TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (32)
HENRICUS DENZINGER
ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT
ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.
ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM
De rebus fidei et morum
HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI
Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar
(PIO VI – 2)
Costituzione “Auctorem fidei” a tutti i fedeli, 28 agosto 1794.
Errori del Sinodo di Pistoia.
Premessa.
2600. … Dopo che il Sinodo di Pistoia è uscito dalle tane in cui era rimasto nascosto per qualche tempo, non c’è stato nessuno tra coloro che hanno sentimenti pii e saggi riguardo alla religione più eminente, che non percepisse subito che il disegno degli autori era quello di riunire in un unico corpus i semi delle false dottrine che avevano precedentemente diffuso per mezzo di molti libellisti, di far rivivere errori da tempo proscritti e di negare ogni credibilità e autorità ai decreti apostolici con cui erano stati proscritti.
(Ansiosi di soffocare il male emergente) … Abbiamo prima sottoposto gli Atti del Sinodo pubblicati dal Vescovo (Scipione de Ricci) all’esame di quattro Vescovi assistiti da altri teologi del clero secolare; poi abbiamo addirittura incaricato una commissione composta da diversi reverendissimi Cardinali e altri Vescovi di esaminare attentamente gli Atti nella loro interezza, raccogliendo i passaggi che si contraddicono, e di discutere le proposte selezionate. Abbiamo ricevuto le posizioni espresse oralmente o per iscritto in nostra presenza; tutti erano del parere che fosse necessario sia respingere il sinodo nella sua interezza, sia qualificare come censure più o meno severe la maggior parte delle proposte che vi erano state raccolte, alcune in sé, altre tenendo conto delle relazioni tra le proposte; dopo aver ascoltato le osservazioni e averle esaminate con attenzione, ci siamo anche preoccupati che alcuni argomenti principali tratti dal sinodo nel suo complesso, e ai quali sono principalmente collegate, in modo diretto o indiretto, le posizioni da rimproverare diffuse dal sinodo, siano messi in un certo ordine, e che ciascuno sia colpito dalla censura che gli è propria.
(Per scongiurare ogni artificioso tentativo di discolpa, sostenendo) … che ciò che è stato detto con troppa severità in un luogo possa essere spiegato o corretto meglio altrove, … si è seguita la strada migliore, che consiste nell’esporre quelle proposizioni che nascondono sotto il manto dell’ambiguità differenze di significato pericolose o sospette, in modo da portare alla luce la falsa concezione alla cui base si trova un errore riprovato dalla concezione cattolica …
Sull’oscuramento delle verità nella Chiesa.
2601. 1. La proposizione che afferma: “Negli ultimi secoli si è diffuso un generale oscuramento su verità di grande importanza che riguardano la religione e che sono alla base della fede e della dottrina morale di Gesù Cristo” (è) eretica.
Del potere attribuito alla comunità della Chiesa di essere comunicata con i suoi Pastori.
2602. 2. La proposizione che afferma: “Il potere è stato dato da Dio alla Chiesa per essere comunicato ai pastori che sono i suoi ministri per la salvezza delle anime”, se si intende in questo senso che il potere del ministero e del governo ecclesiastico derivi dalla comunità dei fedeli ai pastori, (è) eretica.
Dalla denominazione di “capo ministeriale” attribuita al Pontefice Romano.
2603. 3. D’altra parte (la proposizione) che dichiara: “Il Romano Pontefice è il capo ministeriale”, se viene spiegata nel senso che non è da Cristo, nella persona del beato Pietro, ma dalla Chiesa che il Romano Pontefice riceva il potere del suo ministero con il quale, come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo della Chiesa, ha potere su tutta la Chiesa, (è) eretica.
Dal potere della Chiesa di stabilire e sancire una disciplina esterna.
2604. 4. La proposizione che afferma: “È un abuso dell’autorità della Chiesa trasferirla oltre i limiti della dottrina e della morale a cose esterne, ed esigere con la forza ciò che dipende dalla persuasione e dal cuore”, e anche: “È molto meno appropriato esigere con la forza una sottomissione esterna ai suoi decreti”, se con questi termini indefiniti “estendere alle cose esterne” considera un abuso dell’autorità della Chiesa l’uso del potere che ha ricevuto da Dio e che gli stessi Apostoli hanno usato per stabilire e sancire una disciplina esterna, (è) eretica.
2605. 5. Nella parte in cui (il Sinodo) insinua che la Chiesa non abbiia l’autorità di esigere la sottomissione ai suoi decreti con mezzi diversi da quelli della persuasione, nella misura in cui intende dire che la Chiesa “non abbia ricevuto da Dio, oltre al potere di dirigere con il consiglio e l’esortazione, anche quello di comandare con le leggi e di giudicare e costringere con giudizi esterni e pene salutari coloro che deviano e persistono”, si inoltra in un sistema già condannato come eretico.
I diritti indebitamente attribuiti ai Vescovi.
2606. 6. La dottrina del sinodo che afferma: “Siamo convinti che il Vescovo abbia ricevuto da Cristo tutti i diritti necessari per il buon governo della diocesi”, come se per il buon governo di una diocesi non fossero necessarie norme più elevate sia in materia di fede e di morale che di disciplina generale, e che i sovrani Pontefici ed i Concili generali abbiano il diritto di emanare per tutta la Chiesa, (è) scismatica, quanto meno errata.
2607. 7. Allo stesso modo, quando esorta il Vescovo a “ricercare con zelo uno stato più perfetto della disciplina ecclesiastica”, e questo “contro tutte le consuetudini contrarie, le esenzioni, le riserve che contrastano con il buon ordine della diocesi, per la maggior gloria di Dio e la maggior edificazione dei fedeli”, perché suppone che sia permesso al Vescovo di governare e decretare secondo il proprio giudizio e secondo la propria volontà, contro le consuetudini, le esenzioni e le riserve che esistono, sia nella Chiesa nel suo insieme sia in una provincia, senza l’approvazione e senza l’intervento del potere gerarchico superiore da cui provengono o da cui sono state approvate e a cui hanno dato forza di legge, (questa dottrina) porta allo scisma e al sovvertimento del governo gerarchico, ed è erronea.
2608. 8. Allo stesso modo, poiché afferma di essere convinta che “i diritti che il Vescovo ha ricevuto da Gesù Cristo per governare la Chiesa non possano essere né alterati né impediti, e (che) se dovesse accadere che l’esercizio di questi diritti sia stato interrotto per qualsiasi motivo, il Vescovo può sempre e deve recuperare i suoi diritti originari ogni volta che il bene della Chiesa lo richieda”, nella misura in cui suggerisce che l’esercizio dei diritti episcopali non possa essere limitato da alcun potere superiore ogni qualvolta il Vescovo, a suo giudizio, lo ritenga meno adatto al bene superiore della Chiesa, (esso) conduce allo scisma e alla sovversione del governo gerarchico ed è erronea”.
Il diritto falsamente attribuito ai Sacerdoti dell’ordine inferiore per i decreti della fede e della disciplina.
2609. 9. La dottrina che dichiara: “La riforma degli abusi riguardanti la disciplina ecclesiastica debba dipendere in egual misura, nei sinodi diocesani, dal Vescovo e dai parroci, ed essere decisa da loro in egual misura, e senza che la sottomissione decisionale non sia dovuta ai suggerimenti ed agli ordini dei Vescovi”, (è) falsa, temeraria, lede l’autorità episcopale, sovverte il governo gerarchico, promuove l’eresia ariana che fu rinnovata da Calvino.
2610. 10. Allo stesso modo la dottrina in cui si dice che i parroci e gli altri Sacerdoti riuniti in sinodo sono giudici della fede insieme al Vescovo, e in cui allo stesso tempo si insinua che il giudizio in materia di fede appartenga a loro come un diritto proprio, ricevuto ugualmente con l’ordinazione, (è) falsa, temeraria, sovverte l’ordine gerarchico, mette in discussione la fermezza delle definizioni e dei giudizi dogmatici della Chiesa, quantomeno erronea.
2611. 11. La proposizione che afferma che secondo una disposizione degli antichi, risalente al tempo degli Apostoli e conservata fino ai secoli più belli della Chiesa, si riceveva “che i decreti, o le definizioni, o le decisioni anche delle sedi più grandi, non erano accettate se non erano riconosciute e approvate dal sinodo diocesano” (è) falsa, avventata, deroghi nella sua generalità all’obbedienza dovuta alle costituzioni apostoliche, ma anche alle decisioni emanate dal legittimo potere gerarchico, favorendo lo scisma e l’eresia.
Calunnie contro alcune decisioni in materia di fede emanate da alcuni secoli.
2612. 12. Le affermazioni del Sinodo che si riferiscono in toto a decisioni in materia di fede prese alcuni secoli fa, e che presenta come decreti provenienti da una singola Chiesa particolare o da alcuni pastori, senza essere supportati da sufficiente autorità, come idonei a corrompere la purezza della fede e a suscitare problemi, e come imposti con la forza, e in virtù dei quali si continuano ad infliggere nuove ferite, (sono) false, capziose, avventate, scandalose, dannose per i Romani Pontefici e per la Chiesa, deroghino all’obbedienza dovuta alle Costituzioni Apostoliche, (siano) scismatiche, perniciose e quanto meno erronee.
Della pace detta di Clemente IX.
2613. 13. La proposizione riportata negli Atti del Sinodo, che insinua che Clemente IX abbia ristabilito la pace nella Chiesa approvando la distinzione tra diritto e fatto nella sottoscrizione della forma prescritta da Alessandro VII, (è) falsa, avventata e ingiuriosa per Clemente IX.
2614. 14. Ma nella misura in cui approva questa distinzione, lodando coloro che vi aderiscono e vituperando i suoi oppositori, (è) avventata, perniciosa, dannosa per i sovrani Pontefici, e promuove lo scisma e l’eresia.
Sulla formazione del corpo della Chiesa.
2615. 15. La dottrina che propone di considerare la Chiesa “come un unico Corpo mistico, formato da Cristo che ne è il capo e dai fedeli che ne sono le membra, grazie a quell’ineffabile unione che ci fa diventare in modo mirabile un solo Sacerdote con Lui, una sola vittima, un solo perfetto adoratore di Dio Padre in spirito e verità”, se si intende in questo senso che solo coloro che sono perfetti adoratori in spirito e verità appartengano al corpo della Chiesa, (è) eretica.
Sullo stato di innocenza.
2616. 16. La dottrina del Sinodo sullo stato di felice innocenza, così come è presentato in Adamo prima del peccato, come comprendente non solo l’integrità ma anche la rettitudine interiore con l’impulso verso Dio attraverso l’amore della carità e la santità originaria che è stata in qualche modo ripristinata dopo la caduta, in quanto, nel suo insieme, suggerisce che questo stato sia una conseguenza della creazione, un debito derivante dall’esigenza e dalla condizione naturale della natura umana, e non un beneficio gratuito di Dio, (è) falsa, già condannata in Baio (cf.1901-1980) ed in Quesnel (cf. 2434-2437), erronea e favorisce l’eresia di Pelagio.
Sull’immortalità considerata come condizione naturale dell’uomo.
2617. 17. La proposizione enunciata nei seguenti termini: “Insegnato dall’Apostolo, consideriamo la morte non già come condizione naturale dell’uomo, ma come in realtà la giusta pena del peccato originale”, in quanto implica falsamente, sotto il nome dell’Apostolo, che la morte, inflitta nello stato presente come giusta pena del peccato con la giusta sottrazione dell’immortalità, non fosse la condizione naturale dell’uomo, come se l’immortalità non fosse un beneficio gratuito ma la condizione naturale, (è) capziosa, avventata, offensiva nei confronti dell’Apostolo e già condannata (cf. 1978).
2618 18. La dottrina del Sinodo che dichiara: “Dopo la caduta di Adamo, Dio annunciò la promessa di un futuro liberatore e volle consolare il genere umano con la speranza della salvezza che Gesù Cristo avrebbe portato”, e d’altra parte: “Dio ha voluto che il genere umano passasse attraverso vari stati prima che arrivasse la pienezza dei tempi”; e in primo luogo perché nello stato di natura “l’uomo lasciato ai propri lumi impari a diffidare della ragione cieca e abbandoni le sue aberrazioni per desiderare l’aiuto di una luce superiore”, questa dottrina, così com’è, (è) capziosa; e se viene intesa come desiderio di aiuto di una luce superiore in vista della salvezza promessa da Cristo, e verso la quale – si suppone – l’uomo avrebbe potuto muoversi con ciò che restava delle proprie luci, (è) sospetta, favorendo l’eresia semipelagiana.
Sulla condizione dell’uomo sotto la legge.
2619. 19. Allo stesso modo (la dottrina) che segue, affermando che l’uomo sotto la legge, “essendo impotente ad osservarla, divenne trasgressore, non certo per colpa della legge, che era molto santa, ma per colpa dell’uomo che sotto la legge senza la grazia divenne sempre più trasgressore” e che aggiunge che “la legge, se non guarì il cuore dell’uomo, fece (tuttavia) sì che egli conoscesse i suoi mali e che, convinto dei suoi mali, desidera la grazia di un mediatore”, in quanto implica in modo generale che l’uomo è diventato trasgressore per la mancata osservanza della legge che non era in grado di osservare, come se “colui che è giusto potesse comandare qualcosa di impossibile, o che colui che è buono condannasse l’uomo per qualcosa che non poteva evitare”: (è) falsa, scandalosa, empia, condannata in Baio (cf. 1954).
2620.. 20. Nella misura in cui si dà ad intendere che l’uomo sotto la legge potrebbe senza la grazia concepire il desiderio della grazia del mediatore ordinata alla salvezza promessa da Cristo, come se “non fosse la grazia stessa a farcela chiedere” (II Concilio di Orange, Can. 3, – cf. 373) la proposizione, così com’è, (è) capziosa, sospetta, favorisce l’eresia semipelagiana.
Sulla grazia illuminante ed eccitante.
2621. 21. La proposizione che afferma: “La luce della grazia, quando è sola, fa conoscere solo la disgrazia della nostra condizione e la gravità del nostro male; in tal caso la grazia produce lo stesso effetto che produceva la legge; per questo è necessario che Dio crei nel nostro cuore un santo amore e ispiri una santa dilezione contraria all’amore che domina in noi; questo santo amore e questa santa dilezione sono propriamente la grazia di Gesù Cristo, l’ispirazione della carità con la quale facciamo di un santo amore ciò che abbiamo riconosciuto. Questa è la radice da cui germogliano le opere buone; questa è la grazia del Nuovo Testamento che ci libera dalla schiavitù del peccato, costituendoci figli di Dio”, nella misura in cui intende dire che è propriamente grazia di Gesù Cristo solo quella grazia che crei nel cuore il santo amore e ci faccia agire, o ancora: con la quale l’uomo liberato dal peccato è costituito figlio di Dio, e che non è propriamente grazia di Cristo anche quella grazia con la quale il cuore dell’uomo sia toccato dall’illuminazione dello Spirito Santo (Trento,VI sessione, cap. 5 1525), e che non c’è una grazia che non sia quella di Cristo. (5 1525), e che non esista una vera grazia interiore di Cristo a cui si resista, (è) falsa, capziosa, porta all’errore condannata come eretica nella seconda proposizione di Giansenio e lo rinnova (cf. 2002).
Sulla fede come prima grazia.
2622. 22. La proposizione che insinua che la fede “con la quale inizia la serie delle grazie e con la quale, come con una prima voce, siamo chiamati alla salvezza e alla Chiesa” è essa stessa la virtù più eccellente della fede con la quale gli uomini sono chiamati fedeli e sono, come se non ci fosse prima questa grazia che, “come precede la volontà, precede anche la fede”, (è) sospetta di eresia, sa di eresia, già condannata in Quesnel (cf. 2427),
l doppio amore.
2623. 23. La dottrina del Sinodo sul doppio amore della cupidigia dominante e della carità dominante, che afferma che l’uomo, senza la grazia,sia sotto l’impero del peccato e che in questo stato, a causa dell’influsso generale della cupidigia dominante, infetti e corrompa tutte le sue azioni, in quanto insinua che finché è soggetto alla servitù, o in stato di peccato, privato di questa grazia con la quale è liberato dalla servitù del peccato e costituito figlio di Dio, l’uomo sia talmente dominato dalla cupidigia che per l’influsso generale di essa tutte le sue azioni siano infette e corrotte in sé, o che tutte le opere compiute prima della giustificazione, qualunque sia il loro principio, siano peccati, come se in tutte le sue azioni il peccatore fosse soggetto alla cupidigia dominante, (è) falsa, perniciosa, che conduce nell’errore, condannata come eretica dal Concilio di Trento, e condannata nuovamente in Baio, (art. 40 1557,1940).
2624. 24. Ma poiché così, tra la cupidigia dominante e la carità dominante, non si pongono gli affetti medi, impiantati dalla natura stessa e lodevoli nella loro stessa natura, che, con l’amore della beatitudine e la tendenza naturale al bene, “sono rimasti per così dire gli ultimi contorni e resti dell’immagine di Dio”, come se “tra l’amore divino che ci conduce al Regno e l’amore umano illecito che è condannato” non ci fosse un “amore umano lecito che non sia condannato”, (questa dottrina è) falsa, già condannata (cf. 1938, 2307).
Del timore servile.
2625. 25. La dottrina che afferma che il timore delle pene in modo generale “poossa dirsi non un male solo se almeno contribuisca a frenare la mano, come se lo stesso timore dell’inferno, che la fede insegna debba essere inflitto per il peccato, non fosse di per sé buono e utile, in quanto dono soprannaturale e movimento ispirato da Dio che prepara all’amore della giustizia”, (è) falsa, avventata, pernicioa, lesiva dei doni divini, già condannata (cf. 1456), contraria alla dottrina del Concilio di Trento (cf. 1526, 1678), nonché all’opinione comune dei Padri secondo cui “è necessario”, secondo l’ordine abituale di preparazione alla giustizia, “che entri prima il timore, attraverso il quale viene la carità: il timore è la medicina, la carità è la salute”.
Sulla punizione di coloro che muoiono con il solo peccato originale.
2626. 26. La dottrina che respinge come una favola pelagiana questo luogo degli inferi (che i fedeli chiamano comunemente il limbo dei bambini) in cui le anime di coloro che sono morti con il solo peccato originale sono punite con la pena della dannazione, senza la pena del fuoco, come se coloro che rifiutano la pena del fuoco introducessero con ciò questo luogo e questo stato intermedio, senza colpa e senza pena, tra il Regno di Dio e la dannazione eterna, di cui i pelagiani hanno fabbricato, (è) falsa, temeraria, offensiva per le scuole cattoliche.
Della forma sacramentale accompagnata da una condizione.
2627. 27. La decisione del sinodo che, con il pretesto di conformarsi agli antichi canoni, manifesta l’intenzione, nel caso di un Battesimo dubbio, di omettere ogni menzione della forma condizionata, (è) avventata, contraria alla prassi, alla legge e all’autorità della Chiesa.
Partecipazione al Sacrificio della Messa.
2628. 28. La proposta del Sinodo che, dopo aver stabilito che “la partecipazione alla vittima è parte essenziale del sacrificio”, aggiunge che “tuttavia non condanna come illecite quelle Messe in cui gli assistenti non ricevano la Comunione sacramentale perché partecipano, anche se in modo meno perfetto, alla vittima stessa ricevendola spiritualmente”, nella misura in cui insinua che manchi qualcosa all’essenza del sacrificio in questo sacrificio che viene presentato senza che nessuno vi partecipi o senza che coloro che vi partecipano partecipino sacramentalmente o spiritualmente alla vittima, e come se si dovessero condannare come illecite le Messe in cui comunica solo il Sacerdote e in cui non partecipa nessuno che si comunichi sacramentalmente o spiritualmente, (è) falsa, erronea, sospetta di eresia e sa di eresia.
Sull’efficacia del rito di consacrazione.
2629. 29. La dottrina del Sinodo, che si impegna a presentare la dottrina della fede relativa al rito della consacrazione, trascurando le questioni scolastiche sul modo in cui Cristo è nell’Eucaristia – questioni dalle quali i parroci, che hanno l’ufficio di insegnare, sono esortati ad astenersi -, si limita a queste due sole proposizioni 1) dopo la consacrazione Cristo è veramente, realmente e sostanzialmente sotto le specie; 2) allora cessa tutta la sostanza del pane e del vino e rimangono solo le specie, e omette del tutto di menzionare la transustanziazione o conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio di Trento ha definito come articolo di fede (cf. 1642, 1652), e che è contenuta nella professione solenne di fede (cf. 1866), in quanto con questa omissione sconsiderata e molto sospetta si sottrae la conoscenza di un articolo che appartiene alla fede, nonché di un termine consacrato dalla Chiesa per proteggere la sua confessione di fede dalle eresie, e si tende così a dimenticarlo come se fosse una questione puramente scolastica, (essa) è perniciosa, deroga all’esposizione della verità cattolica sul dogma della Transustanziazione e favorisce gli eretici.
Sull’applicazione del frutto del sacrificio.
2630. 30. La dottrina del Sinodo con cui professa “di credere che l’oblazione del Sacrificio si estenda a tutti, in modo tale però che nella liturgia si possa fare una speciale commemorazione di alcuni fedeli, vivi o defunti, pregando Dio in modo particolare per loro”, ma subito dopo aggiunge “ma non perché crediamo che sia in potere del Sacerdote applicare il frutto del sacrificio a chi vuole; al contrario, condanniamo questo errore come gravemente offensivo dei diritti di Dio, che solo può distribuire i frutti del Sacrificio a chi vuole e secondo la misura che gli piace, e di conseguenza dichiariamo che è una “falsa opinione, destinata al popolo, che coloro che fanno l’elemosina al Sacerdote a condizione che celebri una Messa ne ricevano un frutto speciale”, se si intende nel senso che, oltre alla particolare commemorazione e preghiera, un’offerta o un’applicazione speciale del Sacrificio fatta dal Sacerdote non è più utile, a parità di altre condizioni, a coloro per i quali egli offre il Sacrificio che a tutti gli altri, come se nessun frutto speciale venisse dall’applicazione speciale che la Chiesa raccomanda e prescrive di fare per particolari persone o ordini di persone, specialmente da parte dei pastori per le loro pecore – il che deriva, per così dire, da un precetto divino ed è stato espressamente dichiarato dal santo Concilio di Trento (XXIII Sessione, De la reforme, cap. 1), (è) falsa, avventata, perniciosa, dannosa per la Chiesa, e conduce all’errore già condannato da Wyclif (cf. 1169).
Sull’ordine da osservare nel culto.
2631. 31. La proposta del Sinodo secondo cui, per l’ordinamento degli Uffici divini, e secondo l’antica consuetudine, è opportuno che in ogni chiesa vi sia un solo altare, e che sia gradito al Sinodo che questa consuetudine venga ristabilita, (è) avventata, lesiva di un’antichissima e pia consuetudine, in vigore e approvata da molti secoli nella Chiesa, soprattutto in quella latina.
2632. 32. Allo stesso modo, la prescrizione che vieta di porre sugli altari recipienti contenenti reliquie sacre e fiori (è) avventata, lesiva del pio e sperimentato uso della Chiesa.
2633. 33. La proposta del Sinodo di rimuovere le cause che hanno in parte portato a trascurare i principi dell’ordine della liturgia, “richiamandola ad una maggiore semplicità di riti, celebrandola in lingua volgare e dicendola ad alta voce”, come se l’ordine della liturgia ricevuto e approvato dalla Chiesa derivasse in parte da una dimenticanza dei principi da cui deve essere governato, (è) avventata, offensiva per le orecchie pie, oltraggiosa per la Chiesa, e favorisce i rimproveri degli eretici nei suoi confronti.
Sull’ordinanza della penitenza.
2634. 34. La dichiarazione del sinodo in cui, dopo aver detto che l’ordinanza della penitenza canonica è stata stabilita dalla Chiesa antica sull’esempio degli Apostoli in modo tale da essere comune a tutti, e non solo per la colpa, ma soprattutto per disporre alla grazia, aggiunge che “riconosce in questa venerabile e mirabile ordinanza tutta la dignità del Sacramento così necessario, liberata da tutte le sottigliezze che vi sono state aggiunte nel corso del tempo”, come se con l’ordinanza secondo la quale questo Sacramento venga abitualmente amministrato in tutta la Chiesa, senza il completamento del tempo della penitenza canonica, la sua dignità fosse stata diminuita, (è) avventata, scandalosa, che porta al disprezzo della dignità del Sacramento come è abitualmente amministrato in tutta la Chiesa, e dannoso per la Chiesa stessa.
2635. 35. La proposta si riassume nei seguenti termini “Se la carità è troppo debole all’inizio, per ottenere un aumento di questa carità è necessario che il Sacerdote faccia precedere abitualmente quegli atti di umiliazione e di penitenza che sono sempre stati raccomandati dalla Chiesa; ridurre questi atti a qualche preghiera o a qualche digiuno dopo l’assoluzione ricevuta sembra essere più un desiderio materiale di mantenere questo Sacramento sotto il semplice nome di “penitenza” che un mezzo illuminato capace di aumentare il fervore della carità che deve precedere l’assoluzione. – Siamo certamente lontani dal disapprovare la pratica di imporre penitenze da eseguire dopo l’assoluzione; se tutte le nostre opere buone hanno sempre i loro difetti, dobbiamo temere a maggior ragione di aver lasciato trapelare molte imperfezioni nell’opera così difficile e così importante della nostra riconciliazione, nella misura in cui ciò fa pensare che le penitenze imposte da compiere dopo l’assoluzione siano da considerare più come un supplemento per le colpe commesse nell’opera della nostra riconciliazione che come penitenze veramente sacramentali e soddisfacenti per i peccati confessati, come se, per conservare la vera realtà del Sacramento e non solo il suo nome, fosse ordinariamente necessario che gli atti di umiliazione e di penitenza imposti come modalità di soddisfazione sacramentale precedano l’assoluzione, (è) falsa, avventata, offensiva della prassi della Chiesa, che porta all’errore definito eresia da Pierre d’Osma (cf. 1415 ; cfr. 2316).
Sulla disposizione preliminare necessaria per ammettere i penitenti alla riconciliazione.
2636. 36. La dottrina del sinodo che, dopo aver detto: “Quando ci sono segni inequivocabili della predominanza dell’amore di Dio nel cuore di un uomo, egli può essere giustamente giudicato degno di essere ammesso alla partecipazione al sangue di Gesù Cristo che si attua nei Sacramenti”, aggiunge: “le conversioni presunte che si realizzano per logoramento non sono di solito né efficaci né durature”, di conseguenza “il pastore d’anime deve insistere su segni inequivocabili della predominanza della carità prima di ammettere i suoi penitenti ai Sacramenti” – segni di cui si dice poi (par. 17) che “il pastore può dedurli da una stabile lontananza dal peccato e dal fervore nelle opere buone”, mentre d’altra parte questo “fervore di carità” viene presentato (Decreto sulla penitenza Par. 10) come la disposizione che deve precedere l’assoluzione”, se si intenda in questo senso che non è richiesta solo la contrizione imperfetta che talvolta viene chiamata “attrizione”, anche se unita all’amore con cui l’uomo comincia ad amare Dio come fonte di ogni giustizia (cfr. 1526), né solo la contrizione formata dalla carità, ma che sia richiesto anche il fervore della carità dominante in modo generale e assoluto, provato da una lunga esperienza attraverso il fervore per le opere buone, perché un uomo sia ammesso ai Sacramenti e perché i penitenti in particolare siano ammessi al beneficio dell’assoluzione, (è) falsa, avventata, di natura tale da turbare la pace delle anime, contraria alla prassi sicura e provata della Chiesa, pregiudizievole per l’efficacia dei Sacramenti e ingiuriosa.
Potere di assolvere.
2637. 37. La dottrina del Sinodo che dice del potere di assolvere ricevuto con l’ordinazione: “dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie è opportuno che ciascuno eserciti questa giurisdizione sulle persone a lui soggette o per territorio o per diritto personale, perché altrimenti ne deriverebbero disordine e confusione”, nella misura in cui dopo l’istituzione delle diocesi e delle parrocchie dice solo “è opportuno, per evitare la confusione, che il potere di assoluzione sia esercitato sui sudditi”, se ciò sia inteso nel senso che per l’uso valido di questo potere non c’è bisogno di questa giurisdizione ordinaria o delegata senza la quale, secondo la dichiarazione del Concilio di Trento (cf. 1886 s), l’assoluzione data da un Sacerdote non abbia valore, (è) falsa, avventata, perniciosa, contraria al Concilio di Trento e dannosa, erronea.
2638. 38. Allo stesso modo la dottrina in cui il Sinodo, dopo aver professato che “non può non ammirare quella disciplina così venerabile dell’antichità che (dice) non ammettesse così facilmente, e forse mai, qualcuno che, dopo il primo peccato e la prima riconciliazione, fosse ricaduto in una colpa”, aggiunge “con il timore dell’esclusione perpetua dalla comunione e dalla pace, anche in punto di morte, si impone un potente freno a coloro che considerano troppo poco il male del peccato e non lo temono molto”, (è) contraria al can. 13 del primo Concilio di Nicea (cf. 129), alla decretale di Innocenzo I a Esuperio di Tolosa (cf. 212), nonché alla decretale di Celestino I ai Vescovi di Vienne e Narbonne (cf. 236), e sa di perversità di fronte alla quale il santo Pontefice ha orrore in questa decretale.
2639. 39. La dichiarazione del Sinodo sulla confessione dei peccati veniali, che si vuole non sia così frequente per evitare che tali confessioni diventino troppo spregevoli, (è) avventata, perniciosa, contraria alla pratica dei santi e delle persone pie approvata dal santo Concilio di Trento (cf. 1680).
Indulgenze.
2640. 40. La proposizione che afferma che “l’indulgenza, secondo la sua precisa nozione, non sia altro che la remissione di quella parte della penitenza che i Canoni avevano stabilito per il peccatore”, come se l’indulgenza, oltre alla pura remissione della pena canonica non si applicasse anche alla remissione della pena temporale dovuta per i peccati attuali davanti alla giustizia divina, (è) falsa, avventata, lesiva dei meriti di Cristo, condannata da tempo nell’articolo 19 di Lutero (cf. 1469).
2641. 41. Allo stesso modo, quando si dice in ciò che segue che “gli scolastici, gonfiati dalla loro sottigliezza, abbiano introdotto l’equivoco tesoro dei meriti di Cristo e dei Santi, ed hanno sostituito alla chiara nozione di assoluzione dalle pene canoniche quella confusa e falsa dell’applicazione dei meriti”, come se i tesori della Chiesa dai quali il Papa concede le indulgenze non fossero i meriti di Cristo e dei santi, (la proposizione è) falsa, lesiva dei meriti di Cristo e dei santi, condannata da tempo nell’articolo 17 di Lutero (cf. 1467).
2642. 42. Allo stesso modo, quando si aggiunge che “è ancora più deplorevole che si sia voluto trasferire questa chimerica applicazione ai defunti”, (la proposizione è) falsa, avventata, offensiva per le orecchie pie, ingiuriosa per i Pontefici Romani e per la pratica ed il senso della Chiesa universale, e conduce all’errore qualificato come eretico da Pietro d’Osma (cf. 1416), e nuovamente condannato nell’articolo 22 di Lutero (cf. 1472).
2643. 43. Infine, quando attacca nel modo più sfacciato le favole delle indulgenze, gli altari privilegiati, ecc. (è) temerario, offensivo per le orecchie pie, scandaloso, oltraggioso nei confronti dei sovrani Pontefici e della prassi diffusa in tutta la Chiesa.
Sulla riserva dei casi.
2644. 44. La proposta del Sinodo che afferma: “La riserva dei casi, ai nostri giorni, non è altro che un impedimento sconsiderato per i Sacerdoti inferiori e un suono vuoto per i penitenti abituati a non tenere conto di questa riserva, (è) falsa, temeraria, malsonante, perniciosa, contraria al Concilio di Trento (cf. 1697), e lede il superiore potere gerarchico”.
2645. 45. Allo stesso modo l’auspicio espresso che “dopo una riforma del rito e dell’ordine della Penitenza non ci sarà più spazio per tali riserve”, nella misura in cui questi termini volutamente generici implichino che una riforma del rito e dell’ordine della Penitenza fatta da un Vescovo o da un Sinodo possa abolire i casi di cui il Concilio di Trento (XIV sessione, cap. 7 1687) dichiara che il rito e l’ordine della Penitenza non possano essere aboliti, (cf. 1687) dichiara che i sovrani Pontefici possano riservarli al loro giudizio in ragione del loro supremo potere su tutta la Chiesa, la proposta è falsa, temeraria, deroga al Concilio di Trento e all’Autorità dei sovrani Pontefici e li danneggia.
Censure.
2646. 46. La proposizione che afferma che “l’effetto della scomunica sia solo esterno perché per sua natura esclude solo dalla comunione esterna della Chiesa”, come se la scomunica fosse solo una pena spirituale, che lega al cielo e obbliga le anime, (è) falsa, perniciosa, condannata nell’articolo 23 di Lutero (cf. 1473), quanto meno erronea.
2647. 47. Allo stesso modo (la proposizione) che afferma che è necessario, secondo le leggi naturali e divine, che, sia per la scomunica che per la sospensione, ci sia un esame personale preventivo, e che di conseguenza le sentenze dette ipso facto non abbiano altra portata che quella di una grave minaccia senza alcun effetto reale, (è) falsa, avventata, perniciosa, lesiva dell’autorità della Chiesa, erronea.
2648. 48. Allo stesso modo, l’affermazione che “la formula introdotta qualche secolo fa, che assolve generalmente i fedeli dalle scomuniche in cui sarebbero potuti cadere, è inutile e vana” (è) falsa, avventata, lesiva della prassi della Chiesa.
2649. 49. Allo stesso modo quella che condanna come nulle e invalide le “suspenses ex informata conscientia“, (è) falsa, perniciosa, offensiva nei confronti del Concilio di Trento.
2650. 50. Allo stesso modo, quando si insinua che non spetti solo al Vescovo usare il potere conferitogli dal Concilio di Trento (sess. XIV, can. 1, De reformatione) per imporre legittimamente una sospensione ex informata conscientia, si lede la giurisdizione dei prelati della Chiesa.
Ordinazione.
2651. 51. La dottrina del Sinodo che afferma che, per la promozione agli Ordini, secondo la consuetudine e le disposizioni dell’antica disciplina, si seguisse di solito la seguente regola: “Se un chierico si distingueva per la santità della sua vita e veniva giudicato degno di accedere agli Ordini sacri, veniva di solito promosso al diaconato o al Sacerdozio anche se non avesse ricevuto gli Ordini inferiori; e tale ordinazione non si diceva “per salto”, come sarebbe stata chiamata in seguito”.
2652. 52. Allo stesso modo (la dottrina) che suggerisce che non ci fosse altro titolo per l’ordinazione se non quello della designazione per un ministero particolare, come prescritto dal Concilio di Calcedonia (Can. 6), e prosegue (Par. 6) affermando che finché la Chiesa si è conformata a questi principi nella scelta dei Ministri sacri, l’Ordine ecclesiastico ha prosperato; ma che questi giorni felici sono passati, e che in seguito sono stati introdotti nuovi principi con i quali la disciplina nella scelta dei ministri del santuario sia stata corrotta.
2653. 53. Allo stesso modo, quando si nota, tra questi stessi principi di corruzione, che ci si sia allontanati dall’antica prassi con la quale – si dice (par. 5) – la Chiesa, seguendo le orme degli Apostoli, aveva stabilito che non fosse ammesso al Sacerdozio chi non avesse conservato l’innocenza battesimale: nella misura in cui si suggerisce che la disciplina sia stata corrotta da decreti e istituzioni che: – 1 hanno proibito le ordinazioni “per salto” – 2 o hanno approvato, per la necessità e la convenienza delle Chiese, le ordinazioni senza il titolo di un ministero particolare, come è avvenuto in particolare, da parte del Concilio di Trento, l’ordinazione per titolo patrimoniale, fatta salva l’obbedienza in virtù della quale coloro che sono stati ordinati in questo modo devono servire le necessità delle Chiese accettando gli uffici a cui, secondo i tempi e i luoghi, il Vescovo può chiamarli, come era consuetudine al tempo degli Apostoli nella Chiesa primitiva – 3 sia stata stabilita, nel diritto canonico, la distinzione dei crimini che rendono irregolari coloro che li hanno commessi, come se con questa distinzione la Chiesa si fosse allontanata dallo spirito degli Apostoli non escludendo, in modo generale e senza alcuna distinzione, dal ministero ecclesiastico tutti coloro che non abbiano conservato l’innocenza battesimale, questa dottrina (è) falsa nelle sue varie parti, temeraria, distrugge l’ordine stabilito per la necessità e la convenienza delle Chiese, reca danno alla disciplina approvata dai Canoni e in particolare dai decreti del Concilio di Trento.
2654. 54. Allo stesso modo (la dottrina) che condanna come un abuso vergognoso la concessione di qualsiasi elemosina per la celebrazione della Messa o l’amministrazione dei Sacramenti, e l’accettazione di qualsiasi reddito chiamato “dovere di stola” e, in generale, di qualsiasi tributo o onorario che possa essere offerto in occasione di suffragi o di qualsiasi funzione parrocchiale, come se i ministri della Chiesa dovessero essere accusati del reato di abuso vergognoso quando, secondo la consuetudine e le regole ricevute e approvate dalla Chiesa, si avvalgono del diritto promulgato dall’Apostolo di ricevere beni temporali da coloro ai quali amministrano i beni spirituali (Ga. VI,6) , (è) falsa, temeraria, lede il diritto ecclesiastico e pastorale, fa ingiustizia alla Chiesa ed ai suoi ministri.
2655. 55. Allo stesso modo, quando uno dichiara di desiderare ardentemente che si trovi il modo di allontanare dalle cattedrali e dalle collegiate il “clero minore” (come vengono chiamati i chierici degli Ordini inferiori) provvedendo altrimenti – per esempio, con laici di probità e di età avanzata, e assegnando loro uno stipendio adeguato – al ministero di servire le Messe e ad altri uffici come quello di accolito, ecc, come si faceva un tempo, si dice, quando tali uffici non erano ridotti a mera apparenza, in vista della ricezione degli Ordini maggiori, in quanto si biasima un’istituzione con la quale si deve garantire che le funzioni degli Ordini minori siano svolte ed esercitate solo da coloro che sono stati istituiti in essi, e questo secondo il desiderio del Concilio di Trento (Sess. XXII, cap. 17) “che le funzioni degli Ordini sacri, dal diaconato all’ostiariato, ricevute nella Chiesa con lode fin dai tempi apostolici e omesse per un certo tempo in diversi luoghi, siano ripristinate secondo i santi Canoni e non siano più derise come inutili dagli eretici”, il suggerimento (è) temerario, offende le orecchie pie, disturba il ministero ecclesiastico, diminuisce il decoro che deve essere conservato il più possibile nella celebrazione dei misteri, danneggia gli uffici e le funzioni degli Ordini minori e la disciplina approvata dai Canoni e soprattutto dal Concilio di Trento, incoraggia gli attacchi e le calunnie degli eretici contro di essa.
2656. 56. La dottrina secondo cui sembra opportuno che per gli impedimenti canonici che derivano da reati menzionati dal diritto, non si debba mai concedere o ammettere alcuna dispensa, offende l’equità e la moderazione canonica approvata dal santo Concilio di Trento, e deroga all’autorità ed alle disposizioni del diritto della Chiesa.
2657. 57. La prescrizione del Sinodo che respinge come abuso, in modo generale e senza distinzioni, qualsiasi dispensa volta a conferire ad una stessa persona più di un beneficio residenziale; anche quando aggiunge che sia certo che secondo lo spirito della Chiesa nessuno possa godere di più di un beneficio, anche semplice, deroga per la sua generalità alla moderazione del Concilio di Trento (sess. VII; cap. 5, e sess. XXIV, cap. 17).
Promessa di matrimonio e il fidanzamento.
2658. 58. La proposizione che il fidanzamento propriamente detto sia un atto puramente civile, preparatorio alla celebrazione del matrimonio, e che sia interamente soggetto alla prescrizione del diritto civile, come se un atto che prevede il Sacramento non fosse sotto questo aspetto soggetto al diritto della Chiesa, è falsa, mina il diritto della Chiesa per quanto riguarda gli effetti che derivano anche dal fidanzamento in virtù delle disposizioni canoniche, e deroga alla disciplina stabilita dalla Chiesa.
2659. 59. La dottrina del Sinodo, che afferma che “spetti solo alla suprema potestà civile, in modo originale, apporre al contratto matrimoniale impedimenti che lo rendono nullo e che sono chiamati dirimenti”; che, inoltre, questo “diritto originario” sia “legato nella sua essenza al diritto di dispensare”, aggiungendo che “è con l’assenso o la connivenza dei principi che la Chiesa ha giustamente potuto stabilire impedimenti che dirimono il contratto di Matrimonio stesso, come se la Chiesa non avesse sempre potuto e non potesse sempre stabilire di suo diritto per il Matrimonio dei Cristiani impedimenti che non solo impediscono il Matrimonio, ma lo rendono anche nullo per quanto riguarda il vincolo, e da cui i Cristiani sono legati anche in terre infedeli, e anche dispensarlo, rovescia i canoni 3, 4, 9 e 12 della XXIV sessione del Concilio di Trento (Cf. 1803 f. 1809, 1812), ed è eretica.
2660. 60. Allo stesso modo la richiesta rivolta dal Sinodo al potere civile di “sopprimere tra gli impedimenti la parentela spirituale e l’impedimento dell’onestà pubblica, la cui origine si trova nella raccolta di Giustiniano”; poi di “restringere l’impedimento di affinità e parentela, sia che provenga da un’unione libera o illecita, al quarto grado secondo il modo di calcolo civile, in linee laterali e oblique, in modo tale, tuttavia, che non rimanga alcuna speranza di ottenere una dispensa”, nella misura in cui concede al potere civile il diritto di abolire o restringere gli impedimenti stabiliti od approvati dall’autorità della Chiesa. Allo stesso modo, nella misura in cui presuppone che la Chiesa possa essere privata dal potere civile del diritto di dispensare da impedimenti stabiliti o approvati da essa, sovvertea la libertà e il potere della Chiesa, sia contraria al Concilio di Trento e derivi dal principio eretico condannato sopra (cf. 1803-1812).
Sull’adorazione dell’umanità di Cristo.
2661. 61. La proposizione che afferma: “adorare direttamente l’umanità di Cristo, e ancor più una parte di essa, sarà sempre un onore divino dato ad una creatura”, in quanto con questa parola “direttamente” intende riprovare il culto di adorazione che i fedeli rivolgono all’umanità di Cristo, come se tale adorazione, con cui si adora la stessa umanità e carne vivificante di Cristo – non per se stessa e come semplice carne, ma come carne unita alla divinità – fosse un onore divino conferito a una creatura e non piuttosto l’unica e stessa adorazione con cui si adora il Verbo incarnato con la sua stessa carne (2° Concilio di Costantinopoli, Can. 9 431; 259), è falsa, capziosa, deprezza il pio culto che è dovuto e deve essere reso all’umanità di Cristo e gli fa torto.
2662. 62. La dottrina che respinge la devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù tra le devozioni che vengono presentate come nuove, erronee e per lo meno pericolose, se si intende questa devozione come è stata riprovevole dalla Sede Apostolica, (è) falsa, avventata, perniciosa, offende le pie orecchie e fa ingiustizia alla Sede Apostolica.
2663. 63. Allo stesso modo, rimproverando anche ai devoti del Cuore di Gesù di non aver notato che la carne santissima di Cristo, o una sua parte, o anche l’intera umanità, non possa essere adorata se è separata o scissa dalla divinità, come se i fedeli adorassero il Cuore di Gesù separandolo o scindendolo dalla divinità, mentre lo adorano in quanto è il cuore di Gesù, cioè il cuore della Persona del Verbo a cui è inseparabilmente unito, così come il Corpo di Cristo dissanguato durante i tre giorni di morte – senza essere separato o scisso dalla divinità – era adorabile nella sepoltura, (questa dottrina è) capziosa, fa ingiustizia ai fedeli devoti del Cuore di Cristo.
Sull’ordine prescritto per il compimento dei pii esercizi.
2664. 64. La dottrina che accusa di essere totalmente superstiziosa “qualsiasi efficacia attribuita ad un determinato numero di preghiere e di pie salutazioni”, come se si dovesse considerare superstiziosa l’efficacia che deriva non da un numero considerato in sé, ma dal precetto della Chiesa che prescrive un determinato numero di preghiere o di azioni esteriori per ottenere le indulgenze, per il compimento delle penitenze e, in generale, per il giusto e ordinato svolgimento del culto sacro e religioso, (è) falsa, avventata, scandalosa, perniciosa, lesiva della pietà dei fedeli, derogatoria dell’autorità della Chiesa, erronea.
2665. 65. La proposizione che afferma: “il frastuono irregolare delle nuove istituzioni chiamate esercizi o missioni, … quasi mai, o almeno molto raramente, si traduce in una conversione assoluta; e i segni esteriori che sono apparsi non sono stati altro che lampi passeggeri di una scossa naturale”, (è) avventata, sconveniente, offensiva nei confronti di un uso praticato in modo pio e salutare dalla Chiesa e fondato nella Parola di Dio.
Su come unire la voce del popolo a quella della Chiesa nella preghiera pubblica.
2666. 66. L’affermazione secondo cui “è contrario alla prassi apostolica ed ai consigli di Dio non preparare vie più agevoli perché il popolo unisca la sua voce a quella di tutta la Chiesa”, se intesa nel senso di introdurre l’uso della lingua volgare nelle preghiere liturgiche, (è) falsa, avventata, sconvolge l’ordine prescritto per la celebrazione dei misteri e produce facilmente molti mali.
Sulla lettura della Sacra Scrittura.
2667. 67. La dottrina che afferma che solo la vera incapacità giustifichi la mancata lettura delle Scritture, aggiungendo che l’oscurità sulle verità primarie della Religione che è nata dalla negligenza di questo precetto continua a diffondersi, è falsa, temeraria e disturba la tranquillità delle anime, è già stata condannata in Quesnel (cf. 2479-2485).
Sulla lettura pubblica dei libri proibiti in Chiesa.
Immagini sacre.
2668. 68 L’alto elogio con cui il Sinodo raccomanda i commentari di Quesnel sul Nuovo Testamento e altre opere favorevoli agli errori di Quesnel, anche se sono proscritti, e propone ai parroci di leggerli al popolo nelle parrocchie, dopo altre funzioni, perché contengono solidi principi di Religione, (è) falso, scandaloso, temerario, sedizioso, danneggia la Chiesa, promuove lo scisma e l’eresia.
2669. 69. La prescrizione che, tra le immagini da respingere in modo generale ed indiscriminato, perché danno occasione di errore agli ignoranti, condanna le immagini della Trinità incomprensibile, (è), per il suo carattere generale, avventata e contraria all’uso pio e consueto della Chiesa, come se non ci fossero immagini della Santissima Trinità comunemente approvate e che possano essere tranquillamente permesse.
2670. 70. Allo stesso modo, la dottrina e la prescrizione che, in modo generale, disapprovino qualsiasi culto speciale che i fedeli sono soliti rendere ad un’immagine particolare, alla quale ricorrono più che a qualsiasi altra, è avventata, perniciosa e dannosa per la pia consuetudine della Chiesa, così come per la disposizione della provvidenza per la quale “Dio non ha voluto che queste cose avvengano in tutti i santuari dei Santi, Lui che distribuisce a ciascuno ciò che è suo, come vuole”.
2671. 71. Allo stesso modo (la dottrina) che proibisce che le immagini in particolare della Beata Vergine, siano distinte da titoli, ad eccezione delle denominazioni che corrispondono ai misteri di cui si fa espressa menzione nella Sacra Scrittura, come se non fosse possibile dare a queste immagini altre pie denominazioni, che la Chiesa nelle stesse preghiere pubbliche approva e raccomanda, (è) avventata, offende le pie orecchie, fa del male alla venerazione dovuta specialmente alla Beata Vergine.
2672. 72. Allo stesso modo chi vuole sradicare come un abuso l’usanza di tenere velate certe immagini (è la dottrina) avventata, contraria alla pratica in uso nella Chiesa e introdotta per promuovere la pietà dei fedeli.
Le feste.
2673. 73. L’affermazione che l’istituzione di nuove feste abbia origine dalla negligenza nell’osservanza delle antiche e da false nozioni sulla natura e lo scopo di queste solennità (è) falsa, avventata, scandalosa, dannosa per la Chiesa e promuove gli attacchi degli eretici contro le feste celebrate dalla Chiesa.
2674. 74. La decisione del Sinodo di trasferire le feste istituite nell’anno alla Domenica, e questo in virtù del diritto che, secondo esso, spetta al Vescovo in materia di disciplina ecclesiastica nell’ordine delle cose puramente spirituali, e quindi anche di abrogare il precetto di ascoltare la Messa nei giorni in cui, secondo un’antica legge della Chiesa, questo precetto sia ancora in vigore ora; e poi in ciò che si aggiunge a proposito del trasferimento, da parte dell’autorità episcopale, al tempo di Avvento dei digiuni prescritti dalla Chiesa durante l’anno, in quanto si afferma che sia permesso al Vescovo, per diritto proprio, di trasferire i giorni prescritti dalla Chiesa per la celebrazione delle feste o per il digiuno, o di abrogare il precetto di ascoltare la Messa, (è una) proposizione falsa, che offende il diritto dei Concili generali e dei sovrani Pontefici, scandalosa, e promuove lo scisma.
Giuramenti.
2675. 75. La dottrina che afferma che nei tempi beati della Chiesa i giuramenti sembravano così contrari agli insegnamenti del Maestro divino e all’aurea semplicità del Vangelo, che “il fatto stesso di giurare senza un’estrema e ineluttabile necessità fosse considerato un atto irreligioso, indegno dell’uomo cristiano”; e d’altra parte che “la successione ininterrotta dei Padri dimostra che i giuramenti fossero considerati dal senso comune come cose proibite”; e da qui arriva a disapprovare i giuramenti che la curia ecclesiastica ha adottato – seguendo, dice, la giurisprudenza feudale – per le investiture e le Ordinazioni sacre dei Vescovi stessi; e che stabilisce che sarebbe addirittura necessario implorare dal potere secolare una legge per abolire i giuramenti che siano richiesti anche nelle curie ecclesiastiche per ricevere cariche ed uffici, ed in modo generale per qualsiasi atto della curia, (è) falsa, lede la Chiesa, lede il diritto ecclesiastico, sovverte la disciplina stabilita e approvata dai Canoni.
Conferenze ecclesiastiche.
2676. 76. La disapprovazione del Sinodo nei confronti della Scolastica, considerata come quella che “ha aperto la strada all’invenzione di sistemi nuovi e contraddittori riguardo a verità di grandissimo valore, e che alla fine ha portato al probabilismo e al lassismo”, nella misura in cui imputa alla Scolastica le colpe di alcuni in particolare che possano averne abusato o che ne abbiano abusato, (è) falsa, temeraria, offensiva nei confronti dei Dottori più santi che hanno coltivato la Scolastica per il maggior bene della Religione Cattolica, incoraggia i rimproveri ostili degli eretici contro di essa.
2677. 77. Allo stesso modo, quando si aggiunge che: “il cambiamento della forma di governo ecclesiastico, in virtù del quale i ministri della Chiesa siano arrivati a dimenticare i loro diritti, che sono allo stesso tempo i loro doveri, ha portato in ultima analisi a dimenticare il significato primitivo del ministero ecclesiastico e della sollecitudine pastorale, come se con un cambiamento di governo che è in conformità con la disciplina stabilita e approvata della Chiesa il significato primitivo del ministero ecclesiastico o della sollecitudine pastorale potesse essere dimenticato e perso, (questa è una) proposizione falsa, avventata ed errata”.
2678. 78. La prescrizione del Sinodo sull’ordine delle questioni da trattare nelle conferenze che, dopo aver detto: “in ogni articolo è necessario distinguere ciò che appartenga alla fede e all’essenza della Religione da ciò che sia proprio della disciplina”, aggiunge “in quello stesso articolo è necessario distinguere ciò che sia necessario o utile per mantenere i fedeli nello spirito da ciò che sia inutile o più gravoso di quanto la libertà dei figli della Nuova Alleanza possa sopportare, e ancor più da ciò che sia pericoloso o dannoso perché porta alla superstizione od al materialismo”, in quanto, a causa del carattere generale dei termini, comprende e sottopone ad esame anche la disciplina stabilita o approvata dalla Chiesa – come se la Chiesa, che è governata dallo Spirito di Dio, potesse stabilire una disciplina che non solo sia inutile e più gravosa di quanto la libertà cristiana possa sopportare, ma addirittura pericolosa, dannosa, che porta alla superstizione e al materialismo, (è) falsa, temeraria, scandalosa, offende le orecchie divine, fa ingiustizia alla Chiesa e allo Spirito di Dio da cui è governata, quantomeno erronea.
Rimproveri contro alcune opinioni sostenute finora nelle scuole cattoliche.
2679. 79. L’affermazione che attacca con rimproveri ed invettive alcune opinioni che si tengono nelle scuole cattoliche e sulle quali la Sede Apostolica ha ritenuto finora di non dover definire o pronunciarsi, (è) falsa, temeraria, dannosa per le scuole cattoliche e deroga all’obbedienza dovuta alle Costituzioni Apostoliche.
Delle tre norme stabilite dal Sinodo come base per la riforma dei regolari.
2680. 80. Regola I, che stabilisce in modo generale e senza distinzioni: “Lo stato regolare o monastico per sua natura non può entrare in composizione con la cura delle anime e con i compiti della vita pastorale, e quindi non può avere parte nella Gerarchia ecclesiastica senza essere in contrasto con i principi della stessa vita monastica”, (è) falsa, perniciosa, fa torto ai santi Padri ed ai capi della Chiesa che hanno associato gli istituti di vita religiosa ai compiti dell’Ordine clericale, contrariamente all’uso pio, antico e approvato della Chiesa e alle ordinanze dei sovrani Pontefici, come se “i monaci, raccomandati dalla gravità dei loro costumi e dalla santa istituzione della loro vita e della loro fede”, non fossero stati “associati agli uffici dei chierici” giustamente, non solo senza danno per lo stato religioso, ma anche per la grande utilità della Chiesa.
2681. 81. Allo stesso modo, quando si aggiunge che i Santi Tommaso e Bonaventura fossero così impegnati a proteggere gli istituti dei mendicanti contro uomini illustri che si sarebbe voluto meno calore e più cura nelle loro difese, (questa affermazione è) scandalosa, fa ingiustizia ai santissimi Dottori e incoraggia le empie invettive di autori condannati.
2682. 82. Regola II: “La moltiplicazione degli Ordini e la loro diversità producono naturalmente disordine e confusione” anche nel par. 4 che precede: “i ‘fondatori’ dei regolari che vennero dopo gli istituti monastici” aggiungendo ordini a ordini, riforme a riforme, non fecero altro che sviluppare sempre più la causa prima del male”, se si intende riferirsi a ordini ed istituti approvati dalla Santa Sede, come se la distinta varietà di compiti pii intrapresi da ordini separati dovesse, per sua natura, produrre disordine e confusione, (è) falsa, calunniosa ed un insulto ai Santi fondatori e ai loro fedeli seguaci, così come agli stessi Sommi Pontefici.
2683. 83. La Regola III che, dopo aver detto: “un piccolo corpo che rimane all’interno della società civile senza farne veramente parte, e che costituisce nello Stato una piccola monarchia, è sempre pericoloso”, per questo accusa i monasteri privati, raggruppati dal vincolo di un istituto comune, sotto un unico capo, di essere tante monarchie particolari, pericolose e dannose per la repubblica civile, (è) falsa, temeraria, dannosa per gli istituti regolari approvati dalla Santa Sede per il progresso della Religione, favorendo gli attacchi e le calunnie degli eretici nei confronti di questi istituti.
Dal sistema o insieme di ordinanze derivate dalle suddette regole, ridotto ai seguenti otto articoli per la riforma dei regolari.
2684. Art. I. Si conservi un solo Ordine nella Chiesa e si scelga tra gli altri la Regola di San Benedetto, sia per la sua eccellenza che per gli illustri meriti di quest’Ordine, in modo però che tra le cose che forse appaiono meno conformi alle condizioni del momento, la disposizione di vita istituita a Port-Royal faccia luce che permetta di esaminare ciò che si debba aggiungere o togliere.
2685. Art. II. Coloro che entreranno a far parte di questo ordine non diventeranno membri della Gerarchia ecclesiastica, né saranno promossi agli Ordini sacri, ad eccezione di uno o due al massimo che saranno istituiti parroci o cappellani del monastero, mentre gli altri rimarranno nel semplice stato di laici.
2686. Art. III. In ogni città sarà ammesso un solo monastero, che dovrà essere collocato fuori dalle mura della città, in luoghi remoti e fuori mano.
2687. Art. IV. Tra le occupazioni della vita monastica, si mantenga intatto il lavoro delle mani, ma si lasci tempo sufficiente per dedicarsi alla salmodia ed anche, se lo si desidera, allo studio delle lettere; la salmodia sia moderata, perché una lunghezza eccessiva porta alla fretta, all’inquietudine e alla distrazione; quanto più sono aumentate la salmodia, le orazioni e le preghiere, tanto più sono sempre diminuite, nella stessa proporzione, il fervore e la santità dei regolari.
2688. Art. V. Non si deve fare distinzione tra i monaci destinati al coro e quelli destinati ai ministeri; questa distinzione ha sempre dato luogo a conflitti ed alle più grandi discordie, e ha allontanato lo spirito di carità dalle comunità.
2689. Art. VI. Non sarà mai ammesso il voto di stabilità perpetua, ma la consolazione della Chiesa e l’ornamento del Cristianesimo, non lo hanno conosciuto; i voti di castità, povertà e obbedienza non saranno ammessi come regola comune e stabile. Se qualcuno vuole fare questi voti, alcuni o tutti, chieda il consiglio e il permesso del Vescovo, che però non permetterà mai che siano perpetui, né che non superino il limite di un anno; gli sarà data solo la facoltà di rinnovarli alle stesse condizioni.
2690. Art. VII. Il Vescovo avrà piena ispezione sulla loro vita, sui loro sforzi e sul loro progresso nella pietà; sarà suo compito ammettere i monaci e dimetterli, ma sempre dopo aver ricevuto il parere di quelli della comunità.
2691. Art. VIII. I regolari degli ordini rimasti, anche Sacerdoti, possono essere ammessi in questo monastero purché intendano dedicarsi alla propria santificazione nel silenzio e nella solitudine; in questo caso interverrà una dispensa dalla regola generale stabilita al n. II, ma in modo da non far loro condurre una forma di vita distinta dagli altri, in modo che non si celebrino più di una o al massimo due Messe al giorno, e che sia sufficiente che gli altri Sacerdoti concelebrino con la comunità. – Lo stesso vale per la riforma delle monache.
2692. “I voti perpetui non siano ammessi prima del quarantesimo o quarantacinquesimo anno”; le monache si dedichino agli esercizi di buon carattere, soprattutto al lavoro, e si allontanino dallo spirito carnale da cui la maggior parte è distratta; Il sistema sovverte la disciplina vigente, approvata e ricevuta già da tempo; è pernicioso, si oppone alle costituzioni apostoliche e a quelle di diversi Concili, anche generali, e poi in particolare alle disposizioni del Concilio di Trento e fa loro torto, incoraggia gli attacchi e le calunnie degli eretici contro i voti monastici e gli istituti religiosi dediti alla professione più stabile dei consigli evangelici.
Sulla convocazione di un Concilio nazionale.
2693. 85. La proposizione che afferma che anche la minima conoscenza della storia della Chiesa sia sufficiente a far riconoscere a tutti che la convocazione di un Concilio nazionale sia uno dei modi canonici con cui si possa porre fine alle controversie in materia di Religione nella Chiesa delle nazioni interessate, se viene inteso nel senso che le controversie riguardanti la fede e la morale che sorgono in una determinata Chiesa possano essere messe a tacere da un Concilio nazionale mediante una sentenza irrefragabile, come se l’inerranza nella fede e nella morale appartenesse ad un Concilio nazionale, (è) scismatica, eretica.
Comandamenti e sanzioni della Bolla.
2694. Chiediamo quindi a tutti i fedeli di Cristo, di entrambi i sessi, di non avere l’ardire di pensare, insegnare o predicare le suddette proposizioni e dottrine contrarie a quanto dichiarato nella nostra Costituzione: in modo che chiunque le insegni. le difenda o le pubblichi, o qualcuna di esse, in toto o separatamente, o ne tratti in una disputa, in pubblico o in privato – a meno che non sia per combatterle – incorrerà ipso facto e senza ulteriori dichiarazioni nelle censure ecclesiastiche e nelle altre pene previste dal diritto contro chi commette atti simili.
2695. D’altronde, nel riprovare espressamente le suddette proposizioni e dottrine, non intendiamo in alcun modo approvarne altre contenute nello stesso Libro: tanto più che in esso sono state mantenute diverse proposizioni e dottrine che o sono vicine a quelle condannate sopra, o manifestano uno spregiudicato disprezzo per la dottrina e la disciplina comune ed approvata, nonché lo spirito più ostile ai Romani Pontefici ed alla Sede Apostolica.
2696. Riteniamo, tuttavia, di dover biasimare in modo particolare due proposizioni relative all’augustissimo mistero della santissima Trinità – par. 2 del Decreto sulla Fede – che, se non sono dovute ad uno spirito malvagio, sono certamente dovute all’imprudenza del Sinodo, e che potrebbero facilmente indurre in errore soprattutto persone non istruite e ignoranti:
2697. In primo luogo, in quanto, dopo aver detto che Dio rimane uno e semplicissimo nel suo Essere, aggiunge subito che Dio stesso è distinto in tre Persone, allontanandosi così falsamente dalla formula comune e approvata negli insegnamenti della dottrina cristiana in cui l’unico Dio è detto sì “in tre Persone distinte”. Cambiando questa formula, a causa del significato delle parole, si può introdurre un pericolo di errore, cioè di pensare che l’Essenza divina sia distinta in Persone, mentre la fede cattolica la professa una in Persone distinte, in modo da proclamare allo stesso tempo che essa è assolutamente indistinta in se stessa.
2698. In secondo luogo, quando dice delle tre Persone divine stesse che, secondo le loro proprietà personali e incomunicabili, sarebbero espresse o chiamate con termini più esatti Padre, Verbo e Spirito Santo, come se l’appellativo “Figlio” fosse meno proprio e meno esatto, mentre è consacrato da tanti passi della Scrittura, dalla voce stessa del Padre che viene dal cielo e dalla nube, poi dalle formule del Battesimo prescritte da Cristo, poi anche da quella bella Confessione per cui Pietro fu chiamato beato da Cristo stesso; né ricorderemmo ciò che lo stesso Dottore angelico, istruito da Agostino, ha insegnato: “Nel Nome “Verbo” è significata la stessa proprietà che nel Nome “Figlio””, mentre Agostino diceva: “Si chiama Verbo per la stessa ragione per cui si chiama Figlio”.
2699. Né si può passare sotto silenzio la temerarietà insignificante e piena di inganni del Sinodo che ebbe l’ardire non solo di lodare la dichiarazione dell’assemblea gallicana (cf. 2281-2285) dell’anno 1682 già disapprovata dalla Sede Apostolica, ma anche – per darle maggiore autorità – di inserirla subdolamente nel decreto intitolato “De la foi”, di adottare apertamente gli articoli in essa contenuti e di suggellare con la pubblica e solenne professione di questi articoli ciò che aveva già fatto la Sede Apostolica, ma anche – per conferirle maggiore autorità – di inserirla subdolamente nel decreto De la foi, di adottare apertamente gli articoli in essa contenuti e di suggellare con la professione pubblica e solenne di questi articoli ciò che era stato trasmesso in modo sparso da questo stesso decreto. Di conseguenza, non solo ci è stato dato un motivo ancora più grave per lamentarci del Sinodo di quanto non sia stato dato ai nostri predecessori per lamentarsi di questa assemblea, ma la stessa Chiesa gallicana è stata colpita da un’offesa non da poco, dal momento che il Sinodo ha ritenuto degno di appellarsi alla sua autorità per coprire con il suo patrocinio gli errori di cui questo decreto è macchiato.
2700. Poiché gli atti dell’assemblea gallicana, subito dopo la loro pubblicazione, il nostro venerato predecessore Innocenzo XI con una lettera in forma di breve, Paternae caritati, dell’11 aprile 1682, e poi Alessandro VIII ancora più chiaramente il 5 agosto nella costituzione Inter multiplices (cf. 2281-2285) li hanno disapprovati, abrogati e dichiarati nulli in virtù del loro Ufficio apostolico, la sollecitudine pastorale esige da Noi ancora più urgentemente che l’accettazione che ne è stata fatta in un Sinodo inficiato da così tanti difetti, Noi la riproviamo e la condanniamo come avventata, scandalosa – e specialmente dopo i decreti dei nostri predecessori – come sovranamente dannosa per questa Sede Apostolica, come la riproviamo e la condanniamo in questa costituzione che è nostra, e vogliamo che sia ritenuta riprovata e condannata.