LO SCUDO DELLA FEDE (255)

LO SCUDO DELLA FEDE (255)

LA SANTA MADRE CHIESA NELLA SANTA MESSA (24)

SPIEGAZIONE STORICA, CRITICA, MORALE DELLA SANTA MESSA

Mons., BELASIO ANTONIO MARIA

Ed. QUINTA

TORINO, LIBRERIA SALESIANA EDITRICE, 1908

PARTE III

IL RINGRAZIAMENTO

CAPO I.

Ci affrettiamo qui di confessare, che ben conosciamo di non poter compiere l’opera nostra, massimamente in questa parte in che ci resta di trattare del Ringraziamento. I Santi stessi in Paradiso fanno principal officio di lor beatitudine rendere a Dio benedizioni e grazia, senza mai saziarsene per tutta l’eternità. Anche la Chiesa pare che pensi di non poterlo far pienamente. E di fatto si prova per poco con qualche devotissima giaculatoria, e poi si tace: quasi creda meglio lasciare alle anime, che si sfoghino sole con Dio, e gli dicano nel silenzio del labbro di quelle parole ineffabili, che lo Spirito Santo lor verrà suggerendo. Ma, per dirne pure qualche cosa, osserviamo con sant’ Agostino (Ephes.) , come dopo di aver partecipato a così gran Sacramento, lazione di grazie conchiude tutti i Misteri. La Chiesa poi per invitarci a questo ringraziamento mette in un’acclamazione, una tenerissima giaculatoria (e questa giaculatoria nel rito è detta Comunione). Poi saluta i bene amati suoi figli con ripetere: « Dominus vobiscum. » Così ai benedetti suoi figli dà un abbraccio per dire loro: « eh siamo ben fortunati ! » Li fa pregare ancora un istante, almeno con una parola di sfogo che dice al loro cuore invitandoli all’orazione detta Post-eommunio. Finalmente nel dare commiato coll’ Ite Missa est, li benedice solennemente, ed accennando loro nell’ultimo Vangelo di contemplare ancora il Verbo di Dio in Paradiso, e che abita ancor tra noi, li manda a ringraziare Dio per tutta la vita. Tratteremo di tutto questo nei seguenti articoli.

ART. I.

ORAZIONE DETTA: COMUNIONE.

In tutta questa operetta, con quella povertà di concetti alla meglio che per noi si é potuto, abbiam cercato di esporre, come ben sappia la Chiesa trattar con decoro lo sposo suo celeste, e mostrare la sua felicità di comunicare sull’altare con Dio. Noi lo abbiam contemplato. Qui bisogna dire che gli antichi sacerdoti santissimi coi fervorosi fedeli gustassero ben addentro il dono di Dio, e provassero beata sorte di questa comunione divina. Sull’altare per loro era il cielo, e sovrabbondanza di gaudio più che celeste, dove godevano intimamente Iddio. (Imit. Christi, l. 4). Quindi nell’estasi del loro gaudio, anche pel desiderio d’aver tutti a parte di tanta loro felicità, non sapevano fare altro che esclamare: « gustate et videte quoniarn suavis est Dominus! » Il perché vi fu un tempo, in questo versetto non si variava mai; ed in tutte le comunioni si sentiva ripetere: « fate prova, gustate e sentirete quanto é soave il Signore!» Quando poi la comunione del popolo era più numerosa, si recitava l’intiero salmo 33, da cui sono tratte quelle parole: e come si usa ancora, si cantavano altri salmi e cantici spirituali, per ammaestrare, consolare il popolo, ed interpretargli i suoi più intimi sentimenti col Signore, che tanto con lui si degna. – Ora la Chiesa sceglie un versetto dei libri santi, il quale si riferisce al mistero che si festeggia, ed alla grazia che Gesù comparte a chi degnamente lo riceve; od anche alle virtù che esercitarono in Gesù i Beati; e sovente alla grande beatitudine di essere uniti con Gesù Cristo, Redentore e Dio nostro, nel Sacramento. Ecco per lo più i sensi della orazione detta communio. Noi intanto pensiamo a quel popolo di comunicati: e nel loro fervore ci pare di sentirli ripetere: « lo proviamo, sì, lo proviamo, quanto è soave il Signore! »

La Comunione generale.

Anche ai di’ nostri non vi è più commovente spettacolo, né più edificante della Comunione generale di un intero popolo (È bella cosa far la Comunione Generale? Rispondiamoche puòessere utile quando si ha copia di confessori. Eppure anche in questo caso da’ luogo a disordini. L’esperienza ci ha allontanati da questa pratica. Noi ci rimettiamo alla prudente altrui pietà). Noi lo proviamo nelle missioni e negli esercizi spirituali. In quelle occasioni un missionario, vogliam dire un apostolo, o novello profeta del Signore, che nella sublime semplicità del Verbo di Dio rivela coll’eloquenza della carità i misteri delle anime, e dell’amor divino, richiama il popolo come una famiglia di figliuoli innanzi al Padre celeste. A loro mette davanti coi loro torti i loro doveri, e fa ad essi i più severi rimproveri: ma gli addolcisce colle lagrime di sua pietà: anche fa uso di tutto il terrore della parola divina, e coi più potenti colori fa loro vedere innanzi l’inferno, che sta per ingoiarli in peccato, in morte eterna; gli scuote, gli agita e fa che atterriti cerchino solleciti di gettarsi tra le braccia della misericordia di Dio, e di assicurarsi il Paradiso: e termina la sua missione con l’accoglierli in seno, confortarli colle più sicure speranze, e riconciliarli con Dio. Allora chi rappresenta il padre del popolo, il parroco, celebra il gran Sacrificio in mezzo a’ suoi fratelli commossi; ed a loro rivolto dice: « ecco Gesù, o cari amici: dai travagli che vi angustian la vita venite a ristorarvi in seno a Dio. » In questo mentre risuona la Chiesa di cantici spirituali; il Cielo è aperto sopra del tempio, i beati fan eco di Paradiso, e gli Angioli scendon a corteggiare il Signore, e fanno corona ammiranda ai fedeli che lo ricevono. Noi diciamo quello che abbiam sentito a ripeterci, « che per un buon pastore è questo il più bel giorno della sua vita. »

ART. II.

DOMINUS VOBISCUM.

Ritorniamo a contemplare il Dacerdote, che esilarato il suo cuore in questa giaculatoria (che figura l’allegrezza che ebbero i fedeli per la risurrezione (IInnoc. III , Myst. Miss. lib 6 c.10) del Signore, va in mezzo all’altare, v’imprime un bacio divoto, e si volge al popolo. – Il Sacerdote sembra proprio che faccia come la Maddalena ed i discepoli. Era già risorto Gesù. Maria Maddalena, quella benedetta, che già provate le consolazioni divine, seduta ai piedi del Salvatore, dovette tenergli dietro colla sua Madre fin sotto la Croce! Colei, che lo vide morire, e morto lo baciò in seno a Maria SS. e le membra lacerate unse dei balsami più preziosi e fasciò di bende, ed involtolo nella sindone, aiutò a comporlo nel sepolcro: colei adunque era tornata, dove la voleva il cuore prima del di: ma non trovato nel sepolcro Gesù, s’aggirava esterrefatta intorno a quella vuota tomba, e col suo guardare attonito pareva che interrogasse fino le piante e i sassi, se le sapessero dire del suo Diletto! Quando improvviso appare innanzi Gesù, che le dice, a farsi riconoscere: « Maria! » Ella mette un grido: « o Maestro!…» e gli cade ai piedi. E Gesù le disse d’andare e rallegrare i suoi discepoli, e dir loro che li avrebbe consolati di sua apparizione fra breve. Maddalena s’alza dai piedi di Gesù e corre ai discepoli (Giov. XX). Questi avvisati che il divino Maestro era risorto.., ed. oh! sel videro a porte chiuse apparire davanti in gloria di risurrezione… Pareva non credessero ai proprii occhi! E Gesù: « vedetemi, son proprio io qui con voi, toccatemi, in carne ed ossa risuscitato (XX,19): e tu, Tommaso, metti il dito nelle mie Piaghe, mettidentro la mano in questo mio Costato: » poi farsi conoscere nella frazione del pane (Luc.XXIV, 30-31) e mangiare con essi. Gli Apostoli rapiti a Lui in quella gloria, giubilavano del suo trionfo. Poi Gesù disse: ricevete lo Spirito Santo per rimettere tutti i peccati; quasi dicesse: mettetemi la mano nel Cuore, e col mio caldo Sangue lavatemi l’anime in confessione, e dite alle genti, che vengano a trovar la pace in cuore a me in Comunione, spingeteli a venire tutti a me colle più calde esortazioni. Consolanti misteri ricordati dal Sacerdote, che dopo la Comunione appare in mezzo all’altare: e rappresenta Gesù risuscitato che apparve a quei pii. Erede egli e depositario di tanto tesoro di grazie, col cuor diviso tra Dio e il popolo, come Gesù nell’istante di salire al Padre (Ben.XIV, lib. 2, c.24 n. 4), sfoga in Dio la pienezza del suo contento, ciò che non può far meglio che con un bacio mandare il cuore a Gesù (bacia l’altare). Poi si getta colle braccia larghe in seno al popolo a versargli l’abbondanza della Redenzione: e per dire tutto, non trova miglior espressione di questa: « Dominus vobiscum; il Signore sia con voi. » E il popolo con fervore intenerito rispondegli: « Et cum spiritu tuo; e collo spirito tuo sempre il Signore. » Trovandolo così seco in armonia di carità, « ah! preghiamo adunque, gli dice, ancora il nostro buon Dio insieme, Oremus; » e va al lato del crocifisso, cara immagine del suo Dio, del suo Diletto, che ha nel cuore, ad innalzare la preghiera in nome di tutti. Colla persona ben amata dinanzi quanto è cara cosa contemplare il ritratto! Nel Sacerdote ricordiamo Gesù.

ART. III.

IL POSTCOMMUNIO.

OREMUS.

Il Sacerdote fa qui le orazioni dette il Postcommunio, o vogliam dire le orazioni ordinate a ringraziare Dio, che di così grandi e divini misteri ci volle partecipi; e ad ottenere dopo la Comunione santissima gli effetti, i quali la Chiesa insegna, che da questo Sacramento si devono aspettare, e che sono l’oggetto delle più care speranze (Ben. XIV,lib.2 cap. 24 n.2). Si dicono queste orazioni nella parte destra dell’altare per indicare che gli avanzi dei Giudei si convertiranno alla fine del mondo: e ritornerà la legge santa donde era partita (Mansi: Il vero Eccles.vol 2, lib.5, cap. 9). Noi vorremmo qui poter dare tutte tradotte queste orazioni, che recita la Chiesa, variandole col variar delle feste. In esse per lo più si chiede che il benedetto Gesù, che in noi abita personalmente, ci faccia tradurre in atto, nella santità del costume, le sublimi verità che abbiam meditate, affinchè nella vita di noi, santificati che siamo, per l’unione con Lui, si renda da noi immagine delle sue virtù divine; ed eseguiamo l’avviso che Egli ci diede di esser perfetti, come è perfetto Dio, che noi chiamiamo nostro Padre in ispirito di adozione: figliuoli che Gli siamo in verità, perché in noi è il Sangue del suo Figliuolo. Sovente anche rammentiamo in queste orazioni i misteri della vita del Signore, e chiediamo che i suoi meriti siano a noi applicati, e siano di nostra ragione, come proprio meriti di noi, che vogliamo restar uniti col nostro gran Capo per sempre. O ricordiam Maria SS., e lo facciamo colla confidenza di veri Figli; o i Santi, e godiam della loro felicità, e vediamo in quella la caparra della nostra beatitudine. Sempre poi chiediamo a Dio, che questi suoi doni divini, di che ci fu così largo con misericordia infinita nel tempo, li conservi e gli aumenti nelle anime nostre qui, e poi coroni l’opera della sua misericordia colla beatitudine eterna: e conchiudiamo coll’esprimere la confidenza, che il Paradiso deve essere tutto per i meriti di questo Gesù Dio che teniamo in noi, tutto nostro. Il popolo risponde: « Amen » ah, così sia! Dobbiamo fermarci ad osservare, che nel Postcommunio si recitano orazioni corrispondenti in numero a quelle recitate nelle Collette prima dell’epistola. Nella quaresima una di più; e per recitarla s’invita il popolo ad umiliarsi prima dinanzi a Dio, dicendosi dal sacerdote: « Oremus; » Humiliate capita vestra Deo. » Cioè « preghiamo: umiliate le vostre teste a Dio. » Il perché si potrà comprendere da ciò che siamo per dire. Per molto tempo si usò anticamente di dispensare dopo la Comunione santissima anche il pane benedetto: il qual uso era una reliquia o monumento delle agapi, o santi conviti, in cui tutti i fedeli sedevano alla mensa comune di carità. Appunto dopo di aver ricevuto tante grazie dal Padre celeste, non si credeva potesse esservi miglior occasione di comunicare in carità, sia per far festa insieme, sia per rispondere in carità alla carità divina, e rappresentare subito in pratica un’immagine della divina bontà. Ciascun fedele pertanto portava in Chiesa qualche ben di Dio; e mangiavano insieme, e se ne mandava ai poveri assenti; veri fratelli , che si ricordavano, che il Padre nostro raccomanda di prendersi la cura di ciascun dei suoi figliuoli. Si conserva ancor un avanzo di questa disciplina nella distribuzione in alcune chiese: come si fa nel rito armeno; in cui, finita la Messa, si siede il Vescovo presso il cancello dell’altare, e distribuisce il pane benedetto a tutti i fedeli, che gli si presentano. Ecco ora il perché dell’humiliate ecc. perchè nella Quaresima, per rispetto al digiuno non si faceva questa distribuzione del pane; invece si recitava sopra il popolo un’ultima orazione, avvertendolo prima, di umiliarsi in ispirito di penitenza. Questa variazione di rito ci porge occasione di osservarne un’altra, che si pratica nei tempi di penitenza e di duolo; ed è il conchiudere , dopo di aver salutati i fedeli col:

Benedicamus Domino.

Nel corso della Quaresima e dell’Avvento (consecrato una volta a penitenza simile a quella della Quaresima, come si suole ancora in certi ordini religiosi), e nelle vigilie delle feste, terminato il Postcommunio, il Sacerdote sostituisce alla parola di commiato Ite Missa est, l’invito « Benedicamus Domino » Benediciamo il Signore; ed il popolo risponde: « Deo gratias, ringraziamo Dio » Pochi Cristiani conoscendo la ragione di questa differenza, noi per ispiegarla osserviamo con alcuni autori, che nei giorni di penitenza, come sono quelli che abbiam nominati, la Chiesa dopo il Sacrificio riteneva ancora nel luogo santo i fedeli e gli esercitava in opere di pietà e di mortificazione. – Ora avendo sempre la Chiesa lo stesso spirito che la vivifica in tutti i tempi, e non le mancando mai fedeli che si esercitano, variando i modi, nelle stesse virtù di umiltà e di penitenza; anche presentemente non licenziando, secondo il solito al fine della Messa il popolo, quasi gli restassero da adempiere ancora nel santuario altre opere di pietà, lo lascia partir col ricordo di eseguire con ispirito di penitente compunzione i doveri del loro stato particolare; chè il miglior modo di soddisfare il Signore nostro Padre sono le opere buone dalla parte nostra. Ognuno deve adunque, nel partire dall’altare, dire a se stesso: « ritorno ai doveri della vita: ma la Chiesa non ha ora finite le sue orazioni con me: mi lascia andare coll’avviso di continuarle tra le occupazioni di questi giorni di salute. » Quindi nel modesto contegno di un santo raccoglimento dobbiam portar l’immagine dell’uom che cammina con Dio: e a Dio dare soddisfazione in ispirito di penitenza: e se ora non ci fermiamo in chiesa come gli antichi Cristiani, continuiamo nel santuario delle nostre case il sacrificio delle opere di carità, specialmente delle più umili e più segrete nel commovente pensiero, che la Chiesa piange pei nostri peccati in questi di! Ed oh! quanto dovrebbe esser facile e dolce l’esercizio di tutte le virtù, quando abbiamo l’anima tutta compresa ed occupata ancora dal mistero santissimo, a cui assistemmo, ed avemmo parte! Insomma la religione nostra dobbiamo tradurla in pratica nel fare il bene col cuore uniti sempre con Gesù Cristo; e trattare i più meschini dei nostri fratelli , come tratteremmo Gesù nostro tutto piagato. Abbiamo tutti le nostre miserie da far esercitare la pazienza e le altre virtù ai fratelli. Veramente giunge al cuore tenerissima anche la osservazione del Cardinale Bellarmino, il quale dice (Tom. 3, Controvers. lib.6, de Misss c.27): che in tempi di mestizia ci si presenta qualche cosa di lugubre nel non licenziare pubblicamente il popolo accomiatandolo; ma sì nel lasciarlo andare senza dirgli parola: sicchè ciascuno di per sè se ne parta confuso, mesto e taciturno. Tutte le volte poi che non si licenzia il popolo coll’Ite, Missa est, avvertiamo che il Sacerdote non si rivolge ai fedeli come in atto di parlare a loro, ma così continuando la sua orazione con Dio, rivolto all’altare, invita il popolo seco a benedire a Lui, ed esclama: « Benedicamus Domino, benediciamo al Signore. » Il popolo risponde pronto: « sì, a Lui siano grazie. » Però anche nella Messa poi defunti non si licenzia coll’Ite, Missa est: ma compiuto il gran rito d’espiazione, esclamasi dall’uom di Dio: « Requiescant in pace; riposino in pace. » Ecco di questa commovente cerimonia la ragione. Le Messe pei defunti sono per lo più seguite dalle esequie, e raccomandazioni delle anime, che sono una continuazione dell’officiatura che si veniva a finire sopra le tombe situate allora tutto intorno all’ombra del santuario. Così terminata la Messa, il sacerdote col dire: requiescant in pace, fa invito a quelli che sono intervenuti ai santi misteri, di non partire sì tosto; ma di fermarsi con lui con calde suppliche a chiedere ancora la pace dei giusti troppo ben meritata dal Sacrificio di Gesù Cristo, sopra i sepolcri dei cari defunti. Difatto nelle esequie il Sacerdote dall’altare discende sulle tombe: pianta sopra esse la croce, e con acute grida, più che col canto, esclama: « libera nos; Signore, liberateci da morte eterna. » Mentre il suddiacono tiene la croce sulle ossa dei morti, il Sacerdote gira sopra esse, le sparge di acqua benedetta, le profuma a purificare quei poverini: prega insomma Gesù a cavare colla sua Mano insanguinata le anime da quel lago di tanti dolori! Poi grida: « raccogliamoci tutti sotto la croce pel di della grande ira di Dio, quando si fiaccheranno i cieli, e cadrà a nulla la terra: e Voi verrete a giudicar il mondo nel fuoco del vostro sdegno…. Ah! Signore, misericordia ai vivi e ai morti, per Gesù Cristo. Kyrie eleison, Christe, Kyrie. – Quanta tenerezza in questo rito! Sotto quelle alte volte del tempio, entro quelle pareti coperte a gramaglia, tra le colonne vestite di nero, alle grida del Sacerdote, allora cento e mille preganti rispondono coi loro clamori! Pare sentirsi i lai di quell’anime in tormento, che sono in purgatorio! e sono le grida di tutti, atterriti dal più tremendo dei giorni, il di del giudizio di Dio ! ! !… Ah ! e poi i fedeli abbracciati alla croce, colla bocca calda del Sangue di Gesù, si lamentano con Dio per le buone anime in tormento ed in seno a Dio vanno gridando: « Requiescant in pace! abbiano la pace in Voi. » Finalmente non vogliamo omettere qui anche, che autori di molta dottrina credono, che il non dire Ite, Missa est, sia segno eziandio dell’essere sempre state in uso le Messe private; e che in quelle, non essendovi presente in corpo il popolo, non si usasse di congedarlo; ma si terminasse col benedire e ringraziare il Signore. In tutte le altre Messe il Sacerdote, per congedare il popolo, va in mezzo all’altare, lo bacia umiliato, come per inchinarsi innanzi alla Maestà divina nell’atto di partirsi dal suo altare, o per trarne un saluto da dare al popolo colla benedizione e colla grazia che vuol augurargli, dicendo ancora; « il Signore sia con voi, » e risponde il popolo: « e collo spirito tuo. » E così quasi non potesse finire senza dire ancora, e il suo cuore non finirebbe mai di dire: « il Signore sia con voi. »

Ite, Missa est.

Andate ; la Messa è compiuta: la grande offerta nella Messa fu già mandata a Dio. Il divin Salvatore risorto dopo di aver soddisfatto alla giustizia di Dio, provveduto alla sua gloria coll’immortal Sacrificio, ed alla salute degli uomini col dar loro i mezzi nei Sacramenti di derivar le grazie guadagnate col preziosissimo Sangue, rivelati i suoi grandi misteri, come dice s. Leone pontefice: e costituita l’immancabile Chiesa, fermandola sopra l’incrollabile Pietro, ebbe compiuta la sua missione in terra. Raccolse tuei i suoi discepoli sul monte Oliveto e li confermò nella fede, dopo di aver fatto loro toccare con mano, che sì veramente era proprio desso, in carne ed ossa, da morte risorto. I discepoli cogli occhi nelle Piaghe gloriose, lo contemplavano giubilanti della gloriosa risurrezione, e partecipando del cuore cosi nella sua promessa, pareva loro già di risorgere con Esso a vita eterna. Ma Gesù disse loro: « andate, predicate l’evangelo a tutte le creature, ed insegnate ad osservare i miei comandamenti ». Li benedisse; e salì al cielo. Consolante spettacolo! Gesù ascende al cielo glorioso: e le anime cristiane si deliziano tutte del suo trionfo, quando a loro si presenta il ministro, che di Lui rende l’immagine sopra l’altare. Nell’atto di congedarle dice: « lie , Missa est, andate, lanMessa è compiuta, » ed accennando a Lui trionfante, pare che dica: « figliuoli, contemplatelo in cielo: Egli è nella gloria: e voi pigliate animo; ancora per poco; andate, compite la missione che vi assegna il Padre nella sua famiglia, coraggio: avete Gesù compagno sempre nei travagli della povera vita: con Lui giugnerete al termine della beatitudine nella gloria eterna, che vi è preparata. »

Così il dire che fa il Sacerdote , « andate, la Messa è compiuta. » più che un licenziare , è un dire ai fedeli: « Anime avventurate, figliuoli bene amati da Dio! avete avuta la grande grazia da Gesù: Lo avete con voi! Andate, raccontate le meraviglie della bontà del nostro Dio, tornate giù da questo Monte così santificati, e ciascun vi vegga in volto i raggi di quella consolazione nel vivere la vita con Dio, con esso godete la felicità della vita cristiana, iniziale dell’eterna beatitudine. » Ancora: « andate, ciascuno per l’ufficio a cui vi destina il Signor vostro; compite i vostri doveri con Gesù Cristo, portate con Lui le vostre croci. Tornerete poi alla fine della giornata della vita nostra a ricevere la ricompensa: fatevi del bene, con Gesù tornerete al dì del giudizio, a ricevere colla finale benedizione la corona promessa a chi ha fatto le belle opere di carità e che persevera fino alla fine. » – Quest’avviso di poter andare, che dà qui ora la Chiesa, ben debbe rammemorare, come vi sono in tutti i tempi delle anime innamorate di Dio, che corrono all’altare, e vi trovano delizie di paradiso; e che hanno bisogno di essere avvertite, quando è tempo di dipartirsi dal luogo santo. Esse hanno provato, che vai più un giorno passato nel tabernacolo del Signore, che non mille anni nelle tende dei peccatori (Salm. LXXXIII, 10). Esse, come gli Apostoli, quando videro Gesù trasfigurato in gloria sul monte Tabor, vorrebber rizzar tende e qui porre mansione a goder di quel gaudio con Gesù Cristo (Matt XVII). Ma Gesù agli Apostoli accennava che la risurrezione e la gloria dovevano venire dopo la sua passione ed il nostro combattimento (Leo Papa: Serm. de transfigur.). Il Sacerdote licenzia i fedeli, e manda ciascuno ai suoi doveri, volendo che tanta loro pietà traducano in atto nei saerifizi della carità di Dio e del prossimo, che esige Gesù da quelli, che voglion essere suoi discepoli. Quando adunque i fervorosi a malincuore dall’altare si allontanerebbero, il Sacerdote fa come gli Angeli (Act. 1) ai discepoli, che stavano attoniti a guardare il cielo. « Andate, pare adunque che debba dire, e confortati preparatevi; perche questo Gesù che vedete qui compiere sull’altare questo spettacolo di misericordia, verrà per raccogliere il frutto che deve dare la terra, che egli inaffia con tanto Sangue divino. »

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.