FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)
Doppio di I cl. con Ottava privilegiata di 2° ordine.
Paramenti bianchi.
Dopo il dogma della SS. Trinità, lo Spirito Santo ci rammenta quello dell’Incarnazione di Gesù, facendoci celebrare con la Chiesa il Sacramento per eccellenza che, riepilogando tutta la vita del Salvatore, dà a Dio gloria infinita e applica alle anime in tutti i momenti i frutti della Redenzione (Or.) ». Gesù ci ha salvati sulla Croce e l’Eucarestia, istituita alla vigilia della passione di Cristo, ne è il perpetuo ricordo (Or.). L’altare è il prolungamento del Calvario, la Messa annuncia « la morte del Signore » (Ep.). Infatti Gesù vi si trova allo stato di vittima; poiché le parole della doppia consacrazione ci mostrano che il pane si è cambiato in Corpo di Cristo, e il vino in Sangue di Cristo; di modo che per ragione di questa doppia consacrazione, che costituisce il Sacrificio della Messa, le specie del pane hanno una ragione speciale a chiamarsi « Corpo di Cristo», benché contengano Cristo tutto intero, poiché Egli non può morire, e le specie del vino una ragione speciale a chiamarsi « Sangue di Cristo », per quanto anche esse contengano Cristo tutt’intero. E così il Salvatore stesso, che è il Sacerdote principale della Messa, offre con Sacrificio incruento, nel medesimo tempo che i suoi Sacerdoti, il suo Corpo e il suo Sangue che realmente furono separati sulla croce, e che sull’altare lo sono in maniera rappresentativa o sacramentale. – D’altra parte si vede che l’Eucarestia fu istituita sotto forma di cibo (All.) perché possiamo unirci alla vittima del Calvario. L’Ostia santa diviene così il « frumento che nutre le nostre anime » (Intr.). E a quel modo che il Cristo, come Figlio di Dio, riceve la vita eterna dal Padre, così i Cristiani partecipano a questa vita eterna (Vang.) unendosi a Gesù mediante il Sacramento che è il Simbolo dell’unità (Secr.). Così, questo possesso anticipato della vita divina sulla terra mediante l’Eucarestia, è pegno e principio di quella di cui gioiremo pienamente in Cielo (Postcom.). « Il medesimo pane degli Angeli che noi mangiamo ora sotto le sacre specie, dice il Concilio di Trento, ci alimenterà in Cielo senza veli », poiché saremo faccia a faccia nel Cielo, con Colui che contempliamo ora con gli occhi della fede sotto le specie eucaristiche. – Consideriamo la Messa come centro di tutto il culto eucaristico della Chiesa; consideriamo nella Comunione il mezzo stabilito da Gesù per farci partecipare più pienamente a questo divino Sacrifizio; così la nostra devozione verso il Corpo e il Sangue del Salvatore ci otterrà efficacemente i frutti della sua redenzione. Per comprendere il significato della Processione che segue la Messa, richiamiamo alla mente come gli Israeliti onorassero l’Arca d’Alleanza che simboleggiava la presenza di Dio in mezzo a loro. Quando essi eseguivano le loro marce trionfali, l’Arca santa avanzava portata dai leviti, in mezzo ad una nuvola d’incenso, al suono degli strumenti di musica, di canti, e di acclamazioni di una folla entusiasta. Noi Cristiani abbiamo un tesoro molto più prezioso, perché nell’Eucaristia possediamo Dio stesso. Siamo dunque santamente fieri di fargli scorta ed esaltiamo, per quanto è possibile, il suo trionfo.
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Adjutórium nostrum ✠ in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, ✠ absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.
V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
Introitus
Ps LXXX: 17.
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, allelúia.
Ps 80:2
[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.]
Exsultáte Deo, adiutóri nostro: iubiláte Deo Iacob.
[Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe.]
Gloria Patri,…
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, alleluja
[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.
Kyrie
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
Gloria
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.
Oratio
Orémus.
Deus, qui nobis sub Sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti: tríbue, quǽsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári; ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus:
[O Dio, che nell’ammirabile Sacramento ci lasciasti la memoria della tua Passione: concedici, Te ne preghiamo, di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue cosí da sperimentare sempre in noi il frutto della tua redenzione:]
Lectio
Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor XI: 23-29
Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem. Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, iudícium sibi mánducat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini.
(Fratelli: Io lo appreso appunto dal Signore, ciò che ho trasmesso anche a voi: che il Signore Gesù la notte che fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese il Calice, e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che Lo berrete, fate questo in memoria di me. Poiché ogni volta che mangerete questo pane, e berrete questo calice, annunzierete la morte di Signore fino a che egli venga. Perciò chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore.)
Né dagli uomini, né dagli altri Apostoli – dice s. Paolo – io so ciò che vi ho insegnato sull’Eucaristia; ma Gesù Cristo stesso me l’ha rivelato. Non tralascia la circostanza del tempo; la notte stessa – dice egli – in cui il Salvatore fu tradito da uno dei suoi Apostoli, dato in mano de’ suoi nemici e trattato con la peggior crudeltà, istituì questo divin Sacramento, pegno il più prezioso del suo amore, ed attestato il più splendido della sua tenerezza. Colà propriamente fu fatto il testamento di questo amabile Padre, col quale dà tutto se stesso ai suoi figli, poche ore davanti la sua morte. S. Paolo entra quindi in molte particolarità di quanto avvenne in quella sì meravigliosa istituzione. È da osservare che l’Apostolo e tutti gli Evangelisti hanno voluto raccontare fin le minime circostanze di tale istituzione. Il Salvatore prese il pane. Gesù Cristo non poteva prendere che pane senza lievito, il solo di cui era permesso servirsi nel fare la pasqua: onde con ragione nella Chiesa romana si consacra con pane azzimo. Egli ringrazia il Padre suo della potestà che gli ha comunicato; i quali atti di ringraziamento eran sempre il preludio quand’era per operare le meraviglie più straordinarie. Quindi avendo spezzato il pane che teneva in mano, disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, che sarà dato per voi. Non disse: prendete e mangiate questo pane; ma prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; la sostanza che Io vi offro sotto queste specie, è il Corpo mio, non è più pane. Poiché il Verbo eterno, la stessa Verità, dice: Questo è il mio corpo, siamone convinti, dice s. Giovanni Grisostomo, crediamolo senza esitanza, riguardiamolo con gli occhi di una fede viva. Questo è il mio Corpo: tale è la virtù e la forza delle parole della consacrazione, di produrre, come causa efficiente, ciò che esse esprimono. Perché tali proposizioni si trovino vere, bisogna solamente che la cosa che esse indicano esista dopo che son pronunziate. Ciò che Gesù Cristo prese in mano, non era che pane; ma appena Egli ebbe pronunziate le parole: Questo è il mio corpo, tutta la sostanza del pane fu annichilata, ed in ciò che Gesù Cristo diede a mangiare ai suoi Apostoli non restò altra sostanza che il suo proprio Corpo, il quale indi a poche ore doveva esser dato in mano ai suoi nemici, saziato d’obbrobri, flagellato e crocifisso. Non vi restavan del pane che le sole apparenze, cioè il colore, la figura, il peso, il sapore, che si dicono comunemente specie. Nel Nuovo Testamento non abbiamo nulla di più formale, di più preciso, di meglio indicato che questa realtà del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nell’adorabile Eucaristia. Ogni volta che si parla di questo divino mistero, o nel sesto capitolo di s. Giovanni, o in tutti gli altri Evangelisti, od in s. Paolo, sempre vi si parla di una presenza e di un mangiare realmente e corporalmente il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo. Il senso delle figure non vi entra affatto, anzi n’è escluso positivamente, poiché il Corpo che Gesù Cristo dette a mangiare a’ suoi Apostoli era il medesimo, secondo la sua parola, di quello che abbandonava alle ignominie della sua passione ed alla croce per riscattarci. Questo è il mio Corpo, che sarà dato per voi. Ora senz’essere Manicheo, nessuno ardirebbe dire che il Corpo del Figliuolo di Dio non sia stato dato alla morte che in figura. Dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, tutta la Chiesa ha sempre creduto che il Corpo di Gesù Cristo sia realmente e veramente offerto in Sacrifizio, distribuito ai fedeli nella Comunione, e realmente presente nell’Eucaristia; e noi non potremmo parlare della presenza reale di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento in modo più chiaro, più formale, più preciso di quel che hanno fatto i Padri dei primi secoli. – Voi mi direte forse, dice s. Ambrogio, che questo pane che vi si dà a mangiare nella Comunione è pane usuale ed ordinario. È vero che prima delle parole sacramentali questo pane fosse pane; ma dopo la Consacrazione, in luogo del pane si trova il Corpo di Gesù Cristo. Ecco che deve essere indubitabile per noi. Ma come si può fare, continua il medesimo Padre, che ciò che è pane sia il Corpo di Gesù Cristo? E risponde: Per la Consacrazione, la quale non contiene, se non che le proprie parole di Gesù Cristo; poiché, prosegue egli, in tutto ciò che precede la Consacrazione, il Sacerdote parla in suo nome, quando loda e benedice il Signore, ovvero prega per il re e per il popolo; ma quando arriva alla Consacrazione, il Sacerdote non parla più in suo nome, ma è Gesù Cristo medesimo che parla per la bocca del Sacerdote. È dunque, a dir propriamente, è la parola di Gesù Cristo medesimo che opera questo Sacramento; quella parola, io dico, che dal nulla ha create tutte le cose. Egli ha parlato, continua il medesimo Padre, e tutte le cose sono state fatte; ha comandato, ed ogni cosa è uscita dal nulla. Or, prima della Consacrazione, non vi era affatto il Corpo di Gesù Cristo, non eravi che pane ordinario: ma dopo la Consacrazione, io ve lo ripeto, non vi è più pane, ma è il Corpo di Gesù Cristo. Se S. Ambrogio avesse avuto a rispondere ai Protestanti dei nostri giorni, avrebbe egli potuto parlare in modo più preciso e più chiaro? – S. Cirillo, patriarca di Gerusalemme, che viveva nel IV secolo, spiegando al suo popolo le principali verità della Religione, gli diceva: La dottrina di S. Paolo sul divino mistero dell’Eucaristia deve più che bastare a stabilir la vostra credenza circa un sì augusto Sacramento. Questo grande Apostolo ci diceva nella lezione che avete udita, come la notte istessa che questo divin Salvatore doveva esser tradito, prese del pane, e rese le grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. E parimente prendendo il calice, disse: Bevete, questo è il mio Sangue. Dopo dunque che Gesù Cristo ha detto del pane che aveva preso: Questo è il mio Corpo, chi è che oserà di avere il minimo dubbio? E poiché il medesimo Gesù Cristo ha detto così affermativamente: Questo è il mio Sangue, chi potrà mai dubitare di questa verità, e dire che non sia realmente il suo Sangue? E come! dice egli, Colui che ha cangiato l’acqua in vino alle nozze di Cana, non meriterà che crediamo che Egli cangi il vino nel suo prezioso Sangue? Sotto le specie del pane e del vino, continua il medesimo Padre, il Salvatore ci dà il suo Corpo ed il suo Sangue; in guisa che noi portiamo veramente Gesù Cristo nel nostro corpo, quando riceviamo il suo: Sic enim efficimur Christiferi, cum corpus ejus et sanguinem in membra nostra recipimus. I pani della proposizione dell’antico Testamento sono aboliti: noi non abbiamo nel Nuovo che questo pane celeste e questo calice di salute, i quali santificano l’anima e il corpo. E perciò, conclude egli, guardatevi bene dall’immaginarvi che ciò che vedete non sia che pane e vino: è realmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo: bisogna che la fede corregga l’idea che ve ne danno i sensi. Guardatevi bene dal giudicarne con gli occhi o dal sapore, ma la fede vi renda certa e indubitabile questa verità, essere il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo che voi ricevete. Queste sono le parole di S. Cirillo. Ecco quale è stata la fede dei primi fedeli sull’Eucaristia. Si è sempre creduto nella Chiesa, dal primo giorno della sua nascita fino a noi, che la sostanza del pane e del vino si cangi nella sostanza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo: ed è ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè cangiamento di sostanza; e per la virtù onnipotente delle parole di Gesù Cristo, che il Sacerdote pronunzia in nome del Salvatore, si opera questo portento. Se Dio poté cangiare la moglie di Lot in una statua di sale, la verga di Aronne in un serpente, e l’acqua in vino alle nozze di Cana, dicevano i Padri della Chiesa quando istruivano i novelli battezzati per la prima comunione, perché questo medesimo Dio non potrà cangiare il pane ed il vino nel suo sacro Corpo e nel suo prezioso Sangue nel Sacramento dell’Eucaristia? – Ogni volta che mangerete di questo pane, dice Gesù Cristo, e berrete di questo calice, annunzierete la morte del Signore, fino a tanto che Egli venga. Il Sacrifizio incruento di Gesù Cristo non differendo che nel modo dal Sacrifizio cruento del medesimo Salvatore, deve richiamare alla mente di quelli che vi partecipano, la memoria della morte di Gesù Cristo. Con queste parole: Fino a tanto che Egli venga, S. Paolo ci mostra che il Sacramento dell’Eucaristia durerà sino alla fine del mondo. Chiunque, pertanto, mangerà di questo pane o berrà di questo calice indegnamente, dice il S. Apostolo, sarà reo di delitto contro il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Questa espressione prova in modo convincente la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Qual orrore non dobbiamo avere del peccato che commettono coloro, i quali fanno Comunioni sacrileghe! Non è un Sacrifizio che essi offrono, dice s. Giovanni Grisostomo, è un omicidio che commettono; non è un nutrimento che prendono, è un veleno. Colui che mangia questo pane e beve di questo calice indegnamente, mangia e beve la sua condanna, per la colpa di non discernere il Corpo del Signore; cioè egli ha in se stesso la prova visibile del suo peccato; e il suo processo, per così dire, è bell’e fatto. Questo divin Salvatore è il suo Giudice, questo pane di vita è il decreto della sua morte. Sacrilegio, tradimento, nera ingratitudine, crudele ipocrisia, quanti delitti in una sola Comunione fatta indegnamente! E quali ne sono gli effetti? Spessissimo l’induramento e l’impenitenza finale.
(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P. e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).
Graduale
Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.
[Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore: e Tu concedi loro il cibo a tempo opportuno.]
V. Aperis tu manum tuam: et imples omne animal benedictióne. Allelúia, allelúia.
[Apri la tua mano: e colma ogni essere vivente della tua benedizione]
Ioannes VI: 56-57
Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo. Alleluia.
[La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Alleluia.]
Sequentia
Thomæ de Aquino.
Lauda, Sion, Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.
Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.
Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.
Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.
Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.
Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.
In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.
Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.
Quod in coena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.
Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.
Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.
Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.
Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.
Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.
A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.
Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.
Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.
Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.
Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.
Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.
Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.
In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.
Bone pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.
Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia.
[Loda, o Sion, il Salvatore, loda il capo e il pastore, con inni e càntici.
Quanto puoi, tanto inneggia: ché è superiore a ogni lode, né basta il lodarlo.
Il pane vivo e vitale è il tema di lode speciale, che oggi si propone.
Che nella mensa della sacra cena, fu distribuito ai dodici fratelli, è indubbio.
Sia lode piena, sia sonora, sia giocondo e degno il giúbilo della mente.
Poiché si celebra il giorno solenne, in cui in primis fu istituito questo banchetto.
In questa mensa del nuovo Re, la nuova Pasqua della nuova legge estingue l’antica.
Il nuovo rito allontana l’antico, la verità l’ombra, la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece nella cena, ordinò che venisse fatto in memoria di sé.
Istruiti dalle sacre leggi, consacriamo nell’ostia di salvezza il pane e il vino.
Ai Cristiani è dato il dogma: che il pane si muta in carne, e il vino in sangue.
Ciò che non capisci, ciò che non vedi, lo afferma pronta la fede, oltre l’ordine naturale.
Sotto specie diverse, che son solo segni e non sostanze, si celano realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda, ma Cristo è intero sotto l’una e l’altra specie.
Da chi lo assume, non viene tagliato, spezzato, diviso: ma preso integralmente.
Lo assuma uno, lo assumino in mille: quanto riceve l’uno tanto gli altri: né una volta ricevuto viene consumato.
Lo assumono i buoni e i cattivi: ma con diversa sorte di vita e di morte.
Pei cattivi è morte, pei buoni vita: oh che diverso esito ha una stessa assunzione.
Spezzato poi il Sacramento, non temere, ma ricorda che tanto è nel frammento quanto nel tutto.
Non v’è alcuna separazione: solo un’apparente frattura, né vengono diminuiti stato e grandezza del simboleggiato.
Ecco il pane degli Angeli, fatto cibo dei viandanti: in vero il pane dei figli non è da gettare ai cani.
Prefigurato con l’immolazione di Isacco, col sacrificio dell’Agnello Pasquale, e con la manna donata ai padri.
Buon pastore, pane vero, o Gesú, abbi pietà di noi: Tu ci pasci, ci difendi: fai a noi vedere il bene nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e tutto puoi: che ci pasci, qui, mortali: fa che siamo tuoi commensali, coeredi e compagni dei Santi del cielo. Amen. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia sancti Evangéli secúndum S. Ioánnem.
Ioann VI: 56-59
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudæórum: Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum.
[Gesù disse un giorno alle turbe della Giudea: « La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, resta .in me, e Io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre; così chi mangerà da me, vivrà per me. Questo è il pane che discese dal cielo. Non come i vostri padri, che mangiarono la manna e morirono: chi mangia di questo pane, vivrà in eterno » (Giov. VI, 56-59). ]
OMELIA
(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.
FESTA DEL «CORPUS DOMINI»
LA SANTA MESSA
A Cafarnao Gesù promise con parole nitide e ferme che avrebbe istituito l’Eucaristia: « Io sono il Pane Vivo disceso dal cielo. La mia carne è veramente cibo ed il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. E vivrà in eterno ». È questo un tale prodigio d’Amore, che molti quando per la prima volta lo sentirono annunziare, non ci poterono credere e se ne andarono via da Gesù. Gesù piuttosto che raccorciare sulla nostra misura il suo Amore immenso, li lasciò andare. Quello che aveva promesso, mantenne fedelmente quella sera in cui sarebbe stato tradito. Consacrò il pane e il vino e li distribuì dicendo: « Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo. Prendete e bevete: questo è il calice del mio Sangue che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati ». Da quella sera gli uomini ebbero sulla terra una partecipazione del convito del Paradiso. Grande veramente è il banchetto Eucaristico: in esso si riceve Gesù Cristo medesimo, il quale si unisce a noi, infonde nel nostro cuore e nella nostra volontà il suo amore e il suo volere, e poi insieme a noi si offre al Padre, glorifica la SS. Trinità, e ci rende così degni della vita eterna e divina. Troppo grande mistero, troppo bello, perché la nostra piccola mente possa arrivare a capirlo! Rinnoviamo la fede. – Noi fermamente crediamo, garantiti come siamo dalla infallibile parola del Figlio di Dio: « Questo è il mio Corpo: prendete e bevete. Fate questo in memoria di me ». Quando il Sacerdote nella santa Messa ripete queste parole consacratorie, il medesimo Gesù che troneggia glorificato nel Cielo, si fa presente sull’altare. Com’è possibile ciò? Ci sono dunque due Gesù, uno in Vielo e uno sull’altare? Ci sono tanti innumerevoli Gesù quanti sono i tabernacoli, quante sono le particole consacrate? No: non c’è che un solo Gesù, Il Salvatore non può essere moltiplicato: è soltanto la presenza che viene moltiplicata. Senza dubbio è un grande mistero. Tenterò con un paragone di farci intorno un poco di luce. Ecco, io in mezzo alla Chiesa lancio una parola sola, questa: « Gesù! ». Che parola avete sentito voi? Tutti, la stessa identica parola. Eppure voi siete molti, e ciascuno di voi l’ha sentita intera per conto suo, nella sua anima, come se fosse stato qui solo nella chiesa. Dunque la medesima e unica parola è diventata presente in ciascuno di voi. In un modo simile, ma assai più concreto, il medesimo identico Gesù è presente interamente e realmente in ciascuna ostia. Dopo aver rinnovata la fede, dopo aver accennata alla più elementare difficoltà, svolgerò il mistero eucaristico nel suo aspetto più essenziale, quello della santa Messa. – 1. IL GRANDE SACRIFICIO DELLA S. MESSA. Il Sacramento dell’Eucaristia s’incentra tutto nella Messa: è in essa che si genera Gesù Eucaristico e che viene immolato per la remissione dei nostri peccati, è solo per essa che vien distribuito in nutrimento delle anime; è per un prolungamento di essa che resta aspettando giorno e notte ed accogliendo quanti hanno bisogno e desiderio di Lui. È il medesimo sacrificio del Calvario che durante la S. Messa si rende presente e attuale sull’altare, benché senza più dolore né spargimento di sangue, con la S. Messa veramente il Nome di Dio può essere santificato sulla terra come lo è in Cielo. Il Cielo è l’infinita, luminosa basilica dove l’unico Sacerdote, Gesù Cristo, rende continuamente alla SS. Trinità tutta la gloria che già le donò con la sua sanguinosa immolazione sul Calvario: « Osservate — avverte Bossuet — come Egli si avvicini al Padre, e gli presenti le piaghe irrimarginabili, ancor vermiglie di quel divino Sangue della Nuova Alleanza, versato nel doloroso Venerdì quando morì per la redenzione delle anime » (Sermone sull’Ascensione). La terra a sua volta è la vasta cripta dove il Papa, i Vescovi, e all’incirca 400 mila preti celebrano quotidianamente la S. Messa, cioè prestano il loro ministero affinché l’unico Sacerdote Gesù Cristo, anche quaggiù possa rioffrire a Dio il suo Corpo e il suo Sangue, che per la prima volta gli offrì tra gli spasimi della croce. Dunque quel medesimo Gesù che S. Giovanni vide come un Agnello immolato sull’altare sublime del Cielo, lo possediamo anche noi come Agnello immolato sugli altari di questa terra. In Paradiso gli Angeli e i Santi non restano inattivi attorno al grande Sacerdote, ma a Lui s’uniscono, si offrono con Lui. Così deve avvenire sulla terra: « Quando assistiamo al divin Sacrificio — dice S. Gregorio Magno — è necessario che sacrifichiamo anche noi stessi con la contrizione del cuore… La Vittima divina non ci gioverà presso Dio se non ci facciamo anche noi vittime congiunte ad essa » (Dial., LIV). Dunque, assistendo alla S. Messa dobbiamo metterci sulla patena d’oro, piccole ostie accanto alla grande Ostia, offrirci a Dio senza riserve. La S. Messa diventa allora un dramma vissuto, e assistervi non significa far da spettatore più o meno commosso, ma prendervi una parte tutt’altro che indifferente: unirci a Gesù, consacrificarci con Lui. Che vuol dire questo? Innanzi tutto, vuol dire accettazione amorosa di tutte le pene e di tutte le contrarietà inevitabili della nostra vita. Poi vuol dire rinuncia a tutti quei piaceri, quelle abitudini che possano essere desiderati dalla nostra natura corrotta, ma che la legge di Dio proibisce. Senza questo duplice sacrificio non si potrà mai partecipare veramente alla santa Messa. Se ci sono poi anime generose che desiderano consacrificarsi più pienamente, dirò che ogni giorno sono innumerevoli le occasioni per prepararci a sentire sempre meglio la S. Messa; lo stesso alzarci di buon mattino è sacrificare la nostra pigrizia; adempiere coscienziosamente il nostro dovere è sacrificare la negligenza, a tavola si può sacrificare la nostra golosità; in compagnia si può sacrificare il desiderio di dire o di ascoltare cose inutili, o peggio; con l’elemosina si può sacrificare la nostra avarizia. Il Card. Mercier diceva: « Che cos’è un Cristiano? Cristiano è uno che va a Messa ». Quando la Messa è vissuta come abbiamo spiegato, la definizione è perfetta. – 2. COME VI PARTECIPANO GLI UOMINI. Tutti i fedeli sono invitati al gran banchetto eucaristico della santa Messa, ed invitati tutti i giorni. Non squillano per questo ogni alba le campane, voci di Dio che chiama alla sua grande cena? Tutti i fedeli sono poi obbligati sotto pena di peccato mortale a sentire la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. A questo proposito potremmo distinguere tre categorie di Cristiani.
a) Quelli che rifiutano. E sono molti, specialmente uomini, che non ascoltano più la Messa nemmeno nei giorni festivi. Moltissimi che la tralasciano saltuariamente, senza preoccuparsi del grave peccato che commettono. Se li avvisate vi capiterà di sentire qualcuna di queste risposte: « Sono all’officina tutta la settimana: ho solo la festa per lavorare il mio giardino, il mio campo… Non ho quindi tempo di venire in chiesa » oppure: « Non ho che la Domenica per riposarmi un po! Per riordinare le cose di casa; e non voglio sciuparla. Ed anche: «La Messa, che noia! Se poi c’è la predica, mi prendono le vertigini. Si aspetta solo la Domenica per potere andare in lieta compagnia a godere l’aria dei monti e dei laghi!…. La ragione profonda di questa condotta è unica: essi non sanno il male che si fanno e la gloria che negano a Dio; essi non capiscono più il Sacrificio della Croce né il Sacrificio dell’Altare che lo rinnova; essi non sono più Cristiani.
b) La seconda categoria è di quelli che a Messa tornano ancora, ma più per abitudine che per interiore convinzione. Vanno perché ci sono sempre andati fin da bambini: perché è quasi uno svago e possono incontrarsi con quella persona, o dare uno sguardo a quell’altra; perché non vogliono sentire i rimproveri dei buoni genitori o della buona moglie. Arrivano in ritardo ed escono prima della fine: preferiscono stare dietro le colonne e non vedono nulla di quello che avviene sull’altare; e di solito si fermano in fondo addossati alla porta. Non hanno corona, non hanno libro di preghiera; non aprono bocca. Rimangono là con un’aria tra disvagati ed annoiati, a cui soprattutto preme che il momento d’andarsene arrivi presto. – La loro condotta morale in famiglia, in ufficio o in officina non è migliore di chi non ha l’usanza della Messa; ed è spesso per colpa loro che capita d’udire: « Chi va in Chiesa è peggiore degli altri ».
c) V’è però la categoria dei buoni Cristiani, per i quali la Messa domenicale è un sacrosanto dovere ed un soave conforto. Tra questi s’incontrano belle anime capaci di considerevoli sacrifici, pur di soddisfare al precetto festivo. Di essi molti hanno imparato anche a capire e a seguire liturgicamente il divin Sacrificio. Sanno che tutti i Cristiani formano un Corpo mistico di cui Cristo è il centro vitale. Sanno pure che le anime in stato di grazia vivono della vita stessa di Cristo. Sanno di consacrarsi insieme a Lui per la gloria del Padre. Leggono il messalino o qualche provvido libretto che riporta le orazioni della S. Messa, e gustano la profondità e la bellezza di quelle preghiere, e vivono il dramma divino che passa fra la terra e il Cielo. – S. Francesco Borgia aveva un divino istinto che lo guidava verso l’Eucaristia, e benché alcune volte non si sapeva dove fossero conservate le sacre specie, da quel divino istinto egli era condotto verso di esse infallibilmente (Brev. Ambr., 1 ott.). Cristiani, un dolce desiderio deve pur spingere anche noi verso l’Eucaristia, specialmente verso la Messa. Ogni Messa è un tesoro di gloria per Dio, di grazia per noi: perché non siam presi dalla divina avarizia di accumulare queste ricchezze, che neppure la morte ci potrà rapire? Perché, se lo possiamo, non ascoltare la Messa ogni giorno? – Ebbene, quanti la salute cagionevole e le preoccupazioni tengono via dalla Messa quotidiana [e l’impossibilità attuale di poter partecipare ad una vera Messa cattolica celebrata da un Sacerdote con missione canonica ricevuta da un vero Vescovo con Giurisdizione efficace “una cum” il Santo Padre impedito – ndr. ], rivolgano pur da lontano i loro pensieri a Gesù che in quel momento, s’immola. Il Signore gradirà la loro spirituale offerta d’amore.
Offertorium
Orémus
Levit. XXI: 6
Sacerdótes Dómini incénsum et panes ófferunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo, et non pólluent nomen eius, allelúia.
[I sacerdoti del Signore offrono incenso e pane a Dio: perciò saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il suo nome, allelúia.]
Secreta
Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, unitátis et pacis propítius dona concéde: quæ sub oblátis munéribus mýstice designántur.
[O Signore, Te ne preghiamo, concedi propizio alla tua Chiesa i doni dell’unità e della pace, che misticamente son figurati dalle oblazioni presentate.]
Præfatio
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.
de Nativitate Domini
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.
[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.
Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:
Pater noster
qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.
Agnus Dei
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.
Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
Communio
1 Cor XI: 26-27
Quotiescúmque manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat: itaque quicúmque manducáverit panem vel bíberit calicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini, allelúia.
[Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché verrà: ma chiunque avrà mangiato il pane e bevuto il sangue indegnamente sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore, allelúia.]
Postcommunio
Orémus.
Fac nos, quǽsumus, Dómine, divinitátis tuæ sempitérna fruitióne repléri: quam pretiósi Corporis et Sanguinis tui temporalis percéptio præfigúrat:
[O Signore, Te ne preghiamo, fa che possiamo godere del possesso eterno della tua divinità: prefigurato dal tuo prezioso Corpo e Sangue che ora riceviamo].
PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)