacca con rimproveri ed invettive alcune opinioni che si tengono nelle scuole cattoliche e sulle quali la Sede Apostolica ha ritenuto finora di non dover definire o pronunciarsi, (è) falsa, temeraria, dannosa per le scuole cattoliche e deroga all’obbedienza dovuta alle Costituzioni Apostoliche.

Delle tre norme stabilite dal Sinodo come base per la riforma dei regolari.

2680. 80. Regola I, che stabilisce in modo generale e senza distinzioni: “Lo stato regolare o monastico per sua natura non può entrare in composizione con la cura delle anime e con i compiti della vita pastorale, e quindi non può avere parte nella Gerarchia ecclesiastica senza essere in contrasto con i principi della stessa vita monastica”, (è) falsa, perniciosa, fa torto ai santi Padri ed ai capi della Chiesa che hanno associato gli istituti di vita religiosa ai compiti dell’Ordine clericale, contrariamente all’uso pio, antico e approvato della Chiesa e alle ordinanze dei sovrani Pontefici, come se “i monaci, raccomandati dalla gravità dei loro costumi e dalla santa istituzione della loro vita e della loro fede”, non fossero stati “associati agli uffici dei chierici” giustamente, non solo senza danno per lo stato religioso, ma anche per la grande utilità della Chiesa.

2681. 81. Allo stesso modo, quando si aggiunge che i Santi Tommaso e Bonaventura fossero così impegnati a proteggere gli istituti dei mendicanti contro uomini illustri che si sarebbe voluto meno calore e più cura nelle loro difese, (questa affermazione è) scandalosa, fa ingiustizia ai santissimi Dottori e incoraggia le empie invettive di autori condannati.

2682. 82. Regola II: “La moltiplicazione degli Ordini e la loro diversità producono naturalmente disordine e confusione” anche nel par. 4 che precede: “i ‘fondatori’ dei regolari che vennero dopo gli istituti monastici” aggiungendo ordini a ordini, riforme a riforme, non fecero altro che sviluppare sempre più la causa prima del male”, se si intende riferirsi a ordini ed istituti approvati dalla Santa Sede, come se la distinta varietà di compiti pii intrapresi da ordini separati dovesse, per sua natura, produrre disordine e confusione, (è) falsa, calunniosa ed un insulto ai Santi fondatori e ai loro fedeli seguaci, così come agli stessi Sommi Pontefici.

2683. 83. La Regola III che, dopo aver detto: “un piccolo corpo che rimane all’interno della società civile senza farne veramente parte, e che costituisce nello Stato una piccola monarchia, è sempre pericoloso”, per questo accusa i monasteri privati, raggruppati dal vincolo di un istituto comune, sotto un unico capo, di essere tante monarchie particolari, pericolose e dannose per la repubblica civile, (è) falsa, temeraria, dannosa per gli istituti regolari approvati dalla Santa Sede per il progresso della Religione, favorendo gli attacchi e le calunnie degli eretici nei confronti di questi istituti.

Dal sistema o insieme di ordinanze derivate dalle suddette regole, ridotto ai seguenti otto articoli per la riforma dei regolari.

2684. Art. I. Si conservi un solo Ordine nella Chiesa e si scelga tra gli altri la Regola di San Benedetto, sia per la sua eccellenza che per gli illustri meriti di quest’Ordine, in modo però che tra le cose che forse appaiono meno conformi alle condizioni del momento, la disposizione di vita istituita a Port-Royal faccia luce che permetta di esaminare ciò che si debba aggiungere o togliere.

2685. Art. II. Coloro che entreranno a far parte di questo ordine non diventeranno membri della Gerarchia ecclesiastica, né saranno promossi agli Ordini sacri, ad eccezione di uno o due al massimo che saranno istituiti parroci o cappellani del monastero, mentre gli altri rimarranno nel semplice stato di laici.

2686. Art. III. In ogni città sarà ammesso un solo monastero, che dovrà essere collocato fuori dalle mura della città, in luoghi remoti e fuori mano.

2687. Art. IV. Tra le occupazioni della vita monastica, si mantenga intatto il lavoro delle mani, ma si lasci tempo sufficiente per dedicarsi alla salmodia ed anche, se lo si desidera, allo studio delle lettere; la salmodia sia moderata, perché una lunghezza eccessiva porta alla fretta, all’inquietudine e alla distrazione; quanto più sono aumentate la salmodia, le orazioni e le preghiere, tanto più sono sempre diminuite, nella stessa proporzione, il fervore e la santità dei regolari.

2688. Art. V. Non si deve fare distinzione tra i monaci destinati al coro e quelli destinati ai ministeri; questa distinzione ha sempre dato luogo a conflitti ed alle più grandi discordie, e ha allontanato lo spirito di carità dalle comunità.

2689. Art. VI. Non sarà mai ammesso il voto di stabilità perpetua, ma la consolazione della Chiesa e l’ornamento del Cristianesimo, non lo hanno conosciuto; i voti di castità, povertà e obbedienza non saranno ammessi come regola comune e stabile. Se qualcuno vuole fare questi voti, alcuni o tutti, chieda il consiglio e il permesso del Vescovo, che però non permetterà mai che siano perpetui, né che non superino il limite di un anno; gli sarà data solo la facoltà di rinnovarli alle stesse condizioni.

2690. Art. VII. Il Vescovo avrà piena ispezione sulla loro vita, sui loro sforzi e sul loro progresso nella pietà; sarà suo compito ammettere i monaci e dimetterli, ma sempre dopo aver ricevuto il parere di quelli della comunità.

2691. Art. VIII. I regolari degli ordini rimasti, anche Sacerdoti, possono essere ammessi in questo monastero purché intendano dedicarsi alla propria santificazione nel silenzio e nella solitudine; in questo caso interverrà una dispensa dalla regola generale stabilita al n. II, ma in modo da non far loro condurre una forma di vita distinta dagli altri, in modo che non si celebrino più di una o al massimo due Messe al giorno, e che sia sufficiente che gli altri Sacerdoti concelebrino con la comunità. – Lo stesso vale per la riforma delle monache.

2692. “I voti perpetui non siano ammessi prima del quarantesimo o quarantacinquesimo anno”; le monache si dedichino agli esercizi di buon carattere, soprattutto al lavoro, e si allontanino dallo spirito carnale da cui la maggior parte è distratta; Il sistema sovverte la disciplina vigente, approvata e ricevuta già da tempo; è pernicioso, si oppone alle costituzioni apostoliche e a quelle di diversi Concili, anche generali, e poi in particolare alle disposizioni del Concilio di Trento e fa loro torto, incoraggia gli attacchi e le calunnie degli eretici contro i voti monastici e gli istituti religiosi dediti alla professione più stabile dei consigli evangelici.

Sulla convocazione di un Concilio nazionale.

2693. 85. La proposizione che afferma che anche la minima conoscenza della storia della Chiesa sia sufficiente a far riconoscere a tutti che la convocazione di un Concilio nazionale sia uno dei modi canonici con cui si possa porre fine alle controversie in materia di Religione nella Chiesa delle nazioni interessate, se viene inteso nel senso che le controversie riguardanti la fede e la morale che sorgono in una determinata Chiesa possano essere messe a tacere da un Concilio nazionale mediante una sentenza irrefragabile, come se l’inerranza nella fede e nella morale appartenesse ad un Concilio nazionale, (è) scismatica, eretica.

Comandamenti e sanzioni della Bolla.

2694. Chiediamo quindi a tutti i fedeli di Cristo, di entrambi i sessi, di non avere l’ardire di pensare, insegnare o predicare le suddette proposizioni e dottrine contrarie a quanto dichiarato nella nostra Costituzione: in modo che chiunque le insegni. le difenda o le pubblichi, o qualcuna di esse, in toto o separatamente, o ne tratti in una disputa, in pubblico o in privato – a meno che non sia per combatterle – incorrerà ipso facto e senza ulteriori dichiarazioni nelle censure ecclesiastiche e nelle altre pene previste dal diritto contro chi commette atti simili.

2695. D’altronde, nel riprovare espressamente le suddette proposizioni e dottrine, non intendiamo in alcun modo approvarne altre contenute nello stesso Libro: tanto più che in esso sono state mantenute diverse proposizioni e dottrine che o sono vicine a quelle condannate sopra, o manifestano uno spregiudicato disprezzo per la dottrina e la disciplina comune ed approvata, nonché lo spirito più ostile ai Romani Pontefici ed alla Sede Apostolica.

2696. Riteniamo, tuttavia, di dover biasimare in modo particolare due proposizioni relative all’augustissimo mistero della santissima Trinità – par. 2 del Decreto sulla Fede – che, se non sono dovute ad uno spirito malvagio, sono certamente dovute all’imprudenza del Sinodo, e che potrebbero facilmente indurre in errore soprattutto persone non istruite e ignoranti:

2697. In primo luogo, in quanto, dopo aver detto che Dio rimane uno e semplicissimo nel suo Essere, aggiunge subito che Dio stesso è distinto in tre Persone, allontanandosi così falsamente dalla formula comune e approvata negli insegnamenti della dottrina cristiana in cui l’unico Dio è detto sì “in tre Persone distinte”. Cambiando questa formula, a causa del significato delle parole, si può introdurre un pericolo di errore, cioè di pensare che l’Essenza divina sia distinta in Persone, mentre la fede cattolica la professa una in Persone distinte, in modo da proclamare allo stesso tempo che essa è assolutamente indistinta in se stessa.

2698. In secondo luogo, quando dice delle tre Persone divine stesse che, secondo le loro proprietà personali e incomunicabili, sarebbero espresse o chiamate con termini più esatti Padre, Verbo e Spirito Santo, come se l’appellativo “Figlio” fosse meno proprio e meno esatto, mentre è consacrato da tanti passi della Scrittura, dalla voce stessa del Padre che viene dal cielo e dalla nube, poi dalle formule del Battesimo prescritte da Cristo, poi anche da quella bella Confessione per cui Pietro fu chiamato beato da Cristo stesso; né ricorderemmo ciò che lo stesso Dottore angelico, istruito da Agostino, ha insegnato: “Nel Nome “Verbo” è significata la stessa proprietà che nel Nome “Figlio””, mentre Agostino diceva: “Si chiama Verbo per la stessa ragione per cui si chiama Figlio”.

2699. Né si può passare sotto silenzio la temerarietà insignificante e piena di inganni del Sinodo che ebbe l’ardire non solo di lodare la dichiarazione dell’assemblea gallicana (cf. 2281-2285) dell’anno 1682 già disapprovata dalla Sede Apostolica, ma anche – per darle maggiore autorità – di inserirla subdolamente nel decreto intitolato “De la foi”, di adottare apertamente gli articoli in essa contenuti e di suggellare con la pubblica e solenne professione di questi articoli ciò che aveva già fatto la Sede Apostolica, ma anche – per conferirle maggiore autorità – di inserirla subdolamente nel decreto De la foi, di adottare apertamente gli articoli in essa contenuti e di suggellare con la professione pubblica e solenne di questi articoli ciò che era stato trasmesso in modo sparso da questo stesso decreto. Di conseguenza, non solo ci è stato dato un motivo ancora più grave per lamentarci del Sinodo di quanto non sia stato dato ai nostri predecessori per lamentarsi di questa assemblea, ma la stessa Chiesa gallicana è stata colpita da un’offesa non da poco, dal momento che il Sinodo ha ritenuto degno di appellarsi alla sua autorità per coprire con il suo patrocinio gli errori di cui questo decreto è macchiato.

2700. Poiché gli atti dell’assemblea gallicana, subito dopo la loro pubblicazione, il nostro venerato predecessore Innocenzo XI con una lettera in forma di breve, Paternae caritati, dell’11 aprile 1682, e poi Alessandro VIII ancora più chiaramente il 5 agosto nella costituzione Inter multiplices (cf. 2281-2285) li hanno disapprovati, abrogati e dichiarati nulli in virtù del loro Ufficio apostolico, la sollecitudine pastorale esige da Noi ancora più urgentemente che l’accettazione che ne è stata fatta in un Sinodo inficiato da così tanti difetti, Noi la riproviamo e la condanniamo come avventata, scandalosa – e specialmente dopo i decreti dei nostri predecessori – come sovranamente dannosa per questa Sede Apostolica, come la riproviamo e la condanniamo in questa costituzione che è nostra, e vogliamo che sia ritenuta riprovata e condannata.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (33): “da PIO VII a PIO IX (1846-1851)”

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (71): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

Il grande principio dei democratici è che non ci possa essere alcun potere pubblico nella società se non quello che proviene dal popolo, l’unica ed essenziale fonte di sovranità. Questo principio è direttamente opposto a quello proclamato da San Paolo: Non est enim potestas nisi a Deo (Rom. XIII, 1). Non c’è autorità che non provenga da Dio. – Nella Chiesa, Dio Padre, origine e principio del Figlio, ha mandato il Figlio; il Figlio manda i suoi ministri. Colui che li riceve riceve Cristo e chi riceve Cristo, riceve il Padre. Come il Padre mio ha mandato ha mandato me, Io mando voi. Chi riceve voi riceve Me, e chi riceve Me, riceve Colui che mi ha mandato. Dio è il Capo del Cristo, Caput Christi Deus (1 Cor., XI, 3). Gesù Cristo è il Capo della Chiesa, Ipsum dedit caput supra omnem Ecclesiam. Egli (Dio Padre) lo ha dato come Capo a tutta la Chiesa (Ef.I, 22). E Gesù Cristo si è dato un Vicario, anch’esso Capo, in Lui e per mezzo di Lui, della Chiesa universale. Definimus…. ipsum Pontificem Romanum successorem esse beati Petri principis Apostolorum et verum Christi Vicarium totiuque Ecclesiae Caput… existere. “Noi definiamo, ha detto il Concilio di Firenze, che il Romano Pontefice è il vero Vicario di Cristo e, di conseguenza, Capo di tutta la Chiesa.” – L’autorità nella Chiesa viene quindi direttamente da Dio Padre attraverso il Figlio incarnato. Questa eccellenza riflette un’inviolabile immutabilita’. La Chiesa sarà fino alla fine dei tempi come Dio l’ha creata. Le potenze dell’inferno non prevarranno mai su di essa. Il protestantesimo ha voluto cambiare questa costituzione. Nel XVI secolo i rivoltati attribuirono la sovranità all’assemblea dei fedeli, cioè al popolo. Sotto l’influsso delle idee protestanti, il XVIII secolo trasportò questo modo di vedere le cose dalla Chiesa allo Stato. È lo stesso sistema, la stessa teoria. Che differenza c’è tra la Chiesa di Dio concepita dai protestanti, guidata unicamente dalla sua parola, e la Repubblica governata unicamente dalle leggi dai deputati del popolo sovrano? Questa è l’osservazione di J. de Maistre nel libro: Du Pape; e aggiunge: “È la stessa follia, ha solo cambiato epoca e nome.” Questa follia si è aggravata. In mezzo al Cattolicesimo, ci sono uomini e, ahimè, Sacerdoti talmente penetrati dallo spirito della democrazia che lo fanno rifluire dall’ordine politico all’ordine religioso. Questo è ciò che ha detto il nostro Santo Padre il Papa, nel passo della sua Enciclica che abbiamo appena citato. Non è una novità. Al Concilio Vaticano si vede, una manifestazione di questo spirito. Alcuni Vescovi presentarono una consultazione in cui sostenevano di aver ricoperto cariche episcopali nelle più importanti nazioni cattoliche. – Agli occhi dei firmatari, i Pontefici stavano quindi prendendo in prestito parte della loro autorità dalle proprie Chiese. Il loro valore rappresentativo era proporzionale al numero dei loro fedeli o all’importanza della loro diocesi. Questa idea li ha portati a voler escludere dal Concilio quei Sacerdoti che non avevano una diocesi da governare, come i Vescovi titolari, o di diocesi propriamente dette, così come i vicari apostolici. Questo era, come osservava Dom Besse, sminuire il carattere episcopale e spiazzare il principio della propria autorità. Questa autorità non dipende in alcun modo dalla situazione politica o geografica della diocesi e dal numero dei diocesani. Non è da essi che il Vescovo trae la sua qualità di giudice della fede, ma dalla missione che ha ricevuto dall’Alto per il sacro e la preconizzazione. La diocesi non è in grado di consegnare al suo capo nemmeno una particella di un’autorità che non ha. Essa viene da Nostro Signore Gesù Cristo attraverso il Nostro Santo Padre il Papa. Quindi regna una perfetta uguaglianza che i Vescovi formano intorno al Sovrano Pontefice. Il prelato che governa una minuscola diocesi d’Italia non è meno eminente di quello che governa delle vaste diocesi, Parigi, Malines o Cambrai. Parlare come questi Vescovi hanno fatto nella loro memoria era inconsciamente voluto senza dubbio, ma è realmente introdurre la demoocrazia ed il suo principio della sovranità del popolo nella Chiesa. I nostri abati democratici vollero farne un tentativo. Le loro congregazioni ecclesiastiche erano niente meno che un tentativo di democratizzazione della Chiesa. – Quando abbiamo ricevuto il programma del primo di questi congressi nel 1896, abbiamo scritto nella “Semaine religieuse” della diocesi di Cambrai: “Le assemblee del clero hanno le loro regole e a nessuno è permesso innovare in questa materia. Il diritto ecclesiastico conosce i Concili ecumenici, i concili provinciali, i sinodi diocesani. L’assemblea prevista a Reims non è nulla di tutto ciò. È una riunione assolutamente anormale. Chi ha l’autorità di redigere il programma? Chi aveva l’autorità di convocarla? Chi avrà l’autorità di presiedere? Non può essere un semplice Sacerdote. Non può essere un Vescovo e nemmeno un gruppo di Vescovi. Ogni Vescovo potrebbe organizzare, nella sua diocesi, un’assemblea dei suoi Sacerdoti. Questo e il sinodo diocesano. Un Arcivescovo, insieme con i Vescovi della sua provincia, può convocare un concilio provinciale. Essi non possono convocare, né al sinodo né al concilio, i Sacerdoti delle diocesi vicine, senza il consenso del loro Ordinario. Supponendo che tutti i Vescovi della Francia abbiano dato all’abate che invia i suoi inviti, la delega necessaria per convocare un’assemblea generale del clero del secondo ordine, lo stesso richiederebbe comunque lo stesso consenso unanime per la redazione del programma, per la presidenza dell’assemblea e per le regole da imporre alla discussione. Eppure, una tale assemblea sarebbe una novità inaudita nella Chiesa; prima di prendere l’iniziativa, sarebbe di rigore consultare la Santa Sede. La circolare di invito che abbiamo ricevuto dice che “l’assemblea non si occuperà di discussione di dottrina”. È sufficiente aprire il programma per vedere che che in molti punti le questioni da trattare confinano con la dottrina. Ma, in più, la disciplina è anche riservata all’episcopato come il dogma. Non è dato presumere che il Papa trasferirà mai lo studio delle questioni di disciplina ad un’assemblea di semplici Sacerdoti. A maggior ragione, essi non possono arrogarsi questo potere da sé stessi.” M. l’Abate Naudet, che aveva sottoscritto la convocazione con gli Abati Lemire e Dabry, ha risposto nel Monde, di cui era direttore, con qualifiche di “refrattari” o di “persone che aborriscono la libertà e starnazzano come puzzole”. – Ciò di cui abbiamo veramente orrore, era l’introduzione, di fatto, della democrazia nella Chiesa.. A questo, egli obiettava: :In quali capitoli del diritto canonico hanno trovato che un uomo, non appena ricevuto il sacerdozio, abdichi ai suoi diritti e alla sua dignità, non essendo altro che un bambino ancora sotto tutela che non può dire una parola o alzare un dito senza ottenere una speciale autorizzazione per farlo?” Dopo la democrazia in atto, era nella Chiesa la democrazia eretta a dottrina. – Sebbene per lungo tempo non si sia parlato di congressi ecclesiastici nella forma inaugurata dai sigg. Abati Dabry, Naudet e Lemire, Sua Santità Pio X, tuttavia, non ha ritenuto necessario ometterlo nella sua Enciclica. Tra le misure prescritte per opporsi alle invasioni del modernismo, c’è questa:

V. – Abbiamo già parlato di congressi e di assemblee pubbliche, come campo favorevole per i modernisti per seminarvi e far prevalere le loro idee. I Vescovi non permettono più, o permettono solo molto raramente, dei congressi sacerdotali. Che se li permettono sia sempre in base a questa legge, che nessuna questione relativa alla Santa Sede o ai Vescovi vendano trattate, a meno che non vi si emetterà alcuna dichiarazione in tal senso, nessuna proposta né alcun voto di usurpazione dell’autorità ecclesiastica, che non si pronunzino parole che risentano di modernismo, di presbitarismo o di laicismo. – Questo tipo di congressi possono essere tenuti solo con un’autorizzazione scritta del loro Ordinario, concessa a tempo debito, e specificamente per ogni caso; i Sacerdoti delle diocesi straniere non potranno intertenire senza un’autorizzazione altrettanto scritta da parte del loro Ordinario. – Inoltre, nessun Sacerdote dovrebbe perdere di vista la grave raccomandazione di Leone XIII: che l’autorità dei loro pastori sia sacra per i Sacerdoti che diano per scontato che il ministero sacerdotale, se non viene esercitato sotto la guida dei Vescovi, non può essere né santo, né fecondo, né lodevole (Encicl. Nobilissima Gallorum, 10 febb. 1881). -La dottrina della democrazia nella Chiesa è stata abbastanza più esplicita e, per così dire, dottrinale, professata da M. l’Abate Lemire nelle parole che abbiamo già riportato: “Io non riconosco a nessuno il diritto di fare di noi Cattolici i servi di un regime accentratore e dispotico, un regime alla Luigi XIV. La costituzione della Chiesa non è modellata su nessuna delle forme effimere di governo umano. Non è una monarchia. A rigore, è una gerarchia. La Chiesa è governata da una serie di autorità locali, dipendenti le une dalle altre, e controllate da un’autorità centrale e superiore”. La Chiesa non è una monarchia! A Roma non c’è che un’unica autorità di controllo. Sono parole tanto contraddittorie con quelle del Maestro divino, interpretate dai Concili, da ultimo dal Concilio Vaticano. Le parole dell’Uomo-Dio: “Tu sei Pietro, e su questa roccia edificherò la mia Chiesa.nCiò che tu rimetterai in terra sarà rimesso nei cieli. Qualunque cosa tu scioglierai sulla terra sarà sciolta anche in cielo. “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle”. Queste parole hanno creato un Sovrano nella Chiesa. Questo è di fede. In effetti San Pietro sta alla Chiesa nascente così come oggi il Papa sta alla Chiesa attuale. Gli Atti degli Apostoli ci mostrano Pietro alla guida del collegio apostolico, organizzando, decidendo, agendo, in una parola, come un sovrano, proprio come oggi il Papa governa l’anima, con un’autorità che non dipende in nessun modo da coloro sui quali la esercita. Egli governa e governa in nome del Signore Nostro Gesù Cristo, il cui posto è al vertice della Chiesa. Questa istituzione e questo stato sono l’opposto della domocrazia. Nel vocabolario francese c’è una sola parola per indicare questa forma di governo: monarchia. – Potremmo riportarvi altre parole e atti dei democratici cristiani a sostegno del rimprovero rivolto dal nostro Santo Padre il Papa ai modernisti, di voler riformare il governo ecclesiastico e di volerlo armonizzare con la coscienza che si sta trasformando in democrazia; di volere che una parte del governo della Chiesa sia affidato ai chierici e fin’anche ai laici, e che l’autorità sia decentrata. Non c’è motivo di essere stupefatti da questa aberrazione. Quando una mente si lascia occupare da un’idea che giudica maestra, come l’eccellenza e la perfezione del sistema democratico, si trova traccia di questa persuasione in tutti i giudizi che esprime. “Lo stato democratico è il più perfetto, quindi dobbiamo trovare questo regime nella più perfetta delle società, la Chiesa! La premessa è molto cauta; si può anche sostenere che essa sia una controverità. La monarchia esiste in cielo, così come lo ha sostenuto un giorno il Sillon, che ha voluto vedere la suprema glorificazione della democrazia nella Santissima Trinità. Non c’è che un Dio che regni su tutto l’universo, che governi il cielo e la terra. Dio ha fatto la famiglia e la Chiesa, queste due società principali ad immagine di ciò che è nel più alto dei Cieli: un Padre sovrano ed un Papa sovrano, come un Dio Signore sovrano. Potremmo aggiungere che la storia dimostra, con la più luminosa chiarezza, che le nazioni abbiano prosperato quanto più la loro costituzione fosse più vicina alla mirabile costituzione di cui la Provvidenza aveva dotato la Feancia, e che il sistema democratico le ha sempre ed ovunque precipitate verso la rovina. – Per tornare alla constitutzione monarchica e non democratica della Chiesa, Dom Guéranger, come risposta alle pretese dei Vescovi di minoranza del Concilio Vaticano, ha detto molto bene: “Fondando la sua Chiesa, Nostro Signore Gesù Cristo era sicuramente libero di darle la forma che Egli, nella sua divina saggezza, avrebbe ritenuto più opportuno. Egli non poteva essere legato né dagli dagli antecedenti iumani, né .dalle idee moderne, di cui prevedeva le aberrazioni fin dall’eternità. Sarebbe una bestemmia affermare che Egli si sia dovuto adattare ai capricci della creatura, mentre è dovere della creatura accettare con umiltà tutto ciò che Egli abbia previsto. La costituzione della Chiesa è quindi l’oggetto della fede. Dobbiamo prenderla come Gesù Cristo ci ha indicato. Il potere è stato costituito dall’Uomo-Dio di un modo immutabile, e nessuno potrebbe cambiarne le condizioni (La monarchia pontificale. Sesto pregiudizio. P.5.).

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (72): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (4)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (30): “da INNOCENZO XII a CLEMENTE XI”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (30)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da INNOCENZO XII a CLEMENTE XI)

INNOCENZO XII: 12 LUGLIO 1691-27 settembre 1700.

Risposta del Sant’Uffizio ai missionari cappuccini, 23 Luglio 1698.

Il matrimonio come Sacramento.

2340. Domanda: Il matrimonio tra persone che hanno apostatato dalla fede e che in precedenza sono state regolarmente battezzate, se viene contratto dopo l’apostasia in modo pubblico secondo l’uso dei pagani e dei maomettani, è veramente un matrimonio e un Sacramento?

Risposta: Se c’è un patto di dissolubilità, non è né un matrimonio né un Sacramento; se non c’è tale patto, è un matrimonio e un Sacramento.

Errori di François de Fénelon sull’amore di Dio.

2351. (1) – Esiste uno stato abituale di amore di Dio, che è pura carità e senza alcuna mescolanza di motivi di interesse personale. Né il timore del castigo né il desiderio di ricompensa hanno parte in questo amore: non amiamo più Dio per il merito, né per la perfezione, né per la felicità che troviamo nell’amarlo.

2352. 2 Nello stato di vita contemplativa o unitiva, perdiamo ogni motivo di timore o di speranza.

2353. 3 – L’essenziale nella direzione è seguire la grazia passo dopo passo con infinita pazienza, cautela e delicatezza. Dobbiamo limitarci a lasciare che Dio faccia ciò che vuole, e non parlare mai di amore puro finché Dio, attraverso un’unzione interiore, non cominci ad aprire il cuore a questa parola, così dura per le anime ancora attaccate a se stesse, e così capace di scandalizzarle e gettarle nel turbamento.

2354. 4 Nello stato di santa indifferenza, l’anima non ha più desideri volontari e deliberati per il proprio interesse, se non nelle occasioni in cui non cooperi fedelmente con l’insieme della grazia.

2355. 5 In questo stato di santa indifferenza, non vogliamo nulla per noi stessi, ma vogliamo tutto per Dio; non vogliamo nulla per essere perfetti o beati per noi stessi, ma vogliamo ogni perfezione e ogni beatitudine, nella misura in cui piace a Dio farci desiderare queste cose con l’impressione della sua grazia.

2356. 6. In questo stato di santa indifferenza, non vogliamo più la salvezza come salvezza nostra, come liberazione eterna, come ricompensa dei nostri meriti, come il più grande di tutti i nostri interessi; ma la vogliamo con piena volontà, come gloria e piacere di Dio, come qualcosa che Egli voglia e vuole che noi vogliamo per Lui.

2357. (7) L’abbandono non è altro che l’abnegazione che Gesù Cristo ci chiede nel Vangelo, dopo che abbiamo lasciato tutto fuori. Questa abnegazione di noi stessi è solo per il nostro bene. … Le prove in cui si deve esercitare questa abnegazione sono le tentazioni con cui un Dio geloso vuole purificare l’amore, non facendogli vedere alcuna risorsa o speranza per il proprio interesse, anche eterno.

2358. (8) Tutti i sacrifici che le anime più disinteressate fanno abitualmente per la loro beatitudine eterna sono condizionati. Ma questo sacrificio non può essere assoluto nello stato ordinario: c’è solo il caso delle ultime prove in cui questo sacrificio è in qualche modo assoluto.

2359. 9. Nelle ultime prove, un’anima può essere invincibilmente persuasa, con una persuasione ponderata che non è l’intimo della coscienza, di essere giustamente messa alla prova da Dio.

2360. 10. Allora l’anima, divisa da se stessa, spira sulla croce con Cristo, dicendo: “O Dio mio, perché mi hai abbandonato? ” (Mt XXVII,46) In questo stesso sentimento involontario di disperazione, essa compie il sacrificio assoluto del proprio interesse per l’eternità.

2361. 11. In questo stato, l’anima perde ogni speranza per se stessa; ma non perde mai nella sua parte superiore, cioè nei suoi atti diretti e intimi, la speranza perfetta che è il desiderio disinteressato delle promesse.

2362. 12. Il direttore può quindi permettere a quest’anima di accettare semplicemente la perdita del proprio interesse e la giusta condanna che crede che Dio le abbia dato.

2363. 13. La parte inferiore di Gesù Cristo sulla croce non ha comunicato il suo disturbo involontario alla parte superiore.

2364. 14. Nelle ultime prove, per la purificazione dell’amore, c’è una separazione della parte superiore dell’anima da quella inferiore… Gli atti della parte inferiore, in questa separazione, sono di un disordine del tutto cieco ed involontario, perché tutto ciò che è intellettuale e volontario è della parte superiore.

2365. 15. La meditazione consiste in atti discorsivi facili da distinguere l’uno dall’altro. … Questa composizione di atti discorsivi e riflessivi è propria dell’esercizio dell’amore interessato.

2366. 16. C’è uno stato di contemplazione così alto e così perfetto che diventa abituale: così che ogni volta che un’anima va in preghiera vera e propria, la sua preghiera è contemplativa e non discorsiva; allora non ha più bisogno di tornare alla meditazione o ai suoi atti metodici.

2367. 17. Le anime contemplative sono private della vista distinta, sensibile e riflessiva di Gesù Cristo in due momenti diversi. In primo luogo, nel fervore nascente della loro contemplazione; in secondo luogo, un’anima perde la vista di Gesù Cristo nelle prove finali.

2368. 18. Nello stato passivo esercitiamo tutte le virtù distinte senza pensare che siano virtù; pensiamo solo a fare ciò che Dio vuole; e l’amore geloso fa sì che non vogliamo più essere virtuosi per noi stessi, e non siamo mai così virtuosi come quando non siamo attaccati ad esserlo.

2369. (19) In questo senso si può dire che l’anima passiva e disinteressata non vuole più nemmeno l’amore in quanto perfezione e felicità propria, ma solo in quanto è ciò che Dio vuole da noi.

2370. 20. Le anime trasformate devono, nella confessione, detestare le loro colpe, condannarle e desiderare la remissione dei loro peccati, non come propria perfezione e liberazione, ma come qualcosa che Dio voglia e che vuole che noi vogliamo per la sua gloria.

2371. 21. – I santi mistici escludevano la pratica della virtù dallo stato di anime trasformate.

2372. 22. – Sebbene questa dottrina (dell’amore puro) fosse la perfezione pura e semplice del Vangelo, segnata in tutta la tradizione, gli antichi pastori erano soliti proporre ai sudditi comuni solo le pratiche dell’amore egoistico, proporzionate alla loro grazia.

2373. 23. – Solo l’amore puro fa la vita interiore, e allora diventa l’unico principio e l’unico movente di tutti gli atti deliberati e meritori.

2374. (Censura) … Il suddetto libro…, la cui lettura e il cui uso possono indurre i fedeli a poco a poco in errori già condannati dalla Chiesa Cattolica, e che inoltre contiene proposizioni che, sia nel loro senso ovvio, sia considerando il loro contesto, sono rispettivamente avventate (1 s, 8, 10, 15-20, 22), scandalose (7, 10, 12, 19-21), sgradevoli (4-6, 23), offensive per le orecchie pie (8, 18), perniciose nella pratica (2, 14, 17) e persino erronee (1-7, 10 s,13 ,17-19 , 22 s), con la presente condanniamo e riproviamo e… vietiamo la stampa di questo libro.

CLEMENTE XI : 23 novembre 1700 – 19 marzo 17

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Québec, 25 gennaio 1703.

Verità necessarie da credere, perché comunicano la salvezza.

2380. Domanda: Prima di conferire il Battesimo a un adulto, il ministro è obbligato a spiegargli tutti i misteri della nostra fede, soprattutto se è moribondo, poiché questo disturberebbe la sua mente? O non sarebbe sufficiente che il moribondo promettesse che, non appena guarito dalla malattia, si prenderà cura di ricevere istruzioni per mettere in pratica ciò che gli è stato prescritto? Risposta: La promessa non è sufficiente, e il missionario è tenuto, anche per una persona moribonda, se non è in uno stato di totale incapacità, a spiegare i misteri della fede che sono necessari (per la salvezza) per una necessità di mezzi, come sono principalmente i misteri della Trinità e dell’Incarnazione.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Québec, 10 maggio 1703.

Fede e intenzione in coloro che ricevono il Sacramento.

2381. Domanda 2: È possibile battezzare un adulto non istruito e stupido, come è accaduto a un barbaro, se gli si comunica solo la conoscenza di Dio e di alcuni suoi attributi, in particolare quello della giustizia premiante e vendicativa, secondo il passo dell’Apostolo: Chi si avvicina a Dio deve credere che egli è e che premia (Ebr.XI,6) da cui si deduce che in caso di urgente necessità un adulto possa essere battezzato anche se non crede esplicitamente in Gesù Cristo?

Risposta: Un missionario non può battezzare qualcuno che non creda esplicitamente nel Signore Gesù Cristo, ed è tenuto ad istruirlo su tutte le cose necessarie (per la salvezza) di necessità di mezzi, secondo la capacità di colui che deve essere battezzato.

2382. Domanda 8: Si può somministrare il viatico o l’Estrema Unzione ad adulti moribondi che abbiamo ritenuto idonei a ricevere il Battesimo, ma non la Comunione e gli altri Sacramenti?

Risposta: Il viatico non deve essere somministrato ad un neofita moribondo se non distingue almeno tra nutrimento spirituale e corporeo, riconoscendo e credendo nella presenza di Cristo Signore nell’ostia. Allo stesso modo, il Sacramento dell’Estrema Unzione non deve essere conferito ad un neofita morente che il missionario abbia ritenuto idoneo a ricevere il Battesimo, a meno che non abbia almeno l’intenzione di ricevere la santa Unzione destinata al bene dell’anima al momento della morte.

Costituzione “Vineam Domini Sabaoth“, 16 luglio 1705.

Silenzio obbediente sui fatti dogmatici.

2390. Par. 6 o 25. Affinché d’ora in poi sia completamente eliminata ogni occasione di errore e tutti i figli della Chiesa Cattolica imparino ad ascoltare questa stessa Chiesa, non solo tacendo (perché anche i nemici tacciono nelle tenebre (Is. II,9 ), ma anche con l’obbedienza interiore, che è la vera obbedienza dell’uomo alla retta fede, Noi decidiamo, dichiariamo, determiniamo e ordiniamo in virtù della stessa Autorità Apostolica con questa Costituzione che è nostra e che sarà sempre valida, che l’obbedienza dovuta alla suddetta Costituzione Apostolica non sia in alcun modo soddisfatta da questo rispettoso silenzio; ma che il senso condannato nelle cinque proposizioni di Giansenio sopra citate, che i termini di queste esprimono come è espresso, debba essere respinto e condannato come eretico da tutti i fedeli, non solo con la bocca, ma con il cuore; e che la suddetta forma non possa essere legittimamente sottoscritta con altra intenzione, spirito o convinzione, cosicché tutti coloro che su tutti questi punti e su ciascuno in particolare pensino, sostengano, insegnino oralmente o per iscritto, o affermino qualcosa di diverso o di opposto, trasgrediscono la suddetta Costituzione Apostolica e sono quindi soggetti a tutte e a ciascuna delle censure in essa contenute.

CostituzioneUnigenitus Dei Filius“, 8 settembre 1713.

Errori giansenisti di Pasquier Quesnel.

2400. Par. 2 … Sappiamo benissimo che ciò che di molto pernicioso ci sia in questo libro si diffonde e si accresce soprattutto perché è nascosto all’interno, e uscirà fuori, come una cattiva materia saniosa, solo se l’ulcera venga perforata; perché il libro stesso seduce il lettore a prima vista con una certa apparenza di pietà…

2401. Par. 3. 1. Che cosa resta a un’anima che ha perso Dio e la sua grazia, se non il peccato e le sue conseguenze, una povertà orgogliosa ed una pigra indigenza, cioè una generale impotenza a lavorare, a pregare e a qualsiasi opera buona? Questa proposizione si trova nelle Osservazioni morali di Quesnel su Lc XVI,3.

2402. 2. la grazia di Gesù Cristo, principio efficace di ogni tipo di bene, è necessaria per ogni opera buona; senza di essa, non solo non si fa nulla, ma non si può fare nulla. – (Gv XV,5: ed. del 1693).

2403. 3 Invano comandi, Signore, se tu stesso non dai ciò che comandi. – (At XVI,10).

2404. 4 Sì, Signore, tutto è possibile a colui al quale tu rendi possibile ogni cosa facendola in lui. – (Mc IX,22).

2405. 5 Quando Dio non ammorbidisce il cuore con l’unzione interiore della sua grazia, le esortazioni e le grazie esterne servono solo a indurirlo ancora di più. – (Rm IX,18 ed. 1693).

2406. 6 La differenza tra l’alleanza giudaica e quella cristiana è che nella prima Dio esigeva che il peccatore rinunciasse al peccato e adempisse alla Legge, lasciandolo impotente, mentre nella seconda Dio dà al peccatore ciò che comanda, purificandolo con la sua grazia. – (Rm XI,27).

2407. 7 Qual è il vantaggio per l’uomo nell’Antica Alleanza, dove Dio lo ha abbandonato alla propria infermità quando gli ha imposto la Legge? Ma che benedizione è essere ammessi in un’Alleanza in cui Dio ci dà ciò che chiede. – (Eb VIII,7).

2408. 8 Apparteniamo alla Nuova Alleanza solo in quanto partecipiamo alla nuova grazia, che opera in noi ciò che Dio comanda. – (Eb VIII,10).

2409. 9. La grazia di Cristo è la grazia suprema, senza la quale non possiamo mai confessare Cristo e con la quale non possiamo mai negarlo. – (1Co XII,3 ed. del 1693).

2410. 10. La grazia è l’operazione della mano di Dio che nulla può impedire o ritardare. – (Mt XX,34).

2411. 11. La grazia non è altro che la volontà onnipotente di Dio che comanda e fa ciò che comanda. – (Mc II,11).

2412. 12. Quando Dio vuole salvare l’anima, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, l’effetto inequivocabile segue la volontà di Dio. – (Mc II,12).

2413. 13. Quando Dio vuole salvare un’anima e la tocca con la mano interiore della sua grazia, nessuna volontà gli resiste. – (Lc V,13 ed. del 1693).

2414. 14. Per quanto un peccatore ostinato possa essere lontano dalla salvezza, quando Gesù si mostra a lui con la luce salvifica della sua grazia, deve arrendersi, correre, umiliarsi e adorare il suo Salvatore. – (Mc V,67 ed. del 1693).

2415. 15. Quando Dio accompagna il suo comandamento e la sua parola esteriore con la sua grazia, produce nel cuore l’obbedienza che richiede. – (Lc IX,60).

2416. 16 Non ci sono incantesimi che non cedano al fascino della grazia, perché nulla resiste all’Onnipotente. (At VIII,12).

2417. 17. La grazia è quella voce del Padre che insegna agli uomini interiormente e li fa venire a Gesù Cristo. Chi non viene a Lui dopo aver ascoltato la voce interiore del Figlio non è istruito dal Padre. – (Gv VI,45)

2418. 18. Il seme della parola che la mano di Dio innaffia porta sempre frutto. – (Atti XI:21).

2419. 19. La grazia di Dio non è altro che la sua volontà onnipotente: questa è l’idea che Dio stesso ci dà in tutte le sue Scritture. – (Rm XIV,4 edizione 1693).

2420. 20. La vera idea della grazia è che Dio vuole che gli si obbedisca, e se gli si obbedisce; comanda e tutto si fa; parla come un padrone e tutto gli è sottomesso. – (Mc IV,39).

2421. 21. La grazia di Gesù Cristo è una grazia forte, potente, sovrana, invincibile, poiché è l’operazione della volontà onnipotente, una continuazione ed un’imitazione di Dio che incarna ed eleva suo Figlio. (2Co V,21 éd. del 1693).

2422. 22. L’accordo dell’operazione onnipotente di Dio nel cuore dell’uomo con il libero consenso della volontà, ci viene mostrato immediatamente nell’Incarnazione, come nella fonte e nel modello di tutte le altre operazioni di misericordia e di grazia, tutte gratuite e dipendenti da Dio come questa stessa operazione originale. – (Lc 1,48).

2423 23. Dio stesso ci ha dato l’idea dell’operazione onnipotente della sua grazia, indicandola con quella con cui fa nascere le creature dal nulla e dà la vita ai morti. – (Rm IV, 17).

2424. 24. L’idea corretta del centurione dell’onnipotenza di Dio e di Gesù Cristo di guarire i corpi con il solo movimento della sua volontà è l’immagine dell’idea che dobbiamo avere dell’onnipotenza della sua grazia per guarire le anime dalla cupidigia. – (Lc VII,7).

2425. 25. Dio illumina l’anima e la guarisce, così come il corpo, con la sua sola volontà: comanda ed è obbedito. – (Lc XVIII,42).

2426. 26. Nessuna grazia viene data se non per fede. – (Mc XI,25).

2427. 27. La fede è la prima grazia e la fonte di tutte le altre. – (2Pt 1,3)

2428. 28. La prima grazia che Dio concede al peccatore è il perdono dei peccati. – (Mc XI,25).

2429. 29. Nessuna grazia viene concessa al di fuori della Chiesa. – (Lc X, 35-36)

2430. 30. Tutti coloro che Dio vuole salvare attraverso Gesù Cristo sono infallibilmente salvati. – (Gv VI,40).

2431. 31. I desideri di Gesù Cristo hanno sempre il loro effetto: egli porta la pace nell’intimo dei cuori quando quando lo desidera. – (Gv XX,19).

2432. 32. Gesù si è consegnato alla morte per liberare con il suo sangue i primogeniti, cioè gli eletti, dalla mano dell’Angelo della distruzione per sempre.

2433. 33. Oh, quanto bisogna aver rinunciato alle cose della terra e a se stessi per avere la sicurezza di appropriarsi, per così dire, di Cristo Gesù, del suo amore, della sua morte, del suo mistero, come fa Paolo quando dice: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me”. ” – .

2434. 34. La grazia di Adamo ha prodotto solo meriti umani. – (2Co V,21 ed. 1693).

2435. 35. La grazia di Adamo è una conseguenza della creazione ed era dovuta ad una natura santa e retta. – (2Co V,21).

2436. 36. La differenza essenziale tra la grazia di Adamo e lo stato di innocenza e la grazia cristiana è che ognuno avrebbe ricevuto la prima nella propria persona, mentre la seconda non si riceve se non nella persona di Gesù Cristo risorto, con il quale siamo uniti. – (Romani VII:4).

2437. 37. La grazia di Adamo, poiché lo santificava, era proporzionata a lui; la grazia cristiana, santificandoci in Gesù Cristo, è onnipotente e degna del Figlio di Dio. – (Ef 1,6).

2438. 38. Il peccatore è libero solo per il male senza la grazia del liberatore. – (Lc VIII,9).

2439. 39. La volontà che non è avvertita dalla grazia non ha luce se non per smarrirsi, non ha ardore se non per precipitarsi, non ha forza se non per farsi del male. È capace di ogni male e incapace di ogni bene. – (Mt XX,34).

2440. 40. Senza la grazia non possiamo amare nulla, se non per la nostra condanna. – (2Ts III,18; ed. 1693).

2441. 41. Ogni conoscenza di Dio, anche naturale, anche nei filosofi pagani, può venire solo da Dio, e senza la grazia produce solo presunzione, vanità e opposizione a Dio stesso, invece di sentimenti di adorazione, gratitudine e amore. – (Rm 1,19).

2442. 42. Solo la grazia rende l’uomo idoneo al sacrificio della fede: senza di essa, nient’altro che impurità, nulla e nient’altro che indegnità. Atti XI:9).

2443. 43. Il primo effetto della grazia battesimale è quello di farci morire al peccato, in modo che la mente, il cuore e i sensi non abbiano più vita per il peccato di quanta ne abbia un uomo morto per le cose del mondo. – (Rm VI,2: ed. del 1693).

2444. 44. Ci sono solo due amori da cui scaturiscono tutte le nostre volontà e azioni: l’amore di Dio che fa tutto per Dio e che Dio ricompensa, e l’amore con cui amiamo noi stessi ed il mondo, che non riporta a Dio ciò che dovrebbe essere riportato a Lui, e che per questo stesso fatto diventa cattivo. – (Gv V,29).

2445. 45. Quando l’amore di Dio non regna più nel cuore dei peccatori, vi regna necessariamente l’avidità carnale che corrompe tutte le loro azioni. – (Lc XV,13: ed. del 1693).

2446. 46. L’avidità o la carità rendono buono o cattivo l’uso dei sensi. – (Mt V,28).

2447. 47. L’obbedienza alla Legge deve scaturire da una fonte, che è la carità. Quando l’amore di Dio è il principio interiore e la sua gloria il suo fine, allora ciò che è esterno è puro; altrimenti è solo ipocrisia e falsa giustizia. – (Mt XXV,26 ed. del 1693).

2448. 48. Che altro possiamo essere se non tenebre, errore e peccato, senza la luce della fede, senza Cristo e senza amore? – (Ef V,8)

2449. 49. Come non c’è peccato senza amore per noi stessi, così non c’è opera buona senza amore per Dio. – (Mc VII, 22-23).

2450. 50. Invano gridiamo a Dio: “Padre mio”, se non è lo spirito di carità a gridare. – (Rm VIII, 15).

2451. 51. La fede giustifica quando opera, ma opera solo attraverso l’amore. – (At XIII, 39).

2452. 52. Tutti gli altri mezzi di salvezza sono contenuti nella fede come nel loro germe e nel loro ma non è una fede senza amore e fiducia. – (Atti 10:43).

2453. 53. Solo la fede porta alla realizzazione cristiana (azioni cristiane) attraverso la nostra relazione con Dio e con Gesù Cristo. – (Col III,14).

2454. 54. È solo la carità che parla a Dio; è solo essa che Dio ascolta. – (1Co XIII,1).

2455. 55. Dio incorona solo l’amore; chi corre in virtù di un altro movimento e per un altro motivo, corre invano. (1Co IX,24).

2456. 56. Dio premia solo la carità; solo la carità onora Dio. – Mt 25,36.

2457. 57. Il peccatore manca di tutto quando manca di speranza; e non c’è speranza in Dio se non c’è amore di Dio. – (Mt XXVII,5)

2458. 58. Non c’è Dio né religione dove non c’è carità – (1Gv IV,8).

2459. 59. La preghiera degli empi è un nuovo peccato; e ciò che Dio concede loro è un nuovo giudizio per loro. – (Gv X,25 ed. del 1693).

2460. 60. Se il pentimento è motivato solo dalla paura del tormento, quanto più violento è il pentimento, tanto più porta alla disperazione. – (Mt XXVII,5).

2461. 61. La paura ferma solo la mano; il cuore, invece, si abbandona al peccato finché non è guidato dall’amore. – (Lc XX,19).

2462. 62. Chi si astiene dal male solo per paura del castigo lo commette nel suo cuore, ed è già colpevole davanti a Dio. – (Mt XXI,46).

2463. 63. Un battezzato è ancora sotto la Legge come ebreo, se non adempie alla Legge o se la adempie solo per paura. – (Rm VI,14).

2464. 64. Sotto la maledizione della Legge non si fa mai il bene, perché si pecca o facendo il male o evitandolo solo per paura. –

2465. 65. Mosè, i profeti, i sacerdoti e i maestri della Legge sono morti senza aver dato figli a Dio, perché hanno reso schiavi solo per paura. – (Mc XII,19).

2466. 66. Chi vuole avvicinarsi a Dio non deve venire a lui con pensieri brutali, né comportarsi per istinto naturale o per paura, come le bestie, ma per fede e amore come i figli. – (Eb XII,20 ed. del 1693).

2467. 67. Il timore servile immagina Dio solo come un padrone duro, imperioso, ingiusto, intrattabile. – (Lc XIX,21; ed. del 1693).

2468. 68. Dio ha abbreviato la via della salvezza includendo tutto nella fede e nella preghiera. – (At II,21).

2469. 69. La fede, l’uso, l’incremento e la ricompensa della fede, tutto questo è un dono della pura liberalità di Dio. – Mc 9,22.

2470. 70. Dio non affligge mai l’innocente, e le afflizioni servono sempre o a punire il peccato o a purificare il peccatore. – Gv 9,3 .

2471. 71. L’uomo può, per la propria conservazione, rinunciare a questa legge che Dio ha stabilito per il suo bene. – (Mc II,28).

2472. 72. La nota della Chiesa è che essa è cattolica, comprendendo tutti gli angeli del cielo, tutti gli eletti e i giusti della terra e di tutti i tempi. – (Eb XII,22-24).

2473. 73. Che cos’è la Chiesa se non l’assemblea dei figli di Dio che abitano nel suo seno, adottati in Gesù Cristo, sussistenti nella sua Persona, redenti dal suo sangue, viventi del suo Spirito, agenti della sua grazia, e in attesa della pace dell’età futura? – (2Th 1,1 s ed. del 1693).

2474. 74. La Chiesa, o il Cristo intero, ha come capo il Verbo incarnato e come membri tutti i santi. – (1Tm III,16).

2475. 75. La Chiesa è un solo uomo, composto da molte membra, di cui Cristo è il capo, la vita, la sostanza e la persona: un Cristo composto da molti santi di cui è il santificatore. – (Ef II, 14-16).

2476. 76. Nulla è più spazioso della Chiesa, poiché tutti gli eletti e i giusti di tutti i tempi la compongono. – (Ef II, 22).

2477. 77. Chi non conduce una vita degna di un figlio di Dio e di un membro di Cristo, cessa di avere Dio come Padre e Cristo come capo. – (1Gv 2,24 éd. del 1693).

2478. 78. Ci si separa dal popolo eletto, di cui il popolo ebraico era la figura e di cui Cristo è il capo, sia non vivendo secondo il Vangelo sia non credendo al Vangelo. – Atti 3:23.

2479. 79. È utile e necessario in ogni tempo, in ogni luogo e per ogni genere di persone studiare e conoscere lo spirito, la pietà e i misteri della Sacra Scrittura. – (1Co XIV,5).

2480. 80. La lettura della Scrittura è per tutti. – (At VIII,28).

2481. 81. La santa oscurità della Parola di Dio non è motivo per i laici di rinunciare alla sua lettura. – (At VIII,28).

2482. 82. La domenica deve essere santificata dalla lettura devozionale, soprattutto delle Sacre Scritture. È riprovevole voler escludere i Cristiani da questa lettura.

2483. 83. È un’illusione immaginare che la conoscenza dei misteri della Religione non debba essere comunicata alle donne attraverso la lettura dei libri sacri. Non è dalla semplicità delle donne, ma dalla scienza orgogliosa degli uomini, che le Scritture sono state abusate e che sono sorte le eresie. – (Gv IV,26).

2484. 84. Strappare il Nuovo Testamento dalle mani dei Cristiani o tenerlo loro chiuso, privandoli dei mezzi per comprenderlo, significa chiudere loro la bocca di Cristo. – (Mt V,2).

2485. 85. Vietare ai cristiani di leggere la Sacra Scrittura, e in particolare il Vangelo, significa vietare l’uso della luce ai figli della luce e far loro subire una sorta di scomunica. – (Lc 11,33 ed. del 1693).

2486. 86. Togliere ai semplici la consolazione di unire la loro voce a quella di tutta la Chiesa è una pratica contraria alla prassi apostolica e al disegno di Dio. – (1Co XIV,16).

2487. 87. È una condotta piena di saggezza, di luce e di carità, quella di dare alle anime il tempo di sopportare con umiltà e di sentire lo stato di peccato, di chiedere lo spirito di penitenza e di contrizione e di cominciare, almeno, a soddisfare la giustizia di Dio, prima di riconciliarle. – Atti 8:9.

2488. 88. Non sappiamo cosa siano il peccato e la vera giustizia quando vogliamo essere immediatamente restituiti al possesso dei beni di cui il peccato ci ha privato e non vogliamo sopportare la confusione di questa separazione. – (Lc XVII,11-12).

2489. 89. Il quattordicesimo grado della conversione del peccatore consiste nel fatto che, quando è già stato riconciliato, abbia il diritto di assistere al Sacrificio della Chiesa. – (Lc XV, 23).

2490. 90. La Chiesa ha l’autorità di scomunicare, che deve essere esercitata dai primi pastori con il consenso, almeno presunto, di tutto il corpo. – (Mt XVIII,17).

2491. 91. Il timore di una scomunica ingiusta non deve mai impedirci di compiere il nostro dovere; non lasciamo mai la Chiesa, anche quando ci sembra di esserne espulsi dalla malvagità degli uomini, finché siamo legati a Gesù Cristo e alla Chiesa dalla carità. – (Gv IX, 22-23)

2492. 92. Piuttosto che tradire la verità, è meglio subire in pace la scomunica e l’anatema ingiusto: questo è imitare san Paolo; è ben lontano dal mettersi contro l’autorità o dal rompere l’unità. (Rm IX,3).

2493. 93. Gesù talvolta guarisce le ferite che la fretta dei primi pastori infligge al suo ordine; Gesù ripristina ciò che essi tolgono con uno zelo sconsiderato. – (Gv XVIII,11).

2494. 94. Niente dà un’opinione peggiore della Chiesa ai suoi nemici che vederla esercitare il dominio sulla fede dei fedeli e mantenere le divisioni su cose che non colpiscono né la fede, né la morale. – (Rm XIV,16).

2495. 95. Le verità sono diventate come una lingua straniera per la maggior parte dei Cristiani e il modo in cui vengono predicate è come una lingua sconosciuta, così lontana dalla semplicità degli Apostoli e al di là della comune comprensione dei fedeli; e non si apprezza abbastanza che questa carenza è uno dei segni più sensibili della vetustà della Chiesa e dell’ira di Dio sui suoi figli.

2496. 96. Dio permette che tutte le potenze si oppongano ai predicatori della verità, in modo che la sua vittoria possa essere attribuita solo alla grazia divina. – (Atti XVII:8).

2497. 97. Troppo spesso accade che i membri più santi e più strettamente uniti alla Chiesa siano considerati e trattati come indegni di essere nella Chiesa, o come separati da essa. Ma “il giusto vive per fede” (Rm 1,17) e non per l’opinione degli uomini. – (Atti IV:11).

2498. 98. Subire persecuzioni e punizioni come eretico, odioso ed empio, è di solito l’ultima e più meritoria prova, perché rende l’uomo più conforme a Gesù Cristo. – (Lc XXII,37).

2499. 99. La testardaggine, il pregiudizio, l’ostinazione a non voler esaminare nulla o ad ammettere di essere in errore, cambiano ogni giorno per molti in odore di morte ciò che Dio ha posto nella sua Chiesa per essere un odore di vita, ad esempio i buoni libri, le istruzioni, i santi esempi, ecc. che sono un segno di vita. – (2Co II,16).

2500. 100. Un tempo deplorevole in cui pensiamo di onorare Dio colpendo la verità e i suoi discepoli! Quel tempo è arrivato… Essere considerati e trattati dai ministri della Religione come empi e indegni di trattare con Dio, come un membro putrido capace di corrompere tutto nella società dei santi, è per gli uomini pii una morte più terribile della morte del corpo. Invano qualcuno si lusinga della purezza delle sue intenzioni e del suo zelo per la Religione, se perseguita gli uomini onesti con il fuoco e il ferro, se si lascia accecare dalla passione o trasportare da quella degli altri, perché non vuole esaminare nulla. Spesso pensiamo di sacrificare a Dio un senza Dio, ma sacrifichiamo al diavolo un servo di Dio. – (Gv XVI,2).

2501. 101. Non c’è nulla di più contrario allo spirito di Dio e all’insegnamento di Gesù Cristo che rendere comuni i giuramenti nella Chiesa, perché questo moltiplica le occasioni di spergiuro, tende trappole ai deboli e agli ignoranti, e talvolta fa sì che il nome e la verità di Dio servano agli empi. – Mt 5,37.

2502. (Censura)… Dichiariamo, condanniamo e disapproviamo le proposizioni precedenti in quanto, a seconda dei casi, false, capziose, sconvenienti, offensive per le orecchie pie, scandalose, perniciose, temerarie, dannose per la Chiesa e i suoi usi, oltraggiose, non solo per lei, ma anche per i poteri secolari, sediziose, empie, blasfeme, sospetto di eresia, in odore di eresia, favorevole agli eretici e alle eresie, e persino a uno scisma, erroneo, vicino all’eresia, e spesso condannato, infine, come eretico e rinnovatore di varie eresie, principalmente quelle contenute nelle famose proposizioni di Johannius, prese nel senso in cui sono state condannate.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (31): “Da INNOCENZO XIII A BENEDETTO XIV -I -“

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (70): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA ? (2)

LA DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

J. DELASSUS

L’ENCICLICA PASCENDI DOMINICI GREGIS e la DEMOCRAZIA

Alla Vergine Immacolata

GAUDE, MARIA VIRGO, CUNCTAS HÆRESES SOLA INTEREMISTI IN UNIVERSO MUNDO.

NIHIL OBSTAT: Insulis, die 26 decembris 1907.
H.QUILLIET, S. Th. Dr. Librorum Censor.
IMPRIMATUR: Cameraci, die 27 decembris 1907.
t FRANCISCUS, Arch.-Coadj. Cameracen

Société St. Augustin. “Desclée, De Brouwer et Cie

LILLE, 41, rue du Metz, 41, LILLE

L’Enciclica Pascendi, lungi dal liberare la democrazia cristiana dall’imputatione di modernismo, mostra l’intima connessione che esista tra questa “eresia dell’eresie” ed il movimento democratico. – Nella parte in cui espone l’idea che i modernisti si fanno della Chiesa e della sua Costituzione, Pio X dice: “Eccoci alla Chiesa, in cui le loro fantasie ci offrono una più ampia materia. La Chiesa è nata da un duplice bisogno: del bisogno avvertito da tutti i fedeli, soprattutto se hanno avuto qualche esperienza originale, di comunicare la loro fede; poi, quando la fede è diventata comunune, o, come si dice, collettiva, dalla necessità di organizzarsi in società, per conservare, accrescere, propagare il tesoro comune. Che cos’è dunque la Chiesa? Il frutto della coscienza collettiva, in altre parole è l’insieme delle coscienze individuali: coscienze che, in virtù della permanenza vitale, derivano da un primo credente – per i Cattolici, da Gesù Cristo -. Ma ogni società ha bisogno di un’autorità dirigente che guidi i suoi membri verso un fine comune, che, allo stesso tempo, attraverso un’azione prudentemente conservatrice, salvaguardi i suoi elementi essenziali, cioè, in una società religiosa, il dogma ed il culto. Da qui, nella Chiesa Cattolica, il triplice potere: disciplinare, dottrinale e liturgico.” Dall’origine di questa autorità deriva la sua natura e, quindi, i suoi diritti ed i suoi doveri. Nei tempi passati era un errore comune che l’autorità venisse alla Chiesa dall’esterno, cioè immediatamente da Dio; a quei tempi poteva essa essere giustamente considerata come autocratica. Ma oggi, a questo punto, si può virare. Così come la Chiesa è un’emanazione vitale della coscienza collettiva, così anche a sua volta, l’autorità è un prodotto vitale della Chiesa. La coscienza religiosa è quindi il principio da cui procede l’autorità proprio come la Chiesa; e se è così, dipende da essa. Dimenticarla o misconoseerla la trasforma in tirannia. Viviamo in un’epoca in cui il sentimento di libertà è in piena fioritura: nell’ordine civile la coscienza pubblica ha creato il regime popolare. Eppure, non ci sono due coscienze nell’uomo né due vite. Se l’autorità ecclesiastica non vuole provocare e fomentare un conflitto nel più intimo delle coscienze, deve rispettare le forme democratiche. D’altronde, se non lo facesse, andrebbe in rovina. Perché sarebbe folle immaginare che il sentimento di libertà al punto in cui è arrivato possa tornare indietro. Costretto e forzato, sarebbe un’esplosione terribile; spazzerebbe via tutto, Chiesa e religione. – Tali sono, in questa materia le idee dei modernisti, la cui grande preoccupazione è trovare un modo per riconciliar l’autorità della Chiesa e la libertà dei credenti.” Più avanti, il Santo Padre ritorna su questa folle pretesa dei modernisti di democratizzare la Chiesa: “Quello che chiedono, dice, è che la Chiesa voglia seguire il loro esempio, senza farsi troppi problemi, seguire le loro direttive ed arrivare finalmente ad armonizzarsi con le forme civili.” Poiché (secondo i modernisti), il Magistero della Chiesa ha la sua prima origine nelle coscienze individuali, e adempie ad un servizio pubblico, è ovvio che essa debba subordinarsi ad esse. Allo stesso modo, deve piegarsi alle forme popolari.” Che il governo ecclesiastico sia riformato, che il suo spirito, che le sue procedure esterne siano messe in armonia con le coscienza che si rivolge alla democrazia. Che una parte dunque sia dato, nel governo della Chiesa, al clero inferiore ed anche ai laici; che l’autorità sia dicentrata.” – Tutti gli uomini che seguono attivamente il movimento delle idee hanno fatto, leggendo l’Enciclica, l’osservazione che tutti gli errori che vi vengono evidenziati siano il più delle volte esposti proprio nei termini che i modernisti hanno usato per propagarli. I voti così formulati dai modernisti-democratici – se mai potessero realizzarsi – sarebbero qui, il completo rovesciamento, fino alle sue stesse fondamenta, della Chiesa come l’ha costituita Nostro Signore Gesù Cristo. Egli ne ha fatto una piramide che scende dal cielo e dalla cima sparge i suoi benefici sui popoli fino alle basi. La democrazia aspira a capovolgere l’edificio e a mettere l’autorità nelle mani della folla. Nei testi sopra citati, il Santo Padre dice come siamo arrivati a questo punto. – I modernisti ragionano come segue: La religione non nasce da una rivelazione esterna proveniente da Dio. Ha il suo principio e la sua fonte nella coscienza di ogni individuo. In altre parole si tratta dell’ “immanenze vitali” Le coscienze individuali hanno comunicato tra loro; da qui l’edistenza di une conscienza collett, ed in quanto conscienza collettiva, essa crea una società, la società religiosa. E come deve essere governata tale società? Da un’autorità che emani da una sorta di suffragio universale, e dipendente dalle coscienze individuali che l’hanno creata. L’autorità religiosa che arriva a dimenticare questa origine e questa origine e questa dipendenza si trasforma in tirannia. Questo è purtroppo ciò che sta accadendo ai giorni nostri. E quindi, se l’autorità ecclesiastica non vuole fomentare questo conflitto, essa deve ricorrere a forme di democrazia”, “essa deve armonizzarsi con le forme civili”, “essa deve piegarsi alle forme popolari”. Bisogna che il suo spirito ed i suoi processi esteriori siano messi in armonia con la coscienza che si muove verso la democrazia”. Bisogna che “una parte sia fatta nrl governo ai chierici inferiori come pure ai laici”. Bisogna che l’ “autorità sia decentralizzata”. Che “se vi si rifiuta è la rovina per essa”; perché sarebbe follia immaginare che il sentimento della libertà al punto inn cui è giunto, possa retrocedere”. – Così parlano i modernisti. Ma i democratici non concludono diversamente, anche se arrivano a questa conclusione per una via diversa. Il loro punto di partenza è l’opposto. Imbevuti dei falsi dogmi di Jean-Jacques Rousseau, essi credono che lo Stato sociale non sia l’opera di Dio, ma dell’uomo, il risultato di un contratto che gli uomini, stanchi di vivere come selvaggi, un bel giorno, conclusero tra loro. Se la società nasce da un contratto tra tutti, se tutti si sono accordati per creare un’autorità per governarli, questa autorità deriva da tutti. Da qui la sovranità del popolo che dà e prende potere, estendendo o restringendo i suoi limiti. In altre parole, di là il suffragio universale, di là il regime democratico, che i nostri democratici, cristiani o i non-cristiani, in accordo con il “falso dogma” che serve loro da principio, dichiarano essere il regime per eccellenza, il solo fondato sulla ragione, il solo legittimo. – Ma se il governo democratico è il governo per eccellenza, deve essere quello della Chiesa oltre che dello Stato. I democratici che vogliono essere Cristiani non ne traggono questa conseguenza apertamente. Non potrebbero farlo senza farsi dichiarare eretici. Ma questa è l’essenza del loro pensiero. Si tirano indietro quando lo si dice. È sufficiente per rispondere, ricordare le loro parole, mettere i loro scritti sotto gli occhi. Non possiamo ovviamente qui farne una dimostrazione completa. Sarà senz’altro sufficiente ricordare le parole di uno dei loro capi, pronunciate in una circostanza molto solenne, e dall’alto di una tribuna più clamoroso di tutte. – Il 15 gennaio 1907, l’Abate Lemire salì sulla tribuna della Camera dei Deputati per far sentire le sue parole: ” Non credo che qualcuno abbia il diritto di fare di noi, cattolici, i servi di un regime centralizzatore, di un regime alla Luigi XIV. La costituzione della Chiesa non è modellata su nessuna delle forme effimere di governo umano. ESSA NON È UNA MONARCHIA. In senso stretto, è. una gerarchia. È molto diverso (!?). La Chiesa è governata da una serie di autorità locali indipendenti lr une dalle altre, e controllate (solo questo?) da un’autorità centrale e superiore.” Queste parole sono così contrarie a ciò che M. Abate Lemire ha imparato dal suo parroco quando si preparava alla prima Comunione, che ci si chiede come tali idee abbiano potuto entrare nella sua testa in età avanzata e occuparlo così completamente da non venirgli più in mente nulla che non corrispondesse ad esse. – La spiegazione di questo fenomeno è facile da dare. Quando i sentimenti democratici si sono impadroniti di un cuore, quando il falso dogma di Jean-Jacques Rousseau ha invaso una mente, questo cuore, questo spirito desiderano vedere, nella società alla quale appartiene l’applicazione delle loro idee, la realizzazione di ciò che i loro sentimenti presentano loro come il migliore, il governo più perfetto, il più desiderabile. È così che i discepoli della scuola democratica cristiana arrivano, senza che lo sospettino, ad uno stato d’animo che rende loro percepibile la situazione della Chiesa e dei suoi fedeli per la costituzione che Nostro Signore Gesù Cristo le ha dato. Per la maggioranza, si tratta solo di una disposizione latente che li rende meno soggetti all’Autorità. Nei “maestri” è un’idea molto chiara, che si manifesta quando se ne presenta l’occasione, come è successo all’Abbate Lemire durante la discussione sulla sulla separazione tra Chiesa e Stato, che la legge, attraverso le sue associazioni culturali, aveva il preciso scopo di DEMOCRATIZZARE la Chiesa. – N. S. il Papa non si è accontentato, nella sua Enciclica, di dire come e perché i modernisti volessero democratizzare la Chiesa, ha anche fatto allusione alle profezie che questi signori formulano e per le quali essi prevedono che se la Chiesa non si conformerà agli inviti che essi le rivolgono di trasformare al più presto la sua costituzione, non potrà più contare che su pochi giorni di vita. “Se l’autorità ecclesiastica non vuole, nel più intimo delle coscienze, provocare e fomentare un conflitto, allora deve piegarsi alle forme democratiche. D’altronde, non farlo significherebbe la rovina, perché sarebbe una follia immaginare che il sentimento della libertà al punto in cui è arrivato, possa fare marcia indietro.” Queste minacce, i democratici cristiani le modulano all’unisono con i modernisti. Inoltre, sono l’antifona intonata tre quarti di secolo fa dal loro padre e maestro Lamennais. Padre e maestro della democrazia chretienne egli lo è sicuramente0. Lo riconoscono come tale e gli offrono il culto della pietà filiale che gli spetta. È stato lui a dire per primo quello che loro non smettono mai di ripetere, cioè di che la Rivoluzione Francese sia uscita è dal Vangelo e che la Chiesa non debba fare altro che da adattarvisi, se vuole proseguire la propria carriera. È lui che, dopo aver esagerato l’ullramontanismo, ha inculcato la sovranità nel popolo, anche da un punto di vista religioso. È stato il primo a formulare le minacce che abbiamo appena sentito contro contro la Chiesa, se non si fosse decisa a prendere l’abito democratico. Egli scriveva a M. de Coux nel 1833, quando, di ritorno da Roma, stava pubblicando le “Parole di un credente”: “La mia intenzione è quella di essere sottomesso nella Chiesa e libero fuori dalla Chiesa” (M. Marc Sangnier, ugualmente di ritorno da Roma, ha tenuto un simile lalingauggio nel Sillon e nel “Risveglio democratico”). Per quanto riguarda quest’ultima, è impossibile non ammettere che subirà importanti riforme, una trasformazione necessaria. L’umanità non ha certamente portato a termine il suo compito, né il Cristianesimo, e il Cristianesimo e l’umanità sono una cosa sola. Il genere umano non può più vivere al di fuori della ragione, della scienza e del diritto sviluppati nel corso dei secoli. … Ho una fede immensa, infinita nella verità e nella giustizia… Poiché credo in una rigenerazione più o meno prossima, mi sento pronto a soffrire qualsiasi cosa, a sacrificare tutto, prr contribuire ad essa…. Ecco la spiegazione del mio libro”. – Sono profondamente convinto che i grandi cambiamenti che si preparano nel mondo, lungi dall’essere operati dalla Chiesa, saranno operati nonostante essa, perché devono realizzare al suo interno la riforma che salverà il Cristianesimo, una riforma che la gerarchia non solo non solo non vuole, ma alla quale resisterà fino allo stremo delle forze. Sempre è certo, per quanto riguarda le questioni pratiche, che chiunque voglia agire, agire in un modo che la ragione e la coscienza ammettono, deve separarsi dal clero. Il minimo contatto con esso intorpidirebbe come un siluro, anche se ti uccide all’improvviso. È nel nostro tempo che dobbiamo ormai cercare le condizioni per ciò che resta da fare. La prima di tutte è l’indipendenza”. Fogazzaro, Riffaux, Naudet, Sangnier ecc. sono in realtà solo delle eco, eco molto fedeli. L’intero libro è stato riassunto così da p. Longhaye: “Io ho mostrato alla Chiesa la sua missione nuova, che è quella di seguire, pur sembrando di guidarla, l’irresistibile della democrazia. Se si rifiuta di farlo, è perduta; ed io segno la sua fine con il genere umano di cui sono l’organo infallibile.” – Quando M. Lemire giunse alla camera dei deputati, un abate suo amico pubblicò una biografia che l’abate-deputato distribuì e fece distribuire dagli organizzatori. distribuì e fece distribuire dagli organizzatori dei suoi congressi e delle sue conferenze. Nella prefazione vi si dice: “Da un secolo la Chiesa di Francia si è tenuta fuori dsi profondi movimenti del pensiero contemporaneo (pensiero modernista). Le voci stesse di Lamennais, Lacordaire e Montalembert dono riusciti appena a farsi sentire, e il più grande di questi riformatori e stato miseramente bruciato per avere voluto troppo presto il movimento che un giorno dovrà salvare il Cristianesimo nel nostro Paese”. Non è forse questo il linguaggio di Lamennais che Pio X rimprovera ai modernisti di usare ancora oggi? – Lamennaisera dunque profeta quando ha scritto a Montalembert alludendo al loro giornale, l’Avvenire: “Noi abbiamo sparso le demenze che un giorno fruttificheranno. Spetta solo al tempo svilupparle e farle maturare.” – Le piante cresciute dai semi di Lamennais sono state coltivate con cura dai modernisti, con qualsiasi nome si siano fatti chiamare: Cattolici liberali, progressisti, democratici cristiani. – Gregorio XVI nella sua Enciclica Mirari vos, Pio IX nell’Enciclica Quanta cura, Leone XII1 nell’Enciclica Testem benevolentiae e Graves de cornmuni, si sono sforzati di sradicarle dal suolo della Chiesa. Dalle radici, che non sono state estirpate sono spuntate altre piante, con un nuovo nome, una fisionomia diversa, ma pur sempre della stessa essenza, e spingono i loro germogli sempre più lontano. L’Enciclica di Pio X abbraccia l’intero campo dell’errore e ne coglie la piantagione. dell’uomo nemico tutta intera, nei suoi germi e nei suoi frutti. Bisogna ch’essa perisca.

GNOSI TEOLOGIA DI sATANA (71): DEMOCRAZIA CRISTIANA = DEMONIOCRAZIA ANTICRISTIANA? (3)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (31): “Da INNOCENZO XIII a PIO VI -I -“

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (31)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar.

(da INNOCENZO XIII a PIO VI – I. –)

INNOCENZO XIII: 8 maggio 1721-7 marzo 1724.

BENEDETTO XIII: 29 maggio 1724-21 marzo 1724 febbraio 1730.

CLEMENTE XII: 12 luglio 1730-6 febbraio 1740.

Bolla “Apostolicae providentiae officio“, 2 ottobre 1733.

Libertà di insegnamento sull’efficacia della grazia.

2509. Par. 1… Poiché, tuttavia, conosciamo esattamente l’intenzione dei nostri predecessori (Clemente XI e Benedetto XIII), non vogliamo che, a causa delle lodi che Noi o loro abbiamo dato alla scuola tomistica, e che Noi confermiamo e rinnoviamo con i nostri ripetuti giudizi, le altre scuole cattoliche che, per spiegare l’efficacia della grazia divina, ne sostengano una concezione diversa, ed i cui meriti sono ugualmente eminenti nei confronti di questa Santa Sede, siano in qualche modo impedite di continuare a sostenere su questo argomento le concezioni che hanno finora sostenuto, insegnate e difese pubblicamente e liberamente ovunque, anche in pieno giorno in questa venerabile Città.

2510. Par. 2. Pertanto … Proibiamo, sotto pena di incorrere nelle stesse sanzioni, che qualcuno osi infliggere censure o censure teologiche, per iscritto, nell’insegnamento, nelle dispute o in qualsiasi altra occasione, a quelle scuole che hanno una posizione diversa, o attaccarle con rimproveri o invettive, fino a quando questa Santa Sede non riterrà necessario definire o pronunciarsi sull’argomento di queste controversie.

Lettera apostolica “In eminenti apostolatus specula“, 28 aprile 1738.

Franco-Massoni.

2511. Par. 1 … Abbiamo appreso che certe società, associazioni, riunioni, assemblee, unioni o conventicole comunemente chiamate “liberi muratori” o “franco-massoni” o designate con altro nome secondo la diversità delle lingue, avanzano dappertutto e si rafforzano di giorno in giorno. Uomini di qualsiasi religione o setta, che si accontentano di un’apparenza di onestà naturale, si uniscono a loro con un patto stretto e impenetrabile, secondo leggi e statuti da loro stabiliti; e allo stesso tempo sono tenuti, sia con un rigoroso giuramento giurato sulla Sacra Bibbia, sia con l’accumulo di severe sanzioni, a nascondere con un silenzio inviolabile ciò che fanno in segreto. Ma poiché è nella natura del crimine rivelarsi e produrre un clamore che lo tradisce, le suddette società o conventicole hanno suscitato nell’animo dei fedeli un sospetto così grande che per coloro che sono prudenti e onesti, unirsi a queste unioni è assolutamente la stessa cosa che contrarre la macchia della nefandezza e dell’infamia, perché se non agissero male, non avrebbero un tale odio per la luce. Questa voce si è ormai diffusa a tal punto che in molte regioni le suddette società sono state proscritte dalle potenze secolari come una minaccia per la sicurezza del regno, e che da tempo sono state soppresse con lungimiranza.

2512. Par. 2. Pertanto, considerando in cuor nostro il gravissimo danno che il più delle volte viene arrecato da tali società o conventicole, non solo alla tranquillità della società civile, ma anche alla salvezza spirituale delle anime, e che per questo motivo non si accordano in alcun modo né con le leggi civili né con quelle canoniche, e poiché ci viene insegnato dalla Parola divina … che bisogna fare attenzione affinché uomini di questo tipo non entrino nelle case come ladri, … affinché infatti non distorcano i cuori dei semplici per ostacolare l’amplissima via che in tal modo si potrebbe aprire, permettendo di commettere impunemente delle iniquità, e per altri giusti e ragionevoli motivi a Noi noti, su consiglio di alcuni … Cardinali e anche d’ufficio, decidiamo con la pienezza del Potere Apostolico che queste stesse società o conventicole che portano il nome di “liberi muratori” o “franco-massoni”, o qualsiasi altro nome, … sono da condannare e proibire…

2513. Par. 4 (Gli Ordinari locali e gli inquisitori sono pregati) di punire (i trasgressori) con pene appropriate in quanto fortemente sospettati di eresia.

BENEDETTO XIV: 17 agosto 1740-3 maggio 1758.

Dichiarazione “Matrimonia quae in locis“, 4 novembre 1741.

Matrimoni clandestini.

2515. La questione della validità o meno dei matrimoni celebrati abitualmente nelle regioni soggette all’autorità degli Stati federati del Belgio, sia tra eretici da una parte che dall’altra, o tra un uomo eretico da una parte ed una donna cattolica dall’altra, o viceversa, non osservando la forma prescritta dal Santo Concilio di Trento (decreto Tametsi, cf. 1813-1816) è stato dibattuto a lungo e più volte, e le convinzioni ed i giudizi degli uomini sono stati totalmente diversi su questo argomento. Per molti anni ciò ha provocato una messe sovrabbondante di timori e di pericoli. ..

2516. (1). Nostro Signore Santissimo… ha recentemente richiesto la stesura di questa dichiarazione e istruzione, che tutti i Vescovi del Belgio, i parroci ed i missionari di queste regioni, così come i vicari apostolici, dovranno d’ora in poi utilizzare in queste materie come regola e norma sicura.

2517. (2) Vale a dire, in primo luogo, per quanto riguarda i matrimoni celebrati dagli eretici tra di loro nelle regioni soggette all’autorità degli Stati Federati del Belgio, senza osservare la forma prescritta dal Concilio di Trento: anche se Sua Santità non ignora che, d’altra parte, in alcuni casi particolari e dopo un attento esame delle circostanze presentate in ciascun caso, la Sacra Congregazione del Concilio si sia pronunciata a favore della loro invalidità, e sapendo altrettanto bene che finora nulla di generale e universale riguardo a questi matrimoni sia stato stabilito dalla Sede Apostolica, e che, d’altra parte, per la preoccupazione dei fedeli che vivono in queste regioni e per prevenire molti danni molto gravi, sia assolutamente importante dichiarare ciò che si debba pensare in generale su questi matrimoni: Ha dichiarato e stabilito che i matrimoni finora celebrati tra eretici nelle suddette province federate del Belgio e quelli che saranno d’ora in poi celebrati, anche se non sia stata osservata la forma prescritta dal Concilio di Trento, sono da considerarsi validi, purché non vi siano altri impedimenti canonici, e ciò in modo tale che se i due sposi dovessero tornare nel seno della Chiesa, essi siano assolutamente legati dallo stesso vincolo coniugale di prima, anche se il loro reciproco consenso non venga rinnovato davanti ad un parroco cattolico; ma se uno solo dei coniugi – uomo o donna – si converte, nessuno dei due può contrarre un altro matrimonio finché l’altro sia ancora in vita.

2518. Ma per quanto riguarda i matrimoni, conclusi anche in queste province federate del Belgio nella forma prescritta dal Concilio di Trento, tra Cattolici ed eretici, sia che un uomo cattolico sposi una donna eretica, sia che una donna cattolica sposi un uomo eretico, Sua Santità prova innanzitutto un grande dolore per il fatto che ci siano alcuni tra i Cattolici che, vergognosamente sedotti da uno sciocco amore, non siano pieni di orrore nei loro cuori per questi detestabili matrimoni che la Santa Madre Chiesa ha sempre condannato e proibito, e che non pensino di doversene astenere completamente; . . perciò esorta vivamente e gravemente (i pastori) delle anime, e li avverte di dissuadere per quanto possibile i Cattolici di entrambi i sessi dal contrarre tali matrimoni a rischio della loro anima, e di sforzarsi di ostacolare tali matrimoni in ogni modo appropriato, e di prevenirli efficacemente. Ma se un matrimonio di questo tipo, senza l’osservanza della forma di Trento, sia già stato contratto in queste parti, o se (Dio non voglia) dovesse essere contratto in futuro, Sua Santità dichiara che tale matrimonio, finché non vi sia alcun impedimento canonico, debba essere considerato valido, e che nessuno dei due sposi, finché l’altro sia ancora in vita, possa in alcun modo contrarre un nuovo matrimonio, anche con il pretesto di un matrimonio di convenienza. Ma il coniuge cattolico, sia l’uomo che la donna, deve avere a cuore soprattutto di fare penitenza per la gravissima colpa commessa, di chiedere perdono a Dio e di cercare con tutte le sue forze di riportare nel seno della Chiesa Cattolica l’altro coniuge che si sta allontanando dalla vera fede e di conquistare la sua anima – che sarà anche di grande vantaggio per il perdono del torto commesso – sapendo, inoltre, come si è detto, che sarà legato per sempre dal vincolo di questo matrimonio.

2519. (4) (Questo vale) … anche per i matrimoni contratti al di fuori delle frontiere dei territori in cui l’autorità degli stessi Stati Federati è esercitata da coloro che appartengano agli eserciti o alle truppe militari, e che siano abitualmente inviati al di là di tali frontiere dagli stessi Stati Federati per difendere e proteggere le opere di frontiera, chiamate di Barriera; e ciò nel senso che i matrimoni ivi contratti sotto la forma di Trento – sia tra eretici da una parte e dall’altra, sia tra Cattolici ed eretici – restino validi finché uno degli sposi appartiene a queste truppe o eserciti. …

2520. (5) Infine, per quanto riguarda i matrimoni contratti sia nei territori dei principi cattolici, da persone che abbiano il loro domicilio nelle Province Federate, o nelle Province Federate da persone che abbiano il loro domicilio nei territori dei principi cattolici, Sua Santità ha ritenuto di non dover decidere o dichiarare nulla di nuovo; desidera, infatti, che se sorgesse una divergenza di opinioni su questo argomento, si decida secondo i principi canonici del diritto comune e le decisioni emesse in casi analoghi dalla Sacra Congregazione del Concilio, ed ha dichiarato, deciso e prescritto che in futuro ciò sia osservato da tutti.

Il Sacramento della Confermazione.

2522. Par. 3 (N. 1). I Vescovi devono confermare incondizionatamente i neonati e gli altri battezzati nelle loro diocesi e che sono stati segnati sulla fronte con il crisma da Sacerdoti greci; infatti, né dai nostri predecessori né da Noi è stato dato o viene dato il permesso ai Sacerdoti greci in Italia e nelle isole circostanti di conferire il Sacramento della Confermazione ai neonati battezzati. E, anzi, a partire dall’anno 1595 il nostro predecessore di felice memoria Clemente VIII proibì espressamente ai Sacerdoti greci di segnare i battezzati con il crisma (cf. 1990).

2523. (N. 4) Sebbene coloro che siano stati cresimati da un semplice Sacerdote non siano costretti a ricevere il Sacramento della confermazione da un Vescovo se tale costrizione causerebbe scandalo, poiché il Sacramento della confermazione non è di tale necessità che non ci si possa salvare senza di esso, tuttavia essi devono essere avvertiti dagli Ordinari locali che sono in stato di peccato grave se, potendo ricevere la confermazione, la rifiutano o la trascurano.

Estrema Unzione.

2524. 5 (N. 2) L’Estrema Unzione … sarà impartita agli ammalati. (N. 3) Non importa che questa Estrema Unzione sia eseguita da uno o più Sacerdoti, quando esiste tale consuetudine, purché si creda e si affermi che, se sono stati usati la. materia e la forma richieste, questo Sacramento è eseguito validamente e lecitamente da un solo Sacerdote. (N. 4). Lo stesso Sacerdote deve applicare ogni volta la materia e pronunciare la forma; quindi colui che conferisce l’unzione deve essere lo stesso che pronuncia la forma corrispondente, e non deve essere che uno conferisca l’unzione e l’altro pronunci la forma.

Costituzione “Nuper ad Nos“, 16 marzo 1743.

La professione di fede prescritta per gli Orientali.

2525. Io, N., credo con fede ferma e professo tutti e ciascuno degli articoli contenuti nel simbolo di fede usato da Santa Romana Chiesa, e cioè: Credo in un solo Dio… (Simbolo di Costantinopoli, cf. 150 o 1862).

2526. Inoltre venero e riconosco i Concili universali seguenti, cioè il primo di Nicea 125-129, e professo ciò che è stato definito lì contro Ario di infausta memoria, cioè che il Signore Gesù Cristo sia il Figlio di Dio, nato dal Padre unigenito, cioè nato dalla sostanza del Padre, non creato, consustanziale al Padre, e che queste empie asserzioni siano state giustamente condannate in quello stesso Concilio, cioè: “c’era un tempo in cui non era”, o “è stato fatto da ciò che non era, o da un’altra sostanza o essenza”, o “il Figlio di Dio è suscettibile di cambiamento o alterazione”.

2527. Il primo di Costantinopoli (cf. 150-151), il secondo nell’ordine, e professo ciò che sia stato definito lì contro Macedonio di infausta memoria, cioè che lo Spirito Santo non è schiavo ma Signore, non è creatura ma Dio, e che ha un’unica divinità con il Padre e il Figlio.

2528. Il primo di Efeso (cf. 250-268), terzo nell’ordine, e professo ciò che è stato definito lì contro Nestorio di lugubre memoria, cioè che la divinità e l’umanità, nell’unione inesprimibile e incomprensibile dell’unica Persona del Figlio di Dio, hanno formato per noi l’unico Gesù Cristo, e che per questo la beatissima Vergine è veramente Madre di Dio.

2529. Quello di Calcedonia (cf. 300-305), il quarto in ordine di tempo, e professo ciò che sia stato definito lì contro Eutiche e Dioscoro, entrambi di infausta memoria, cioè che un solo e medesimo Figlio di Dio, il nostro Signore Gesù Cristo, sia perfetto nella divinità e perfetto nell’umanità, vero Dio e vero uomo, di anima e corpo ragionevoli, consustanziale al Padre nella divinità, consustanziale a noi nell’umanità, in tutto simile a noi tranne che nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli nella divinità, e negli ultimi giorni generato per noi e per la nostra salvezza dalla Vergine Maria, Madre di Dio, nell’umanità; un solo e medesimo Cristo, Figlio, Signore, unigenito, che deve essere riconosciuto in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione, non essendo le differenze in alcun modo eliminate a causa dell’unione, essendo piuttosto le proprietà dell’una e dell’altra natura salvaguardate e contribuendo ad un’unica Persona e ad un’unica ipostasi, non essendo divise o scisse in due persone, ma un solo e medesimo Figlio, unigenito, Dio Verbo, il Signore Gesù Cristo; allo stesso modo, che la divinità dello stesso Gesù Cristo nostro Signore, secondo la quale è consustanziale al Padre e allo Spirito Santo, è impassibile e immortale, ma che lo stesso è stato crocifisso ed è morto solo secondo la carne, come è stato definito in questo stesso Concilio e nella lettera del santo Pontefice Romano Leone (v. 290-295), per bocca del quale ha parlato Pietro, come hanno gridato i padri di questo stesso Concilio; con questa definizione viene condannata l’empia eresia di coloro che nel Trishagion trasmesso dagli Angeli e cantato nel suddetto Concilio di Calcedonia: “Dio santo, santo forte, santo immortale, abbi pietà di noi” (cfr. Esd VI,3 ) aggiungevano: “tu che sei stato crocifisso per noi”, e affermavano così che la natura divina sia passibile e mortale.

2530. Il secondo di Costantinopoli (cf. 421-438), il quinto in ordine di tempo, in cui si rinnova la definizione del già citato Concilio di Calcedonia.

2531. Il terzo di Costantinopoli (cf. 550-559), il sesto in ordine di tempo, in cui professo ciò che sia stato definito lì contro i monoteliti, cioè che nell’unico e medesimo Gesù Cristo, nostro Signore, ci siano due volontà naturali e due attività naturali, senza divisione, senza cambiamento, senza separazione, senza confusione, e che la sua volontà umana non sia opposta ma soggetta alla sua volontà divina ed onnipotente.

2532. Il secondo di Nicea (cf. 600-609), il settimo nell’ordine, e professo ciò che sia stato definito lì contro gli iconoclasti, cioè che si debbano avere immagini di Cristo e della Vergine, Madre di Dio, così come degli altri Santi, e che si debba essere attaccati ad esse ed accordare loro l’onore e la venerazione dovuti.

2533. Il quarto di Costantinopoli (cf. 650-664), l’ottavo in ordine, e professo che Fozio sia stato giustamente condannato e sant’Ignazio restaurato come Patriarca.

2534. Inoltre venero e riconosco tutti gli altri Concili universali legittimamente celebrati sotto l’autorità dei Romani Pontefici e da essi confermati, in particolare il Concilio di Firenze del 1300-1353, e professo ciò che sia stato ivi definito….

(Quanto segue è tratto direttamente, o in forma di estratti, dal decreto di unione per i Greci e dal decreto per gli Armeni del Concilio di Firenze).

2535. Allo stesso modo venero e riconosco il Concilio di Trento (cf. 1500-1835), e professo ciò che sia stato definito e dichiarato in esso, in particolare che nella Messa è presentato a Dio il vero, puro e propiziatorio Sacrificio per i vivi e per i morti, e che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia, secondo la fede che è sempre esistita nella Chiesa di Dio, siano contenuti in modo vero, reale e sostanziale, il corpo ed il sangue, insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e quindi il Cristo intero; e che in essa avvenga il cambiamento dell’intera sostanza del pane in Corpo e dell’intera sostanza del vino in Sangue, che la Chiesa Cattolica chiama giustamente transustanziazione, e che in ciascuna delle due specie, e dopo la loro separazione in ciascuna delle diverse parti di ciascuna delle specie, Cristo è contenuto nella sua interezza.

2536. Allo stesso modo, che i sette Sacramenti della Nuova Legge siano stati istituiti da Cristo nostro Signore per la salvezza del genere umano, anche se non tutti siano necessari per ciascuno, cioè Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordini sacri e Matrimonio; e che essi conferiscano la grazia e che tra di essi il Battesimo, la Cresima e gli Ordini sacri non possano essere ripetuti (senza sacrilegio). Allo stesso modo, che il Battesimo sia necessario per la salvezza e che quindi, se c’è pericolo di morte, debba essere conferito senza indugio, e che chiunque lo conferisca e in qualsiasi momento, è valido se sia stato conferito con la materia, la forma e l’intenzione richieste. Allo stesso modo, il vincolo del Sacramento del Matrimonio è indissolubile, e anche se può esserci separazione del corpo e della comunità di vita tra gli sposi per motivi di adulterio, eresia o altro, ciò non significa che sia loro permesso contrarre un altro matrimonio.

2537. Allo stesso modo, le tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche devono essere riconosciute e venerate. E che Cristo ha dato alla Chiesa il potere delle indulgenze e che il loro uso è molto salutare per il popolo cristiano.

2538. Allo stesso modo riconosco e professo ciò che è stato definito dal suddetto Concilio di Trento in materia di peccato originale, di giustificazione, di elenco e di interpretazione dei libri sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento.

2539. (A richiesta di Leone XIII si aggiunge qui, con decreto della Sacra Congregazione per la Propagazione della Fede del 16 luglio 1878:) Allo stesso modo, venero e riconosco il Concilio Ecumenico Vaticano, e accolgo e professo con la massima fermezza tutti e ciascuno degli articoli che sono stati trasmessi, definiti e dichiarati da esso, specialmente per quanto riguarda il primato del Romano Pontefice ed il suo Magistero infallibile).

2540. Allo stesso modo, riconosco e professo tutti gli altri articoli ricevuti e professati dalla santa Chiesa romana, e allo stesso tempo tutto ciò che si opponga ad essi, gli scismi e le eresie che sono stati condannati, respinti e anatematizzati da questa stessa Chiesa, anch’io li condanno, li respingo e li anatematizzo. Inoltre, prometto e giuro vera obbedienza al Romano Pontefice, successore del Beato Pietro, Principe degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

Breve “Suprema omnium Ecclesiarum“, 7 luglio 1745

Il nome del complice non deve essere richiesto.

2543. (1) Poco tempo fa … è giunta alle nostre orecchie la notizia che alcuni confessori di questa regione, che si sono lasciati trasportare da una falsa idea di cosa sia lo zelo, ma che vagano lontano dallo zelo illuminato dalla conoscenza (cfr. Rm 10,2 ), hanno iniziato a istituire e introdurre una pratica distorta e perniciosa nell’ascoltare le confessioni dei fedeli di Cristo e nell’amministrare il salutarissimo sacramento della penitenza: e cioè che quando si trovano occasionalmente in presenza di penitenti che hanno avuto un compagno o un complice nel loro crimine, sono soliti chiedere a questi penitenti il nome di questo compagno o complice, e che non è con la persuasione che non solo cercano di persuaderli a rivelarglielo, ma che, cosa ancora più abominevole, li spingono e li costringono minacciandoli di rifiutare l’assoluzione sacramentale se non lo rivelano; molto di più, pretendono addirittura che venga dato loro non solo il nome del complice, ma anche il luogo in cui vive; … Questa intollerabile imprudenza, non esitano ad abbellirla con lo specioso pretesto di dover correggere il complice e procurargli altri beni, e a giustificarla anche con un certo numero di pareri contraddittori di medici, mentre in realtà, sostenendo questi pareri falsi ed erronei, o applicandole male quando sono vere e valide, essi mettono in pericolo la propria anima e quella dei penitenti, e inoltre si rendono colpevoli di un grave danno davanti a Dio, Giudice eterno, di cui avrebbero dovuto prevedere la facile conseguenza.

2544 … (3) (Censura) Per non dare l’impressione di sottrarci al nostro ministero apostolico di fronte ad un così grande pericolo per le anime, e per non permettere che il nostro pensiero sull’argomento vi risulti oscuro o ambiguo, desideriamo che sappiate che la suddetta pratica è assolutamente da riprovare, e che con il presente documento, in forma di Breve, essa è da Noi riprovata e condannata come scandalosa e perniciosa, come lesiva del buon nome del prossimo e del Sacramento stesso, come tendente alla violazione del santissimo sigillo del Sacramento e come allontanante i fedeli dall’uso così utile e necessario del sacramento della penitenza.

Enciclica “Vix pervenit” ai Vescovi d’Italia, 1 novembre 1745.

L’usura.

2546. (Par. 3) 1 (Il concetto di usura) Il peccato detto di usura, il cui luogo proprio è il contratto di prestito, consiste nel fatto che qualcuno vuole che in virtù del prestito stesso – che per sua natura richiede che venga restituito solo quanto sia stato ricevuto – venga restituito più di quanto sia stato ricevuto, e che quindi si affermi che in virtù del prestito stesso sia dovuto un guadagno che va oltre il capitale (prestato). Per questo motivo, qualsiasi guadagno che superi il capitale (prestato) è illegale e usurario.

2547. (2) Per essere scagionati da questa contaminazione, non sarà possibile appellarsi né al fatto che questo guadagno non sia eccessivo e sconsiderato ma modesto, che non sia grande ma piccolo, né al fatto che la persona a cui si chiede questo guadagno per il solo motivo del prestito non sia povera ma ricca, e che non lascerà la somma prestata inoperosa ma la utilizzerà nel modo più utile per accrescere la sua fortuna, acquistare nuove proprietà o intraprendere un commercio fruttuoso. Chiunque, una volta stabilita questa uguaglianza, non teme di esigere la restituzione del prestito, agisce contro la legge del prestito, che consiste necessariamente nell’uguaglianza tra ciò che viene dato e ciò che viene restituito. Per questo, se ha ricevuto (qualcosa), sarà tenuto a restituire in virtù dell’obbligo di quella giustizia che si chiama commutativa e che ha il compito di assicurare in modo intangibile l’uguaglianza di tutti nei contratti umani, e di ristabilirla rigorosamente quando non sia stata rispettata.

2548. 3 Ciò non significa negare che al contratto di mutuo possano essere occasionalmente allegate altre garanzie, come si dice, che non siano inerenti e intrinseche a ciò che è comunemente la natura del mutuo stesso, ma che danno luogo ad una ragione perfettamente giusta e legittima per richiedere regolarmente più del capitale dovuto sulla base del mutuo. Allo stesso modo, non si nega che una persona possa spesso investire e utilizzare regolarmente il proprio denaro attraverso altri contratti, distinti per natura dal contratto di prestito, sia per ottenere un reddito annuale sia per intraprendere un commercio o un’attività lecita e riceverne guadagni onorevoli.

2549. 4. È certo che, se in vari contratti di questa forza non sia assicurata l’uguaglianza di ciascuna delle parti, tutto ciò che si riceve oltre il giusto si configura, se non come usura (poiché ogni prestito, sia esso coperto o dissimulato, ne è privo), almeno come un’altra vera e propria ingiustizia, che implica anche l’obbligo di restituzione; Tuttavia, se tutto viene fatto in modo regolare e viene pesato sulla bilancia della giustizia, non c’è dubbio che i vari modi di procedere leciti in questi contratti siano sufficienti a garantire ed animare le relazioni commerciali tra gli uomini e gli stessi affari fruttuosi, in vista del profitto di tutti. I Cristiani si guardino dal pensare in cuor loro che l’usura o altre ingiustizie indebite di questo tipo permettano di far prosperare un commercio ricco di profitti, poiché al contrario apprendiamo dalla stessa Parola divina che “la giustizia esalta un popolo, ma il peccato lo rende infelice” (Pr XIV, 34) .

2550. (5) Tuttavia, bisogna considerare attentamente che sarebbe falso ed avventato pensare che si possano sempre trovare e avere a portata di mano o altri titoli legittimi contemporaneamente al prestito, o, indipendentemente dal prestito, altri contratti giusti, in modo che per mezzo di questi titoli e di questi contratti, ogni volta che si presti denaro, guadagno o qualsiasi altra cosa di questo tipo a qualcuno, sia sempre permesso anche di ricevere un moderato sovrapprezzo che vada oltre la totalità e l’integrità del capitale (prestato). Se qualcuno la pensa in questo modo, è indubbiamente in conflitto non solo con gli insegnamenti divini ed il giudizio della Chiesa Cattolica sull’usura, ma anche con il buon senso e la ragione naturale. Infatti, almeno questo non può sfuggire a nessuno: che in molte circostanze un uomo è obbligato ad aiutare un altro con un semplice e nudo prestito, come insegna lo stesso Cristo, il Signore: “Se qualcuno vuole chiederti un prestito, non sottrarti” (Mt V,42) e che, allo stesso modo, in molte circostanze non ci può essere altro contratto vero e giusto oltre al singolo prestito. – Se qualcuno, dunque, desidera una regola per la sua coscienza, deve prima esaminare se esista davvero un altro titolo contemporaneamente al prestito, o se esiste davvero un altro contratto giusto rispetto al contratto di prestito, in virtù del quale potrà cercare il guadagno essendo libero e senza macchia.

Istruzione “Postremo mense”, 28 febbraio 1747.

Battesimo dei bambini contro la volontà dei genitori.

2552. 4. Per quanto riguarda la prima parte del primo capitolo, ossia se i bambini ebrei possano essere battezzati contro la volontà dei genitori, chiariamo che ciò è già stato definito da San Tommaso in tre passi, ossia nella Quodl. II, a. 7; II-II 10,12 dove esamina nuovamente la questione posta nella Quodlibeta: “I figli degli ebrei e degli infedeli devono essere battezzati a dispetto dei loro genitori?” e dove risponde così: “Ciò che possiede la massima autorità è la prassi della Chiesa, alla quale ci si deve attenere gelosamente in ogni cosa, ecc. Ora la prassi della Chiesa non ha mai ammesso che i figli degli ebrei siano battezzati a dispetto dei loro genitori…”; e in III 68,10 così si esprime: “Rispondo: i figli degli infedeli… Sarebbe dunque contrario alla giustizia naturale battezzare questi bambini contro la volontà dei loro genitori, così come sarebbe contrario alla giustizia naturale battezzare un uomo che ha l’uso della ragione. Inoltre, sarebbe pericoloso…”.

2553. 5. Nel Commento alle Sentenze IV, dist. 4, q. 9, n. 2, e nelle questioni riferite al n. 2, Scoto ritiene che un principe possa ordinare lodevolmente di battezzare anche i figli piccoli di ebrei e infedeli, nonostante i loro genitori, purché si faccia attenzione che questi stessi figli non vengano uccisi dai loro genitori. La sentenza di Tommaso ha prevalso, tuttavia, nei tribunali… ed è più diffusa tra i teologi e i giuristi….

2554. 7. Stabilito questo, cioè che non è lecito battezzare i figli degli ebrei contro la volontà dei loro genitori, dobbiamo ora – secondo l’ordine stabilito all’inizio – passare subito alla seconda questione, cioè se ci possa mai essere un’occasione in cui ciò sia permesso e opportuno.

2555. 8 … Se allo stesso modo un cristiano dovesse trovare un bambino ebreo vicino alla morte, penso che farà certamente una cosa lodevole e gradita a Dio procurando a quel bambino la salvezza eterna attraverso l’acqua purificatrice. …

2556. 9. Allo stesso modo, se dovesse accadere che un bambino ebreo venga scacciato e abbandonato dai genitori, secondo il sentimento di tutti, confermato da diverse sentenze, dovrebbe essere battezzato, anche se i genitori protestano e lo richiedono. …

2557. 14. Dopo aver esposto questi casi ovvi in cui questa nostra regola proibisce il battesimo dei figli di ebrei contro la volontà dei genitori, aggiungiamo alcune ulteriori spiegazioni su questa regola, la prima delle quali è: se i genitori sono assenti, ma i bambini sono stati affidati alla tutela di un ebreo, non possono in alcun modo essere battezzati legittimamente senza il consenso del tutore, poiché tutta la potestà dei genitori è passata ai tutori. 15. La seconda è: se un padre si converte al cristianesimo e ordina che il nipote sia battezzato, il bambino deve essere battezzato anche contro la volontà della madre ebrea, poiché il bambino deve essere considerato come sotto la potestà non della madre ma del padre… 16. La terza è: anche se una madre non ha figli propri, ma arriva alla fede in Cristo e presenta il bambino per il battesimo, anche se il padre ebreo protesta, deve comunque essere purificato dall’acqua del battesimo. 17. La quarta è: se dunque si ritiene certo che la volontà dei genitori è necessaria per il Battesimo dei bambini, sotto il termine “genitori” si colloca anche il nonno paterno: … ne consegue necessariamente che se il nonno paterno abbraccia la fede cattolica e conduce il suo figlioletto alla fonte del santo Battesimo, anche se, essendo il padre già morto, e la madre ebrea si opponga, il bambino debba essere battezzato senza alcun dubbio. …

2558. 18. Non è un’invenzione che un giorno un padre ebreo dica di voler abbracciare la Religione Cattolica e chieda di essere battezzato lui stesso ed i suoi nipoti, ma poi si penta della sua decisione e si rifiuti di far battezzare il figlio. Questo è successo a Mantova. … Il caso fu sottoposto alla Congregazione del Sant’Uffizio e… il 24 settembre 1699 il Sommo Pontefice decise che “i due bambini, uno di tre e l’altro di cinque anni, devessero essere battezzati. Gli altri, un figlio di otto anni e una figlia di dodici, siano collocati nella casa dei catecumeni, se esiste a Mantova, altrimenti presso una persona pia ed onesta per conoscere la loro volontà e istruirli”. …

Battesimo di bambini portati con cattive intenzioni.

2559. 19. Ci sono anche alcuni miscredenti che hanno l’abitudine di presentare i loro figli ai Cristiani affinché siano purificati dalle acque salutari, ma non perché entrino al servizio di Cristo, né perché il peccato originale sia rimosso dalle loro anime; ma lo fanno spinti da un’indegna superstizione, poiché pensano che il beneficio del Battesimo li liberi dagli spiriti maligni, dal cattivo odore o dalle malattie.

2560. 21. Dopo che l’esame di questa questione fu affidato a teologi e giuristi, furono proposti e discussi diversi casi. Alcuni infedeli, che si erano convinti che con la grazia del Battesimo i loro figli sarebbero stati liberati dalle malattie e dalle vessazioni del demonio, furono spinti ad una tale follia da minacciare di morte i Sacerdoti che, conoscendo la loro perversa intenzione, si rifiutavano con la massima fermezza di battezzare i loro figli. (Alcuni) pensano che, per evitare la morte, il Battesimo possa essere conferito a tutti, purché si usi solo la materia e non la forma. Ma a questa opinione si oppose la Congregazione del Sant’Uffizio, riunitasi alla presenza del Sommo Pontefice il 5 settembre 1625.

2561. “La Sacra Congregazione dell’Inquisizione Generale che si è tenuta alla presenza del Sommo Pontefice, dopo aver letto lo scritto del Vescovo di Antivari in cui chiedeva di risolvere il seguente dubbio: Quando i Sacerdoti sono costretti dai turchi a battezzare i loro figli, non perché diventino Cristiani, ma per la salvezza del loro corpo, affinché siano liberati dal cattivo odore, dall’epilessia, dai pericoli dei malefici e dei lupi, possono in tal caso battezzarli almeno fittiziamente, usando la materia del Battesimo senza la forma richiesta? Risposta: negativa, perché il Battesimo è la porta dei Sacramenti e la manifestazione della fede, e non può in alcun modo essere finto.”

Il Battesimo di bambini piccoli presentati da qualcuno che non ha autorità.

2562. Si tratta di coloro che non vengono presentati al Battesimo né dai genitori né da altri che hanno un diritto su di loro, ma da qualcuno che non ha alcuna autorità. Si tratta invece di coloro i cui casi non rientrano nella disposizione che consente di conferire il Battesimo anche se manca il consenso degli ascendenti: in questo caso non devono essere battezzati, ma consegnati a chi ha legittimamente la potestà su di loro e ne ha la custodia. – Se hanno già ricevuto il Sacramento, devono essere trattenuti o sottratti ai genitori ebrei e affidati ai fedeli di Cristo perché siano da loro educati in modo pio e santo; perché questo è l’effetto di un Battesimo illecito, che tuttavia è vero e valido.

Lettera “Dum præterito” al Grande Inquisitore di Spagna, 31 luglio 1748.

Libertà di insegnamento in materia di aiuti della grazia.

2564. Lei sa che sulle famose questioni della predestinazione, della grazia e di come conciliare la libertà umana con l’onnipotenza di Dio ci siano molte scuole e molte opinioni. I tomisti sono diffamati come distruttori della libertà umana e come seguaci non solo di Giansenio ma anche di Calvino; ma poiché danno un’eccellente risposta alle obiezioni e poiché la loro concezione non sia mai stata riprovata dalla Sede Apostolica, i tomisti vi restano attaccati impunemente e, allo stato attuale delle cose, nessun superiore ecclesiastico si permette di allontanarli dalla loro concezione. Gli agostiniani sono diffamati come seguaci di Baio e Giansenio. Essi rispondono che sono i sostenitori della libertà umana e respingono le obiezioni con tutte le loro forze; e poiché finora la loro concezione non è stata condannata dalla Sede Apostolica, non c’è nessuno che non veda che nessuno possa pretendere che essi si allontanino dalla loro concezione. – I discepoli di Molina e Suarez sono messi alla gogna dai loro avversari come se fossero semipelagiani; i Pontefici Romani non hanno ancora pronunciato alcuna sentenza riguardo a questo sistema molinista, ed è per questo che continuano a sostenerlo e possono continuare a sostenerlo.

2565. In una parola, i Vescovi e gli inquisitori non devono considerare le note con cui i dottori che disputano tra loro si qualificano a vicenda, ma considerare se queste note con cui si qualificano a vicenda siano state disapprovate dalla Sede Apostolica. La Sede Apostolica è favorevole alla libertà delle scuole e finora non ha disapprovato nessuno dei modi in cui è stato proposto di conciliare la libertà umana con l’Onnipotenza divina. Quando se ne presenta l’occasione, Vescovi e inquisitori devono comportarsi allo stesso modo, anche se come privati sono più favorevoli ad una visione che ad un’altra. Noi stessi, anche se come dottore privato propendiamo per una certa opinione in materia teologica, non per questo riproduciamo l’opinione contraria come Sovrano Pontefice, né permettiamo che sia riprovata da altri.

Breve “Singulari nobis” al Cardinale Henry, duca di York, 9 febbraio 1749.

Incorporazione alla Chiesa mediante il Battesimo.

2566. Par. 12 … Quando un eretico battezza qualcuno usando la forma e la materia legittima, … quest’ultimo è segnato con il carattere del Sacramento.

2567. Paragrafo 13. Allora anche questo è stabilito: chi ha ricevuto il Battesimo da un eretico in modo regolare diventa membro della Chiesa Cattolica in virtù di esso; infatti l’errore privato di colui che battezza non può privarlo di questa felicità, purché conferisca il Sacramento nella fede della vera Chiesa e si conformi alla disciplina per quanto riguarda ciò che fa parte della validità del Battesimo. Ciò è notevolmente confermato da Suarez nella sua Fidei catholicæ defensio contra errores sectæ Anglicanæ, libro I, cap. 24, dove dimostra che il battezzato diventa membro della Chiesa, e aggiunge anche che se un eretico – come spesso accade – purifichi un bambino incapace di compiere un atto di fede con l’acqua lustrale, non c’è alcun impedimento a che il bambino riceva l’habitus della fede attraverso il Battesimo.

2568. Par. 14. Infine, riteniamo certo che coloro che siano stati battezzati da eretici, quando hanno raggiunto l’età in cui possono distinguere da soli tra il bene e il male, e aderiscono agli errori di colui che li ha battezzati, sono certamente respinti dall’unità della Chiesa e privati dei beni di cui godono coloro che hanno la loro dimora nella Chiesa, ma non sono tuttavia liberati dalla sua autorità e dalle sue leggi, come afferma saggiamente Gonzales in “Sicut“, n. 12, a proposito degli eretici.

2569. Par. 15. Infatti, per quanto riguarda i disertori e i traditori, vediamo che le leggi civili escludono totalmente i sudditi fedeli dai privilegi. Allo stesso modo, le leggi ecclesiastiche non concedono privilegi clericali ai chierici che non rispettino i comandamenti dei sacri Canoni. Ma nessuno ritiene che i traditori o i chierici che violano i Canoni non siano soggetti all’autorità dei loro principi o prelati.

2570. Par. 16. Se non ci sbagliamo, questi esempi hanno a che fare con una questione come questa: anche gli eretici sono soggetti alla Chiesa e vincolati dalle leggi ecclesiastiche.

Costituzione “Detestabilem“, 10 novembre 1752.

Errori sul duello.

2571. 1. Un soldato che, per il fatto di non offrire o accettare un duello, fosse considerato timoroso, timoroso, privo di coraggio e inadatto ai doveri che sono propri dei soldati, e che per questo motivo fosse privato dell’ufficio che serve al suo mantenimento e a quello della sua famiglia, o fosse privato per sempre della speranza di una promozione che altrimenti gli spetterebbe o che meriterebbe, non incorrerà in alcuna colpa né in alcuna pena se offre o accetta un duello.

2572. 2. Possono essere scusati anche coloro che accettano un duello per proteggere il proprio onore o per evitare il disprezzo umano, o che lo provocano quando sanno con certezza che non ci sarà un combattimento perché sarà impedito da altri.

2573. 3. Il capo o l’ufficiale dell’esercito che accetta un duello per il grave timore di perdere la propria reputazione o il proprio ufficio non è passibile delle sanzioni ecclesiastiche imposte dalla Chiesa contro i duellanti.

2574. 4. È lecito, nello stato naturale dell’uomo, accettare un duello o provocarlo per conservare, insieme all’onore, la propria fortuna, quando la loro perdita non ppssa essere evitata con altri mezzi.

2575. 5. La legalità che vale per lo stato naturale può valere anche per lo stato di una città male ordinata quando, per negligenza o cattiva volontà delle autorità, la giustizia vi è apertamente negata.

(Censura: condannato e proibito come) falso, scandaloso e pernicioso.

CLEMENTE XIII: 6 luglio 1758-2 febbraio 1769.

Risposta del Sant’Uffizio al Vescovo di Cochin (India), 1° agosto 1759.

Privilegio paolino.

2580. Spiegazione: Spesso accade che uno dei due non credenti si converta alla fede, ma l’altro, in quel momento, non voglia convertirsi, ma intenda comunque convivere con il fedele senza disprezzare il Creatore e senza indurlo al peccato mortale, e anzi prometta di abbracciare egli stesso la fede in un secondo momento, che ritiene necessario rimandare per motivi particolari. Per questo il credente non lascia il non credente, ma continuano a vivere insieme come coniugi, e questo per un certo tempo e anche per diversi anni, ma in seguito il non credente, avendo cambiato idea, non solo non vuole più la conversione, ma cerca di attirare il credente al culto degli idoli, oppure si separa e non accetta più di vivere con lui, e addirittura contrae un’altra unione.

2581. Domande: 1. In questo caso, il fedele che è stato abbandonato può anche separarsi e contrarre un’altra unione, e vale allora il privilegio promulgato dall’Apostolo: “Se l’infedele si separa, si separi” (1Co VII: 15)?

2582. 2. Si applica solo quando un miscredente si separa per odio verso la fede, o anche quando si separa per discordia o per altre cause che non hanno nulla a che fare con la fede?

2583. 3. Il fedele può contrarre un’altra unione anche quando il non credente si sia separato da lui per qualsiasi motivo e non sia possibile sapere se sia ancora in vita o meno?

2584. 4. Un fedele che, in virtù di una dispensa, abbia contratto un matrimonio valido con un non credente, può contrarre un’altra unione se il non credente si separa, o non vuole convivere, o lo incita al peccato mortale?

2585. 5. In generale, e per quanto tempo, un credente può convivere con un non credente dopo la conversione senza essere privato della possibilità di contrarre un’altra unione?

(Risposte🙂

Per 1. nel caso in questione, sì.

Per 2. Dato che il coniuge convertito è favorevole alla fede, può usarla per qualsiasi motivo purché sia giusto, cioè se non ha dato all’altro coniuge un motivo giusto e fondato per la separazione, ma nel senso che il vincolo matrimoniale con il non credente sarà considerato sciolto solo se il coniuge convertito (l’altro, dopo essere stato interpellato, abbia rifiutato di convertirsi) contrae un’altra unione con una persona fedele.

Per 3. deve precedere un’interpellanza con la quale si chiede al coniuge non credente se voglia convertirsi: interpellanza di cui la Sede Apostolica fa a meno per giuste cause.

Per 4. Se un fedele, dopo la dispensa, abbia contratto matrimonio con un non credente, si considera che l’abbia contratto ad una condizione esplicita: a condizione, cioè, che il non credente sia disposto a coabitare con il non credente.

Pertanto, se il non credente non rispetta questa condizione, bisogna ricorrere a mezzi legali per fargliela rispettare; altrimenti, i due devono essere separati per quanto riguarda il letto e la convivenza, ma non per quanto riguarda il vincolo; quindi, in questo caso, finché il coniuge non credente rimanga in vita, il credente non può contrarre un’altra unione.

Per 5. Al momento della conversione, una persona che si è convertita alla fede non si considera sciolta dal vincolo matrimoniale che ha contratto con un non credente ancora in vita; acquista solo così il diritto di contrarre un’altra unione, ma con un fedele credente, e questo se, dopo l’interpellanza, il coniuge non credente rifiuta di convertirsi. Per il resto, il vincolo matrimoniale si scioglie solo quando il coniuge convertito entra effettivamente in un’altra unione. Tuttavia, se prima di ricevere il Battesimo il coniuge convertito avesse avuto più mogli, e la prima rifiutasse di abbracciare la fede, può allora legittimamente mantenerne una non appena questa diventi credente; ma in questo caso i contraenti devono rinnovare il loro reciproco consenso davanti al parroco e ai testimoni.

CLEMENTE XIV: 19 maggio 1769-22 settembre 1774

Istruzione per il Sacerdote che conferisce il Sacramento della Cresima per mandato della Sede Apostolica, 4 maggio 1774.

Il semplice Sacerdote come ministro della confermazione.

2588. Sebbene secondo la definizione del Santo Concilio di Trento (VII Sessione, Cresima, Can. 3: – cf. 1630) solo il Vescovo sia il ministro ordinario di questo Sacramento, tuttavia la Sede Apostolica è solita talvolta, per giusti motivi, concedere ad un semplice Sacerdote la facoltà di conferirlo come ministro straordinario.

Il Sacerdote, quindi, a cui sia stata concessa questa facoltà, avrà cura soprattutto di disporre del crisma consacrato da un Vescovo cattolico in comunione con questa stessa Sede, e deve sapere che non gli è mai permesso di amministrare la Cresima senza di esso, né di riceverla da vescovi eretici o scismatici (cf. 215)

PIO VI: 15 febbraio 1775-29 agosto 1799.

Lettera “Exsequando nunc” ai Vescovi del Belgio, 13 luglio 1782.

Assistenza dei parroci ai matrimoni misti.

2590. Se dopo una monizione… intesa a dissuadere la parte cattolica da questo matrimonio misto, questa persiste tuttavia nel desiderio di contrarlo, e se si prevede che il matrimonio seguirà inevitabilmente, il parroco cattolico può concedere la sua presenza fisica, ma è tenuto ad osservare le seguenti precauzioni:

In primo luogo, che non assista a tale matrimonio in un luogo sacro, che non sia vestito con alcun abito che faccia pensare ad un rito sacro, che non pronunci preghiere ecclesiastiche sui contraenti e che non li benedica in alcun modo.

In secondo luogo, richiede alla parte eretica una dichiarazione scritta in cui, sotto giuramento ed alla presenza di due testimoni che devono anch’essi firmare, si impegna a permettere al partner il libero esercizio della Religione Cattolica e a educare in questa stessa Religione tutti i figli che nasceranno, senza differenza di sesso.

In terzo luogo, la parte cattolica farà anche una dichiarazione scritta, firmata da lui stesso e da due testimoni, in cui promette che non solo non apostaterà mai dalla sua Religione Cattolica, ma che educherà in essa tutti i figli che nasceranno, e che tenderà in modo efficace alla conversione dell’altra parte, alla Religione Cattolica.

Breve “Super soliditate Petræ“, 28 novembre 1786.

Errori del febronianesimo sul potere supremo del Papa.

2592. Questi (Eybel) non temeva di chiamare “fanatica” la truppa di cui prevedeva che avrebbe lanciato queste grida alla vista del Pontefice: Ecco l’uomo che ha ricevuto da Dio le chiavi del regno dei cieli, con il potere di legare e sciogliere, al quale nessun altro Vescovo possa essere paragonato, dal quale i Vescovi stessi ricevono la loro autorità, come egli stesso ha ricevuto da Dio il suo supremo potere; egli è il vicario di Gesù Cristo, il capo visibile della Chiesa, il giudice supremo dei fedeli.

2593. È dunque fanatica – una cosa orribile dire la parola stessa di Cristo che ha promesso a Pietro le chiavi del Regno dei Cieli, con il potere di legare e sciogliere (Mt XVI, 19…??). O dovremmo chiamare fanatici tanti decreti solenni, così spesso rinnovati dai Pontefici e dai Concili romani, con i quali sono stati condannati coloro che hanno negato che nel beato Pietro, principe degli Apostoli, il Pontefice Romano, suo successore, sia stato stabilito da Dio il capo visibile della Chiesa e Vicario di Gesù Cristo, che gli è stato dato il pieno potere di governare la Chiesa, e che tutti coloro che portano il nome di Cristiani gli devono vera obbedienza; e che tale sia la virtù del primato che detiene per diritto divino, che egli è al di sopra di tutti gli altri Vescovi non solo per il grado di onore, ma anche per l’estensione del suo potere supremo? Dobbiamo deplorare ancora di più la temerarietà affrettata e cieca di colui che … si è applicato a far rivivere (i seguenti errori)… e li ha insinuati con molte deviazioni”:

2594. Ogni Vescovo è chiamato da Dio al governo della Chiesa tanto quanto il Papa, e non ha ricevuto un potere minore: Cristo ha dato da sé a tutti gli Apostoli lo stesso potere; qualunque cosa alcuni credano possa essere ottenuta solo dal Pontefice e come da lui concessa, questa stessa cosa, sia che dipenda dalla consacrazione o dalla giurisdizione ecclesiastica, può essere ottenuta ugualmente da ogni Vescovo.

2595. Cristo ha voluto che la Chiesa fosse amministrata come una repubblica; è vero che il suo governo ha bisogno di un presidente per il bene dell’unità, ma un presidente che non debba permettersi di interferire negli affari degli altri che governano allo stesso tempo. La virtù del Primato consiste nella sola prerogativa di supplire alle negligenze altrui, e di poter con le sue esortazioni e il suo esempio conservare l’unità; i Pontefici non possono fare nulla in una diocesi straniera, se non in un caso straordinario.

2596. Il Pontefice è il capo che trae la sua forza e la sua fermezza dalla Chiesa.

2597. La prescrizione che, tra le immagini che devono essere scartate in modo generale ed indiscriminato, perché danno occasione di errore agli ignoranti, condanna le immagini della Trinità incomprensibile, (è), per il suo carattere generale, avventata e contraria agli usi ed alle consuetudini pie.

Lettera “Deessemus nobis” al Sescovo di Mottola, 16 settembre 1788.

La competenza della Chiesa in materia di Matrimonio.

2598. Non ignoriamo che alcuni, che attribuiscono ai principi secolari un’autorità maggiore di quella che spetti loro e che interpretano in modo capzioso i termini di questo Canone (Concilio di Trento, XXIV sessione, Matrimonio, Can. 12, – cf. 1812 ), si sono presi la briga di dire che la Chiesa sia competente in materia di matrimonio. 12, 1812 ); si sono permessi di sostenere che, poiché i Padri di Trento non hanno usato la formula “davanti ai soli giudici ecclesiastici” o “tutte le cause matrimoniali”, avrebbero lasciato ai giudici laici la facoltà di conoscere almeno le cause matrimoniali che siano puramente di fatto.

Ma sappiamo che questo ragionamento altrettanto falso e questo modo fuorviante di cavillare sono privi di qualsiasi fondamento. Infatti, i termini del Canone sono così generali che includono e comprendono tutte le cause. E lo spirito, o la ragione della legge è così evidente, che non c’è spazio per eccezioni o limitazioni. Infatti, se l’unica ragione per cui queste cause siano sotto il giudizio esclusivo della Chiesa è che il contratto di matrimonio sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della legge evangelica, poiché questa ragione sacramentale è comune a tutte le cause matrimoniali, anche queste cause devono essere sotto la giurisdizione esclusiva dei giudici ecclesiastici.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32): “PIO VI (2)”

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. LEONE XIII – “REPUTANTIBUS SÆPE”

Questa lettera Enciclica di S.S. Leone XIII è indirizzata ai Vescovi della Boemia affinché si adoperaino presso i loro fedeli a risolvere i problemi linguistici della loro Nazione così da farne un unico ovile guidato dal Pastore eterno Gesù Cristo che li ha riscattati dal peccato e dalla morte eterna. Oggi succede lo stesso, ma in senso opposto, in guisa che tutto cospira a portare le povere anime ingannate nel pozzo infernale, sospinte non solo dai classici nemici – il mondo, il demonio, le passioni, gli idoli pagani – ma soprattutto da lupi travestiti da pii e devoti servi di Dio, come i falsi profeti del Novus ordo modernista dell’antichiesa-sinagoga dell’uomo, ed i falsi tradizionalisti di fraternità farlocche, chiesette e cappelline eretiche, scismatiche o apostate dalla vera fede. Il pusillus grex deve allora affidarsi, per sfuggire alle trappole mortali che gli vengono tese da ogni parte, alla pura dottrina morale e spirituale della vera ed unica Chiesa di Cristo, ed alla protezione dell’Immacolata Vergine Maria Madre nostra e di Dio, a Colei che ha il compito, fin dal principio, di schiacciare la testa del serpente maledetto.

Leone XIII
Reputantibus saepe

Lettera Enciclica

Dissensi in Boemia per la lingua nazionale
20 agosto 1901

Riflettendo spesso nel Nostro intimo sulla condizione delle vostre Chiese, queste ci appaiono, e ora quasi dovunque, tutte piene di timore, tutte piene di affanni. Questo però fra di voi accade in modo ancora più grave, perché, pur essendo la realtà cattolica sempre esposta all’invidia e all’astuzia dei nemici esterni, a trascinarla nel pericolo ci sono anche della cause interne. Mentre infatti per l’azione aperta e nascosta degli eretici accade che l’errore invade gli animi dei fedeli, si accrescono ogni giorno fra gli stessi Cattolici i germi della discordia: non c’è assolutamente nulla più di questo in grado di annullare le forze e di infrangere la fermezza. – Il più forte motivo di divisione, particolarmente in Boemia, è da ricercarsi nella lingua che gli abitanti usano, ciascuno a seconda della sua origine. È infatti insito nella natura il volere amare e difendere la lingua ricevuta dagli avi. Abbiamo quindi deciso di astenerci dal dirimere le controversie a questo riguardo. In verità, la difesa della lingua paterna, se rimane dentro determinati confini, non è biasimevole: tuttavia, quello che vale per gli altri diritti privati, bisogna ritenere che valga anche a questo riguardo, perché dal loro perseguimento non ne deve avere danno la comune utilità dello stato. È quindi compito di coloro che amministrano lo stato fare sì che, sana e salva l’equità, siano salvaguardati i diritti dei singoli, in modo tale tuttavia che sia ben saldo e vigoroso il bene comune della società. Per quanto ci riguarda, il dovere ci ammonisce a guardarci con cura che da simili controversie non ne abbia danno la Religione, che è il bene principale delle anime, origine di tutti gli altri beni. Pertanto, venerabili fratelli, desideriamo ardentemente ed esortiamo che i fedeli, affidati a ciascuno di voi, anche se sono diversi di origine e di lingua, mantengano tuttavia quell’unione degli animi di gran lunga nobilissima che è generata dalla comunione della fede e dei medesimi Sacramenti. Quanti infatti sono stati battezzati in Cristo, hanno un solo Signore ed una sola fede: e quindi sono un solo corpo ed un solo spirito, in quanto sono stati chiamati in una sola speranza della loro vocazione. Non è quindi affatto conveniente che coloro che sono congiunti da tanti santissimi vincoli, che ricercano nei Cieli la stessa cittadinanza, siano divisi da motivi terreni, provocandosi e invidiandosi, come dice l’Apostolo, gli uni con gli altri. Deve quindi essere inculcata con grande assiduità ai fedeli, ed esaltata con ogni zelo, la consanguineità degli animi che viene da Cristo. “Maggiore è infatti la fraternità in Cristo di quella del sangue: la fraternità del sangue infatti, comporta soltanto la somiglianza del corpo; la fraternità di Cristo invece, rivela l’unanimità del cuore e dell’anima, come sta scritto: la moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un’anima sola”. – In questo campo, coloro che appartengono al clero consacrato debbono precedere gli altri con l’esempio. Oltre al fatto poi che non si addice affatto al loro ministero immischiarsi in dissensi di tal genere: se si trovano a vivere in luoghi che sono abitati da persone di diversa origine e di diversa lingua, facilmente, se non si astengono da ogni specie di contesa, si esporranno all’odio e all’offesa dell’una o dell’altra delle parti; e non c’è nulla di più nefasto per l’esercizio del sacro ministero. I fedeli debbono in verità riconoscere nei fatti che i ministri della Chiesa non si occupano di altro che degli interessi eterni delle anime, e che quindi non ricercano il proprio vantaggio, ma unicamente il vantaggio di Cristo. Poiché se per tutti universalmente la caratteristica per la quale i discepoli vengono riconosciuti è questa, che abbiano amore gli uni per gli altri; questo lo si deve affermare molto di più per le persone dello stato clericale fra di loro. Per questo motivo, non solo perché hanno attinto più largamente alla carità di Cristo debbono essere a buon diritto valutati, ma anche perché ciascuno di loro, rivolgendosi ai fedeli, deve poter dire le stesse parole dell’apostolo: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (Fil 3,17). – Concediamo però facilmente che questo nei fatti è assai arduo, se gli elementi delle discordie non vengono eliminati al momento giusto, e cioè quando coloro che crescono con la speranza dell’ordinazione clericale vengono formati nei sacri Seminari. Per questo, venerabili fratelli, curate attentamente che gli allievi dei Seminari imparino tempestivamente, nell’amore della fraternità, ad amarsi gli uni gli altri con cuore semplice, essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, per mezzo della parola di Dio vivo (cf, 1 Pt 1,22-23). – Frenate con forza le passioni erompenti degli animi e non lasciate in alcun modo che prendano vigore; così che, coloro che sono destinati al clero, se non possono avere un’unica lingua, per la differenza di origine, abbiano di certo almeno un cuor solo e un’anima sola. – Da questa concordia delle volontà che si manifesta nell’ordine clericale, seguirà, fra gli altri, quel vantaggio a cui già abbiamo accennato, e cioè che i ministri delle cose sacre potranno ammonire con più efficacia i fedeli, affinché nel difendere e nel rivendicare i diritti propri di ciascuna gente, non oltrepassino la misura, e, trascinati da troppo zelo, non trascurino la giustizia e l’utilità generale dello stato. Questo appunto, per le circostanze delle vostre regioni, riteniamo che sia ora il compito principale dei Sacerdoti, esortare cioè in modo opportuno e non opportuno i fedeli ad amarsi gli uni gli altri; e ammonire assiduamente che non è degno del nome Cristiano colui che non adempie con l’animo e nei fatti il comandamento nuovo dato da Cristo, che ci amiamo a vicenda come Lui ci ha amati. Non lo adempie infatti colui che pensa che l’amore spetti soltanto a coloro che gli sono congiunti dalla lingua o dalla stirpe. “Infatti, dice Cristo, se amate quelli che vi amano, non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, non fanno così anche i pagani?” (Mt V,46-47). La meraviglia dell’amore cristiano sta proprio in questo, di rivolgersi indistintamente a tutti: “Poiché, come ammonisce l’Apostolo, non c’è distinzione fra giudeo e greco, dato che Lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano” (Rm X,12). – “Dio poi che è amore, conceda benigno a tutti di avere i medesimi sentimenti, di essere unanimi, con lo stesso modo di sentire, senza far nulla per spirito di rivalità, ma ciascuno con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso; senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil II,2-4). Di tutte queste cose sia auspice, e insieme testimone della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione, che a voi, venerabili fratelli, e ai fedeli affidati a ciascuno di voi, elargiamo con grande amore nel Signore.

Roma, presso San Pietro, 20 agosto 1901, anno XXIV del Nostro pontificato.

DOMENICA III DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA III DOPO PENTECOSTE (2023)

DOMENICA NELL’OTTAVA DELLA FESTA DEL SACRO CUORE e III DOPO LA PENTECOSTE. (2022)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La liturgia di questo giorno esalta la misericordia di Dio verso gli uomini: come Gesù « che era venuto a chiamare non i giusti, ma i peccatori », cosi lo Spirito Santo continua l’azione di Cristo nei cuori e stabilisce il regno di Dio nelle anime dei peccatori. Questo ricorda la Chiesa nel Breviario e nel Messale. — Le lezioni del Breviario sono consacrate quest’oggi alla storia di Saul. Dopo la morte di Eli gli Israeliti si erano sottomessi a Samuele come ad un nuovo Mosè; ma quando Samuele divenne vecchio il popolo gli chiese un re. Nella tribù di Beniamino viveva un uomo chiamato Cis, che aveva un figlio di nome Saul. Nessun figlio di Israele lo eguagliava nella bellezza, ed egli sorpassava tutti con la testa. Le asine del padre si erano disperse ed egli andò a cercarle e arrivò al paese di Rama ove dimorava Samuele. Ed egli disse: « L’uomo di Dio mi dirà, ove io le potrò ritrovare ». Come fu alla presenza di Samuele, Dio disse a questi: « Ecco l’uomo che Io ho scelto perché regni sul mio popolò ». Samuele disse a Saul: « Le asine che tu hai perdute da tre giorni sono state ritrovate ». Il giorno dopo Samuele prese il suo corno con l’olio e lo versò sulla testa di Saul, l’abbracciò e gli disse: « Il Signore ti ha unto come capo della sua eredità, e tu libererai il popolo dalle mani dei nemici che gli sono d’attorno ». « Saul non fu unto che con un piccolo vaso d’olio, – dice S. Gregorio – perché in ultimo sarebbe stato disapprovato. Questo vaso conteneva poco olio e Saul ha ricevuto poco, perché  la grazia spirituale l’avrebbe rigettata » (Matt.). « In tutto – aggiunge altrove – Saul rappresenta i superbi e gli ostinati » (P. L. 79, c. 434). S. Gregorio dice che Saul mandato « a cercare le asine perdute è una figura di Gesù mandato da suo Padre per cercare le anime che si erano perdute » (P. L. 73, c. 249). « I nemici sono tutt’intorno in circuitu », continua egli; lo stesso dice il beato Pietro: « Il nostro avversario, il diavolo, gira (circuit) attorno a voi ». E come Saul fu unto re per liberare il popolo dai nemici che l’assalivano, così Cristo, l’Unto per eccellenza, viene a liberarci dai demoni che cercano di perderci. – Nella Messa di oggi il Vangelo ci mostra la pecorella smarrita e il Buon Pastore che la ricerca, la mette sulle spalle e la riporta all’ovile. Questa è una delle più antiche rappresentazioni di Nostro Signore nell’iconografia cristiana, tanto che si trova già nelle catacombe. L’Epistola ci mostra i danni ai quali sono esposti gli uomini raffigurati dalla pecorella smarrita. « Vegliate, perché il demonio come un leone ruggente cerca una preda da divorare. Resistete a lui forti nella vostra fede. Riponete in Dio tutte le vostre preoccupazioni, poiché Egli si prende cura di voi (Ep.), Egli vi metterà al sicuro dagli assalti dei vostri nemici (Grad.), poiché è il difensore di quelli che sperano in Lui (Oraz.) e non abbandona chi lo ricerca (Off.). Pensando alla sorte di Saul, che dapprima umile, s’inorgoglisce poi della sua dignità reale, disobbedisce a Dio e non vuole riconoscere i suoi torti, « umiliamoci avanti a Dio » (Ep.) e diciamogli: « O mio Dio, guarda la mia miseria e abbi pietà di me: io ho confidenza in te, fa che non sia confuso (Int.); e poiché senza di te niente è saldo, niente è santo, fa che noi usiamo dei beni temporali in modo da non perdere i beni eterni (Oraz.); concedi quindi a noi, in mezzo alle tentazioni « una stabilità incrollabile » (Ep.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps XXIV: 16; 18 Réspice in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus.

[Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]

Ps XXIV: 1-2 Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam.

[A te, o Signore, elevo l’ànima mia: Dio mio, confido in te, ch’io non resti confuso.]

Gloria Patri, …

Réspice in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus.

[Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.

Protéctor in te sperántium, Deus, sine quo nihil est válidum, nihil sanctum: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, te rectóre, te duce, sic transeámus per bona temporália, ut non amittámus ætérna.

[Protettore di quanti sperano in te, o Dio, senza cui nulla è stabile, nulla è santo: moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché, sotto il tuo governo e la tua guida, passiamo tra i beni temporali cosí da non perdere gli eterni.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet V: 6-11

“Caríssimi: Humiliámini sub poténti manu Dei, ut vos exáltet in témpore visitatiónis: omnem sollicitúdinem vestram projiciéntes in eum, quóniam ipsi cura est de vobis. Sóbrii estote et vigiláte: quia adversárius vester diábolus tamquam leo rúgiens circuit, quærens, quem dévoret: cui resístite fortes in fide: sciéntes eándem passiónem ei, quæ in mundo est, vestræ fraternitáti fíeri. Deus autem omnis grátiæ, qui vocávit nos in ætérnam suam glóriam in Christo Jesu, módicum passos ipse perfíciet, confirmábit solidabítque. Ipsi glória et impérium in sæcula sæculórum. Amen”.

(“Carissimi: Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti nel tempo della visita. Gettate ogni vostra sollecitudine su di lui, poiché egli ha cura di voi. Siate temperanti e vegliate; perché il demonio, vostro avversario, gira attorno, come leone che rugge, cercando chi divorare. Resistetegli, stando forti nella fede; considerando come le stesse vostre tribolazioni sono comuni ai vostri fratelli sparsi pel mondo. E il Dio di ogni grazia che ci ha chiamati all’eterna sua gloria, in Cristo Gesù, dopo che avete sofferto un poco, compirà l’opera Egli stesso, rendendoci forti e stabili. A lui la gloria e l’impero nei secoli dei secoli”).

LE PERSECUZIONI.

Non più l’Apostolo della carità Giovanni, oggi parla l’Apostolo dell’autorità, il Duce, San Pietro. Odor di battaglia intorno al capo e ai gregari, quell’odor di battaglia che è così frequente nella storia della Chiesa… « Tu, che da tanti secoli soffri, combatti e preghi…» Il Duce rincuora la sua truppa, la rincuora a modo suo, ma la rincuora in modo e forma che sarà utile sempre. Sotto la raffica resistono meglio talvolta gli alberi che invece di irrigidirsi superbi, piegano e flettono. Sotto la raffica del vento, sotto la tempesta della persecuzione, il Cristiano deve umiliarsi con un gesto che non è umiliazione, è prudenza, è dignità, perché deve umiliarsi non agli uomini, ma a Dio: « sub potenti manu Dei » dice il testo, di quel Dio che se non vuole, permette le tribolazioni della sua Chiesa, dei suoi figliuoli più cari; potente anche quando agli occhi superficiali Egli sembra debole; di quel Dio che vigila anche quando pare agli increduli, ai cattivi che Egli dorma. – Lo pensavano forse che Dio dormisse alcuni di quei neofiti, di quei poveri Cristiani della prima ora che entrati appena nella barca di San Pietro in cerca di tranquillità, di sicurezza, la vedevano così terribilmente sbattuta dalle onde. Dorme Dio, dicevano, ci ha abbandonati. Ai quali l’Apostolo della autorità, il Duce ricorda che Egli è sollecito, da buon Padre amoroso, dei suoi figli, «ipsì est cura de vobis». Veglia non visto. Il che però, se deve sgombrar la viltà dell’animo dei fedeli perseguitati, non vi deve accendere il fuoco fatuo della presunzione. – Visti, vigilati, aiutati da Dio, appunto perciò, i fedeli devono combattere con tutte le loro forze, come se Dio li avesse lasciati soli a se stessi. Sobrii e attenti; ecco il programma che il Duce traccia ai suoi militi nella aspra guerra spirituale in cui sono impegnati. Sobrii perché la carne non frenata con la sobrietà, vince essa lo spirito e vigili, per non essere sorpresi, per non cader vittime di una imboscata qualsiasi. Il gran nemico, da buon condottiero, qual è anche lui, colla sua genialità malefica, questo tenta e vorrebbe: sorprendere coloro che vuol abbattere. Veglino e tengano desta con maggior diligenza la fede. « Fortes in fide ». La fede è per essi, pei Cristiani, l’«ubi consistam» della loro vittoriosa resistenza. Credenti, sono forti; scettici, dubbiosi sono vinti. Che importa se alla loro fede si fa guerra? Guerra nella loro piccola comunità? Guerra al loro piccolo gruppo? No, la guerra non è così ristretta: è mondiale, dappertutto dove la fede cristiana si afferma, la lotta pagana si impegna, vincolo nuovo di tutta la grande fraternità, confraternità. – Il Duce lo rammenta con una specie di santo orgoglio, perché la Chiesa non cerca la lotta, ma neanche la teme, non la teme neanche quando essa prende estensioni inaudite: il mondo intero. Tutto questo fa pensare ad una persecuzione imperiale da parte di Roma pagana. Il Duce è forte, coraggioso, audace, senza ombra di spavalderia, perché sa di poter contare sull’appoggio indefettibile di un altro Duce. Egli, Pietro, è un Vicario, un sostituto, un facente funzione di… il Capo reale, invisibile è Gesù Cristo. Ed Egli ha il suo stile. Lascia soffiar la tempesta sui suoi per un po’ di tempo: « modicum ». Le tribolazioni della vita sono tutte brevi: le persecuzioni dei malvagi passano, anche quelle che paiono ai pazienti più lunghe, anche quelle che i carnefici, i persecutori, credono eterne: passano, sono temporanee, La Chiesa ha per sé l’eternità. La “vera” Chiesa non muore… E quando il vento impetuoso che pareva eterno è passato, inesorabilmente passato, si trova che invece di scalfire il gran monumento che è la Chiesa, l’ha spolverato, invece che fracassare i cieli, li ha purificati. Lezione magnifica, buona sempre, opportuna per chi temesse le persecuzioni, opportuno per chi desiderasse scatenarle…

[P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)]

Graduale

Ps LIV: 23; 17; 19 Jacta cogitátum tuum in Dómino: et ipse te enútriet.

[Affida ogni tua preoccupazione al Signore: ed Egli ti nutrirà.]

V. Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam ab his, qui appropínquant mihi. Allelúja, allelúja.

[Mentre invocavo il Signore, ha esaudito la mia preghiera, liberandomi da coloro che mi circondavano. Allelúia, allelúia]

Ps VII: 12 Deus judex justus, fortis et pátiens, numquid iráscitur per síngulos dies? Allelúja.

[Iddio, giudice giusto, forte e paziente, si adira forse tutti i giorni? Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

S. Luc. XV: 1-10

“In illo témpore: Erant appropinquántes ad Jesum publicáni et peccatóres, ut audírent illum. Et murmurábant pharisæi et scribæ, dicéntes: Quia hic peccatóres recipit et mandúcat cum illis. Et ait ad illos parábolam istam, dicens: Quis ex vobis homo, qui habet centum oves: et si perdíderit unam ex illis, nonne dimíttit nonagínta novem in desérto, et vadit ad illam, quæ períerat, donec invéniat eam? Et cum invénerit eam, impónit in húmeros suos gaudens: et véniens domum, cónvocat amícos et vicínos, dicens illis: Congratulámini mihi, quia invéni ovem meam, quæ períerat. Dico vobis, quod ita gáudium erit in cœlo super uno peccatóre pœniténtiam agénte, quam super nonagínta novem justis, qui non índigent pœniténtia. Aut quæ múlier habens drachmas decem, si perdíderit drachmam unam, nonne accéndit lucérnam, et evérrit domum, et quærit diligénter, donec invéniat? Et cum invénerit, cónvocat amícas et vicínas, dicens: Congratulámini mihi, quia invéni drachmam, quam perdíderam! Ita dico vobis: gáudium erit coram Angelis Dei super uno peccatóre pœniténtiam agénte”.

(“In quel tempo andavano accostandosi a Gesù de’ pubblicani e de’ peccatori per udirlo. E i Farisei e gli Scribi ne mormoravano, dicendo: Costui si addomestica coi peccatori, e mangia con essi. Ed Egli propose loro questa parabola, e disse: Chi è tra voi che avendo cento pecore, e avendone perduta una, non lasci nel deserto le altre novantanove, e non vada a cercar di quella che si è smarrita, sino a tanto che la ritrovi, e trovatala se la pone sulle spalle allegramente; e tornato a casa, chiama gli amici e i vicini, dicendo loro: Rallegratevi meco, perché ho trovato la mia pecorella, che si era smarrita. Vi dico, che nello stesso modo si farà più festa per un peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza. Ovvero qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa, e non cerchi diligentemente, fino che l’abbia trovata. E trovatala, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perché ho ritrovata la dramma perduta. Così vi dico, faranno festa gli Angeli di Dio, per un peccatore che faccia penitenza”).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956).

L’ANIMA

Davanti alle due parabole, che or ora ho letto nel Messale, mi torna su dal cuore la parola che S. Paolo gridò nell’Aeropago di Atene: « Noi siamo progenie divina; se così non fosse, perché Dio si sarebbe preso tanta cura di noi? Quando un uomo si allontana dal suo Creatore e lo oltraggia, Egli non pensa che a ricondurlo a sé: si comporta come un pastore che possiede cento pecore delle quali una si sia smarrita. Nel deserto ove di solito venivano condotte d’inverno le greggi, appena si levavano i primi fiati tiepidi della primavera, tutte le colline si coprivano di una leggera peluria verde. Ed una pecora, più avida delle altre, attratta da una miglior pastura, si era sottratta agli occhi del guardiano. Che farà allora il padrone del gregge? Confida le novantanove pecore alle cure di altri pastori necessari per un numero così grande, e va alla ricerca della scomparsa: la trova, se la stringe al collo, la riporta indietro gridando: « Amici: festa festa! ho ritrovato quella che era perduta ». Quando un uomo sfugge dalle mani amorevoli del suo Creatore per intrufolarsi nella polvere e nelle immondezze, Egli non pensa che a risollevarlo fino al suo Cuore: si comporta come una madre di famiglia che possiede dieci dramme delle quali una si sia smarrita. La buona massaia stava, forse, contandole sulle mani, quando si accorse che una mancava. Come fare a ritrovarla in quella sua camera mal rischiarata in mezzo ai molti oggetti disseminati sul pavimento? Accende la lucerna, scopa, fruga, scruta: vede un luccicore: è lei. Se la stringe tra le dita e corre fuori gridando: « Amiche: festa, festa! ho ritrovato quella che era perduta ». « Oh, se sapeste! — disse Gesù a tutta la gente che aveva ascoltato le due parabole; — 0h, se sapeste quanta gioia v’è nel cielo per ogni peccatore che si converte!… » Queste parole del Signore, o Cristiani, esigono tutta la vostra attenzione. Forse che Dio, forse che gli Angeli, forse che i Santi farebbero tanto caso per una sola anima d’uomo, se essa non avesse un prezzo infinito? Se essa non contenesse qualche cosa di divino, forse il Padre dell’universo n’andrebbe in cerca con tanta brama? Eppure al valore dell’anima chi ci pensa? – 1. VALORE DELL’ANIMA. S. Giovanni l’Evangelista, sollevato un giorno in estasi vide in cielo un segno misterioso e grande: una Signora vestita di sole, coronata di stelle, con sotto i piedi la luna. Molti hanno cercato d’interpretare il senso di questa visione: chi nella Signora riconobbe la Vergine Maria, e chi la Chiesa. Però non si può dar torto a S. Bernardino da Siena, che affermò che quella Donna significa l’anima umana. Infatti: l’anima in grazia è splendida più che se fosse vestita coi raggi del sole; è coronata di stelle, perché gli Angeli, mistiche stelle del paradiso, la circondano ammirati; ha la luna sotto i piedi perché tutte le cose create in suo confronto sono da calpestarsi. Ma pur lasciando la visione dell’Evangelista, ragioniamo per un momento sulla preziosità dell’anima. La preziosità di qualunque oggetto deriva dalla sua intrinseca fattura, dalla sua utilità, dalla sua rarità. 1) Orbene, preziosissima è l’anima per la sua intrinseca fattura. Essa venne creata da Dio. Un quadro di Raffaello, una statua di Michelangelo sono valutati con prezzi favolosi, perché sono usciti dalle mani di artisti famosi: e l’anima nostra non esce forse dalle mani dell’Artista Supremo? Notate ancora che essa venne creata da Dio, a sua somiglianza: porta quindi in sé qualche cosa della bellezza, della grandiosità, della sapienza di Dio. Come Dio è uno nell’essenza e trino nelle Persone, così l’anima è una nell’essenza ma ha tre facoltà: memoria, intelletto e volontà. Come Dio è invisibile, così essa è invisibile. Come Dio è eterno, così essa, una volta creata, più non muore. Come Dio è libero, così essa pure è libera. 2) L’anima è pure preziosissima per riguardo alla sua utilità: l’anima nostra ragionevole è ciò che ci distingue dalle bestie; ciò che ci fa capaci d’amare Dio, di servirlo liberamente, ed un giorno nel cielo, confortati dalla grazia, di goderlo per tutta l’eternità. Cicerone, quantunque pagano, intuiva il valore dell’anima quando diceva che essa era tutto l’uomo. Homo constat ex anima. Purtroppo, molti Cristiani vivono come se essa non contasse per niente. 3) La preziosità di un oggetto si deduce ancora dalla sua rarità: ebbene, di anima ce n’è una sola, E quella perduta, tutto è perduto; e quella salvata, tutto è salvato. Ma se questo ragionamento ancor non vi persuade, lasciatevi almeno convincere dal conto in cui il Figlio di Dio e il principe del male hanno tenuto le anime. Che non fa il demonio, che non tenta, che non promette pur di conquistarne una? « Hæc omnia tibi dabo — dice egli a Gesù mostrandogli dalla vetta d’un monte i regni della terra, — si cadens adoraveris me!» (Mt., IV, 9). satana è pronto a cedere un mondo intero per avere un’anima, e noi gliela abbandoniamo per così poco! Propter pugillum hordet, et fragmen panis (Ezech., XIII, 19). Per il capriccio di un’ora, per un interesse vile, per una golosità bestiale. « Che stoltezza, esclama San Bernardo, stimar così poco quell’anima che perfino il demonio ha in sì gran prezzo! ». – Che non fa Gesù, che non tenta, che non promette per salvare le anime nostre? Egli ha lasciato gli Angeli in cielo ed è corso per tutte le strade della terra in cerca dell’uomo, pecorella perduta! Egli, come la massaia, ha messo a soqquadro il mondo per sollevarci fuori dalla nostra miseria! Egli si è fatto calunniare, tradire, battere a sangue, sputare in volto, e crocifiggere per la nostra anima. « Badate — ci avvisò S. Pietro — che foste redenti non con oro o con argento disprezzabile, ma con tutto il sangue prezioso dell’Agnello ». – 2. CURA DELL’ANIMA. Racconta un poeta latino che un giovane preso dalla follia di scialacquare patrimoni interi, stemperò nell’aceto una perla preziosissima e la bevve in un sorso (Horat., Sat. II, 3, 240). Un fremito d’indignazione ci scuote solo al ricordo di tanta storditezza. Ma che diranno gli Angeli quando vedono gli uomini perdere la propria anima per una boccata di piacere acetoso? Bisogna aver cura della propria anima, come la saggia e onorevole madre ha cura del suo figlio unico: ella lo istruisce, lo fortifica, lo nutre; così noi dobbiamo istruire, fortificare, nutrire la nostra anima in ogni giorno della vita. 1) Dobbiamo istruirla. Nelle scienze profane? Senza dubbio possiamo raccogliere anche da esse qualche sprazzo di luce; ma la vera luce dell’anima è la scienza sacra, è il catechismo, è la dottrina di Gesù. « Io sono la luce del mondo che illumina ogni anima ». Da qui deriva in noi l’obbligo di frequentare la cChiesa e le prediche, di non lasciar mancare alle anime dei nostri figli l’istruzione religiosa. Ricordatevi che lo Spirito Santo ha lanciato una terribile maledizione contro quelli che rifiutano la sua scienza: « Quia tu repulisti scientiam, repellam te » (Osea, IV, 6). – 2) Dobbiamo fortificarla. I giovani per crescere vigorosi si esercitano alla corsa, al salto, alla lotta; l’anima pure deve essere esercitata a correre sulla via del bene, a saltare le occasioni pericolose, a lottare contro i nemici spirituali. È questo un lavoro non scevro di sforzi: ma nessuno può salvarsi senza fatica, anzi il progresso della nostra anima è proporzionato alla violenza che avremo fatto contro noi stessi. Tantum proficies, quantum tibi ipsi vim intuleris. – 3) Dobbiamo nutrirla. L’anima è cosa tutta celeste, e non ha cibo se non di cielo: la preghiera e la Comunione. Che cosa è di un corpo che non si nutre? Muore: così è dell’anima che non prega e non si comunica frequentemente. Or voi capite perché S. Paolo scrive ai Cristiani di Tessalonica: « Pregate senza interruzione ». Molti domandano con insistenza: « Riuscirò a salvare la mia anima? ». A costoro rispondo con un grazioso fatterello che il P. Segneri amava, sorridendo, raccontare dal pulpito. C’era sulla piazza d’Atene un famoso indovino che a tutti dava pronostici e predicava il futuro e svelava il passato. Or ecco, un giorno, gli si accostò per gabbarlo un uomo che teneva una passera chiusa nel pugno. « Sai dirmi, — gli chiese — se è viva od è morta? ». Ma l’astuto pensava tra sé così: se egli dirà morta, io lascerò ch’essa voli e lo smentirò; se egli la dirà viva, io la stringerò col pollice e la farò morire. Ma l’indovino fu più furbo del furbo tentatore, e così rispose: « Signore, la vostra passera è tal quale la volete voi: se viva, viva; se morta, morta ». Tutti gli astanti applaudirono. Cristiani, quella sagace risposta io potrei girarla a voi. La vostra anima sarà tal quale la volete voi, se salva, salva; se dannata, dannata. Anima vestra in manibus vestris. (Ps. CXVIII, 109). Sono assai certo che tutti voi la volete salva; ma allora abbiatene gelosamente cura: istruitela, fortificatela, nutritela. — LA CASTITÀ. Se la bianca agnella, se la dramma splendente sono simbolo dell’anima, io penso che senza sforzo possano anche significare la virtù più bella che adorna l’anima, la virtù che la imbianca e la fa risplendere: la castità. Senza di questa virtù che valgono all’uomo, che valgono alla donna tutti gli altri meriti, fossero anche nove come le dramme o novantanove come le pecore? Ascoltate, dunque, una parola che vi faccia apprezzare questa gemma spirituale troppo conculcata nel mondo. Così vi sentirete sospinti a custodirla con ogni fatica se la possedete; così, se una orribile disgrazia ve l’ha fatta smarrire, ancora sì come il pastore e come la donna della parabola non vi darete pace se non dopo averla ricuperata. – 1. CHE COS’È LA CASTITÀ. Un giovane era tormentato dal desiderio cocente di possedere una perla di valore. E forse già aveva inquisito nei più ricchi mercati, forse già aveva fatto scandagliare nel profondo delle acque, forse aveva frugato nelle viscere della terra: invano. Ma un giorno, dopo lunga brama, ne trovò una: così bella, così rara, così fulgente che fu estasiato. Sussultante per la letizia che gli traspariva dalle pupille, va, vende tutto quello che aveva e la compra. Abiit et vendidit omnia quæ habuit et emit ea (Mt., XIII, 46). Questa perla che supera ogni prezzo, per cui i santi fecero gettito di ogni mondana cosa e persino della vita, è dentro al nostro cuore. È la castità. « Io sento nel mio corpo una legge che si oppone alla legge della mia mente. La carne desidera contro lo spirito e lo spirito contro la carne » (Rom., VII, 23). Quello che ha provato S. Paolo, è pure il combattimento che noi tutti, giorno per giorno, esperimentiamo. Or bene, sottomettere il senso alla ragione, rendere il corpo servo dell’anima: ecco la perla della castità. Questa virtù ha due gradi: il primo eroico, non obbliga tutti, ma solo quelli a cui il Signore concede l’immensa grazia di consacrarsi a Lui unicamente in verginità perfetta. Il secondo, comune, obbliga alla castità assoluta tutti coloro che non sono legati dal vincolo matrimoniale, e alla castità coniugale quelli invece che sono sposati. Comunque, in qualsiasi grado, la castità è sempre la perla più preziosa del mondo. La castità è bellezza! Pensate com’è bella la primavera quando passa per le nostre contrade. Il cielo si fa profondo e azzurro, l’aria tiepida e profumata; tornano le rondini da le terre lontane, tornano le allodole a cantare nell’alto; i campi, pizzicati dal raggio del sole nuovo, tremano di gioia e si coprono di erbette tenere; i giardini erompono in fiori rossi, bianchi pallidi e screziati; gli uomini sorridono e si sentono più giovani e più buoni. Come una primavera magnifica è bella l’anima casta. La Santa Scrittura non ha parole sufficienti a lodarla: è bella, dice, come la neve; bella come il giglio; bella come il sole; bella come il cielo stellato. La castità è amabilità. Gesù ne era affascinato. Ha voluto per madre la Regina dei vergini; per custode un uomo vergine; per discepolo prediletto Giovanni il vergine; per amici i piccoli fanciulli ridenti di purezza. E piuttosto che nascere in Betlemme, la città dell’impudico Erode, ha preferito venire al mondo nella stalla tra le bestie; ed in giro alla sua cuna gli Angeli chiamarono i casti pastori. Non soltanto Dio, ma anche noi sentiamo il fascino della purezza: davanti ad una persona casta ci sentiamo attratti come da un mistico profumo che s’espanda dal suo cuore. La castità è forza. Non i deboli, non le anime infrollite posseggono questa virtù ma sono i forti, quelli che non piegano come le canne ad ogni soffio di passione, ma resistono indomiti, come le querce. Ma non sono solo forti contro il demonio, ma anche con Dio sono forti i casti, perché alle loro suppliche Iddio non nega mai nulla. O anime caste! usate della vostra potenza presso Dio, sollevate le vostre ferme preghiere al cielo e fate scendere sulla terra la rugiada dei favori divini. La castità è nobiltà. Il vergine profeta nell’Apocalisse vide l’aristocrazia del Cristianesimo. Essa non era composta di ricchi, di scienziati, di conti, di re, ma solo di casti. Questi cantavano un cantico che nessun altro sapeva, e stavano vicino all’Agnello più che gli Angeli; sì, poiché se la purezza dell’Angelo è più felice, questa dell’uomo è più gloriosa e lodevole. La castità è amore. Essa ingentilisce il cuore, lo rende buono, riconoscente, compassionevole, affettuoso. Gli impuri sono egoisti e crudeli che ogni diritto calpestano pur di godere: invano i genitori aspettano l’amore dei figli, se questi non crescono puri; invano gli sposi si promettono vicendevole affetto, se non è rispettata la castità coniugale. – 2. COME SI CONSERVA. Nel 1581 passava in Italia la serenissima Donna Maria d’Austria figlia di Carlo V Imperatore. Tutti i principi erano invitati ad accoglierla, e, tra questi, anche il giovane figliuolo di Don Ferrante, marchese di Castiglione, Luigi Gonzaga. Che magnifica festa in quella giornata d’autunno, e che animazione gioiosa ad ogni balcone, ad ogni finestra! Tutti volevano vederla. Ed ecco finalmente compare: tutti agitano i fazzoletti di seta e fissano lo sguardo. Il piccolo Luigi che si trovava al balcone d’un palazzo signorile, in quel momento alzò la sua mano a far festa, ma chiuse gli occhi: la figlia del grande imperatore passava ed egli non la vide. Alcuni penseranno che questi sono scrupoli ed esagerazioni: anche S. Luigi sapeva bene che non v’era nessun peccato a vedere la principessa, ma sapeva anche che la gemma preziosa della castità noi la portiamo in vasi fragili, e talvolta basta un solo sguardo per smarrirla sciaguratamente. Ad ogni svolta di via, ad ogni ora del giorno e della notte, il nemico delle anime nostre ci può capitare addosso e colpirci. Quali armi abbiamo dunque per difenderci? Cristiani, questo genere di demoni non lo si scaccia se non con la mortificazione e l’orazione. a) Mortificazione del corpo: attenti agli occhi, perché come dice la Scrittura « dalle finestre entra nell’anima la morte »; attenti alla lingua perché dice l’Apostolo che ci sono certi peccati che tra i Cristiani non si debbono neppure nominare, sicut decet sanctis. b) Mortificazione del cuore: attenti alle amicizie con persone di sesso diverso. Queste amicizie si presentano dapprima in un aspetto di genialità innocente » fors’anche virtuosa: ma poco appresso si trasmutano in morbida sensibilità, e poi in peccaminosa sensibilità. Anche il serpente ha la lingua vezzosa e le squame lucide; pure, sotto sì belle apparenze, nasconde la morte. Anche il baleno splende luminoso agli occhi nell’atto stesso che uccide la persona. c) Alla mortificazione unite la preghiera e canterete vittoria sul nemico tremendo. Pregate Maria: S. Giovanni, l’Apostolo vergine, fece di Maria la sua madre adottiva, la sua fida compagna. Accepiît in sua. Fate anche voi così: Ella stia sempre al vostro fianco e col suo manto vi difenda da ogni peccato. Pregate Gesù: il Salvatore che è morto per la salute delle anime non sarà sordo ai nostri gridi di soccorso. Fate ancor questo: unitevi frequentemente alla sua carne eucaristica, all’Ostia santa, al Cielo divino: troverete un pane di castità e un vino di candore. – Cadeva la notte. Nella sua celletta piena d’ombra, Santa Caterina da Siena ripensava alla festa che finiva. Rivide gli stendardi vagamente agitati dai giovani, rivide la folla addensata nel Campo sotto il sole di Luglio, e i palchi gremiti di dame sfarzose. In quel momento entrò il demonio a tentarla: « Anche tu, Caterina, potrai essere tra loro. Perché ti sei tagliata i capelli biondi, perché porti cilicio sul corpo delicato, perché vuoi farti monaca? Vedi quest’abito? Non è forse più bello del rude saio claustrale? ». Nell’incerto lume della sera, la santa credé vedere davanti un giovane svelto che le presentava una ricca veste, fatta coi petali molli delle rose. Mentre Caterina rimaneva dubbiosa, le apparve la santa Vergine Maria. Come già il tentatore anch’ella aveva sul braccio una veste splendida, ricamata d’oro e di perle, raggiante di pietre preziose. « Devi sapere, o figliuola, — disse la Madre di Gesù con la sua voce dolce che fa piangere di consolazione quanti la odono, – devi sapere che le vesti cavate fuori e intessute dentro il costato del mio Figlio, per te ucciso, superano in valore qualunque preziosità di vesti lavorate da altre mani che dalle mie ». Allora Caterina, tutta ardente di desiderio e tremante di umiltà, chinò la testa e la Vergine la rivestì della tunica celeste. Cristiani, ad ogni anima che viene nel mondo si fa davanti il demonio con la sua veste intessuta con le rose dei piaceri carnali e vergognosi, e la Vergine Maria, con la sua veste di purità cavata dal Crocifisso e intessuta dalle sue mani. Guardatevi bene dall’accettare quella del demonio! Le rose cadrebbero e vi sentireste in breve sepolti nelle spire ardenti dell’inferno. Scegliete quella della Madonna, perché essa sola è di uno splendore immortale: con essa soltanto potrete entrare in paradiso. È la veste nuziale.

IL CREDO

 Offertorium

Orémus: Ps IX: 11-12 IX: 13 Sperent in te omnes, qui novérunt nomen tuum, Dómine: quóniam non derelínquis quæréntes te: psállite Dómino, qui hábitat in Sion: quóniam non est oblítus oratiónem páuperum.

[Sperino in te tutti coloro che hanno conosciuto il tuo nome, o Signore: poiché non abbandoni chi ti cerca: cantate lodi al Signore, che àbita in Sion: poiché non ha trascurata la preghiera dei poveri.]

 Secreta

Réspice, Dómine, múnera supplicántis Ecclésiæ: et salúti credéntium perpétua sanctificatióne suménda concéde.

[Guarda, o Signore, ai doni della Chiesa che ti supplica, e con la tua grazia incessante, fa che siano ricevuti per la salvezza dei fedeli.]

Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Spiritu Sancto
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: per Christum, Dóminum nostrum. Qui, ascéndens super omnes cælos sedénsque ad déxteram tuam, promíssum Spíritum Sanctum hodierna die in fílios adoptiónis effúdit. Qua própter profúsis gáudiis totus in orbe terrárum mundus exsúltat. Sed et supérnæ Virtútes atque angélicæ Potestátes hymnum glóriæ tuæ cóncinunt, sine fine dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: per Cristo nostro Signore. Che, salito sopra tutti i cieli e assiso alla tua destra hodierna die effonde sui figli di adozione lo Spirito Santo promesso. Per la qual cosa, aperto il varco della gioia, tutto il mondo esulta. Cosí come le superne Virtú e le angeliche Potestà cantano l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

Luc XV: 10. Dico vobis: gáudium est Angelis Dei super uno peccatóre poeniténtiam agénte.

[Vi dico: che grande gaudio vi è tra gli Angeli per un peccatore che fa penitenza.]

 Postcommunio

Orémus.

Sancta tua nos, Dómine, sumpta vivíficent: et misericórdiæ sempitérnæ praeparent expiátos. [I tuoi santi misteri che abbiamo ricevuto, o Signore, ci vivifichino, e, purgandoci dai nostri falli, ci preparino all’eterna misericordia.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA