TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (24)
HENRICUS DENZINGER
ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT
ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.
ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM
De rebus fidei et morum
HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI
Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar
Il Concilio di Trento: Sess. VII – XIV
Sessione VII, 3 marzo 1547, decreto sui Sacramenti.
Preambolo
1600. Per completare questa salutare dottrina sulla giustificazione, promulgata nella sessione precedente con il consenso unanime di tutti i padri, è sembrato opportuno trattare dei santissimi sacramenti della Chiesa. È attraverso di essi che ogni vera giustizia inizia, o, una volta iniziata, aumenta, o, una volta persa, viene riparata. Per questo il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… desiderando eliminare gli errori ed estirpare le eresie che sono sorte ai nostri giorni riguardo ai santissimi Sacramenti, o che sono sorte da eresie già condannate dai nostri Padri, o che sono state addirittura scoperte, compromettendo grandemente la purezza della Chiesa cattolica e la salvezza delle anime, in contrasto con l’insegnamento delle Sacre Scritture, con le tradizioni apostoliche e con l’accordo unanime dei Padri di altri Concili, questo santo Concilio ha deciso di emanare e decretare i seguenti canoni. Quelli che restano per completare l’opera iniziata saranno, con l’aiuto dello Spirito Santo, pubblicati in seguito.
Canoni sui Sacramenti in generale.
1601. 1. Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non siano stati tutti istituiti da Gesù Cristo nostro Signore, o che ce ne siano più o meno di sette, cioè il Battesimo, la Cresima, l’Eucaristia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine e il Matrimonio, o che uno di questi sette non sia veramente e propriamente un Sacramento, sia anatema.
1602. 2 Se qualcuno dice che questi Sacramenti della nuova Legge differiscano da quelli dell’antica Legge solo perché le cerimonie sono diverse ed i riti esterni sono diversi, sia anatema.
1603. 3 Se qualcuno dice che questi sette sacramenti sono così uguali che in nessun modo uno è più degno dell’altro, sia anatema.
1604. (4) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non sisno necessari per la salvezza, ma superflui, e che senza di essi, o senza il desiderio di essi, gli uomini ottengano da Dio la grazia della giustificazione (cf. 1559), essendo ammesso che non tutti per tutti: sia anatema..
1605. (5) Se qualcuno dice che questi Sacramenti siano stati istituiti solo per alimentare la fede, sia anatema.
1606. (6) Se qualcuno dice che i Sacramenti della Nuova Legge non contengano la grazia che significano, o che non conferiscano questa stessa grazia a coloro che non la ostacolano (cf. 1451), come se fossero solo segni esteriori della grazia e della giustizia ricevute dalla fede, e segni della professione cristiana con cui i fedeli si distinguono dagli infedeli tra gli uomini, sia anatema.
1607. (7) Se qualcuno dice che con tali Sacramenti la grazia non sia data sempre e a tutti, per quanto riguarda Dio, anche se siano ricevuti come dovrebbero essere, ma solo a volte e ad alcuni, sia anatema.
1608. (8) Se qualcuno dice che la grazia non viene conferita “ex opere operato” da questi Sacramenti della Nuova Legge, ma che la sola fede nella promessa divina sia sufficiente per ottenere la grazia, sia anatema.
1609. 9. Se qualcuno dice che nei tre Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro non venga impresso nell’anima un carattere, cioè un marchio spirituale e indelebile tale da non poter essere ripetuto, sia anatema.
1610. 10. Se qualcuno afferma che tutti i Cristiani abbiano potere sulla parola e sull’amministrazione dei Sacramenti, sia anatema.
1611. 11. Se qualcuno dice che nei ministri, mentre compiono e conferiscono i Sacramenti, non sia richiesta l’intenzione di fare almeno ciò che fa la Chiesa: sia anatema.(cf. 1262).
1612. 12. Se qualcuno dice che un ministro in stato di peccato mortale, purché osservi tutto ciò che è essenziale riguardo al fare o al conferire il Sacramento, non faccia o conferisca il Sacramento: sia anatema (cf. 1154).
1613. 13. Se qualcuno dice che i riti ricevuti e approvati della Chiesa cattolica, in uso nella solenne amministrazione dei Sacramenti, possano essere disprezzati od omessi senza peccato, a volontà dei ministri, o cambiati in altri nuovi da qualsiasi pastore delle chiese, sia anatema.
Canoni sul Sacramento del Battesimo
1614. (1) Se qualcuno dice che il battesimo di Giovanni ha la stessa forza del battesimo di Cristo, sia anatema.
1615. (2) Se qualcuno dice che l’acqua vera e naturale non sia necessaria per il Battesimo, e quindi trasforma le parole di nostro Signore Gesù Cristo in una metafora: “Se uno non rinasce dall’acqua e dallo Spirito Santo”, Giovanni III: 5, sia anatema.
1616.3 Se qualcuno dirà che nella Chiesa romana, che è madre e maestra di tutte le Chiese, non si trovi la vera dottrina sul Sacramento del Battesimo, sia anatema.
1617.4 Se qualcuno dice che il Battesimo, anche se impartito dagli eretici nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, non sia vero battesimo, sia anatema.
1618.5 Se qualcuno dice che il battesimo è libero, cioè non necessario per la salvezza, sia anatema (cf. 1524).
1619. 6. Se qualcuno dice che il battezzato non possa, anche se volesse, perdere la grazia, per quanto numerosi siano i suoi peccati, a meno che non voglia credere, sia anatema (cf. 1544).
1620. 7. Se qualcuno dice che i battezzati, con il loro Battesimo, non siano obbligati solo alla fede, ma anche all’osservanza di tutta la Legge di Cristo, sia anatema.
1621. 8. Se qualcuno dice che coloro che sono battezzati sisno liberi rispetto a tutti i comandamenti della santa Chiesa, sia quelli scritti che quelli tramandati, in modo da non essere obbligati ad osservarli: sia anatema.
1622. 9. Se qualcuno dice che bisogna ricordare agli uomini il battesimo in modo che comprendano che tutti i voti fatti dopo il battesimo sono nulli, in virtù della promessa già fatta nel battesimo stesso, come se questi voti minassero sia la fede professata in quel momento sia il battesimo stesso, sia anatema.
1623. 10. Se qualcuno dice che tutti i peccati commessi dopo il Battesimo siano rimessi o resi veniali dal solo ricordo e dalla fede del Battesimo ricevuto, sia anatema.
1624. 11. Se qualcuno dice che il vero Battesimo, conferito secondo i riti, debba essere ripetuto per chi ha negato la fede di Cristo tra gli infedeli, quando si è convertito e ha fatto penitenza: sia anatema.
1625. 12. Se qualcuno dice che nessuno deve essere battezzato se non all’età in cui Cristo fu battezzato o in punto di morte, sia anatema.
1626. 13. Se qualcuno dice che i neonati, poiché non fanno atto di fede, non debbano essere annoverati tra i fedeli dopo aver ricevuto il Battesimo, e che per questo motivo debbano essere ribattezzati quando hanno raggiunto l’età della discrezione, o che sia preferibile omettere il loro Battesimo piuttosto che battezzarli nella sola fede della Chiesa, loro che non credono con un atto personale di fede: sia anatema.
1627. 14. Se qualcuno dice che a questi bambini battezzati in questo modo si dovrebbe chiedere, quando sono cresciuti, se vogliono ratificare ciò che i padrini hanno promesso a loro nome quando sono stati battezzati, e che coloro che rispondono che non vogliono farlo dovrebbero essere lasciati al loro libero arbitrio e non costretti da alcuna sanzione a condurre una vita cristiana, se non escludendoli dal ricevere l’Eucaristia e gli altri Sacramenti fino a quando non si emendano: sia anatema.
Canoni sul sacramento della Confermazione.
1628. 1 Se qualcuno dice che la Cresima dei battezzati sia una cerimonia vana e non un vero e proprio Sacramento, o che in passato non fosse altro che una catechesi, con la quale coloro che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della loro fede in presenza della Chiesa, sia anatema.
1629. 2. Se qualcuno dice che chi attribuisce qualche virtù al santo crisma della Confermazione faccia ingiustizia allo Spirito Santo, sia anatema.
1630. 3. Se qualcuno dice che il ministro ordinario della confermazione non sia il solo Vescovo, ma qualsiasi semplice Sacerdote, sia anatema (cf.1318).
Continuazione del Concilio di Trento sotto Giulio III.
GIULIO III: 7 febbraio 1550 – 23 Marzo 1555.
Sessione XIII, 11 ottobre 1551: decreto sul sacramento dell’Eucaristia.
Preambolo
1635. Il Santo Concilio Ecumenico e Generale di Trento… si riunì, non senza essere particolarmente guidato e governato dallo Spirito Santo, allo scopo di esporre la vera e antica dottrina della fede e dei Sacramenti, e di rimediare a tutte le eresie e ad altri gravissimi danni che oggi purtroppo turbano la Chiesa di Dio e la dividono in molte e varie parti. Fin dall’inizio, però, si preoccupò soprattutto di estirpare le erbacce e gli scismi esecrabili che il nemico, in questi nostri tempi infelici, ha seminato (Mt XIII, 15) nella dottrina della fede e nell’uso e nel culto della Santa Eucaristia, che tuttavia nostro Signore ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati tra loro. Ecco perché questo stesso santo Concilio, trasmettendo la sana e autentica dottrina riguardante questo venerabile e divino Sacramento dell’Eucaristia, che la Chiesa cattolica, istruita da Gesù Cristo nostro Signore, ha lasciato nella sua Chiesa come simbolo di quell’unità e di quell’amore con cui ha voluto che tutti i Cristiani fossero uniti e legati insieme. Così pure, il sacro Sinodo, traendo la sana e sincera dottrina di questo santo e venerabile Sacramento, la santa Chiesa dal Signore stesso e dagli Apostoli, istruita dallo Spirito Santo che le ricorda di giorno in giorno tutta la verità (Gv XIV, 26), ha sempre conservato e conserverà fino alla fine del mondo, proibisce a tutti i Cristiani d’ora in poi di osare credere, insegnare o predicare qualcosa sulla santissima Eucaristia che non sia quanto spiegato e definito dal presente decreto.
Cap. 1. La Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nella santissima Eucaristia.
1636. In primo luogo, il santo Concilio insegna e professa apertamente e inequivocabilmente che nel venerabile Sacramento della santa Eucaristia, dopo la consacrazione del pane e del vino, nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è realmente, veramente e sostanzialmente (cf. 1651) contenuto sotto l’apparenza di queste realtà sensibili. Infatti, non vi è alcuna opposizione al fatto che il nostro Salvatore sieda sempre in cielo alla destra del Padre, secondo un modo di esistenza che è soprannaturale, e che tuttavia Egli sia per noi sacramentalmente presente in molti altri luoghi nella sua sostanza, con un modo di esistenza che difficilmente possiamo esprimere a parole, e che tuttavia possiamo riconoscere e credere costantemente come possibile a Dio (Mt XIX,26; Lc XVIII, 27) grazie al nostro pensiero illuminato dalla fede.
1637. Infatti tutti i nostri antenati, che facevano parte della vera Chiesa di Cristo e che parlavano di questo santissimo Sacramento, professavano molto apertamente che il nostro Redentore istituì questo mirabile Sacramento nell’ultima cena, quando, dopo aver benedetto il pane e il vino, testimoniò in termini chiari e precisi che dava loro il proprio Corpo e il proprio Sangue. Queste parole, ricordate dai santi Evangelisti (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19-20 e poi ripetute da san Paolo 1Cor 11,24-25), sono presentate in un senso molto chiaro e proprio, secondo quanto inteso dai Padri. È quindi uno scandalo indegno vedere certi uomini litigiosi e perversi ridurli a figure insulse e immaginarie, con le quali si nega la verità della Carne e del Sangue di Cristo, contro il sentimento universale della Chiesa, che come colonna e fondamento della verità ” (1Tm 3,15) detesta come sataniche queste invenzioni escogitate da uomini empi, ella che riconosce, con uno spirito che sa sempre ringraziare e ricordare, questo eccezionale beneficio di Cristo.
Cap. 2. Il motivo dell’istituzione di questo santissimo Sacramento.
1638. Perciò il nostro Salvatore, lasciando questo mondo per il Padre, istituì questo Sacramento nel quale riversò le ricchezze del suo amore divino per gli uomini, “lasciando un memoriale delle sue opere meravigliose” (Sal 110,4), e ci diede, ricevendo questo Sacramento, di celebrare la sua memoria (Lc 22,19 1Co 11,24) e di proclamare la sua morte fino a quando verrà lui stesso (1Co 11,26) a giudicare il mondo. Egli ha voluto che questo Sacramento fosse cibo spirituale per le anime (Mt 26,26) che nutre e rafforza coloro che vivono della sua vita (cf. 1655), Colui che ha detto “chi mangia me, vivrà egli stesso per mezzo di me” (Gv 6,57), e come antidoto che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali. Volle anche che fosse il pegno della nostra gloria futura e della felicità eterna, nonché il simbolo dell’unico Corpo di cui egli stesso è il capo (1Co XI, 3; Eph V, 23)e al quale volle che noi, come sue membra, fossimo legati dai più stretti vincoli di fede, speranza e carità, in modo da dire tutti la stessa cosa e da non avere divisioni tra noi (1Co 1,10).
Cap. 3. L’eccellenza della Santissima Eucaristia rispetto agli altri Sacramenti.
Altri sacramenti.
1639. La santissima Eucaristia ha certamente qualcosa in comune con gli altri Sacramenti in quanto è “simbolo di una realtà santa e forma visibile di una grazia invisibile”. Ma ciò che è eccellente e particolare è che gli altri Sacramenti hanno la virtù di santificare quando si ricorre ad essi, mentre nell’Eucaristia si trova l’Autore stesso della santità prima di riceverla (cf. 1654).
1640. In effetti, gli Apostoli non avevano ancora ricevuto l’Eucaristia dalle mani del Signore (Mt 26,26 Mc 14,22), eppure Egli affermò che era veramente il suo Corpo quello che presentava; ed è sempre stata fede della Chiesa di Dio che, subito dopo la consacrazione, il vero Corpo ed il Sangue di nostro Signore si trovassero sotto le specie del pane e del vino insieme alla sua anima e alla sua divinità. Certamente, se il Corpo è sotto la specie del pane e il Sangue sotto la specie del vino in virtù delle parole, il Corpo stesso è anche sotto la specie del vino, e il Sangue sotto la specie del pane, e l’anima sotto entrambe le specie, in virtù di questa connessione naturale e di questa concomitanza che unisce tra loro le parti di Cristo Signore che, risorto dai morti, non muore più (Rm 6,9) La divinità è unita, per questa mirabile unione ipostatica, al suo corpo e alla sua anima (cf. 1651; 1653).
1641. Per questo è vero che Cristo è contenuto sotto l’una o l’altra specie e sotto entrambe le specie insieme. Infatti, Cristo è totalmente e integralmente sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; allo stesso modo è totalmente sotto la specie del vino e sotto le sue parti (cf. 1653).
Cap. 4. Transustanziazione
1642. Poiché Cristo nostro Redentore ha detto che ciò che offriva sotto le specie del pane fosse veramente il suo corpo (Mt 26,26-29 Mc 14,22-25 Lc 22,19 1Co 11,24-26) si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo è ciò che questo santo Concilio dichiara anche oggi – che con la consacrazione del pane e del vino avviene un cambiamento di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo nostro Signore e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questo cambiamento è stato giustamente e propriamente chiamato, dalla santa Chiesa cattolica, transustanziazione (cf. 1652).
Cap. 5. Il culto e la venerazione dovuti a questo santissimo Sacramento.
1643. Perciò non c’è motivo di dubitare che tutti i cristiani, secondo la consuetudine che è sempre stata ricevuta nella Chiesa cattolica, venerino questo santissimo sacramento con il culto di latria che è dovuto al vero Dio 1656. Infatti questo sacramento deve essere venerato non meno perché è stato istituito da Cristo Signore per nutrirci (Mt 26,26-29). Crediamo infatti che in esso sia presente lo stesso Dio che l’eterno Padre introdusse nel mondo quando disse: “E tutti gli Angeli di Dio lo adorino” (Eb 1,6 Sal 7XCVI ,7) che i Magi adorarono prostrandosi 6(Mt 2,11) e a cui tutta la Scrittura testimonia che fu adorato in Galilea dagli apostoli (Mt 28,17 Lc 24,52).
1644. Inoltre, il santo Concilio dichiara che nella Chiesa di Dio è stata introdotta la consuetudine, devota e religiosa, di celebrare questo eminente e venerabile Sacramento con speciale venerazione e solennità ogni anno in un giorno festivo particolare, e di portarlo con riverenza ed onore in processione per le strade e le piazze pubbliche. (Cf. 846) Infatti, è giusto che ci siano dei giorni santi in cui tutti i Cristiani, con manifestazioni singolari e straordinarie, testimonino la loro gratitudine ed il loro ricordo al loro comune Signore e Redentore per un beneficio così ineffabile e veramente divino, con il quale sono rappresentati la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte. E fu così che la verità, vittoriosa sulla falsità e sull’eresia, trionfò, cosicché i suoi avversari, di fronte a un così grande splendore e alla grande gioia della Chiesa universale, o si indebolirono e si spezzarono, o appassirono, o, sopraffatti dalla vergogna e dalla confusione, giunsero un giorno a rassegnarsi.
Cap. 6. Il Sacramento della Santa Eucaristia conservato e portato ai malati.
1645. L’usanza di conservare la Santa Eucaristia in un luogo sacro è così antica che il secolo del Concilio di Nicea la conosceva già. Inoltre, portare la Santa Eucaristia agli ammalati e conservarla con cura nelle chiese non solo è molto equo e conforme alla ragione, ma è anche prescritto da molti Concili e osservato da una consuetudine molto antica della Chiesa cattolica. Per questo motivo questo santo Concilio ha stabilito che questa salutare e necessaria usanza debba essere assolutamente mantenuta (cf. 1657).
Cap. 7. La preparazione da fare per ricevere degnamente la della santa eucaristia
1646. Se non conviene a nessuno accostarsi ad una funzione sacra se non in modo santo, certamente quanto più un Cristiano scopre la santità ed il carattere divino di questo Sacramento celeste, tanto più deve fare attenzione a non accostarsi ad esso per riceverlo se non con grande rispetto e santità (cf. 1661): “Chi mangia e beve indegnamente mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo di Cristo” (1Co XI, 29). Per questo motivo, chi desidera ricevere la Comunione deve ricordarsi del comandamento: “L’uomo si metta alla prova” (1Cor XI, 28).
1647. La consuetudine della Chiesa mostra chiaramente che questa prova sia necessaria affinché nessuno che sia consapevole di un peccato mortale, per quanto si ritenga contrito, possa accostarsi alla santa Eucaristia senza una previa Confessione sacramentale. Questo santo Concilio ha decretato che ciò debba essere sempre osservato da tutti i Cristiani, anche dai Sacerdoti che sono tenuti per ufficio a celebrare, purché possano ricorrere a un confessore. Che se, per urgente necessità, un Sacerdote ha dovuto celebrare senza confessarsi, si confessi al più presto (cf. 2058).
Cap. 8. L’uso di questo mirabile sacramento.
1648. Per quanto riguarda l’uso, i nostri padri hanno giustamente e saggiamente distinto tre modi di ricevere questo santo Sacramento. Hanno insegnato che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente come peccatori. Altri lo ricevono solo spiritualmente: sono coloro che, mangiando per desiderio il pane celeste offerto loro con quella “fede” viva che “opera per mezzo dell’amore” (Gal V, 6), ne sentono il frutto e l’utilità. Infine, ci sono altri che lo ricevono sia sacramentalmente che spiritualmente (cf. 1658): sono coloro che si mettono alla prova e si preparano in modo tale da accostarsi a questa mensa divina dopo aver indossato la veste nuziale (Mt XXII,11-14). Nella ricezione dei Sacramenti, è sempre stata consuetudine della Chiesa di Dio che i laici ricevano la comunione dai Sacerdoti e che i Sacerdoti che celebrano ricevano essi stessi la comunione (cf. 1560); questa consuetudine, derivante dalla tradizione apostolica, deve essere giustamente e rettamente mantenuta..
1649. Infine, con affetto paterno, il Santo Concilio avverte, esorta, chiede e supplica, “per le viscere della misericordia di Dio” (Lc 1,78), tutti e ciascuno di coloro che portano il nome di Cristiano di riunirsi finalmente, formando un solo cuore, in questo “segno”, in questo “vincolo di carità”, in questo simbolo dell’accordo dei cuori; ricordando la grande maestà e l’ammirabile amore di nostro Signore Gesù Cristo, che ha dato la sua cara vita come prezzo della nostra salvezza, e il suo amore per noi (Gv VI, 48-58) affinché credano e venerino i santi misteri del suo Corpo e del suo Sangue con una fede così costante e salda, con un cuore così devoto, con una pietà e una riverenza tali da ricevere spesso questo pane supersostanziale (Mt VI,11). Che sia davvero la vita delle loro anime e la salute perpetua dei loro spiriti; che, forti del suo vigore 1Re 19,8 , possano completare il cammino del loro infelice pellegrinaggio ed entrare nella patria celeste, dove saranno nutriti senza alcun velo da questo pane degli angeli (Sal LXXII,25) che mangiano solo sotto i sacri veli.
1650. Poiché non basta dire la verità se non si rivelano e confutano gli errori, il santo Concilio decise di aggiungere i seguenti Canoni affinché tutti, una volta conosciuta la dottrina cattolica, comprendano anche quali eresie debbano essere scartate ed evitate.
Canoni sul Santo Sacramento dell’Eucaristia.
1651. (1) Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia non siano contenuti realmente, veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme all’anima ed alla divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e di conseguenza tutto il Cristo, ma dice che vi siano solo come in un segno o in una figura o virtualmente, sia anatema (cf. 1636; 1640).
1652. 2 Se qualcuno dice che nel santissimo Sacramento dell’Rucaristia la sostanza del pane e del vino rimanga con il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, e se nega questo mirabile e unico cambiamento di tutta la sostanza del pane nel suo Corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo Sangue, mentre le specie del pane e del vino rimangono, cambiamento che la Chiesa cattolica chiama molto opportunamente transustanziazione, sia anatema (cf. 1642).
1653. 3 Se qualcuno nega che nel venerabile sacramento dell’eucaristia il Cristo intero è contenuto sotto ciascuna specie e sotto ciascuna delle parti di entrambe le specie dopo la loro separazione, sia anatema 1641.
1654. 4 Se qualcuno dice che il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo non siano nel mirabile Sacramento dell’Eucaristia dopo la consacrazione, ma solo quando vengano usati nel riceverli, né prima né dopo, e che il vero Corpo del Signore non rimanga nelle ostie o nelle porzioni consacrate che si conservano o rimangono dopo la comunione, sia anatema (cf.1639 s.).
1655. 5 Se qualcuno afferma che il frutto principale della Santissima Eucaristia sia la remissione dei peccati o che essa non produca altri effetti, sia anatema (cf. 1638).
1656. 6. Se qualcuno dice che nel santo Sacramento dell’Eucaristia, Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, non debba essere adorato con un culto di latria, anche esteriore, e che, di conseguenza, non debba essere venerato con una particolare celebrazione festiva, né essere portato solennemente in processione secondo il lodevole ed universale rito o usanza della santa Chiesa, né essere offerto pubblicamente all’adorazione del popolo, essendo coloro che lo adorano idolatri: sia anatema (cf. 1643s.).
1657. 7 Se qualcuno dice che non sia lecito conservare la santa Eucaristia nel tabernacolo, ma che debba essere necessariamente distribuita ai presenti subito dopo la consacrazione, o che non sia lecito portarla con onore ai malati, sia anatema (cf. 1645).
1658. 8. Se qualcuno dice che il Cristo presentato nell’Eucaristia venganmangiato solo spiritualmente e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema (cf. 1648).
1659. 9. Se qualcuno nega che, una volta raggiunta l’età della discrezione, ogni Cristiano di entrambi i sessi sia tenuto a ricevere la Santa Comunione ogni anno almeno a Pasqua, secondo il comandamento della nostra santa madre Chiesa: sia anatema (cf. 812).
1660. 10. Se qualcuno dice che non sia lecito che il Sacerdote che celebra faccia egli stesso la Comunione, sia anatema (cf. 1648).
1661. 11. Se qualcuno dice che la sola fede sia una preparazione sufficiente per ricevere il Sacramento della santissima Eucaristia, sia anatema (cf. 1646). E affinché un così grande Sacramento non venga ricevuto indegnamente e quindi con morte e condanna, questo santo Concilio stabilisce e dichiara che coloro la cui coscienza sia gravata da peccato mortale, per quanto possano giudicarsi contriti, debbano necessariamente prima confessarsi sacramentalmente, se si può trovare un confessore. Se qualcuno avrà l’ardire di insegnare, predicare o affermare ostinatamente il contrario o addirittura di difenderlo nelle dispute pubbliche, sia per questo stesso fatto scomunicato (cf. 1647).
Sessione XIV, 25 novembre 1551
Dottrina sul Sacramento della penitenza.
1667. Il santo Concilio ecumenico e generale di Trento… parlò a lungo, in occasione del decreto sulla giustificazione (cf. 1542s; 1579), del Sacramento della Penitenza, che una certa necessità richiedeva a causa della relazione tra i soggetti. Tuttavia, la moltitudine di errori diversi riguardanti questo Sacramento è così grande che è difficile capire perché sia così importante …. [il Concilio] ha ritenuto di pubblica utilità dare una definizione più esatta e completa. In questo modo, una volta smascherati e respinti tutti gli errori, sotto la protezione dello Spirito Santo, la verità cattolica diventerà chiara ed inequivocabile. È questa verità che questo santo Concilio espone a tutti i Cristiani affinché la conservino sempre.
Capitolo 1: Necessità e istituzione del Sacramento della Penitenza.
1668. Se tutti i rigenerati fossero così grati a Dio da mantenere costantemente la giustizia ricevuta nel Battesimo dalla sua bontà e grazia, non ci sarebbe stato bisogno di istituire un Sacramento diverso da quello del Battesimo per la remissione dei peccati (cf. 1702). Ma poiché “Dio, ricco di misericordia” (Ef II,4), “sa di che pasta siamo fatti” (Sal CII,14), ha dato anche un rimedio che restituisca la vita a coloro che in seguito si sono abbandonati alla schiavitù del peccato ed al potere del diavolo: il sacramento della Penitenza (cf. 1701), con il quale la benedizione della morte di Cristo viene applicata a coloro che sono caduti dopo il Battesimo.
1669. Per tutti gli uomini che si sono macchiati di un qualsiasi peccato mortale, la Penitenza era certamente necessaria in ogni momento per ottenere la grazia e la giustizia, anche per coloro che avevano chiesto di essere lavati dal Sacramento del Battesimo, affinché, respinta ed emendata ogni perversità, detestassero una così grande offesa fatta a Dio, provando allo stesso tempo odio per il peccato ed un santo dolore nella loro anima. Così dice il Profeta: “Pentitevi e fate penitenza per tutte le vostre iniquità, e la vostra iniquità non sarà la vostra rovina” (Ezech XVIII, 30). Anche il Signore ha detto: “Se non fate penitenza, perirete tutti allo stesso modo” (Lc XIII,3). E il capo degli Apostoli, Pietro, nel raccomandare la penitenza ai peccatori che dovevano ricevere il Battesimo, disse: “Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato” (At II,38).
1670. Ma prima della venuta di Cristo, la penitenza non era un sacramento; e dopo la sua venuta, non è un sacramento per nessuno prima del battesimo. Il Signore istituì questo sacramento della penitenza quando, risorto dai morti, soffiò sui discepoli dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo e i peccati saranno rimessi a coloro ai quali li rimetterete e saranno trattenuti da coloro ai quali li tratterrete” (Gv X,22-23). I Padri hanno sempre unanimemente compreso (cf. 1703) che il potere di perdonare e trattenere i peccati, per riconciliare i fedeli decaduti dopo il Battesimo, è stato comunicato agli Apostoli e ai loro legittimi successori con un fatto così straordinario e con parole così chiare, e la Chiesa ha avuto ben ragione di respingere e condannare come eretici i Novaziani che, in passato, hanno ostinatamente negato il potere di perdonare i peccati. Perciò questo santo Concilio, approvando e facendo proprio questo autentico significato delle parole del Signore, condanna le false interpretazioni di coloro che falsamente deviano queste parole per applicarle al potere di predicare la Parola di Dio e il Vangelo di Cristo e per opporsi all’istituzione di questo sacramento.
Capitolo 2. Differenza tra il Sacramento della Penitenza e il Battesimo.
1672. Inoltre, si può notare che, sotto molti aspetti, questo Sacramento differisca dal Battesimo 1702. Infatti, a parte il fatto che la materia e la forma, che costituiscono l’essenza del zdacramento, siano molto diverse, è assolutamente chiaro che il ministro del Battesimo non debba essere un giudice, poiché la Chiesa non giudica nessuno che non sia entrato prima nella Chiesa attraverso la porta del Battesimo. “Infatti, che cosa ho da fare (dice l’Apostolo) per giudicare quelli che sono fuori? (1 Cor V,12). Lo stesso non vale per coloro che appartengono alla famiglia della fede, ,(Galati VI,10), che il Signore Cristo ha reso membra del suo Corpo una volta per tutte mediante il Battesimo (1 Corinzi XII,12-13). Infatti, era sua volontà che, se in seguito si fossero contaminati per qualche colpa, non venissero lavati con un Battesimo da ripetere, poiché ciò non è in alcun modo permesso nella Chiesa cattolica, ma che comparissero come colpevoli davanti a questo tribunale affinché, per sentenza dei Sacerdoti, fossero liberati, non una volta sola, ma ogni volta che, pentendosi dei peccati commessi, si rifugiassero in lui.
1672. Inoltre, il frutto del Battesimo è diverso da quello della Penitenza. In Ga III,27 diventiamo una nuova creatura in Lui, mentre otteniamo la piena e completa remissione di tutti i peccati. Non possiamo assolutamente raggiungere questa novità e integrità attraverso il Sacramento della Penitenza senza grandi lacrime e dolori da parte nostra, come richiede la giustizia divina. La Penitenza è stata quindi giustamente definita dai Padri “un Battesimo faticoso”. Questo Sacramento della Penitenza è necessario per la salvezza di coloro che sono caduti dopo il Battesimo, così come il Battesimo stesso lo è per coloro che non sono ancora stati rigenerati (cf. 1706).
Capitolo 3. Le parti e i frutti di questo Sacramento.
1673. Il santo Concilio insegna inoltre che la forma del Sacramento della Penitenza, in cui risiede principalmente la sua virtù, è posta in queste parole del ministro: “Ti assolvo, ecc.”, alle quali parole, secondo l’uso della santa Chiesa, si aggiungono lodevolmente alcune preghiere che, tuttavia, non riguardano in alcun modo l’essenza di questa forma e non sono necessarie per l’amministrazione di questo Sacramento. Gli atti del penitente stesso sono la quasi-materia di questo Sacramento di: contrizione, confessione e soddisfazione (cf. 1704). Nella misura in cui questi atti sono richiesti, perché di istituzione divina, nel penitente per l’integrità del sacramento, per una piena e perfetta remissione dei peccati, sono per questo detti parti della penitenza.
1674. Per quanto riguarda la virtù e l’efficacia del Sacramento, la riconciliazione con Dio è la sua realtà e il suo effetto; negli uomini pii che ricevono questo Sacramento con devozione, esso produce di solito pace e serenità ed una grande consolazione spirituale.
1675. Dicendo tutto questo sulle parti e sugli effetti di questo sacramento, il santo Concilio condanna allo stesso tempo le affermazioni di coloro che sostengono che i terrori che si impadroniscono della coscienza e della fede siano parti della penitenza (cf. 1704).
Capitolo 4 Contrizione.
1676. La Contrizione, che occupa il primo posto tra gli atti del penitente di cui si parla, è un dolore dell’anima ed una detestazione del peccato commesso, con il proposito di non peccare in futuro. Questo movimento di Contrizione è sempre stato necessario per ottenere il perdono dei peccati; in coloro che sono caduti dopo il Battesimo, prepara ancora alla remissione dei peccati se è unito alla fiducia nella misericordia divina e al desiderio di fare tutto il resto richiesto per ricevere questo Sacramento come si deve. Il Santo Concilio dichiara quindi che questa Contrizione comprende non solo l’abbandono del peccato, il proponimento e l’inizio di una nuova vita, ma anche l’odio della vecchia vita, secondo queste parole: “Gettate via da voi tutte le iniquità con cui avete prevaricato, e fatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo” (Ezechiele 18,31). E certamente chiunque abbia considerato queste grida dei santi: “Contro te solo ho peccato e in tua presenza ho fatto il male” (Sal 50,6); “Ho faticato con gemiti, ogni notte bagno il mio letto” (Sal VI,7); “Ricorderò per te tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia” (Is XXXVIII 15), e altre del genere, capirà facilmente che provenivano da un odio violento della vita passata e da una detestazione molto grande dei peccati.
1677. Il Santo Concilio insegna inoltre che, anche se talvolta accade che questa Contrizione sia resa perfetta dalla carità e riconcili l’uomo con Dio prima che questo Sacramento sia effettivamente ricevuto, questa riconciliazione non debba tuttavia essere attribuita a questa sola Contrizione senza il desiderio del Sacramento, desiderio che è incluso in essa.
1678. La contrizione imperfetta 1705, che si chiama Attrizione, perché generalmente è concepita o dalla considerazione della bruttezza del peccato o dalla paura dell’inferno e della pena, se esclude la volontà di peccare unita alla speranza del perdono, il Santo Concilio dichiara che non solo non rende l’uomo un ipocrita e un peccatore più grande (cf. 1456), ma che sia anche un dono di Dio, un impulso dello Spirito Santo che, non abitando ancora nel penitente, ma solo muovendolo, gli viene in aiuto, affinché prepari per sé il cammino verso la giustizia. E sebbene senza il Sacramento della Penitenza non possa di per sé condurre il peccatore alla giustificazione, tuttavia lo dispone ad ottenere la grazia di Dio nel Sacramento della Penitenza. Fu molto utilmente colpito da questo timore il popolo di Ninive che fece una penitenza completa alla terrificante predicazione di Giona e ottenne misericordia dal Signore (Gion 3). Per questo motivo gli scrittori cattolici vengono falsamente calunniati, come se avessero insegnato che il Sacramento della Penitenza conferisca la grazia senza alcun buon movimento da parte di chi lo riceve; la Chiesa di Dio non ha mai insegnato né pensato questo. Ma falsa è la dottrina che insegna che la contrizione sia estorta e forzata, e non libera e volontaria (cf. 1705).
Capitolo 5. La confessione.
1679. Dall’istituzione del Sacramento della Penitenza, che è già stata spiegata, la Chiesa universale ha sempre inteso che anche la piena confessione dei peccati era stata istituita dal Signore (Gc 5,16 1Gv 1,9 Lc 5,14) e che era per diritto divino necessaria per tutti coloro che cadevano dopo il Battesimo (cf. 1707). Mentre stava per salire dalla terra al cielo, nostro Signore Gesù Cristo lasciò ai Sacerdoti il compito di sostituirlo (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) come presidenti e giudici a cui riferire tutte le colpe mortali in cui sarebbero caduti i Cristiani, affinché, in virtù del potere delle chiavi, pronunciassero la sentenza che rimetteva o tratteneva i peccati. È ovvio, infatti, che i Sacerdoti non potrebbero esercitare questo giudizio se la causa non fosse a loro nota, e che non potrebbero agire equamente nell’ingiunzione delle pene se i penitenti dichiarassero i loro peccati in modo generico e non piuttosto specificandoli e precisandoli.
1680. Da ciò deriva che i penitenti debbano elencare in confessione tutti i peccati mortali di cui sono a conoscenza dopo un serio esame di se stessi, anche se questi peccati siano molto nascosti e commessi solo contro gli ultimi due comandamenti del Decalogo (Es 20,17 Dt 5,21 Mt 5,28): a volte questi feriscono l’anima più gravemente e sono più pericolosi di quelli commessi in piena vista degli altri. Quanto ai peccati veniali, che non ci escludono dalla grazia di Dio e nei quali cadiamo abbastanza frequentemente, sebbene sia giusto, utile e per nulla presuntuoso dirli nella Confessione (cf. 1707), come dimostra la pratica degli uomini pii, tuttavia possono essere taciuti senza colpa ed essere espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti gli altri peccati mortali, anche se commessi con il pensiero, rendono gli uomini “figli dell’ira” (Ef 2,4) e nemici di Dio, è indispensabile chiedere perdono a Dio con una Confessione franca e sincera. Per questo, sforzandosi di confessare tutti i peccati che vengono in mente, i Cristiani li offrono tutti, senza alcun dubbio, al perdono della misericordia di Dio (cf. 1707). Chi faccia diversamente, e ne nasconda consapevolmente alcuni, non offre nulla alla bontà divina che possa essere perdonato attraverso l’intermediazione del Sacerdote. “Infatti, se il malato arrossisce di scoprire al medico una ferita di cui questi ignora l’esistenza, la medicina non guarirà”.
1681. Ne consegue, inoltre, che anche le circostanze che cambiano il tipo di peccato (cf. 1707) devono essere spiegate nella confessione, perché senza di esse questi peccati non sono pienamente esposti dai penitenti né conosciuti dai giudici; non è possibile che questi ultimi siano in grado di giudicare la gravità delle colpe e di imporre ai penitenti la punizione necessaria per queste colpe. È quindi senza motivo che si insegni che queste circostanze siano state inventate da uomini oziosi o che si debba confessare solo una circostanza, per esempio che si è peccato contro il proprio fratello.
1682. È inoltre empio dire che la Confessione che si prescrive di fare in questo modo sia una cosa impossibile (cf. 1708) o chiamarla una tortura delle coscienze; è evidente infatti che nella Chiesa non si richieda altro ai penitenti che, dopo aver esaminato seriamente se stessi e dopo aver esplorato i recessi e gli angoli segreti della coscienza, confessare i peccati con i quali si ricordino di aver offeso mortalmente il loro Signore ed il loro Dio. Quanto agli altri peccati che non si presentino alla mente di chiunque rifletta seriamente, s’intende che sisno inclusi nell’insieme di questa confessione; per essi diciamo con fede le parole del profeta: “Signore, purificami dai miei peccati nascosti”. La difficoltà di una tale Confessione e la vergogna di dover scoprire i propri peccati potrebbero sembrare gravose se non fossero alleggerite dal numero e dall’importanza dei vantaggi e delle consolazioni che l’assoluzione porta certamente a tutti coloro che si accostano degnamente a questo Sacramento.
1683. D’altra parte, per quanto riguarda la modalità della Confessione segreta al solo Sacerdote, senza dubbio Cristo non ha proibito la confessione pubblica delle proprie colpe come punizione delle proprie colpe e come atto di umiltà personale, sia per dare l’esempio agli altri sia per edificare la Chiesa offesa. Tuttavia, questo precetto non deriva da un comandamento divino, e non sarebbe saggio che una legge umana comandasse di rivelare le proprie colpe, specialmente quelle segrete, con una confessione pubblica. (cf. 1706). Pertanto, poiché i santissimi e antichissimi Padri, con un consenso generale ed unanime, hanno sempre raccomandato la Confessione sacramentale segreta, che la santa Chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa tuttora, la vana calunnia di coloro che non confessano i loro peccati è manifestamente smentita, come aliena dal divino comandamento, ed invenzione umana e che è iniziata con i Padri riuniti nel (quarto) Concilio Lateranense (cf. 1708). Infatti, nel Concilio Lateranense, la Chiesa non stabilì che i Cristiani dovessero confessarsi – aveva capito che ciò fosse necessario e istituito per diritto divino – ma che il precetto della Confessione dovesse essere adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e ciascuno di coloro che avevano raggiunto l’età della ragione. Da ciò deriva che, nella Chiesa universale e con grande frutto per le anime, si osserva questa salutare consuetudine di confessarsi nel santo e propiziatissimo periodo della Quaresima, consuetudine che questo santo Concilio approva e abbraccia grandemente come pia e giusta da conservare (cf. 1708; 812).
Capitolo 6. Il ministro di questo sacramento e l’assoluzione.
1684. A proposito del ministro di questo Sacramento, il santo Concilio dichiara che sono false e del tutto estranee alla verità del Vangelo tutte le dottrine che estendono in modo pernicioso il ministero delle chiavi a ogni tipo di uomo, oltre ai Vescovi e ai Sacerdoti (cf. 1710). I loro autori pensano che queste parole del Signore: “Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo” (Mt 18,18) e : “A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, saranno ritenuti”, (Gv XX,23), siano state dette a tutti i cristiani indifferentemente e indistintamente, in contraddizione con l’istituzione del Sacramento, in modo che chiunque abbia il potere di rimettere i peccati, quelli pubblici con la correzione, con il consenso di colui che viene corretto, quelli segreti con una confessione spontanea fatta a chiunque. Il Santo Concilio insegna inoltre che anche i Sacerdoti in stato di peccato mortale esercitino, come ministri di Cristo, la funzione di rimettere i peccati in virtù dello Spirito Santo che hanno ricevuto con l’ordinazione, e che è un’opinione errata sostenere che questo potere non esista nei sacerdoti cattivi.
1685. Sebbene l’assoluzione del Sacerdote sia la dispensazione di un beneficio che non gli appartiene, tuttavia non è il solo e semplice ministero di annunciare il Vangelo o di dichiarare che i peccati siano perdonati, ma è come un atto giudiziario in cui una sentenza sia pronunciata dal Sacerdote come da un giudice (cf. 1709). Per questo il penitente non deve fare tanto affidamento sulla propria fede da pensare che, anche se non c’è contrizione in lui o se il Sacerdote non intenda agire seriamente e assolverlo davvero, egli sia comunque veramente assolto davanti a Dio grazie alla sua sola fede. Infatti, la fede non procurerebbe la remissione dei peccati senza la Penitenza, e sarebbe molto negligente per la sua salvezza chi sapesse che un Sacerdote lo abbia assolto per scherzo e non cercasse con cura un altro che agisse seriamente (cf. 1462).
Capitolo 7. Riserva di cause
1686. Pertanto, poiché la natura e la costituzione di un giudizio richiedono che la sentenza sia portata avanti nei soggetti, si è sempre ritenuto nella Chiesa di Dio – e questo Concilio conferma che ciò sia verissimo – che l’assoluzione pronunciata da un Sacerdote su qualcuno su cui non abbia giurisdizione ordinaria o delegata, non debba avere alcun valore.
1687. Ma un punto è sembrato ai nostri santissimi Padri di particolare interesse per la disciplina del popolo cristiano: alcuni peccati, del tipo più atroce e grave, non possono essere assolti da nessun Sacerdote, ma solo da quelli di grado più elevato. È quindi a buon diritto che i Sommi Pontefici, in virtù del potere supremo loro conferito nella Chiesa universale, hanno potuto riservare al loro particolare giudizio alcuni reati più gravi. E non dobbiamo dubitare, dal momento che tutto ciò che venga da Dio è disposto per ordine (Rm XIII,1), che ciò sia permesso a ciascun Vescovo nella propria diocesi, “per l’edificazione, non per la distruzione” (2Cor X,8; 2Cor XIII,10) in virtù dell’autorità conferita loro sui sudditi e che supera quella degli altri Sacerdoti inferiori, soprattutto per le colpe a cui è legata la censura della scomunica. È in pieno accordo con l’Autorità divina che questa riserva di colpe abbia valore non solo nella disciplina esterna, ma anche davanti a Dio (cf. 1711).
1688. Tuttavia, affinché nessuno si perda per questo motivo, nella Chiesa di Dio si è sempre sostenuto con grande devozione che non c’è più alcuna riserva nell’ora della morte e che, di conseguenza, tutti i Sacerdoti possano assolvere tutti i penitenti da tutti i possibili peccati e censure. Al di fuori dell’articolo di morte, i Sacerdoti, non potendo fare nulla nei casi riservati, si sforzeranno solo di persuadere i penitenti a ricorrere a giudici superiori e legittimi per beneficiare dell’assoluzione.
Capitolo 8. Necessità e frutto della soddisfazione.
1689. Infine, a proposito della Soddisfazione: di tutte le parti della Penitenza, per quanto sia stata da sempre raccomandata al popolo cristiano dai nostri Padri, tanto ai nostri tempi è estremamente attaccata, essenzialmente sotto la copertura della pietà, da coloro che hanno l’apparenza della pietà, ma negano quella che è la sua forza 2Tm III, 5). Il Santo Concilio dichiara quindi chesia totalmente falso e contrario alla Parola di Dio affermare che il Signore non perdoni mai una colpa senza perdonare benevolmente anche l’intera pena. Ci sono infatti esempi chiari e noti nella Sacra Scrittura che, al di là della tradizione divina, confutano molto chiaramente questo errore (cfr. Gen III,16-19; Num XII,14 Num XX,11 2 Sam XII,13-14).
1690. Certamente il carattere della giustizia divina sembra richiedere che coloro che abbiano peccato per ignoranza prima del Battesimo entrino in grazia in modo diverso da coloro che, una volta liberati dalla schiavitù del peccato e del diavolo, dopo aver ricevuto il dono dello Spirito Santo, non hanno avuto paura di violare consapevolmente il Tempio di Dio (1Co III,17) e di contraddire lo Spirito Santo (Ep IV, 30). È opportuno che la clemenza divina non ci perdoni i nostri peccati senza alcuna soddisfazione, in modo che, cogliendo l’occasione e considerando i nostri peccati abbastanza leggeri, cadiamo in quelli più gravi, offendendo e insultando lo Spirito Santo (Eb X,29), e accumulando tesori d’ira contro di noi per il giorno dell’ira (Rm II,5 Gc V,3). Non c’è dubbio, infatti, che queste punizioni espiatorie siano un grande deterrente dal peccato, agiscano da freno e rendano i penitenti più prudenti e vigili per il futuro; sono anche un rimedio per i postumi del peccato e rimuovono le abitudini viziose acquisite con una vita cattiva, facendo compiere azioni virtuose opposte a queste abitudini. E nessun modo è mai stato considerato più sicuro nella Chiesa di Dio per scongiurare il castigo minacciato dal Signore (Mt III,2 Mt III,8 Mt IV,17 Mt XI,21) che dedicarsi assiduamente a queste opere di penitenza con vero dolore del cuore. Inoltre, soffrendo quando siamo soddisfatti per i nostri peccati, diventiamo conformi a Cristo Gesù che ha soddisfatto per i nostri peccati (Rm V,10 Gv II,1-2) da cui proviene la nostra capacità (2Co III,5), avendo anche la certezza che se soffriamo con Lui, con Lui saremo glorificati (Rm VIII,17)
1691. Ma questa Soddisfazione, che paghiamo per i nostri peccati, non è nostra in modo tale che non avvrnga per mezzo di Gesù Cristo; perché noi, che da soli non possiamo fare nulla di ciò che viene da noi, con l’aiuto di Colui che ci fortifica possiamo fare ogni cosa (Ph 4,13). Così l’uomo non ha nulla di cui gloriarsi, ma tutta la nostra gloria è in Cristo (1Co I,31 2Co X,17 Ga VI,14) nel quale viviamo (Act XVII,28), nel quale meritiamo, nel quale soddisfiamo, rendendo degni i frutti della penitenza (Lc III,8 Mt III,8) che traggono la loro forza da Lui, sono offerti da Lui al Padre e sono accettati grazie a LLui dal Padre (cf. 1713ss.)
1692. I Sacerdoti del Signore devono quindi, per quanto lo Spirito e la prudenza suggeriranno, imporre le soddisfazioni salutari che sono appropriate, in relazione alla natura dei peccati ed alle possibilità dei penitenti. Se chiudessero gli occhi sui peccati e si mostrassero troppo indulgenti con i penitenti, imponendo opere molto leggere per colpe molto gravi, parteciperebbero ai peccati degli altri (1Tm V,22). Si ricordino che la soddisfazione che impongono non ha solo lo scopo di salvaguardare la vita nuova e di guarire la debolezza, ma anche di vendicare e punire i peccati del passato. Infatti, anche gli antichi Padri credevano ed insegnavano che il potere delle chiavi era dato ai Sacerdoti non solo per sciogliere, ma anche per legare (Mt 16,19 Mt 18,18 Gv 20,23) (cf. 1705). E non hanno ritenuto, per questo, che il Sacramento della Penitenza fosse un tribunale di ira e di dolori – cosa che nessun Cattolico ha mai pensato – né che, con tali soddisfazioni da parte nostra, la forza del merito di nostro Signore Gesù Cristo fosse oscurata o diminuita in parte. Non volendo capire questo, gli innovatori insegnano in modo tale che la migliore penitenza è una nuova vita (cf. 1457), che sopprimono ogni forza propria della soddisfazione e ogni ricorso ad essa (cf. 1713).
Capitolo 9. Opere di soddisfazione.
1693. Il Concilio insegna anche che la munificenza divina è così estesa che non solo le pene che ci infliggiamo spontaneamente come punizione per il peccato o che sono imposte dalla volontà di Dio, ma anche le pene che ci infliggiamo come punizione per il peccato e che sono imposte dalla volontà di Dio. secondo la misura della colpa, ma anche (che è il più grande segno di amore) che le prove temporali inflitte da Dio e da noi sopportate con pazienza, possano soddisfare presso Dio Padre per mezzo di Cristo Gesù (cf. 1713).