FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)

FESTA DEL CORPUS DOMINI (2023)

Doppio di I cl. con Ottava privilegiata di 2° ordine.

Paramenti bianchi.

Dopo il dogma della SS. Trinità, lo Spirito Santo ci rammenta quello dell’Incarnazione di Gesù, facendoci celebrare con la Chiesa il Sacramento per eccellenza che, riepilogando tutta la vita del Salvatore, dà a Dio gloria infinita e applica alle anime in tutti i momenti i frutti della Redenzione (Or.) ». Gesù ci ha salvati sulla Croce e l’Eucarestia, istituita alla vigilia della passione di Cristo, ne è il perpetuo ricordo (Or.). L’altare è il prolungamento del Calvario, la Messa annuncia « la morte del Signore » (Ep.). Infatti Gesù vi si trova allo stato di vittima; poiché le parole della doppia consacrazione ci mostrano che il pane si è cambiato in Corpo di Cristo, e il vino in Sangue di Cristo; di modo che per ragione di questa doppia consacrazione, che costituisce il Sacrificio della Messa, le specie del pane hanno una ragione speciale a chiamarsi « Corpo di Cristo», benché contengano Cristo tutto intero, poiché Egli non può morire, e le specie del vino una ragione speciale a chiamarsi « Sangue di Cristo », per quanto anche esse contengano Cristo tutt’intero. E così il Salvatore stesso, che è il Sacerdote principale della Messa, offre con Sacrificio incruento, nel medesimo tempo che i suoi Sacerdoti, il suo Corpo e il suo Sangue che realmente furono separati sulla croce, e che sull’altare lo sono in maniera rappresentativa o sacramentale. – D’altra parte si vede che l’Eucarestia fu istituita sotto forma di cibo (All.) perché possiamo unirci alla vittima del Calvario. L’Ostia santa diviene così il « frumento che nutre le nostre anime » (Intr.). E a quel modo che il Cristo, come Figlio di Dio, riceve la vita eterna dal Padre, così i Cristiani partecipano a questa vita eterna (Vang.) unendosi a Gesù mediante il Sacramento che è il Simbolo dell’unità (Secr.). Così, questo possesso anticipato della vita divina sulla terra mediante l’Eucarestia, è pegno e principio di quella di cui gioiremo pienamente in Cielo (Postcom.). « Il medesimo pane degli Angeli che noi mangiamo ora sotto le sacre specie, dice il Concilio di Trento, ci alimenterà in Cielo senza veli », poiché saremo faccia a faccia nel Cielo, con Colui che contempliamo ora con gli occhi della fede sotto le specie eucaristiche. – Consideriamo la Messa come centro di tutto il culto eucaristico della Chiesa; consideriamo nella Comunione il mezzo stabilito da Gesù per farci partecipare più pienamente a questo divino Sacrifizio; così la nostra devozione verso il Corpo e il Sangue del Salvatore ci otterrà efficacemente i frutti della sua redenzione. Per comprendere il significato della Processione che segue la Messa, richiamiamo alla mente come gli Israeliti onorassero l’Arca d’Alleanza che simboleggiava la presenza di Dio in mezzo a loro. Quando essi eseguivano le loro marce trionfali, l’Arca santa avanzava portata dai leviti, in mezzo ad una nuvola d’incenso, al suono degli strumenti di musica, di canti, e di acclamazioni di una folla entusiasta. Noi Cristiani abbiamo un tesoro molto più prezioso, perché nell’Eucaristia possediamo Dio stesso. Siamo dunque santamente fieri di fargli scorta ed esaltiamo, per quanto è possibile, il suo trionfo.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Ps LXXX: 17.
Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, allelúia.
Ps 80:2

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.]

Exsultáte Deo, adiutóri nostro: iubiláte Deo Iacob.

[Esultate in Dio nostro aiuto: rallegratevi nel Dio di Giacobbe.]

Gloria Patri,…

Cibávit eos ex ádipe fruménti, allelúia: et de petra, melle saturávit eos, allelúia, allelúia, alleluja

[Li ha nutriti col fiore del frumento, allelúia: e li ha saziati col miele scaturito dalla roccia, allelúia, allelúia, allelúia.

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis sub Sacraménto mirábili passiónis tuæ memóriam reliquísti: tríbue, quǽsumus, ita nos Córporis et Sánguinis tui sacra mystéria venerári; ut redemptiónis tuæ fructum in nobis iúgiter sentiámus:

[O Dio, che nell’ammirabile Sacramento ci lasciasti la memoria della tua Passione: concedici, Te ne preghiamo, di venerare i sacri misteri del tuo Corpo e del tuo Sangue cosí da sperimentare sempre in noi il frutto della tua redenzione:]

Lectio

Léctio Epistolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios
1 Cor XI: 23-29
Fratres: Ego enim accépi a Dómino quod et trádidi vobis, quóniam Dóminus Iesus, in qua nocte tradebátur, accépit panem, et grátias agens fregit, et dixit: Accípite, et manducáte: hoc est corpus meum, quod pro vobis tradétur: hoc fácite in meam commemoratiónem.
Simíliter ei cálicem, postquam cenávit, dicens: Hic calix novum Testaméntum est in meo sánguine. Hoc fácite, quotiescúmque bibétis, in meam commemoratiónem. Quotiescúmque enim manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat. Itaque quicúmque manducáverit panem hunc vel bíberit cálicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini. Probet autem seípsum homo: et sic de pane illo edat et de calice bibat. Qui enim mánducat et bibit indígne, iudícium sibi mánducat et bibit: non diiúdicans corpus Dómini.

(Fratelli: Io lo appreso appunto dal Signore, ciò che ho trasmesso anche a voi: che il Signore Gesù la notte che fu tradito, prese del pane, e dopo aver reso le grazie, lo spezzò, e disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo che sarà offerto per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti, dopo aver cenato, prese il Calice, e disse: Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue. Tutte le volte che Lo berrete, fate questo in memoria di me. Poiché ogni volta che mangerete questo pane, e berrete questo calice, annunzierete la morte di Signore fino a che egli venga. Perciò chiunque mangerà questo pane, o berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso, e poi mangi di questo pane e beva di questo calice. Poiché chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve la propria condanna, non distinguendo il corpo del Signore.)

Né dagli uomini, né dagli altri Apostoli – dice s. Paolo – io so ciò che vi ho insegnato sull’Eucaristia; ma Gesù Cristo stesso me l’ha rivelato. Non tralascia la circostanza del tempo; la notte stessa – dice egli – in cui il Salvatore fu tradito da uno dei suoi Apostoli, dato in mano de’ suoi nemici e trattato con la peggior crudeltà, istituì questo divin Sacramento, pegno il più prezioso del suo amore, ed attestato il più splendido della sua tenerezza. Colà propriamente fu fatto il testamento di questo amabile Padre, col quale dà tutto se stesso ai suoi figli, poche ore davanti la sua morte. S. Paolo entra quindi in molte particolarità di quanto avvenne in quella sì meravigliosa istituzione. È da osservare che l’Apostolo e tutti gli Evangelisti hanno voluto raccontare fin le minime circostanze di tale istituzione. Il Salvatore prese il pane. Gesù Cristo non poteva prendere che pane senza lievito, il solo di cui era permesso servirsi nel fare la pasqua: onde con ragione nella Chiesa romana si consacra con pane azzimo. Egli ringrazia il Padre suo della potestà che gli ha comunicato; i quali atti di ringraziamento eran sempre il preludio quand’era per operare le meraviglie più straordinarie. Quindi avendo spezzato il pane che teneva in mano, disse: Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, che sarà dato per voi. Non disse: prendete e mangiate questo pane; ma prendete e mangiate, questo è il mio Corpo; la sostanza che Io vi offro sotto queste specie, è il Corpo mio, non è più pane. Poiché il Verbo eterno, la stessa Verità, dice: Questo è il mio corpo, siamone convinti, dice s. Giovanni Grisostomo, crediamolo senza esitanza, riguardiamolo con gli occhi di una fede viva. Questo è il mio Corpo: tale è la virtù e la forza delle parole della consacrazione, di produrre, come causa efficiente, ciò che esse esprimono. Perché tali proposizioni si trovino vere, bisogna solamente che la cosa che esse indicano esista dopo che son pronunziate. Ciò che Gesù Cristo prese in mano, non era che pane; ma appena Egli ebbe pronunziate le parole: Questo è il mio corpo, tutta la sostanza del pane fu annichilata, ed in ciò che Gesù Cristo diede a mangiare ai suoi Apostoli non restò altra sostanza che il suo proprio Corpo, il quale indi a poche ore doveva esser dato in mano ai suoi nemici, saziato d’obbrobri, flagellato e crocifisso. Non vi restavan del pane che le sole apparenze, cioè il colore, la figura, il peso, il sapore, che si dicono comunemente specie. Nel Nuovo Testamento non abbiamo nulla di più formale, di più preciso, di meglio indicato che questa realtà del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo nell’adorabile Eucaristia. Ogni volta che si parla di questo divino mistero, o nel sesto capitolo di s. Giovanni, o in tutti gli altri Evangelisti, od in s. Paolo, sempre vi si parla di una presenza e di un mangiare realmente e corporalmente il Corpo ed il Sangue di Gesù Cristo. Il senso delle figure non vi entra affatto, anzi n’è escluso positivamente, poiché il Corpo che Gesù Cristo dette a mangiare a’ suoi Apostoli era il medesimo, secondo la sua parola, di quello che abbandonava alle ignominie della sua passione ed alla croce per riscattarci. Questo è il mio Corpo, che sarà dato per voi. Ora senz’essere Manicheo, nessuno ardirebbe dire che il Corpo del Figliuolo di Dio non sia stato dato alla morte che in figura. Dal tempo degli Apostoli fino ai nostri giorni, tutta la Chiesa ha sempre creduto che il Corpo di Gesù Cristo sia realmente e veramente offerto in Sacrifizio, distribuito ai fedeli nella Comunione, e realmente presente nell’Eucaristia; e noi non potremmo parlare della presenza reale di Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento in modo più chiaro, più formale, più preciso di quel che hanno fatto i Padri dei primi secoli. – Voi mi direte forse, dice s. Ambrogio, che questo pane che vi si dà a mangiare nella Comunione è pane usuale ed ordinario. È vero che prima delle parole sacramentali questo pane fosse pane; ma dopo la Consacrazione, in luogo del pane si trova il Corpo di Gesù Cristo. Ecco che deve essere indubitabile per noi. Ma come si può fare, continua il medesimo Padre, che ciò che è pane sia il Corpo di Gesù Cristo? E risponde: Per la Consacrazione, la quale non contiene, se non che le proprie parole di Gesù Cristo; poiché, prosegue egli, in tutto ciò che precede la Consacrazione, il Sacerdote parla in suo nome, quando loda e benedice il Signore, ovvero prega per il re e per il popolo; ma quando arriva alla Consacrazione, il Sacerdote non parla più in suo nome, ma è Gesù Cristo medesimo che parla per la bocca del Sacerdote. È dunque, a dir propriamente, è la parola di Gesù Cristo medesimo che opera questo Sacramento; quella parola, io dico, che dal nulla ha create tutte le cose. Egli ha parlato, continua il medesimo Padre, e tutte le cose sono state fatte; ha comandato, ed ogni cosa è uscita dal nulla. Or, prima della Consacrazione, non vi era affatto il Corpo di Gesù Cristo, non eravi che pane ordinario: ma dopo la Consacrazione, io ve lo ripeto, non vi è più pane, ma è il Corpo di Gesù Cristo. Se S. Ambrogio avesse avuto a rispondere ai Protestanti dei nostri giorni, avrebbe egli potuto parlare in modo più preciso e più chiaro? – S. Cirillo, patriarca di Gerusalemme, che viveva nel IV secolo, spiegando al suo popolo le principali verità della Religione, gli diceva: La dottrina di S. Paolo sul divino mistero dell’Eucaristia deve più che bastare a stabilir la vostra credenza circa un sì augusto Sacramento. Questo grande Apostolo ci diceva nella lezione che avete udita, come la notte istessa che questo divin Salvatore doveva esser tradito, prese del pane, e rese le grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate; questo è il mio Corpo. E parimente prendendo il calice, disse: Bevete, questo è il mio Sangue. Dopo dunque che Gesù Cristo ha detto del pane che aveva preso: Questo è il mio Corpo, chi è che oserà di avere il minimo dubbio? E poiché il medesimo Gesù Cristo ha detto così affermativamente: Questo è il mio Sangue, chi potrà mai dubitare di questa verità, e dire che non sia realmente il suo Sangue? E come! dice egli, Colui che ha cangiato l’acqua in vino alle nozze di Cana, non meriterà che crediamo che Egli cangi il vino nel suo prezioso Sangue? Sotto le specie del pane e del vino, continua il medesimo Padre, il Salvatore ci dà il suo Corpo ed il suo Sangue; in guisa che noi portiamo veramente Gesù Cristo nel nostro corpo, quando riceviamo il suo: Sic enim efficimur Christiferi, cum corpus ejus et sanguinem in membra nostra recipimus. I pani della proposizione dell’antico Testamento sono aboliti: noi non abbiamo nel Nuovo che questo pane celeste e questo calice di salute, i quali santificano l’anima e il corpo. E perciò, conclude egli, guardatevi bene dall’immaginarvi che ciò che vedete non sia che pane e vino: è realmente il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo: bisogna che la fede corregga l’idea che ve ne danno i sensi. Guardatevi bene dal giudicarne con gli occhi o dal sapore, ma la fede vi renda certa e indubitabile questa verità, essere il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo che voi ricevete. Queste sono le parole di S. Cirillo. Ecco quale è stata la fede dei primi fedeli sull’Eucaristia. Si è sempre creduto nella Chiesa, dal primo giorno della sua nascita fino a noi, che la sostanza del pane e del vino si cangi nella sostanza del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo: ed è ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè cangiamento di sostanza; e per la virtù onnipotente delle parole di Gesù Cristo, che il Sacerdote pronunzia in nome del Salvatore, si opera questo portento. Se Dio poté cangiare la moglie di Lot in una statua di sale, la verga di Aronne in un serpente, e l’acqua in vino alle nozze di Cana, dicevano i Padri della Chiesa quando istruivano i novelli battezzati per la prima comunione, perché questo medesimo Dio non potrà cangiare il pane ed il vino nel suo sacro Corpo e nel suo prezioso Sangue nel Sacramento dell’Eucaristia? – Ogni volta che mangerete di questo pane, dice Gesù Cristo, e berrete di questo calice, annunzierete la morte del Signore, fino a tanto che Egli venga. Il Sacrifizio incruento di Gesù Cristo non differendo che nel modo dal Sacrifizio cruento del medesimo Salvatore, deve richiamare alla mente di quelli che vi partecipano, la memoria della morte di Gesù Cristo. Con queste parole: Fino a tanto che Egli venga, S. Paolo ci mostra che il Sacramento dell’Eucaristia durerà sino alla fine del mondo. Chiunque, pertanto, mangerà di questo pane o berrà di questo calice indegnamente, dice il S. Apostolo, sarà reo di delitto contro il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo. Questa espressione prova in modo convincente la presenza reale del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo. Qual orrore non dobbiamo avere del peccato che commettono coloro, i quali fanno Comunioni sacrileghe! Non è un Sacrifizio che essi offrono, dice s. Giovanni Grisostomo, è un omicidio che commettono; non è un nutrimento che prendono, è un veleno. Colui che mangia questo pane e beve di questo calice indegnamente, mangia e beve la sua condanna, per la colpa di non discernere il Corpo del Signore; cioè egli ha in se stesso la prova visibile del suo peccato; e il suo processo, per così dire, è bell’e fatto. Questo divin Salvatore è il suo Giudice, questo pane di vita è il decreto della sua morte. Sacrilegio, tradimento, nera ingratitudine, crudele ipocrisia, quanti delitti in una sola Comunione fatta indegnamente! E quali ne sono gli effetti? Spessissimo l’induramento e l’impenitenza finale.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps CXLIV: 15-16
Oculi ómnium in te sperant, Dómine: et tu das illis escam in témpore opportúno.

[Gli occhi di tutti sperano in Te, o Signore: e Tu concedi loro il cibo a tempo opportuno.]

V. Aperis tu manum tuam: et imples omne animal benedictióne. Allelúia, allelúia.

[Apri la tua mano: e colma ogni essere vivente della tua benedizione]

Ioannes VI: 56-57
Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus: qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo. Alleluia.

[La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Alleluia.]

Sequentia
Thomæ de Aquino.

Lauda, Sion, Salvatórem,
lauda ducem et pastórem
in hymnis et cánticis.

Quantum potes, tantum aude:
quia maior omni laude,
nec laudáre súfficis.

Laudis thema speciális,
panis vivus et vitális
hódie propónitur.

Quem in sacræ mensa cenæ
turbæ fratrum duodénæ
datum non ambígitur.

Sit laus plena, sit sonóra,
sit iucúnda, sit decóra
mentis iubilátio.

Dies enim sollémnis agitur,
in qua mensæ prima recólitur
huius institútio.

In hac mensa novi Regis,
novum Pascha novæ legis
Phase vetus términat.

Vetustátem nóvitas,
umbram fugat véritas,
noctem lux elíminat.

Quod in coena Christus gessit,
faciéndum hoc expréssit
in sui memóriam.

Docti sacris institútis,
panem, vinum in salútis
consecrámus hóstiam.

Dogma datur Christiánis,
quod in carnem transit panis
et vinum in sánguinem.

Quod non capis, quod non vides,
animosa fírmat fides,
præter rerum órdinem.

Sub divérsis speciébus,
signis tantum, et non rebus,
latent res exímiæ.

Caro cibus, sanguis potus:
manet tamen Christus totus
sub utráque spécie.

A suménte non concísus,
non confráctus, non divísus:
ínteger accípitur.

Sumit unus, sumunt mille:
quantum isti, tantum ille:
nec sumptus consúmitur.

Sumunt boni, sumunt mali
sorte tamen inæquáli,
vitæ vel intéritus.

Mors est malis, vita bonis:
vide, paris sumptiónis
quam sit dispar éxitus.

Fracto demum sacraménto,
ne vacílles, sed meménto,
tantum esse sub fragménto,
quantum toto tégitur.

Nulla rei fit scissúra:
signi tantum fit fractúra:
qua nec status nec statúra
signáti minúitur.

Ecce panis Angelórum,
factus cibus viatórum:
vere panis filiórum,
non mitténdus cánibus.

In figúris præsignátur,
cum Isaac immolátur:
agnus paschæ deputátur:
datur manna pátribus.

Bone pastor, panis vere,
Iesu, nostri miserére:
tu nos pasce, nos tuére:
tu nos bona fac vidére
in terra vivéntium.

Tu, qui cuncta scis et vales:
qui nos pascis hic mortáles:
tuos ibi commensáles,
coherédes et sodáles
fac sanctórum cívium.
Amen. Allelúia.

[Loda, o Sion, il Salvatore, loda il capo e il pastore,  con inni e càntici.
Quanto puoi, tanto inneggia:  ché è superiore a ogni lode,  né basta il lodarlo.
Il pane vivo e vitale  è il tema di lode speciale,  che oggi si propone.
Che nella mensa della sacra cena,  fu distribuito ai dodici fratelli,  è indubbio.
Sia lode piena, sia sonora,  sia giocondo e degno  il giúbilo della mente.
Poiché si celebra il giorno solenne,  in cui in primis fu istituito  questo banchetto.
In questa mensa del nuovo Re,  la nuova Pasqua della nuova legge  estingue l’antica.
Il nuovo rito allontana l’antico,  la verità l’ombra,  la luce elimina la notte.
Ciò che Cristo fece nella cena,  ordinò che venisse fatto  in memoria di sé.
Istruiti dalle sacre leggi,  consacriamo nell’ostia di salvezza  il pane e il vino.
Ai Cristiani è dato il dogma:  che il pane si muta in carne,  e il vino in sangue.
Ciò che non capisci, ciò che non vedi,  lo afferma pronta la fede,  oltre l’ordine naturale.
Sotto specie diverse,  che son solo segni e non sostanze,  si celano realtà sublimi.
La carne è cibo, il sangue bevanda,  ma Cristo è intero  sotto l’una e l’altra specie.
Da chi lo assume, non viene tagliato,  spezzato, diviso:  ma preso integralmente.
Lo assuma uno, lo assumino in mille:  quanto riceve l’uno tanto gli altri:  né una volta ricevuto viene consumato.
Lo assumono i buoni e i cattivi:  ma con diversa sorte  di vita e di morte.
Pei cattivi è morte, pei buoni vita:  oh che diverso esito  ha una stessa assunzione.
Spezzato poi il Sacramento,  non temere, ma ricorda  che tanto è nel frammento  quanto nel tutto.
Non v’è alcuna separazione:  solo un’apparente frattura,  né vengono diminuiti stato  e grandezza del simboleggiato.
Ecco il pane degli Angeli,  fatto cibo dei viandanti:  in vero il pane dei figli non è da gettare ai cani.
Prefigurato con l’immolazione di Isacco, col sacrificio dell’Agnello Pasquale, e con la manna donata ai padri.
Buon pastore, pane vero,  o Gesú, abbi pietà di noi:  Tu ci pasci, ci difendi:  fai a noi vedere il bene  nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e tutto puoi:  che ci pasci, qui, mortali:  fa che siamo tuoi commensali,  coeredi e compagni dei Santi del cielo.  Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangéli secúndum S. Ioánnem.
Ioann VI: 56-59
In illo témpore: Dixit Iesus turbis Iudæórum: Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus. Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in illo. Sicut misit me vivens Pater, et ego vivo propter Patrem: et qui mandúcat me, et ipse vivet propter me. Hic est panis, qui de coelo descéndit. Non sicut manducavérunt patres vestri manna, et mórtui sunt. Qui manducat hunc panem, vivet in ætérnum.

[Gesù disse un giorno alle turbe della Giudea: « La mia carne è veramente cibo, e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, resta .in me, e Io in lui. Come il Padre vivente ha mandato me, e io vivo per il Padre; così chi mangerà da me, vivrà per me. Questo è il pane che discese dal cielo. Non come i vostri padri, che mangiarono la manna e morirono: chi mangia di questo pane, vivrà in eterno » (Giov. VI, 56-59). ]

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956.

FESTA DEL «CORPUS DOMINI»

LA SANTA MESSA

A Cafarnao Gesù promise con parole nitide e ferme che avrebbe istituito l’Eucaristia: « Io sono il Pane Vivo disceso dal cielo. La mia carne è veramente cibo ed il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. E vivrà in eterno ». È questo un tale prodigio d’Amore, che molti quando per la prima volta lo sentirono annunziare, non ci poterono credere e se ne andarono via da Gesù. Gesù piuttosto che raccorciare sulla nostra misura il suo Amore immenso, li lasciò andare. Quello che aveva promesso, mantenne fedelmente quella sera in cui sarebbe stato tradito. Consacrò il pane e il vino e li distribuì dicendo: « Prendete e mangiate: questo è il mio Corpo. Prendete e bevete: questo è il calice del mio Sangue che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati ». Da quella sera gli uomini ebbero sulla terra una partecipazione del convito del Paradiso. Grande veramente è il banchetto Eucaristico: in esso si riceve Gesù Cristo medesimo, il quale si unisce a noi, infonde nel nostro cuore e nella nostra volontà il suo amore e il suo volere, e poi insieme a noi si offre al Padre, glorifica la SS. Trinità, e ci rende così degni della vita eterna e divina. Troppo grande mistero, troppo bello, perché la nostra piccola mente possa arrivare a capirlo! Rinnoviamo la fede. – Noi fermamente crediamo, garantiti come siamo dalla infallibile parola del Figlio di Dio: « Questo è il mio Corpo: prendete e bevete. Fate questo in memoria di me ». Quando il Sacerdote nella santa Messa ripete queste parole consacratorie, il medesimo Gesù che troneggia glorificato nel Cielo, si fa presente sull’altare. Com’è possibile ciò? Ci sono dunque due Gesù, uno in Vielo e uno sull’altare? Ci sono tanti innumerevoli Gesù quanti sono i tabernacoli, quante sono le particole consacrate? No: non c’è che un solo Gesù, Il Salvatore non può essere moltiplicato: è soltanto la presenza che viene moltiplicata. Senza dubbio è un grande mistero. Tenterò con un paragone di farci intorno un poco di luce. Ecco, io in mezzo alla Chiesa lancio una parola sola, questa: « Gesù! ». Che parola avete sentito voi? Tutti, la stessa identica parola. Eppure voi siete molti, e ciascuno di voi l’ha sentita intera per conto suo, nella sua anima, come se fosse stato qui solo nella chiesa. Dunque la medesima e unica parola è diventata presente in ciascuno di voi. In un modo simile, ma assai più concreto, il medesimo identico Gesù è presente interamente e realmente in ciascuna ostia. Dopo aver rinnovata la fede, dopo aver accennata alla più elementare difficoltà, svolgerò il mistero eucaristico nel suo aspetto più essenziale, quello della santa Messa. – 1. IL GRANDE SACRIFICIO DELLA S. MESSA. Il Sacramento dell’Eucaristia s’incentra tutto nella Messa: è in essa che si genera Gesù Eucaristico e che viene immolato per la remissione dei nostri peccati, è solo per essa che vien distribuito in nutrimento delle anime; è per un prolungamento di essa che resta aspettando giorno e notte ed accogliendo quanti hanno bisogno e desiderio di Lui. È il medesimo sacrificio del Calvario che durante la S. Messa si rende presente e attuale sull’altare, benché senza più dolore né spargimento di sangue, con la S. Messa veramente il Nome di Dio può essere santificato sulla terra come lo è in Cielo. Il Cielo è l’infinita, luminosa basilica dove l’unico Sacerdote, Gesù Cristo, rende continuamente alla SS. Trinità tutta la gloria che già le donò con la sua sanguinosa immolazione sul Calvario: « Osservate — avverte Bossuet — come Egli si avvicini al Padre, e gli presenti le piaghe irrimarginabili, ancor vermiglie di quel divino Sangue della Nuova Alleanza, versato nel doloroso Venerdì quando morì per la redenzione delle anime » (Sermone sull’Ascensione). La terra a sua volta è la vasta cripta dove il Papa, i Vescovi, e all’incirca 400 mila preti celebrano quotidianamente la S. Messa, cioè prestano il loro ministero affinché l’unico Sacerdote Gesù Cristo, anche quaggiù possa rioffrire a Dio il suo Corpo e il suo Sangue, che per la prima volta gli offrì tra gli spasimi della croce. Dunque quel medesimo Gesù che S. Giovanni vide come un Agnello immolato sull’altare sublime del Cielo, lo possediamo anche noi come Agnello immolato sugli altari di questa terra. In Paradiso gli Angeli e i Santi non restano inattivi attorno al grande Sacerdote, ma a Lui s’uniscono, si offrono con Lui. Così deve avvenire sulla terra: « Quando assistiamo al divin Sacrificio — dice S. Gregorio Magno — è necessario che sacrifichiamo anche noi stessi con la contrizione del cuore… La Vittima divina non ci gioverà presso Dio se non ci facciamo anche noi vittime congiunte ad essa » (Dial., LIV). Dunque, assistendo alla S. Messa dobbiamo metterci sulla patena d’oro, piccole ostie accanto alla grande Ostia, offrirci a Dio senza riserve. La S. Messa diventa allora un dramma vissuto, e assistervi non significa far da spettatore più o meno commosso, ma prendervi una parte tutt’altro che indifferente: unirci a Gesù, consacrificarci con Lui. Che vuol dire questo? Innanzi tutto, vuol dire accettazione amorosa di tutte le pene e di tutte le contrarietà inevitabili della nostra vita. Poi vuol dire rinuncia a tutti quei piaceri, quelle abitudini che possano essere desiderati dalla nostra natura corrotta, ma che la legge di Dio proibisce. Senza questo duplice sacrificio non si potrà mai partecipare veramente alla santa Messa. Se ci sono poi anime generose che desiderano consacrificarsi più pienamente, dirò che ogni giorno sono innumerevoli le occasioni per prepararci a sentire sempre meglio la S. Messa; lo stesso alzarci di buon mattino è sacrificare la nostra pigrizia; adempiere coscienziosamente il nostro dovere è sacrificare la negligenza, a tavola si può sacrificare la nostra golosità; in compagnia si può sacrificare il desiderio di dire o di ascoltare cose inutili, o peggio; con l’elemosina si può sacrificare la nostra avarizia. Il Card. Mercier diceva: « Che cos’è un Cristiano? Cristiano è uno che va a Messa ». Quando la Messa è vissuta come abbiamo spiegato, la definizione è perfetta. – 2. COME VI PARTECIPANO GLI UOMINI. Tutti i fedeli sono invitati al gran banchetto eucaristico della santa Messa, ed invitati tutti i giorni. Non squillano per questo ogni alba le campane, voci di Dio che chiama alla sua grande cena? Tutti i fedeli sono poi obbligati sotto pena di peccato mortale a sentire la S. Messa ogni domenica e ogni festa di precetto. A questo proposito potremmo distinguere tre categorie di Cristiani.

a) Quelli che rifiutano. E sono molti, specialmente uomini, che non ascoltano più la Messa nemmeno nei giorni festivi. Moltissimi che la tralasciano saltuariamente, senza preoccuparsi del grave peccato che commettono. Se li avvisate vi capiterà di sentire qualcuna di queste risposte: « Sono all’officina tutta la settimana: ho solo la festa per lavorare il mio giardino, il mio campo… Non ho quindi tempo di venire in chiesa » oppure: « Non ho che la Domenica per riposarmi un po! Per riordinare le cose di casa; e non voglio sciuparla. Ed anche: «La Messa, che noia! Se poi c’è la predica, mi prendono le vertigini. Si aspetta solo la Domenica per potere andare in lieta compagnia a godere l’aria dei monti e dei laghi!…. La ragione profonda di questa condotta è unica: essi non sanno il male che si fanno e la gloria che negano a Dio; essi non capiscono più il Sacrificio della Croce né il Sacrificio dell’Altare che lo rinnova; essi non sono più Cristiani.

b) La seconda categoria è di quelli che a Messa tornano ancora, ma più per abitudine che per interiore convinzione. Vanno perché ci sono sempre andati fin da bambini: perché è quasi uno svago e possono incontrarsi con quella persona, o dare uno sguardo a quell’altra; perché non vogliono sentire i rimproveri dei buoni genitori o della buona moglie. Arrivano in ritardo ed escono prima della fine: preferiscono stare dietro le colonne e non vedono nulla di quello che avviene sull’altare; e di solito si fermano in fondo addossati alla porta. Non hanno corona, non hanno libro di preghiera; non aprono bocca. Rimangono là con un’aria tra disvagati ed annoiati, a cui soprattutto preme che il momento d’andarsene arrivi presto. – La loro condotta morale in famiglia, in ufficio o in officina non è migliore di chi non ha l’usanza della Messa; ed è spesso per colpa loro che capita d’udire: « Chi va in Chiesa è peggiore degli altri ».

c) V’è però la categoria dei buoni Cristiani, per i quali la Messa domenicale è un sacrosanto dovere ed un soave conforto. Tra questi s’incontrano belle anime capaci di considerevoli sacrifici, pur di soddisfare al precetto festivo. Di essi molti hanno imparato anche a capire e a seguire liturgicamente il divin Sacrificio. Sanno che tutti i Cristiani formano un Corpo mistico di cui Cristo è il centro vitale. Sanno pure che le anime in stato di grazia vivono della vita stessa di Cristo. Sanno di consacrarsi insieme a Lui per la gloria del Padre. Leggono il messalino o qualche provvido libretto che riporta le orazioni della S. Messa, e gustano la profondità e la bellezza di quelle preghiere, e vivono il dramma divino che passa fra la terra e il Cielo. – S. Francesco Borgia aveva un divino istinto che lo guidava verso l’Eucaristia, e benché alcune volte non si sapeva dove fossero conservate le sacre specie, da quel divino istinto egli era condotto verso di esse infallibilmente (Brev. Ambr., 1 ott.). Cristiani, un dolce desiderio deve pur spingere anche noi verso l’Eucaristia, specialmente verso la Messa. Ogni Messa è un tesoro di gloria per Dio, di grazia per noi: perché non siam presi dalla divina avarizia di accumulare queste ricchezze, che neppure la morte ci potrà rapire? Perché, se lo possiamo, non ascoltare la Messa ogni giorno? – Ebbene, quanti la salute cagionevole e le preoccupazioni tengono via dalla Messa quotidiana [e l’impossibilità attuale di poter partecipare ad una vera Messa cattolica celebrata da un Sacerdote con missione canonica ricevuta da un vero Vescovo con Giurisdizione efficace “una cum” il Santo Padre impedito – ndr. ], rivolgano pur da lontano i loro pensieri a Gesù che in quel momento, s’immola. Il Signore gradirà la loro spirituale offerta d’amore.

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Levit. XXI: 6
Sacerdótes Dómini incénsum et panes ófferunt Deo: et ideo sancti erunt Deo suo, et non pólluent nomen eius, allelúia.

[I sacerdoti del Signore offrono incenso e pane a Dio: perciò saranno santi per il loro Dio e non profaneranno il suo nome, allelúia.]

Secreta

Ecclésiæ tuæ, quǽsumus, Dómine, unitátis et pacis propítius dona concéde: quæ sub oblátis munéribus mýstice designántur.

[O Signore, Te ne preghiamo, concedi propizio alla tua Chiesa i doni dell’unità e della pace, che misticamente son figurati dalle oblazioni presentate.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de Nativitate Domini

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Quia per incarnáti Verbi mystérium nova mentis nostræ óculis lux tuæ claritátis infúlsit: ut, dum visibíliter Deum cognóscimus, per hunc in invisibílium amorem rapiámur. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia cæléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes.

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Poiché mediante il mistero del Verbo incarnato rifulse alla nostra mente un nuovo raggio del tuo splendore, cosí che mentre visibilmente conosciamo Dio, per esso veniamo rapiti all’amore delle cose invisibili. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis

Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

1 Cor XI: 26-27
Quotiescúmque manducábitis panem hunc et cálicem bibétis, mortem Dómini annuntiábitis, donec véniat: itaque quicúmque manducáverit panem vel bíberit calicem Dómini indígne, reus erit córporis et sánguinis Dómini, allelúia.

[Tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché verrà: ma chiunque avrà mangiato il pane e bevuto il sangue indegnamente sarà reo del Corpo e del Sangue del Signore, allelúia.]

Postcommunio

Orémus.
Fac nos, quǽsumus, Dómine, divinitátis tuæ sempitérna fruitióne repléri: quam pretiósi Corporis et Sanguinis tui temporalis percéptio præfigúrat:

[O Signore, Te ne preghiamo, fa che possiamo godere del possesso eterno della tua divinità: prefigurato dal tuo prezioso Corpo e Sangue che ora riceviamo].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

TUTTI IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25): Concilio di Trento Sess. XIX-XXIII.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (25)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(Concilio di Trento: Sessione XIV- XXIII)

Dottrina sul sacramento dell’Estrema Unzione.

Preambolo

1694. Al santo Concilio è sembrato bene aggiungere alla precedente dottrina sulla Penitenza quella che segue sul Sacramento dell’Estrema Unzione, che i Padri considerano come la consumazione non solo del Sacramento della penitenza, ma anche di tutta la vita cristiana, che deve essere una penitenza perpetua. Per questo motivo, ecco cosa dichiara e insegna sulla sua istituzione. Il nostro misericordioso Redentore ha voluto che i suoi servi fossero sempre provvisti di rimedi salutari contro gli attacchi di tutti i nemici. Come negli altri Sacramenti ha preparato per i Cristiani il più grande aiuto per mantenersi liberi da ogni grave danno spirituale finché vivano, così con il Sacramento dell’Estrema Unzione ha rafforzato la fine della loro vita con una protezione molto solida (cf. 1716). Infatti, sebbene il nostro avversario cerchi e colga le occasioni durante tutta la nostra vita per divorare le nostre anime con tutti i mezzi possibili (1Pt V,8), non c’è momento in cui tenda con maggiore violenza tutti i fili della sua astuzia per perderci completamente e, se potesse, anche per allontanarci dalla fiducia nella misericordia divina, che quando vede che si avvicina per noi la fine della vita.

Capitolo 1. L’istituzione del Sacramento dell’Estrema Unzione

1695. Questa santa Unzione degli infermi fu istituita da Cristo nostro Signore come vero e proprio Sacramento della Nuova Alleanza; questo Sacramento fu indicato in Marco (Mc VI, 13), raccomandato e promulgato da Giacomo, apostolo e fratello del Signore (cf. 1716). Egli disse: “Se qualcuno di voi è malato, chiami i presbiteri della Chiesa e questi preghino su di lui dopo averlo unto con olio nel Nome del Signore. La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è peccatore, gli saranno rimessi i peccati” (Giacomo V:14-15). Con queste parole, come la Chiesa ha appreso, tramandate di mano in mano dalla tradizione apostolica, egli insegna quali siano la materia, la forma, il ministro adatto e l’effetto di questo Sacramento salutare. La Chiesa ha infatti compreso che la materia è l’olio benedetto dal Vescovo, perché l’Unzione rappresenta in modo molto appropriato la grazia dello Spirito Santo, con la quale l’anima del malato viene invisibilmente unta. E la forma è costituita da queste parole: “Per questa Unzione, ecc. “

Capitolo 2. L’effetto di questo Sacramento.

1696. La realtà e l’effetto di questo Sacramento sono spiegati da queste parole: “La preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo solleverà; e se è in peccato, gli saranno rimessi i peccati” (Gc V,15) . La realtà è, infatti, la grazia dello Spirito Santo, la cui unzione purifica le colpe, se ancora da espiare, ed i postumi del peccato; lenisce e rafforza l’anima del malato (cf. 1717), ispirando grande fiducia nella misericordia divina. Alleggerito da questa grazia, l’ammalato, da un lato, sopporta più facilmente le difficoltà e le sofferenze della malattia e, dall’altro, resiste più facilmente alle tentazioni del diavolo che cerca di morderlo al tallone (Gn III, 15) talvolta, infine, ottiene la salute del corpo, quando questa è utile per la salvezza dell’anima.

Capitolo 3. Il ministro di questo sacramento e il momento in cui viene amministrato.

1697. Ciò che è prescritto riguardo a coloro che devono ricevere e amministrare questo slSacramento ci è stato trasmesso senza ambiguità anche nelle parole citate sopra. Lì ci viene mostrato che i ministri di questo Sacramento sono i presbiteri della Chiesa (cf. 1719). Con questo nome non si intendono coloro che sono più anziani o più degni tra il popolo, ma i Vescovi o i Sacerdoti regolarmente ordinati da loro con “l’imposizione delle mani del presbiterio” (1Tm IV,14) – (cf. 1719).

1698. Si dice anche che questa unzione debba essere impartita agli ammalati, specialmente a quelli che sono in così grave pericolo da sembrare giunti alla fine della loro vita; per questo è anche chiamata Sacramento dei moribondi. Se i malati recuperano la salute dopo questa Unzione, possono essere nuovamente aiutati e sostenuti da questo Sacramento, nel caso in cui la loro vita si trovi nuovamente in un pericolo simile.

1699. Perciò, per nessun motivo dobbiamo ascoltare coloro che insegnano, contrariamente alla dichiarazione molto chiara ed evidente dell’apostolo Giacomo, (Giacomo V:14 ss.), che questa Unzione sia un’invenzione umana o un rito ricevuto dai Padri, non basato né su un comandamento di Dio né su una promessa di grazia (cf. 1716); né chi afferma che questa Unzione sia ormai finita, come se si riferisse solo alla grazia delle guarigioni nella Chiesa primitiva; né quelli che affermano che il rito e la consuetudine osservati dalla santa Chiesa romana nell’amministrazione di questo Sacramento siano il contrario di ciò che dice l’Apostolo Giacomo e debbano essere cambiati; né, infine, quelli che affermano che i fedeli possano senza peccato disprezzare questa Estrema Unzione (cf. 1718). In realtà, tutte queste proposizioni vanno molto chiaramente contro le chiare parole di un così grande Apostolo. La Chiesa romana, madre e maestra di tutte le altre, nell’amministrare questa Unzione, non fa certamente nulla di diverso da quanto prescritto da san Giacomo, per quanto riguarda la sostanza del Sacramento. Non si potrebbe disprezzare un così grande Sacramento senza commettere un grande crimine e senza insultare lo stesso Spirito Santo.

1700. Questo è dunque ciò che questo santo Concilio ecumenico professa e insegna sui Sacramenti della Penitenza e dell’Estrema Unzione, e ciò che propone a tutti i Cristiani di credere e mantenere. Dà i seguenti Canoni perché siano inviolabilmente osservati; condanna e anatematizza per sempre coloro che affermino il contrario.

Canoni sulle due dottrine.

Canoni sul Santissimo Sacramento della Penitenza.

1701. 1. Se qualcuno dice che nella Chiesa cattolica la penitenza non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore per riconciliare con Dio i fedeli ogni volta che cadano in peccato dopo il Battesimo, sia anatema (cf. 1668-1670).

1702. (2) Se qualcuno, confondendo i Sacramenti, dice che il Battesimo stesso sia il Sacramento della Penitenza, come se questi due Sacramenti non fossero distinti, e che quindi non sia giusto chiamare la Penitenza “seconda tavola di salvezza”: sia anatema (cf. 1542; 1671).

1703. 3. Se qualcuno dice che queste parole del Signore e Salvatore: “Ricevi lo Spirito Santo: A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; e a chi li conserverete, saranno conservati” (Gv XX, 22-23), non si devebba intendere il potere di rimettere e trattenere i peccati nel Sacramento della Penitenza, come la Chiesa cattolica ha sempre inteso fin dall’inizio, e, opponendosi all’istituzione di questo Sacramento, ne trasforma il significato in potere di predicare il Vangelo: sia anatema (cf. 1670).

1704. 4. Se qualcuno nega che, per una piena e perfetta remissione dei peccati, siano richiesti al penitente tre atti come materia per il Sacramento della penitenza, cioè la Contrizione, la Confessione e la Soddisfazione, che sono dette le tre parti della Penitenza; o se dice che ci siano solo due parti della Penitenza: I terrori che colpiscono la coscienza nel riconoscere il proprio peccato e la fede nata dal Vangelo o l’assoluzione con la quale si credono rimessi i propri peccati da Cristo: sia anatema (cf. 1673; 1675).

1705. Se qualcuno dice che la Contrizione preparata dall’esame, dal ricordo e dalla detestazione dei peccati, e con la quale uno pensa ai suoi anni nell’amarezza del suo cuore (Is 38,15), soppesando la gravità, l’abbondanza e la bruttezza dei suoi peccati, e la perdita della felicità eterna e la dannazione eterna in cui sono incorsi, con il fermo proposito di una vita migliore; che questa Contrizione non sia un vero ed utile dolore e non prepari alla grazia, ma che renda l’uomo ipocrita e più peccatore; che, infine, è un dolore forzato e non libero e volontario: sia anatema! (cf. 1456; 1676).

1706. 6 Se qualcuno nega che la Confessione sacramentale sia stata istituita o sia necessaria per la salvezza per diritto divino; o se dice che la confessione segreta al solo Sacerdote – che la Chiesa cattolica ha sempre osservato ed osserva fin dall’inizio – sia contraria all’istituzione e al comandamento di Cristo e che siacun’istituzione umana: sia anatema (cf. 1679- 1684).

1707. 7. Se qualcuno dice che nel Sacramento della Penitenza, per la remissione dei peccati, non sia necessario, per diritto divino, che si confessino tutti e ciascuno dei peccati mortali di cui ci si ricordi dopo una debita e seria riflessione, anche i peccati nascosti e quelli che sono contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo, né le circostanze che cambiano il tipo di peccato, ma che questa Confessione serva solo ad istruire e consolare il penitente, e che in passato servisse solo per imporre una soddisfazione canonica; o se dice che chi si sforza di confessare tutti i suoi peccati non voglia lasciare nulla al perdono della misericordia divina; o che, infine, non sia permesso confessare i peccati veniali: sia anatema! (cf. 1679-1684).

1708. (8) Se qualcuno dice che la confessione di tutti i peccati, come osservata dalla Chiesa, sia impossibile e sia una tradizione umana che le anime pie devono abolire; o che ogni Cristiano di entrambi i sessi non sia obbligato a confessarsi una volta all’anno, secondo la costituzione del Grande Concilio Lateranense, e che, per questo motivo, i Cristiani debbano essere persuasi a non confessarsi nel periodo della Quaresima: sia anatema! (cf. 1682s.).

1709. 9. Se qualcuno dice che l’assoluzione sacramentale del Sacerdote non sia un atto giudiziario, ma un semplice ministero che pronuncia e dichiara che i peccati sono rimessi a chi li confessa, a condizione che egli creda di essere assolto, o se il Sacerdote non lo assolve seriamente, ma per scherzo; o se dice che non sia necessaria la Confessione del penitente perché il Sacerdote lo assolva: sia anatema! ( cf. 1462; 1685).

1710. 10. Se qualcuno dice che i Sacerdoti in stato di peccato mortale non abbiano il potere di legare e sciogliere, o che i Sacerdoti non siano gli unici ad essere ministri dell’assoluzione, ma che sia a tutti e a ciascuno dei Cristiani che è stato detto: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo” (Mt XVIII,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti” (Gv 20,23); che in virtù di queste parole chiunque p0ssa assolvere i peccati, quelli pubblici almeno con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con la confessione spontanea: sia anatema (cf. 1684).

1711. 11. Se qualcuno dice che i Vescovi non abbiano il diritto di riservare le cause, se non per ciò che riguardi la disciplina esterna e che, di conseguenza, la riserva delle cause non impedisca ad un Sacerdote di assolvere veramente le cause riservate: sia anatema (cf. 1687).

1712. 12. Se qualcuno dice che ogni pena sia sempre rimessa da Dio contemporaneamente alla colpa, e che la Soddisfazione dei penitenti non sia altro che la fede con cui essi colgono che Cristo abbia soddisfatto per loro, sia anatema (cf. 1689).

1713. 13. Se qualcuno dice che, per quanto riguarda le pene temporali, Dio non sia in alcun modo soddisfatto per i peccati dai meriti di Cristo né per mezzo di pene inflitte da Dio e sopportate con pazienza, né per mezzo di quelle imposte dal Sacerdote, di preghiere, di elemosine o di altre opere di pietà, e che, di conseguenza, la migliore penitenza sia solo una nuova vita: sia anatema (cf. 169O-1692).

1774. 14. Se qualcuno dice che le soddisfazioni, con cui i penitenti riscattano i loro peccati per mezzo di Gesù Cristo, non siano un culto reso a Dio, ma tradizioni umane che oscurano la dottrina della grazia, il vero culto reso a Dio e il beneficio stesso della morte di Cristo: sia anatema (cf. 1692).

1715. 15. Se qualcuno dice che il potere delle chiavi sia stato dato alla Chiesa solo per sciogliere e non anche per legare, e che per questo motivo i Sacerdoti, imponendo pene a coloro che si confessano, agiscano contrariamente a questo potere e all’istituzione di Cristo; e che sia un’invenzione pensare che, una volta tolta la pena eterna con il potere delle chiavi, rimanga il più delle volte una pena temporale da espiare: sia anatema (cf. 1692).

Canoni sul sacramento dell’estrema unzione.

1716. (1) Se qualcuno dice che l’Estrema Unzione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo nostro Signore, (Mc VI,13), e promulgato dall’Apostolo san Giacomo, (Gc 5,14-15), ma solo un rito ricevuto dai Padri o un’invenzione umana, sia anatema! (cf. 1695; 1699).

1717. 2 Se qualcuno dice che la santa Unzione degli infermi non conferisca la grazia, non rimetta i peccati, non allevia i malati, ma che non esiste più, come se un tempo fosse stata solo una grazia di guarigione, sia anatema (cf. 1696; 1699).

1718. 3 Se qualcuno dice che il rito e l’uso dell’Estrema Unzione, osservati dalla santa Chiesa romana, siano contrari alle parole del santo Apostolo Giacomo, e che quindi debbano essere cambiati, affinché possano essere disprezzati senza peccato dai Cristiani, sia anatema (cf. 1699).

1719. 4. Se qualcuno dice che i presbiteri della Chiesa, a cui san Giacomo raccomanda di portare l’unzione ad un malato, non siano Sacerdoti ordinati dal Vescovo, ma i più anziani di ogni comunità, e che per questo il ministro dell’Estrema Unzione non siav solo il Sacerdote, sia anatema (cf. 1697).

MARCELLO II: 9 aprile – 1 maggio 1555.

PAOLO IV: 23 maggio 1555 – 18 agosto 1559

Continuazione e fine del Concilio di Trento sotto Pio IV.

PIO IV : 25 dicembre 1559-9 dicembre 1565.

Sessione XXI.

Preambolo.

1725. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… ha ritenuto che, essendosi diffusi in vari luoghi, attraverso gli artifici del demonio i più perversi, vari mostruosi errori riguardanti il temuto e santissimo sSacramento dell’Eucaristia, errori che sembrano aver allontanato molti dalla fede e dall’obbedienza della Chiesa Cattolica in alcune province, fosse necessario stabilire qui ciò che riguardi la Comunione sotto le due specie e la Comunione dei bambini. Per questo motivo, a tutti i Cristiani è proibito osare in futuro credere, insegnare o predicare qualcosa su questo argomento che non sia quanto affermato in questo documento, spiegato e definito dai seguenti decreti.

Capitolo 1. I laici e i chierici che non celebrano non sono tenuti per diritto divino alla comunione sotto entrambe le specie.

1726. Perciò questo stesso santo Concilio, istruito dallo Spirito Santo, che è “Spirito di sapienza e di intelligenza, Spirito di consiglio e di pietà” (Is XI,2), e secondo il giudizio e la consuetudine della Chiesa stessa, dichiara e insegna che nessun Comandamento divino obblighi i laici ed i chierici che non celebrano a ricevere il Sacramento dell’Eucaristia sotto le due specie; e che non si possa in alcun modo dubitare, senza ledere la fede, che la Comunione ad una delle due specie sia sufficiente per la loro salvezza.

1727. Infatti, senza dubbio, il Signore Cristo, nell’ultima cena, istituì e donò agli Apostoli questo venerabile Sacramento sotto le specie del pane e del vino (Mt XXVI,26-29 Mc XIV,22-25 Lc XXII,19 1Co XI,24). Tuttavia questa istituzione e questo dono non hanno per oggetto di obbligare tutti i Cristiani, per decreto del Signore, a ricevere le due specie (cf. 1731; 1732). E non concludiamo giustamente dalle parole che si trovano nel capitolo VI di Giovanni che la Comunione alle due specie sia stata comandata dal Signore (cf. 1733), per quanto le intendiamo seguendo le varie interpretazioni dei Santi e dei Dottori. Infatti, Colui che disse: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita” (Gv VI,53) , disse anche: “Se uno mangia questo pane, vivrà in eterno” (Gv VI,58). E Colui che disse: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (Gv VI,54) e disse anche: “Il pane che vi darò è la mia carne per la vita eterna” (Gv VI,51). Infine, Colui che ha detto: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e Io in lui”, (Gv VI, 56), ha anche detto: “Chi mangia questo pane vivrà in eterno”, (Gv VI,58).

Capitolo 2. Il potere della Chiesa nell’amministrazione del Sacramento dell’Eucaristia.

1728. Il Concilio dichiara inoltre che nell’amministrazione dei Sacramenti la Chiesa ha sempre avuto il potere di decidere o di modificare, mantenendo intatta la sostanza di questi Sacramenti, ciò che avrebbe ritenuto più opportuno per l’utilità di coloro che li ricevono e per il rispetto dei Sacramenti stessi, secondo la diversità delle cose, dei tempi e dei luoghi. Ciò che l’Apostolo sembra indicare abbastanza chiaramente dicendo: “Siamo considerati ministri di Cristo e dispensatori dei misteri di Dio” (1Co IV,1). Ed è abbastanza chiaro che Egli stesso usasse questo potere per molte altre cose oltre che per questo stesso Sacramento, quando disse, dopo aver dato alcuni ordini riguardo al suo uso: “Il resto lo regolerò quando verrò” (1Co 11,34). Pertanto, sebbene all’inizio della Religione cristiana l’uso delle due specie non fosse infrequente, essendo questa usanza cambiata molto generalmente con il passare del tempo, la nostra santa Madre Chiesa, sapendo quale sia la sua autorità nell’amministrazione dei Sacramenti, è stata indotta da gravi e giuste cause ad approvare questa usanza di ricevere la Comunione sotto una delle due specie e a decretare che sarebbe stata una legge che non è permesso biasimare o cambiare a piacimento senza l’autorità della Chiesa stessa (cf. 1732).

Capitolo 3 Sotto ciascuna specie Cristo è ricevuto totalmente ed interamente.

1729. Dichiara inoltre che, sebbene il nostro Redentore, come si è detto sopra, nell’ultima cena abbia istituito e dato agli Apostoli questo Sacramento sotto entrambe le specie, tuttavia si deve riconoscere che anche sotto una sola delle due specie si riceva Cristo in modo completo ed integrale, così come il Sacramento in tutta verità, e che di conseguenza, per quanto riguarda il frutto del Sacramento, coloro che ricevono una sola specie non siano privi di alcuna grazia necessaria alla salvezza (cf. 1733).

Capitolo 4. I bambini non sono obbligati a ricevere la sacramentale Comunione.

1730. Infine, lo stesso santo Concilio insegna che nessuna necessità obblighi i bambini al di sotto dell’età della ragione a ricevere la Comunione sacramentale dell’Eucaristia (cf. 1734), poiché, rigenerati dal bagno del Battesimo (Tito 3,5) e incorporati a Cristo, a quell’età non possono perdere la grazia di figli di Dio che hanno ricevuto. E tuttavia non dobbiamo condannare il mondo antico per questo, anche se questa pratica era talvolta osservata in alcuni luoghi. Infatti, come questi santissimi Padri avevano un motivo lodevole per agire in conformità con i tempi, così dobbiamo certamente credere senza dubbio che agissero in questo modo senza alcuna necessità per la salvezza.

Canoni sulla comunione sotto le due specie e sulla comunione dei bambini.

1731. (1) Se qualcuno dice che per un comandamento di Dio, o per necessità di salvezza, tutti e tutti i Cristiani debbano ricevere le due specie del santissimo Sacramento dell’Eucaristia, sia anatema (cf. 1726 ss.).

1732. (2) Se qualcuno dice che la santa Chiesa Cattolica non sia stata condotta da giuste cause e ragioni al fine che i laici, così come i chierici che non celebrano, ricevano la Comunione sotto le sole specie del pane, o che essa abbia errato in questo, sia anatema (cf. 1728s.).

1733. 3 Se qualcuno nega che Cristo, fonte e autore di tutte le grazie, sia ricevuto in tutto e per tutto sotto le sole specie del pane, perché – come alcuni falsamente affermano – non è ricevuto sotto entrambe le specie secondo l’istituzione di Cristo stesso, sia anatema (cf. 1726s.).

1734. (4) Se qualcuno afferma che la Comunione eucaristica sia necessaria per i bambini prima che abbiano raggiunto l’età della ragione, sia anatema (cf. 1730).

Sessione XXII, 17 settembre 1562.

a) Dottrine e Canoni sul Sacrificio della Messa.

Preambolo.

1738. Affinché la fede e la dottrina antiche, assolute e in ogni modo perfette sul grande mistero dell’Eucaristia siano conservate nella santa Chiesa Cattolica e mantenute nella loro purezza, dopo aver respinto gli errori e le eresie, il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… istruito dalla luce dello Spirito Santo, insegna, dichiara e decreta quanto segue, che deve essere predicato ai popoli fedeli, riguardo all’Eucaristia come vero e unico Sacrificio.

Capitolo 1. L’istituzione del sacrificio della Messa.

1739. Poiché la perfezione non era stata raggiunta con la prima Alleanza, secondo la testimonianza dell’Apostolo Paolo, a causa della debolezza del sacerdozio levitico, fu necessario, a Dio Padre delle misericordie, istituire il Sacrificio della Messa (Sal CIX,4 Eb V,6 Eb V,10 Eb VII,11 Eb VII,17 Gen XIV,18) per mezzo di nostro Signore Gesù Cristo, che poteva portare a pienezza (Eb X,14) eD a perfezione tutti coloro che dovevano essere santificati.

1940. Senza dubbio Egli, il nostro Dio e Signore, si sarebbe offerto una volta per tutte a Dio Padre sull’altare della croce con la sua morte (Eb VII,27) per realizzare una Redenzione eterna per loro. Tuttavia, poiché non voleva che il suo sacerdozio si spegnesse con la morte (Eb VII,24), nell’ultima cena, “nella notte in cui fu tradito” (1 Cor XI,23), volle lasciare alla Chiesa, sua amata sposa, un Sacrificio visibile (come richiede la natura umana). Questo avrebbe rappresentato il Sacrificio cruento che si sarebbe compiuto una volta per tutte sulla croce, il cui ricordo sarebbe rimasto fino alla fine del mondo e la cui virtù salutare sarebbe stata applicata alla remissione di quei peccati che commentiamo ogni giorno. Dichiarandosi Sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchisedech (Sal CIX,4 Eb V,6 Eb VII,17) offrì il suo Corpo e il suo Sangue a Dio Padre sotto le specie del pane e del vino; sotto il simbolo di questi li diede agli Apostoli (che allora costituì Sacerdoti della Nuova Alleanza) perché li prendessero; e ad essi e ai loro successori nel Sacerdozio comandò di offrirli, pronunciando queste parole: “Fate questo in memoria di me” (Lc XXII:19 1Co XII:24) , ecc., come la Chiesa cattolica ha sempre inteso e insegnato (cf. 1752).

1741. Infatti, dopo aver celebrato l’antica Pasqua, che la moltitudine dei figli d’Israele sacrificava in ricordo della loro uscita dall’Egitto (Es 12), istituì la nuova Pasqua, nella quale Egli stesso doveva essere sacrificato dalla Chiesa per mezzo del ministero dei Sacerdoti, sotto segni visibili in ricordo del suo passaggio da questo mondo a suo Padre, quando, con lo spargimento del suo sangue, ci riscattò e “ci strappò dal potere delle tenebre e ci introdusse nel suo regno” (Col 1, 13).

1742. Questa è l’oblazione pura, che non può essere contaminata da alcuna indegnità o malizia da parte di coloro che la offrono, che il Signore aveva predetto per mezzo di Malachia che sarebbe stata offerta pura in ogni luogo nel suo Nome, che sarebbe stata grande tra le nazioni (Ml 1:11), che l’Apostolo Paolo ha designato in modo inequivocabile quando, scrivendo ai Corinzi, ha detto: Chi si è contaminato partecipando alla mensa dei demoni non può partecipare alla mensa del Signore (1Co X,21) intendendo con la parola “mensa”, in entrambi i casi, l’altare. Infine, è l’altare che, al tempo della natura e della Legge, era rappresentato dalle varie immagini dei sacrifici (Gn IV,4 Gn VIII,20 Gn XII,8 Gn 22,1-19 (Es: passim), in quanto contiene in sé tutti i beni che questi significano, essendo la consumazione e la perfezione di tutto.

Capitolo 2. Il sacrificio visibile, espiazione per i vivi e per i morti.

1743. Perché, in questo Sacrificio divino che si compie nella Messa, questo stesso Cristo è contenuto e immolato in modo incruento, Colui che si è offerto una volta per tutte in modo cruento sull’altare della croce (Eb IX,14 Eb IX,27) il santo Concilio insegna che questo Sacrificio sia veramente propiziatorio (cf. 1753) e che attraverso di esso, se ci avviciniamo a Dio con cuore sincero e fede retta, con timore e riverenza, contriti e penitenti, “otteniamo misericordia e la grazia di un aiuto tempestivo” (Eb IV,16).Appagato dall’oblazione di questo Sacrificio, il Signore, concedendo la grazia ed il dono della penitenza, perdona i delitti ed i peccati, anche quelli enormi. Si tratta, infatti, di una stessa vittima, la stessa che, offrendosi ora attraverso il ministero dei Sacerdoti, si offrì allora sulla croce, solo che il modo di offrire è diverso. I frutti di questa oblazione – quella cruenta – sono ricevuti abbondantemente per mezzo di questa oblazione incruenta; tanto che l’oblazione cruenta non toglie nulla a quella incruenta (cf. 1754). Perciò, secondo la tradizione degli Apostoli, essa viene legittimamente offerta, non solo per i peccati, i dolori, le soddisfazioni e le altre necessità dei fedeli viventi, ma anche per coloro che sono morti in Cristo e non sono ancora pienamente purificati (cf. 1753).

Capitolo 3: Messe in onore dei Santi.

1744. Sebbene la Chiesa sia solita celebrare alcune Messe in onore e memoria dei Santi, essa insegna che non è a loro che si offre il Sacrificio, ma a Dio solo che li ha incoronati.

1755. Così il Sacerdote non è solito dire: “Offro il sacrificio a voi, Pietro e Paolo”, ma, ringraziando Dio per le loro vittorie, ne implora la protezione, “… affinché si degnino di intercedere per noi in cielo proprio coloro che ricordiamo sulla terra”.

Capitolo 4. Il Canone della Messa.

1745. Poiché è opportuno che le cose sante siano amministrate con santità, e poiché il più santo di tutti è questo Sacrificio, che deve essere offerto e ricevuto con dignità e riverenza, molti secoli fa la Chiesa Cattolica istituì il santo canone, così puro da ogni errore (cf. 1756) che non c’è nulla in esso che non trasudi grandemente santità e pietà e non elevi a Dio lo spirito di coloro che lo offrono. È chiaro, infatti, che esso è fatto o dalle parole stesse del Signore, o dalle tradizioni degli Apostoli e dalle pie istruzioni dei santi Pontefici.

Capitolo 5. Le cerimonie del sacrificio della Messa

1746. La natura umana è tale che non possa facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni. Per questo la nostra pia Madre Chiesa ha istituito alcuni riti, in modo che nella Messa alcune cose siano dette a voce bassa (cf. 1759) ed altre a voce più alta. Ha anche introdotto cerimonie (cf. 1757) come le benedizioni mistiche, le luci, l’incenso, i paramenti e molte altre cose di questo tipo, ricevute dall’autorità e dalla tradizione degli Apostoli. In questo modo la maestà di un Sacrificio così grande sarebbe stata enfatizzata e le menti dei fedeli sarebbero state stimolate, per mezzo di questi segni visibili di religione e pietà, alla contemplazione delle cose più alte che sono nascoste in questo Sacrificio.

Capitolo 6. La Messa in cui solo il Sacerdote riceve la Comunione.

1747. Il Santo Concilio desidera certamente che i fedeli che partecipano ad ogni Messa ricevano la Comunione non solo per un desiderio spirituale, ma anche attraverso la ricezione sacramentale dell’Eucaristia, in modo da raccogliere frutti più abbondanti da questo santissimo Sacrificio, tuttavia, se ciò non avviene sempre, non condanna come private e illecite quelle Messe in cui solo il Sacerdote riceva la Comunione sacramentale; ma le approva e le raccomanda, poiché anche queste Messe devono essere considerate veramente pubbliche, in parte perché il popolo riceve la comunione spiritualmente, in parte perché sono celebrate da un ministro pubblico della Chiesa, non per sé solo, ma per tutti i fedeli che appartengono al Corpo di Cristo.

Capitolo 7. L’acqua mescolata al vino.

1748. Il santo Concilio avverte poi che la Chiesa abbia prescritto che i Sacerdoti mescolino l’acqua con il vino che deve essere offerto nel calice (cf. 1759), sia perché si ritiene che il Signore Cristo abbia fatto così, sia perché dal suo costato sgorgò l’acqua insieme al sangue (Gv XIX, 34) , che il Sacramento ricorda con questa mescolanza. E poiché, nell’Apocalisse di San Giovanni, si dice che le acque siano i popoli Ap. XVII,15), si rappresenta così l’unione del popolo fedele con Cristo, suo capo.

Capitolo 8. Rifiuto del linguaggio volgare nella Messa; spiegazione dei suoi misteri.

1749. Sebbene la Messa contenga una grande quantità di insegnamenti per i fedeli, non è sembrato bene ai Padri che venisse celebrata qua e là in lingua volgare. Per questo motivo, pur mantenendo ovunque il rito antico proprio di ogni Chiesa e approvato dalla santa Chiesa romana, Madre e maestra di tutte le Chiese, affinché le pecore di Cristo non muoiano di fame ed i piccoli non chiedano il pane e nessuno glielo dia (Lm IV,4), il santo Concilio ordina ai pastori ed a tutti coloro che hanno la cura delle anime di dare frequentemente, durante la celebrazione della Messa, alcune spiegazioni, da parte loro o di altri, dei testi letti nella Messa, e, tra l’altro, di illuminare il mistero di questo Sacrificio, specialmente nelle Domeniche e nelle feste.

Capitolo 9. Osservazioni preliminari ai canoni che seguono.

1750. Ma poiché oggi, contro questa antica fede fondata sul santo Vangelo, sulle tradizioni degli Apostoli e sull’insegnamento dei santi Padri, si sono diffusi molti errori e molte cose sono state insegnate e discusse da molti, il santo Concilio, dopo aver abbondantemente, seriamente e maturamente trattato queste cose, con l’unanimità di tutti i Padri, ha deciso di condannare ed eliminare dalla santa Chiesa ciò che vada contro questa purissima fede e questa santa dottrina, con i Canoni che seguono.

Canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa.

1751. (1) Se qualcuno dice che nella Messa non venga offerto a Dio un vero e proprio Sacrificio, o che “essere offerto” non significhi altro che Cristo ci venga dato come cibo, sia anatema.

1752. 2 Se qualcuno dice che Cristo non abbia istituito gli Apostoli come Sacerdoti con queste parole: “Fate questo in memoria di me” (1 Cor. XI:25 1 Cor. XI:24), o che non abbia ordinato loro e agli altri Sacerdoti di offrire il suo Corpo ed il suo Sangue, sia anatema (cf. 1470).

1753. 3 Se qualcuno dirà che il Sacrificio della Messa sia solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del Sacrificio fatto sulla croce, ma non sia un Sacrificio propiziatorio; o che sia vantaggioso solo per chi riceve Cristo, e che non debba essere offerto per i vivi e per i morti, o per i peccati, le punizioni, le soddisfazioni ed altre necessità, sia anatema (cf.1743).

1754. 4 Se qualcuno dirà che con il Sacrificio della Messa si commetta una bestemmia contro il santissimo Sacrificio di Cristo fatto sulla croce, o che sia una diminuzione di esso, sia anatema (cf. 1743).

1755. 5 Se qualcuno dice che sia una frode celebrare la Messa in onore dei Santi ed ottenere la loro intercessione presso Dio, come intende la Chiesa, sia anatema (cf. 1744).

1756. 6 Se qualcuno dice che il canone della Messa contenga errori e debba essere abrogato, sia anatema (cf. 1745).

1757. 7. Se qualcuno dice che le cerimonie, i paramenti ed i segni esteriori usati dalla Chiesa nella celebrazione della Messa siano piuttosto beffe dell’empietà che segni di pietà, sia anatema (cf. 1746).

1758. 8 Se qualcuno dice che le Messe in cui solo il Sacerdote riceve la Comunione sacramentale siano illecite e quindi debbano essere abolite, sia anatema (cf. 1747).

1959. 9. Se qualcuno dice che il rito della Chiesa romana, secondo il quale parte del Canone e le parole della Consacrazione sono pronunciate a bassa voce, debba essere condannato; o che la Messa debba essere celebrata solo in lingua volgare; o che l’acqua non debba essere mescolata nel calice con il vino che deve essere offerto, perché ciò è contrario all’istituzione di Cristo: sia anatema (cf. 1746; 1748).

Decreto sulla richiesta di concessione del calice.

1760. Inoltre, lo stesso santo Concilio, nella sua ultima sessione, si è riservato di esaminare e definire in un altro momento, quando se ne presentasse l’occasione, due articoli che gli erano stati proposti in altre sedi e che non erano ancora stati discussi: Le ragioni per cui la santa Chiesa Cattolica sia stata indotta a dare la Comunione ai laici ed anche ai Sacerdoti che non celebrano, sotto la sola specie del pane, devono essere mantenute in modo che l’uso del calice non sia permesso a nessuno per nessuna ragione – e : Se l’uso del calice, per onesti motivi e secondo la carità cristiana, dovesse essere concesso ad un paese o ad un regno, a quali condizioni dovrebbe essere concesso? E quali sono queste condizioni? Volendo ora provvedere nel modo migliore alla salvezza di coloro per i quali è stata fatta la richiesta, il Concilio ha decretato che l’intera questione sia deferita al nostro Santissimo Padre, come la sta deferendo con il presente decreto; secondo la sua singolare prudenza, farà ciò che giudicherà utile per gli Stati cristiani e salutare per coloro che richiedano l’uso del calice.

Sessione XXIII, 15 luglio 1563 – Dottrina e canoni sul Sacramento dell’Ordine.

Sacramento dell’Ordine.

1763. Dottrina vera e cattolica sul Sacramento dell’Ordine per condannare gli errori del nostro tempo, decretata dal Concilio di Trento e pubblicata nella settima sessione (sotto Pio IV).

Capitolo 1. L’istituzione del Sacerdozio della Nuova Alleanza.

1764. Sacrificio e Sacerdozio sono stati così uniti da una disposizione di Dio che entrambi sono esistiti in ogni legge. Pertanto, poiché la Chiesa Cattolica ha ricevuto nel Nuovo Testamento, per istituzione del Signore, il santo Sacrificio visibile dell’Eucaristia, si deve anche riconoscere che in essa ci sia un nuovo Sacerdozio visibile ed esterno (cf. 1771) in cui è passato l’antico sacerdozio (Eb VII,12). Questo Sacerdozio è stato istituito dallo stesso Signore, il nostro Salvatore (cf.n1773); agli Apostoli e ai loro successori nel Sacerdozio è stato dato il potere di consacrare, offrire e amministrare il suo Corpo er il suo Sangue, così come di perdonare e trattenere i peccati: questo è ciò che mostra la Sacra Scrittura e ciò che la tradizione della Chiesa Cattolica ha sempre insegnato (cf. 1771).

Capitolo 2. I sette gradi dell’ordine.

1765. Poiché il ministero di un Sacerdozio così santo è una cosa divina, era opportuno, perché fosse esercitato più degnamente e con maggior rispetto, che vi fossero, nella struttura perfettamente ordinata della Chiesa, diversi ordini di ministero, che fossero, per la loro funzione, al servizio del Sacerdozio, distribuiti in modo tale che coloro che avrebbero ricevuto la tonsura clericale salissero dagli Ordini minori agli Ordini maggiori (cf. 1772). La Sacra Scrittura, infatti, non menziona chiaramente solo i Sacerdoti, ma anche i diaconi; essa insegna, con le espressioni più gravi, a che cosa dobbiamo stare molto attenti quando li ordiniamo (Act VI,5 Act XXI,8 1Tm III,8-13 Ph 1,1). Fin dagli inizi della Chiesa sappiamo che erano in uso, anche se in misura diversa, i nomi dei seguenti Ordini e dei ministeri propri di ciascuno di essi: suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori ed ostiari. In realtà, il suddiaconato viene accostato agli Ordini maggiori dai Padri e dai Santi Concili, nei quali leggiamo molto spesso riferimenti agli altri olOrdini inferiori.

Capitolo 3. La sacramentalità dell’ordine.

1766. Poiché la testimonianza della Scrittura, la tradizione apostolica e l’accordo dei Padri mostrano chiaramente che la sacra ordinazione, conferita con parole e segni esterni, conferisca la grazia, nessuno deve dubitare che l’Ordine sia veramente e propriamente uno dei sette Sacramenti della santa Chiesa (cf. 1773). L’Apostolo dice: “Vi esorto a ravvivare la grazia di Dio che è in voi mediante l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno spirito di timore, ma di forza, di amore e di moderazione” (2Tm I,6 1Tm VI,14).

Capitolo 4. La Gerarchia ecclesiastica e l’Ordinazione.

1767. Poiché nel Sacramento dell’Ordine, così come nel Battesimo e nella Confermazione, è impresso un carattere (cf. 1774) che non può essere distrutto o tolto, il santo Concilio condanna giustamente il pensiero di coloro che affermino che i Sacerdoti del Nuovo Testamento abbiano solo un potere temporaneo e che, una volta ordinati secondo le regole, possano tornare laici, se non esercitano il ministero della Parola di Dio (cf. 1771). Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani, senza distinzione, siano Sacerdoti del Nuovo Testamento, o che tutti siano dotati dello stesso potere spirituale tra loro, sembra che non faccia altro che cancellare la Gerarchia ecclesiastica (cf..1776), che è come “un esercito schierato in battaglia” (Ct VI,3 Ct VI,9); come se, contrariamente all’insegnamento di san Paolo (1Cor XII,28-29; Eph IV,11) tutti fossero apostoli e tutti profeti, tutti evangelisti, tutti pastori, tutti maestri.

1768. Il santo Concilio dichiara quindi che, oltre agli altri gradi ecclesiastici, i Vescovi, che sono succeduti agli Apostoli, appartengano principalmente a questo ordine gerarchico; che siano stati posti (come dice lo stesso Apostolo) dallo Spirito Santo “per governare la Chiesa di Dio” (At XX,28; che siano superiori ai presbiteri; che conferiscano il Sacramento della Confermazione; che ordinalino i ministri della Chiesa; che possano fare molte altre cose per le quali altri di Ordine inferiore non hanno potere (cf. 1777).

1969. Inoltre, il santo Concilio insegna che nell’ordinazione dei Vescovi, dei Sacerdoti e degli altri Ordini non sia necessario né il consenso, né l’appello, né l’autorità del popolo o di qualsiasi potere o magistratura civile, come se l’Ordinazione fosse altrimenti nulla. Anzi, stabilisce che coloro che siano chiamati e istituiti dal popolo o da un potere o da una magistratura, salgono all’esercizio di questo ministero, e coloro che li prendono per sé, nella loro temerarietà debbano essere ritenuti, non come ministri della Chiesa, ma come ladri e briganti che non sono entrati dalla porta (Gv 10,1); (cf. 1778).

1770. Questo è ciò che sia sembrato bene al santo Concilio insegnare ai Cristiani in modo generale sul Sacramento dell’Ordine. Ha deciso di condannare nel modo seguente ciò che sia contrario a Canoni precisi e propri, affinché, con l’aiuto di Cristo, tutti, usando la regola della fede, in mezzo alle tenebre di tanti errori, possano più facilmente conoscere e conservare la fede cattolica.

Canoni sul Sacramento dell’Ordine.

1771. (1) Se qualcuno dice che nel Nuovo Testamento non ci sia un Sacerdozio visibile ed esterno, o che non ci sia il potere di consacrare e offrire il vero Corpo e Sangue del Signore e di rimettere o trattenere i peccati, ma solo una funzione e un semplice ministero di predicazione del Vangelo; o che coloro che non predicano non sono Sacerdoti, sia anatema (cf.1764; 1767).

1772. (2) Se qualcuno dice che, oltre al Sacerdozio, non ci siano altri Ordini maggiori e minori nella Chiesa cattolica, (cf. 1764; 1767), attraverso i quali, come per gradi, si avanzi al Sacerdozio: sia anatema (cf. 1765).

1773. 3 Se qualcuno dirà che la sacra Ordinazione non sia veramente e propriamente un Sacramento istituito da Cristo Signore, o che sia un’invenzione umana, escogitata da uomini che non capiscono nulla delle cose della Chiesa, o che sia solo un rito con cui si scelgono i ministri della Parola di Dio e dei Sacramenti, sia anatema (cf. 1766).

1774. 4 Se qualcuno dice che lo Spirito Santo non venga dato con la sacra Ordinazione, e che quindi sia vano che i Vescovi dicano: “Ricevi lo Spirito Santo”, o che l’Ordinazione non imprima un carattere, o che uno che sia diventato Sacerdote una volta per tutte possa tornare laico, sia anatema (cf. 1767).

1775. 5 Se qualcuno dice che l’unzione sacra che la Chiesa usa nell’Ordinazione non solo non sia necessaria, ma sia da disprezzare e sia perniciosa, e che lo stesso vale per le altre cerimonie dell’Ordine, sia anatema.

1776. 6 Se qualcuno afferma che nella Chiesa Cattolica non esista una Gerarchia istituita per disposizione divina, composta da Vescovi, Sacerdoti e ministri, sia anatema (cf. 1768).

1777. 7. Se qualcuno dice che i Vescovi non siano superiori ai Sacerdoti; o che non abbiano il potere di confermare e ordinare; o che il potere che hanno sia comune a loro con i Sacerdoti; o che le ordinazioni da loro conferite senza il consenso o l’appello del popolo o di qualche potere civile siano nulle; o che coloro che non sono stati legittimamente ordinati o inviati dall’autorità ecclesiastica e canonica, ma provengono da altrove, siano legittimi ministri della Parola e dei Sacramenti: sia anatema (cf. 1768s.).

1778. (8) Se qualcuno dice che i Vescovi scelti dall’autorità del Romano Pontefice non siano legittimi e veri Vescovi, ma un’invenzione umana, sia anatema.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (26) “CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV al termine”